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mercoledì 4 agosto 2021

IL SALMO CANARIO O PADRE NOSTRO GUANCHE: UN FALSO STORICO

José Barrios García è l'autore dell'articolo Las seis vidas de una frase: el salmo canario o padrenuestro guanche, ossia "Le sei vite di una frase: il salmo canario o padrenostro guanche", pubblicato nel 2016 sulla rivista Tabona. Revista de prehistoria y de archeología (Universidad de la Laguna, vol. 21). Il lavoro, presente nel sito Academia.edu, è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link: 
 
 
Nel 1934, Emilio Hardisson y Pizarroso presentò all'Instituto de Estudios Canarios una frase che avrebbe dovuto essere la traduzione del Salmo 113 nella lingua preispanica delle Canarie. Questa frase, riportata in un manoscritto datato 1803, era la seguente: ATISA CAGNREN CHA ONDIKHUESATE ANTICHIAHA ONANDA ERARI. La presunta traduzione in spagnolo sarebbe questa: "Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor", ossia "Dall'Oriente all'Occidente è lodevole il Nome del Signore". La traduzione CEI del testo biblico è la seguente: "Dal sorgere del sole al suo tramonto sia venerato il nome del Signore". Sorvoliamo sulla discrepanza tra le varie traduzioni. Tutto molto suggestivo. Peccato che si tratti di un colossale imbroglio, come Barrios García ha potuto dimostrare con argomenti solidissimi. All'epoca, Dominik Josef Wölfel e altri studiosi non sono riusciti a concludere nulla sull'affidabilità di questo documento e sul suo significato reale, giungendo a fatica alla conclusione che potesse trattarsi della prima frase del Padre Nostro: da ciò è derivata la denominazione tradizionale di Padre Nostro Guanche. Penso che sia importante parlarne per vari motivi. Innanzitutto, nessuno in Italia a quanto pare si occupa delle lingue degli antichi Canari. Inoltre questa è la cronistoria di un falso storico particolarmente nocivo e persistente, dal momento che è persino stato utilizzato come simbolo da movimenti religiosi che possiamo soltanto definire posticci. Già è di estrema difficoltà far luce sul passato del genere umano, con tutte le lacune che minacciano la Conoscenza ad ogni passo. Se poi ci si mettono coloro che diffondono informazioni fittizie, non si può riuscire a ottenere alcun risultato utile, si viene costantemente intralciati e si rischiano conclusioni fuorvianti - come questo caso dimostra al di là di ogni dubbio.
 
L'autore dell'articolo parte dall'origine dell'equivoco che ha dato vita al falso storico del Padre Nostro Guanche, seguendone passo per passo lo sviluppo attraverso i secoli. Credo che sia più efficace compiere il percorso a ritroso. 

Nel 2011, Ignacio Reyes García, autore del famoso Diccionario Ínsuloamaziq, è partito dalla frase trasmessa dalla "tradizione orale", riportata da Fernando Hernández González nel suo libro Taucho, la memoria de los antiguos (2010), soltanto di poco diversa da quella pubblicata da Hardisson y Pizarroso:

Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari. 

Così Reyes García l'ha "trascritta", trasponendola in berbero, nella miglior tradizione dei traduttori magici

A ətti ččaš šagren ša ondi, Wassksaḍ anti išačča-ana, onan-da er ăr-i.

Quindi ne ha dato una "traduzione letterale": 

"Desde que el incremento el brillo duradero hacia el término, Dios el origen nos sustenta, el propio nominativo hasta mi objeto más preciado."
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Poiché accresce lo splendore duraturo del termine, Dio l'origine ci sostiene, il nominativo stesso al mio oggetto più prezioso."
 
Ha fatto seguito una traduzione figurata: 
 
"Desde el naciente del Sol hasta el ocaso, Dios es la causa que nos sustenta, incluso el nombre mismo [es] mi ser más querido." 
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Dal sorgere del Sole al tramonto, Dio è la causa che ci sostiene, anche il nome stesso [è] il mio essere più caro."
 
