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sabato 6 agosto 2022


TRE PASSI NEL DELIRIO

Titolo originale: Histoires extraordinaires 
Titolo in inglese: Spirits of the Dead 
Paese di produzione: Francia, Italia 
Lingua: Francese, italiano, inglese 
Anno: 1968
Durata: 116 min 
Colore: Colore 
Rapporto: 1,75:1
Genere: Orrore, thriller
Regia: Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini
Episodi: 
    Metzengerstein (37 min), di Roger Vadim
    William Wilson (36 min), di Louis Malle
    Toby Dammit (43 min), di Federico Fellini
Soggetto: Racconti di Edgar Allan Poe:  
    Metzengerstein - Metzengerstein: A Tale in Imitation 
        of the German (1832)
    William Wilson - William Wilson (1839) 
    Toby Dammit - Never Bet the Devil Your Head: 
        A Moral Tale (1841)   
Sceneggiatura: Roger Vadim, Federico Fellini,
     Louis Malle, 
Bernardino Zapponi, Pascal Cousin
Produttore: Alberto Grimaldi, Raymond Eger
Casa di produzione: Produzioni Europee Associate (Italia),
     Les Films Marceau-Cocinor (Francia)
Fotografia: Claude Renoir (Metzengerstein),
    Giuseppe Rotunno (Toby Dammit), Tonino Delli Colli
    (William Wilson)
Montaggio: Hélène Plemiannikov (Metzengerstein),
    Ruggero Mastroianni (Toby Dammit)
Musiche: Jean Prodromidès (Metzengerstein),
    Diego Masson (William Wilson), Nino Rota
    (Toby Dammit)
Scenografia: Jean André (Metzengerstein), Pietro Tosi
    (Toby Dammit)
Costumi: Jacques Fonteray (Metzengerstein)
Interpreti e personaggi: 
   1) Metzengerstein
    Jane Fonda: Contessa Frederica de Metzengerstein
    Peter Fonda: Barone Wilhelm Berlifitzing
    Georges Douking: Arazziere
    Philippe Lemaire: Philippe
    Carla Marlier: Claude
    Serge Marquand: Hugues 
    James Robertson Justice: Consigliere della Contessa
    Françoise Prévost: Amica della Contessa
    Audoin de Bardot: Paggio
    Dennis Berry : Cortigiano 
    Jackie Blanchot: Cortigiano 
    Anny Duperey: Cortigiana
    Marie-Ange Aniès: Cortigiana 
    Andréas Voutsinas: Cortigiano 
    Maurice Ronet: Narratore (versione francese) 
    Clement Biddle Wood: Narratore (versione inglese)
   2) William Wilson
    Alain Delon: William Wilson e il suo Doppelgänger
    Brigitte Bardot: Giuseppina Ditterheim
    Renzo Palmer: Prete
    Daniele Vargas: Professore all'Università
    John Karlsen: Istruttore militare scolastico 
    Franco Arcalli: Insegnante che fustiga Wilson bambino
    Umberto D'Orsi: Hans 
    Marco Stefanelli: William da bambino 
    Paolo Giusti: Doppelgänger di Wilson 
    Massimo Ardù: Doppelgänger di Wilson ragazzo
    Katia Christine: Ragazza bionda sul tavolo operatorio
   3) Toby Dammit
    Terence Stamp: Toby Dammit 
    Marina Yaru: Il Diavolo in forma di bambina 
    Salvo Randone: Padre Spagna
    Antonia Pietrosi: La Signora
    Ferdinand Guillaume: Vecchio attore cieco
    Brigitte: Ragazza che parla col vecchio attore
    Annie Tonietti: Commentatrice televisiva
    Monica Pardo: Miki, l'attrice dai capelli crespi 
    Federico Boido: Il Doppelgänger di Toby
    Fabrizio Angeli: Fabrizio Manetti (primo regista)
    Ernesto Colli: Ernestino Manetti (secondo regista) 
    Andrea Fantasia: Produttore 
    Campanella: Lombardi (assistente produttore) 
    Aleardo Ward: Primo intervistatore
    Paul Cooper: Secondo intervistatore
    Milena Vukotic: Intervistatrice tv
    Andrea Fantasia: Produttore al party
    Marisa Traversi: Marilù Traversi
    Irina Maleeva: Zingara 
    Giovanni Tarallo: Vecchio paparazzo 
    Fides Stagno: Se stessa 
    Ettore Arena: Rabbino all'aeroporto
    Dakkar: Mandingo all'aeroporto 
    Van Heflin: Attore del film "Trenta dollari"
        (scena tagliata)
Doppiatori italiani: 
   1) Metzengerstein
    Maria Pia Di Meo: Contessa Frederica de Metzengerstein
    Gino La Monica: Barone Wilhelm Berlifitzing
    Sergio Graziani: Philippe
    Carlo Alighiero: Hugues
    Renato Turi: Voce narrante
   2) William Wilson
    Cesare Barbetti: William Wilson e il suo Doppelgänger
    Flaminia Jandolo: Giuseppina Ditterheim
    Bruno Persa: Professore all'università
    Giovanni Saccenti: Insegnante che consegna le lettere
    Stefano Sibaldi: Hans
   3) Toby Dammit
    Osvaldo Ruggieri: Voce narrante di Toby Dammit ad inizio
       episodio
    Giuseppe Rinaldi: Padre Spagna
    Serena Verdirosi: Commentatrice TV
    Oreste Lionello: Il Doppelgänger di Toby 
Location: 
   1) Metzengerstein:
        Roscoff (Finistère, Bretagna)  
   2) William Wilson: 
        Bergamo, Chiesa di Santa Maria Maggiore, Palazzo
        della Ragione;
        Bracciano, Castello Odescalchi;
        Roma, Chiesa della Santissima Trinità dei Pellegrini. 
   3) Toby Dammit:
        Marino (Roma); 
        Roma
, Convento di San Bonaventura al Palatino.   


Trama: 

1) Metzengerstein 
La Contessa Frederica de Metzengerstein è una nobildonna bionda, bellissima e dissoluta che passa il suo tempo in orge, anche saffiche. Sorprendentemente emancipata per il contesto storico, non è sposata, non ha figli e ignora qualsiasi concetto della religione cristiana, come se fosse nata e cresciuta in un popolo pagano rimasto isolato. Priva di morale e di scrupoli, non esita a causare la morte del cugino, il Barone Wilhelm Berlifitzing, reo di aver osato respingere un suo invito: fa incendiare la sua scuderia, dove egli passava il suo tempo con gli amati cavalli. Così il nobile finisce combusto assieme agli equini, travolto dal crollo dell'edificio in fiamme, ma ritorna in forma di un selvaggio stallone nero e demoniaco, che fa irruzione nel maniero dei Metzengerstein. La Contessa Frederica è ossessionata dal sinistro animale, che soltanto lei riesce ad ammansire. Finirà con l'appartarsi da ogni forma di vita sociale per passare il suo tempo con il cavallo dal manto scuro come la notte.  

2) William Wilson 
Un giovane ufficiale austriaco, il cui nominativo è stranamente anglosassone, si distingue per il suo efferato sadismo. Si chiama William Wilson ed è un totale psicopatico. La vita altrui per lui è meno importante di un escremento. Arriva al punto di bucare l'addome a una giovane prostituta, penetrandola con un coltello soltanto per divertimento. Qualcosa però lo disturba: è il suo Doppelgänger, ossia un uomo in tutto e per tutto identico a lui, che compare nei momenti meno opportuni intralciando le sue gesta malvagie, fino a fargli fallire una cruciale partita a carte con una dama fatale, smascherandolo come baro. William Wilson, ossessionato da queste apparizioni spettrali, finisce per sfidare a duello il Doppelgänger e lo uccide con un pugnale, ma così facendo commette un gravissimo errore. Giunto alla pazzia, va a confessarsi da un prete, che ascolta con attenzione il racconto della sua vita, ma alla fine non crede alle sue parole e cerca di convincerlo a smettere di alcolizzarsi. In preda alla disperazione, l'ufficiale si getta dal campanile e si schianta sul selciato. Il suo corpo viene trovato trafitto dalla stessa arma con cui ha ucciso il Doppelgänger. 

