Quando una lingua adotta un alfabeto, cerca per quanto possibile di esprimere ogni suo fonema con una lettera adatta. Non sempre l'adattamento ha successo, ma il principio resta in linea di massima valido. In seguito all'adozione dell'alfabeto, poiché ogni lingua naturalmente evolve, l'adesione delle lettere ai fonemi può anche deteriorarsi, e in questo modo hanno origine le ortografie storiche. Ciò accade perché la scrittura tende ad essere molto resistente al cambiamento una volta che è stata codificata. In alcuni casi, due suoni diversi, scritti usando due lettere diverse, vengono a collassare in un suono unico.
Esempio:
In greco antico la lettera Y esprimeva il suono /ü/, ma il suo valore fonetico viene ad essere confuso con quello della lettera I nelle parole dotte di origine greca nelle lingue moderne. Così σύστημα dà origine a sistema (inglese system). Molti faticano a capire perché in alcune parole si debba scrivere y e in altre i: Dante Alighieri scriveva tranquillamente ydioma, non pochi americani scrivono prysm.
In greco antico la lettera Y esprimeva il suono /ü/, ma il suo valore fonetico viene ad essere confuso con quello della lettera I nelle parole dotte di origine greca nelle lingue moderne. Così σύστημα dà origine a sistema (inglese system). Molti faticano a capire perché in alcune parole si debba scrivere y e in altre i: Dante Alighieri scriveva tranquillamente ydioma, non pochi americani scrivono prysm.
Altre volte invece un suono viene a differenziarsi a seconda del contesto, dando origine a due o più suoni completamente diversi che però rimangono scritti con lo stesso carattere.
Esempio:
In ebraico il fonema /p/, scritto con la lettera פ (pe) ha sviluppato in fine di sillaba e in posizione intervocalica il suono /f/, cosicché la lettera in questione si trova ad avere due pronunce diverse.
In ebraico il fonema /p/, scritto con la lettera פ (pe) ha sviluppato in fine di sillaba e in posizione intervocalica il suono /f/, cosicché la lettera in questione si trova ad avere due pronunce diverse.
Il latino aveva così il suono velare /k/ scritto con la lettera "c". Quando questo suono iniziò a mutare davanti alle vocali anteriori /e/ e /i/, il carattere usato per scriverlo rimase immutato. Questa è la ragione per cui ancora oggi la lettera "c" è usata con due diversi suoni in lingue discendenti dal latino come l'italiano, lo spagnolo e il romeno.
C'è chi assurdamente pretende di far credere che il suono affricato palatale dell'italiano "cece" e "amici" già sussistesse nel latino imperiale, ma questa idea ridicola è contraddetta da numerosi fatti deducibili a partire dalla sola analisi del sistema usato dai Romani per registrare la parola.
Se per assurdo il suono palatale fosse esistito già nella lingua all'epoca dell'adozione della scrittura, ecco che sarebbe stato scritto con un carattere diverso da quello usato per il suono velare.
Notiamo che ad esempio l'umbro e il volsco, che avevano già mutato la velare /k/ in un suono palatale davanti a vocali anteriori quando avevano adottato la scrittura, avevano un segno speciale per esprimerlo.
Quando gli Umbri presero l'alfabeto dagli Etruschi, non riuscirono a distinguere graficamente /k/ da /g/ e /u/ da /o/, trascrivendo questi suoni alla maniera etrusca, ma furono per contro ben capaci di capire che parole come çersna "cena" avevano un suono più simile a /s/ che a /k/, e agirono di conseguenza usando un segno speciale (translitterato con "ç"). Quando dall'alfabeto etrusco passarono a quello latino, usarono un segno "ś" alterato a partire dalla lettera "s", o anche quest'ultima tal quale. Il passaggio all'alfabeto latino permise agli Umbri di esprimere alcuni cambiamenti che la loro lingua aveva subito e che la scrittura da loro usata in precedenza non erano stati registrati: l'oscuramento della /a:/ finale di parola in /o:/ e il rotacismo della sibilante sonora.
