martedì 5 settembre 2023

LA LEBBRA A COMACCHIO

La lebbra in Italia non è una pura e semplice reminiscenza del Medioevo. Non mi stancherò mai di ripeterlo. Trovo molto interessante raccogliere e pubblicare informazioni sulla sua presenza sul territorio, in tempi non troppo remoti. Espongo qui un caso che sorprenderà gli eventuali lettori.


Un importante focolaio endemico di lebbra si trovava a Comacchio (provincia di Ferrara) nel XIX secolo. La malattia hanseniana, definita da Antonio Campana (1806) "un morbo crudele che travaglia una parte della popolazione", era conosciuta dai nativi di quel luogo con due diverse peculiari denominazioni:
1) mal di formica
Era la lebbra nervosa, chiamata così per la lentezza del suo sviluppo nel corso di anni, che poteva portare alla caduta delle dita e persino di arti: in apparenza benigna all'origine, era devastante sul lungo periodo. Secondo Giacomo Sangalli (1878) il nome avrebbe avuto come causa "il formicolio e il prurito alla pelle sul primo sviluppo della malattia"
2) mal di fegato
Era la lebbra tubercolare, chiamata così perché somigliava nelle ripugnanti manifestazioni cutanee a una malattia dei tacchini, non ben identificata, che guastava loro il fegato. Questo riporta Antonio Campana (1806) nella sua preziosa relazione: "vuolsi analogo ad una certa malattia dei tacchini, che copre di tubercoli e di croste i bargiglioni e tutta la testa di quei gallinacei, guastandone contemporaneamente il fegato".

Non essendo stato ancora scoperto il Mycobacterium leprae, all'epoca in cui scrisse Campana imperavano idee stravaganti sulle origini della malattia hanseniana. In particolare, le cause della persistenza del focolaio di lebbra a Comacchio erano identificate nel continuo consumo di pesce sotto sale. A conferma di questa opinione, era stata notata la presenza di forme molto simili di lebbra in altre località marine europee, in Bosnia, nell'isola svedese di Gotland, in Norvegia e in Finlandia. C'era chi attribuiva il contagio a un parassita dei pesci, denominato Gordio marino: è una specie di verme che provoca lesioni cutanee ai suoi ospiti. Si nota che ancora oggi un gran numero di malattie sono attribuite a una causa simile da complottisti di ogni genere, impegnati a diffondere video spazzatura nel Web. Un'altra idea superstiziosa molto diffusa era quella dell'origine della lebbra da un tipo di malattia mentale, definita "patema d'animo". Se si dovessero raccogliere tutte le ubbie stupidissime sull'argomento, si potrebbe compilare una vasta enciclopedia.
La situazione era terribile. Verso la metà del XIX secolo, i Comacchiesi erano circa 7.000. Si stima che circa 2.000 di loro vivessero lungo la spiaggia; esistevano casi di "vita semiaquatica"; alcuni addirittura si sostentavano con la caccia o con la pesca (Andrea Verga, 1843; 1846). Vivevano in squallidi tuguri, dove la lebbra prosperava. Già Campana aveva identificato in questo modo di vivere una difficoltà quasi insormontabile alla speranza di poter curare ed eradicare la malattia (il morbo "serpeggia segretamente nascosto nei tuguri, quindi con difficoltà può estirparsi"). 
Le cure erano esse stesse dettate dalla superstizione. Esistevano ricette per cucinare la carne di vipera, a cui erano attribuite proprietà terapeutiche. Una preparazione di vipere bollite in brodo (il cosiddetto "brodo viperino") fu somministrata senza registrare alcun beneficio nei pazienti. Così anche le vipere spellate e mangiate crude con lo zucchero. La dieta a base di latte fu dimostrata essere inefficace. La somministrazione di sali mercuriali risultò anch'essa senza alcun effetto, smentendo l'idea che la condizione dei lebbrosi comacchiesi fosse dovuta a una grave forma di sifilide. 
Nel 1806 Campana aveva compreso correttamente la vera natura della malattia, identificandola con la lebbra, che ai tempi era anche denominata "elefantiasi". Per cercare di tenere la situazione sotto controllo, il Ministero dell'Interno decise l'erezione, a spese del Comune, di un "Lazzaretto" in cui raccogliere i lebbrosi. Nel 1807, circa trenta di questi pazienti furono confinati in una parte del convento di Sant'Agostino in Comacchio, situato su una penisola separata dal resto del paese: fu costruito un ponte levatoio per impedire l'accesso a estranei. Le finestre dell'edificio che davano sulla città furono murate, lasciando aperte soltanto quelle che davano sulle valli. C'era separazione totale tra i sessi: esisteva il terrore che i ricoverati potessero concupire e consumare atti carnali. La dieta comprendeva la carne ma escludeva il pesce, perché era dura a morire la convinzione secondo cui "le malattie della pelle coll'uso del pesce infieriscono". Al contempo era ben chiara la natura contagiosa del morbo, dato che gli infermieri, i medici, il chirurgo e il confessore potevano entrare nei recinti soltanto coperti da una veste di tela lucida. Terminato il loro compito, mettevano tale veste protettiva in una "camera di espurgo", disinfettandosi le mani con acqua e aceto.
Nel 1815, subito dopo il Congresso di Vienna, il convento di Sant'Agostino in Comacchio fu chiuso e trasformato in una fortezza austriaca. I lebbrosi furono deportati a Ferrara, nell'ex convento di Sant'Andrea, considerato "spazioso e salubre"