3) Toby Dammit 
Un attore shakespeariano inglese in declino e alcolizzato terminale, Toby Dammit, arriva a Roma per girare un film spaghetti western molto particolare, commissionato da un importante prelato e finanziato dalla Santa Sede. Si tratta di un western "cattolico", che parla del ritorno di Cristo sulla Terra. In cambio della sua opera, l'attore riceve una Ferrari già rodata e pronta all'uso. Durante un'intervista, quando gli viene chiesto se creda in Dio, lui risponde di no. Tuttavia, subito dopo gli viene chiesto se creda nel Diavolo, e la sua risposta è affermativa. Parla della sua idea del Diavolo, che descrive come una presenza reale, in carne ed ossa, il cui aspetto è quello di una bambina bionda vestita di bianco che si aggira di notte con una palla. Dopo un'esibizione disastrosa, Toby Dammit prende la Ferrari e si lancia a velocità folle nella notte, inoltrandosi negli spettrali paesi fuori Roma. In preda a un attacco di demenza, vede la bambina bionda con la palla e sa che la propria fine sta per giungere. Cerca così di saltare con la Ferrari un ponte crollato, ma finisce contro un cavo teso che lo decapita. La bambina demoniaca raccoglie la testa recisa dell'attore dannato. 

Citazioni: 

Orrore e fatalità hanno imperato in ogni tempo. Perché dunque segnare una data alle storie che devo raccontarvi?  
Edgar Allan Poë 

Recensione:  
All'epoca in cui questo film fu girato, era del tutto normale che un'opera cinematografica fosse composta da più episodi, in pratica cortometraggi giustapposti, spesso diretti da diversi registi e legati tra loro soltanto da un tema in comune. In questo caso il filo conduttore è l'orrore ispirato da fatti surreali ai limiti dell'assurdo. Dopo aver goduto di vasta popolarità, la formula del film collettivo (in inglese omnibus film) decadde fin quasi a scomparire. Difficile credere che oggi possa essere riproposta. 
I tre episodi di Vadim, Malle e Fellini sono stati tratti molto liberamente da racconti di Edgar Allan Poe, apportandovi modifiche radicali. In particolare nel caso di Toby Dammit, l'adattamento è addirittura migliore dell'opera da cui è stato tratto. A parer mio, nel complesso si tratta di un esperimento dall'ottimo esito. Le lacune sono colmate dall'eccellente interpretazione di attori e attrici di prim'ordine. Certo, non sempre è una formula che funziona: esistono numerosi film fecaloidi anche con un cast stratosferico. Qui invece va tutto a meraviglia, per quante critiche si possano fare.  


L'adattamento di "Metzengerstein:
A Tale in Imitation of the German" 

Roger Vadim era un nepotista e tendeva a mettere sua moglie dappertutto. Dovendo adattare un racconto il cui protagonista era un uomo, non poté far altro che cambiargli sesso, facendolo diventare una donna e per giunta libidinosa. Così il Barone Frederik è diventato la contessa Frederica (Frédérique nella versione in francese/inglese). Siccome il titolo di baronessa non bastava alla Fonda, l'ha promossa facendola diventare contessa. Il finale scritto da Poe era assai problematico, perché il Barone Metzengerstein doveva bruciare vivo, condotto dal cavallo nero e indomito tra le fiamme divampate nel suo castello di famiglia. La Pupona non era stupida e aveva un orgoglio smisurato: non avrebbe mai accettato di interpretare un personaggio destinato a morire in un incendio. Così ecco che il rogo finale, contrappasso per la morte di Berlifitzing (che nel racconto era un anziano patriarca), non è mai stato realizzato. Anche Vadim era furbo: non voleva insistere con la capricciosa consorte e rischiare qualcosa del tipo "niente sesso per un anno". Questo finale sospeso non ha affatto giovato. Ha rotto la tensione, ha come castrato l'episodio. C'è anche un altro elemento, di cui forse ben pochi si sono resi conto. L'attaccamento morboso della Contessa Frederica allo stallone poteva suggerire qualcosa di insano, connesso alla bestialità erotica. Anche se in America è sempre stato un tabù religioso molto radicato, all'epoca in Francia e altrove non erano rare fantasie di questo tipo, che si traducevano in filmati con attrici intente a fellare e masturbare i falli prorompenti degli stalloni. 


L'adattamento di "William Wilson" 

L'originale di Poe non presentava particolari problemi: era ambientato nelle più rinomate università della cupa Inghilterra. È stato Louis Malle ad introdurre molteplici complicazioni nel suo adattamento. Difficile a distanza di tempo capire le ragioni delle sue scelte, strane ma senza dubbio molto suggestive. Perché trapiantare la storia di William Wilson nell'Impero Austriaco? Perché conservare le origini anglosassoni del personaggio? Già era ai limiti dell'assurdo la presenza di un uomo di nome William Wilson in quella potente nazione, figuriamoci quella di un suo doppione chiamato allo stesso modo! 
Di fronte a tutto ciò, è necessario porsi domande cogenti. Nel Regno Lombardo-Veneto, come avveniva la comunicazione tra militari austriaci e popolazione locale? Un militare di stanza a Bergamo imparava il bergamasco oppure erano i locali a conoscere il tedesco? Se così fosse stato, come mai non è rimasto alcun ricordo di queste esperienze linguistiche? Perché i libri di storia non si occupano di questi problemi? 
Solo per fare un esempio, il prete da cui Wilson è andato a confessarsi, che lingua parlava con lui? Era un prete tedesco in una chiesa di Bergamo? Oppure la conversazione con Wilson si svolgeva in bergamasco? Si può immaginare che tra loro, questi militari parlassero tedesco e che non sorgessero difficoltà di sorta. Anche i dialoghi con Giuseppina Ditterheim dovevano essere nel nobilissimo idioma germanico. Come si va al di fuori di questo ambito ristretto, tutto è inghiottito da insondabili zone d'ombra. Si possono solo azzardare deboli spiegazioni di questo fenomeno di annichilimento del passato e della sua inconoscibilità. 
a) Sostanziale mancanza di fonti. 
Le fonti storiche, soprattutto quelle scritte, tendono a privilegiare gli eventi politici e militari, trascurando spesso gli aspetti più quotidiani della vita. Le testimonianze dirette dei soldati o dei civili sono rare e spesso frammentarie.
b) Dialetti e oralità. 
Molte delle interazioni linguistiche avvenivano in contesti informali e attraverso l'oralità. I dialetti, inoltre, erano spesso considerati inferiori rispetto alle lingue scritte e quindi meno degni di essere documentati.
c) Passaggio del tempo e relativa usura. 
Col passare del tempo, i ricordi si affievoliscono fino a svanire del tutto e le lingue cambiano. Molti dei dialetti parlati nel XIX secolo sono oggi scomparsi o fortemente alterati. 
d) Tensioni sociali.
Il rapporto tra militari e popolazione era spesso teso, a causa dell'occupazione austriaca e delle repressioni che ne seguirono. Secondo alcuni, questo clima di diffidenza poteva inibire la comunicazione e favorire l'uso di lingue veicolari come l'italiano. Sono molto scettico a questo proposito. L'italiano era una lingua poco diffusa ancora agli inizi del XX secolo e i suoi parlanti non erano così numerosi! 


L'adattamento di "Never Bet the Devil
Your Head"

L'episodio migliore della trilogia onirica è di gran lunga Toby Dammit, che è uno dei massimi capolavori dell'horror a livello mondiale. Eppure, se prendiamo l'originale di Poe, notiamo all'istante che c'è ben poco in comune. Il racconto Never Bet the Devil Your Head era innanzitutto grottesco e satirico, quasi comico nella sua improbabile architettura. Era la storia di un coglione microcefalo cresciuto da una madre calvinista e severissima, snaturata come una tigre d'Ircania, che gli somministrava ogni giorno decine di violentissimi sganassoni! Nonostante questo trattamento, il protagonista cresceva con ogni genere di vizio, fino ad adottare come normale intercalare la frase "Scommetto la mia testa col Diavolo", considerata da tutti sommamente blasfema e pericolosa. Alla fine, il giovane bestemmiatore finiva col perdere davvero il cranio in presenza di un vecchio gobbo vestito di nero, che era per l'appunto Messer Mefistofele in persona! 
Fellini ha rifatto tutto e ha prodotto questa meravigliosa perla! Peccato che non tutto sia farina del sacco del regista, che ha preso a prestito proprio l'elemento più destabilizzante: il Diavolo in forma di bambina bionda. L'origine è presto detta, è il film horror Operazione paura (1966), diretto da Mario Bava. Sì, proprio lui, che creava mondi alieni con le caramelle ciucciate e che ha concepito l'idea di plasmare uno pseudo-Alien con un bidone di trippa! Nel film baviano del 1966, la bambina diabolica, Melissa, era uno spettro, un'anima inquieta. Era stata una bambina in carne ed ossa, poi uccisa in un incidente e non soccorsa, così dopo la morte vagava in cerca di vendetta. Fellini ha introdotto un'innovazione geniale: la bambina diventa una manifestazione del Maligno! 


