Visualizzazione post con etichetta recensioni teatro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta recensioni teatro. Mostra tutti i post

venerdì 7 aprile 2023


LA MERDA
 
 
Regia: Cristian Ceresoli
Autore: Cristian Ceresoli
Protagonista: Silvia Gallerano 
Anno di produzione: 2012 
Tempo di lavorazione: circa 2 anni 
Produzione: Frida Kahlo Productions, Richard Jordan
    Productions, Produzioni Fuorivia 
Collaborazioni: Summerhall, Teatro Valle Occupato 
Durata: 100 minuti
Numero atti: 1
Tempi: 3
   Le Cosce
   Il Cazzo 
   La Fama
   Più un controtempo: L'Italia
Tipologia narrativa: Monologo, flusso di coscienza 
Direttore tecnico: Giorgio Gagliano 

Sinossi (da Teatro.it): 
"Il “brutale, disturbante e straordinario” testo sulla condizione umana già tradotto in numerose lingue di Cristian Ceresoli attraverso l’interpretazione “sublime e da strapparti la pelle di dosso” di Silvia Gallerano si manifesta come uno stream of consciousness dove si scatena la bulimica e rivoltante confidenza pubblica di una “giovane” donna “brutta” che tenta con ostinazione, resistenza e coraggio, di aprirsi un varco nella società delle Cosce e delle Libertà. La Merda arriva a Lecce dopo il clamoroso e scioccante successo di pubblico e critica in tutto il mondo, con Edimburgo, Copenhagen, Madrid, São Paulo, Glasgow, Berlino, Vilnius, Adelaide e Londra con quattro anni consecutivi di tutto esaurito, nonostante una sottile e persistente censura in Italia." 

La Merda e il Pasolinismo 
(da Radio Onda Rossa): 

"Dedicato ai 150 anni dell'Unità d'Italia. L'interprete dà sfogo al proprio flusso interiore nelle sue (inumane) escursioni vocali, insegue il successo con seriosa ferocia da belva e lucida determinazione assassina. Si deve ridere. È una tragedia in tre tempi: 'Le Cosce', 'Il Cazzo', 'La Fama' e un controtempo: 'L'Italia'. Attraverso un percorso creativo in cui la parola suona e si fa carne, una scrittura ispirata allo "stream of consciousness" in cui si scatena la bulimica e rivoltante confidenza di una "giovane" donna "brutta" che tenta con ostinazione, resistenza e coraggio, di aprirsi un varco nella società delle cosce e delle libertà. È preponderante la chiave dell'invettiva, del grido, del corpo che sussulta la sua storia personale nel flusso di pensieri/parole raccontati come suoni. Strazi. Assordanti rumori di urla contratte, sopite. Implose. Uno spettacolo sulla condizione della Bellezza, femminile, e della Storia (di questo Paese). L'attrice si offre come in un banchetto, pronta a venire sbranata da tutti, nelle sue escursioni vocali, nelle sue cadute tonali, nella sua progressiva umiliazione. Una scrittura che nasce così dalla carne e alla carne ritorna. 'La Merda' ha come spinta propulsiva il disperato tentativo di districarsi da un pantano o fango ultimi prodotti di quel genocidio culturale di cui parlò Pier Paolo Pasolini all'affacciarsi della società dei consumi. Quel totalitarismo, secondo Pasolini, ancor più duro di quello fascista poiché capace di annientarci con dolcezza."

Questo commento riportato sul sito di Radio Onda Rossa è stato a sua volta preso da Radio Teatro: dell'originale resta soltanto una pagina sbiadita e piena zeppa di refusi nella "macchina del tempo" di Archive.org.


Alcuni estratti: 

(In questo brano la protagonista masturba un disabile, gli ritrae il prepuzio e gli provoca un'eruzione di sperma) 

"Non devo vomitare. Non devo vomitare. Ingoia, mi dico. E chiudo gli occhi. Dopotutto, ho tredici anni, è il primo coso che mi capita di avere tra le mani, sì, e anche se è sordo e ha l’apparecchio e sbava e mette sempre ste camicine verdi, immagino che ce l’abbia come gli altri, no? O gli handicappati ce l’hanno diverso? Ma poi li fanno, i figli, gli handicappati? Ma no, dev’essere come quella differenza tra i muli ed i cavalli, fratelli d’Italia. Ma si è mai visto un handicappato presentare il telegiornale? Insomma, provo a fare quel che mi pare giusto, con questa carne tra le mani, un po’ bislacca, e caldina, e tiro, ahia, e giro, e glie lo schiaccio un po’, ma ci dev’essere qualcosa che non va, perché si arrabbia, ahiaaa, e poi mi grida qualche cosa come piano e non capisco, perché sto con gli occhi chiusi per non piangere e poi non devo vomitare e se mettiamo proprio adesso esce qualcuno, un professore, e poi ci vede e io sono così, piccolina, da sola, che non ho altri al mondo che lui, sì, lui, il mio popstar, il mio eroe che mi sussurra nelle cuffie e canta, per me, solo per me, e canta così piano che io non sono più qui, nel parcheggio, col mio compagno handicappato e la mia tuta da ginnastica rosa, ma sono lì, con lui, che mi tiene tra le braccia e canta per me e poi dopo fa il concerto nello stadio e quando ha finito il concerto andiamo via con la sua macchina e mi porta a mangiare il gelato e mi dice che mi porterà nella sua villa dove c’è un acquario grandissimo e ci mettiamo a guardare i pesci e mentre siamo lì che li guardiamo, con quella luce blu dell’acqua, io, chiudo gli occhi, e non sento più niente. Lui mi dice qualche cosa come piano, ma io non capisco, e resto giù, vicino a lui. Finché mi sporca sui capelli. Sì. Tutti i capelli. Come la colla. Poi dice uffa, e lo rimette a posto. Dentro le mutande, usato. E se ne va. Ma dove va? Ma dove va, mi dico io, ma dove va questo cretino che neanche mi saluta. Ma cosa crede, che lui basta che si tira giù i pantaloni e io son qui, pronta?"  

(Il finale scatofilo, scatofago!) 

