Visualizzazione post con etichetta lingua latina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua latina. Mostra tutti i post

venerdì 30 giugno 2023


I PAGANI DI BERGEN IN NORVEGIA
(XII-XIV SECOLO) 

Come al solito, il mondo accademico tende a pontificare anche quando non possiede sufficienti informazioni. Così la scomparsa della scrittura runica in Norvegia è stata associata alla Cristianizzazione, avvenuta nel tardo X secolo e nel corso dell'XI. Questa è stata la vulgata accettata quasi per dogma, per lungo tempo. Poi, a partire dal 1955, nel quartiere di Bryggen a Bergen, sono state trovate circa 670 iscrizioni in caratteri runici, risalenti ad epoca basso medievale, da XII al XIV secolo. Sono incise su legno, principalmente di pino. Questi preziosi reperti si sono dimostrati una prova inconfutabile del perdurare della scrittura runica ben dopo i complessi eventi che hanno portato alla prevalenza del Cristianesimo. L'alfabeto latino non è diventato immediatamente popolare quando è stato importato assieme alla religione cristiana; si può dire che sia rimasto appannaggio degli ecclesiastici e dei ceti elevati. La popolazione meno abbiente è invece rimasta fedele alla propria eredità ancestrale, in modo tenace, soprattutto nelle impervie aree dell'entroterra. Per i Cristiani, un battezzato che continuava con gli antichi usi e costumi era un "cattivo cristiano". Chi si trovava in questa condizione ambigua, dal canto suo se ne fregava altamente e fingeva di aver adottato la religione straniera per continuare tranquillamente la sua esistenza. 

Quello che sorprende nel materiale runico ritrovato nella città mercantile di Bergen è la scarsa influenza cristiana. Certo, esistono iscrizioni cristiane con menzioni di Dio, della Vergine e di Santi, in funzione apotropaica, com'è logico attendersi, ma sono state trovate anche numerose iscrizioni pagane con menzioni di Odino e di Thor, delle Valchirie e delle Norne. Questo fatto di capitale importanza, che prova la tarda persistenza di pratiche e credenze pagane, è stato notato da Ebbe Schön nella sua opera Asa-Tors hammare: gudar och jättar i tro och tradition ("Il martello di Asa-Thor: Dei e giganti nella fede e nella tradizione"2004). Destano particolare attenzione alcuni testi erotici. Infine non va nascosto che esistono iscrizioni del tutto incomprensibili, che sembrano redatte in una lingua sconosciuta.


Riporto il testo di alcune iscrizioni, che considero notevoli. I lati dei legni su cui sono incise sono indicati con le lettere A, B, C, D.

Iscrizione runica N B145 

Traslitterazione: 

A. 
fell · til · friþrar · þ(e)llu · farl(e)ghrar · m(e)r · arla · fiskall · festibala · forn · byr hamar 

B.
norna · þæim (u)ihdi heuir þundar · þornluþrs ·  (e)olun·buþar · gloumar · gyghiartouma 

C.
kaltrs falkha . haldet ~ omnia . uinsciþ · amor . æþ nos c(c)itam(m)-- amori . 

D.
galdrs fasl(e)gha · haldet ~ omnia · uinciþ · amor . æþ nos c(e)damus . amori . 

Normalizzazione: 

A. 
Fell til fríðrar þellu fárligrar mér árla fiskáls festibála forn byrr hamarnorna;

B. 
þeim lundi hefir Þundar þornlúðrs jǫlunbúðar glaumarr gýgjartauma

C.
galdrs fastliga haldit. Omnia vincit Amor, et nos cedam[us] Amori.

D.
galdrs fastliga haldit. Omnia vincit Amor, et nos cedamus Amori. 

Traduzione: 

A. 
L'antica brezza delle Dee della scogliera è caduta presto su di me, rispetto al bellissimo e pericoloso giovane pino del fuoco inamovibile della distesa dei pesci. 
(ossia "Mi sono innamorato subito di quella donna bellissima e pericolosa")

B.
(su) quell'albero di Odino conduce, del trogolo di spine, della dimora del conflitto, il gigante delle briglie della gigantessa.

C.
La presa salda della magia. L'amore vince tutto; cediamo anche noi all'amore!

D. 
La presa salda della magia. L'amore vince tutto; cediamo anche noi all'amore!

Note:
Questo è un testo di magia seiðr. Le parti A e B sono composte di kenningar oscurissime, che hanno l'aspetto di pura poesia nonsense. La parte B è in assoluto la più difficile. Certe parole sono ai confini dell'intraducibilità. 
Come si può ben vedere, alla fine (parti C e D) è riportato e ripetuto un ben noto verso in latino: appare Virgilio nella sua veste medievale di mago! Doveva essere un contesto estremamente interessante dal punto di vista antropologico e culturale! Devo dire che non è affatto facile spiegare come abbiano fatto le parole di Virgilio a unirsi alla tradizione magica autoctona. 

Þundr è un antico nome di Odino (genitivo Þundar); 
jǫlun- può essere connesso con la rara parola poetica jǫll "distrurbo", "conflitto" (l'origine ultima è al momento ignota); 
glaumarr "gigante", da una radice che indica il rumore, specie se festoso (è una tipica kenning). 

Iscrizione runica N B380 

Traslitterazione:  

hæil ÷ se þu : ok : i huhum : goþom
þor : þik : þig÷gi : oþen : þik ÷ æihi : 

Normalizzazione: 

Heill sé þú ok í hugum góðum. Þórr þik þiggi, Óðinn þik eigi.

Traduzione: 

Salute a te e buoni pensieri. Possa Thor accoglierti, possa Odino possederti.

Note: 
Non ci sono dubbi sul fatto che chi ha inciso questa iscrizione era un attivo praticante dei sacrifici cruenti (blót). 

Iscrizione runica N B257 

Traslitterazione:

A. 
rist ek : bot:runar : rist : ek : biabh:runar : eæin:fal : uiþ : aluom : tuialt : uiþ trolom : þreualt : uiþ : þ(u)-- 

B.
uiþ enne : skøþo : skah : ualkyrriu : sua:at : eæi mehi : þo:at æ uili : læuis : kona : liui : þinu g- 

C.
ek sender : þer : ek se a þer : ylhiar : erhi ok oþola : a þer : rini : uþole : auk : i(a)luns : moþ : sittu : alri : sop þu : aldr(i) -

D. 
ant : mer : sem : sialþre : þer : beirist : rubus : rabus : eþ : arantabus : laus : abus : rosa : gaua --

Normalizzazione: 

A. 
Ríst ek bótrúnar, ríst ek bjargrúnar, einfalt við alfum, tvífalt við trollum, þrífalt við þ[ursum], 

B.
við inni skoðu skag valkyriu, svát ei megi, þótt æ vili, lævís kona, lífi þínu gr[anda], 

C.
ek sendi þér, ek sé á þér, ylgjar ergi ok úþola. Á þér hríni úþoli ok joluns móð. Sittu aldri, sof þú aldri

D. 
ant mér sem sjalfri þér beirist rubus rabus et arantabus laus abus rosa gaua ...

Traduzione: 

A. 
Io incido rune di aiuto, io incido rune di protezione, una volta contro gli elfi, due volte contro i mostri, tre volte contro gli orchi,

B.
contro la dannosa Valchiria Skag, affinché non possa mai, anche se lo volesse - donna malvagia! - ferire la tua vita 

C.
Io mando a te, io guardo su di te: malvagità e odio da lupo. Che l'angoscia insopportabile e la miseria del conflitto abbiano effetto su di te. Non ti siederai mai, non dormirai mai.