Riporto in questa sede il link a un articolo di Sangalli sull'anatomia patologica: La lebbra dell'Alta Italia, massime di Comacchio: nota / 16 dic. 1880. (massime = massimamente). È ospitato nell'Emeroteca Digitale della Biblioteca Nazionale Braidense

 
 

Possibili origini del focolaio comacchiese 

La cosa che più desta stupore è l'assenza di testimonianze circa la presenza della malattia a Comacchio in tempi antecedenti alla Relazione di Antonio Campana, in particolare negli scritti dei medici Giovan Francesco Bonaveri e Pierpaolo Prioli (1761). Il confinamento di una trentina di lebbrosi nel convento di Sant'Agostino nel 1807 ha destato il terrore dei borghesi della città, come se non avessero mai avuto alcuna contezza dell'esistenza stessa dell'infezione. Va detto che l'ignoranza imperversava e che la condizione dei lebbrosi veniva con ogni mezzo tenuta nascosta. Non è affatto facile tracciare la genesi di un focolaio di lebbra, a cui possono contribuire diversi percorsi di migrazione del patogeno. Si potrebbe pensare che i traffici dei marinai abbiano avuto la loro importanza. Va notato che il focolaio comacchiese è rimasto circoscritto, tanto che già nei paesi confinanti non si trovava alcuna traccia di persone contagiate. Non sono riuscito a reperire notizie sulla sua estinzione, che senza dubbio deve essere avvenuta prima dell'inizio del XX secolo, dal momento che non se ne trova più traccia. 

Un dilemma etico

La butto là come provocazione estrema. Pensate che sia lecito estinguere un patogeno? I patogeni dovrebbero essere tutelati, visto che sono il prodotto di migliaia di anni di evoluzione e di differenziazione? Ebbene, la lebbra di Comacchio aveva alcune peculiarità che non si sono mai viste in altre forme della malattia nell'intero globo terracqueo. Ad esempio, mancava un sintomo peculiare, l'anestesia. Quando il focolaio hanseniano si è estinto tra le tristi genti palustri di Comacchio, si è fatto molto difficile investigare l'affascinante questione. Sarà arduo poter estrarre genoma integro esumando resti di malati, ammesso che la cosa sia fattibile. 