Veniamo ora alla "tradizione orale" di partenza. La frase fece la sua misteriosa comparsa verso il 1970 nel contesto dei movimenti religiosi canari fondati sul recupero della spiritualità e dei rituali degli antichi Guanche. La fonte ultima a cui Reyes García ha potuto risalire sarebbe stata un documento degli inizi del XIX secolo, che fu evidentemente consultato da un antenato dell'informatore. Credo che a questo punto sia opportuno riportare le testimonianze contenute nell'articolo di Barrios García, per necessità di conoscenza.
 
"[La frase] figura en un documento fechado en 1803 que recopila esta fórmula en diversos idiomas, aunque la versión que da entrada a este asiento fue recogida por Fernando Hernández González de su abuelo Isidro Hernández, quien la pronunciaba durante la celebración del ritual del Achún Magec."  
 
Traduzione: 
 
"[La frase] appare in un documento del 1803 che riporta questa formula in varie lingue, anche se la versione che dà accesso a questa voce è stata raccolta da Fernando Hernández González presso suo nonno Isidro Hernández, che la pronunciò durante la celebrazione del rito dell'Achún Magec." 
 
E ancora (il grassetto è mio): 

"Según el periodista y escritor Fernando Hernández González, su abuelo, Isidro Hernández, natural de Lomo Mena, en la comarca de Agache (sur de Tenerife), acudía con un grupo de amigos a las Piedras de Ayesa (Arafo) en la madrugada de cada 21 de junio para celebrar un pequeño ritual que denominaba «Achún Magec» [...]. Durante esta ceremonia solsticial, pronunciaba su propia versión del salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»..."  
 
Traduzione: 
 
"Secondo il giornalista e scrittore Fernando Hernández González, suo nonno, Isidro Hernández, originario di Lomo Mena, nella regione di Agache (a sud di Tenerife), si recò con un gruppo di amici alle Piedras de Ayesa (Arafo) nei primi anni mattina di ogni 21 giugno per celebrare un piccolo rito che chiamò «Achún Magec» [...] Durante questa cerimonia solstiziale, pronunciò la propria versione del Salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»...)" 

Ecco altre informazioni utili sulla linea esoterica fittizia:
 
"Sin embargo, no consta tampoco la línea de transmisión a través de la cual recibió esta sentencia [el abuelo de F. Hernández], aunque una fecunda tradición oral parece haber sido conocida por algún otro antepasado de su familia paterna (en particular, su abuelo, Agustín Hernández Izquierdo, cabrero en la zona de Anocheza)."  
 
Traduzione: 
 
"Tuttavia, non si conosce la linea di trasmissione attraverso la quale [il nonno di F. Hernández] ricevette questa frase, anche se sembra che una fruttuosa tradizione orale sia stata conosciuta da qualche altro antenato della sua famiglia paterna (in particolare, suo nonno, Agustín Hernández Izquierdo, capraio della zona di Anocheza)."
 
Orbene, credo che a questo punto anche un orango capirebbe che il documento del 1803 contenente la supposta frase canaria è proprio quello citato da Emilio Hardisson y Pizarroso nel 1934. A quanto pare, lo studioso non ha mai visto quel libro con i propri occhi, ne ha soltanto sentito parlare (il grassetto è mio): 
 
"En ese documento [...] descubrí la siguiente frase en canario: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari», que quiere decir en castellano: «Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor»" 
 
Traduzione: 

"In quel documento [...] Ho scoperto in canario la seguente frase: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari", che in spagnolo significa: "Dall'Oriente all'occidente è lodevole il nome del signore"."
 
L'interesse accademico per la frase riportata da Hardisson y Pizarroso e discussa da Wölfel si è estinto presto, dopo alcune sterili polemiche, ma dura tuttora la sua sopravvivenza nel panorama delle bizzarre credenze legate al ricordo degli antichi indigeni. 
 
