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martedì 22 dicembre 2020

UNA TRADUZIONE IN GOTICO DELLE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

 
Titolo originale: Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda 
Descrizione: Alice's Adventures in Wonderland in Gothic 
Lingua: Gotico
Autore del testo originale: Lewis Carroll 
Autore della traduzione: David Alexander Carlton 
Affiliazione del traduttore: University of Western Ontario 
Illustrazioni: Byron W. Sewell, John Tenniel
Prima edizione: 2015 
Formato: Paperback 
Codice ISBN: 978-1-78201-097-5
Codice EAN: 1782010971
Peso: ‎ 181 g
Dimensioni: ‎ 13,97 x 0,86 x 21,59 cm
Pagina Amazon per l'acquisto:


Questo è un estratto del testo in gotico: 
 
"Jaindre," qaþ Katta, biwagjands taihswon pauta seinana, “bauiþ Hattareis: jah aljaþ,” wagjands pauta anþara, “bauiþ Martjuhasa. Gaweisos hvaþar saei leikaiþ þus: bajoþs woþs.”     
"Ak ni gairnja ei gaggau in wodam manam," qaþ Aþalhaids.
"O, ni manna mag biwandjan þata," qaþ Katta: "weis sijum her woda in allamma. Ik im woþs. Þu is woda."     
"Ƕaiwa witeis þatei ik sijau woda?" qaþ Aþalhaids.     
"Þu skalt wisan," qaþ Katta, "aiþþau ni iddjedeis hidre."  
 
Questo è il testo originale in inglese: 
 
"In that direction," the Cat said, waving its right paw around, "lives a Hatter: and in that direction," waving the other paw, "lives a March Hare. Visit either you like: they're both mad."  
"But I don't want to go among mad people," Alice remarked.  
"Oh, you ca'n't help that," said the Cat: "we're all mad here. I'm mad. You're mad."  
"How do you know I'm mad?" said Alice.
"You must be," said the Cat, "or you wouldn't have come here."  
 
Questa è la traduzione in italiano:   
 
"In quella direzione", disse il Gatto, agitando la sua zampa destra, "vive un Cappellaio: e in quell'altra direzione", agitando l'altra zampa, "vive una Lepre Marzolina. Visita chi vuoi: sono entrambi matti". 
"Ma io non voglio andare tra i matti", commentò Alice.  
"Oh, non puoi farci niente", disse il Gatto: "siamo tutti matti qui. Io sono matto. Tu sei matta."  
"Come sai che sono matta?" disse Alice.
"Devi esserlo" disse il Gatto, "o non saresti giunta qui."  
 
Sinossi (originale): 
 
"Gothic (Gutiska razda or Gutrazda) was a continental Germanic language spoken by the Visigoths and Ostrogoths in many areas (most notably Spain and Italy) throughout antiquity and the early Middle Ages; while Gothic appears to have become functionally extinct sometime in the eighth century, some form of the language may have continued to be spoken in the Crimea until the sixteenth or seventeenth century. The Gothic Bible, translated from a lost Greek exemplar sometime ca. 360 CE by the Gothic bishop Wulfila, represents the earliest substantive text in any Germanic language. Gothic itself remains the only significant representation of the East Germanic branch of languages, which have since died off completely. Other extant works in Gothic include an exegesis of the Gospel of John known as Skeireins, a partial calendar, and some minor fragments. Unfortunately, all extant texts are incomplete, so it remains unknown to what extent the extant fragments are written in idiomatic Gothic, as well as exactly what dialect of Gothic they might represent.        
This translation of “Alice’s Adventures in Wonderland” seeks to transport Carroll’s seminal work into the fourth-century Germanic world by Gothicizing both the language and environment of the original text.        
Why translate “Alice’s Adventures in Wonderland” into such an ancient and idiosyncratic language? In part, because Alice—itself a textbook of idiosyncrasies—lends itself well to linguistic flights of fancy, and in part because the dearth of available Gothic reading material has occasioned the production of new literature in this important East Germanic language.
“Aþalhaids” is to date the longest text written in Gothic in more than a thousand years." 
 
Sinossi (traduzione italiana del sottoscritto): 
 
"La lingua gotica (Gutiska razda o Gutrazda) era una lingua germanica contineltale parlata dai Visigoti e dagli Ostrogoti in molte aree (soprattutto in Spagna e in Italia) per tutta l'antichità e l'Alto Medioevo; mentre la lingua gotica sembra essersi funzionalmente estinta nel corso dell'VIII secolo, una qualche sua forma potrebbe aver continuato ad essere parlata in Crimea fino al XVI-XVII secolo. La Bibbia Gotica, tradotta da un esemplare greco perduto circa nel 360 d.C. dal vescovo gotico Wulfila, rappresenta il primo testo sostanziale in una lingua germanica. Il gotico stesso rimane la sola rappresentazione significativa del ramo delle lingue germaniche orientali, che da allora si è completamente estinto. Altre opere esistenti in gotico includono un'esegesi del Vangelo di Giovanni nota come Skeireins, un calendario parziale e alcuni frammenti minori. Sfortunatamente, tutti i testi esistenti sono incompleti, quindi non si sa fino a che punto i frammenti esistenti siano scritti in gotico idiomatico, così come non si sa esattamente quale dialetto del gotico potrebbero rappresentare. Questa traduzione di "Alice nel Paese delle Meraviglie" cerca di trasportare l'opera fondamentale di Carroll nel mondo germanico del IV secolo, goticizzando sia la lingua che l'ambiente del testo originale. 
Perché tradurre "Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie" in un linguaggio così antico e idiosincratico? In parte perché Alice, esso stessa un libro di testo di idiosincrasie, si presta bene a voli di fantasia linguistica, e in parte perché la scarsità di materiale di lettura gotica disponibile ha provocato la produzione di nuova letteratura in questa importante lingua germanica orientale. 
“Aþalhaids” è ad oggi il testo più lungo scritto in gotico in più di mille anni."
 
Il professor David Alexander Carlton ha commentato le difficoltà riscontrate nella sua opera di traduzione nell'introduzione al testo. Queste interessanti considerazioni sono disponibili nel Web e liberamente consultabili. Ne ho trovato una copia in formato pdf sul sito russo Bookvoed.ru:     
 
 
Esiste anche un file simile in Academia.edu, che presenta qualche discrepanza rispetto all'introduzione e contiene alcune inconsistenze: 

 
L'autore della traduzione ammette di aver operato cambiamenti e persino tagli nel testo di Carroll per poter rendere la narrazione più credibile per un ipotetico lettore del VI secolo d.C. 

Alcune riflessioni  
 
La mia filosofia è questa: quando si traduce un testo moderno in una lingua antica, bisogna innanzitutto porsi una domanda cruciale. Un parlante di quella lingua riuscirebbe a comprendere il testo tradotto? Se non ci riuscisse appieno, la traduzione fatta sarebbe etichettabile con una sola parola: fallimento.  
 