Conclusioni

La memoria delle masse è cortissima e disperde ogni cosa. Ai nostri tempi, Comacchio è un paese noto soprattutto per le anguille, nessuno si sognerebbe mai che in passato fosse invece noto per i lebbrosi. Ricordo uno sketch di alcuni guitti del Bagaglino, in cui si parlava di una fantomatica visita di Romano Prodi a Comacchio. Il politico era esaltato in modo ironico, satirico, come una specie di novello Messia. I guitti raccontavano un "miracolo" a lui attribuito: le anguille si sarebbero ammassate in canali da cui erano da lungo tempo scomparse, saltando sulle piastre roventi e addirittura girandosi per potersi grigliare meglio! 
E l'Italia è questa qua.

domenica 3 settembre 2023

ANEDDOTICA DISTORTA IN EPOCA PRE-INTERNET: LE ORIGINI DEI MICHELETTI

I Micheletti erano un corpo di soldati spagnoli (secoli XVI-XVIII), menzionati nell'opera di Manzoni con cui si purgano gli studenti nelle suole italiane: I promessi sposi. Per l'esattezza, si trattava di truppe irregolari di mercenari reclutati in Catalogna, composte da fanti leggeri armati dapprima di archibugio e in seguito di moschetto. Il loro nome in spagnolo era Miqueletes o Migueletes, a sua volta derivato dal catalano Miquelets, corrispondente al valenciano Micalets


Ecco i brani manzoniani in cui vengono menzionati i Micheletti (ho evidenziato le occorrenze in grassetto): 

Promessi sposi, Capitolo XIII

A Pedro, nel passar tra quelle due file di micheletti, tra que’ moschetti così rispettosamente alzati, gli tornò in petto il cuore antico. Si riebbe affatto dallo sbalordimento, si rammentò chi era, e chi conduceva; e gridando: “ ohe! ohe! ” senz’aggiunta d’altre cerimonie, alla gente ormai rada abbastanza per poter esser trattata così, e sferzando i cavalli, fece loro prender la rincorsa verso il castello. 

Promessi sposi, Capitolo XVI 

C’era, proprio sul passo, un mucchio di gabellini, e, per rinforzo, anche de’ micheletti spagnoli; ma stavan tutti attenti verso il di fuori, per non lasciare entrar di quelli che, alla notizia d’una sommossa, v’accorrono, come i corvi al campo dove è stata data battaglia; di maniera che Renzo, con un’aria indifferente, con gli occhi bassi, e con un andare così tra il viandante e uno che vada a spasso, uscì, senza che nessuno gli dicesse nulla; ma il cuore di dentro faceva un gran battere. Vedendo a diritta una viottola, entrò in quella, per evitare la strada maestra; e camminò un pezzo prima di voltarsi neppure indietro. 

Promessi sposi, Capitolo XVI 

“ Ma, ” continuò il mercante, “ trovaron la strada chiusa con travi e con carri, e, dietro quella barricata, una bella fila di micheletti, con gli archibusi spianati, per riceverli come si meritavano. Quando videro questo bell’apparato... Cosa avreste fatto voi altri? ” 

“ Tornare indietro. ”

“ Sicuro; e così fecero. Ma vedete un poco se non era il demonio che li portava. Son lì sul Cordusio, vedon lì quel forno che fin da ieri, avevan voluto saccheggiare; e cosa si faceva in quella bottega? si distribuiva il pane agli avventori; c’era de’ cavalieri, e fior di cavalieri, a invigilare che tutto andasse bene; e costoro (avevano il diavolo addosso vi dico, e poi c’era chi gli aizzava), costoro, dentro come disperati; piglia tu, che piglio anch’io: in un batter d’occhio, cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra. ”

“ E i micheletti? ” 

“ I micheletti avevan la casa del vicario da guardare: non si può cantare e portar la croce. Fu in un batter d’occhio, vi dico: piglia piglia; tutto ciò che c’era buono a qualcosa, fu preso. E poi torna in campo quel bel ritrovato di ieri, di portare il resto sulla piazza, e di farne una fiammata. E già cominciavano, i manigoldi, a tirar fuori roba; quando uno più manigoldo degli altri, indovinate un po’ con che bella proposta venne fuori. ” 

