Alla parola italiana gobbo corrisponde in latino il vocabolo gibbus. Questo termine è rientrato nella lingua dei dotti come gibbo, donde ad esempio deriva il nome del gibbone, grossa scimmia ben nota agli etologi per le sue pratiche incestuose.
Appurato che italiano gobbo e latino gibbus hanno la stessa identica origine dal greco κυφός, vediamo che deve essere esistita una variante *gubbus. È proprio questa variante *gubbus ad aver dato la forma italiana, con regolare evoluzione della /u/ breve in /o/, dapprima chiusa e successivamente aperta /ɔ/. Ancora in epoca romana la parola greca κυφός aveva nella lingua colta una pronuncia /ky:'phos/ con vocale bemollizzata, ed è stata adattata come gibbus, con ogni probabilità tramite un intermediario etrusco, che potremmo ricostruire come *ciφe /'kiphə/ o *cuφe /'kuphə/.
È plausibile che la variante *gubbus riflettesse un diverso adattamento della parola greca in etrusco, anziché una variante dorica con /u/ non bemollizzata. Nell'adattamento delle parole etrusche in latino spesso si trovano occlusive sonore per rendere occlusive sorde e anche occlusive aspirate, come provato da numerosissimi esempi che avremo modo di discutere in altre occasioni. Una cosa è certa: se la parola fosse giunta in latino direttamente dal greco, avrebbe avuto una forma molto diversa.
In ogni caso vediamo che il latino gibbus non può aver avuto una pronuncia palatale della g- ab aeterno, perché tale suono non avrebbe la benché minima raison d'être nel contesto in cui la parola è entrata nella lingua. Niente gibboni romani, insomma, sarebbero qualcosa di insulso.
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