D.
Amami come te stessa!
(formule magiche di aspetto latino)

Note:
Si tratta di malocchio! È stato notato che l'iscrizione ha stretti parallelismi con gli amuleti magici presenti nella poesia eddica, in particolare il verso 36 del poema Skírnismál. Secondo l'edizione di Finnur Jónsson del 1932 e la traduzione del 2014 di Carolyne Larrington (con le interruzioni di riga modificate per corrispondere all'originale):

Þurs rístk þér
ok þría stafi,
ęrgi ok œði ok óþola,
svá ek þat af ríst
sem ek þat á ręist,
ef gęrvask þarfar þess.

Traduzione: 

Orco, incido per te
e tre rune, 
oscenità, frenesia e desiderio insopportabile;
posso scolpire via questo,
come l'ho inciso,
se c'è bisogno di ciò.

Si nota la parola jǫlun, qui al genitivo jǫluns, già vista nell'iscrizione runica N B145 (vedi sopra). La sua occorrenza conferma il significato attribuito. 

Iscrizione runica N 288 

Traslitterazione: 

uikigr-

Normalizzazione: 

Víkingr 

Traduzione: 

Vichingo

Note: 
Il testo è breve ma altamente significativo. Dimostra la persistenza dell'epiteto víkingr "vichingo", ossia "pirata", ben oltre l'anno 1066, che è considerato ufficialmente la "fine dell'Età Vichinga". Si noti che l'iscrizione N B288 è del tutto diversa: la catalogazione di questi documenti è molto caotica.

Iscrizione runica N B11

Traslitterazione: 

felleg er fuþ sin bylli
fuþorglbasm


Normalizzazione: 

Féligr er fuð sinn byrli
Fuðorglbasm

Traduzione: 

Amabile è la figa, possa il cazzo riempirla!
(rune ordinate dell'alfabeto Fuþork)

Note:
Questa è una tipica iscrizione erotica, che lascia ben poco all'immaginazione. 

Iscrizione runica B018

Traslitterazione: 

þr:inliossa:log:rostirriþatbiþa:(aþ) 
yþænþuæt[-]nuka:ældiriþsu(an)ahiþar: 
s(au)dælakumlynhuit(an)ha[--]klko 
lotak(ol)ahbohas(ol)ar:fiartar:tahs[--] [...]kuiþi 
þækanukabækiiar 

Normalizzazione: 

Traduzione: 
sconosciuta 

Note: 
Questa è una delle iscrizioni runiche scritte in quella che ha tutta l'aria di essere una lingua sconosciuta. Non mi risultano tentativi di normalizzazione e di traduzione di questo testo. Bisognerebbe chiedersi che lingua è mai questa e come riuscire ad identificarla. Forse un giorno qualcuno riuscirà a dare una spiegazione usando il norreno. In questo caso, si dimostrerà che l'intraducibilità era dovuta soltanto alla cattiva grafia (mancanza di separazione tra le parole, etc.) e all'uso di kenningar incredibilmente ostiche. Staremo a vedere come si risolverà la questione. 

Bigliografia 

Riporto il link all'articolo di Aslak Ljestøl, Rúnavísur frá Björgvin (in islandese), che discute ampiamente questo materiale runico: 


Molto interessanti sono anche queste pagine: 

https://www.arild-hauge.com/innskrifter4.htm

https://academytravel.com.au/blog/runic-writing-in-medieval-bergen

Riporto il link a un database delle iscrizioni runiche, ma la sua esplorazione si presenta abbastanza ardua:


Molti altri documenti sono presenti nel Web, basta dedicarci un po' di tempo, se si trova interessante l'argomento.


Il contesto anseatico (XIV secolo)

La Lega Anseatica (da hansa "coorte") aprì un suo importante ufficio a Bergen nel 1360, in cui i mercanti tedeschi controllavano l'esportazione dello stoccafisso norvegese e l'importazione di vari prodotti, tra cui i cereali e il sale. Questi mercanti della Lega facevano lavorare gente di Bergen e dell'interno montuoso, in condizioni molto dure. Fa un certo effetto constatare che tra i lavoratori vi erano molti pagani, residui di un mondo che è stato dato per morto da secoli dalle istituzioni scolastiche. Sono stato nel famoso Quartiere Anseatico di Bryggen nell'estate del 1992, il giorno dopo aver visitato il lebbrosario adibito a museo. Ho potuto vedere con i miei occhi che nei dormitori qualche lavoratore, proprio in prossimità delle cuccette, aveva inciso strani simboli. Tutto irradiava un'atmosfera orrenda di schiavitù, di sopportazione, di vita difficile.

martedì 20 giugno 2023


VILGARDO DI RAVENNA: 
NEOPAGANESIMO MEDIEVALE

Nei primi anni '70 del X secolo si registrò un fatto che possiamo soltanto definire degno della massima attenzione. In un contesto che il sistema scolastico si affanna a definire "solo ed esclusivamente cristiano", fece la sua comparsa un ribelle, un nostalgico del mondo pagano dell'antica Roma. Il suo nome era Vilgardo e fu un grammatico nella città di Ravenna. Immerso nei suoi studi e nelle sue letture classiche, sognava un mondo migliore, forse idilliaco, che credeva di poter realizzare con un'improbabile restaurazione dell'antica religione politeista romana. Tanto vivida era la sua immaginazione da fargli sperimentare esperienze allucinatorie intensissime: era davvero convinto che gli spiriti di Virgilio, Orazio e Giovenale gli avessero fatto visita. Il suo tentativo di comunicare al pubblico il suo mondo interiore gli costò la vita. Un'unica fonte storica ci parla di Vilgardo: Rodolfo il Glabro, monaco benedettino e cronista del XI secolo. Ecco il suo resoconto, ovviamente di parte, contenuto negli Historiarum libri quinque (Libro II, capitolo 12):

Ipso quoque tempore non impar apud Ravennam exortum est malum. Quidam igitur Vilgardus dictus, studio artis grammaticae magis assiduus quam frequens, sicut Italis mos semper fuit artes negligere caeteras, illam sectari. Is enim cum ex scientia suae artis coepisset, inflatus superbia, stultior apparere, quadam nocte assumpsere daemones poetarum species Virgilii et Horatii atque Juvenalis, apparentesque illi, fallaces retulerunt grates quoniam suorum dicta voluminum charius amplectens exerceret, seque illorum posteritatis felicem esse praeconem; promiserunt ei insuper suae gloriae postmodum fore participem. Hisque daemonum fallaciis depravatus, coepit multa turgide docere fidei sacrae contraria, dictaque poetarum per omnia credenda esse asserebat. Ad ultimum vero haereticus est repertus, atque a pontifice ipsius urbis Petro damnatus. 

Traduzione: 

"In quel periodo, anche a Ravenna si verificò un male non dissimile da quello sopra descritto (1). Un certo uomo di nome Vilgardo si dedicò con più zelo che costanza agli studi letterari, poiché era sempre abitudine italiana dedicarsi a questi a discapito delle altre arti. Poi una notte quando, gonfio d'orgoglio per la conoscenza della sua arte, aveva cominciato a rivelarsi più stupido che sapiente, gli apparvero dei demoni nelle sembianze dei poeti Virgilio, Orazio e Giovenale, fingendo gratitudine per l'amorevole studio che dedicava al contenuto dei loro libri e per essere stato il loro felice araldo alla posterità. Gli promisero, inoltre, che presto avrebbe condiviso la loro fama. Corrotto da questi diabolici inganni, iniziò pomposamente a insegnare molte cose contrarie alla santa fede e affermò che le parole dei poeti meritavano fede in ogni caso. Ma alla fine fu scoperto come eretico e condannato da Pietro, arcivescovo di quella città." 

