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venerdì 14 maggio 2021

LA SPIEGAZIONE BIOLOGICA DEL CICISBEISMO: UN FENOMENO DI PARASSITISMO PROCREATIVO

Può sembrare incredibile a dirsi, eppure si ravvisano somiglianze impressionanti tra il modo di agire del cicisbeo del XVIII secolo e quello del cuculo (Cuculus canorus, Linnaeus 1758), un uccello obbligato al parassitismo procreativo, come ciascuno ben sa. Il cuculo sembra un grosso piccione strabico dal piumaggio ventrale striato. La sua parentela genetica più prossima è però con i pappagalli. 
 
 
L'attenta osservazione dell'azione parassitaria del cuculo ha portato ad alcune conclusioni sorprendenti, che fino a un passato recente non erano affatto scontate. Eccole, in estrema sintesi: 
 
1) Non è vero che la femmina del cuculo abbandona le uova nel nido altrui e fugge via: resta nascosta nei paraggi a sorvegliare che tutto proceda per il meglio, mettendo in atto tattiche mafiose di intimidazione qualora questo non avvenga; 
2) Non è vero che gli uccelli parassitati dal cuculo non si accorgono della natura dell'intruso loro affibbiato: lo nutrono per paura e subiscono terribili rappresaglie qualora cerchino di espellerlo dal loro nido. 
3) Non è un mistero come il giovane cuculo possa apprendere il suo caratteristico verso ("gukkù! gukkù! gukkù!"), perché la madre non si allontana mai davvero da lui fino a che non è diventato indipendente: il nidiaceo ha così tempo e modo di udire il verso di cuculi adulti e di impararlo. A emettere il richiamo è soltanto il maschio. Tuttavia è incontestabile che dove c'è una femmina, lì i maschi si aggirano infallibilmente.
 
Ovviamente riesce difficile fare paragoni tra un volatile e un essere umano, tuttavia mi arrischio a tentare l'impresa. Il cavalier servente riusciva nella sua opera di seduzione e deponeva lo sperma nel ventre della dama. Così facendo trasmetteva il proprio patrimonio genetico e impediva la trasmissione di quello del legittimo consorte. Stando sempre appiccicato alla sua Signora, non permetteva al di lei marito di accedere all'intimità coniugale. Se un uomo amava davvero sua moglie (cosa rara ma non impossibile), si ritrovava in casa il proverbiale terzo incomodo, cosa che di fatto vanificava l'essenza del matrimonio e ne lasciava intatta unicamente l'apparenza. 
 
 
Mater semper certa, pater nunquam. In questi casi cicisbeali si poteva avere qualche certezza sul padre, che però non era quello legittimo. Oggi le cose vanno diversamente: quando si vede un pargolo, la gente attribuisce senza indugio la sua origine "a mamma e a papà". L'ipocrisia borghese fa sì che queste stupidissime parole lallatorie, mamma e papà, siano usate persino quando un figlio è adottivo e non ha geni ereditati da chi lo cresce. All'epoca di cui stiamo trattando i percorsi erano più tortuosi, perché intervenivano le corna! Sono convinto dell'utilità di certi esercizi speculativi, così mi accingo ad arrischiarne uno - anche se ovviamente non ho a disposizioni moderni strumenti di analisi del DNA estratto da resti umani. Ecco una rudimentale analisi genetica dell'autore de I promessi sposi
 
Alessandro Manzoni (1785 - 1873)
1) parte materna: 
50% del corredo genetico da Giulia Beccaria;
2) parte paterna:
50% del corredo genetico da Giovanni Verri;
3) risultato del parassitismo procreativo:
0% del corredo genetico da don Pietro Manzoni.  

Stando al suo genoma, l'artefice della lingua che tuttora parliano quotidianamente era dunque era un Verri-Beccaria, non un Manzoni-Beccaria. Questi non sono pettegolezzi di male lingue, come spesso li liquidano gli accademici. Sono fatti incontrovertibili. Così scriveva Niccolò Tommaseo sul Manzoni: 

"Anco di Pietro Verri ragiona con riverenza, tanto più ch'egli sa, e sua madre non glielo dissimulava, d'essere nepote di lui, cioè figliuolo d'un suo fratello, cavaliere di Malta."
(Colloquii col Manzoni, pubblicati per la prima volta e annotati da Teresa Lodi nel 1928) 
      
Piero Angela direbbe che tutto questo è più che positivo, perché è una strategia riproduttiva che favorisce la trasmissione dei geni dei più adatti, facendo soccombere e disperdere nel Nulla coloro che la Natura ha sentenziato, definendoli "rami secchi". In fondo credo che la fortuna di poter adorare una Signora non l'avrò mai: solo e dannato, mi avvio verso la Morte Ontologica. Credo che anche Richard Dawkins concordebbe appieno con queste conclusioni, data la sua fissazione ossessiva sul gene egoista, con tutte le conseguenze che ne derivano. Qualcuno può forse confutare quanto ho esposto? 

sabato 3 aprile 2021

LA VITA E L'OPERA DI BRUNO SCHULZ, ADORATORE DEI PIEDI FEMMINILI

Bruno Schulz fu un artista polacco, che si distinse come disegnatore, scrittore, pittore, critico letterario e insegnante d'arte. Nacque nel 1892 a Drohobyč (Drohobycz), in Galizia, che all'epoca faceva parte dell'Impero Austroungarico, divenendo dopo il 1918 parte del Voivodato di Leopoli, divisione amministrativa della Polonia interbellica (attualmente appartiene all'Ucraina). La sua stirpe era ashkenazita. Tecnicamente è da considerarsi polacco, anche se ai nostri giorni le idee sono abbastanza confuse: quelle strane terre dell'Est hanno più volte cambiato denominazione e appartenenza nazionale, dando origine a migrazioni e rimescolamenti di popoli. Il padre di Bruno, Jakub Schulz, era un mercante di stoffe, mentre la madre si chiamava Henrietta Kuhmärker. Nonostante il suo cognome germanico, la sua lingua nativa era il polacco. Pur conoscendo molto bene il tedesco, si trovava abbastanza a disagio con lo yiddish, che a rigor di logica avrebbe dovuto essere la sua prima lingua. Disgraziatamente molte sue opere letterarie furono perdute nel corso dell'Olocausto: tra queste diversi racconti brevi e il romanzo incompiuto Il Messia (Mesjaz). Una raccolta di lettere dell'autore è stata pubblicata in polacco nel 1975, intitolata Il libro delle lettere (Księga listów), così come una serie di saggi critici scritti per vari giornali. 

 
Riporto nel seguito una succinta cronologia della tormentata esistenza di questo artista, purtroppo ancora poco conosciuto al grande pubblico.
 