Fastidiose memorie scolastiche 

I tempi del liceo sono molto lontani, eppure ricordo ancora che in un'occasione il professore di italiano e di latino ci disse in tono pedantesco che i Micheletti traevano il loro nome dalla Valle di San Michele, nei Pirenei, dove erano tradizionalmente reclutati. L'atmosfera in classe era plumbea. Ascoltavamo avviliti queste spiegazioni, che ci venivano impartite in tono a dir poco molesto, al preciso scopo di mortificarci. Sembrava che il docente volesse rimarcare la nostra ignoranza e intendesse esprimere questi pensieri: "Brutte merde subumane, adesso vi insegno io i dettagli di ogni cosa, dall'alto della mia Sapienza. Non vi chiederò queste cose all'interrogazione: mi basta dimostrare la vostra natura di vermi". Spesso il tono di voce e il cosiddetto "linguaggio paraverbale" sottintendono interi mondi, per lo più ripugnanti. 
Mi immaginavo un vallone lunghissimo, ampio, pieno zeppo di gente piuttosto ottusa. Chissà come mai, mi ero messo in mente che questi valligiani fossero biondicci. A distanza di anni, volendo verificare quanto udito a scuola, mi sono dovuto rendere conto che questa fantomatica Valle di San Michele non è mai esistita. In altre parole, il dottissimo professore, che sapeva sempre tutto, ci aveva rifilato una fake news


Considerazioni etimologiche 

L'ipotesi più accreditata sull'etimologia del nome dei Micheletti lo fa derivare da quello del Capitano Miquelot de Prats (anche noto come Miguel de Prats o Miquel de Prades), un mercenario catalano che servì Cesare Borgia detto Il Valentino (1475 - 1507), il famoso generale-cardinale sfigurato dalla sifilide. Un altro mercenario al servizio dello stesso padrone era Michelotto Corella, che tra le altre cose strangolò Vitellozzo Vitelli; non è tuttavia plausibile che abbia dato il nome ai Micheletti, essendo più che altro un sicario prezzolato, tanto da essere noto come il Boia del Valentino. Si noterà che Cesare Borgia era Cavaliere dell'Ordine di San Michele, istituito nel castello di Amboise dal Re di Francia Luigi XI, in data 1 agosto 1469. Comunque la si metta, ci deve essere di mezzo un Michele! 
Si potrebbe pensare che il nome dei Micheletti derivi da quello dell'abbazia benedettina di San Michele di Cuxa, in catalano Sant Miquel de Cuixà (-x- si pronuncia come sc- in sci). Si consideri che un tempo era un monastero assai famoso. Si riesce a questo punto a ricostruire il percorso che ha portato il summenzionato docente del liceo a uscirsene con il mito della Valle di San Michele. Deve aver letto da qualche parte che in origine i Micheletti erano reclutati proprio nella zona di San Michele di Cuxa. All'origine dell'aneddoto ci sarebbe una distorsione operata dalla sua memoria, abituata a ricordare una mole immensa di informazioni senza mai verificarle con attenzione. Questo è un bias molto insidioso che può colpire chiunque!

Alcune note storiche

La Francia ha cercato a lungo di imitare i Micheletti, le cui capacità erano riconosciute e ammirate, soprattutto nella guerriglia in regioni montuose e difficili: sono state così formate numerose compagnie di Miquelets francesi, come quelle impiegate da Napoleone Bonaparte nel corso della guerra d'indipendenza spagnola, anche se con scarso successo. 
Il corpo dei Micheletti sopravvisse nelle Province Basche nel corso del XIX secolo e fu abolito soltanto nel 1877.

Uno slittamento semantico

I Micheletti in tempo di pace continuavano una tradizione già in auge tra i militari fin dall'epoca medievale: si procacciavano da vivere con il saccheggio ai danni dei civili. A causa di ciò, il termine "micheletto" venne presto ad essere considerato un sinonimo di "brigante". Perché i razziatori non venivano impiccati? Semplice: perché avevano una speciale licenza che permetteva loro di esercitare questo passatempo senza conseguenze legali, in attesa di rendersi necessari in caso di guerra! Nel 1642 ci fu un tentativo di sciogliere la milizia a causa della sua indisciplina, ma sul finire del secolo si formarono spontaneamente nuove compagnie di Micheletti per difendere la frontiera catalana nel corso della guerra contro la Francia.

