Del valore nutritivo dei clisteri; del dottore BUNGE. - La possibilità di una digestione cecale è stata messa in dubbio da molti fisiologi; mentre Viridet ammetteva la possibilità d'una seconda digestione cecale delle sostanze albuminoidi, e questa opinione era stata adottata anche da Tiedmann e Gmelin. Anche Béclard crede nella possibilità d'una digestione cecale, quando il succo intestinale non adoperato da una previa digestione possa affluire nell'ultima porzione dell'intestino. Le condizioni vengono allora modificate e l'intestino crasso può dar luogo ad una digestione più o meno perfetta, dovuta probabilmente all'azione del succo enterico. Molti fatti clinici vengono a confermare questa teoria e fra gli altri il seguente: Nel maggio 1867 Mégissier consultò il dott. Bunge per uno stringimento dell'esofago, che si poteva sentire dietro la trachea. Da 4 o 5 mesi, malgrado diversi trattamenti, fra quali però venne negletta la dilatazione meccanica locale, questo stringimento si accrebbe a tal punto da non lasciar passare che alimenti liquidi. Il collo al disotto della laringe presentava un rigonfiamento generale dovuto ad un grande ispessimento del tessuto connettivo, e in molti punti nell'atto della deglutizione si poteva riconoscere un'aderenza della pelle all'esofago. In seguito all'uso di sonde e di cateteri per tre settimane si poté ottenere una dilatazione bastevole per lasciar passare alimenti di consistenza poltacea. La dilatazione, l'uso di frizioni iodate, delle docce fredde durate 15 giorni recarono un notevole miglioramento, ed il malato fu nutrito per mezzo dell'iniezione di materie alimentari fatta per mezzo delle sonde esofagee. Nell'aprile del 68, forse in causa di un raffreddamento forte, sopravvenne al malato un flemmone del collo, che rese quasi impossibile la deglutizione. Il malato, che di per se solo introduceva la sonda facendo sforzi inopportuni, fece una falsa strada che si apriva nella trachea. Convenne dunque rinunciare affatto alla sonda e ricorrere all'unica risorsa rimasta dell'alimentazione artificiale per mezzo di clisteri di tuorli d'uova, brodi, zuppe, ecc. L'alimentazione rettale fu da sola adoprata per 59 giorni, cioè dal 20 aprile al 18 giugno. Nelle prime settimane il malato era debole e si lamentava di un senso penoso di sete; ma nella terza settimana non soffriva più né di fame, né di sete, né di dolori speciali; e solo si notava in lui un leggiero dimagramento. Nella nona settimana moriva per colite. Il dott. Bunge crede che senza la comparsa di questa ultima infiammazione il malato avrebbe potuto vivere molto tempo ancora coi soli clisteri, benché per altra parte sia lecito il sospettare che la colite sia stata prodotta dai maneggi ripetuti per iniettare nel retto sostanze alimentari. In ogni modo abbiamo il caso ben documentato di un uomo che, senza presentare notevole dimagramento, ha potuto vivere 59 giorni con clisteri nutrienti (Deutsche Klinik e La Sardegna Medica).
Questo testo medico, ormai datato - risale al XIX secolo - ha una sua utilità e trovo che la sua lettura sia oltremodo salutare: andrebbe raccomandata soprattutto a coloro che parlano di "irrealtà della sofferenza", pretendendo di affrontare il Male tramite il "distacco". A chi sostiene che il Principe Gautama predicò questo stesso distacco, si dovrebbe obiettare che se lo fece fu perché in vita sua non ebbe mai un ascesso. Che lo facesse proprio in questi termini, è tuttavia assai dubbio. Infatti Buddha sapeva bene che la sofferenza è insita in ogni essere senziente: nell'impermanenza di ogni cosa, il dolore è una costante, è l'unica cosa che accomuna i viventi.
Quando si hanno i vermi e le piaghe, quando le ferite gemono pus, quando ogni singolo movimento costa dolori atroci, si vedono le cose in modo molto ben diverso da come le può vedere un sovrano che scoppia di salute, e parole come "il Male è una cosa soggettiva" o "la sofferenza è priva di realtà" appaiono in tutta la loro natura grottesca, ridicola e blasfema. Il Male in tutte le sue manifestazioni è un dato di fatto con cui dobbiamo fare i conti, e a ricordarcelo sta la natura stessa del dolore, che quando si manifesta non permette compromessi. Sia esso fisico o morale. Sulla sua origine poi si può anche parlare per ore, senza arrivare da nessuna parte. Parlare di "distacco" quando si è ben pasciuti, non si hanno particolari problemi e si vive tra mille comodità è facile quanto vano. Parlare di "distacco" quando si ha un osteosarcoma e le metastasi hanno ormai invaso il corpo è ben più difficile, specialmente se non c'è un flusso costante di morfina a render possibile l'articolazione di un simulacro di pensiero.
Tempo fa ho letto un interessante aneddoto. Uno stoico che visse all'epoca di Nerone fu tormentato da un aguzzino effeminato, che gli ruppe una gamba con una spranga. Lo stoico non si scompose e rivolse al carnefice questa domanda: "Ecco, adesso che la gamba è rotta, cos'hai ottenuto?" Un simile filosofo merita rispetto e grande stima per il suo assoluto controllo sulle passioni e sul dolore, cosa che nemmeno un umano su un miliardo potrebbe possedere. Almeno egli agiva in tutto e per tutto in modo consequenziale alle proprie premesse. Inutile aspettarsi una simile coerenza con coloro che parlano oggi di "irrealtà del dolore" e di "distacco". Proprio non me li vedo affrontare la tortura come se fosse una specie di solletico.
(Il Volto Oscuro della Storia, 21 gennaio 2015)
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