(1) Qui Rodolfo il Glabro allude al protocataro Leotardo (Leutardus) di Vertus, che in realtà non ha nulla a che vedere con idee neopagane.

Dobbiamo notare una cosa alquanto singolare: essendo parte del mondo accademico dell'epoca, Vilgardo era un chierico con gli Ordini minori (tra cui la facoltà di praticare esorcismi). Si arriva così a un paradosso: un esorcista a tutti gli effetti che viene accusato di essere stato sedotto dai demoni fino a deviare completamente dalla stessa religione cristiana! La narrazione di storie come questa era ritenuta edificante, perché serviva a mettere in guardia il gregge dei fedeli dalle opere attribuite al Maligno. Ovviamente manca a Rodolfo il Glabro ogni capacità di comprendere le cause dell'accaduto, da lui interpretato come un segno funesto dell'avvicinarsi della Fine dei Tempi (Quod praesagium Joannis prophetiae congruit, etc.). Il monaco benedettino non ci elenca gli insegnamenti di Vilgardo, le "molte cose contrarie alla santa fede", anche se possiamo facilmente intuirli; riporta invece con orrore un'unica proposizione sulla Verità che si trova nelle opere degli antichi poeti anziché nelle Scritture. È come se descrivesse un tentativo di totale distacco dalla realtà sociale e culturale dei suoi tempi. Robert Black (2001) ritiene che si trattasse di una semplice passione per la letteratura latina, serpeggiante tra i chierici ravennati e ritenuta diabolica dalle autorità ecclesiastiche (un arcivescovo rigoroso, un monaco fanatico e apocalittico, etc.). I tentativi di decostruzionismo sono del resto molto frequenti agli inizi del XXI secolo. 

Rodolfo il Glabro ci dice che in Italia furono trovati e uccisi numerosi neopagani. Ecco il passo in questione: 

Plures etiam per Italiam tempore hujus pestiferi dogmatis reperti, quique ipsi aut gladiis aut incendiis perierunt.  

Traduzione: 

"Molti altri che professano questa dannosa dottrina sono stati scoperti in tutta Italia, e anche loro sono morti, giustiziati con la spada o con il fuoco." 

Nonostante queste evidenze, non è chiaro se Vilgardo abbia avuto seguaci. Sono abbastanza scettico sul fatto che il grammatico di Ravenna abbia potuto dare origine a un movimento capillarmente diffuso nell'intera Penisola. Di questi fermenti neopagani non trovo altre documentazioni. Il fenomeno meriterebbe uno studio più approfondito. Focolai di ribellione neopagana potrebbero essere nati per reazione alla natura squallida ed oppressiva del feudalesimo, in modo indipendente in diverse regioni. In altri termini, sarebbe un movimento multicentrico. La speranza è che emergano nuovi documenti in grado di colmare le gravi lacune nella nostra conoscenza dell'accaduto.  
Il riferimento all'anomala comparsa dei misteriosi eretici Sardi, menzionati da Rodolfo subito dopo i supposti seguaci di Vilgardo e a loro associati, dimostra che il cronista aveva le idee molto confuse e approssimative sul complesso mondo della dissidenza religiosa. Ovviamente, di tutte queste cose, sui libri di scuola non si trova la benché minima menzione. Non sono nemmeno note a piè di pagina. 

Etimologia di Vilgardo

Il nome Vilgardo (latino Vilgardus) è di chiara origine gotica: *Wiljagards "Corte della Volontà" o "Casa della Volontà". Notiamo il passaggio dalla semiconsonante /w/ a una fricativa /v/, come notato anche in altri nomi di origine gotica, in netto contrasto con l'evoluzione di tale fonema nella lingua dei Longobardi, che invece ha portato allo sviluppo di un elemento velare, dando origine a /gw/. La trafila deve essere stata questa: 

*/'wiljagards/ => */'wiligard/ => */'vilgard/,
latinizzato in /vil'gardus/

Esistevano a Ravenna discendenti degli Ostrogoti: non dimentichiamoci che quella città è stata la capitale del Regno Ostrogoto. Abbiamo a che fare con un antroponimo di estremo interesse, del cui studio quasi nessuno sembra essersi finora occupato - anche se non presenta criticità alcuna. I dettagli della sua evoluzione fonologica sembrano far pensare alla lunga sopravvivenza di una forma consunta della lingua dei Goti in un'area che fu a lungo sottoposta al dominio bizantino, finendo conquistata dai Longobardi soltanto nel 751.  

Il problema della pronuncia del latino 

Vilgardo con ogni probabilità utilizzava la pronuncia carolingia del latino, data l'epoca in cui visse. Come gli avranno parlato le apparizioni di Virgilio, Orazio e Giovenale? In che modo avranno pronunciato le parole della lingua di Roma? Evidentemente avranno utilizzato la stessa pronuncia a cui Vilgardo era abituato. Non c'è altra possibilità. Se avessero utilizzato la reale pronuncia del latino aulico dell'antica Roma, è ben possibile che il grammatico ravennate avrebbe fatto molta fatica a comprendere quanto gli veniva detto. Si sarebbe stupito non poco e ne sarebbe rimasto deluso. Egli infatti si cullava nell'illusione di possedere una reale e affidabile conoscenza del mondo antico. Nonostante quello che è popolarmente creduto, la demonologia e la necromanzia sono incapaci di accedere alla vera conoscenza delle cose. L'irreversibilità degli eventi rende impossibile consultare davvero le voci dei Morti. Non si può dimostrare che esista un intervento in grado di prendere un discorso realmente pronunciato da un defunto e di portarlo nella nostra realtà. 

Un problema nell'eresiologia ecclesiastica 

La Chiesa Romana non ha mai saputo distinguere due situazioni a mio avviso del tutto diverse: 

1) Appartenenza a una religione organizzata, che tramanda di generazione in generazione una dottrina considerata eretica; 
2) Sviluppo di una dottrina considerata eretica in un singolo individuo, a causa di una personale esperienza di vita o della lettura di testi.

Nel primo caso, si tratta di qualcosa di vivo e vitale che viene trasmesso e che si trasmette a sua volta, per mezzo della continuità. Nel secondo caso invece si ha un processo discontinuo. La Chiesa Romana, a cui interessa soltanto contrastare ciò che ritiene una forma di "malattia dello spirito" con le caratteristiche di un contagio, teme che ogni dissidente, quale che sia l'origine della sua dissidenza, possa diventare un eresiarca, diffondendo le sue dottrine e organizzando un movimento.  

Link utili

Rodolfo il Glabro, Historiarum libri quinque, testo completo in latino:

Silvana Arcuti (2015), Fermenti spirituali e dissenso religioso nell'Europa medievale 

Giorgio Cracco (1980), Le eresie del Mille : un fenomeno di rigetto delle strutture feudali? 