Ho i crampi alla pancia. Dolore. Corro in bagno. Abbasso le mutande. Alzati. No. Trattieni. In piedi. Esci. Coraggio. Resisti. No. Alzati. No. Resisti. Esci dal bagno. Resisti. No. Non ce la faccio. Resisti. No. Non ce la faccio. Resisti. Viene. Alzati. Tienila. Viene. No. Viene. No. Vedo. Io. Vedo. Dal. Mio. Culo. Pezzi di ragazzini nelle loro camicie rosse, nella mia merda. Spaghetti attorcigliati al pomodoro e sangue, dal mio culo, e nella mia merda. Mozzarella spiaccicata sui binari e mille tappi malnutriti, nella mia merda. Ho tredici anni e c’è la bara di mio padre, nella mia merda. Lo stadio, le scale, l’ascensore e gli elettrodi infilzati nella carne, nella mia merda. La nazionale, il mondiale e la domenica all’acquario, nella mia merda. Il delfino e i maschi forti e i maschi allegri e gli storpi e i ritardati sui tappeti rossi, nella mia merda, gli autografi e le stampelle senza gamba, nella mia merda, la misericordia la pietà la paura la ginnastica e la religione, sì, nella mia merda il mio popstar handicappato i miei capelli e la colla e l’Austria e l’Ungheria nella mia merda le convention e i cazzi e i palinsesti nella mia merda i miei denti, sì, i miei denti a pezzi e la vittoria e il mio pianto dal mio culo il pianto di piangere la merda e la mia bella gioventù e la mia età e i tonni e le sirene e le ragazze che vogliono farcela. Fine crescendo, respiro. Sì, dovunque, qui, sul mio divano, proprio adesso, dal mio culo. Proprio ora che domani ho il mio provino. Proprio adesso che ero quasi grassa. E ce l’avevo quasi fatta. Guardarsi allo specchio. Penso. A cosa avrebbe fatto il mio piccolo papà. Penso. Respiro. Penso. Respira. Piano. È la mia ultima occasione. Non posso permettermi di perdere il mio treno. Il mio appuntamento con la storia. Oltrepassare la linea gialla. Forza. Buttati. Riprendi gli spaghetti, con le mani. Riprendi in bocca tutto. Riprendi la mozzarella, in pezzi. Riprendi il mio paese. La mia patria. E la nazione. Riprendi in bocca tutto, con le mie mani. Riprendi la merda, tutta la merda, nella mia bocca. Sì. Ecco. Così. Pezzo per pezzo, tutta la merda e il mio paese nella mia bocca. Mangia. Mangia. Mangia. Sì, mangio. Mangia. Sì, mangio, mamma, mangio. Coraggio. Rimangio tutta la mia merda e sono gonfia, sul divano. E so cantare. E sono pronta, gorda, grassa, adiposa, fetida. Ho i buchi di grasso nella faccia, e nella testa. Così, come vogliono loro. E non mi fa più schifo. No. Non mi fa più schifo niente. IL SESSO MASCHILE LA NOSTRA BANDIERA, IL SESSO MASCHILE LA NOSTRA BANDIERA. Controfinale cantato, disperato, unplugged, blues, straziante. Un inno comico al disgusto, eseguito con raffinata sapienza canora. Frateeelli d’Itaaalia, l’Itaaalia s’è deeesta, dell’eeelmooo di Sciiipiooo, s’è ciiintaaa la teeestaaa. Dov’èee la vittooooriaaa? Le porga la chioooma, ché schiaaava di Roooma Iddio la creò. Frateeelli d’Itaaalia, l’Itaaalia s’è deeesta, dell’eeelmooo di Sciiipiooo, s’è ciiintaaa la teeestaaa. Dov’èee la vittooooriaaa? Le porga la chioma, ché schiaaava di Roooma Iddio la creò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, siam prooonti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, siam prooonti alla morte, l’Italia chiamò. Su gli applausi l’interprete ricopre la sua nudità con una stoffa tricolore, verde bianco rossa. 


Recensione: 
Il palco è occupato da una donna nuda dai muscoli contratti. In preda alle convulsioni, vomita la sua bile in faccia all'Artefice del Cosmo. Il volto di questa dannata è una maschera atroce di sofferenza, stravolta come una gorgone urlante. Si consuma un atto di coprofagia pantagruelica, a cui segue una marea di acido gastrico che inonda il mondo intero - in particolare questo distretto di Malebolge che siamo abituati a chiamare Italia! All'ingestione di escrementi concettuali e alla conseguente violentissima espulsione di vomito fecaloide, segue una nuova ingestione della densa materia rigettata, con successiva digestione e fuoriuscita dal deretano sanguinolento e suppurato! Tutto questo è ATELORREA! Vomito e scatofagia senza fine! Come in un dipinto entelechiano dello spettrale Roland Topor, il panico è assoluto, totalizzante! Sembra che all'orizzonte incombano nubi nere come il petrolio, foriere di una tempesta inconcepibile. Nubi di annientamento! La protagonista si trova a sedere su una montagna di deiezioni miste ad ogni tipo di liquame schifoso, che cola sulle colonie concentrate di Escherichia coli! Una morchia tenace, oleosa e nerissima, come petrolio! Talmente immonda da dare conati al solo pensiero, da rivoltare lo stomaco! La tensione lirica è incessante, a tratti insopportabile nella sua natura merdosa. Tutto ciò è pari ai più profondi deliri infernali di Dante! Queste sono cose etterne, fatte di una sostanza abominevole che non può venir meno. Come negli Inferi degli antichi Egiziani, in cui i dannati camminano a testa in giù defecando dalla bocca! In alcuni passaggi si raggiungono vette incredibili, paragonabili a quelle del Sommario di decomposizione di Cioran! È un olocausto visceraleUna simile capacità di sputare sulla realtà, sull'Esistenza, è quanto di più sublime possa esistere! 
P.S.
Ai nostri tempi, un'opera teatrale di una tale potenza non potrebbe più essere creata! Se La Merda viene ancora rappresentata, è soltanto per pura e semplice inerzia. Non soltanto l'uso del suo linguaggio susciterebbe le furie dei fanatici buonisti politically correct (figuriamoci se sarebbe possibile usare parole come "handicappato" - per non parlare di cazzi scappellati da una tredicenne): l'uso delle parole dell'Inno di Mameli sarebbero considerate un sacrilegio dalla Piccoletta Biondiccia e dai suoi mirmidoni! Il termine tecnico è "vilipendio".

Il linguaggio destrutturato dei giornalisti

Quando leggo sui siti del Web titoli come "La Merda di Silvia Gallerano e Cristian Ceresoli", nella mia mente si materializza l'immagine dell'attrice e dell'autore che smerdano in un enorme bacile: dai loro ani esce una quantità impressionante di pastone escrementizio, denso e fetido! Di quello greve, schifoso, che si fa un'enorme fatica ad asportate dal perineo con la carta igienica, perché consiste in una scia incancellabile di tarzanelli scuri. Si consumano mezzi rotoli e ne resta traccia anche dopo essersi fatti il bidet! Si capisce che i giornalisti introducono nella realtà tali distorsioni da alterarne in modo permanente il tessuto ontologico! 

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Ho raccolto alcuni interessanti frammenti di recensioni e di critica teatrale, che riporto qui come una specie di collage.

La Merda: il grido disperato di un essere umano 

"Sei volte a Milano per sei sold-out. Uno spettacolo che vuole essere un urlo di dolore: scritto da Cristian Ceresoli, interpretato dalla straordinaria, ironica, infantile e dannatamente feroce Silvia Gallerano. "La Merda" è un fiore all'occhiello del teatro contemporaneo, e nel 2019 sarà a New York..."
(StarsSystem Magazine, 2012, YouTube.com)

"La merda è un monologo scorretto che se la prende con tutto e tutti, non per un atto di cinismo e di mero nichilismo ma per richiamarci a un significato diverso dell’esistere. La protagonista della pièce accetta di tutto. Ingoia, ingoia, ingoia. Accetta tutta la merda che viene proposta come se fosse la cosa più naturale del mondo. Riesce persino a giustificarla. Soltanto nell’atto finale si renderà conto di quanto questo nutrirsi di merda sia devastante, e come debba essere chiamato col suo vero nome, merda."
(Gianfranco Falcone, 2022, mentinfuga.com)

"La Merda si conferma uno spettacolo rivoluzionario per la portata del messaggio che colpisce tutti, donne e uomini, che si possono rispecchiare sulla superficie del corpo nudo di una donna che grida il suo dolore, la sua rabbia e la sua solitudine."
(Francesca Nardelli, 2019, teatro.it

All'Italia con disgusto 

"Il monologo femminile – ma scritto da un uomo – ha dunque la stessa struttura dell’alimentazione: nutrimento, trasformazione, defecazione tramite un flusso interiore che la liberi, la purifichi da tutto questo, la rinnovi del disgusto in cui ha condotto chi la ascolta quando anche la materia espulsa costituisce nuovo nutrimento. Ha intensità e padronanza di mezzi Silvia Gallerano, è urgente e nobile il progetto di Cristian Ceresoli (e di Marta Ceresoli, che con lui lo produce), ben scritto il suo testo e cadenzato con sapienza sulla scena, ma mi resta in fondo una vaga sensazione di essere in un luogo in cui davvero molto difficili sono il dibattito e il conflitto, in cui non si saprà mai evadere dall’adesione, dall’applauso, dalla complicità di riconoscersi fuori dal male cui si fa riferimento."
(Simone Nebbia, 2012, teatroecritica.net

Curiosità: 

Nel 2016, accadde un fatto increscioso: a Torino, un'azienda di trasporti rifiutò la pubblicità alla meritoria pièce teatrale. Siccome il titolo "La Merda" avrebbe potuto "offendere il pudore", ne vietò l'affissione sulle fiancate degli autobus e dei tram. Come se i bigottoni fossero privi di funzioni escretorie. Come se fossero in grado di far sparire tutto il cibo ingurgitato, nel nulla, come per un gioco di prestigio. Certo, non stupisce più di tanto che ciò sia accaduto proprio nella città di Piero Angela, che in decenni di opera di divulgazione scientifica non nominò mai l'esistenza delle feci. 