Il problema è che la lingua dei Goti a un certo punto è uscita dal corso storico del genere umano, e da quel momento ha cessato di avere un'evoluzione, proprio come un corpo morto e immerso nell'azoto liquido. Quando è stata riscoperta, è stata reintrodotta nella Noosfera umana. Nulla potrà mai eliminare la discontinuità. L'evoluzione di questa lingua recuperata in modo parziale, che possiamo definire neogotica, è indipendente da quella verificatasi nella lingua d'origine fino al punto terminale della sua esistenza. Non è cosa di poco conto. Il punto è che nessuno dei traduttori moderni sembra averne piena consapevolezza.  

Nel seguito indicherò le forme neogotiche (ricostruite) in caratteri maiuscoli, senza usare l'asterisco delle forme non documentate. Questo è senza dubbio lecito, visto che la lingua neogotica, oltre a non essere comunque identica a quella usata da Wulfila, è una lingua a tutti gli effetti e in essa sono stati composti testi letterari. 

Il problema della sintassi gotica 
 
Una tradizione molto diffusa vuole che Wulfila abbia cercato in modo quasi maniacale di adattare la lingua gotica alla sintassi greca per assicurare una traduzione davvero letterale delle Scritture. Tutto ciò ha un certo fascino, ma sono piuttosto scettico a questo riguardo. 
 
1) Se Wulfila avesse usato una sintassi artefatta e diversa da quella della lingua viva, non avrebbe assicurato una buona comprensione dei testi e non sarebbe riuscito nell'opera di evangelizzazione;
2) La stessa sintassi usata da Wulfila nella traduzione dei Vangeli è usata anche nel testo teologico Skeireins "Chiarimenti" e nei commenti ai frammenti dei calendari, per fare qualche esempio.  

Vero è che esistono tracce di una sintassi più antica, come la parola baurgswaddjus "mura della città", in cui il genitivo del possessore precede la cosa posseduta. Anche a costo di essere impopolare, enuncerò quanto penso. A mio avviso non sembrano esserci dubbi sul fatto che a un certo punto la lingua dei Goti abbia subìto profonde trasformazioni sintattiche, le cui cause sono ancora sconosciute ma in ogni caso indipendenti dall'opera di Wulfila.  

Il problema dei composti

Non so se sia il caso di abusare dei composti, come tendono a fare anche altri autori moderni. Già per motivi di comprensibilità, anziché MARTJUHASA "Lepre Marzolina" avrei usato HASA MARTJAUS "Lepre di Marzo". Anziché ǶEITAHASA "Bianconiglio" avrei usato HASA SA ǶEITA "La Lepre Bianca". Anziché SILDALEIKALAND "Paese delle Meraviglie" avrei usato LAND SILDALEIKE. Dall'aggettivo sildaleiks "meraviglioso", attestato nella traduzione di Wulfila, si ha la forma sostantivata del neutro plurale, sildaleika, usata col senso di "meraviglie, miracoli". La scelta di Carlton è perfettamente grammaticale, tuttavia non so bene che immagine mentale avrebbe trasmesso ai Goti.   

Il problema degli errori marchiani 

In gotico la parola bajoþs "entrambi" è plurale, non singolare. Questa è la sua declinazione, che vale sia per il maschile che per il femminile: 

nominativo: bajoþs 
genitivo: bajoþe
dativo: bajoþum 
accusativo: bajoþs 
vocativo: bajoþs  

Carlton traduce "embrambi matti" in modo agrammaticale: BAJOÞS WOÞS, come se bajoþs concordasse con il nominativo singolare maschile WOÞS "matto". Questo è uno strafalcione sesquipedale. Bisogna dire BAJOÞS WODAI. Perché? Semplice: in gotico il Cappellaio e la Lepre Marzolina sono entrambi di genere grammaticale maschile. La forma plurale da usarsi è quindi quella maschile WODAI. Se si trattasse di due persone di sesso diverso, si dovrebbe usare la forma femminile WODOS. Anche se si parlasse del Re e della sua consorte. Detto questo, la società dei Goti non era affatto "inclusiva", "femminista" o "matriarcale". Una cosa è il genere grammaticale, un'altra è il sesso! 
 
Il problema della semantica 

Esiste anche un piccolo problema semantico con l'uso della parola WOÞS per tradurre "matto". L'aggettivo gotico wods si traduce con "indemoniato, posseduto da uno spirito maligno" e ha un significato molto più forte di quanto possa avere in inglese la parola mad o in italiano la parola matto. Ormai questo aggettivo si è notevolmente indebolito: ai nostri giorni dare a qualcuno del matto non è poi una cosa tanto grave, può anche essere fatto in modo scherzoso (ad esempio in frasi come "sei proprio un mattacchione", etc). Riporto un un esempio dalla traduzione di Wulfila del Nuovo Testamento:

Marco 5: 15-18

jah atiddjedun du iesua jah gasaiƕand þana wodan sitandan jah gawasidana jah fraþjandan þana saei habaida laigaion, jah ohtedun. jah spillodedun im þaiei gaseƕun, ƕaiwa warþ bi þana wodan jah bi þo sweina. jah dugunnun bidjan ina galeiþan hindar markos seinos. jah inngaggandan ina in skip baþ ina, saei was wods, ei miþ imma wesi. 

"Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.  Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui." 

Il Cappellaio Matto trae la sua origine da un fatto molto curioso. Nel XIX secolo, i cappellai inglesi e di altre nazioni facevano uso di una soluzione dei sali arancioni del mercurio per infeltrire i tessuti e lavorarli facilmente. Le esalazioni tossiche inducevano qualche problema mentale in questi artigiani. I cappellai farfugliavano, erano tremebondi e depressi, soffrivano di perdite di memoria e di spasmi. Inoltre i loro capelli, saturi di veleno, assumevano spesso un'irreale colorazione arancione. Questa è la radice del nonsense del Paese delle Meraviglie, dove tutto è stravagante come poteva esserlo un cappellaio in preda ai fumi idrargirici. Resta il fatto che una cosa è l'indemoniamento, un'altra la stravaganza.
 