Giancarlo Benelli (2001), Storia di un altro Occidente, capitolo 5 

venerdì 16 giugno 2023


LA RIVOLTA DEGLI STELLINGA

I
frilingi (uomini liberi) e i lazzi (liberti) furono le due caste del popolo dei Sassoni di Germania, che nei primi anni '40 del IX secolo diedero vita alla rivolta degli Stellinga ("compagni d'armi", "camerati"), scagliandosi contro i loro signori. In tedesco moderno il movimento è anche denominato Stellingabund, ossia "Lega degli Stellinga". Scopo precipuo degli Stellinga era quello di recuperare i diritti goduti in epoca anteriore alla cristianizzazione forzata dei Sassoni ad opera di Carlo Magno. Il Sovrano dei Franchi aveva favorito gli edhilingui, ossia i nobili, che erano stati lesti ad accomodarsi col suo potere e ad accettare la nuova religione, anche perché soggetti a forme più o meno elaborate di intimidazione e di corruzione. Per contro, i frilingi e i lazzi, accesi sostenitori degli antichi culti pagani, costituivano continui focolai di resistenza, così furono ridotti allo stato di meri contadini. Oltre al recupero dei diritti politici, i frilingi e i lazzi intendevano abolire l'obbligo di seguire la religione cristiana, lasciando ai singoli il diritto di professare liberamente il paganesimo. Si chiedeva di fare ritorno all'antica legge dei Sassoni tramandata oralmente, che era stata abolita dalla Lex Saxonum (782 - 803) e dai due capitolari sassoni (782 - 795; 797) - ossia dalla legge messa per iscritto da Carlo Magno. In pratica l'obiettivo era la restaurazione dell'antico modo di vivere. I contadini sassoni erano terrorizzati all'idea di perdere il sostegno degli Dei e degli Antenati, a cui erano legatissimi. I nobili erano poco valorosi, temevano di perdere i loro privilegi ed erano convinti che il Dio dei Franchi li avrebbe protetti meglio. 
In particolare, la legge imposta da Carlo Magno proibiva il Thing, assemblea democratica in cui nei tempi della Sassonia libera tutte le parti sociali avevano la loro rappresentanza. Questa istituzione antichissima, già descritta da Tacito, era il cuore stesso dell'identità germanica, che mal tollerava ogni forma di imposizione tirannica. La politica era confusa con la religione: si compivano riti e si prendevano decisioni anche servendosi delle sorti. Ai tempi dell'indipendenza, ogni anno si teneva un grande Thing cantonale nel luogo chiamato Marklo ("Bosco sacro dei confini"), che era il centro cultuale e decisionale dell'intera Sassonia. Gli Stellinga erano ben consapevoli dell'importanza del Thing di Marklo, di cui chiedevano la restaurazione. 
La rivolta si estese in tutta la Sassonia, minacciando di eliminare la nobiltà e la Chiesa, rappresentando un pericolo concreto in grado di porre fine alla permanenza del potere carolingio e della stessa religione cristiana. È difficile immaginare come sarebbe andata la Storia se i ribelli avessero avuto successo!  

Le fonti storiche che parlano della rivolta degli Stellinga sono le seguenti: 
1) Nitardo (Nithard), Historiarum libri IIII
2) Rodolfo di Fulda, Translatio S. Alexandri 1
3) Gerardo (Gerward), Annales Xantenses
4) Prudenzio di Troyes, Annales Bertiniani;
5) Eginardo (Einhard), Annales Fuldenses sive Annales regni Francorum Orientalis

Le prime quattro di queste fonti sono considerate tra loro indipendenti. All'epoca gli eventi fecero grandissimo scalpore: i cronisti hanno dedicato più spazio agli Stellinga di quanto ne avessero a suo tempo dedicato all'incoronazione imperiale di Carlo Magno a Roma (Goldberg, 1995). Questo fatto è a mio avviso molto significativo.  

Un feroce sistema di caste

Tra i Sassoni le caste erano separate da un'antica proibizione, un tabù radicatissimo, tanto che i matrimoni misti erano puniti con la morte. Rodolfo di Fulda (Translatio S. Alexandri 1, pag. 675) afferma quanto segue: 

"Et id legibus firmatum, ut nulla pars in copulandis coniugiis propiae sortis terminos transferat, sed nobilis nobilem ducat uxorem, et liber liberam, libertus coniungatur libertae, et servus ancillae. Si vero quispiam horum sibi non congruentem et genere prestantiorem duxerit uxorem, cum vitae suae damno componat." 

Traduzione: 

"Ed è stabilito per legge che nessuno dei coniugi, unendosi in matrimonio, oltrepassi i confini della propria sorte, ma un nobile sposi una nobile, un libero una libera, un liberto una liberta e uno schiavo una schiava. Ma se qualcuno di questi sposasse una moglie che non gli si addice e che è più distinta per la sua stirpe, dovrebbe riparare con la perdita della propria vita."

I bastardi non erano tollerati. Il matrimonio con persone di altre stirpi germaniche non era ammesso. Gli stranieri erano odiati. 
Al di sotto dei lazzi c'erano gli schiavi (latino mancipia), che erano privi di qualsiasi diritto e considerati alla stregua di merda umana. Quella non era una società granché tollerante, in cui fosse facile vivere. 
Ossessionati dalla purezza delle caste, proprio come le genti dell'India, i Sassoni arrivavano a un livello di fanatismo che oggi ci appare inconcepibile: punivano con la morte ogni forma di sesso al di fuori del matrimonio, con la sola possibile eccezione dello stupro durante la guerra. Questi costumi severi ci sono attestati nell'opera dell'Arcivescovo Bonifacio (nato Wynfrith). Ci si lamenta della "sessuofobia" della Chiesa Romana? Ebbene, al confronto dei Sassoni antichi, i preti e i fratacchioni (dell'epoca) apparirebbero come "antesignani della liberazione sessuale"

Macchinazioni carolinge

È importante precisare che la rivolta degli Stellinga non fu qualcosa di spontaneo e comprensibile solo a partire dalla società sassone e dalle sue dinamiche interne. Il potere dei Franchi giocò un ruolo determinante nel quadro complesso delle alleanze e delle inimicizie. 
Era infatti in ballo qualcosa di cruciale: la spinosa successione del figlio di Carlo Magno, Ludovico I il Pio. Gli eredi, Lotario I, Carlo il Calvo e Ludovico I il Germanico, precipitarono l'Impero in una guerra civile. 
I frilingi e i lazzi furono fomentati abilmente dall'Imperatore Lotario I, che li indusse ad iniziare le ostilità: li incontrò in segreto nell'agosto dell'anno 841, chiedendo il loro sostegno contro i nobili alleati di Ludovico II il Germanico. Disse loro mille parole ingannevoli, permettendo i culti pagani e promettendo un implausibile ritorno della Sassonia all'indipendenza. Egli intendeva costringere suo fratello Ludovico II il Germanico a rinunciare ad ogni pretesa di fargli cedere parte del potere. Per questo motivo, decise di recargli il massimo danno, destabilizzando il suo dominio. In pratica, i popolani Sassoni furono usati come burattini, manovrati abilmente dal burattinaio. Lotario I aveva piena consapevolezza di ciò che stava facendo: guardava dall'alto un esteso panorama, prevedendo ogni mossa. Invece i popolani Sassoni non avevano alcuna consapevolezza, dato che la loro visuale era molto limitata. Non avevano la benché minima idea di ciò che si stava agitando nell'Impero e più in generale nella Cristianità. Non erano in grado di estendere il loro sguardo al di là delle loro minuscole entità tribali. È stato questo a fregarli, a farli cadere nella trappola. Erano stati indotti a commettere un atto che dalla legge dei Franchi era considerato "alto tradimento": questo stesso fatto avrebbe permesso la loro repressione. Non avrebbero potuto dimostrare, restaurata la legge dei Franchi, che era stato lo stesso Imperatore ad istigarli. 
Accadde così che sul finire dell'anno 841 i frilingi e i lazzi misero in atto le istruzioni di Lotario I e diedero inizio all'insurrezione contro gli edhilingui, cessando di considerarli loro legittimi padroni. Il movimento raccolse un'altissima adesione: la Sassonia era in fiamme! Gli Stellinga si abbandonarono a persecuzioni e a violenze di ogni genere, la cui inaudita gravità fu rimarcata dalle fonti storiche di parte franca. Infuriarono ovunque distruggendo chiese e monasteri, ferendo e uccidendo gli ecclesiastici. Il successo non poteva durare. Si trattava pur sempre di contadini con armi leggere, senza corazza. Ludovico II il Germanico riuscì a prendere il sopravvento. Dopo la pace provvisoria con il fratello Lotario I, a cui era stato costretto anche dalle caotiche condizioni in Sassonia, dall'estate dell'842 in poi si dedicò all'annientamento degli insorti. Istigò i nobili, promettendo loro la restaurazione della legge dei Franchi e il ritorno al pieno potere. Riuscì a far passare dalla sua parte anche quei nobili che sostenevano l'Imperatore e che erano stati da lui fatti espatriare perché fossero al riparo dalla furia degli StellingaLa repressione fu spietata. Ludovico II percorse la Sassonia spazzando via ogni resistenza. Ci furono nuovi focolai del movimento nell'843, ma furono distrutti senza difficoltà. Com'era da aspettarsi, era venuto a mancare ogni sostegno imperiale ai combattenti per i valori dell'antica Sassonia. A quanto pare, dopo l'843, non si sentì più parlare degli Stellinga