Questo riportò Andrea Gianbartolomei il 5 febbraio 2016, commentando l'accaduto: 

"L’autore ha provocatoriamente deciso di cambiare il nome del suo monologo in La Cacca. In un post su Facebook esprime il suo rammarico: «Non è questa, in verità, la forma di censura che più ci umilia e progressivamente va distruggendoci» spiega. «Quella più pericolosa è una più oscura e subdola, che si manifesta attraverso una sorta di isolamento, che qui in Italia ci viene imposta»."

mercoledì 5 aprile 2023


TRE SULL'ALTALENA
 
 
Autore: Luigi Lunari 
Anno di composizione: 1990 
Prima assoluta: 10 luglio 1990 
Lingua originale: Italiano 
Genere: Commedia 
Sottogenere: Commedia paradossal
Tempi:
Edizione di debutto (1990): Teatro dei Filodrammatici
II edizione (1993): Compagnia Pambieri-Tanzi-Beruschi 
III edizione (1994): Compagnia Campogalliani 
- Seguono numerose altre edizioni - 
Regia (Filodrammatici, 1990): Silvano Piccardi 
Regia (Pambieri-Tanzi-Beruschi, 1993): Silvano Piccardi 
Regia (Campogalliani, 1994): Aldo Signoretti 
Titoli in altre lingue: 
   Francese: Fausse adresse 
   Tedesco: Drei auf der Schaukel 
   Inglese: Three on the swing 
   Spagnolo: Tres en el columpio 
   Russo: трое на качелях 

Interpreti e personaggi (1993): 
  Antonio Guidi: Il Commendatore 
  Enrico Beruschi: Il Professore
  Giuseppe Pambieri: Il Capitano 
  Lia Tanzi: La donna delle pulizie 

Nota: 
In almeno un'altra edizione successiva ci sono stati "cambi di sesso": il Commendatore è diventato la Signora, il Professore è diventato la Professoressa, la donna delle pulizie è diventata l'uomo delle pulizie. Inoltre il Capitano, oltre al sesso ha cambiato grado, è diventato Sergente. Questi sono gli interpreti e i personaggi dell'edizione con regia di Sebastiano Boschiero (2021): 

  Marisa Gianni: La Signora
  Alessandra Tesser: Il Sergente
  Angela Caltanella: La Professoressa
  Mattia Mometti: L'uomo delle pulizie 

N.B.
A differenza di quanto accade nel cinema, nel teatro si rivela un'impresa quasi disperata reperire informazioni complete e attendibili. Ad esempio, mancano gli interpreti della versione di debutto del 1990.
 
Sinossi (da Teatro.it):
Un commendatore, un capitano dell'esercito ed un professore, si trovano nello stesso luogo per tre ragioni diverse: il primo per un incontro galante, il secondo per trattare un acquisto di materiale bellico, il terzo per ritirare le bozze di un suo libro. Ma cos'è esattamente quel luogo? Un albergo “discreto”, un luogo di affari, o una casa editrice? È possibile che tutti e tre abbiano avuto l'indirizzo sbagliato? La strana situazione si aggrava per la circostanza di un'improvvisa esercitazione anti-inquinamento che impedisce loro di uscire da questo posto ambiguo, costringendoli a passarvi la notte. I tre cominciano a sospettare che potrebbero trovarsi in un'anticamera per l'aldilà... probabilmente loro sono morti e stanno lì in attesa del Giudizio! 

Un estratto:

IL PROFESSORE - No, no, non è niente di complicato. Le faccio un esempio. La frase "Finché la barca va, lasciala andare". Tratta, come dice lei, da una canzone... non è particolarmente intelligente. Giusto? 
IL CAPITANO - Giusto.
IL PROFESSORE - Bene. Ora state a sentire. (Apre il librone nero che gi abbiamo visto nelle mani del Commendatore e legge, con tono biblico) Ed egli allora vide la barca di Simon Pietro e dei suoi fratelli che, spezzati gli ormeggi, veniva trascinata dalla corrente al largo del lago di Tiberiade. Simon Pietro sporgevasi dal bordo, e tendendo le braccia verso di lui, gridava tra le lacrime: "Rabbi, rabbi, non vedi che si sono spezzati gli ormeggi, e la corrente ci trascina verso la malvagia Samaria? Perché non ci soccorri?". Ed egli, senza allontanarsi dal gruppo dei fedeli che lo circondavano, così gli rispose: "Simon Pietro, uomo di poca fede, credi tu che un ormeggio possa spezzarsi senza che ciò sia da sempre previsto nella mente del padre mio che nei cieli? In verità in verità ti dico: finché la barca va, lasciala andare." 
IL CAPITANO - Hai visto i parolieri? Copiano proprio da tutto.
IL COMMENDATORE - Questo sarebbe nel Vangelo?
IL PROFESSORE - No. L'ho inventato io.
IL CAPITANO - Come, come?...
IL PROFESSORE - Ma semplicissimo. In letteratura ma che dico, in letteratura: nella vita! non è vero che non è l'abito che fa il monaco! L'abito fa il monaco. La stessa identica frase, in una canzonetta è una cretinata, ma ben ambientata sul lago di Tiberiade, in bocca a uno tutto drappeggiato, con opportuna messa in scena, preceduta da "in verità in verità vi dico" diventa una di quelle cose che poi dai pulpiti te le commentano per duemila anni.
(Pausa e perplessità) 
IL COMMENDATORE - E allora, cosa significa?
IL PROFESSORE - Wittgenstein l'aveva detto: la filosofia è la lotta dell'uomo contro le ambiguità del linguaggio.
IL COMMENDATORE - Lasci perdere Vitt... quello là. Arrivi al dunque.
IL PROFESSORE - Il dunque, caro signore, è che effettivamente può avere ragione lei. Il significato di tutto quello che quell'uomo ha detto dipende da chi è, o anzi: da chi crediamo che sia. Se è lo Spirito Santo... e beh: ogni sillaba pronunciata ha una valenza incredibile e misteriosa. Ma se è uno spazzino, come ovviamente non può che essere, non esiste nessun doppio fondo: la cretinata rimane cretinata. 


Edizioni del copione:

Titolo: Tre sull'altalena
Autore: Luigi Lunari
Ia edizione: 1994
IIa edizione: 2009
Lingua: Italiano
Editore (1994): Rizzoli
Collana: BUR Teatro
Editore (2009): ‎Book Time
Lunghezza stampa: 96 pagine
Codice ISBN (1994): 9788817169844
Codice ISBN-10 (2009): 8862181450
Codice ISBN-13 (2009): 978-8862181457  

L'autore (da Ibs.it): 
Luigi Lunari (1934-2019) drammaturgo, romanziere, storico e saggista, è stato per vent’anni al Piccolo Teatro di Milano con Grassi e Strehler. Nel 1991 ha scritto Tre sull’altalena che, dopo un trionfo al Festival di Avignone, è stata tradotta in ventisette lingue, è correntemente rappresentata in tutto il mondo e ha aperto la strada ad altri testi, quali Il senatore Fox, Nel nome del padre e Sotto un ponte, lungo un fiume… (rappresentati anche a Parigi, Tokyo e New York). Al di fuori dell’impegno drammaturgico, ha scritto diversi saggi e tre romanzi. Per la collana i “Classici” di Feltrinelli ha curato I Viceré di Federico De Roberto (2011) e Il Cid di Pierre Corneille (2012). Ha tradotto e curato anche Ritratto di signora (2013) e Giro di vite (2017) di Henry James e tradotto Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll (2013). 