Il problema delle lacune lessicali 

Il pipistrello è da Carlton chiamato MUSTRIGGS. Può sembrare un'ottima soluzione, dato che la parola appare formata a partire da MUS /mu:s/ "topo" (inglese mouse, tedesco Maus, norreno mús, etc.) - anche se la formazione non è chiarissima. Ora, il traduttore afferma di aver coniato questo MUSTRIGGS a partire da un vocabolo diffuso nella Penisola Iberica: spagnolo mostrenco, portoghese mostrengo, catalano mostrenc, che crede avere il significato di "pipistrello". Il suo riferimento è a un dizionario Gotico - Tedesco preparato dal professor Gerhard Koebler (Università di Innsbruck):  


Ecco quanto riporta Koebler: 
 
*mūstriggs?, got., st. M. (a)?: nhd. Fledermaus; ne. bat (2) (N.); Q.: port. mostrengo, span. mostrenco, kat. mostrenc, umherstreichend, Gamillscheg, RFE. P 1932, 236; E.: s. mūs 

Spagnolo mostrenco, portoghese mostrengo e catalano mostrenc significano "vagabondo, senza proprietario noto" (tradotto da Koebler con l'aggettivo umherstreichend, alla lettera "vagante"). Non sono certo che l'etimologia proposta sia corretta, dato anche l'enorme discrepanza semantica. L'origine potrebbe benissimo essere gotica, anzi, ne sono convinto, ma il significato non sarebbe quello di "pipistrello". Avremmo MUSTRIGGS "vagabondo" (agg.). La pronuncia sarebbe probabilmente /'mustriŋgs/, con una vocale -u- breve, come suggerito dall'evoluzione romanza che ha -o- e non -u-. Potrebbe non derivare dal nome del topo. Se queste mie considerazioni fossero corrette, la forma sostantivata MUSTRIGGA fornirebbe una traduzione plausibile di "clochard", non di "pipistrello". I romanisti credono che lo spagnolo mostrenco e simili derivino da un precedente mestenco, il cui significato originale è quello di "animale senza padrone conosciuto" (da mesta "riunione di proprietari di bestiame", a sua volta dal latino mixta). Questa parola sarebbe stata alterata per via di una supposta espressione mostrar el mestenco, che a quanto pare era usata per descrivere l'atto di rivendicare la proprietà di un animale senza padrone. Non amo questi ragionamenti contorti e improbabili dei romanisti, ma non ho ancora abbastanza dati per giungere a una conclusione solida.

Il problema dei neologismi 
 
Interessanti sono alcuni neologismi utilizzati nel testo. Come sempre, formazioni di questo genere sono alquanto capricciose e non è affatto detto che si rivelino utili. Riporto e discuto brevemente alcuni esempi concreti nel seguito. 
 
Il termine HATTAREIS è utilizzato per indicare il Cappellaio. Possiamo infatti ricostruire con sicurezza i seguenti vocaboli gotici: 
 
HATTUS "cappello" < protogerm. *χattuz
HOÞS "cappuccio" (gen. HODIS) < protogerm. *χōðaz
 
La prima forma è l'equivalente dell'inglese hat "cappello", la seconda dell'inglese hood "cappuccio" e del tedesco Hut. Carlton ha preso HATTUS e gli ha applicato il tipico suffisso -areis, che indica tra le altre cose la professione (deriva dal latino -ārius). Come bokareis è lo scriba, da bokos "libro", boka "lettera", allo stesso modo nel gotico di Carlton abbiamo HATTAREIS "cappellaio" da HATTUS "cappello". Non è molto chiaro se la procedura, a prima vista ineccepibile, sia legittima. Non mi vengono in mente derivati in -areis da sostantivi nativi col tema in -u-. Inoltre non sono certo che esistesse ai tempi di Alarico la professione del cappellaio. C'era tra i Visigoti e gli Ostrogoti un professionista tanto specializzato da essere adibito unicamente alla produzione di copricapi? Oppure i copricapi erano opera di professionisti che producevano anche altri capi di vestiario? Non so dare una risposta, anche se la seconda alternativa mi sembra più plausibile. Mi chiedo se Alarico avrebbe compreso il termine carltoniano. 
 
L'astrolabio è detto STAIRNONIMA, alla lettera "prenditore di stelle". L'orologio è detto STUNDOSWAIHTS, alla lettera "cosa del tempo". A parer mio sarebbe stato meglio importare le parole direttamente dal latino, che a sua volta le ha prese dal greco. Avremmo così ASTRAULABJUM dal latino astrolabium (greco astrólabos) e HORAULAUGJUM dal latino hōrologium (greco hōrológion), in cui il dittongo grafico -au- trascrive la vocale -o- breve. Altri adattamenti sono comunque possibili. Aggeggi di questo genere esistevano già ai tempi del Re Alarico, che avrebbe anche potuto capire le parole per designarli. Ovviamente non esistevano i Rolex, ma le clessidre e le meridiane esistevano eccome. Non si vede perché dover introdurre neologismi ardui come STAIRNONIMA e STUNDOSWAIHTS, che sarebbero stati comprensibili dai Goti solo nel loro significato letterale, ma che non sarebbero riusciti in alcun modo a comunicare il concetto.    

Il problema delle parole macedonia 

Le parole macedonia sono a mio avviso da rigettare. In primis perché sono arbitrarie e legate a un contesto noto soltanto al narratore. In secundis perché i popoli antichi non avevano il concetto di formazioni di questo tipo e non avrebbero potuto comprenderle facilmente. Se qualcuno ha pensato bene di trasformare Claudius Tiberius Nero in Caldius Biberius Mero "Bevitore di vino caldo e puro", non ha dato vita a  parole macedonia: ha soltanto alterato a scopo satirico nomi esistenti per produrre altri nomi dotati di senso. Le parole macedonia invece oscurano l'etimologia e la possibilità di analisi a partire da elementi morfologici noti. Se  si prende la parola breakfast e la si unisce a lunch per ottenerne brunch, si ha un vocabolo paradossale che non può essere analizzato. Il problema è che questo tipo di formazioni costituisce il cardine della letteratura nonsense inglese, di cui Lewis Carroll fu un esponente d'importanza capitale. Oltre a coltivare un'insana passione per le bambine, il matematico di Daresbury si divertiva a riassemblare il lessico inglese ottenendone stravaganti collage per esprimere un umorismo paradossale. Come rendere nella lingua di Wulfila uno scritto pieno di nonsense? Sono convinto che non si possa.  
 