Prudenzio di Troyes (DCCCXLI. 115. 1392A-1392B) riporta quanto segue:

Lotharius terga vertens et Aquasgrani perveniens, Saxones ceterosque confines restaurandi praelii gratia sibi conciliare studet, in tantum, ut Saxonibus qui Stellinga appellantur, quorum multiplicior numerus in eorum gente habetur, optionem cuiuscumque legis vel antiquorum Saxonum consuetudinis, utram earum mallent, concesserit;  qui semper ad mala proclives, magis ritum paganorum imitari, quam christianae fidei sacramenta tenere delegerunt. 

Traduzione: 

Lotario, voltate le spalle e giunto ad Aquisgrana, si sforza di conquistare i Sassoni e il resto dei confini per ripristinare il favore della battaglia, al punto che ha concesso ai Sassoni chiamati Stellinga, che sono considerati il ​​numero maggiore nella loro nazione, la scelta di qualsiasi legge o antico costume sassone preferiscano; i quali, sempre inclini al male, hanno scelto di imitare i riti dei pagani piuttosto che attenersi ai sacramenti della fede cristiana. 

Esito della rivolta: 
Ludovico il Germanico, stroncata la rivolta, fece decapitare 140 capitani degli Stellinga, ne fece impiccare altri 14, mentre a moltissimi insorti furono amputati gli arti (Prudenzio di Troyes, Annales Bertiniani). 

Un articolo (Thompson, 1926), menziona una terza insurrezione degli Stellinga, che sarebbero ricomparsi circa dieci anni dopo, nell'852. L'autore rimanda agli Annales Fuldenses di Eginardo, ma analizzando la citazione riportata, non trovo altro che un resoconto delle beghe fondiarie e fiscali di Ludovico II il Germanico, senza alcuna esplicita descrizione di un movimento insurrezionale. 
Esistono comunque testimonianze del perdurare di resti del paganesimo sassone in epoca successiva. Come riportato da Adamo di Brema, nel 1013, quando il Vescovo Unwin giunse ad Amburgo, trovò riti pagani ancora celebrati in alcune parti della diocesi, con i digiuni della Chiesa ignorati e persino sacrifici di sangue (Thompson, 1926).

Glossario sassone  

ethiling "uomo nobile",
     pl. ethilingos, ethilingas, ethilinga 
  forma latinizzata: edhilingus, pl. edhilingui (1)
  glosse latine: pl. nobiles, nobiliores 
frîling "uomo libero",
     pl. frîlingos, frîlingas, frîlinga 
  forma latinizzata: frilingus, pl. frilingi 
  glosse latine: pl. ingenui, ingenuiles
lât "liberto" 
     pl. lâtos, lâtas, lâta 
  forme alto tedesche latinizzate: pl. lazzi, lassi, liti
  glosse latine: pl. liberti, serviles  
stellian "porre", "collocare", "mettere assieme" 
   collettivo stellinga "compagni di lotta", "camerati",
   forme latinizzate: pl. stellingae, stellingi 
   glosse latine: Stellingae, servi Saxonum seditiosi
   cfr. antico alto tedesco gistallo "compagno" 

(1) Il motivo dell'adattamento latino in -ui è semplicemente incomprensibile. 

Le parole sassoni hanno l'accento sulla prima sillaba, mentre le forme latinizzate hanno l'accento sulla penultima sillaba: 

sassone Stèllinga - latino Stellìngae 

La fallimentare analisi marxista 

Gli studiosi marxisti della Germania dell'Est (Stern, Bartmuß et al.) e dell'Unione Sovietica (Porshnev) hanno spiegato le cause della rivolta degli Stellinga in termini di "sfruttamento", "oppressione" e "lotta di classe". Eppure, nel contesto del IX secolo, sfruttamento, oppressione e società fortemente stratificata erano caratteristiche universali in Europa, il che non spiega come mai nell'Alto Medioevo ci siano stati così poche rivolte popolari di questo genere (Goldberg, 1995). Il problema è che l'ideologia marxista non riconosce l'estrema importanza della religione nei conflitti umani, ritenendola una pura e semplice emanazione delle classi dominanti per narcotizzare i sottoposti e impedire loro di insorgere. Invece qui vediamo che l'insurrezione non ha soltanto motivi politici ed economici: è una rivolta religiosa esplosa dopo mezzo secolo di oppressione spietata da parte di un potere invasore ed iniquo. La religione è un fatto viscerale, non razionale né razionalizzabile. Come ben si sa dall'esperienza, le religioni possono portare alla distruzione di beni materiali assai utili e alla rinuncia anche radicale a cose di per sé altamente convenienti. Gli Stellinga avrebbero preferito essere i soli padroni di se stessi nella miseria assoluta, piuttosto che essere coperti di ricchezze ma con un piede franco calcato sul collo! 

Link utili 

Raccomando la lettura dell'articolo di Eric J. Goldberg, Popular Revolt, Dynastic Politics, and Aristocratic Factionalism in the Early Middle Ages: The Saxon Stellinga Reconsidered, pubblicato nel 1995 su Speculum, volume 70, n° 3 (Luglio 1995), pagg. 467-501 (35 pagine)


Molto interessante è anche l'articolo di James Westfall Thompson, The Early History of the Saxons as a Field for the Study of German Social Origins, pubblicato nel 1926 su American Journal of Sociology, volume 31, n° 5 (Marzo 1926), pagg. 601-616:

giovedì 8 giugno 2023

IGIENE ANALE NELL'ANTICA ROMA: IL TERSORIUM O XYLOSPONGIUM

Come si pulivano il culo i Romani antichi dopo aver smerdato? Usavano uno strumento denominato tersōrium (da tergere, tergēre "pulire") oppure, con vocabolo di origine greca, xylospongium (da ξυλοσπόγγιον, xylospóngion, alla lettera: "legno e spugna", da ξύλον, xýlon "legno" e σπόγγος, spóngos "spugna"). 