Allucinazioni e distorsioni 

Il cervello non sa gestire l'Orrore Assoluto. Cerca con ogni mezzo di rimuoverlo, di neutralizzarlo. Una strategia molto frequente è quella di far passare l'evento straordinario per qualcosa di normale. Quando questo tentativo fallisce, perché il potere traumatizzante dell'accaduto è eccessivo, subentra la cancellazione della memoria. In pratica, si ha un intervento sui neuroni e sulle sinapsi, in modo tale che non si fissi tutto ciò che è connesso con il ricordo problematico. Questa cancellazione non è mai completa, resta sempre qualcosa, nascosto in profondità e sempre pronto a riemergere. Così quando ho visto il film collettivo sono rimasto inorridito, quasi annientato dalla spaventosa visione della bambina satanica. Ho avuto un'amnesia, tanto che ho dimenticato quelle sequenze per molti anni, anche se queste continuavano a produrre i loro effetti nelle profondità del mio subcosciente. Ricordo alcune eruzioni terrificanti avvenute a più riprese nel corso della mia adolescenza e in seguito, quando ero un uomo fatto e finito. Ero uno studente delle medie quando ho visto una bambina bionda vestita di bianco a una finestra di una villa abbandonata, che anni dopo ho saputo essere stata una sede delle SS durante la seconda guerra mondiale. In quel luogo sono state torturate e uccise molte persone. Appena mi sono reso conto della cosa, per una notizia riferitami in modo in apparenza fortuito, ho avuto i brividi: quella bambina era realmente un demone, come avevo saputo fin dal primo momento. Il giorno della mia laurea, mi trovavo nella sede di Fisica in Via Celoria a Milano. Guardando fuori dalla porta vetrata dell'ingresso, vidi nitidamente una bambina bionda vestita di bianco, che mi dava le spalle. Uscito per vedere meglio, era scomparsa. Solo dopo molto tempo, visto di nuovo il film, mi sono ricordato all'improvviso di quando ero stato esposto per la prima volta a quelle immagini. Il mio cervello aveva immagazzinato ogni dettaglio, proiettandolo poi, anche da prospettive che nel film non si vedono!     

Moravia e le bambine demoniache 

In Passeggiate africane (edito da Bompiani, 1987), Alberto Moravia racconta un evento inquietante che gli occorse mentre visitava la tribù dei Manyati. Ecco il resoconto:  

"Mentre discutiamo e la Land Rover corre per una pista assolutamente deserta a perdita d'occhio, ecco, ad un tratto, laggiù lontano ecco appare una piccola figura che, poiché ci avviciniamo, si precisa sempre più ma rimane piccola. Adesso la vediamo distintamente: è una bambina nuda salvo un esiguo perizoma bianco panna intorno ai fianchi; avrà dieci anni; ha gambe robuste e corpo atticciato e una testa rotonda e spettinata; ride, provocante, e agita le braccia come facendoci segno di fermarci. L'autista, invece di fermarsi, accelera; la bambina si getta davanti al radiatore agitando le braccia; facciamo appena in tempo ad evitarla con uno scarto violento che ci fa scivolare nella melma del fossato. Usciamo fuori dal fossato, riprendiamo la corsa, mi volto a guardare attraverso il vetro posteriore; la pista è già deserta, della bambina non c'è traccia. Allora, ad un tratto, ricordo il breve bellissimo film di Federico Fellini, ricavato dalla novella di Poe: "Mai scommettere la testa con il diavolo". Anche nel film c'è una bambina che, inspiegabilmente, gioca a palla di notte su un ponte in costruzione. Il protagonista scommette con se stesso di saltare in macchina da un troncone all'altro del ponte; ma una sottile sbarra di ferro, tesa e invisibile, a mezz'aria, gli tronca di netto la testa. Racconto ai compagni del film di Fellini, noto la coincidenza; quello che sa tante cose della tribù dei Manyati, conferma: sono tutti nudi eccetto un perizoma di un bianco panna opaco intorno i fianchi; non ci sarebbe da stupire che la bambina volesse fermarci per...e qui lascio immaginare ma preferisco non precisare le ipotesi, formulate in proposito, tutte come nella novella di Poe e nel film di Fellini "diaboliche". 

Non posso averne conferma, ma ho l'impressione che la bambina vista da Moravia fosse albina, o non gli avrebbe richiamato alla mente l'opera di Fellini. E ancora, nel racconto Il diavolo va e viene (La cosa e altri racconti, edito da Bompiani, 1983), lo stesso autore riporta quanto segue:

"La prima sorpresa sarà nel vederlo in sembianze di bambina biondiccia, con slavati occhi azzurri, naso dalle narici increspate, bocca schifiltosa. Sarà vestita di una pelliccetta gonfia e bianca di falso muflone." 

Quello che mi pare certo è che queste immagini sono state impiantate nella mente di Moravia proprio dal Toby Dammit felliniano, in modo non dissimile da quanto accaduto a me! 

Note etimologiche 

Né il cognome Metzengerstein, né il cognome Berlifitzing, sono reali. Non esiste nessuna loro attestazione storica, si tratta di pure invenzioni di Edgar Allan Poe. Occorre però stabilire come lo scrittore sia arrivato a coniare questi cognomi, quale sia stata la sua ispirazione.
Il cognome Wilson esiste ed è diffusissimo sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti d'America (è il settimo cognome più diffuso in Inghilterra e addirittura il terzo cognome più diffuso in Scozia). Il cognome Dammit può sembrare non reale, liquidabile come una mera creazione satirica del genio di Poe. Invece esiste davvero, anche se è molto raro. 

i) Etimologia di Metzengerstein 

In una pagina dell'augusto sito della Edgar Allan Poe Society of Baltimore (EAPOE) è scritto quanto segue in una nota che riporto in questa sede per l'universale e sacrosanto diritto di citazione breve: 

"The name is apparently not historical, and is of uncertain meaning. In German Metz (plural Metzen) is meal (flour), and the name of a city; and Ger is a spear, but Metzger is a butcher. Stein is stone. Poe may have thought the name meant Butcherstone or Stonespear of Metz." 

Traduzione: 

"Il nome è evidentemente non storico, ed è di significato incerto. In tedesco Metz (plurale Metzen) è la farina, e il nome di una città; e Ger è un giavellotto, ma Metzger è un macellaio. Stein è la pietra. Poe può aver pensato che il nome significasse "Pietra del macellaio" o "Giavellotto di pietra di Metz". 

Ebbene, in tedesco la farina non è affatto Metz, bensì Mehl. Il genitivo singolare è Mehles o Mehls. Il nominativo plurale è Mehle. Il sostantivo è un neutro forte e non ha nessun plurale debole in -en. Quanto riportato dal sito della Edgar Allan Poe of Baltimore è semplicemente inventato e dimostra una totale ignoranza della lingua tedesca. 

ii) Etimologia di Berlifitzing 

Sempre nel sito della Edgar Allan Poe of Baltimore è riportato in una nota brevissima quanto segue: 

"The name Berlifitzing is apparently invented; it may mean something like Little Son of a Bear." 

Traduzione: 

"Il nome Berlifitzing è evidentemente inventato; potrebbe significare qualcosa come "Piccolo figlio di un orso".