Recensione: 
Vidi quest'opera teatrale molti anni fa in televisione. Era la versione interpretata da Enrico Beruschi. Mi è rimasto impresso il suo faccione barbuto, perennemente contratto in smorfie e tic, con gli enormi occhi strabuzzati che sembravano essere sul punto di uscire dalle orbite. Più che una commedia, direi che è una tragedia ontologica, non meno angosciante del Faust di Christopher Marlowe (The Tragical History of Life and Death of Doctor Faustus, 1590) o del film sulfureo Angel Heart - Ascensore per l'inferno (Angel Heart, Alan Parker, 1987). Solo in Italia si può reputare comica o umoristica quella che a tutti gli effetti è la dannazione eterna. Con grande fatica, sono riuscito a reperire informazioni più precise sulla rappresentazione beruschiana di Tre sull'altalena: fu trasmessa il 18 novembre 1995, su RaiDue. Per pura fortuna, a un certo punto mi sono imbattuto in una pagina di programmazione della Rai, sopravvissuta ai decenni allo stato fossile. Se già nel 1995 la commedia paradossale era stata trasmessa in televisione su RaiDue, non è possibile che la prima della Compagnia Pambieri-Tanzi-Beruschi fosse lo spettacolo del 1996 al Teatro Carcano di Milano, come pure è riportato su molti siti Web. Se anche il 18 novembre 1995 la commedia fosse stata trasmessa in diretta, c'è un altro fatto da considerare. Siccome nel libro edito da Rizzoli (1994) compare in copertina il faccione di Beruschi, in ogni caso la Compagnia Pambieri-Tanzi-Beruschi avrà portato in scena l'opera non oltre il 1994. 

Fisica quantistica in scena:
il paradosso del gatto di Schrödinger
 

I personaggi non sono né vivi né morti. Esistono e al contempo non esistono. Sono reali e al contempo sono irreali. La loro condizione è qualcosa che appartiene sia al mondo terreno che all'Oltretomba. Viene in mente qualcosa di ben preciso: la meccanica quantistica e un famosissimo Gedanken (esperimento concettuale) immaginato nel  1935 da Erwin Schrödinger. Eccolo illustrato per sommi capi:   

1) La scatola: 
Il gatto è chiuso in una scatola ermeticamente sigillata, di cui non si può osservare l'interno. 
2) Il meccanismo: 
Nella scatola è presente un meccanismo che, a seguito di un evento quantistico (ad esempio il decadimento di un atomo radioattivo), può rilasciare un veleno e uccidere il gatto. 
3) L'evento quantistico:
Il decadimento radioattivo, con conseguente uccisione del gatto, è un evento casuale, con una certa probabilità di verificarsi. 
4) Lo stato del gatto:
Fino a quando non si osserva la scatola, il gatto si trova in uno stato di sovrapposizione: è sia vivo che morto, con una certa probabilità per ciascuno stato. 
5) L'osservazione:
Quando si apre la scatola e si osserva il gatto, lo stato di sovrapposizione "collassa" e il gatto è o vivo o morto, con una probabilità determinata dallo stato dell'evento quantistico. 

Schrödinger usò questo esperimento concettuale per rimarcare la differenza tra il mondo microscopico (descritto dalla meccanica quantistica) e il mondo macroscopico (descritto dalla meccanica classica). Le leggi della meccanica quantistica, che permettono la sovrapposizione, non sembrano applicabili a oggetti macroscopici come un gatto. L'esperimento evidenzia anche la questione dell'osservazione e del ruolo dell'osservatore nella meccanica quantistica. Eppure, a quanto pare, è stato possibile applicarle a Beruschi! 
La scatola in cui sono rinchiusi i personaggi sembra una buca di potenziale con dentro alcune particelle confinate: ogni tentativo di fuga è impossibile. Quando il Professore cerca di uscire, trova un'insormontabile barriera di pioggia battente che lo costringe a rientrare. Lo stesso meccanismo d'azione vanifica nel finale ogni possibilità di ristabilire la normalità del mondo dei vivi!  
Traendo spunto dalle stranezze estreme della fisica quantistica, Lunari fa riflettere sull'impossibilità sostanziale di conoscere ciò che si estende oltre la soglia della misurabilità. L'esistenza, descritta da leggi che ci appaiono logiche, non è tuttavia logica: possiamo sempre chiederci perché diamine esista qualcosa e non il Nulla - oppure perché diamine le cosa stiano proprio come stanno e non in modo diverso. Anche la metafisica non è logica: se ci ritrovassimo all'Inferno, non dovremmo poi stupirci più di tanto! 

Curiosità

Talvolta l'autore, Luigi Lunari, viene erroneamente citato come Luigi Lunardi

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Riporto alcuni frammenti trovati nel Web, riferiti ad alcune tra le innumerevoli edizioni. 

"In scena l’equivoco della vita, la drammaticità dell’ironia e l’irresistibile risata nel dramma insolubile e insoluto. Se fuori tutto è fermo, a causa di una prova anti inquinamento, sarà il nostro futuro?, che costringe tutti al chiuso con tutto spento, in quella sala anonima che potrebbe essere una casa editrice, o una ditta o una pensione per incontri d’amore, la vita non si ferma, perché si parla, ci si confronta, si litiga anche, si ride, si ha paura. Ma di cosa si parla, si litiga, si ha paura? Della vita? Della morte? E a che serve parlare della vita se basta viverla? E a che serve parlare della morte se è assenza di vita? E perché averne paura?" 
(Isabella Ferrara, 2016, apemusicale.it

"La regia è attenta al ritmo, ai movimenti, gradazioni di toni, luci e ombre sono ben rese. Gli attori, bravi a rendere vive non solo le parole, ma anche le emozioni, le sfumature dei personaggi. Ogni gesto è studiato. La scena è scarna, essenziale, tutto in bianco e nero, linee rette, figure geometriche sul pavimento, si sta giocando una partita a scacchi? Un punto di domanda sul cuscino del divano  evoca un “non luogo”. Se i contesti e i luoghi creano le parole, che cosa creano i “non luoghi”? Precarietà? Provvisorietà? Insicurezze? Le persone transitano nei non luoghi, ma nessuno li abita, nulla è definitivo. Nel finale, un improvviso e inaspettato coup de théâtre, ci spinge a dubitare ancora."
(Angela Villa, 2012, dramma.it

"Lo spettacolo, scritto nel 1989 da Luigi Lunari, affronta in chiave comica i dilemmi dell’esistenza: l’importanza del caso nella vita, la paura della morte e dell’ignoto, la religione, il senso della vita stessa, il libero arbitrio. Molto essenziale la scenografia. In un “non luogo” dove i tre si incontrano, infatti, predominano solo il colore grigio e il nero. Protagonista è la parola. Ci sono molte citazioni di autori famosi come Pirandello, Vico, Boccaccio, Schopenhauer, ciascuno vede ciò che desidera vedere. Shakespeare (la vita è una favola narrata da uno sciocco, piena di strepito, ma senza significato alcuno); Cartesio (cogito ergo sum); dei filosofi stoici (finché vivi la morte non c’è, quindi perché averne paura? Quando la morte arriva tu non ci sei più, come potresti averne paura?). Ma anche del parroco del paese (dalla vita nessuno esce vivo!) e della canzone famosa di Orietta Berti (finché la barca va lasciala andare). Il ritmo è incalzante e coinvolgente. Il pubblico si diverte. Finale a sorpresa!?"
(Filomena Brancaccio, 2016, mydreams.it