Il ghiro in inglese è chiamato dormouse. Si tratta del prodotto di una falsa etimologia a partire dal francese antico dormeus, alla lettera "dormiglione", associato popolarmente al nome del topo, mouse, di chiara origine germanica, con parenti in latino, in greco e in sanscrito. Carlton, volendo rendere il nome del Ghiro della storia di Carroll, ha fatto ricorso a un nome che sembra proprio una parola macedonia: SLEMUS. Questo SLEMUS nasce direttamente da slepan "dormire" e da MUS "topo" (ricostruito a partire dalla protoforma germanica, comune a tutte le lingue del ceppo). Meglio sarebbe stato chiamare il simpatico roditore SLEPMUS, con un composto più razionale, dal momento che un suo nome olandese è propio slaapmuis. Non si capisce il motivo della scomparsa della consonante -p- dalla radice slep- "dormire", visto che non ci sono motivazioni di pensare alla riduzione del gruppo consonantico -pm- a una semplice -m-. Carlton, credendo erroneamente che dormouse sia una parola macedonia, ha voluto replicare in gotico qualcosa di simile. Un altro vocabolo olandese per indicare il ghiro è zevenslaper, corrispondente al tedesco Siebenschläfer. L'autore della traduzione avrebbe potuto usarlo per ricostruire SIBUNSLEPANDS, alla lettera "che dorme sette volte". Il participio presente slepands "dormiente" è attestato; il suffisso -er, corrispondente al gotico -areis, ha sostituito largamente formazioni più antiche in -nd-. L'origine di questo strano composto è da ricercarsi nella leggenda dei Sette Dormienti di Efeso, che doveva essere ben nota ai Goti. Giordane ci testimonia che si era diffusa persino tra popolazioni pagane della Scandinavia. Tutte queste denominazioni sono di origine tabuistica. Non sappiamo se esistesse in gotico un nome specifico del ghiro, del tutto indipendente. Notiano che in bavarese il ghiro è chiamato Greil o Gleir: la parola è di chiara origine latina (glīs, gen. glīris). Il ghiro manca nelle terre in cui si parlava norreno. Verosimilmente vi mancava anche al tempo dei Vichinghi. Eppure in svedese troviamo sjusovare "ghiro", che traduce alla perfezione il tedesco Siebenschläfer e rimanda esso stesso alla leggenda dei Sette Dormienti di Efeso. Non possiamo valerci dell'antico islandese per cercare altri lumi in un'oscurità più profonda.

Il problema della comprensibilità storica 

Come tutti sappiamo, ai tempi dei Goti il tè era sconosciuto in Europa. Non poteva dunque esistere la cosidetta ora del tè. Non esisteva alcun tea party. Non era possibile nemmeno immaginarlo. Si può quindi comprendere le difficoltà di Carlton nel rendere i concetti correlati a questo rituale tipicamente inglese. In epoca precedente alla prima Rivoluzione Industriale, l'usanza prevedeva di bere birra nel pomeriggio. Siccome gli incidenti in fabbrica si moltiplicavano a causa della continua ingestione di una bevanda pur lievemente alcolica, questa fu infine sostituita con il tè. Non ci sarebbe modo di spiegare tutto questo a un Goto redivivo. Carlton ha adottato una soluzione che a prima vista può apparire geniale. Ha semplicemente trasformato il tè in idromele! MIDUS "idromele" rende la parola "tè". Abbiamo quindi i seguenti composti: 

MIDUÞIGG "riunione dell'idromele"
    (traduce "party del tè")
MIDUAURKEIS "brocca dell'idromele"
   (traduce "teiera")
 
Nell'articolo su Academia.edu si trovano due forme diverse, in cui il composto ha il primo membro al genitivo: 

MIDAUSÞIGG "riunione dell'idromele"
    (traduce "party del tè")
MIDAUSAURKEIS "brocca dell'idromele"
   (traduce "teiera")
 
Questo modo di formare composti genitivali non sembra che fosse più molto vitale ai tempi di Wulfila: le forme con MIDU- sono di gran lunga preferibili a quelle con MIDAUS-, come Carlton stesso a un certo punto si è accorto. Il problema è tuttavia un altro. Tra i tutti Germani l'idromele aveva un importante ruolo di bevanda del Re, dei nobili e degli eroi. La prima domanda che Alarico si sarebbe posto, riguarderebbe proprio la tavolata riunita attorno alla bevanda inebriante. Perché un cappellaio, per giunta matto, avrebbe dovuto presiedere il rito? Come mai in questo contesto non si parla invece di un sovrano, della sua corte, dei suoi guerrieri? 
 
Il problema dei fraintendimenti 

Non comprendo la scelta di sostituire l'inglese treacle "antidoto" (dal latino thēriaca, dal greco thēriákē) con miliþ "miele" (non *milþis, come erroneamente riportato nell'articolo su Academia.edu). Una simile "traduzione" è senza dubbio fuorviante. Carlton reputa che sarebbe stato anacronistico parlare di antidoto ai tempi dei Goti. Non sono affatto d'accordo. Mitridate e il suo antidoto universale erano parte del sapere comune nell'antica Roma, ben prima che Wulfila iniziasse a predicare. Il nostro eroico Alarico avrebbe benissimo potuto essere in grado di comprendere ÞERJAKE come "antidoto, contravveleno". 

Il Dodo si è trovato trasformato in una Fenice: FAINIKS. A rigor di logica la fenice dovrebbe essere FWNEIKS o FWNIKS, dove -w- trascrive regolarmente il dittongo -oi- del greco, all'epoca pronunciato come la vocale -y-. La vocale -i- lunga è trascritta in gotico con -ei-, ma anche con -i-. È attestato l'aggettivo fwnikisks "fenicio". Detto questo, trovo che la "traduzione" di Carlton sia in ogni caso insoddisfacente. La Fenice è un uccello aggraziato che somiglia al fuoco vivo, mentre il Dodo è un piccione obeso, inabile al volo, strabico, beccuto e dotato di ali atrofiche: una figura grottesca e distorta, che non si presta a un paragone con il simbolo della Rinascita. 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web  

Alcuni commenti significativi sono presenti nella pagina di Amazon usata per ordinare il libro di Carlton. Li riporto in questa sede perché li ritengo utili al fine di accrescere la Conoscenza.
 
 
Un anonimo "Cliente Amazon" ha scritto (in spagnolo): 
 
Es uno de los pocos textos escritos en godo fuera de la Biblia de Wulfila. El autor detalla las dificultades técnicas que ha tenido que afrontar para adaptar Alicia en el País de las Maravillas al godo siendo fiel a su sintaxis y lexico. La falta de vocablos modernos lo afronta introduciendo un número de neologismos mínimo. Prefiere derivar palabras empleando lexemas godos. Esperemos que más autores se animen a escribir en godo y se cree una comunidad de hablantes en godo 
 
Un anonimo "Amazon Customer", dal dente avvelenato, ha scritto (in inglese): 
 
Whoever takes Gothic seriously should not buy this book. Hardly anybody reads Gothic today, so a poor translation can easily slip under the radar, even for the translator himself. "Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda" is very poorly translated and is full of both minor and major grammatical errors on every page. I attempted to correct the first chapter alone myself, but the errors became so numerous that I gave up. I'm convinced that the translator has never studied Gothic grammar in depth and just used a dictionary. I can't blame the translator, after all no native speakers are alive to correct his work.
Possibly the most common mistake made in "Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda" (aside from case usage and verb tenses) is the usage of the clitic "-uh". -uh can only be placed on verbs and some indefinite pronouns, yet the translator uses it similarly to Latin "-que". This usage is incorrect: -uh can only join two or more main clauses. Here's an example where the author uses -uh to join two nouns : "stiklabridam bokobridam-uh". The word "jah" must be used here. 