L'inghippo 
 
Ecco che i nodi vengono al pettine! Proprio nel 1803, Francisco M.a de Ardanaz y Ormaechea (1780 - 1825), giovane custode della Biblioteca Reale che con tempo sarebbe diventato uno dei calligrafi più famosi del Regno di Spagna, preparò con la massima cura una pergamena con testi scritti nelle lettere in uso nelle nazioni delle quattro parti del mondo conosciuto. La pergamena in questione è dedicata al bibliotecario reale, don Pedro de Silva y Meneses, a Madrid, il giorno 23 dicembre 1803. Ardanaz y Ormaechea ha riprodotto liberamente un'incisione del gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602 - 1680), Horoscopium catholicum Societ. Iesu, includendovi le versioni del Salmo 113 in varie lingue. A questo punto è stato commesso un errore madornale: dove il testo di Kircher riporta come nome della lingua Canadicè, ossia "Canadese", il calligrafo spagnolo ha scritto con improvvido rotacismo Canaricè, ossia "Canario"
 
L'Horoscopium catholicum di Kircher, contenuto nella sua opera Ars magna lucis et umbrae, pubblicata a Roma nel 1646, mostra Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ai piedi di un olivo le cui ramificazioni rappresentano la divisione provinciale del suo ordine. I quattro angoli dell'incisione sono ornati con 34 frasi in altrettante lingue. Almeno dieci di queste frasi sono traduzioni del terzo versetto del Salmo 113 (112 secondo un'altra nomenclatura): "Dall'Oriente all'occidente è venerato il nome del Signore". L'angolo superiore destro dell'incisione mostra il versetto tradotto nelle seguenti lingue: Lusitanicé (Portoghese), Sardicè (Sardo), Siam (Thailandese), Chilichè (Mapudungun, un tempo detto Araucano), Canadicè (Wyandot, ossia Urone) e Mexicè (Nahuatl o Azteco). La frase contrassegnata con Canadicè è così scritta: "Atisacagnren cha ondikhucȣatè atichiahà onandaeraƨi". La si riconosce subito.
 
Il Salmo Canario è nella lingua di Magua!   
 
Qualcuno si ricorda L'ultimo dei Mohicani, il romanzo di James Fenimor Cooper? Un tempo il suo successo è stato considerevole e quasi tutti l'avranno letto quando erano bambini. Il "cattivo" del romanzo è Magua, della tribù degli Uroni. Ecco, la frase "Atisa cagnren cha ondikhuesate atichiaha onanda erari" è formulata nella lingua di Magua, non in lingua Guanche! 
 
Il testo originale si trova nell'opera del gesuita francese Jean de Brébeuf (1508 - 1649), Relation de ce qui s'est passé dans le pays des Hurons en l'année 1636 (ossia "Relazione di ciò che accadde nel paese degli Uroni nell'anno 1636"), pubblicata a Parigi nel 1637. Nelle pagine 48-49 del volume in questione, è contenuta una lunga orazione nella lingua degli Uroni (il cui endoetnico è Wyandot), con traduzione interlineare in francese. 
 
Barrios García si è limitato a riportare la fotografia di un estratto del testo originale di Brébeuf del 1637, una scelta che a me sembra poco felice, in quanto non permette di apprezzare appieno l'enorme portata della scoperta. Riporto quindi il testo integrale dell'orazione nella lingua degli Uroni (Wyandot), con evidenziate in grassetto e in rosso le parole interessate, che sono poi state utilizzate per fabbricare il falso Padre Nostro Guanche. Il carattere ȣ indica un'approssimante velare /w/, non diversamente dal carattere w dell'inglese want
 