L'etimologia suggerita nel sito è farlocca e parte dalla combinazione di un sostantivo tedesco, Bär "orso", con uno francese antico: fiz "figlio" (derivato dal latino fīlius). Non mi risultano usi di questa parola francese per formare composti con parole tedesche. Un'etimologia popolare, erronea, fa derivare il nome della città di Berlino (Berlin) da un diminutivo di Bär "orso". Poe potrebbe aver conosciuto questa leggenda e aver utilizzato il toponimo Berlin, interpretato come "Piccolo Orso", come primo membro del cognome composto. Il suffisso -ing è un tipico patronimico germanico e di per sé non è problematico; tuttavia non ha riscontro la sua aggiunta a un termine francese antico, in cui -z è tra l'altro un'uscita tipica del nominativo singolare, essendo l'accusativo singolare fil (derivato dal latino fīlium). Non ha proprio senso. 

iii) Etimologia di Wilson 

L'etimologia è semplice: il cognome Wilson è di formazione norrena di origine patronimica che contiene l'elemento -son "figlio", mentre il primo membro del composto è l'antroponimo William "Guglielmo". Significa "Figlio di Guglielmo". L'attestazione più antica risale al 1324, in Inghilterra, nella forma Willeson, quindi nel 1405 è documentato come Wulson in Scozia. Dal cognome è derivato il nome di battesimo Wilson. In Germania i cognomi formati in questo modo non sono sconosciuti. Nel nord sono abbastanza comuni i cognomi in -sen, come Janssen, Johansen, Hansen, Pedersen, che potrebbero essere filtrati dalla Danimarca. Altrove si trovano cognomi in -son, -sohn, come JohanssonFriedrichsohn. Il cognome Mendelssohn (varianti: Mendelsson, Mendelsohn, Mendelson, Mandelson) è ashkenazita formato allo stesso modo. 
 
iv) Etimologia di Dammit 

Il cognome Dammit ha la sua origine in una comune interiezione che esprime irritazione, rabbia, disappunto. È uno di quei gioielli della lingua inglese che non vengono insegnati nelle grammatichine. L'interiezione dammit può persino essere usata come sostantivo. La sua derivazione è chiaramente "damn it!", cioè "sia dannato!", "maledizione!"  Locuzioni tipiche: 
- God dammit, espressione di rabbia, sorpresa, eccitazione intensa o frustrazione (varianti: goddammit, goddamnit, goddamned, God damn);
- dammit to Hell, espressione di rabbia o irritazione. 
Quanto riportato smentisce la stupidissima idea insegnata nelle scuole italiane, secondo cui gli Anglosassoni non bestemmierebbero mai. Cosa sono queste, se non bestemmie? Possiamo dedurre che Toby Dammit sia un nomen omen, che prefigura il destino di chi lo porta, ossia la dannazione eterna all'Inferno. Questo crea qualche problema con la teologia cattolica, mentre è compatibile con quella protestante. 
A quanto pare, esiste anche un cognome tedesco Dammit, ovviamente di diversa origine, che si trova in Slesia, con numerose varianti come Damitz, Damits, Dammits, Demitz, Demits, Damnitz


Produzione e distribuzione  

Originariamente il film collettivo doveva essere diretto da Luchino visconti, Claude Chabrol, Joseph Losey e Orson Welles. Secondo IMDb.com, tra i registi avrebbe dovuto esserci Luis Buñuel. Welles, che aveva già scritto la sceneggiatura di un segmento basato sia su "The Mask of the Red Death" che su "The Cask of Amontillado", si ritirò nel settembre 1967 e fu sostituito da Fellini. 

All'inizio Peter O'Toole era stato scelto per il ruolo di Toby Dammit. Dopo essersi ritirato, Federico Fellini contattò un'agenzia di casting londinese e chiese loro di mandare a Roma gli attori più decadenti e problematici che avevano a disposizione, per incontrarlo di persona. Mandarono Terence Stamp e James Fox, e Fellini scelse Stamp. 
Si segnala che anche Marlon Brando e Richard Burton erano stati presi in considerazione per il ruolo di Toby Dammit. 

Louis Malle avrebbe voluto la prosperosa brasiliana Florinda Bolkan per interpretare il ruolo di Giuseppina Ditterheim, ma non poté averla, perché i produttori volevano imporre un'attrice più conosciuta. Così fu scelta Brigitte Bardot, che era considerata poco adatta dal regista.
 
L'uscita del film in Gran Bretagna fu ritardata a lungo, fino all'inizio del 1973, quando ebbe solo una manciata di proiezioni con il titolo Tales of Mystery. Non è mai stato trasmesso sulla televisione britannica e solo nel 2019 è uscito in DVD / Blu-Ray con il titolo americano, Spirits of the Dead. Non è difficile capire l'accaduto. La rappresentazione del Diavolo ha urtato profondamente la sensibilità degli Inglesi, popolo sommamente superstizioso e scaramantico. Qualcuno di molto importante deve essersi defecato in mano, decidendo così di ostacolare la distribuzione della pellicola. Non dimentichiamoci che in Inghilterra non si trovano macchine con 666 nella targa, né alberghi con la camera 666. Poi avevano in casa Jimmy Savile, che era un'emanazione del Maligno! 

Errori 

Durante l'ultima partita di carte tra la fatale Giuseppina e il cinico Wilson, quest'ultimo si distribuisce due carte di seguito durante la mano finale. Avrebbe dovuto distribuire a Giuseppina una quinta carta prima di prendere la sua.

Evidentemente è un manichino quello che cade dal campanile della chiesa a Bergamo, non un essere umano.

Toby Dammit non si serve di un traduttore e parla in inglese (anche nella versione in italiano), come se il pubblico lo potesse comprendere alla perfezione. In realtà la conoscenza della lingua inglese in Italia era pessima in quegli anni, essendo nel frattempo le cose appena migliorate. 

A Toby Dammit viene offerta una rivista pittorica in cui deve ritrarre "il giovane dio greco Marte" (come tradotto nelle didascalie). Marte era il dio romano della guerra. Il nome del suo corrispondente greco era Ares.

Alla fine, quando Toby Dammit ha messo la retromarcia e ha accelerato per arrivare abbastanza indietro da permettergli di saltare il baratro nel ponte crollato davanti a sé, indossa una camicia bianca con volant aperta sul lato del collo. Ma in uno dei brevi scatti che lo mostrano mentre fa retromarcia, indossa la stessa giacca nera sopra la camicia bianca e l'ascot nero che gli copre il collo, lo stesso che indossava prima alla catastrofica cerimonia di premiazione. 



Critica 

Marcel M.J. Davinotti Jr. ha una pessima opinione della pellicola di Vadim-Malle-Fellini ed esprime un giudizio a dir poco caustico, quasi surreale. Prima ci parla della tirannia di Roger Corman, un gigantesco Tyrannosaurus rex che ha imperversato per un decennio, imponendo i propri adattamenti di Poe (non sempre capolavori). Poi ci spiega come Vadim-Malle-Fellini siano stati costretti dal regista-dinosauro ad adattare racconti meno noti. 
Ecco in sintesi: 
1) Metzengerstein. Reso molesto da un'insopportabile voce fuori campo. Ruota tutto intorno alla Pupona, Jane Fonda, tanto che del racconto di Poe si conserva in pratica ben poco.  
2) William Wilson. Accusato di essere soporifero, si consuma tra una partita a carte e l'altra, il tutto di una suprema inutilità. Alla fine il critico afferma di provare nostalgia per i lavori di Corman, fustigati nell'incipit. 
3) Toby Dammit. Unico episodio apprezzato, anche se viene riconosciuto che con il racconto di Poe non ha quasi nulla a che vedere; sono identificate le origini eminentemente baviane della riduzione felliniana. 


L'utente Pigro riprende i concetti già espressi da Davinotti: l'episodio di Vadim è un "pezzo-cartolina", mentre quello di Malle è "calligrafico ma vuoto (e noioso)". Resta il lavoro di Fellini, "furioso e acido", anche se meno fedele degli altri all'originale di Poe. Considera quindi che la somma di due contributi scadenti e di uno eccellente debba per necessità sommarsi in un totale mediocre.  
 