I Micheletti e il celebre Michelaccio

In italiano è noto come Michelaccio chi vive senza lavorare, non dandosi pensiero di sorta. La locuzione più comune è "fare la vita di Michelaccio: mangiare, bere e andare a spasso". Anche in Spagna e in Francia esiste questo appellativo, anche se con altro suffisso: spagnolo miquelet(e)micalete, francese miquelet "vagabondo"; "brigante dei Pirenei". E ancora il nome dei soldati di cui stiamo parlando! Alcuni vogliono che fossero chiamati così i pellegrini che si recavano a Mont-Saint-Michel, perché considerati gaglioffi e perditempo, che vivevano scroccando pane e altro cibo. Ritengo invece più probabile che si trattasse dei Micheletti, con questo slittamento semantico:   

micheletto > bandito, razziatore > vagabondo > perditempo 

In Italia il suffisso è stato sostituito con il peggiorativo -accio, dando Michelaccio (variante Michelasso; veneto Michelazzo). A questo punto c'è da notare una bizzarria di non poco conto. Manzoni menziona Michelaccio nei Promessi sposi, senza rendersi conto che non è separabile nell'origine dal nome dei Micheletti! Ecco la citazione (il grassetto è mio): 

Promessi sposi, Capitolo XXIII:

Lui ricco, lui giovine, lui rispettato, lui corteggiato: gli dà noia il bene stare; e bisogna che vada accattando guai per sé e per gli altri. Potrebbe far l’arte di Michelaccio; no signore: vuol fare il mestiere di molestar le femmine: il più pazzo, il più ladro, il più arrabbiato mestiere di questo mondo; potrebbe andare in paradiso in carrozza, e vuol andare a casa del diavolo a piè zoppo.

Respingo senza dubbio la ridicola favola di Michele Panichi, fantomatico commerciante fiorentino ritiratosi dagli affari e diventato fannullone. L'avranno rifilata a Manzoni quando era intento a "sciacquare i panni in Arno"!

I cognomi Micheletti, Micheletto,
Michieletti, 
Michieletto 

Esistono alcune possibili cognominizzazioni del nome dei Micheletti. Sono cognomi facilmente riconoscibili, che possono almeno in parte essere derivati dall'integrazione dei mercenari catalani in territorio italiano. Sono questi: Micheletti, Micheletto, Michieletti, Michieletto. Riporto i link alle rispettive mappe di distribuzione: 




venerdì 1 settembre 2023

LA PROBLEMATICA ETIMOLOGIA DI MARANZA

Si fa un gran parlare dei maranza, bulli aggressivi aggregati in temibili baby gang, che si sono moltiplicati a dismisura tramite il social TikTok a partire dal 2019. Si sono diffusi usando la rete ferroviaria di Monza e della Brianza, aggredendo, rapinando e portando devastazione. Il nome di questa subcultura giovanile è stato connotato dal punto di vista etnico, essendo composta in gran parte da giovani nordafricani, soprattutto maghrebini. Va comunque precisato che le origini dei maranza sono anteriori alla formazione delle nuove generazioni di immigrati extracomunitari: esistevano già nell'ultimo decennio dello scorso secolo e a quell'epoca non era percepita alcuna caratteristica etnica extra-italiana.


Secondo alcuni (opinionisti, giornalisti, influencer und ähnliche Parasiten), il termine maranza sarebbe un collettivo in -anza (derivato da un originario astratto). Questa ipotesi, che ricorre con grande insistenza nei media, mi pare piuttosto labile, come credo di poter dimostrare con solidi argomenti. Si rende necessario analizzare la questione in maggior dettaglio.

Ipotesi sull'origine del suffissoide -anza

Associazione a formazioni colloquiali tipicamente milanesi come riccanza "gente ricca", figanza "atteggiamento da figo", divertanza "divertimento". 
Obiezioni:
- Diverso genere grammaticale: Si dice il maranza, i maranza, contro la riccanza (es. "qui c'è tanta riccanza"). 
- Diversa fonologia: La parola maranza ha un'affricata sonora /dz/ anziché sorda /ts/. Rima con manza. Non rima con danza. La consonante sonora viene in genere attribuita a un'influenza meridionale, anche si il vocabolo è settentrionale. 