1910: Bruno si iscrive al Politecnico di Leopoli (attuale Ucraina).  
1915: Muore il padre di Bruno, malato da anni (per motivi di salute aveva chiuso il negozio di stoffe dal 1910). Il lutto ha come conseguenza l'interruzione degli studi e il trasferimento a casa della sorella, Hanna Hoffman, vedova con due figli.      
1917: Bruno si trasferisce a Vienna. Riprende gli studi di architettura ma con scarso successo. Non riuscendo a conseguire la laurea, torna in Galizia. Svolge il ruolo di insegnante in un ginnasio della sua città di origine, dedicandosi al contempo al disegno e alla letteratura. 
1920-1922: Bruno compone il Libro Idolatrico (Księga Bałwochwalcza). È un'opera sensualissima che mostra lo stesso autore intento a tributare adorazione assoluta alla Femmina Dominatrice.
1931: Muore la madre di Bruno. Sono assolutamente certo che l'artista fosse legato a lei in modo morboso. Le tragedie non si fermano: dopo quattro anni muore anche suo fratello maggiore Izydor, che lascia tre figli.  
1933-1937: Gli amici di Bruno, tra cui la scrittrice Zofia Nałkowska, lo spingono a pubblicare racconti. Questi suoi scritti compaiono nelle seguenti raccolte: Le botteghe color cannella (Sklepy cynamomowe, 1933; titolo inglese The Street of Crocodiles) e Il sanatorio all'insegna della clessidra (Sanatorium pod Klepsydra, 1937), quest'ultimo con 42 illustrazioni di suo pugno. Le amiche sono in genere le peggiori torturatrici: se la Nałkowska si fosse concessa a lui, facendosi adorare, avrebbe evitato una tragedia della Natura. Invece no. Da sempre le donne uccidono gli spasimanti con frasi di questo tipo: "Ti vedo come un amico", "Possiamo essere soltanto amici", "Grazie della tua amicizia". Perché? Perché preferiscono fellare gli energumeni. Ecco perché. Per fare sesso bisogna essere bruti come i gorilla. Chi ha l'animo sensibile è dannato. 
1938: Bruno pubblica il racconto La cometa (Kometa). Porta avanti la scrittura del romanzo Il Messia (Mesjasz), iniziato nel 1934. In questo periodo le sue opere attirano importanti esponenti della cultura polacca più innovativa: Roman Ingarden, Stanisław Ignacy Witkiewicz e Witold Gombrowicz. Allaccia con loro rapporti di amicizia e inizia con loro carteggi, purtroppo perduti. Grazie a questa attività collabora con diverse riviste, pubblicando articoli e recensioni, raccolte dopo la sua morte. Nello stesso anno è insignito del prestigioso premio dell'Accademia Polacca di Letteratura (Polska Akademia Literatury, PAL). 
1939: Patto Molotov-Ribbentrop. La città natale di Bruno viene invasa dall'Unione Sovietica. Il dominio russo è effimero e presto si scatenano conflitti etnici tra polacchi e ucraini, con persecuzioni antisemite all'ordine del giorno. Bruno ha completato la traduzione in polacco de Il processo (Der Prozess) di Franz Kafka, in collaborazione con Józefina Szelińska. Questa era la sua fidanzata, che aveva con lui un "rapporto complicato" (in pratica si traduce così: "prendeva vagonate di uccelli ma non il suo"). 
1941: Operazione Barbarossa. La città natale di Bruno viene invasa dalla Germania Nazionalsocialista. I nazionalisti ucraini scatenano un pogrom che infuria per tre giorni, col sostegno della Wehrmacht. Bruno viene rinchiuso nel ghetto. Data la sua conoscenza della lingua tedesca, è utilizzato come interprete da Felix Landau, un ufficiale delle SS che ammirava le sue opere artistiche. 
1942 (19 novembre): Bruno termina il suo infelice cammino terreno, brutalmente ucciso per rappresaglia da Karl Günther, un ufficiale della Gestapo. Infatti Landau aveva ucciso un ebreo al servizio di Günther, un dentista di nome Löw. Günther non si era lasciato sfuggire l'occasione di vendicarsi, colpendo Bruno al cranio con una piccola pistola mentre camminava nel ghetto portando con sé una pagnotta. Il corpo dell'artista viene sotterrato in una fossa comune e non è mai stato trovato. 
 
Espulso dalla vita 
 
Questa fu la descrizione che Witold Gombrowicz fece del tormentato artista, nel 1961:  

"Gnomo, minuscolo, dalla testa enorme, quasi troppo spaurito per aver il coraggio di esistere, era un espulso dalla vita, uno che sguscia furtivo, sul margine. Bruno non riconosceva a se stesso alcun diritto all’esistenza e cercava il proprio annichilimento: non che sognasse il suicidio, soltanto tendeva al non essere con tutto il suo essere." 

A dispetto della grande diversità nel fisico, quanto mi riconosco in questa descrizione!

L'Abisso dei Sensi  

Le visioni oniriche di Bruno Schulz erano popolate da figure distorte e nanesche! Si notano individui bizzarri e deformi, macrocefali, senili, a volte quasi focomelici, sproporzonati in ogni membro del corpo, in qualche caso persino negroidi, intenti ad adorare i piedi di donne bellissime! Questi individui prendevano in bocca piedi dell'amata, coprendoli di baci e leccandoli avidamente. Non ci sono dubbi: mentre facevano queste cose, il loro cazzone diventava durissimo, tanto che alla fine il piacere provato diventava insopportabile ed emettevano fiotti di sperma incandescente. Altre volte prevalgono invece fantasie di castrazione e di annientamento. Il terrificante potere della Femmina si manifesta in tutto il suo fulgore, annichilisce il maschio, lo riduce a un lombrico. Tutta questa rappresentazione spasmodica aveva un suo significato profondo: il disegnatore stesso si vedeva come un nano distorto, anche se artisticamente era un gigante! Le sue passioni erano assolute, totalizzanti! Gli autoritratti di Schulz mostrano parallelismi con autori come lo psichedelico Marc Chagall e il tenebroso Alfred Kubin.    
 
Susanna e i vecchioni (Zuzanna i starcy)

Stalloni ed eunuchi (Ogiery i eunuchy)

L'Infanta e i suoi nani (Infantka i jej karły)

 Donna con frusta (Kobieta z biczem)

Senza titolo noto  
 
 Undula agli artisti (Undula u artystów)

 I pellegrini (Pielgrzymi)

La città incantata II (Zaczatowanie miasto II) 

Fiaba eterna (ideale) (Odwieczna baśń (ideał))

Illustrazione per Le botteghe color cannella  

Senza titolo noto
 
Nell'ultimo disegno riportato, di cui non sono riuscito a reperire il titolo e il contesto, si nota addirittura un uomo-verme, intento a supplicare la Domina per poterle leccare i piedi, che lei mette su una coppia di mandingo! L'uomo-verme è una creatura che sembra scaturita da un incubo delirante: la testa e il tronco sono di un essere umano di sesso maschile, mentre la parte inferiore del corpo sembra il grasso bruco di una tarma della farina! Tutto ciò è di una potenza allucinante! Non si era mai visto nulla di simile dai tempi della formazione della mitologia ellenica, in cui l'assunzione di funghi muscarinici aveva portato gli inebriati a concepire spaventose epifanie ibride e teriomorfe della Natura turbata, come i Centauri, il Minotauro e le Arpie!   