Quando gli Umbri presero l'alfabeto dagli Etruschi, non riuscirono a distinguere graficamente /k/ da /g/ e /u/ da /o/, trascrivendo questi suoni alla maniera etrusca, ma furono per contro ben capaci di capire che parole come çersna "cena" avevano un suono più simile a /s/ che a /k/, e agirono di conseguenza usando un segno speciale (translitterato con "ç"). Quando dall'alfabeto etrusco passarono a quello latino, usarono un segno "ś" alterato a partire dalla lettera "s", o anche quest'ultima tal quale. Il passaggio all'alfabeto latino permise agli Umbri di esprimere alcuni cambiamenti che la loro lingua aveva subito e che la scrittura da loro usata in precedenza non erano stati registrati: l'oscuramento della /a:/ finale di parola in /o:/ e il rotacismo della sibilante sonora.
Da qui si trae un primo indizio contro chi propugna l'anacronismo di una fantomatica pronuncia palatale antica: quando i Romani hanno preso la scrittura vi era soltanto /k/ a differenza dell'umbro che - repetita iuvant - era una lingua diversa ed evolutasi in modo indipendente.
Dall'indizio si può però chiaramente passare alle prove concrete. Sappiamo che il dittongo /ae/ era nell'antichità repubblicana un dittongo vero e proprio, discendente, con primo membro /a/. Sappiamo anche che CAESAR era letto con la velare /k/ e con il dittongo /ae/ (arcaico /ai/).
Infatti non soltanto il termine ha dato in tedesco Kaiser "Imperatore", ma in antico inglese ha dato cāsere. Il dittongo, adottato come /ai/ dai Germani, è evoluto regolarmente in /a:/ nella lingua anglosassone. Questi sono dati di fatto.
Adesso passiamo all'attacco. Siccome /ae/ aveva il primo elemento /a/ ai tempi di Cesare e di Augusto, colui che pretende di affermare la pronuncia palatale di "c" davanti a vocali anteriori non sa in nessun modo spiegare come questo suono avrebbe potuto esistere ai tempi di Cesare, visto che davanti ad "a" non si trova la "c" di cece nemmeno nello schema della pronuncia ecclesiastica.
D'altronde abbiamo chiara la testimonianza del poeta Ennio (239 a.C - 169 a.C.), che ci dà un'interessante allitterazione: Lumine sic tremulo terra et cava caerula candent "così di tremula luce brillano la terra e l'ampia volta del cielo".
Ora, siccome nei secoli la parola Cesare si è evoluta indubbiamente con il suono palatale, dando forme come italiano Cesare e via discorrendo, significa che questo suono si è sviluppato soltanto dopo che il dittongo /ae/ si è mutato in /e:/. Questo è in perfetto accordo con il fatto che la palatalizzazione è iniziata tardi.
Naturalmente i sostenitori della pronuncia monottongata "e" noteranno che esistono esempi di "e" per "ae" già nell'antichità. Tuttavia questo argomento non ha alcun significato, come mi accingo a mostrare con la massima evidenza.
A scanso di equivoci, si nota che si tratta di una pronuncia latina rustica di "ae" come "e", che era antica ed evidentemente dovuta a una tendenza presente anche nelle lingue sabelliche. La /e:/ prodotta da questo mutamento, che non si trovava nella lingua urbana, era un suono chiuso come quello di italiano "cena". Analogamente in questo modo di parlare il dittongo /au/ si monottongava in /o:/, anche in questo caso col suono chiuso come quello di italiano "ora". Esempi sono copo per caupo "taverniere", Clodius per Claudius, etc. Invece la riduzione di /ae/ in /e:/ nella lingua urbana ha avuto luogo più tardi e ha prodotto un suono aperto come quello dell'italiano "retto". Si tratta di due fenomeni diversi che non vanno confusi. Tutte le lingue neolatine derivano dalla lingua che aveva /ae/, non dal latino rustico dei tempi antichi.