L'utente Homesick usa un'espressione a dir poco suggestiva: "un trittico di cupio dissolvi". Un Terence Stamp "consunto e maudit" è protagonista di uno "stralcio di Dolce vita in versione mortuaria illuminata dal suo familiare estro onirico e grottesco". Leggendo queste parole si percepisce il disfacimento del corpo dell'attore, il progredire della sua cirrosi epatica, il delirium tremens che preme anche dopo un solo minuto di astinenza alcolica, popolando l'Universo di scarafaggi! Sublime. 

L'utente Rebis usa una satira caustica come la calve viva: Vadim, nato e cresciuto su un pianeta eternamente separato dalla Terra, che non vide mai la nascita di Edgar Allan Poe, esponendo la moglie lussuriosa all'universo mondo. Malle anticipa il finale, svuotando di senso la formula stessa del Racconto del Mistero. Fellini è come un Dante Alighieri moderno, inebriato dall'Amanita muscaria, che "allestisce uno dei suoi soliti personalissimi meravigliosi inferni". L'ideale è guardare il film senza avere in mente ciò che Poe scrisse, conclude il commentatore.

L'utente Buiomega71 riconosce l'assoluto terrore instillato dalla bambina demoniaca interpretata da Marina Yaru. Pur riconoscendo qualche merito a William Wilson, reputa "noioso" Metzengerstein. Conclude che senza Toby Dammit, l'intera opera sarebbe scivolata nell'Oblio.  

martedì 26 maggio 2020

LA SFINGE, UN RACCONTO BREVE DI EDGAR ALLAN POE

 
La sfinge (The Sphinx) è un racconto di Edgar Allan Poe, pubblicato per la prima volta nel gennaio del 1846, sulla rivista Arthur's Ladies Magazine di Filadelfia. Fu ripubblicato nel 1859 nel secondo volume (Poems and Tales) della raccolta postuma The Works of the late Edgar Allan Poe (editore: Blakeman & Mason). Fu pubblicato dopo la raccolta Racconti del terrore e dell'incubo, del 1845, così non vi è incluso. Tuttavia in seguito le case editrici hanno pubblicato tra i Racconti del terrore e del grottesco questo e altri testi scritti tra il 1846 e il 1849 (anno della scomparsa dell'autore). Direi che l'attribuzione più ragionevole è ai Racconti dell'incubo. Per alcuni sarebbe invece da classificarsi tra i Racconti di tema vario


Traduzioni del titolo:
  Italiano: La sfinge
  Tedesco: Die Sphinx
  Francese: Le Sphinx
  Spagnolo: La esfinge
  Rumeno: Sfinxul 
 
Elenco completo delle edizioni italiane:  

Traduzioni in italiano: 
Maria Gallone
Fernanda Pivano, A.C. Rossi, Aldo Traverso, Virginia Vaquer
M. Carla Solomeni, Vincenzo Brinzi
Carla Apollonio  
Maria Gallone  
Giorgio Manganelli  
Daniela Palladini
Daniela Palladini e Isabella Donfrancesco 

Traduzione in francese:
William Little Hughes (1822 - 1887). 
Questo è uno dei 25 racconti di Poe che non furono tradotti da Charles Baudelaire. La traduzione di Hughes compare nel volume Contes inédits, pubblicato da Hetzel nel 1862.  
 
Trama: 
Una violenta epidemia di colera imperversa, devastando New York. Il narratore viene invitato da un parente a trovare rifugio nel suo cottage sulle rive del fiume Hudson, nelle vicinanze di una collina franata. Nonostante i buoni propositi di dedicarsi alle passeggiate e alle attività di diporto, il tempo sembra non passare mai. Prevale lo sfinimento e non c'è molto da fare, a parte attendere notizie luttuose dalla città. A un certo punto il narratore, dopo essere rimasto a lungo immerso nella lettura, guarda dalla finestra e crede di vedere un mostro spaventoso che si precipita giù dalla collina per poi scomparire all'improvviso. Per un po' l'uomo non ne fa parola per paura di essere ritenuto folle. Vince le sue paranoie soltanto dopo diversi giorni di conflitto interiore. Il proprietario del cottage è più incline alla razionalità e ascolta con estrema attenzione la descrizione della bestia favolosa; quando la situazione si ripete mentre i due si trovano nella stessa stanza, guarda dalla finestra e afferma di non riuscire a vedere alcun mostro. Quindi apre un libro di filosofia naturale e mostra al suo compare l'esatta descrizione della mirabile creatura, una falena detta sfinge testa di morto, a sua detta piccolissima. 
 
Testo originale e traduzioni: dettagli 
 
Si nota subito che New York è scritto con il trattino (hyphen): New-York. Un uso stravagante che di questi tempi lascia allibiti. Il testo originale ha cottage ornée, con esibizione di francesismo, come andava di moda nella Boston snob del XIX secolo. Tuttavia va specificato questo: cottage non è una parola francese genuina, essendo stata importata dall'inglese. La pronuncia /kɔ'taʒ/ è francesizzata ortograficamente. Il genere del sostantivo è maschile, così si dovrebbe dire cottage orné, non cottage ornée, dato che ornée è la forma femminile. Finora mi sono sempre imbattuto in traduzioni italiane in cui questo aggettivo è stato obliterato. Il corsivo usato da Poe dimostra che la parola cottage era considerata francese dai Bostoniani. Con ogni probabilità nei salotti si pronunciava /kɔ'taʒ ɔR'ne/. L'ironia di tutto questo è che la parola inglese cottage /'kɔtɪdʒ/ proviene a sua volta dall'antico francese cote "capanna", a sua volta dal norreno kot "capanna". Sia sempre benedetta la santa Scienza dei prestiti lessicali, che ci permette di provare un vero e proprio edonismo spirituale! 
 
Interpretazione 

La vulgata corrente considera questo racconto come una descrizione dell'emozione della paura e del suo potere di neutralizzare le menti suggestionabili. Esiste anche un'altra opinione abbastanza diffusa: l'allucinazione del protagonista sarebbe un'allegoria della natura ingannevole delle apparenze. Simili banalità non spiegano l'orrore che si prova nel leggere il breve testo, la cui ontologia abissale non è riducibile al meccanicismo neopositivista del pierangelismo. La sfinge è come un buco nel cielo, una voragine di un nero assoluto che si apre all'improvviso dove non dovrebbe esserci. Le radiazioni che fanno la loro irruzione da quel sinistro pertugio sono l'eco di un altro Universo, atrocemente più vasto di quello in cui conduciamo le nostre vane esistenze. 

 
Distorsione percettiva  

Nel Mito della Caverna, narrato da Platone, si descrive il processo di liberazione dell'uomo tenuto prigioniero nelle tenebre fin dalla nascita. Quando egli giunge alla luce del sole, che rappresenta il Bene, riesce a comprendere la vera natura delle cose. Il suo è un processo di anabasi. Per contro, Poe descrive un processo di catabasi. Una discesa agli Inferi. I sensi allucinati dell'uomo trasformano la spettrale falena in un immane leviatano. Siamo poi così sicuri che si tratti soltanto di un'illusione? Certo, per le genti del mondo è senza dubbio così: quanto vede un allucinato non può avere forma né sostanza alcuna. E se invece egli avvertisse, anche solo per pochi attimi, il tocco di qualcosa che viene dall'Esterno? E se non si trattasse di un riflesso di un'emozione, bensì di qualcosa che ha un'ontologia propria e funesta? Ecco come il narratore descrive la spaventosa apparizione:
 