Era una spugna marina fissata su un'asta di legno, che serviva in modo promiscuo nelle latrine pubbliche per le sacrosante necessità igieniche dello sfintere anale! Dopo l'uso, che era promiscuo, si sciacquava lo strumento in un canaletto, quindi si procedeva alla sua "sanificazione", immergendo la spugna in una soluzione acquosa di aceto e sale, che fungeva da "disinfettante". Si può essere a dir poco scettici sull'efficacia di tali misure igieniche, ma a quei tempi non esisteva di meglio. Le malattie più disparate si trasmettevano nelle latrine. Ovunque pullulavano patogeni fecali come Escherichia coli. Le epatiti erano rampanti, come le infestazioni di vermi e via discorrendo. Se andava storta, si moriva male. Non erano tempi molto felici per gli amanti dell'anilungus


La fine di un'annosa controversia

Come sempre, è necessario combattere contro coloro che sostengono insensatezze e tentano con ogni mezzo di "decostruire" le cose più ovvie. Così c'è chi porta avanti l'idea che lo xylospongium fosse in realtà una specie di scopino usato per pulire le latrine, analogamente a quelli in uso ancora oggi per la tazza del WC. Tra questi ci sono molti genialoidi attivi sui social, ma anche uno studioso, Gilbert Wiplinger (2009, 2012). Usando la potenza della logica, è possibile confutare con facilità questa idea inconsistente. 


La struttura stessa delle latrine romane dimostra che lo xylospongium poteva servire unicamente all'igiene anale. Ci si sedeva su una cavità che si apriva su un flusso d'acqua alimentato dalle terme. Non era una tazza come quelle su cui noi ci sediamo ai nostri giorni, che hanno un'uscita stretta e la necessità di uno scarico per rimuovere i prodotti dell'intestino. Le nostre latrine necessitano di pulizia tramite uno scopino proprio perché possono rimanere residui fecali aderenti alla struttura. Ma nell'antica Roma non esisteva niente di tutto ciò. Riporto in questa sede alcune immagini che provano al di là di ogni dubbio quanto sostengo, così chiunque può ben vedere dove si posavano beati i culi romani, dai nobili agli schiavi! Il peccato di Wiplinger e dei suoi seguaci è il cosiddetto "presentismo storico": dando per scontata la struttura delle odierne latrine, costoro l'hanno automaticamente proiettata nel passato romano. Sbagliando, com'è ovvio. 


Una testimonianza di Seneca 

Nell'opera del grande filosofo stoico del I secoo d.C. Lucio Anneo Seneca (Epistulae morales ad Lucilium, Libro LXX, 20-21) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio):

20. Nuper in ludo bestiariorum unus e Germanis, cum ad matutina spectacula pararetur, secessit ad exonerandum corpus, nullum aliud illi dabatur sine custode secretum; ibi lignum id quod ad emundanda obscena adhaerente spongia positum est totum in gulam farsit et interclusis faucibus spiritum elisit. Hoc fuit morti contumeliam facere. Ita prorsus, parum munde et parum decenter: quid est stultius quam fastidiose mori? 
21. O virum fortem, o dignum cui fati daretur electio! Quam fortiter ille gladio usus esset, quam animose in profundam se altitudinem maris aut abscisae rupis immisisset! Undique destitutus invenit quemadmodum et mortem sibi deberet et telum, ut scias ad moriendum nihil aliud in mora esse quam velle. Existimetur de facto hominis acerrimi ut cuique visum erit, dum hoc constet, praeferendam esse spurcissimam mortem servituti mundissimae. 

Traduzione: 

20. Recentemente, nei giochi tra gladiatori e bestie feroci, uno dei Germani, mentre si stava preparando allo spettacolo mattutino, si appartò per andare di corpo, essendo l'unico momento in cui potesse rimanere da solo senza sorveglianza; lì prese un bastone, con una spugna attaccata usata per pulire gli escrementi, e se lo infilò in gola e morì soffocato. Così fece un oltraggio alla morte. Proprio così, in modo immondo e indecente: chi è più stupido di chi muore in maniera fastidiosa?
21. O uomo forte, degno di scegliere il proprio fato! Quanto fermamente avrebbe potuto usare la spada, quanto coraggiosamente avrebbe potuto gettarsi nel mare profondo o in un burrone. Nonostante fosse privo di ogni mezzo, eppure riuscì a trovare il modo di darsi la morte e l'arma, sapendo che l'unico ostacolo alla morte è l'assenza di volontà: egli ce lo dimostra. Ognuno pensi come vuole l'atto di quest'uomo, ma si constati che, piuttosto di una schiavitù pulitissima, deve essere preferita la morte sporchissima.

Considerazioni lessicali:
La parola obscēna (neutro plurale) può essere tradotta con "escrementi", ma anche con "organi genitali" e "sfintere anale". Questa denominazione era derivata da antichissimi tabù. Il fatto stesso che lo xylospongium avesse il manico indica la precisa volontà di evitare il più possibile qualsiasi contatto tra le mani (con cui tra l'altro si mangiava) e il deretano. Questo spiega lo straordinario successo dello strumento, che ha sostituito i precedenti sistemi di pulizia anale. 


Una testimonianza di Marziale

Nell'opera del grande poeta ed epigrammista del I secolo d.C. Marco Valerio Marziale (Libro XII, 48) leggiamo quanto segue (il grassetto è mio): 

Boletos et aprum si tamquam vilia ponis 
   et non esse putas haec mea vota, volo: 
si fortunatum fieri me credis et haeres 
  vis scribi propter quinque Lucrina, vale.
lauta tamen cena est: fateor, lautissima, sed cras 
  nil erit, immo hodie, protinus immo nihil,
quod sciat infelix damnatae spongia virgae
  vel quicumque canis iunctaque testa viae: 
mullorum leporumque et sumini exitus hic est,
  sulphureusque color carneficesque pedes. 
non Albana mihi sit commissatio tanti 
  nec Capitolinae pontificumque dapes; 
imputet ipse deus nectar mihi, fiet acetum 
  et Vaticani perfida vappa cadi. 
convivas alios cenarum quaere magister 
  quos capiant mensae regna superba tuae: 
me meus ad subitas invitet amicus ofellas: 
  haec mihi quam possum reddere cena placet.

Traduzione: 

Se mi metti davanti funghi e cinghiale come se fossero cose da nulla (1)
e ritieni che non siano ciò che desidero, allora li voglio:
ma se credi che possa far fortuna e vuoi che ti nomini
mio erede per cinque ostriche del lago Lucrino, ti saluto. 
La cena tuttavia è sontuosa: lo riconosco, molto sontuosa,
ma domani non sarà nulla, anzi neanche oggi, senz'altro 
proprio nulla, che conosca la funesta spugna 
della maledetta asta o qualunque cane o il coccio sul lato della strada: questo è il risultato delle triglie, delle lepri 
e della tetta di porco, colorito sulfureo e piedi gottosi 
che torturano. 
Le gozzoviglie di Albano non valgano la pena,
né i banchetti capitolini dei pontefici (2)
lo stesso dio mi rinfacci il nettare, che divenga aceto 
e insano vino svaporato del barile vaticano
Cercati altri convitati, o datore di banchetti, 
che possano catturare i regni superbi della tua tavola,
quanto a me, l'amico m'inviti alle focacce improvvisate: 
mi piace la cena che posso ricambiare. 