"Il ritmo serrato e la fine ironia sono gli ingredienti forti di questa commedia definita da Dario Fo: “Una macchina di fantastica fattura. Io l’ho letta di un fiato, ridendo a bocca spalancata. E’ una delle poche invenzioni teatrali per le quali valga la pena uscire la sera, sobbarcarsi il rito della vestizione, prenotare il biglietto e starsene seduti in una sala stipata di gente…”"
(Sebastiano Boschiero, 2021, strebenteatro.it)

martedì 28 dicembre 2021


PORCILE 

Paese di produzione: Italia
Anno: 1969
Durata: 98 min
Genere: Drammatico
Regia: Pier Paolo Pasolini con la collaborazione di Sergio
   Citti e Fabio Garriba
Soggetto: Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini con la collaborazione
   di Sergio Citti
Produttore: Gian Vittorio Baldi, Attilio Fattori
Produttore associato: Gianni Barcelloni 
Coproduttore: Paul Claudon, Macha Méril 
Fotografia: Armando Nannuzzi e Tonino Delli Colli
   (primo episodio), Giuseppe Ruzzolini (secondo episodio)
Montaggio: Nino Baragli
Musiche:
Benedetto Ghiglia
Scenografia: Danilo Donati
Trucco: Pierantonio Mecacci
Interpreti e personaggi
    Pierre Clémenti: Il primo cannibale
    Franco Citti: Il secondo cannibale
    Luigi Barbini: Soldato spagnolo nel deserto
    Ninetto Davoli: Maracchione
    Sergio Elia: Servo
    Jean-Pierre Léaud: Julian Klotz
    Alberto Lionello: Herr Klotz
    Margarita Lozano: Madame Klotz
    Anne Wiazemsky: Ida
    Ugo Tognazzi: Herdhitze
    Antonino Faà di Bruno: L'uomo anziano (scena
         della sentenza)
    Marco Ferreri: Hans Günther  
Titoli in altre lingue:
   Inglese: Pigsty 
   Inglese (USA): Pigpen
   Tedesco: Der Schweinestall 
   Francese: Porcherie
   Spagnolo (Argentina): El chiquero
   Portoghese (Brasile): Pocilga
   Olandese: Zwijnestal
   Danese: Svinestien  
   Finlandese: Sikolätti
   Lituano: Kiaulidė
   Polacco: Chlew
   Russo: Свинарник
   Greco: Χοιροστάσιο
   Giapponese: 豚小屋 (Butagoya) 

Citazioni: 

Prima lapide:
Interrogata ben bene la nostra coscienza abbiamo stabilito di divorarti a causa della tua disobbedienza.

Seconda lapide:
Io e te moglie siamo alleati. Tu madre-padre, io padre-madre. La tenerezza e la durezza sono intorno a nostro figlio da tutte le parti. La Germania di Bonn, accidenti, non è mica la Germania di Hitler! Si fabbricano lane, formaggi, birra e bottoni. Quella dei cannoni è un’industria d’esportazione. È vero: si sa che anche Hitler era un po’ femmina. Ma come è noto era una femmina assassina: la nostra tradizione è decisamente migliorata. Dunque? La madre assassina, Lei, ebbe figli obbedienti con gli occhi azzurri pieni di tanto disperato amore mentre io, io, madre affettuosa, ho questo figlio che non è né obbediente né disobbediente? 


Trama:
Il film si divide in due episodi, ambientati in epoche storiche diverse e in contesti non assimilabili. Le narrazioni scorrono in modo parallelo, intersecandosi ripetutamente. 
 
Primo episodio:  
Secolo XVI, epoca coloniale. Un giovane guanche di Tenerife, che ha ucciso il padre brutale e alcolizzato, fugge sulle pendici del monte Teide, dove passa un periodo di stenti nutrendosi di animali selvatici. Nel suo vagabondare, incontra uno spagnolo e lo uccide. Subito comprende che la carne umana è succulenta come quella di porco: decapita la vittima e getta la testa in una caldera vulcanica, come offerta a Guayota, quindi arrostisce il corpo su un fuoco di sterpi e la divora. Inizia così la sua attività predatoria. Le sue azioni vengono notate da altri disperati della sua gente, che si uniscono a lui nei banchetti cannibalici. Si forma così una banda di feroci predoni che non si limitano a derubare i malcapitati, ma li arrostiscono alla brace e ne ingurgitano le carni! Tutto ciò dura per un po', ma alla fine arriva un giovane timorato di Dio, invaso dal terrore, che denuncia alle autorità spagnole quanto ha visto. Così viene organizzata una spedizione di soldati, armati di tutto punto e protetti dalle caratteristiche corazze. Attirano gli antropofagi usando come esca un uomo e una donna, entrambi nudi, quindi li affrontano in campo aperto e li sconfiggono facilmente. Il capo della ribellione getta le armi e si denuda. I prigionieri vengono deportati in città e sottoposti a giudizio. Vengono tutti legani nudi a pali di legno con lacci di cuoio bagnato, finendo sbranati dai cani selvatici che a quell'epoca erano molto diffusi nelle Canarie. Prima di essere legato ai pali, il condannato pronuncia più volte le sue parole (con insignificanti variazioni grammaticali), un testamento pesante come un macigno: "Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, tremo di gioia!"  
 
Secondo episodio:
Anno del Signore 1967, Germania Occidentale, Godesberg ("Montagna di Odino"). Il potente industriale criptonazista Klotz ha un figlio, Julian, che gli procura non pochi grattacapi per via della sua devianza sessuale verso i porci. Herr Klotz, che somiglia a una versione grassoccia di Hitler, con tanto di caratteristici baffetti, tiene ben nascosto questo imbarazzante segreto, com'è ovvio, cercando in tutti i modi di mettere Julian assieme a Ida, una ragazza di sinistra con manie intellettuali. Lei si dice innamorata del giovane, ed è molto tormentata dal fatto che questi le nasconda la sua passione totalizzante, l'oggetto del proprio amore. Lui è reticente, pronuncia meno parole possibile, perché quanto ha dentro di sé è a dir poco spaventoso: ama leccare l'ano dei porci e sodomizzarli! La giovane di sinistra non può nemmeno immaginare l'esistenza di simili pulsioni sadiane, così crede di avere delle semplici corna. Chi ha la stupida fede nella bontà naturale del genere umano, può soltanto immaginare che le cose siano di una semplicità disarmante: "a lui piace lei, a lei piace lui, scopano con lui sopra e lei sotto, gnè-gnè-gnè". Ecco che arriva un industriale potente quanto Herr Klotz: è il tognazzesco Herr Herdhitze (alla lettera "Ardore del Focolare"). In realtà il suo vero cognome è Hirt: era un gerarca nazista molto importante, che durante la guerra collezionava crani di commissari bolscevichi ebrei. Ognuno dei due industriali è a conoscenza di tremendi segreti che riguardano l'altro, così decidono di cementare la loro alleanza con una fusione dei rispettivi gruppi industriali. A un certo punto, proprio nel bel mezzo della festa, giunge una delegazione di braccianti, imbarazzatissimi. Solo un giovane immigrato italiano, Maracchione, ha il coraggio di prendere la parola per riferisce l'accaduto a Herr Herdhitze: il giovane Julian è stato sbranato e divorato dai suini, che non hanno gradito le sue attenzioni sodomitiche. L'industriale decide di mettere la cosa a tacere e di non riferire nulla al suo socio, il padre del ragazzo finito in pasto ai maiali.
 
Un elemento comune ai due episodi  

Maracchione compare in entrambi gli episodi. In Germania è un italiano che lavora come bracciante; a Tenerife è invece il delatore timorato di Dio che denuncia i cannibali alle autorità spagnole. 