La controversia dei murales 

Nel febbraio 2001, Benjamin Geissler, un regista di documentari tedesco, ha scoperto i murales che Bruno Schulz aveva creato per Felix Landau. I lavoratori della conservazione polacchi, che avevano iniziato il meticoloso compito di restauro, hanno informato dei risultato lo Yad Vashem, autorità ufficiale israeliana per la memoria dell'Olocausto. Nel maggio dello stesso anno i rappresentanti israeliani si sono recati a Drohobyč per esaminare l'opera, asportandone cinque frammenti e trasportandoli a Gerusalemme. Ne è nata una controversia internazionale. Lo Yad Vashem ha affermato che le parti dei murales erano state acquistate legalmente, ma il proprietario della proprietà sosteneva che non era stato stipulato alcun accordo del genere. Lo Yad Vashem non avrebbe ottenuto il regolare permesso dal Ministero della Cultura Ucraino. Alcuni frammenti lasciati in loco dallo Yad Vashem sono stati da allora restaurati; dopo essere stati esposti nei musei polacchi, fanno ora parte della collezione del Museo Bruno Schulz di Drohobyč. Ciò ha suscitato indignazione pubblica sia in Polonia che in Ucraina, dove l'artista è molto amato. La questione ha raggiunto una soluzione nel 2008, quando Israele ha riconosciuto le opere come "proprietà e ricchezza culturale dell'Ucraina", e il Museo Drohobyčyna ha accettato di lasciare che lo Yad Vashem le tenesse come prestito a lungo termine. Nel febbraio 2009 lo Yad Vashem ha aperto al pubblico la sua esposizione dei murales.  
 
Adattamenti cinematografici 

L'opera di Bruno Schulz ha ispirato il film La clessidra (Sanatorium pod klepsydra, 1973) del regista polacco Wojciech Jerzy Has, che ha ricevuto il Premio della giuria al Festival di Cannes del 1973. 
Si segnala anche il cortometraggio in animazione stop motion Street of Crocodiles diretto dai fratelli Stephen e Timothy Quay e rilasciato nel 1986. È basato sulla raccolta Le botteghe color cannella
Conto di visionare queste pellicole e di pubblicarne una recensione appena mi sarà possibile. 
 
Adattamenti teatrali e musicali
 
Nel 1992 Simon McBurney ha ideato e diretto The Street of Crocodiles, uno spettacolo teatrale sperimentale basato su Le botteghe color cannella, prodotto dal Theatre de Complicite in collaborazione con il National Theatre di Londra. L'adattamento è dello stesso Simon McBurney e di Mark Wheatley. Ha influenzato un'intera generazione di produttori di teatro britannici. 
Sempre nei primi anni '90, i compositori russi Vladimir Martynov e Alfred Schnittke hanno attinto alle storie, alle lettere e alla biografia di Bruno Schulz dando vita a un intreccio ipercomplesso immagine, movimento, testo, marionette, manipolazione di oggetti, performance naturalistiche e stilizzate. Non riesce agevole reperire nel Web informazioni più dettagliate su queste produzioni musicali. 
Nel 2006, Skewed Visions ha creato la performance/installazione multimediale The Hidden Room, come parte di una serie "site-specific" in uno storico edificio per uffici di Minneapolis. Combinando aspetti della vita di Schulz con i suoi scritti e disegni, il pezzo ha rappresentato le complesse storie della sua vita attraverso il movimento, le immagini e la manipolazione altamente stilizzata di oggetti e pupazzi. 
Nel 2007 uno spettacolo intitolato Republic of Dreams, basato sulla vita e sulle opere di Bruno Schulz, è stato presentato in anteprima dalla compagnia teatrale Double Edge Theatre
Nel 2008 Frank Soehnle ha diretto un'opera teatrale basata su Le botteghe color cannella, rappresentata dal Puppet Theatre di Białystok al Jewish Culture Festival di Cracovia.
Tra il 2006 e il 2008, Hand2Mouth Theatre (Portland, Oregon) e Teatr Stacja Szamocin (Szamocin, Polonia) hanno creato una performance basata sugli scritti e sull'arte di Bruno Schulz, intitolata From A Dream to A Dream, in collaborazione da  sotto la direzione di Luba Zarembinska. La produzione è stata presentata per la prima volta a Portland nel 2008.
 
Metempsicosi letterarie 
 
Bruno Schulz ha vissuto una complessa vita postuma anche nella letteratura. 
Un romanzo della scrittrice americana Cynthia Ozick, Il messia di Stoccolma (The Messiah of Stockholm, 1987), narra la storia  di un uomo svedese che è convinto di essere il figlio di Bruno Schulz, entrando in possesso di quello che crede essere un manoscritto del progetto finale dell'artista, Il Messia
Bruno Schulz appare di nuovo come personaggio di un romanzo dello scrittore israeliano David Grossman, Vedi alla voce: amore (See Under: Love, 1989). In un capitolo intitolato "Bruno", il narratore immagina l'artista che si imbarca in un fantasmagorico viaggio per mare per non rischiare di essere ucciso a Drohobyč. L'intero romanzo è stato descritto da Grossman come un omaggio a Bruno Schulz. 
Nel romanzo breve dello scrittore cileno Roberto Bolaño, Stella distante (Estrella distante, 1996), il narratore legge in un bar un libro intitolato "Le opere complete di Bruno Schulz", mentre aspetta la conferma per identificare un nazista. Quando questa conferma giunge, "le parole delle storie di Schulz ... avevano assunto un carattere mostruoso che era quasi intollerabile".
Lo scrittore e critico polacco Jerzy Ficowski ha trascorso sessant'anni alla ricerca e alla scoperta degli scritti e dei disegni dell'artista. Il suo studio, Regions of the Great Heresy, è stato pubblicato in una traduzione inglese nel 2003. Contiene due capitoli aggiuntivi rispetto all'edizione polacca; uno al romanzo perduto, Il Messia, l'altro sulla riscoperta dei murales. 
Il romanzo di China Miéville La città e la città (The City & the City, 2009) inizia con un'epigrafe tratta da Le botteghe color cannella: "Nel profondo della città si aprono, per così dire, strade doppie, strade doppelgänger, strade mendaci e illusorie".  
Nel 2010 Jonathan Safran Foer ha ottenuto un cut-up tagliando le pagine di un'edizione inglese di The Street of Crocodiles, ottenendone un'opera allucinatoria intitolata Tree of Codes.
Anche il sulfureo Philip Roth ha dato il suo contributo. La sua opera Zuckerman scatenato (Zuckerman Bound, 1985) raccoglie narrazioni sul personaggio di Nathan Zuckerman pubblicate in precedenza, aggiungendovi un epilogo, L'Orgia di Praga (The Prague Orgy). È la storia del tentativo di recuperare i manoscritti di una vittima dell'Olocausto in Europa orientale, uno scrittore ceco di lingua yiddish, Sisovsky: si tratta di ben duecento storie inedite. Zuckerman viene convinto dal figlio dell'autore a tentare il recupero dei racconti perduti. Ebbene, Sisovsky era stato ucciso da un ufficiale delle SS in modo del tutto simile a quanto accaduto a Bruno Schulz. 
 