Note: 
(1) I Romani non disprezzavano affatto la carne di cinghiale, con buona pace dei fumetti di Asterix.
(2) Si vede come i fasti della Chiesa di Roma hanno chiare origini pagane, traendo origine dalla religione imperiale, come lo stesso termine Pontefice.

   
La testimonianza delle terme dei Sette Sapienti 

Questo è il testo che compare su un affresco del II secolo d.C., nelle terme dei Sette Sapienti a Ostia Antica: 

verbose tibi / nemo / dicit dum Priscianus / [u]taris xylospongium nos / [a?]quas

Traduzione: 

"nessuno dice così tante parole come noi a te, Prisciano: usa la spugna sul bastone, [mentre] noi [usiamo] l'acqua" 

Evidentemente la persona a cui era rivolto l'invito, questo Prisciano, era uno zozzone che non si puliva l'ano e smerdava le vesti, rimediando figuracce barbine. Con tutta probabilità in un'occasione ha avuto la diarrea e i suoi compagni l'hanno aiutato a lavare gli abiti insudiciati. Simili scritte oscene sono un costume inveterato che è sopravvissuto a lungo nell'Urbe. 

La testimonianza di Claudio Terenziano 

In una sua lettera al padre Claudio Tiberiano (Claudius Tiberianus), un certo Claudio Terenziano (Claudius Terentianus), vissuto nel II secolo d.C., scriveva quanto segue:

Non magis quravit me pro xylospongium sed su(u)m negotium et circa res suas 

Traduzione: 

"Non gli importava di me più di una spugna da culo, ma piuttosto dei suoi affari e delle sue faccende." 

Questo prova che il nome dello strumento igienico era usato come metafora di "persona che non conta nulla" o simili. 


Un prezioso mosaico

Esiste almeno una raffigurazione artistica dell'uso concreto dello xylospongium. Si tratta di un mosaico rinvenuto nel 2018 ad Antiochia ad Cragum, in Anatolia, in una latrina risalente al II secolo d.C. realizzato con la tecnica dell'opus vermiculatum. Dato che un'immagine vale più di mille parole, la riporto in modo che tutti possano vederla coi propri occhi. Non può esserci il benché minimo dubbio! Vediamo un uomo dall'espressione languida, con un naso spropositato, quasi come a un Pinocchio ante litteram, che procede a passarsi la spugna sul deretano maneggiando abilmente il manico di legno. Il nome dell'uomo è scritto proprio sopra, in caratteri greci: ΝΑΡΚΙΣΣΟΣ (Narkissos), cioè Narciso
Da questa raffigurazione sappiamo per certo che l'operazione  di pulizia veniva effettuata da seduti. Questo concorda con quanto era già stato ipotizzato. In un dotto articolo sulla storia delle latrine, pubblicato nel 2011 sulla Stuttgarter Zeitung, Robin Szuttor ha descritto in modo dettagliato come lo xylospongium veniva inserito tra le gambe per pulire l'ano e poi spremuto in un secchio pieno d'acqua. 


Un'altra immagine, proprio a fianco di quella di Narciso, rappresenta invece Ganimede rapito da un grosso airone che è in realtà Zeus (nel mito originale compare però di un'aquila). Si riconosce all'istante il nome scritto in caratteri greci: ΓΑΝΥΜΗΔΗΣ (Ganymēdēs). Ebbene, il giovane effeminato tiene in mano proprio uno xylospongium: è stato ghermito mentre stava defecando! A quanto pare, gli scopritori del mosaico non hanno ben compreso la natura di queste immagini, ad esempio interpretando il manico dello xylospongium usato da Narciso come il suo pene. Se quella fosse la raffigurazione di un fallo eretto, sarebbe grossolana oltre ogni limite concepibile! 


Le origini problematiche dello strumento 

Data l'origine greca del termine xylospongium, si potrebbe pensare che Roma abbia conosciuto questa miglioria igienica dalla Grecia, che ha esportato tante altre costumanze raffinate. Tuttavia, le evidenze storiche dimostrano il contrario. I Greci, prima di entrare in contatto con Roma, utilizzavano mezzi grossolani e rudimentali per pulirsi il deretano: le pietre (πεσσοί, pessoi) o i cocci di ceramica (ὄστρακα, ostraka). Le emorroidi imperversavano, anche perché il materiale non sempre era liscio. Spesso la pietra usata era piccola e doveva essere un gioco di destrezza evitare di rimanere con le mani sporche di merda. Un detto popolare affermava che per pulirsi "di pietre ne bastano tre". Ne emerge un'assenza di tabù verso il contatto con le feci e con l'ano, vista anche la grande diffusione della pederastia, che era aborrita soltanto a Sparta. Mi sono imbattuto nel Web nell'ipotesi di un'origine egizia dello xylospongium, il cui uso si sarebbe diffuso in seguito ai primi contatti tra il mondo ellenico con la Terra del Nilo. Analizzando la questione, non è tuttavia possibile trovare prove convincenti dell'uso di spugne, fissate o meno su aste, per la detersione degli ani faraonici! Il costume attestato è quella dell'uso assiduo dell'acqua e del natron (carbonato di sodio idrato), oltre che di essenze profumate per rintuzzare ogni emergere di cattivi odori. In Grecia si ha invece un'interessante testimonianza dell'uso di una semplice spugna per finalità igieniche (non propriamente di uno xylospongium) in Aristofane (V secolo a.C.), anteriore al Regno Tolemaico in Egitto. Nella commedia Le rane (Βάτραχοι, Bátrakhoi, 460-490), accade che Dioniso ha un incoercibile attacco di diarrea e non riesce a trattenersi: chiede dunque una spugna per pulirsi. Probabilmente, in caso di diarrea, tra gli Elleni si usava la spugna perché pietre e cocci di ceramica non erano di grande utilità in una situazione così critica. Ci si può chiedere se sia stata questa l'ispirazione che ha portato i Romani ad inventare lo xylospongium. Il nome greco deve essere stato attribuito per far sembrare il geniale strumento un prodotto della civiltà tanto ammirata, che le classi alte esibivano con snobismo. Si tratterebbe quindi di un falso atticismo.

Una soluzione al problema dello smegma

I numerosi resti di tessuto rinvenuti in una fossa biologica a Ercolano non erano serviti a detergere l'ano, con buona pace dell'archeologo ambientale Mark Robinson (2007) e di quanti hanno rilanciato la sua idea nei social. Avevano, se possibile, uno scopo ancor più vile: erano utilizzati per rimuovere lo smegma dai genitali! Sì, è quella roba, peggiore della merda, che i popolani chiamano "formaggio". Sono convinto che ulteriori e più approfondite analisi confermeranno quanto dico, trovando tracce lasciate sul tessuto dall'odiosa sostanza biancastra. 