Recensione: 
Non si dimentica facilmente questo susseguirsi di fotogrammi visionari, spesso al limite del lisergico. Il primo episodio del film pasoliniano è stato girato sulle pendici dell'Etna. In realtà la vicenda del cannibale si svolge a Tenerife, l'isola del Monte Teide, un vulcano che gli antichi Guanche ritenevano la sede dell'Inferno e del Diavolo, chiamato Guayota nella loro lingua. Il protagonista rinnega il Cristianesimo per votarsi al culto di Guayota, a cui offre le teste degli uccisi. Compie un preciso atto rituale, nulla è lasciato al caso. Anche di fronte al fratacchione che gli porge la croce durante il processo finale, il giovane ribelle si rifiuta di baciarla. Si noterà che il suo compare, che aveva supplicato i religiosi piangendo, inginocchiandosi e baciando il crocefisso, non ha poi beneficiato di alcuna clemenza: è finito proprio come l'impenitente adoratore del Diavolo. La morale è semplice. Quando si intraprende un cammino estremo, tanto vale continuare fino in fondo e conservare la propria fierezza. Ci sono alcune inconsistenze tecniche e narrative. Oltre alla scia di una macchina sulle ceneri vulcaniche, assistiamo a due spari consecutivi di un fucile, cosa che a quei tempi era impossibile, essendo le operazioni di ricarica molto laboriose. Certo, i serpenti alle Canarie sono un'importazione recente - un flagello per i sensuali lucertoloni autoctoni - ma a un genio come Pasolini possiamo ben perdonare questa incoerenza narrativa. Il protagonista è un guanche che vive sotto il dominio degli Spagnoli, in una società infernale fondata sulla schiavitù. Comprendendo questo fatto, si aprono scenari complessi e molto interessanti per un antropologo. 
Ho riconosciuto all'istante le note della sigla di apertura: è lo Horst-Wessel-Lied, conosciuto anche come Die Fahne hoch ("In alto la bandiera"). Il testo, che non viene cantato, per ovvie ragioni, dal 1930 al 1945 fu l'inno ufficiale del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP). Mi domando quanti spettatori italiani sappiano di cosa si tratta. Pasolini cerca di tracciare una continuità tra la Germania dei III Reich e il tessuto industriale della Germania Ovest del dopoguerra. Si ha l'impressione che sia più che altro una grossolana forma di propaganda antigermanica, senza grande rispondenza nella concreta realtà dei fatti. In fondo in Italia sono moltissimi gli ideologi di sinistra animati dalla convinzione che l'essere umano sia buono per natura con la sola eccezione dei Tedeschi. 
 
Etimologia di Godesberg 
 
La forma più antica attestata di questo toponimo è Wuodenesberg, derivato dal teonimo Wuodan (variante di Wuotan) "Odino" e da bërg "montagna". L'evoluzione fonetica è singolare e presuppone che nella regione, anticamente abitata dalla tribù degli Ubii, si parlasse una lingua germanica peculiare, diversa dall'antico alto tedesco. Theo Vennemann scrisse a suo tempo un ottimo articolo sull'antica lingua degli Ubii e sulle sue peculiarità, partendo da attestazioni di teonimi di epoca imperiale e di toponimi pieni di irregolarità fonetiche - che è riuscito finalmente a spiegare. Avremo modo di trattare a fondo questo argomento in un'altra occasione. 
 
 
Le ossessioni sadiane di Pasolini

Il contatto tra la lingua di un essere umano e il buco del culo dei maiali, proprio sotto il codino arricciato, è suggerito ripetutamente già nella sigla del film. Queste fissazioni erano caratteristiche di Pasolini, che pur ricorrendo all'off-camera suggerisce molteplici cose perverse in sommo grado. Il pubblico inebetito non riesce a coglierle, ma a uno spettatore attento balenano subito come potenti scariche di elettricità nel cervello. A un certo punto il giovane Julian cade in catalessi. Non è difficile indovinare la causa di questa perdita di consapevolezza. Avendo dimestichezza con le feci dei suini, deve essere stato colpito da un'infezione fulminante da Escherichia coli, una tipica malattia di Sodoma! Riuscito a riprendersi dal grave morbo e perseverando nel suo singolare vizio, il figlio dell'industriale è infine diventato cibo per i maiali. Questi animali intelligentissimi e vivaci sono onnivori e possono far scomparire ogni traccia di una persona, ingerendo quasi qualsiasi parte del corpo umano: carne, pelle, ossa, etc. Non mi sembra plausibile che possano divorare il cuoio capelluto, i vestiti e le scarpe, anche se non ci scommetterei. Nel Medioevo era diffuso un racconto, che parlava di un ubriaco deriso e rinchiuso in un porcile dai villici durante una notte di baldoria: al mattino non ne veniva più trovata traccia alcuna. Poi possiamo anche perdere tempo a parlare di allegorie sul potere che trasforma gli umani in porci e di altre simili stronzate.
  
Una splendida occasione persa!
 
Pasolini offrì il ruolo del cannibale a Klaus Kinski, che purtroppo rifiutò adducendo come scusa speciosa che il compenso era troppo basso. Se avesse accettato la proposta, questo film sarebbe stato un capolavoro immortale! L'ambientazione e la parte sarebbero state perfette. 
 

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Come spesso accade, troviamo qualche gemma nel mitico sito del Davinotti. 
 
 
Lucio ha scritto nel 2010:

Un capolavoro, uno dei film meno noti e più belli di Pasolini. Lo stile è quello di Kubrick e il film, un grottesco doc che iniza con la lettura di due tavole sulla disubbidienza, per proseguire su una territorio vulcanico dove un giovane che si nutre di farfalle e serpenti, prosegue con una storia ancestrale. Affascinante nella sua arcana visionarietà. 
 
Magi94 ha scritto nel 2020:

Cervellotico, diviso pasolinianamente in due parti del tutto separate: il racconto del sacro, del mito dei cannibali in un ambiente vulcanico che può ricordare il Sudamerica, e l'opera buffa che gira attorno all'alta borghesia di quegli anni. La parte sacra è stiracchiata senza un'estetica abbastanza travolgente da giustificarlo (fatta eccezione per i bei panorami danteschi). L'ironia sui giovani conformisti anche quando ribelli non scalfisce più di tanto e il doppiaggio dei giovani è pessimo; molto meglio la satira sugli industriali post-nazisti, coi grandissimi Tognazzi e Lionello.
MEMORABILE: "Chi vuole il nulla come te vuole il potere."; "La sua abiezione di maiale attraverso l'idea del futuro si fa ancora più cinica". 
 

L'opera teatrale 
 
Il film è stato in parte tratto da un'ominima opera teatrale dello stesso Pasolini, in undici episodi, composta nel 1966 ed ambientata interamente in una tenuta borghese a Godesberg, in Germania. Il film del 1969 ne costituisce un adattamento. Non esiste alcuna menzione dei cannibali e degli spagnoli del XVI secolo.

Personaggi:
  Julian Klotz
  Ida
  Signor Klotz, indicato come Padre
  Bertha Klotz, indicata come Madre
  Hans-Guenter
  Servo
  Herdhitze
  Spinoza
  Clauberg ex Ding
  Wolfram
  Maracchione

I episodio
Il venticinquenne Julian è amato dalla diciassettenne Ida, che cerca il senso della vita nell'impegno politico di sinistra. Juluan, figlio di un uomo ricchissimo, non contraccambia i sentimenti di Ida: la copre di irrisione e di scherno.

II episodio
Julian, superficiale, non intende partecipare all'impegno di Ida nel sociale. Non vuole presenziare alla manifestazione per la pace a Berline, che lei gli vorrebbe imporre. 
 