Ipotesi sull'origine della radice mar-:

1) Associazione al termine paninaresco tamarro "zotico, cafone (soprattutto meridionale)". 
Link:
Supposta trafila: 
   *tamarranza > maranza 
Obiezioni: 
- Diverso genere grammaticale: Si dice il maranzai maranza, mentre *la tamarranza avrebbe dato un femminile.
- Diversa fonologia: La parola maranza ha un'affricata sonora /dz/ anziché sorda /ts/. Rima con manza. Non rima con danza. La consonante sonora viene in genere attribuita a un'influenza meridionale, anche si il vocabolo è settentrionale. 
- Problemi di cronologia: Nella canzone di Jovanotti Il capo della banda (1988) è presente la prima attestazione nota del termine maranza, che è nettamente distinto dal più comune tamarro

"Mi chiamo Jovanotti e sono in questo ambiente 
Di matti, di maranza e di malati di mente
Fissati con le moto e coi vestiti americani
Facciamo tutto ora o al massimo domani"

Se maranza fosse derivato da *tamarranza, lo sviluppo non si sarebbe potuto verificare contemporaneamente alla diffusione di tamarro: sarebbe stato necessario un lungo periodo di incubazione e di usura della pronuncia. Invece Jovanotti mostra il vocabolo maranza, pronunciato /ma'randza/, come contemporaneo a tamarro, senza alcuna consapevolezza di un'etimologia comune delle due voci. 

2) Associazione a Marocco, marocchino, Marrakesh
Supposta trafila: 
   *maroccanza > maranza 
   *marocchinanza > maranza 
   *marrakeshanza > maranza 
Obiezioni: 
- Diverso genere grammaticale: Si dice il maranzai maranza, mentre *la maroccanza e simili avrebbero dato un femminile.  
- Diversa fonologia: La parola maranza ha un'affricata sonora /dz/ anziché sorda /ts/. Rima con manza. Non rima con danzaLa consonante sonora viene in genere attribuita a un'influenza meridionale, anche si il vocabolo è settentrionale. 
- Problemi semantici: Nei tardi anni '80 e negli anni '90 del XX secolo, i maranza non erano affatto marocchini, erano tamarri italici. 

3) Possibile derivazione da malanza "male" (sostantivo), intendendo "cattiva stirpe", "cattivo seme" o simili. 
Origine: male + -anza
Alterazione della pronuncia: 
  a) rotacismo /l/ > /r/;
  b) sonorizzazione /ts/ > /dz/ 
Supposta trafila: 
    /ma'lantsa/ > /ma'randza/ 
Possibili cause dell'alterazione: 
  a) pronuncia meridionale; 
  b) influenza dialettale (?);
  c) problemi di udito (?). 
Obiezioni: 
- Arcaismo del termine: In italiano standard non è presente la parola malanza "male" (sia fisico che morale), che è considerata obsoleta. Il Grande dizionario della lingua italiana (UTET) riporta il lemma come antiquato e fornisce i seguenti un esempio tratto da Iacopone da Todi (tra il 1230 e il 1236 - 1306): longo tempo gridammo al messia / che reguarisse la nostra malanza / ed ecco, nudo iace en ella via / e null'è che de lui aia pietanza! 
Rohlfs considera malanza una derivazione dovuta a influsso gallo-romanzo. Non si riesce a capire attraverso quale percorso tortuoso la parola possa essere giunta in una subcultura degli anni '80 e '90 del XX secolo, notoriamente ostile allo studio!
- Improbabilità dell'alterazione: Se è già improbabile che un termine arcaico come malanza sia riemerso dopo secoli tra gente di un'ignoranza belluina, ancor più improbabile è che a questa ricomparsa si siano associate due cambiamenti nella pronuncia. 