Quanto l'utente fa notare corrisponde al vero: l'enclitica -uh è usata soltanto in alcuni contesti, con i verbi e con alcuni pronomi, mentre non può avere un uso analogo a quelo del latino -que. Quando si devono unire due sostantivi bisogna usare la congiunzione jah "e". Cosi anziché STIKLABRIDAM BOKOBRIDAMUH bisogna dire STIKLABRIDAM JAH BOKOBRIDAM "alle mensole dei bicchieri e alle mensole dei libri". Sempre ammesso che la parola BRIÞ (genitivo BRIDIS, plurale BRIDA) "mensola, superficie" si usasse effettivamente. Dal punto di vista fonetico è ben costruita dal protogermanico *bridan, che ha dato origine al tedesco Brett e all'antico inglese bred "superficie"; poi non sappiamo se esistesse davvero in gotico. Ho seri dubbi sulla validità di questi composti. Per quanto riguarda BOKOBRIDA, ho dubbi anche sulla correttezza grammaticale. Il gotico bokos "libro" è un plurale tantum formato a partire da boka "lettera (dell'alfabeto)"; non sono affatto sicuro che potessero formarsi composti in BOKO- "libro", mentre i composti in BOKA- sarebbero ambigui. Sarebbe meglio dire BRIDA BOKO.

Trovo in ogni caso esagerato il finale dell'intervento di questo "Amazon Customer", che avrebbe ben potuto firmarsi almeno con un nick: 

I originally wanted to give this book one star, but the amount of effort that went into this book is worth another star. The illustrations and alterations to make the story fit into a historically accurate time period is also worth something. I can only recommend this book to collectors, but even then it's honestly not worth your money. 

Conclusioni 

Nonostante tutti i problemi e le perplessità che ho enumerato e discusso, l'opera di Carlton è di un'importanza capitale. Nel complesso ambito della letteratura in lingua neogotica, non si può prescindere da questa traduzione (o meglio riscrittura) delle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.

mercoledì 14 ottobre 2020

ETIMOLOGIA DI NODENS

Nodens è un dio celtico associato al mare, ai cani, alla caccia e alle guarigioni. Il suo nome è documentato con le varianti Nudens e Nodons. Nell'interpretatio romana è associato a Marte, a Nettuno e a Silvano. Il suo culto era diffuso in Britannia, dove ne abbiamo testimonianze nel complesso di templi di Lydney Park (Gloucestershire, Inghilterra), collocato nei pressi dell'estuario del fiume Severn. Nel 1920 il sito fu scavato dall'archeologo Sir Mortimer Wheeler, che ritrovò numerose iscrizioni in latino con dediche a Nodens. 
 
Questo è il testo di una maledizione inciso su una tavoletta di piombo, ritrovato nel complesso di Lydney:  
 
DEVO NODENTI SILVIANVS ANILVM PERDEDIT DEMEDIAM PARTEM DONAVIT NODENTI INTER QVIBVS NOMEN SENICIANI NOLLIS PETMITTAS SANITATEM DONEC PERFERA(T) VSQVE TEMPLVM (NO)DENTIS 
 
Traduzione: 
"Per il dio Nodens. Silviano ha perso un anello e ha donato metà [del suo valore] a Nodens. Tra coloro che sono chiamati Seniciano non permettere alcuna guarigione finché non sarà restituito al tempio di Nodens."

Le lettere tra parentesi si trovavano sul bordo eroso della lamina, così non sono leggibili, anche se le si può reintegrare con sicurezza. 
 

A fare la defissione deve essere stato un romano, Silviano, il cui anello era stato rubato da un certo Seniciano. Un britanno avrebbe scritto il testo in lingua celtica, che coesisteva col latino nello stesso ambiente. Non era raro per un cittadino romano ricorrere a divinità dei popoli presso cui risiedeva. Il fatto curioso è che l'anello di Silviano fu poi ritrovato nel 1785 in un luogo distante, a Silchester, nello Hampshire. Il prezioso reca un'iscrizione: SENECIANE VIVAS IIN DE<O> (la preposizione IN è scritta con due I e manca la vocale finale di DEO). Il ladro era cristiano! 
 
Una piastra di bronzo, sempre da Lydney, riporta questa iscrizione: 
 
D(EO) M(ARTI) NODONTI FLAVIVS BLANDINVS ARMATVRA V(OTUM) S(OLVIT) L(IBENS) M(ERITO) 
 
Traduzione:
Al dio Marte Nodons, Flavio Blandino l'istruttore d'arme adempie volentieri e meritatamente al suo voto. 
 

Su un'altra piastra di bronzo, assieme all'immagine di un cane compare la seguente iscrizione:  
 
PECTILLVS VOTVM QVOD PROMISSIT DEO NVDENTE M(ARTI) DEDIT 
 
Traduzione:
Pettillo dedica questa offerta votiva che aveva promesso al dio Nudens Marte. 


La ricostruzione delle forme celtiche britanniche è molto agevole. Sono le seguenti:

nom. *Noudons, *Noudens 
gen. *Noudontos, *Noudentos
dat. *Noudontī, *Noudentī 
acc. *Noudontan, *Noudentan 
voc. *Noudons, *Noudens

Il dittongo celtico /ou/ aveva un suono chiuso ed era spesso reso nelle trascrizioni latine con /o:/ (scritto -o-) o con /u:/ (scritto -u-), sia in Britannia che nelle Gallie. 
 
La forma accusativa è in -*an. La protolingua vocalizzava le antiche sonanti /ṃ/ e /ṇ/ dell'indoeuropeo con una vocale centrale.
 
L'adattamento di queste forme alla III declinazione in latino è immediata, data la somiglianza tra le due lingue, dovuta alla comune origine indoeuropea: 
 
nom. NODONS, NODENS, NVDENS 
gen. NODONTIS, NODENTIS, NVDENTIS 
dat. NODONTI, NODENTI, NVDENTI 
acc. *NODONTEM, *NODENTEM, *NVDENTEM
voc. *NODONS, NODENS, *NVDENS 
abl. *NODONTE, *NODENTE, *NVDENTE 

Troviamo un'occorrenza di NVDENTE come dativo, in luogo di NVDENTI. Potrei non disporre della totalità delle iscrizioni in cui il teonimo è presente, tuttavia è verosimile che i testi non contengano le forme accusative, vocative e ablative. 

Nodens in Irlanda 
 
Fu J. R. R. Tolkien il primo autore ad accorgersi dell'identità tra le forme britanniche attestate nelle iscrizioni in latino e il teonimo irlandese Nuadha (antico irlandese Nuaḋu, Nuaḋo, Nuaḋa, attualmente scritto Nuadu, Nuada), che designava il primo sovrano del popolo divino dei Túatha Dé Dánann.  