La Sacra Spugna

A questo punto, finalmente avete tutti i mezzi per capire cos'era la spugna imbevuta di aceto con cui fu dato da bere a Cristo mentre agonizzava sulla croce: uno xylospongium! In pratica gli è stata somministrata dell'immondissima acqua di latrina, mista alle feci. Dopo aver ricevuto questo messaggio dalle guardie che lo schernivano dopo aver detto di avere sete, urlò e morì. Non pochi missionari evangelici che predicano per le strade, se sapessero ciò, forse commenterebbero: "Ora sai quanto ti ama"

martedì 30 maggio 2023

ETIMOLOGIA DELL'ANTROPONIMO NORMANNO BOEMONDO

Boemondo d'Altavilla, detto anche Boemondo di Taranto (tra il 1051 e il 1058 - 1111), figlio di Roberto il Guiscardo, Principe di Taranto (1015 - 1085), fu uno dei più cospicui comandanti della Prima Crociata. Conquistò Antiochia e ne divenne Principe. I manuali storici si occupano di riportare le sue vittorie e le sue sconfitte. Quello che a me interessa è l'etimologia del suo bizzarro antroponimo. Da dove potrà mai derivare Boemondo

A quanto sembra, questo nome non è attestato in norreno, come invece ci si aspetterebbe. Ne ho invano cercato tracce, senza trovare nulla. Non fa parte del ricchissimo patrimonio onomastico degli antichi Scandinavi. Potrebbe invece trovarsi nelle saghe norvegesi del XIV secolo, che erano traduzioni o adattamenti di testi in lingua francese antica, di argomento cavalleresco. In tal caso sarebbe passato dalla lingua d'oïl all'antico norvegese. Si converrà che non è affatto facile ricercare una data informazione, visto che il materiale spesso non è consultabile. Va già bene se si trovano dei file .pdf senza la possibilità di fare ricerche nel testo. 

Questo è tutto ciò che si riesce a recuperare nel Web: 

Forme attestate: Boiamund, BoamundBiamund,
     Baamund, Baamont 
Forme latinizzate: BohemundusBoemundus
     BuamundusBoamundus 
Greco (Anna Comnena): Βαϊμοῦντος (Baïmuntos
Italiano: Boemondo
     Buiamonte (Toscana, citato da Dante) 
     Baiamonte (Toscana, Sicilia) 
     Bajamonte (Veneto) 
     
Boimonte (Campania, Calabria) 
     Biamonte (Liguria) 

Forme moderne: 
  Italiano: Boemondo 
  Siciliano: Buimunnu  
  Francese: Bohémond
  Tedesco: Bohemund 
  Inglese: Bohemond 

Le forme attestate come Boiamund e simili dovrebbero trovarsi in documenti in latino e in opere in francese antico. Alcuni autori le enumerano tra le attestazioni di antroponimi dell'area dell'antico alto tedesco (Förstemann, 1856). 

La seconda parte del composto non presenta problemi: deriva in modo diretto dal protogermanico *-munduz "protettore", che si trova negli antroponimi maschili e ha la stessa radice di *mundō "protezione", "mano" (genere: femminile). L'esito norreno di *-munduz è -mundr (genitivo -mundar). 
Nelle lingue germaniche antiche si trovano moltissimi nomi propri di persona maschili formati con questo elemento.

Possibili etimologie germaniche: 

1) "Protettore dei ragazzi" 
Possibile primo membro del composto: norreno bófi /'bo:vi/ "ragazzo" (genitivo bófa); in islandese moderno è passato a significare "bandito". Il termine è derivato dalla stessa radice protogermanica *bō- che con diverse estensioni ha dato l'inglese boy e il tedesco Bube "ragazzo". Alfonso Burgio riporta quanto segue nel suo Dizionario dei nomi propri di persona (1992): "dal germanico Boemunt composto dalla radice munt, mund, difesa, protezione. Il primo elemento da bob, ragazzo. Il nome significa protettore dei ragazzi." Mi pare un'ipotesi abbastanza implausibile, anche perché non si trovano antroponimi composti formati a partire da questa radice. 
2) "Protettore dei Boi"  
Possibile primo elemento del composto: il nome della popolazione celtica dei Boi (gallico Boio-, attestato in antroponimi). Salvatore Carmelo Trovato, in Studi linguistici in memoria di Giovanni Tropea (Edizioni dell'Orso, 2009), riporta: "Bojen 'Boi' + *munda- 'protezione, difesa' = 'protettore dei Boi'." Mi pare un'ipotesi abbastanza implausibile. La popolazione celtica dei Boi è indicata da Trovato con la sua attuale denominazione tedesca, Bojen, segno che non è un esperto di lingue celtiche antiche.  

Etimologie marchianamente false: 
 
i) Boatus Mundi "Clamore del Mondo" 
Questa è una tipica etimologia popolare, che ignora ogni rudimento di grammatica e si basa unicamente sull'assonanza, spesso rozza. Non ha fondamento alcuno. 
ii) "Uomo forte" 
Questa "traduzione" è riportata nel lavoro di Carlo Ermanno Ferrari, Vocabolario de' nomi proprj sustantivi (1830). Non ha fondamento alcuno. 
iii) "Arciere" 
Questa "traduzione" è riportata nel sito Santi, beati e testimoni (www.santiebeati.it), che menziona un San Boemondo morto nel 1140 (solo una trentina di anni dopo la morte di Boemondo di Taranto), senza dettagli biografici né agiografia. Non ha fondamento alcuno.

Un'etimologia popolare biblica: 

Tutto inizia dall'oscura allusione a un gigante denominato Buamundus, protagonista di un racconto popolare andato perduto. Roberto il Guiscardo fece battezzare il figlio con il nome Marco (non certo tipico dei Normanni), per poi soprannominarlo Buamundus per via della massiccia corporatura che aveva già da bambino. La fonte di queste informazioni, a parer mio di attendibilità assai dubbia, è il monaco e storico inglese Orderico Vitale (1075 - 1142). Questo è il brano: "Marcus quippe in baptismate nominatus est; sed a patre suo, audita in convivio ioculari fabula de Buamundo gigante, puero iocunde impositum est", ossia "Marco è stato effettivamente battezzato così; ma da suo padre, che aveva ascoltato in una festa la favola del gigante Buamundus, (quel nome) è stato imposto allegramente al bambino". Il nome Buamundus altro non sarebbe che una deformazione popolare di Behemoth, nome ebraico della bestia di proporzioni immani descritta nella Bibbia (Libro di Giobbe) e raffigurata con le sembianze di un mostruoso ippopotamo. Se questo fosse vero, l'antroponimo Boemondo sarebbe un semplice soprannome pseudo-germanico. La sua somiglianza con i nomi germanici in -mund sarebbe dovuta a un'etimologia popolare. Un nome biblico sarebbe stato adattato dal volgo assumendo così l'aspetto di un nome germanico genuino. Una vicenda simile è quella dei rubicondi irlandesi che credevano Maria Maddalena una loro compaesana: sarebbero stati pronti a giurare e a spergiurare che il suo vero nome fosse Mary McDillon.   

Conclusioni:  

Che nome è Boemondo? È un nome norreno? È un nome franco, ascrivibile all'antico alto tedesco? Oppure è davvero un nome biblico passato attraverso l'usura fonetica del popolino? Perché non sembra essere esistito prima del figlio di Roberto il Guiscardo? Se fosse stato solo un soprannome, come mai avrebbe acquistato lo status di nome di battesimo tra i discendenti di Boemondo di Taranto? A cosa si deve la grande variabilità delle sue attestazioni, perdurate spesso fino ad oggi come cognomi? Per giungere a una conclusione ragionevole servono ulteriori studi e dati (forse perduti per sempre). Ricordo un professore che era solito dire: "Ci sono aspetti del Medioevo che non ci saranno mai noti, non li potremo mai conoscere." Ecco, mi pare che l'etimologia di Boemondo sia tra questi misteri. Quello che mi pare incredibile, è la totale assenza di interesse da parte del mondo accademico.