Estratti come schegge d'Infinito
 
Riporto in questa sede alcuni brani tratti dall'opera Le botteghe color cannella, che bene illustrano l'immensità della sua produzione artistica, dotata di una vera e propria capacità cosmogonica. 
 
A luglio mio padre partiva per la cura delle acque e mi lasciava con mia madre e mio fratello maggiore in pasto alle giornate estive arroventate e abbacinanti. Inebriati di luce, sfogliavamo il gran libro delle vacanze, le cui pagine avvampavano tutte di sole e avevano nel fondo la polpa, dolce fino alla nausea, delle pere dorate. 
 
Adela tornava nei mattini luminosi, come Pomona dalle fiamme del giorno infuocato, e versava dal canestro le bellezze variopinte del sole: lucide ciliegie, gonfie d’acqua sotto la buccia trasparente, visciole nere, misteriose, il cui profumo prometteva assai più di quel che il gusto manteneva; albicocche, che celavano nella polpa dorata il succo di lunghi pomeriggi; e accanto a quella schietta poesia della frutta, Adela scaricava ancora quarti di carne, turgidi di forza e di sostanza, con la tastiera delle cotolette di vitello, e verdure algiformi, simili a meduse o cefalopodi uccisi: materiale crudo del pranzo, dal sapore ancora indefinito e sterile, ingredienti vegetali e tellurici dal profumo selvatico e campestre.  
 
Ogni giorno la grande estate trapassava da parte a parte il buio appartamento al primo piano dell’edificio che dava sulla piazza del mercato: silenzio di sprazzi d’aria tremolanti, rettangoli di luce immersi in un loro sogno rovente sul pavimento; una melodia d’organo di Barberia strappata alla più profonda vena dorata del giorno; due, tre battute di un ritornello, suonato chissà dove su un pianoforte, sempre ripetute, svanenti nel sole sui marciapiedi bianchi, perdute nel fuoco delle profondità del giorno. Finite le pulizie, Adela faceva ombra nelle stanze abbassando le tende di tela. I colori calavano allora di un’ottava, la stanza si riempiva d’ombra, quasi fosse immersa nella luce di profondità marine, riflessa ancor più nebulosamente negli specchi verdi, e tutto l’ardore del giorno respirava sulle tende, appena ondeggianti nei sogni dell’ora meridiana.
 
Noi ci sedemmo al loro fianco, quasi al margine del loro destino, un po’ confusi della passività con cui si abbandonavano a noi senza ritegno, e bevemmo acqua e sciroppo di rose, bevanda meravigliosa, che mi parve racchiudere l’essenza profonda di quel torrido sabato.

Zia Agata si lagnava. Era quello il tono fondamentale della sua conversazione, la voce di quella carne bianca e feconda, che pareva straripare dal corpo stesso, a stento e sconnessamente raccolta dalla massa, nei gladi di una forma individuale, e in quella massa già moltiplicata, pronta a ingrossarsi, a ramificarsi, e a riprodursi in famiglia. Era, la sua, una fecondità quasi autogenica, una femminilità priva di freni e morbosamente rigogliosa.
 
Quando mio padre si immergeva nello studio di grossi manuali di ornitologia e ne sfogliava le pagine colorate, pareva che proprio da esse prendessero il volo quei fantasmi pennuti e riempissero la stanza di uno svolazzio colorato, di lembi di porpora e brincelli di zaffiro, verde rame e argento. Al momento dei pasti essi formavano sul pavimento una falda colorata e ondeggiante, un tappeto vivente che ad ogni incauta intrusione si dileguava, si dissolveva in fiori mobili, svolazzanti nell’aria e si andava infine a posare nelle regioni superiori della stanza. Mi è rimasto particolarmente impresso nella memoria un condor, un uccello immenso, dal collo nudo, dalla faccia rugosa e cosparsa di escrescenze. Era un asceta magro, uno di quei lama buddisti dall’atteggiamento pieno di imperturbabile dignità, che osservano il cerimoniale ferreo proprio della loro grande casta. Quando sedeva di fronte a mio padre, immobile nella posizione scultorea delle secolari divinità egizie, l’occhio coperto da un velo biancastro che spostava di lato fin sulla pupilla, per chiudersi completamente nella contemplazione della propria augusta solitudine, sembrava, col suo profilo di pietra, il fratello maggiore di mio padre. Uguale il tessuto del corpo, dei tendini e della pelle dura e rugosa, uguale il volto secco e ossuto, identiche le orbite profonde e corneiformi. Persino le mani, le lunghe, magre, nodose mani di mio padre, dalle unghie ricurve, rassomigliavano agli artigli del condor. Vedendolo così addormentato, non potevo sfuggire all’impressione di trovarmi di fronte a una mummia, alla mummia rinsecchita, e perciò rimpicciolita, di mio padre. Credo che questa straordinaria rassomiglianza non fosse sfuggita neppure a mia madre, benché non abbiamo mai sollevato questo argomento. È significativo che il condor e mio padre usassero in comune il vaso da notte.
 
Ero sconcertato. Ricordavo in realtà quell’invasione di scarafaggi, il flusso nero e brulicante che aveva riempito l’oscurità di un notturno andirivieni da ragno. Tutte le fessure erano piene di antenne tremolanti, ogni spiraglio poteva vomitare all’improvviso uno scarafaggio, da ogni spaccatura dell’impianto poteva sbucare una di quelle folgori nere, lanciata in un folle zig zag lungo il pavimento. Ah, quel selvaggio delirio di panico, tracciato con una linea nera guizzante sulle mattonelle! Ah, quelle grida terrorizzate di mio padre, che balzava di sedia in sedia con un giavellotto in mano! Senza toccare cibo né bevanda, il volto chiazzato per la febbre, una smorfia di disgusto impressa attorno alla bocca, mio padre era completamente inselvatichito. È evidente che nessun organismo può sopportare a lungo una simile carica di odio. Una spaventosa repulsione aveva trasformato la sua faccia in una pietrificata maschera tragica, in cui soltanto le pupille, nascoste sotto la palpebra inferiore, erano all’erta, tese come corde, in perenne sospetto. Con un urlo selvaggio balzava all’improvviso dal sedile, correva alla cieca in un angolo della stanza e già alzava il giavellotto con infilzato un enorme scarafaggio che agitava disperatamente il groviglio delle sue zampe. Adela giungeva allora in soccorso di mio padre, pallido per l’orrore, e prendeva in consegna la lancia insieme col suo trofeo per annegarlo nel secchio. E tuttavia, già allora non avrei saputo dire se queste immagini mi venivano istillate attraverso i racconti di Adela, o se io stesso ne ero stato testimone. Mio padre, a quel tempo, non possedeva più quella capacità di resistenza che protegge le persone sane dal fascino della repulsione. Invece di tenersi lontano dalla terribile forza d’attrazione di quel fascino, mio padre, ormai in preda alla follia, vi si assoggettava sempre più. Le tristi conseguenze non si fecero attendere. Ben presto i primi sintomi sospetti apparvero riempiendoci di paura e di tristezza. Il comportamento di mio padre cambiò. La sua pazzia, l’euforia del suo eccitamento svanirono. Nei gesti e nella mimica cominciarono a mostrarsi segni di cattiva coscienza. Prese ad evitarci. Si nascondeva per giornate intere negli angoli, negli armadi, sotto la trapunta. Lo vedevo talvolta mentre si osservava pensieroso le mani, si esaminava la consistenza della pelle, delle unghie, sulle quali cominciavano ad apparire macchie nere, simili a scaglie di scarafaggio. 
 