"Cercando di valutare la mole della creatura, in rapporto al diametro dei grandi alberi presso i quali passava, – i pochi giganti della foresta che erano sfuggiti alla furia della frana – conclusi che doveva essere più grande di qualsiasi nave di linea in attività. Dico nave di linea perché la sagoma del mostro ne suggeriva l’idea, – lo scafo di uno dei nostri «settantaquattro» può dare un’idea abbastanza esatta del suo profilo. La bocca dell’animale era posta all’estremità di una proboscide lunga una ventina di metri, e grossa come il corpo di un comune elefante. Vicino alla radice di questa escrescenza si vedeva un’immensa quantità di arruffati peli neri – molti più di quelli che avrebbero potuto fornirne le pelli di una mandria di bufali; da questo pelame sporgevano, sui lati all’in giù, due zanne scintillanti, non diverse da quelle di un cinghiale, solo infinitamente più grandi. Protesa, parallelamente alla proboscide e da ogni lato di essa, c’era una gigantesca asta lunga una diecina di metri, apparentemente di puro cristallo, a forma di perfetto prisma; essa rifletteva nel modo più fantastico i raggi del declinante sole. La proboscide era a forma di cuneo con il vertice diretto verso terra. Da essa si aprivano verso l’esterno due coppie di ali – ogni ala raggiungeva la lunghezza di quasi un centinaio di metri – in ogni coppia un’ala era piazzata sopra l’altra e tutte erano ricoperte da spesse scaglie di metallo; ogni scaglia aveva apparentemente un diametro di oltre tre metri. Osservai che ogni ala superiore era unita alla corrispondente inferiore da una robusta catena. Ma la peculiarità principale di questa cosa orribile, era la raffigurazione di una Testa di Morto, che copriva quasi interamente la superficie del suo petto, e che era tracciata con precisione in uno scintillante color bianco sul fondo nero del corpo, come se fosse stata disegnata con grande cura da un artista. Mentre guardavo il terrificante animale e più specialmente l’immagine sul suo petto, con un senso di orrore e di timore – misti a una sensazione di sciagura incombente, che mi riusciva impossibile colmare malgrado ogni sforzo della ragione, vidi le enormi mascelle all’estremità della proboscide, spalancarsi all’improvviso; ne usci un suono così forte e pauroso, che colpì i miei nervi come un rintocco funebre. Quando il mostro scomparve ai piedi della collina, caddi svenuto al suolo."
 
Portenti e presagi 

Il ragionamento dei meccanicisti è abbastanza lineare: se l'emozione nasce nel sistema limbico ed è prerazionale, il sentimento è qualcosa che presuppone la consapevolezza, venendo ad esistere solo quando la mente focalizza la sua attenzione sull'emozione. Il protagonista è dominato dal terrore che il Tristo Mietitore possa giungere fino a lui, ma quando pensa ai presagi passa dall'emozione al sentimento. Cerca di dare un'interpretazione a quanto gli accade, ma siccome la sua mente è limitata, non agisce come un perfetto orologio cartesiano. Invito questi materialisti a maggior rispetto nei confronti dei portenti e dei presagi, che non sono meri simboli della superstizione o ubbie generate dall'ignoranza del popolino. Usando l'interpretazione dei segni, un aruspice etrusco predisse l'esatta durata del potere di Roma. Osservando il volo degli avvoltoi e contandoli, predisse con esattezza il declino e la fine dell'Urbe. Innumerevoli sono gli esempi che si possono citare. Sono diverticoli del Labirinto su cui irradia il Sole Nero della Morte dell'Essere. 
 
Edgar Allan Poe e la coprofilia 
 
È stato detto che nelle opere di Edgar Allan Poe è presente una larvata necrofilia. Credo che nessuno si sognerebbe di mettere in discussione questa verità. Ebbene, La sfinge ci mostra una larvata coprofilia sovrapposta all'onnipresente necrofilia. Il Bostoniano era un grande, in grado di far collassare interi universi concentrandoli in poche parole. Così ha scritto: "L'aria stessa del Sud ci sembrava recare odore di morte" (The very air from the South seemed to us redolent with death). Morte mista agli escrementi! Per quasi tutti gli attuali lettori, il colera è soltanto una reminiscenza letteraria. È soltanto una parola. La sola possibile eccezione a me nota è un tale che si era recato in India durante un'epidemia di colera e aveva praticato l'anilingus a una prostituta, salvo poi struggersi in mille paure ipocondriache. Poe sapeva bene cosa scriveva: l'epidemia di colera che aveva devastato New York avvenne nel 1832, mentre lui era in vita. Cercherò quindi di trasmettere ciò che sentiva, usando parole vivide. Culi sporchi di merda. Orifizi laidi, duramente provati da continue scariche di diarrea acquosa e caustica. La flora batterica dell'intestino è ormai un lontano ricordo: anche le sue ultime tracce sono state evacuate. Coliche atroci e scorregge crepitanti, mentre sembra di avere il piombo fuso nel ventre teso. Vomito che non dà requie. Ormai lo stomaco non riesce a trattenere più nulla e non è sopportabile nemmeno il pensiero di ingurgitare qualcosa. Tremore che scuote le membra gelide per l'ipotermia. Delirio. La coscienza che sprofonda in un'oscurità solida, compatta, fino a spegnersi del tutto. Se ci riuscite, provate a immaginarvi centinaia, migliaia di persone in simili condizioni. Perché questa è un'epidemia di colera. Al giorno d'oggi non ci siamo più abituati. Il colera nasce dalla contaminazione fecale. Si trasmette tramite rapporti oro-fecali e oro-anali. Il suo imperversare è favorito dove sono comuni gli atti di coprofagia, consapevole o inconsapevole. Ci sono state vittime illustri. Ormai pochi ricordano che Giacomo Leopardi morì di colera. Lo aveva contratto da un gelataio che preparava i sorbetti senza essersi lavato le mani dopo aver smerdato. Il Poeta di Recanati si recava nella gelateria ogni giorno, e si divertiva ad osservare le giovani della Napoli Bene, quelle che - parole sue - "vendevano la gola". Morì tra spasmi atroci. Il suo corpo fu gettato in una fossa comune e cosparso di calce. Recuperato da amici e sepolto in una chiesa, il cadavere fu poi rubato e profanato dai necrofili.  
 
Acherontia atropos  
 
La sfinge testa di morto (Acherontia atropos) è una farfalla notturna di notevoli dimensioni. È a dir poco eccezionale e nota a tutti per il caratteristico disegno che ricorda un teschio umano. Pochi sanno che è anche la sola farfalla a possedere una laringe e ad emettere suoni. Il suo verso è raggelante, sembra a metà strada tra il gracchiare di una cornacchia, la risata di una iena e il lamento di un moribondo. Può essere udito a molti metri di distanza. A produrlo è l'aria eiettata contro una lamina posta all'imboccatura della laringe, che la fa vibrare. A quanto ho saputo, anche il bruco è capace di emettere lo stesso lugubre verso. Mi è capitato di imbattermi sia in adulti che in larve di questa specie, ma sfortunatamente non ho mai potuto udire il loro repertorio sonoro. Mi sono rifatto ascoltando registrazioni reperite in rete e devo dire che mi affascina molto. Non si tratta di un richiamo: la falena infera lo usa per scacciare i predatori, quando si sente minacciata. Le sue abitudini sono assai singolari. Si introduce negli alveari, dove riesce a neutralizzare le difese utilizzando una sostanza il cui odore mima quello degli acidi grassi delle api. Con la possente spiritromba buca gli opercoli cerosi dei favi e ingurgita incredibili quantità di miele. Talvolta è così satolla da non potersi muovere: le api operaie la identificano, le si ammassano addosso fino a soffocarla, quindi la ricoprono di propoli per impedire che la putrefazione della carcassa ammorbi l'alveare.     
 
I meandri della tassonomia 
 
Poe utilizza la classificazione entomologica di Latreille. I Crepuscularia sono la seconda famiglia dei Lepidoptera; le sfingi o falene, che corrispondono al genere linneano Sphinx, sono divise a loro volta in quattro sezioni: Hesperisphinges, Sphingides, Sesiasides e Zygænides, che corrispondono rispettivamente ai generi fabriciani Castnia, Sphinx, Sesia e Zygæna. Nella denominazione attualmente in uso, il genere Sphinx appartiene alla tribù degli Sphingini, a sua volta parte della sottofamiglia delle Sphinginæ, appartenente alla famiglia delle Sphingidæ. Tanto per dare un'idea dell'estrema varietà di queste forme di vita, basterà riportare che la tribù degli Sphingini comprende in tutto 39 generi (di cui uno estinto), per un totale di 275 specie. Gli antichi Romani, sempre molto pragmatici, chiamavano la sfinge testa di morto con un nome secco e preciso: papilio feralis, ossia "farfalla mortifera".   
 