Altre ipotesi:

i) Derivazione da maranzana "melanzana", supposto termine meridionale, che sarebbe stato poi abbreviato colloquialmente in maranza. Il motivo dell'epiteto sarebbe la connotazione razzista, essendo  la pelle dei maghrebini piuttosto scura. 
Semantica: 
persona dalla pelle scura (nordafricano) > melanzana > maranza 
Supposta trafila: 
   *maranzana > maranza 
Obiezioni: 
- Sospetta falsità dell'informazione: Ciò che è riportato nel Web sul maranza-melanzana, è in buona sostanza una fake newsIl termine maranzana è piemontese (variante: marzan-a) e non sembra essere meridionale. 
Queste sono invece le forme in uso nel Meridione per dire "melanzana", e sono tutte piuttosto diverse dal supposto maranza(na), con un paio di possibili eccezioni in Puglia
   Napoli, Campania: mulignana 
   Sicilia: mulinciana, milunciana, mulunciana
          mirinciana  
   Puglia: marangiana, marancianamelangiane,
          mulangéne 
   Basilicata: merlingiana 
   Calabria: lumingiana, malangiana, mulingiana,
          melangiana
   Nell'italiano regionale meridionale si ha melenzana
Nota: 
Mi sono imbattuto nella parola maranza "arancia", attribuita al siciliano; tuttavia sono stato in grado di reperire soltanto arancia, aranciu e purtuallu
Link: 
- Problemi semantici: Nei tardi anni '80 e negli anni '90 del XX secolo, i maranza non erano affatto marocchini, erano tamarri italici.  

ii) Etimologia paninara: parola macedonia derivata da marocchino + zanza 
Supposta origine del secondo elemento della parola macedonia:
Riduzione di una forma verbale. In gergo paninaro zanzare significa "tagliare"; "scippare (tagliando la cinghia della borsa)". Ho potuto attestare la locuzione zanzare via "recidere". La pronuncia è /dzan'dzare/, con due affricate sonore: è un omofono del plurale di zanzara
Nota:
Secondo alcuni navigatori, in romagnolo zanza significherebbe "furbo". Non sono stato in grado di confermare la glossa. 
Supposta trafila: 
*marocchino-zanza > *marocco-zanza > *maroccanza > maranza 
Nota: 
Erano chiamati zanza gli appartenenti a una subcultura tipicamente milanese, formatasi dopo l'estinzione dei Paninari.
Obiezioni: 
- Problemi semantici: Nei tardi anni '80 e negli anni '90 del XX secolo, i maranza non erano affatto marocchini, erano tamarri italici. 

iii) Possibile etimologia: maranza è una pura e semplice alterazione espressiva del romanesco coatto maranga, maranca "teppistello". 
Link: 
Nota: 
Non mi risulta che questa ipotesi, che mi era venuta in mente qualche tempo fa, sia mai stata avanzata da altri. Tuttavia non la trovo soddisfacente. 
Punti a favore: 
- Somiglianza semantica: I due termini, maranza e maranga, indicano in effetti la stessa cosa o quasi.
Obiezioni:
- Problemi di diffusione: Il termine maranga, maranca, tipico di Roma, sembra essere del tutto estraneo al Nord, mentre maranza si usa nel Nord, essendo nel Sud soltanto un raro articolo di importazione.
- Problemi morfologici: Non si capisce il motivo del cambiamento del suffissoide -anga, -anca in -anza.

iv) Possibile etimologia: maranza è una pura e semplice alterazione espressiva del veneto marangón "falegname". 
Semantica: 
"falegname" > "individuo grossolano" > "uomo mal vestito" > "tamarro"
Obiezioni: 
- Problemi semantici: Sembra che il passaggio da "falegname" a "uomo mal vestito" sia molto artificioso. Non si capisce perché il gergo abbia tratto ispirazione proprio dai falegnami anziché dai muratori o da altri lavoratori manuali.
- Problemi morfologici: Non si capisce il motivo della sostituzione della finale -angón con un suffissoide -anza
Nota: 
L'etimologia di marangón "falegname" è in ogni caso connessa con quella di maranga, maranca "teppistello" (vedi sopra). 