– Smerciare, Jakub! Vendere, Jakub! – gridavano tutti, e quelle grida ripetute in continuazione ritmavano in coro e si trasformavano lentamente nella melodia di un ritornello intonato da tutte le gole assieme. Allora mio padre si dette per vinto, saltò giù dall’alta cornice e con un grido si gettò sulle barricate di stoffa. Ingigantito dall’ira, il capo rigonfio in un pugno purpureo si lanciò come un profeta in lotta sulle scorte di tessuti e prese a scatenarsi contro di quelle. Faceva forza con tutto il peso del corpo sulle possenti balle di lana, sollevandole dal loro posto, si infilava sotto immense pezze di stoffa e le scaricava sul banco con sordo fracasso. Le balle volavano dispiegandosi con un frullo nell’aria a formare immensi stendardi, gli scaffali esplodevano da ogni parte in scoppi di drapperie, cascate di stoffe, come sotto i colpi della verga di Mosè.

Così si disperdevano le provviste degli armadi, violentemente espulse, rovesciandosi in ampie fiumane. Così scorreva via il contenuto variopinto degli scaffali, cresceva, si moltiplicava, inondando tutti i banchi ed i tavoli.

Le pareti del negozio sparirono sotto le potenti formazioni di quella cosmogonia di tessuti, sotto quelle catene montuose che si accatastavano in impotenti massicci. Ampie vallate si aprivano fra pendii scoscesi, mentre le linee dei continenti tuonavano nel vasto pathos delle vette. Lo spazio del negozio si ampliava nel panorama di un paesaggio autunnale, pieno di laghi e di lontananze: su quello sfondo mio padre si aggirava fra le pieghe e le valli di una fantastica terra di Canaan, vagava a grandi passi, le mani profeticamente levate al cielo, e plasmava il paesaggio a colpi di ispirazione. E in basso, ai piedi di quel Sinai sorto dalla collera di mio padre, il popolo gesticolava, imprecava, adorava Baal e contrattava. Affondavano le mani dentro le pieghe morbide, si drappeggiavano nelle stoffe colorate, si avvolgevano in dòmini e mantelli improvvisati, e parlavano confusamente e senza posa.

Mio padre sorgeva improvvisamente al di sopra di quei gruppi di acquirenti ingigantito dalla collera, e tuonava dall’alto contro gli idolatri col suo verbo possente. Quindi, trascinato dalla disperazione, si arrampicava ancora sulle alte gallerie degli armadi, correva all’impazzata lungo le tavole degli scaffali, lungo le assi rimbombanti delle impalcature nude, inseguito dalle immagini di spudorata lussuria che supponeva svolgersi alle sue spalle nelle profondità della casa. I commessi avevano proprio allora raggiunto il balcone di ferro all’altezza della finestra e, appesi alla balaustra, avevano afferrato Adela alla vita e la tiravano verso la finestra, mentre lei sbatteva gli occhi e si trascinava dietro le gambe snelle inguainate di seta. Mio padre, annichilito dall’odiosità del peccato, si integrava, mediante la collera dei gesti, nell’orrore del paesaggio; e intanto in basso lo sconsiderato popolo di Baal si abbandonava a un’allegria sfrenata. Una passione parodistica, un’epidemia di riso si era impadronita di quella marmaglia. Come si poteva esigere serietà da loro, da quel popolo di batacchi e di schiaccianoci? Come si poteva esigere comprensione per le gravi angosce di mio padre da quei macinini che macinavano incessantemente una colorata poltiglia di parole? Sordi ai fulmini di quella collera profetica, i mercanti in cappe di seta si accovacciavano a piccoli gruppi intorno alle montagne sinuose di tessuto, discutendo animatamente, in mezzo a scoppi di risa, sulla qualità della merce. Quella borsa nera polverizzava nelle sue lingue veloci la nobile sostanza del paesaggio, la triturava in un impasto di chiacchiere e quasi l’inghiottiva. 
 
Tutto ciò è sublime! Rimando a un articolo davvero eccellente, pubblicato sul sito letterario Nel territorio del diavolo.
 
 
Si dà poca importanza a un evidente refuso nel testo, che ha fatto nascere l'artista nel 1982 anziché nel 1892, creando uno straniante anacronismo in cui l'Impero Austroungarico era vivo e vegeto sul finire del XX secolo, mentre le bandiere con lo Hakenkreuz sono destinate ad incombere sul nostro presente.  

venerdì 5 marzo 2021

 
LA POSSIBILITE D'UNE ÎLE 
(film)
 