Razionalismo distorcente
 
La cosa bizzarra è che Poe descrive Acherontia atropos come un insetto piccolissimo, grande al massimo un millimetro e mezzo (about the sixteenth of an inch in its extreme length). La conversione fatta nella traduzione in italiano è corretta: 1/16 di pollice = 0,0625 pollici = 1,5875 millimetri.  In realtà la sfinge testa di morto è una delle falene di dimensioni più grandi, con un'apertura alare di 90-130 millimetri. L'addome, grassissimo e sensuale, è anch'esso di lunghezza notevole. Il bruco è grosso come un salsicciotto. Trovo ugualmente assurdo che l'insetto possa essere distante un millimetro e mezzo dalla pupilla dell'occhio dell'osservatore (and also about the sixteenth of an inch distant from the pupil of my eye). Si può quindi affermare che l'amico razionale del protagonista abbia a sua volta commesso un grave errore di valutazione delle distanze, rimpicciolendo la creatura anziché ingigantirla! Non trovo alcun commentatore che si sia accorto di questo importante particolare. Forse a causa del racconto di Poe, nell'immaginario collettivo americano è impressa l'idea che la farfalla sfinge sia di proporzioni minuscole. Nella celebre locandina del film Il silenzio degli innocenti (The Silence of Lambs), di Jonathan Demme (1991), si può vedere un esemplare di Acherontia sulla bocca di una ragazza. Il disegno del teschio è sostituito da un'immagine tratta da un dipinto di Salvador Dalì, con alcune donne nude che sembrano formare un teschio. Il punto è che le dimensioni del lepidottero sono piccolissime!
 
Rosso: areale permanente
Arancione: areale estivo

Un notevole errore 
 
Una cosa davvero interessante è la distribuzione territoriale della falena Acherontia atropos. Per farla breve: in America questo lepidottero non esiste. Il suo areale di diffusione include l'Europa, l'Africa e parte dell'Asia occidentale. Certo, esistono altre due specie simili, Acherontia styx ed Acherontia lachesis, ma sono entrambe tipiche dell'Asia. Quindi non è fisicamente possibile che qualcuno abbia potuto vedere una sfinge testa di morto nel territorio dell'Hudson. Si tratta di un clamoroso errore, che può soltanto saltare all'occhio di chi si diletta di entomologia. Con ogni probabilità lo scrittore di Boston aveva visto esemplari di Acherontia atropos durante il suo soggiorno in Inghilterra e ne aveva tratto ispirazione per scrivere il suo racconto. Certo, a un genio come lui si perdona questo ed altro!  
 
Demiurgia e aneddotica 
 
Poe ha nutrito il nostro spirito. Ha contribuito con le sue creazioni a fare di noi ciò che siamo. Ogni tratto della sua scrittura disegna un intero Cosmo, governato da leggi soltanto in apparenza simile a quelle che conosciamo. Ha potuto dar vita a un intero Universo di orrore e di percezioni distorte perché è vissuto in un'epoca in cui era riconosciuta la preminenza dell'aneddotica. Scriveva in modo febbrile, senza nemmeno provare a verificare la precisione di ogni singolo dettaglio. Così troviamo numerose bizzarrie e incongruenze nei suoi testi. Non si tratta di difetti, come si potrebbe pensare a prima vista, bensì di gemme. Certo, erano tempi diversi. Esisteva ancora un pubblico pronto a riconoscere la grandezza dell'artista, dell'evocatore. Il presente è sterile. I grandi come Poe sono ancora apprezzati, ma solo perché sono giunti come fossili da un passato ormai esaurito. Oggi non sarebbe più possibile il sorgere di un uomo simile. Non ne sarebbe riconosciuta la grandezza e non andrebbe da nessuna parte. Ogni sua minima affermazione sarebbe accolta con una domanda stizzosa: "Fonti?" 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 

Segnalo giusto due recensioni. La prima è di Giovanni Sacchitelli: 
 

La seconda è di Federico "Dragonstar" Passarella:
 

venerdì 8 maggio 2020


I VIVI E I MORTI 

Titolo originale: House of Usher
AKA: The Fall of the House of Usher, The Mysterious House
     of Usher
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Anno: 1960
Durata: 80 minuti
Genere: Orrore
Regia: Roger Corman
Soggetto: Edgar Allan Poe
Sceneggiatura: Richard Matheson
Produttore: Roger Corman
Produttore esecutivo: James H. Nicholson
Casa di produzione: Alta Vista Productions
Fotografia: Floyd Crosby
Montaggio: Anthony Carras
Effetti speciali: Larry Butler, Pat Dinga e Ray Mercer
Musiche: Les Baxter
Scenografia: Daniel Haller
Costumi: Marjorie Corso
Interpreti e personaggi:
    Vincent Price: Roderick Usher
    Mark Damon: Philip Winthrop
    Myrna Fahey: Madeline Usher
    Harry Ellerbe: Bristol
    Eleanor LeFaber: Fantasma
    Ruth Oklander: Fantasma
    Géraldine Paulette: Fantasma
    David Andar: Fantasma
    Bill Borzage: Fantasma
    Mike Jordan: Fantasma
    Mike Jordor: Fantasma
    Nadajan: Fantasma
    George Paul: Fantasma
    Phil Sulvestre: Fantasma
    John Zimeas: Fantasma
Doppiatori italiani:
    Emilio Cigoli: Roderick Usher
    Pino Locchi: Philip Winthrop
    Rosetta Calavetta: Madeline Usher
    Amilcare Pettinelli: Bristol
Titoli in altre lingue:
   Spagnolo: La caída de la casa Usher
   Tedesco: Die Verfluchten (lett. I maledetti)
   Francese: La Chute de la maison Usher 


Trama:
Il giovane Philip Winthrop è in viaggio verso la dimora nobiliare degli Usher, bramoso di raggiungere la sua dama adorata, la corvina Madeline. La casa è un maniero cadente che sorge in una landa spettrale, nebbiosa e desolata, quasi come un paesaggio marziano. Non vi nasce nemmeno un filo d'erba verde, non vi possono allignare nemmeno una lucertola o uno scarabeo, perché il suolo è contaminato e acido come il terriccio di morte che ricopre un'immensa fossa comune. Ovunque si ergono alberi neri, i cui rami untuosi sono come le braccia di un impiccato che continua ad urlare al cielo dal profondo del campo di inumazione. Quando finalmente Philip raggiunge gli Usher, riceve un'accoglienza fredda. Il fratello di Madeline, Roderick, si oppone al matrimonio. La stirpe degli Usher è maledetta e tarata, è stata condannata dalla Natura a causa della sua endogamia e dei sacrileghi trascorsi dei suoi fondatori maligni. Roderick, che è un albino simile a un'ombra dell'Ade, tale e quale a uno zombie macerato da anni di sepoltura, spiega bene queste cose a Philip, aggiungendo che a Madeline non può essere permesso di procreare e di propagagare così la maledizione della vita. Questi però non vuole sentire ragioni, perché è un rampollo stupido e incapace di intendere la dottrina del Male Metafisico. Madeline decide di fuggire col suo drudo, perché non sopporta più la mortifera influenza del fratello. Durante un'accesa discussione, accade qualcosa di orribile: la donna cade in uno stato di catalessi che la fa apparire defunta. Roderick convince Philip che è necessario farle i funerali e seppellirla, e così accade. Madeline è chiusa in una bara, adagiata su un tavolo marmoreo nella cripta di famiglia. Philip, distrutto dal dolore per la subitanea perdita, si prepara a partire da quel luogo maledetto, ma prima si intrattiene a parlare col domestico Bristol. Dalla conversazione emerge che la povera Madeline soffriva di catalessi. Questa rivelazione accende un campanello d'allarme nel cranio del giovane, che si precipita nei sotterranei, in preda alla disperazione nell'estremo tentativo di salvare l'amata. Madeline, che si era svegliata nella bara, era riuscita a romperla e ad emergere, ma in stato di totale pazzia. Mentre Philip la cerca, lei raggiunge il fratello, lotta con lui e lo strozza, uccidendolo. La casa, già incendiata dalla caduta di carboni ardenti, collassa all'improvviso. Il fuoco divora i due Usher, ponendo fine alla loro stirpe dannata. Anche il domestico trova una morte atroce tra le fiamme. Il solo Philip, quasi eletto dal regista a rappresentante della Vita, riesce a fuggire mentre ogni traccia del castello affonda nel fango. Il film si conclude dunque con le parole finali del racconto di Poe: "... e lo stagno profondo e umido si chiuse cupo e silenzioso sui frammenti della Casa degli Usher"