Questo è in sintesi lo schema:
LATINO ARCAICO
(IE *ai > ai)
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----------------------------------
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† LATINO RUSTICO LATINO URBANO
(ai > e: chiuso) (ai > ae)
|
TARDO LATINO URBANO
(ae > e: aperto)
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LINGUE ROMANZE
Per quanto riguarda la "c" davanti a "i", si consideri la parola cicirrus "galletto", chiaramente onomatopeica e derivata dal verso dell'animale, che in italiano è trascritto tradizionalmente con chicchirichì. Chi proietta all'infinito nel passato la pronuncia palatale, non può spiegare questo nome, che tra l'altro in greco è trascritto da Esichio come κίκιρρος. La parola potrebbe essere passata in latino dall'osco, e qualcuno potrebbe pensare che per questo avesse il suono duro. Ma anche in questo caso, se per assurdo la lettera "c" avesse espresso il suono palatale davanti a "i" in latino, il termine con il suono velare sarebbe stato normalmente trascritto con un diverso carattere per render conto della diversa pronuncia, ad esempio *kikirrus. Questo però non è accaduto, perché di suoni palatali nel latino dell'epoca non ne esistevano.
Questo è in sintesi lo schema:
LATINO ARCAICO
(IE *ai > ai)
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† LATINO RUSTICO LATINO URBANO
(ai > e: chiuso) (ai > ae)
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TARDO LATINO URBANO
(ae > e: aperto)
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LINGUE ROMANZE
Per quanto riguarda la "c" davanti a "i", si consideri la parola cicirrus "galletto", chiaramente onomatopeica e derivata dal verso dell'animale, che in italiano è trascritto tradizionalmente con chicchirichì. Chi proietta all'infinito nel passato la pronuncia palatale, non può spiegare questo nome, che tra l'altro in greco è trascritto da Esichio come κίκιρρος. La parola potrebbe essere passata in latino dall'osco, e qualcuno potrebbe pensare che per questo avesse il suono duro. Ma anche in questo caso, se per assurdo la lettera "c" avesse espresso il suono palatale davanti a "i" in latino, il termine con il suono velare sarebbe stato normalmente trascritto con un diverso carattere per render conto della diversa pronuncia, ad esempio *kikirrus. Questo però non è accaduto, perché di suoni palatali nel latino dell'epoca non ne esistevano.
Già considerando quanto esposto sopra, l'idea della pronuncia palatale antica nel latino - priva di ogni valore nel mercato delle idee scientifiche - è da considerarsi alla stregua di un peana osceno di Benigni.
10 commenti:
correggo la frase Il primo punto da notare è che le attestazioni sono talmente tarde da non essere probanti. in Il primo punto da notare è che le attestazioni tedesche sono talmente tarde da non essere probanti.
Beh, spero che la manutenzione finisca presto, perché la tua pseudoscienza qui non è davvero gradita.
Detto questo, K fu reso inutile proprio perché aveva lo stesso suono di C. Se C fosse stato il segno usato per esprimere una palatale, non avrebbe mai potuto rimpiazzare K. La situazione è ben diversa rispetto a quella dell'umbro. Non solo l'alfabeto latino non ha adottato uno speciale carattere per un suono palatale inesistente, ma ha posto parzialmente rimedio all'esubero di grafemi.
Siccome non conosci pressoché nulla di filologia germanica e nonostante ciò pretendi di pontificare, dirò che la forma tedesca attuale deriva dall'antico alto tedesco Keisar. La forma Caesar è stata adottata molto presto dai Germani, come prova anche la forma dell'antico inglese, per non parlare della presenza di Kaisar nel gotico di Wulfila. Il greco scriveva Καισαρ proprio perché così si pronunciava quando la parola fu adottata. Le trascrizioni di nomi e parole latine in greco - ad esempio in Plutarco e Polibio - forniscono una eloquente dimostrazione di tutto ciò.