Titolo originale: La Possibilité d'une ile 
Titolo internazionale: Possibility of an Island 
Anno: 2008
Paese: Francia
Lingua originale: Francese, Inglese, Spagnolo 
Durata: 95 min  
Formato: Colore 
Rapporto: 1:2,35  
Genere: Fantascienza, drammatico 
Sottogenere: Distopico 
Regia: Michel Houellebecq  
Primo assistente alla regia: Hubert Engammare 
Sceneggiatura: Michel Houellebecq 
Produttore: Éric Altmayer, Nicolas Altmayer 
Copro-duttori: Jeremy Burdek, Christoph Hahnheiser,
    Nadia Khamlichi, Adrian Politowski 
Produttore associato: Pepón Sigler 
Assistente produttore: Arthur Grec  
Copro-duzione: Morena Films, Black Forest Films GMBH,
   Wat Productions, Arte France Cinéma, Lagardère, Studio 37,
   Michel Houellebecq LTD, Cofinova3, Cofinova4 
Distribuzione: Bac Films  
Dialogo aggiuntivo in inglese: Gavin Bowd 
Dialogo aggiuntivo in spagnolo: Fernando Arrabal  
Consigliere tecnico: Philippe Harel 
Montaggio: Camille Cotte 
Scenografia: Katia Wyszkop
Costumi: Lena Mossum
Fotografia: Éric Guichard, Jeanne Lapoirie 
Musica: Mathis Nitschke 
Effetti speciali: Oscar del Monte, Nacho Diaz, Isaac Maté  
Interpreti e personaggi: 
     Benoît Magimel: Daniel
     Ramata Koite: Marie23
     Patrick Bauchau: Il Profeta
     Andrzej Seweryn: Slotan Miskiewicz
     Serge Larivière: Rudi
     Jean-Pierre Malo: Jérôme
     Jordi Dauder: Gérard
     Arielle Dombasle: Delegata messicana
     Juan Carlos Valera: Delegato argentino
     Philippe Delest: Delegato lussemburghese
     Sandra Murugiah: Hostess indiana 
     Marie De Biasio: Ilona 
     Patrick Rameau: L'animatore 
     Clara Ponsot: Dacha 
     Fernando Arrabal: L'imperatore 
     Conrad Cecil: Il prete 
     Robbie Nock: L'amico del prete
     David Bowd: Il calciatore inglese 
     Antonio Muñoz Bellesta: Il presidente della giuria  
     Michel Houellebecq: Il fumatore in fondo alla sala
          (non accreditato)
     Mikhail Krasnoborov Redwood: Delegato ucraino
          (non accreditato)
Data di uscita (Francia): 10 settembre 2008
Budget: 6 milioni di € 
Location: 
  Spagna: 
   Benidorm, Alicante, Comunidad Valenciana 
   Grand Hotel Bali, Benidorm, Alicante, Comunidad Valenciana   
   Ciudad de la Luz, Alicante, Comunidad Valenciana 
   Lanzarote, Isole Canarie
   Minas de Riotinto, Huelva, Andalucía
   Parque Natural de Cabo de Gata-Níjar, Almería, Andalucía 
   Parque Natural de Cazorla Segura y Las Villas, Jaén, Andalucía
   Valencia, Comunidad Valenciana, Spagna
  Belgio
 
Parole chiave: 
  aldilà, 
  cervello,
  clonazione, 
  DNA,
  esistenzialismo, 
  filosofia della vita,
  fine vita, 
  guru, 
  mondo futuro, 
  neurologia, 
  religione,
  setta religiosa, 
  significato della vita,
  suicidio,
  terra sterile, 
  umanità,
  vita e morte,
  vita eterna.  

 
Trama: 
Daniel è un uomo dai capelli rossicci, al seguito del Profeta, il fondatore della religione degli Elohimiti. Il film comincia quando la setta ufologica era ancora agli albori e il Profeta girava la Francia e il Belgio su una specie di camper, portando con sé tutte le sue proprietà e il suo scarso personale. Giunto nella terra dei Valloni, la trasposizione di Raël si ritrova in una specie di capannone fatiscente a perorare un gruppetto di persone demotivate, tra cui alcuni robusti mandingo e un certo numero di veci macilenti. Daniel siede nella cabina del camper e sembra abbastanza demotivato. Ha l'aria di essere un seguace della prima ora, ma in realtà è il figlio del Profeta. Il capo settario è ritratto come un guru sgangherato, che versa in condizioni ben poco prospere. Dopo tre anni tutto è cambiato: la setta degli Elohimiti è riuscita a guadagnare un grande successo. Organizza un meeting in una struttura lussuosa, a cui partecipa lo scienziato Slotan Miskiewicz, che afferma di aver scoperto il segreto dell'immortalità del corpo. In virtù del fatto di essere il figlio del Profeta, Daniel è il primo essere umano a sperimentare il progetto della clonazione.
Unico superstite della devastazione che ha colpito il genere umano, Daniel25, venticinquesimo clone dell'originale Daniel1, conduce un'esistenza eremitica, passando quasi tutto il suo tempo in un cubicolo sotterraneo. La sua sola compagnia è il cagnolino Fox, anch'esso clonato. Il mondo esterno è contaminato, e Daniel25 osserva tramite un monitor portatile le immagini che gli vengono trasmesse via satellite. Lo stesso strumento gli serve anche per leggere gli antichi scritti del suo predecessore. All'improvviso qualcosa lo spinge a uscire dalla sua dimora ctonia. Seguendo i messaggi del suo computer, scopre che in realtà esiste un'altra persona sopravvissuta alla catastrofe: una sensuale donna di colore. Si capisce che è essa stessa un clone dal fatto che ha con sé un monitor portatile del tutto analogo a quello del protagonista. Vinta ogni paura e portando con sé un fucile per difendersi da eventuali predatori, Daniel25 procede per le terre desolate alla ricerca della sua simile, assieme all'inseparabile Fox. Quando i due stanno per incontrarsi, compaiono i titoli di coda e il film finisce così, nel Nulla.
 
Recensione: 
Liberamente tratto dal romanzo La possibilità di un'isola (La Possibilité d'une île, 2005), questo film è stato un clamoroso insuccesso, un fallimento totale, miserabile e irredimibile. Come era giusto che fosse, direbbe l'amico S.M., in modo lapidario. Forse il fiasco del cineasta Houellebecq è stato causato dal fatto che l'adattamento è stato troppo libero. Sono state apportate semplificazioni eccessive, che hanno raso al suolo l'estrema complessità dell'opera originale. Sono stati cancellati numerosi personaggi fondamentali. Non si trova traccia alcuna dell'erotica spagnola Esther e della psicorigida Isabelle. Il finale è un puro atto di autolesionismo che il regista si è voluto infliggere senza ragione alcuna. È come se si fosse sparato in un piede! "La stessa cosa, Marco, pari pari", ha commentato S.M. quando ho espresso questo mio pensiero. Tutto ciò è tanto più incomprensibile se si pensa che il regista è lo stesso autore del soggetto. Diabole Domine, perché ha fatto strame delle parole che ha messo su carta in modo tanto ispirato? Come può aver deciso di annientare in questo modo la propria carriera cinematografica? Non è dato sapere. Posso solo azzardare un'ipotesi. Houellebecq voleva farsi conoscere anche in ambiti diversi da quello letterario, ma si è trovato di fronte al problema dell'intraducibilità dei suoi stessi scritti. La struttura del romanzo di partenza è tutto fuorché lineare. Non è umanamente possibile trasporla nelle sequenze di una pellicola. Questo pessimo adattamento non toglie nulla alla genialità di Houellebecq come scrittore. In fondo non ci dobbiamo dimenticare che Michelangelo Buonarroti, che come scultore era divino, non valeva proprio nulla come poeta: provava un'immensa pena e faceva fatica soverchia a plasmare la parola, mentre gli riusciva incredibilmente agevole lavorare il marmo. Allo stesso modo Houellebecq, che è maestro nell'arte di plasmare la parola, non vale nulla come regista di film. Prima di questa pellicola, ha avuto alcune esperienze dirigendo tre cortometraggi: Cristal de souffrance (1978, in bianco e nero, muto, durata 30 minuti), Déséquilibres (1982, muto, durata 12 minuti) e La Rivière (2001, durata 16 minuti circa). È anche stato cosceneggiatore del cortometraggio Monde extérieur, diretto da David Rault (2004, durata 10 minuti). Non voglio avere pregiudizi indotti dalla visione del lungometraggio La Possibilité d'une île, dal momento che non ho ancora visionato questi corti. Quando lo avrò fatto, provvederò a recensirli e saprò dire se il problema è davvero in Houellebecq regista o piuttosto nel suo romanzo inadattabile. 
 