Esistono altre ipotesi, ancor meno probabili, che sembrano essere varianti di quelle sopra esposte. Così si immaginano derivazioni da tamarro + zanza o dalla locuzione marmaglia di zanza. Sono tutte formazioni incredibilmente cervellotiche e vane, più o meno come dire che il panino è il pane di Nino

Ipotesi filogenetiche: 
la tamarrizzazione dei Paninari

Il primo germe si sarebbe sviluppato negli ultimi anni della diffusione dei Paninari, poco prima della loro repentina estinzione. Nella guerriglia urbana a Milano, era in uso tra i tamarri la rapina degli abiti ai paninari nel corso di agguati notturni: questi outfit erano poi esibiti come trofei. Si cominciarono così a formare gli pseudo-paninari. A questi si aggiunsero numerosissimi imitatori che andavano in giro con outfit farlocchi, ad esempio il Fintcler e le Finterland. In pratica erano tamarri con abiti e atteggiamenti paninareschi. Quando la subcultura paninara subì il tracollo, consumata dall'autolisi, il vuoto fu riempito dai maranza.

La seconda ondata

La ricomparsa della subcultura maranza nel XXI secolo, con nuove connotazioni violente e inquietanti, ha spiazzato un po' tutti - soprattutto perché i più giovani attuali non ricordano l'esistenza dei tamarri novecenteschi, che al massimo potevano essere un problema estetico, senza grandi turbamenti dell'ordine sociale (basso potenziale criminogeno). Si può dire che la stessa parola maranza sia entrata in quiescenza verso il 2000, restandovi per tutti i successivi 15 anni. Il fenomeno somiglia allo scorrere di un fiume carsico, che scava a lungo nel sottosuolo per poi scaturire in superficie. Molti sono convinti che non esista relazione alcuna tra i primi maranza e i bulli marocchini attualmente imperversanti, che avrebbero adottato il loro nome tramite un processo di appropriazione culturale (alto potenziale criminogeno).


Jovanotti è stato il Proto-maranza
(e l'inventore del termine)

In assoluto, il primo maranza è stato Jovanotti, ossia Lorenzo Cherubini (Roma, 1966 - vivente), che non sembra affatto essere un "abbronzato". I suoi genitori Mario Cherubini (1934 - 2015) e Viola Cardinali (1935 - 2010), erano toscani di Cortona (prov. di Arezzo). I caratteri somatici puntano a una chiara origine longobarda della stirpe. 
Era il 1989. Durante la trasmissione Serata d'onore, condotta da Pippo Baudo, Celentano intervistò Jovanotti e gli chiese informazioni sul significato del termine "maranza", che andava diffondendosi e incuriosiva. La risposta del rapper è stata confusa, sfocata, addirittura surreale: in pratica non è stato in grado di spiegare in termini razionali e comprensibili cosa si dovesse intendere per "maranza"
L'interessante video è presente su YouTube: 


Visionando le sequenze, possiamo notare questo: Celentano, ignorando la parola, dapprima pronuncia /ma'rantsa/, con lo stesso suono  sordo di "danza". In altre parole, usa una pronuncia ortografica. Jovanotti invece pronuncia sempre /ma'randza/, con lo stesso suono sonoro di "manza". Quasi subito, nel corso dell'intervista, Celentano capisce la pronuncia corretta e si adatta. Sono dettagli apparentemente futili, eppure li considero importantissimi. 

Conclusioni 

La soluzione del problema è possibile, anche se non è immediata. Siccome Jovanotti è stato senza alcun dubbio l'inventore della parola maranza, bisognerebbe intervistarlo. Mi riprometto di farlo. Temo però che la creazione lessicale sia stata arbitraria, forse dovuta a qualche fraintendimento nel bel mezzo della musica assordante. Non mi stupirei affatto se venissi a sapere che Jovanotti è sempre stato un po' duro di orecchi, in fondo nella già citata canzone Il capo della banda cantava così: 

"Picchiamo sul volume e ci spacchiamo le orecchie
Magari le cambiamo se diventano vecchie 
Noi siamo sempre in forma, viaggiamo come un razzo
Comunque se ti droghi sei una testa di cazzo" 

Forse nessuno gli ha detto che il rumore ha effetti estremamente nocivi sulla salute, paragonabili a quelli prodotti da una grave tossicosi!