Questa è la declinazione del teonimo:

nom. Nuaḋu, Nuaḋo 
gen. Nuaḋat 
dat. Nuaḋait 
acc. Nuaḋat n-
voc. Nuaḋu, Nuaḋo
 
Queste sono le protoforme da cui sono derivate le forme iberniche riportate: 
 
nom. *Noudons 
gen. *Noudontos 
dat. *Noudontī
acc. *Noudonten
voc. *Noudons 
 
Il dittongo /ou/ (dai dittonghi protoceltici /ou/ e /eu/) si è evoluto naturalmente in /ua/, in cui l'accento cade sulla prima vocale. La consonante /d/ si è lenita in /ð/ (la pronuncia è come nell'inglese the ed è scritta ). In irlandese moderno questa consonante è sparita, così Nuadha si pronuncia /nuə/
 
La forma accusativa è in -*en, che in antico irlandese sparisce lasciando una pronuncia palatale della consonante precedente. La protolingua vocalizzava le antiche sonanti /ṃ/ e /ṇ/ dell'indoeuropeo con una vocale anteriore. 
 
Un chiaro esito moderno dell'antroponimo Nuadha è il cognome gaelico irlandese Ó Nuadhain (anglicizzato in Noon o Noone). Si trova soprattutto nelle Contee di Galway, Mayo e Roscommon.
 
Epiteti del Re Nuadu 
 
Il Re Nuadu dei Túatha Dé Danann era chiamato Airgetláṁ, ossia "Mano d'Argento" o "Braccio d'Argento". La protoforma ricostruibile è *Argentolāmos (da *argenton "argento" e *lāmā "mano; braccio"). Aveva tuttavia anche un altro notevolissimo nome: Nechtan. Questa denominazione lo qualifica come divinità delle acque ed ha la stessa origine del latino Neptūnus. In protoceltico l'antico gruppo consonantico /-pt-/ è diventato /-χt/, con un suono fortemente aspirato come -ch nel tedesco nach. Così Nechtan deriva da un precedente *Neχtonos, a sua volta da *Neptonos. Questo prova che Nuadu era una divinità molto venerata dai Picti, con il nome di Nechtan, dato che questo compare come antroponimo. Nelle iscrizioni ogamiche in lingua pictica (non indoeuropea ma con notevoli prestiti celtici) ne abbiamo varie attestazioni:  
 
NEHHTONS (iscrizione di Lunnasting),  
NAHHTO... (iscrizione di Latheron),  
NEHHT(VROBBACCENNEVV) (iscrizione di Aboyne), 
NAHHTVVDDAḌḌS (iscrizione di Bressay). 
 
Beda il Venerabile ci tramanda questo nome come Naiton. In antico irlandese, oltre a Nechtan, è attestata anche la denominazione Nuadu Necht, che potremmo tradurre con "Nuadu delle Acque", da *Noudons Neχton, a riprova del fatto che nel linguaggio druidico doveva esistere il vocabolo necht "acqua", da *neχton "acqua" (genitivo plurale *neχton "delle acque"). Simili arcaismi sono preziosi, eppure non mi risulta che siano molto studiati dal mondo accademico. 
 
Un altro epiteto del Re Nuadu Braccio d'Argento, che dimostra la sua natura ambigua, era Elcṁar (in irlandese attuale Ealcmhar), che significa "Funesto". La protoforma ricostruibile è *Elcomāros. L'aggettivo -māros "grande" era usato come intensivo e si trova ampiamente nell'antroponimia celtica, ad esempio nelle Gallie. Solo per fare un esempio, il nome del capo degli Insubri Viridomarus (adattamento di *Viridomāros) significa "Molto Virile". 
 
Il Re Braccio d'Argento nel Galles 
 
Il Re Nuadu Airgetlám nella letteratura gallese medievale è l'eroe Ludd Llaw Ereint, il cui nome era in origine Nudd Llaw Ereint. L'epiteto Llaw Ereint significa "Mano d'Argento" o "Braccio d'Argento". Vediamo subito che llaw "mano; braccio" viene dal britannico *lāmā, a sua volta da *plāmā (cfr. latino palma), mentre ereint viene dal britannico *argantijā "d'argento", aggettivo femm. derivato da *arganton "argento". Nudd è proprio l'evoluzione regolare di *Noudons, *Noudens. La sua successiva trasformazione in Lludd si può spiegare con una sorta di tabù, una plausibile reazione cristiana a contenuti pagani di cui permaneva qualche consapevolezza - oppure la sequenza Nudd Llaw Ereint sarebbe stata mutata in Llud Llaw Ereint per semplice assimilazione attillterante.   
 
Un possibile parallelo in Renania 
 
Un dio NOADATUS (o più probabilmente NOADAS) è stato identificato in un'iscrizone trovata a Magonza, incisa su blocco di arenaria. L'enigmatica divinità è identificata con Marte. Questo è il testo: 

DEO MAR(TI) / NOADAT(O?) / [F]L(AVIVS?) MVCATR/ALIS VET(ERANVS) LEG(IONI) / XXII EX VOT[O] / [POSV]IT 

La lettura NOADAT(O) potrebbe non essere corretta. Ritengo molto probabile che si debba invece leggere NOADAT(I). Se ciò fosse confermato, avremmo il dativo di un tema in consonante (sia in latino che in celtico terminava in -i). Il teonimo si spiegherebbe come una derivazione da un precedente *Noudons seguendo una trasformazione simile a quella che si è verificata in irlandese. La cosa sorprende non poco, dato che l'altare risale ai primi decenni del III secolo d.C. (datazione probabile: 200 - 230 d.C.). Si potrebbe pensare a una comunità alloctona, deportata dai Romani da una regione lontana, probabilmente l'Ibernia o la Caledonia. Questa comunità trapiantata non deve essere stata effimera. Si noterà che nella terminologia legale dei Merovingi restano tracce di una lingua celtica con caratteri simili a quelli dell'antico irlandese.  
 
Il significato della radice indoeuropea *neud- 
 
Le protoforme ricostruibili con sicurezza dai dati a disposizione (iscrizioni in latino, esiti nelle lingue celtiche medievali) puntano a una radice *noud-, *neud-, di cui il teonimo Nodens è un participio presente attivo. Cosa significa questa radice? Qual è la sua provenienza? Per rispondere a questa domanda è necessario fare riferimento ad altre lingue indoeuropee. Pokorny ha ricostruito una forma protoindoeuropea *neu-d- "acquisire, far uso di qualcosa". Pokorny ha ipotizzato *neu-d- "acquisire, utilizzare; pescare". In tempi più recenti, Starostin ricostruisce *neud- "godere di qualcosa, utilizzare". Il principale parallelo del teonimo celtico è il protogermanico *neutanan "utilizzare". In gotico abbiamo niutan "utilizzare", unnuts "stupido; inutile" (un- è il prefisso negativo), ma soprattutto nuta "pescatore" (la locuzione evangelica "pescatori di uomini" è resa da Wulfila con nutans manne). A parer mio il significato originario era "afferrare; catturare", da cui "cacciare; pescare", con naturale slittamento semantico. Esistono anche corrispondenti in baltico e in slavo. Si tratta quindi di una radice tipica dell'indoeuropeo occidentale, che potrebbe essere a sua volta un prestito antichissimo da una lingua di origine sconosciuta. Tutto questo è tuttavia di somma utilità: ci permette di capire che Nodens è proprio la fonte da cui è derivato il mito del Re Pescatore. Il Ciclo di Artù è derivato da un'assimilazione cristiana di materiale celtico. 
 