 
Un sintetico corso di formazione sui cloni 
 
Il Profeta degli Elohimiti, interpretato in modo abbastanza convincente da Patrick Bauchau, ha investito tutto sulla creazione di una nuova specie umana. Lo Scienziato Pazzo, Slotan Miskiewicz, tiene questo discorso al suo pubblico, in cui spiega i rudimenti della clonazione ed espone per sommi capi il proprio progetto delirante (parla in inglese e ci sono i sottotitoli in francese, la traduzione è mia): 
 
"Questo è un essere umano. Questo contenitore riflette in modo molto preciso la composizione chimica di un adulto di 62 kg. Come potete vedere, siamo fatti principalmente di acqua. Naturalmente ci sono grandi differenze, ma queste differenze, per quanto importanti siano, possono essere riassunte in una sola parola: l'informazione. L'essere umano è materia più informazione. Cos'è la clonazione? È un'operazione che consiste, prendendo come punto di partenza l'informazione genetica contenuta nel DNA, nel fabbricare un essere umano identico da una diversa materia. Attualmente questa è una tecnica che padroneggiamo perfettamente. Ma la clonazione è soltanto un metodo primitivo.   
Il DNA contiene l'informazione necessaria per la fabbricazione di un essere umano, per l'embriogenesi, ma contiene anche l'informazione necessaria per il suo funzionamento. Ora che comprendiamo il funzionamento del codice genetico, noi possiamo eliminare lo stadio embrionale e creare direttamente esseri umani adulti. La fabbricazione di un nuovo essere umano richiede all'incirca 18 anni. Grazie ai metodi che stiamo sviluppando, questo lasso di tempo può essere ridotto a 10 minuti." 
 
Tutto ciò mi ricorda le assurde pretese dei corsi di formazione, il cui fine è trasmettere una mole di conoscenza partendo dal presupposto che l'utente sia un robot in grado di memorizzare ogni dettaglio anche senza capire alcunché. Si nota che ad assistere alla presentazione dello Scienziato Pazzo ci sono autentici scribi del Faraone, che imparano tutto in modo pappagallesco, senza alcun reale coinvolgimento delle sinapsi connesse ai processi intellettivi elevati. Se anche il professore si mettesse ad esporre concetti che ne contraddicono altri, a bella posta, nessuno se ne accorgerebbe.    
 
L'assurdità dell'autotrofia dei cloni
 
Non è la prima volta che la Fantascienza esplora il tema dell'autotrofia di esseri umani o umanoidi. Possiamo citare ad esempio il romanzo Un pianeta e tre stelle (Under the triple suns, 1955), dell'americano Stanton A. Coblentz (1896 - 1982). Si tratta di una storia del tutto inverosimile, in cui una coppia di superstiti sfuggiti su un razzo a una catastrofe nucleare, giunge su un pianeta di un sistema stellare triplo, popolato da mirabili forme di vita. Ci sono due specie intelligenti su quel globo terracqueo: gli alati e benevoli Lil-bro e gli sgraziati Ugwug, malvagi e dotati di due facce come Edward Mordake. Coblentz descrive i Lil-bro come esseri autotrofi, che praticano la fotosintesi. Si nutrono leccando un po' di acqua, ottenendo i carboidrati necessari dall'esposizione alla luce dei tre soli. Hanno una biologia affine a quella delle piante. Non so se Houellebecq abbia letto Un pianeta e tre stelle
 
Ecco il discorso che lo Scienziato Pazzo, Slotan Miskiewicz, tiene al suo pubblico nel film:  
 
"La nutrizione animale è un sistema la cui efficienza è mediocre e che soprattutto produce un'eccessiva quantità di rifuti. Rifiuti che non solo devono essere evacuati, ma che tramite la combustione infliggono all'organismo un'usura considerevole. È uno strano capriccio dell'Evoluzione che la fotosintesi sia stata fin dall'inizio monopolizzata dal Regno Vegetale, quando si tratta ovviamente di un sistema più robusto, efficace ed affidabile, come mostra la durata della vita praticamente illimitata raggiunta dalle piante. L'uomo futuro che propongo di costruire avrà le capacità attualmente riservata alle piante. Si potrà nutrire di acqua e di luce."
 
Questo invece è scritto nel romanzo La possibilità di un'isola, da cui il film è stato tratto: 

"Ero presente alla riunione in cui Scienziato ci annunciò che, lungi dall'essere una semplice visione di artista, i disegni di Vincent prefiguravano l'uomo del futuro. Da un pezzo la nutrizione animale gli sembrava un sistema primitivo, di un rendimento energetico mediocre, responsabile di una quantità di residui nettamente eccessiva, residui che non solo dovevano essere evacuati ma che, nell'intervallo, provocavano un'usura non trascurabile dell'organismo. Da un pezzo pensava di dotare il nuovo animale umano del sistema fotosintetico che, per una bizzarria dell'evoluzione, era privilegio esclusivo dei vegetali.
L'utilizzazione diretta dell'energia solare era evidentemente un sistema più efficace, più robusto e più affidabile - come testimoniava la durata di vita quasi illimitata delle piante.
Inoltre, l'aggiunta alla cellula umana di capacità autotrofe era lungi dall'essere un'operazione complessa come si poteva immaginare; le sue squadre lavoravano già al problema da un po' di tempo, e il numero di geni interessati risultava straordinariamente modesto.
L'essere umano così trasformato si sarebbe sostentato esclusivamente mediante l'acqua, una piccola quantità di sali minerali e naturalmente l'energia solare; l'apparato digestivo, come l'apparato escretore, potevano dunque scomparire - gli eventuali minerali in eccesso sarebbero stati facilmente eliminati, con l'acqua, attraverso il sudore."
 
Lasciamo da parte per un attimo l'immagine ridicola dei Neoumani privi di ano. Il problema delle scorie, una massa marrone di entropia pastosa, è reale. Anche la donna più bella deve smerdare. La merda che ogni essere umano evacua è composta da tossine e immondizie. Qualcuno, come il mitico Gianni, la mangia, soprattutto in contesti sessuali, nonostante il danno che porta alla salute. La merda è la prova che il Creatore dell'Universo non ha dato origine a una Creazione perfetta. La merda è una frattura ontologica, qualcosa che ci fa subito capire di essere in un incubo, in una realtà infernale. C'è tuttavia dell'altro. Non ci si può liberare dalla merda. Lo Scienziato Pazzo è ingannevole. Se comprende senza dubbio il problema dell'entropia, ossia della produzione merdosa, non considera affatto il problema del rendimento energetico. Non è soltanto un folle, è anche un incompetente. Non sembra rendersi conto che la fotosintesi è un processo dal rendimento scarsissimo. Il Regno Vegetale ha pagato un prezzo gravosissimo per la disponibilità di energia e di nutrienti tramite la fotosintesi: l'immobilità! Le piante non vanno da nessuna parte, caro Slotan, non si muovono. Sono inchiodate al terreno in cui sono cresciute e non hanno speranza di poter modificare il loro destino. Nessun animale potrebbe avere sufficiente energia per muoversi, se si dovesse nutrire soltanto di acqua e di luce! 
 