Per quanto riguarda il dittongo AE, le testimonianze di Lucilio e Varrone sono relative al latino rustico di cui ho parlato, che non è l'antenato diretto delle lingue romanze. Evidentemente non hai letto bene quanto ho scritto. E sì che ho anche incluso uno schema per rendere tutto ciò immediato. Se proprio non capisci, non è colpa di nessuno.
Potrei chiamare le tue idee "Teoria del Cece", vista la tua ossessione per questo legume: lo vedi e lo senti proprio dovunque. Ma l'escrescenza di cui si parla non ricorda tanto i tuoi beneamati ceci, quanto... le creste di gallo. Cicirrus è nome osco del galletto da combattimento e non del cece.
Il cosiddetto gioco di parole sosia-socium non è davvero tale (non credo proprio che -UM finale si pronunciasse come -A): si tratta semplicemente di un tentativo di rettifica da parte del personaggio che prima dice di essere Sosia, poi si corregge. Un qui pro quo che non dimostra proprio nulla: un guitto è maestro nel confondere l'interlocutore anche con trovate grottesche. Al massimo potrebbe trattarsi, ma è tutto da dimostrare, di una pronuncia italica assibilata in voga in alcuni registri volgari che in nessun caso possono essere ritenuti antenati delle attuali lingue romanze.
Ho letto bene, Antares, solo che non sono d'accordo con quel che affermi e sul tuo schema ho pietosamente taciuto.
La mutazione consonantica non c'entra nulla con i nomi toscani di origine longobarda dell'VIII secolo, perché nessuno lo parlava più il longobardo, nemmeno la piccolissima élite dominante ormai latinizzata. Ma tu sei di diverso parere.
Spiegare le forme del verbo parcere (parco, parcis, peperci/PARSI, PARSUM, parcere) è difficile con la restituta, come giustificare le doppie forme parcimonia e parsimonia, testimonianze dirette della C di cece (visto che ti piace...). Ma tu sei di diverso parere.
Come vuoi.
zilc
Lo dico ad Antares, la posta del cuore.
Dimenticavo Ulfila! Era Cappadoco e all'epoca della fondazione della nuova capitale dell'impero aveva 19 anni, quando gli imperatori risiedevano a Nicomedia (Izmit, in Turchia) fin dai tempi della Tetrarchia (Diocleziano imp. dal 284 al 305) . Quella K in Kaisar ti dice qualcosa o per te viene dal latino? Sorvoliamo pure per ora su Plutarco (nato nel 46 dc), del quale si cita solo (perché nella fantasia della restituta non esiste il suono della V) Oualerios per Valerius, senza maliziosamente mai citare le alternanze Νέρουα, Νέρβα; Σεουῆρος, Σεβῆρος e altre; eppoi, ancor peggio, su Polibio. Se vorrai ti dirò, se non avrai paura dei dati nudi e crudi che distruggono le tue certezze fondate soltanto sull'autorevolezza. Comunque già con Plutarco siamo fuori dai termini della cosiddetta pronunzia classica. In sostanza dire Kikero per Cicero è una bischerata.
Cerca di stare bene e pensa alla prostata
Zilc, adesso la mia pazienza è giunta davvero al limite. I tuoi escrementi concettuali d'ora in poi li vai a depositare da qualche altra parte. Quindi ti espello da questo spazio, perché se uno viene a casa mia a defecare ho il diritto di sbatterlo fuori a calci. Delle tue false e ridicole argomentazioni mi occuperò tramite post: ovviamente posso ribattere a ogni tua singola parola, ma non in questa sede e non adesso. Non intendo avere alcun dialogo diretto con uno come te, dato che il tuo solo fine è inquinare la conoscenza. Dedicati alla coltura della cicerchia e mangiane un piatto ogni giorno.
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