Nodens e il sassone Saxnot 
 
La divinità nazionale dei Sassoni era il guerriero Saxnōt, che è attestato in antico inglese come Seaxnēat. Si tratta di un teonimo formato a partire dal nome della spada corta, una sorta di gladio: antico sassone sax, antico inglese seax. Proprio come il nome stesso dei Sassoni. Possiamo facilmente comprendere che è un antico parente del latino saxum "sasso"; l'etimologia dall'indoeuropeo *sek- "tagliare" (da cui il latino secāre) è fallace e non spiega il vocalismo. Il vocabolo in questione rimanda all'epoca neolitica in cui le armi erano fatte di ossidiana. Così Saxnōt significa "Che usa il gladio", "Che afferra il gladio". La seconda parte del composto punta a una protoforma *naut-, che è proprio dal verbo *neutanan di cui abbiamo parlato in precedenza. 
 
Nodens e H. P. Lovecraft 
 
Molti conoscono Nodens soltanto per via delle sue menzioni nell'opera del Solitario di Providence. Nodens è chiamato "Il Cacciatore" e "Il Signore del Grande Abisso" (Lord of the Great Abyss). Considerato una divinità del Ciclo dei Sogni, è annoverato tra i Grandi Antichi. I suoi servitori sono i Magri Notturni (Nights Gaunts, Nightgaunts) In qualche modo è dipinto come benevolo, se non altro perché si oppone a Nyarlathotep, il Caos Strisciante. Compare nel romanzo fantastico La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath (The Dream-Quest of Unknown Kadath), scritto nel 1926-1927 e pubblicato postumo nel 1943. Si trova anche nel racconto horror La casa misteriosa lassù nella nebbia (The Strange High House in the Mist), scritto nel 1926 e pubblicato nel 1931 su Weird Tales:  
 
"And upon dolphin’s backs was balanced a vast crenelate shell wherein rode the grey and awful form of primal Nodens. Lord of the Great Abyss…. Then hoary Nodens reached forth a wizened hand and helped Olney and his host into the vast shell" 
 
Il suo aspetto è quello di un uomo canuto con la barba grigia, anziano ma robusto e vitale. Viaggia su una specie di carro costituito da una grande conchiglia marina e trainato da un cetaceo. Sembra quasi rassicurante, in confronto all'insondabile orrore alieno di Cthulhu e di Yog-Sothoth. Per il resto, sono sconosciuti i suoi poteri, così come le sue reali intenzioni.  

Nodens e J. R. R. Tolkien 

Sembra evidente che lo scrittore sudafricano sia rimasto molto colpito dalla scoperta delle iscrizioni di Lydney e dall'allusione all'anello di Silviano rubato dal perfido Seneciano. Da questi fatti deve aver sviluppato una vera e propria ossessione per gli anelli! Una cosa è certa: senza Nodens non avremmo Il Signore degli Anelli. Si è tanto insistito sull'adesione di Tolkien alla religione della Chiesa di Roma, eppure non si menziona quasi mai la pervasività dell'influenza delle antichità pagane nella sua formazione e nella sua opera.

venerdì 2 ottobre 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DELL'IDRONIMO MISKATONIC

La geografia del New England incubico descritto da H. P. Lovecraft è a dir poco affascinante. Somiglia a quella della realtà in cui viviamo, ma non è del tutto identica. Proprio questo è il suo fascino intrinseco: quella toponomastica distorta, incongrua, che sulle prime potrebbe sembrare verosimile ma che poi si scopre essere il sottile parto dell'immaginazione.
 
La Miskatonic University è menzionata per la prima volta nel racconto Herbert West, rianimatore (Herbert West, Reanimator), pubblicato per la prima volta nel 1922. L'ateneo trae il suo nome da quello del fiume che scorre nella tetra cittadina di Arkham. Il Miskatonic è descritto come un fiume descritto come spettrale e tristissimo, dalle acque grigie. Molto diffusa è la leggenda di una derivazione dell'idronimo dall'aggettivo chthonic "sotterraneo, ctonio", vocabolo dotto derivato dal greco χθών (khthon) "terra". I sostenitori di questa etimologia analizzano la terminazione -katonic come una deformazione ortografica di chthonic, lasciando un residuo mis- anch'esso ricondotto al greco e identificato col ben noto prefisso mis- di parole come misanthropy "misantropia", a sua volta confuso col prefisso inglese mis- indicante qualcosa di sbagliato (ricorrente in parole come misunderstanding "fraintendimento", misdeed "misfatto", mismatch "errata corrispondenza", etc.). Questo è riportato nel sito Academic Dictionaries of Encyclopedia
 

"A likely origin for the word Miskatonic is that it is the phonetic contraction of the English prefix 'Mis-', indicating something wrong (as in ‘misplaced’), or bad (as in ‘misanthropy’), and Chthonic (from Greek χθόνιος – chthonios, "in, under, or beneath the earth"), which designates, or pertains to, deities or spirits of the underworld, especially in relation to Greek religion. The Greek word khthon is one of several for "earth"; it typically refers to the interior of the soil, rather than the living surface of the land. It evokes at once abundance and the grave. A close approximation to the phonetic pronunciation of the word Chthonic is 'kuh-th-onic', where 'th' is pronounced identically as it is in the word 'thing'. Miskatonic thus read and understood, would clearly fit with Lovecraft’s wit and mythos." 

Traduzione per i non anglofoni: 

"Una verosimile origine per la parola Miskatonic è che sia la contrazione fonetica del prefisso inglese 'Mis-', indicante qualcosa di sbagliato (come in ‘misplaced’), o cativo (come in ‘misanthropy’), e Chthonic (dal grego χθόνιος – chthonios, "in o sotto la terra"), che designa o riguarda divinità o spiriti del mondo sotterraneo, specialmente in relazione alla religione greca. La parola greca khthon è una delle tante per "terra"; si riferisce tipicamente all'interno del suolo, piuttosto che alla superficie vivente della terra. Evoca al contempo l'abbondanza e la tomba. Una stretta approssimazione alla pronuncia fonetica della parola Chthonic è 'kuh-th-onic', dove 'th' è pronunciata in modo identico a quello della parola 'thing'. Miskatonic, così letto e compreso, si adatta chiaramente all'arguzia e al mito di Lovecraft."