Non dovremmo stupirci più di tanto dell'infondatezza dell'autotrofia dei cloni. Le conoscenze di Houellebecq nella maggior parte dei campi dello scibile umano si dimostrano spesso fallaci e distorte. Non dimentichiamoci che già nel suo primo romanzo, Estensione del dominio della lotta (1994), ha commesso un clamoroso errore nel campo della botanica, confondendo il sicomoro con l'acero del Canada. Dopo l'inconsistenza dei Neoumani fotosintetici, ha proseguito con gli spropositi, questa volta nel campo della musica: in Serotonina (2019) ha scritto che Ummagumma è l'album dei Pink Floyd che ha in copertina una vacca pezzata (errore segnalato da Cesare Buttaboni). 
 
 
La rimozione del sesso 
 
Nel film di Houellebecq non si parla di seghe, di pompini, di cunnilingus e di scopate. Inoltre non c'è nulla di politicamente scorretto. Che noia. Ho avuto l'impressione, mentre le sequenze scorrevano davanti ai miei occhi in un'oscurità da locale lounge, che un intero universo fosse stato rimosso chirurgicamente. Dov'è finito il sesso? Non lo si trova da nessuna parte. Si vedono soltanto alcune ragazze in un complesso alberghiero mentre partecipano a una specie di concorso di bellezza, valutate da una giuria. Una giovane viene intervistata da un mandingo e dice di venire da Kiev. Nulla di interessante. Ci tenevo proprio a vedere come sarebbe stata interpretata la figura della biondissima pompinara spagnola dedita alle gangbang nel corso dei party orgiastici! La mia delusione è stata immensa, non posso nasconderlo: parlerò male di questo film finché avrò vita. Michel, perché hai fatto una cazzata simile? Non riesco a farmene una ragione. Hai avuto l'opportunità di mostrare al mondo, in carne ed ossa, un essere splendido e vi hai rinunciato, lasciando i tuoi lettori a fantasticare! 
 
Elementi incongrui 
 
Ci sono sequenze che non trovano corrispondenza alcuna nel romanzo. A un certo punto compare uno strano prete segaligno, giovane, riconoscibile dal colletto. Indossa un abito di un inconsueto color lavanda pallido, quasi grigio. Osserva una bacheca con i manifesti di una discoteca, del beach volley e del concorso di Miss Bikini, blaterando qualcosa sul fatto che Cristo vincerà. Più che una profezia, le sue parole sembrano i vaneggiamenti di un folle. Il Profeta degli Elohimiti ha fatto costruire la Città del Futuro, invitando un gran numero di delegati di tutte le nazioni. Si assiste alla stupidissima conversazione tra la delegata del Messico, una milf biondiccia dagli occhi ardenti, e il delegato dell'Argentina, un allupato che ci prova spudoratamente. Il dialogo è utile come una sigaretta rollata con sterco di vacca essiccato. Mi domando che bisogno ci fosse di mostrare simili sequenze senza senso. Non sarebbe stato meglio usare quel nastro di celluloide per far vedere qualcosa di forte?      
 
Curiosità 
 
Nel sito di cinema Sentieri Selvaggi (www.sentieriselvaggi.it) sono riportate alcune informazioni utili. 
 
 
Ebbene, sembra che Houellebecq avesse scritto il romanzo La possibilità di un'isola pensando già di dirigere personalmente un suo futuro adattamento. Esisteva persino un sito dedicato al film, ma il dominio risulta scaduto e non ci sono più contenuti:  
 
 
Il mistero si infittisce. Se Houellebecq pensava fin da subito alla realizzazione di un film, perché poi il lavoro è stato fatto in modo tanto approssimativo, con una sceneggiatura rudimentale? Eppure, come spiegato su Sentieri Selvaggi, lo stesso regista ha chiamato sul set vari architetti e scultori per plasmare le tetre ambientazioni del futuro distopico. 
 
La pellicola, che non ha avuto alcun successo al Locarno Film Festival, nello stesso anno della sua uscita, ha comunque avuto una nomination per il miglior film al Catalonian Film Festival di Sitges, sempre nel 2008.  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Se in Italia la pellicola è sconosciuta, in Francia ha destato qualche critica. Nel sito Allociné (www.allocine.fr) ci sono più di novanta commenti, di cui alcuni molto significativi. Ne faccio qui un rapido collage, ben lungi dall'essere esaustivo: 
  
"Del resto, non troviamo abbastanza di ciò che è il sale del romanzo: lo sguardo acuto dell'autore sulla società contemporanea e la poesia che sprigiona dalle ultime pagine." 
"Un cattivo film incredibilmente noioso, pretenzioso e soprattutto incomprensibile. Dove stiamo andando con questa storia? Alle prigioni sotterranee!!"
"Completamente stupido, noioso, un film che ha tanto interesse quanto guardare lo schermo nero della tua televisione per 1 ora e 30 minuti."  
"In generale il romanzo è abbastanza piacevole da leggere, d'altra parte il suo adattamento dello stesso Houellebecq si rivela semplicemente catastrofico. La storia non ha nulla di accattivante (e non ha quasi punti in comune con il romanzo) e siamo annoiati a morte per tutto il film." 
"Houellebecq si perde nel suo incomprensibile delirio. Pensa di essere Kubrick e si schianta completamente. La fine arriva come una liberazione e un grande sollievo (il culmine della pretesa sarebbe stato far durare il film 2h 30), e non fa venire voglia di leggere il libro." 
"Anche scrivere una recensione sembra dare troppa importanza a questo film completamente privo di interesse e di una profonda, mortale noia... da evitare!" 
"È una vera merda e un insulto al cinema: produzione scadente, attori ridicoli, storia completamente illogica. Che peccato! Da evitare." 
"Mai visto un pastone del genere! Nessuna sceneggiatura, solo una serie di vignette confuse e brutte, con attori robotici (il belga, grande vincitore della Palma di Cartone per la migliore interpretazione dell'anno!) e montaggio senza alcun motivo umano. Anche gli sfondi sono ridicoli: una vecchia signora in un circolo turistico con un turbante multicolore appiccicato in testa, e dietro un pappagallo, un vecchio giocatore di basket che si cimenta con il calcio, un falso re che doppia una donna nuda e dipinta (quindi bodypainting)... si arriva al nonsense! Dannazione!" 

 
Mi sembra che sia sufficiente.