III episodio
Il padre e la madre sono preoccupati dall'inerzia del figlio Julian nei confronti di Ida. Si chiedono anche se il ragazzo sia animato da ribellione contro di loro. Temono che possa vederli come laidi e pingui porci. 
 
IV episodio
Ida torna da Berlino. Julian se ne frega del suo attivismo e sfotte i suoi sentimenti.

V episodio
Julian viene colpito da una strana paralisi e rimane immobilizzato a letto. La madre parla con Ida, paragonando il figlio a San Sebastiano. 

VI episodio
Hans-Guenter rivela al padre che il signor Herdhitze, imprenditore avversario, altri non è che Hirt, un vecchio compagno di studi che si è sottoposto a una radicale plastica facciale in Italia. Herdhitze, un criminale nazista, ha come testimone dei suoi misfatti un certo Ding, che ha cambiato nel frattempo il nome in Clausberg e lavora nella riserva di Klotz come bracciante. Un servo introduce Herdhitze in casa.

VII episodio
Herdhitze e Klotz si accordano sulla fusione delle proprie aziende sotto un unico nome. Il loro dialogo è pieno zeppo di inquietanti allusioni agli ebrei, identificati con i porci. A un certo punto Herdhitze ricorda un vecchio episodio con protagonista Julian: il giovane era solito appartarsi nei porcili per avere contatti sessuali con i suini. Questo discorso sulla zooerastia viene bruscamente interrotto da Klotz. 
 
VIII episodio
Julian si risveglia dal suo stato comatoso. Ida gli rivela che si è innamorata di un altro, un tale col cazzone. Il ragazzo non è turbato dalla rivelazione e le dice addio: sa di non poterla amare, perché già ama qualcun altro che non è donna né uomo: i porci!

IX episodio
Klotz ed Herdhitze festeggiano la fusione delle rispettive imprese, ingozzandosi come porci ingordi.

X episodio
Julian ha una visione portentosa in cui gli appare il filosofo Spinoza. Lo spirito gli dà qualche dritta su come liberarsi della sua passione erotica per il culo dei porci, potendo in questo modo avere una vita sociale.

XI episodio
Il signor Klotz riceve una delegazione di braccianti formata da Clauberg (ex Ding), Wolfram e Maracchione. Essi intendono parlare con Herdhitze, così Klotz si allontana ed esce di scena. Gli raccontano una terribile sciagura: Julian, entrato come sempre nel porcile per avere contatti carnali coi porci, è stato da loro divorato. Di lui non è rimasta traccia alcuna. Herdhitze chiede se vi siano resti in grado di provare la morte del giovane: dato che non ve ne sono, impone loro il silenzio sull'accaduto. 

venerdì 28 agosto 2020

 
QUESTIONE DI CENTIMETRI

Attore: Luca Fagioli
Direttore: Paolo Migone
Autore dei testi: Paolo Migone 
Anno: 1993
Genere: Tragicomico
Forma narrativa: Monologo
Durata: 58 min

Link:

 
Luca Fagioli interpreta se stesso: il personaggio si chiama "Fagioli Luca", altezza 133 centimetri. Nel suo desolante monologo, il protagonista descrive la visuale grottesca con cui percepisce un mondo a lui sostanzialmente estraneo. Le stesse leggi fisiche agiscono sul suo minuscolo corpo in modo inquietante e diverso da quanto fanno su tutti gli altri: è come se a lui non fosse permesso interagire con gli oggetti, così ogni cosa viene presentata in virtù della sua irraggiungibilità. Gli sono impraticabili le azioni più banali, come guardare una persona negli occhi o prendere qualcosa da uno scaffale. Un mondo fatto di spigoli, sportelli troppo alti e ostacoli. Una realtà tutta pervasa da una paranoia quasi dickiana. 
 
L'Attore:  
 
Nato a Pisa, è laureato in giurisprudenza. 
Video di Luca Fagioli: 
   Il sablé (1986) 
   Il primo fidanzato (1987) 
   Biancaneve (1989)
   Il gioco dell'oca (1990)
   Ricordi difficili (1991)
   Insieme contro il crimine (1992)
Filmografia di Luca Fagioli: 
   Ivo il tardivo, di Alessandro Benvenuti (1955)
   Il cielo e la luna, di Massimo Fagioli (1998)
   Il pesce innamorato, di Leonardo Pieraccioni (1999) 
   La grande prugna, di Claudio Malaponti (1999) 
   Il guerriero Camillo, di Claudio Bigagli (1999)
   Nonhosonno, di Dario Argento (2000) 
 
Recensione:  

Teatro Litta di Milano, Marzo 1993. Ero presente. Era l'epoca della cattività cardanese, il periodo di confino in quel tristissimo anfratto fecale a cui le genti native danno il nome di Cardano al Campo. Dovetti accompagnare una scolaresca a vedere alcuni spettacoli teatrali. Uno di questi, tenutosi nello stesso oscuro borgo lombardo, mostrava alcuni vecchi che venivano scherniti, bastonati e smaltiti come immondizia, in sacchi neri e bidoni della spazzatura. Non riesco a ricordare null'altro della trama, solo queste sequenze allucinatorie, che sembravano frutto dell'ingestione di una frittura di psilocybe. Forse era un rudimentale adattamento di Quarto: uccidi il padre e la madre, di Gary K. Wolf, ma non ne sono sicuro. Vi fu però anche un'eccezione in quell'anno umiliante e disperato. Mi fu permessa una gradita escursione, a mio avviso molto utile. Fu proprio quando andai a Milano al Teatro Litta con la scolaresca, su iniziativa del professor G., che riteneva molto utile ed educativo lo spettacolo di Luca Fagioli. Furono quelli gli unici momenti che potrei definire, se non proprio "felici", almeno "non afflittivi", in un periodo della mia vita che dovrebbe essere cancellato dal Libro dell'Esistenza. 
 
Un tempo si diceva "Italiani, popolo di navigatori, santi e poeti". Poi qualcuno ha coniato il detto "Italiani, popolo di impastatori", per via della loro avidità di lievito durante il lockdown (avidità istigata dall'osceno tam tam mediatico dei giornalisti). Potremmo però aggiungere, oltre a "Italiani, popolo di delatori", anche "Italiani, popolo di bulli, persecutori di deboli e di inermi". A volte mi domando perché Sodoma e Gomorra non siano sopravvissute, mentre uno scandalo come questo vivaio di bulli continui a marcire impunemente sotto la luce tossica del sole. Già me ne accorsi quando ero un moccioso, il giorno stesso in cui sono stato portato all'asilo. Da allora mi sono imbattuto in un numero enorme di persone moleste come tafani, che si sentono vive soltanto se hanno qualcuno da deridere e da tormentare, traendo piacere dall'altrui sofferenza. 
 
Luca Fagioli porta in scena il proprio dramma esistenziale. Deve portare il peso di un vissuto molto problematico, caratterizzato da continui episodi di bullismo in età giovanile, per via della sua corporatura minuta. Tecnicamente parlando, è affetto da nanismo tiroideo. La bizzarra conformazione delle membra e l'aspetto ben singolare attirano in modo ineluttabile lo scherno e l'irrisione da parte delle persone definite "normali". Gli epiteti, come ad esempio "tappo", non si sprecano. Ognuna di questi insulti è una stilettata nel cuore. 
 