Recensione: 
Primo film del Ciclo di Poe di Roger Corman, House of Usher non si dimentica facilmente. È l'adattamento del racconto di Edgar Allan Poe La caduta della casa degli Usher (The Fall of the House of Usher), appartenente alla raccolta dei Racconti del Terrore. Troviamo qui un Vincent Price spettrale, senza i tipici baffetti, che sembra vissuto in una caverna profonda come il Pozzo di Hranicka, inumato per anni come il mitico Zamolxis, senza mai poter essere essere sfiorato neppure da una sperduta particella di luce. Per interpretare il ruolo di Roderick Usher, si scolorì la chioma con l'acqua ossigenata (perossido d'idrogeno), mentre le sopracciglia e le ciglia sono state mantenute del colore naturale, soltanto un po' ritoccate con una speciale matita. Il motivo è molto semplice: se il perossido d'idrogeno entra a contatto con gli occhi, provoca cecità. Così il protagonista spiega la sua condizione poco invidiabile: 
 
"Madeline e io siamo come due statue di fragile cristallo, il minimo urto può frantumarci. Entrambi soffriamo per un'atroce sensibilità dei sensi. La mia è più grave perché esiste da più lungo tempo, ma il male è comune a tutti e due. La sola idea di cibi più complicati di un semplice brodo sconvolge il mio equilibrio. Ogni specie di emozione è un'agonia per la mia mente. I miei occhi sopportano a malapena solamente un filo di luce. Gli odori mi assalgono e mi torturano, e come le ho detto ogni suono, seppur lieve e debole, mi riempie di terrore." 
 
L'ospite gli chiede dunque se è per questo che ha dovuto togliersi gli stivali. Roderick Usher continua: 
 
"Sì! E anche così l'ho sentita arrivare. Ho sentito i suoi passi, persino il fruscio del vestito. Ho sentito lo scalpitio del suo cavallo. Ho sentito il calpestio degli zoccoli nel cortile, quel colpo, quel colpo alla porta è stato come una cannonata per le mie orecchie. Sento il fruscio dei branchi di topi che corrono per le cantine! Signor Winthrop, la maggior parte dei miei antenati sono caduti in preda alla pazzia, e nella loro pazzia hanno acquistato una potenza sovrumana! E solo lo sforzo di molti ha potuto immobilizzarli."

Questo è lirismo assoluto! Certo, non c'è coerenza assoluta nelle di quell'uomo notevole. Infatti, in occasione della funerea cena in compagnia della sorella e di Winthrop, lo vediamo bere vino e mangiare pietanze. Così non sembrano dargli fastidio i sinistri rumori della vetusta dimora che cade lentamente a pezzi.
 
 
Roderick Usher teologo cataro 
 
Roderick Usher specula sulla natura del Male, esponendo a Philip Winthrop le dottrine dualiste radicali che professa. Il Male non è negatio boni, come invece sosteneva Agostino d'Ippona e come tuttora sostiene Vito Mancuso. Il Male è una sostanza ontologica primigenia, increata, immortale ed eterna. La sua essenza funesta si era condensata nel capostipite degli Usher, giunto dall'Inghilterra come mercante di schiavi. Egli era un demone incarnato, era stato creato senza il Verbo. Apparteneva a Satana anima e corpo ed era dannato dalla nascita. Anzi, era dannato dall'eternità, perché era parte dell'Eternità Malvagia. Tale era il suo funesto potere, da riuscire ad corrompere gli Elementi, portando desolazione. Così spiega Roderick Usher: 
 
"Una volta questa terra era fertile, le colture abbondavano, la terra donava ricchezza al tempo del raccolto. Vi erano dei boschi e tanta vita, e fiori, campi di grano. Era molto bello qui. A quel tempo quest'acqua era chiara e fresca. I cigni scivolavano sulla superficie di cristallo. Gli animali venivano alla riva fiduciosi, a bere. Ma ciò era molto prima dei nostri tempi... Poi qualcosa si insinuò nelle viscere della terra e la avvelenò. Caddero le foglie dagli alberi. I fiori avvizzirono. I cespugli inaridirono per mancanza di linfa. Il frumento marcì nei campi. I laghi e gli stagni divennero neri e paludosi. La terra s'ammalò devastata dalla peste."  
 
Il giovane Winthrop domanda incredulo: "La peste?"
Roderick Usher risponde prontamente: "Sì signor Winthrop. La peste del Male!"
 
Dal seme del capostipite degli Usher erano nati numerosi malfattori e carnefici, perché un albero malvagio non può dare buoni frutti. Roderick mostra una galleria di dipinti dei suoi avi, di cui rivela i nomi e le orribili gesta criminali:  

Anthony Usher. Ladro, usuraio, mercante di schiavi.
Bernard Usher. Truffatore, falsario, ladro di gioielli, pervertito*.
Francis Usher. Assassino a pagamento.
Vivian Usher. Prostituta, ricattatrice, omicida. È morta in manicomio.
Il capitano David Usher. Contrabbandiere, mercante di schiavi, più volte omicida**.
 
*La versione originale ha drug addict, ossia "oppiomane", "morfinomane". Bizzarra la connotazione sessuale della versione italiana.
**La versione originale ha un ben più incisivo mass murderer "assassino di massa". 
 
I quadri in questione, il cui stile è decisamente inconsueto, mostrano questi diavoli con gli occhi simili a pozzi di tenebra assoluta che irradiano Luce Nera.
 
Philip Winthrop rappresenta il pensiero dell'Era Moderna e rifiuta la teologia del Neomanicheismo medievale. Non crede affatto al Male Metafisico. Il suo è un modo di sentire scientista e massonico, negatore di quella che Stanslas de Guaita chiamava "bestemmia dei due assoluti". Così protesta, scalcia, non vuole accettare che la realtà delle cose sia tanto annichilente. Con grande pazienza, il suo interlocutore dalle chiome albine gli spiega i misteri delle opere del Rex Mundi:

"Il Male non è una cosa astratta. È una realtà. Come ogni cosa vivente può essere creata, così il Male fu creato da queste persone. La storia degli Usher è una storia di bassezza e degradazione. Prima in Inghilterra e in seguito qui."

E ancora:

"L'essenza malefica che la pervade non è astrazione. Per diversi secoli azioni e pensieri malvagi presero vita fra le mura di questa casa. La casa stessa è il Male ora." 

Nel racconto di Poe non si trova traccia di questo piccolo trattato di teologia dualista radicale. Mi piacerebbe sapere da dove Roger Corman ha tratto la sua ispirazione. 
 
Un maniero fatto di coke 
 
Peccato che alla ricchezza teologica e filosofica di Roderick Usher si contrappongano numerose incongruenze nel tessuto narrativo. L'incendio del castello è un classico cormaniano di cui la Settima Arte ha spesso e volentieri abusato. Svolge un preciso compito catartico: consuma le radici della maledizione e impedisce loro di continuare a produrre frutti funesti. Il Principe Gautama, più noto come Buddha, direbbe che in questo modo si consumano i semi del Karma. Il problema che spesso mi sono posto è questo: se un castello è fatto di pietra, cosa vi potrà mai bruciare? Certo, bruceranno le travi di legno, gli arazzi, le tende e simili. Tuttavia nei castelli di Corman l'incendio divampa con una tale furia che sembra sia la stessa pietra ad ardere. Tra l'altro il regista riutilizzò alcune scene del finale in suoi successivi film. Cosa buffa, non si aspettava affatto che gli spettatori sarebbero stati in grado di riconoscere i fotogrammi.  

 
Curiosità 
 
I dipinti orrifici di Burt Shonberg furono distribuiti tra il cast una volta terminate le riprese. Corman tenne per sé il ritratto di Vincent Price. 
 
Questo film fu distribuito da American International Pictures con due diversi titoli, secondo una pratica ingannevole che era comune all'epoca: in alcuni distretti fu mantenuto il titolo originale, House of Usher, mentre in altri la pellicola fu presentata come The Fall of the House of Usher.  

In Spagna ci furono problemi con House of Usher, che fu distribuito ben 23 anni dopo la sua uscita in America. A terrorizzare le autorità spagnole sono stati senza dubbio i suoi contenuti manichei!