Posso dimostrare che questa etimologia è fallace e basata su errori grossolani. Innanzitutto il vocabolo cthonic non è affatto pronunciato /kə'θɔnɪk/ in inglese americano, bensì /'θɒnɪk/. Nell'inglese britannico l'iniziale ch- corrisponde a /k/: /'kθɔnɪk/, ma senza formare il nucleo di una sillaba. Non è improbabile che tale suono velare sia stato restaurato in epoca abbastanza recente tramite un intervento accademico e che la pronuncia più antica corrispondesse a quella americana. Il dizionario Merriam-Webster non riporta traccia di /k/ nella pronuncia del vocabolo in questione.
 
 
Non sembra probabile quindi che Lovecraft potesse trascrivere chthonic come -katonic. 
 
1) Il prefisso inglese mis- "cattivo, sbagliato" non è affatto di origine greca: è di origine germanica. Deriva dal protogermanico *missa- "erroneo, non corrispondente", che troviamo immutato in gotico: missadeþs "misfatto"; missaleiks "vario"; missaqiss "discordia, dissenso". 
2) In alcune parole importate dal francese antico, il prefisso mis- è invece di origine latina e deriva da minus "meno". Così miscreant "miscredente", in ultima analisi dal latino medievale minuscredens. Si noti che l'avverbio minus non è mai stato usato come prefisso nel latino classico. Questo uso si è imposto in seguito per influenza del prefisso germanico mis- della lingua dei Franchi (vedi sopra).
3) Esiste un altro prefisso in inglese, mis(o)-, che è di origine greca e significa "odio, odiatore, che odia". Si trova in parole come misanthropic, misoginy, misandry, etc. Non esiste soltanto in inglese: è ben conosciuto in moltissime altre lingue, italiano incluso. Così tutti sappiamo che il misantropo è colui che odia gli esseri umani, e che il misogino è colui che odia le donne; una donna che odia gli uomini è chiamata misandra, anche se questo vocabolo non è conosciuto dal volgo, non avendo il giornalismo politically correct alcun interesse a diffonderlo. Le parole greche μῖσος (mîsos) "odio" e μισέειν, μισεῖν (miséein, miseîn) "odiare" non hanno alcuna etimoloia indoeuropea credibile: sono con ogni probabilità relitti del sostrato pre-ellenico.
 
Veniamo al dunque: il Solitario di Providence ha dichiarato che l'idronimo Miskatonic deriva da un guazzabuglio di radici Algonchine  ("a jumble of Algonquin roots"). Non ha mai sostenuto l'idea di una fabbricazione cervellotica dal greco accademico. La sua parola senza alcun dubbio vale più delle boiate degli improvvisati grecisti del Web. In realtà il processo creativo non è stato così complesso da poter essere descritto come "guazzabuglio". Due sono le sorgenti identificabili: 
 
1) L'etnonimo Misqat, che identifica un'oscura tribù degli Algonchini del Massachusetts, secondo quanto riportato da Daniel Harms (The Encyclopedia Cthulhiana, 1998); 
2) L'idronimo Housatonic, la cui pronuncia è /hu:sə'tɒnɪk/. Molte sono le ortografie attestate per il nome di questo fiume del New England. A quanto pare la più antica grafia risale al 1661 e si deve a un certo John Pynchon: Ausatinnoag. Nel 1859, l'ultima superstite di sangue puro della tribù Schaghticoke, Eunice Mahwee, scriveva invece Hoosatenuc. Il linguista James Hammond Trumbull riconduceva la prima sillaba dell'idronimo al prefisso Delaware wussi- "oltre", "sull'altro lato". La parte centrale del nome sarebbe a suo parere stata la parola adene "montagna", mentre il suffisso -ic lo ha ricondotto al vocabolo Mohicano akee "luogo", "terra". Così Housatonic (con le sue varianti) significherebbe "luogo al di là delle montagne", o qualcosa del genere. La forma originale è riportata anche in altri modi, la cui sostanza è comunque la stessa: il più diffuso è usi-a-di-en-uk, che nella lingua dei Mohicani significa "oltre il luogo montano" o "fiume del luogo montano". 
 
Ortografie alternative (obsolete): Ousetonack, Howsatunnuck, Oweantinock, etc. 
 
 
Gli Indiani Misqat di cui parla Harms sono con ogni probabilità fantomatici. Non sono certo uno di quelli che dicono: "Se una cosa non si trova in Google, allora vuol dire che non esiste". Tuttavia se questi Misqat fossero esistiti, avrebbero lasciato qualche traccia anche in lavori di altri studiosi. Qualche loro menzione si dovrebbe trovare. Sulle prime ho pensato che un'etimologia possibile dell'etnonimo fosse dalla radice proto-algonchina *mexkātci che ha dato il vocabolo Cree miskāt "gamba", plurale miskāta "gambe"; in tal caso il nome dei Misqat significherebbe "Gambe Lunghe", "Gambe Veloci" o qualcosa di simile. Poi, appurato che la lettera q è usata nella trascrizione di parole algonchine per esprimere una consonante labiovelare /kw/, la mia ipotesi è venuta a cadere. Non era sostenibile. Nella lingua Wampanoag, parlata un tempo nel Massachusetts, "gamba" è muhkôt, che non si adatta a spiegare l'etnonimo Misqat. Nonostante le difficoltà sono comunque riuscito a trovare la vera etimologia cercando con attenzione tra le radici proto-algonchine: *miskwa- "rosso", *miskwi "sangue". Si conclude che il nome dei Misqat significa certamente "Rossi". La terminazione -at potrebbe derivare dal proto-algonchino *atihte- "essere colorato". Forse Harms ha preso questo nome da qualche parte; dubito che lo abbia inventato di sana pianta. Non disponendo di una copia dell'Encyclopedia Cthulhiana, probabilmente mi stanno sfuggendo informazioni importanti sulle fonti. 
 
Se mi è concesso, credo che siano necessari studi più seri e approfonditi: il materiale disponibile nella maggior parte dei siti Web è piuttosto deludente. Il rischio è quello di scivolare verso degenerazioni paragonabili al paleocomparativismo dei romanisti, che conoscono unicamente il latino e disprezzano ogni lingua nativa, considerata "inferiore", "inconoscibile" e appartenente all'Oblio. Riporto il link di un utile vocabolario proto-algonchino, che fornisce le protoforme e gli esiti nelle lingue storiche: 
 
 
Probabilmente Lovecraft avrà letto simile materiale fumoso e ne sarà stato affascinato, anche se di certo non conosceva nessuna lingua amerindiana. Con tutta probabilità il nome del fiume Miskatonic significa "oltre la terra della tribù Misqat". Non conoscendo la fonetica della lingua Wampanoag e le convenzioni ortografiche per trascriverla, ha sostituito la scomoda consonante -q-, non seguita da una -u-, con una più immediata -k-