Il professor G. faceva notare alla scolaresca che Luca Fagioli ha avuto una vita piena di soddisfazioni umane e professionali e che ha avuto la fortuna di trovare una compagna splendida. La morale del professore, che era un convinto fautore del politically correct (anche se all'epoca non si usava questa locuzione), voleva insegnare il rispetto per la "diversità" a una classe particolarmente indisciplinata, dove non mancavano simpatie naziste. Tali simpatie non derivavano certo dalla lettura del Mein Kampf o dalla comprensione delle dottrine hitleriane: erano reazioni viscerali da parte di giovani rozzi e privi di qualsiasi senso critico, che in questo modo si ribellavano a un indottrinamento scolastico particolarmente oppressivo. Si può dire che il professor G. abbia creato un allevamento di naziskin, senza averne la minima consapevolezza. L'accaduto mi induce alcune amare riflessioni. A Luca Fagioli è andata bene: si è affermato come attore e ha trovato la sua metà. Ma per una persona a cui è andata bene, quante ce ne sono che hanno fallito? Quante persone sole sono state schiantate da questa Italia in cui chi ha problemi è considerato uno zimbello da annientare? Innumerevoli, e non c'è rimedio. Non ci sarà rimedio alcuno, se non il giorno in cui questo paese farà la fine di Atlantide. 

Mi è rimasta particolarmente impressa la lamentazione dell'autore, chiuso nella sua solitudine densa come il piombo. Un'oscurità in cui non si trova un varco, in cui non filtra nemmeno il riverbero di una remota sorgente luminosa. Trovo che sia pura poesia, lirismo assoluto, così la propongo in questa sede:
 
"Mi trovo a ripercorrere il perimetro della mia cameretta
la testa affollata dai pensieri, paure, progetti.
Ho murato la finestra
ma alcuni raggi del sole,
filtrati dalle fessure dei mattoni,
disegnano sul mio viso strani arabeschi.
Mi lascio cadere sulla sedia,
e annoto sul diario:


Intanto passano i giorni,
si sommano in settimane,
si aggrovigliano in mesi,
si ingarbugliano in stagioni,
si ammatassano in anni
natali, pasque, ferragosti
natali, pasque, ferragosti
anni,
natali, pasque, ferragosti

La sveglia mi guarda,
girami!
Fa tic e poi fa tac.
Le ragnatele cambiano ogni anno,
le vedi lì e le ritrovi là.
E nel silenzio più assoluto,
sentire il rumore della barba che cresce.
Deriso da un destino beffardo,
buttato lì come una vecchia cima,
schernito dal tempo inesorabile,
potenza in un nulla fatto di niente,
scheggia di un universo di diversi universi,
truciolo di falegnameria!
briciolino di pane!
(alcune parole borbottate, indistinte, che si perdono nel rumore di fondo) 
 
Quest'opera è etichettata dai media come "commedia", ma a mio avviso non lo è affatto. Si potrebbe andar più vicini al vero ritenendola tragicomica. Unisce in sé spunti ironici e sarcastici con una sostanza assolutamente tragica. Su questo non ci sono dubbi: prevale in ogni suo istante un senso di sofferenza assoluta, che non conosce requie. Non ho mai avuto alcuna esilarazione durante lo spettacolo, proprio perché le sofferenze del protagonista sembravano a me simili a quelle che ho dovuto subire nel corso della mia vita - nonostante la mia statura fisica non possa essere definita esigua. 

Il rustico giannesco in Lucchesia! 
 
Fagioli Luca apprende che il suo amico Gianni, l'architetto, ha invitato amici ed amiche per un weekend nel suo rustico in Lucchesia. Così prende coraggio, gli telefona e gli dice che lo raggiungerà. Inizia la narrazione di qualcosa che sembra a metà strada tra una serie di contrattempi e le dodici fatiche di Ercole. I toni sono volutamente iperbolici. Ogni minima cosa è descritta dall'attore in un modo così surreale da provocare una sensazione di fortissimo straniamento, come se egli fosse un microscopico uomo di Lilliput giunto all'improvviso a Brobdingnag, ove regnano i giganti! Il fine settimana abortisce miseramente: Luca, come un pigmeo nel Labirinto di Cnosso, sbaglia l'ingresso e si ritrova nella cuccia del cane, poi finisce riesce a entrare nell'atrio ma finisce nel camino (il soffitto è alto come quello del Valhalla), quindi rinuncia all'impresa e passa la notte in un campo, trovandosi sommerso da nugoli di grilli zampettanti e da masse di crisalidi. Viene avvicinato da un dobermann libidinoso che cerca di avere un rapporto con una sua gamba e di tenerlo come schiavo sessuale. Al culmine del grottesco, Luca mima una copula, ancheggiando in modo frenetico. Riuscito a sottrarsi all'animale, per quindici giorni si addentra nella campagna toscana, che è descritta come se fosse Mordor! Dopo uno sfinimento estremo, il culmine si ha quando, giunto fino a Marina di Grosseto, si trova davanti la figura immane di Gianni. La sua gioia è incontenibile. "Gianni!!!", esclama. Mi sembra di vedere Gianni, di averlo davanti agli occhi, con quei manoni grandi simili a pale, con quel faccione smisurato perennemente sorridente. Proprio lui: Gianni, l'eterno coprofago! O forse è tutto frutto di un'allucinazione? Fatto sta che Gianni non sembra riconoscere l'amico farfugliante, che alla fine si allontana, annientato. "Ciao Gianni!", gli dice. Poi, dopo qualche passo: "Gianni, ma vaffanculo!"  

Un epilogo annichilente 

Fagioli Luca giunge infine al Capolinea. Certo, quello è il luogo dove prima o poi giungono tutti - anche se i bulli e i gorilla non lo sanno, credendosi immortali. Credo che sia un geroglifico della Morte dell'Essere. Ci viene descritto come uno squallido bar di periferia milanese, con luci al neon che deprimono lo Spirito. Chi è costretto a vegetare sotto quei raggi mortiferi, è come se avvizzisse e si riducesse a una mosca agonizzante sul bordo di un cesso. Ecco, il nostro amato protagonista si trova proprio lì, cercando di ordinare un caffè al banco. Non ci riesce. Aggiunge invano lo zucchero ad alcune tazzine che non sa essere vuote, poi lo ingurgita in preda al disgusto. Tenta anche di ordinare un tramezzino, senza che i risultati siano migliori. Il banco è sopra la sua testa, riesce a malapena a raggiungerlo, come se fosse uno Hobbit tra gli Orchi. Poi ha un'idea geniale. Si allontana e raggiunge il telefono pubblico presente nella sala. Compone il numero del locale e la cameriera che sta al banco risponde. Così può ordinare un tramezzino. "Cristina, dammi un tramezzino!", le urla, dopo essere riuscito ad attirare la sua attenzione. Siamo all'Annichilimento Assoluto. Quello è il luogo in cui l'Essere muore in Eterno! 

Insopportabilità del pubblico 

Quello che ho detestato in modo viscerale sono state le insulse risate di molti spettatori. Cosa diamine c'era mai da ridere? Mi sarei aspettato un profondo silenzio, carico di rispetto e di introspezione. Invece nulla. Alcune risate giungevano proprio nei momenti più penosi, più tragici. Questo mi ha dato una conferma in più della natura bullesca della maggior parte dei frequentatori di teatri. Moltissimi sono coloro che non vanno a teatro per imparare qualcosa, bensì per mero conformismo, per ostentare la loro pretesa superiorità e la loro condizione sociale, per trovare qualcuno da schernire, da tirare per il culo. Certo, l'attore è stato applaudito quando la rappresentazione si è conclusa, ma in un certo senso era un atto dovuto. Non dimentichiamoci che questa gente applaude anche ai funerali, così posso soltanto considerare vuote e ipocrite le loro manifestazioni di entusiasmo. Per molto tempo ho odiato il teatro proprio perché vi si respira un'aria di snobbismo molesto, e la sensazione è analoga al fastidio provocato agli equini dalle punture delle mosche cavalline. Mi affiora un bizzarro ricordo d'infanzia: mio zio S. era convinto che in realtà nessuno ridesse a teatro e che le risate fossero invece il prodotto di un'apposita macchinetta. "Schiacciano un bottone e si sentono le risate", diceva sempre, "ma sono finte". Di certo mio zio S. era più felice di me.