IO SAKHRIHOTE DE SONDECHICHIAI, DINDE ESA D'OISTAN ICHIATSI, DINDE DE HOEN ICHIATSI, DINDE DE ESKEN D'OATATOECTI ICHIATSI; IO SAKHRIHOTE, ONEKINDÉ OERON D'ICȣAKERHA, ATISACAGNREN CHA ONDIKHUCȣATÉ ATICHIAHÀ, ONNE ATISATAȣAN ÀȣETI; AERHON ONATINDECȣAESTI. CAATI ONNE ȣÀTO ESÀTAANCȣAS ECHA ÀȣETI, ÀȣETI ESÀTONKHIENS, ONDAYEE ECHA ȣENDERHAY CHA ȣENDIKHUCȣATÉ OTINDEKHIEN, ȣENDERHAY AȣANDIO AȣATON EȣA TICHIAHA. IO ICHIEN NONHȣA ETSAON HATSACARATAI, ATSATANONSTAT. ENONCHE ȣATINONHȣAKÉ, ENONCHÉ ȣATIRIHȣANDERÂKÉ, AONHȣENTSANNENHAN, SERREȣA EȣA D'OTECHIENTI, DIN DE ONGNRATARRIÉ ETSESONACHIEN, SERREȣA ITONDI ; DIN DE ONRENDICH ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE ȣSKENRAETAC ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE OKI ESONIATOATA ONDAYEE D'OKIASTI. CHIA DAONONCȣAIESSA D'OKI ASAOIO, SERREȣA ITONDI. OCȣETACȣI SERREȣA EȣE D'OTECHIENTI. IESUS ONANDAERARI DIEU HOEN ONDAYEE ACHIEHETSARON DE HIAISTAN, ONEKÉ TEHIAMONSTAS, CHIA DESA ȣARIE IESUS ONDȣE DE CHIKHONCȣAN, ONDAYEE ITONDI CHIHON, TO HAYAȣAN.  

Riporto anche la traduzione in francese, che nel testo compare in forma interlineare in caratteri più piccoli rispetto a quelli usati per il testo nella lingua degli Uroni. Mantengo l'ortografia originale, che presenta alcune differenze rispetto a quella attualmente in uso (il carattere ſ variante di s; u al posto di v intervocalica e v al posto di u iniziale, etc.).
 
"Sus eſcoutez vous qui auez fait la terre, & vous qui Pere vous appellez, & vous ſon fils qui vous appellez, & vous Eſprit Sainct qui vous appellez, ſus eſcoutez car ce n’eſt pas choſe de peu d’importance que nous faiſons, regardez ces aſſemblez enfans, deſia ce ſont tes creatures tous ; parce que on les a baptiſez. Mais voicy que vne autrefois nous te les preſentons eux tous, nous te les abandonnons tous, c’eſt ce que penſent ce que voila aſſemblées femmes, elles penſent maiſtre qu’il ſoit de tous les enfans. Sus donc maintenant prenez courage gardez-les, defendez-les. Qu’ils ne deuiennent point malades, qu’ils ne pechent iamais, deſtournez tout ce qui eſt mal ; que ſi la contagion nous attaque derechef, deſtourne-là auſſi ; que ſi la famine nous attaque deſtourne-la auſſi ; que ſi la guerre nous aſſault deſtourne la auſſi ; que ſi le demon nous prouoque, c’eſt à dire le mauuais demô, & les meſchans qui par poiſon font mourir, deſtourne les auſſi. Finalement deſtourne tout ce qui eſt de mauuais. Ieſus noſtre Seigneur de Dieu Fils, c’eſt ce à quoy tu exhorteras ton Pere, car il ne te refuſe point. Et vous auſſi Marie de Ieſus la Mere qui eſtes Vierge, cela auſſi dis. Ainſi ſoit-il."  
 
Traduzione, il più possibile letterale:  

"Ascolta, tu che hai fatto la terra, e tu che voi chiamate Padre, e tu che voi chiamate suo Figlio, e tu che voi chiamate Spirito Santo, ascolta, perché non è cosa da poco quello che facciamo, guarda questi bambini riuniti, che già sono tutti tue creature; perché li abbiamo battezzati. Ma ecco, un'altra volta te li presentiamo tutti, li abbandoniamo tutte a te, questo pensano le donne riunite, esse pensano che tu sia il padrone di tutti i figli. Allora adesso prendete coraggio, conservateli, difendeteli. Che non si ammalino, che non pecchino mai, che si allontanino da tutto ciò che è male; che se il contagio ci attacca ancora, allontana anche quello; che se la carestia ci attacca, allontana anche quella; che se la guerra ci attacca, allontana anche quella; che se ci provoca il demonio, cioè il malvagio demonio, e gli empi che con il veleno causano la morte, allontana anche loro. Alla fine allontana tutto ciò che è male. Gesù, nostro Signore di Dio Figlio, per questo esorterai tuo Padre, perché non ti rifiuterà. E anche tu, Maria di Gesù Madre che sei Vergine, hai detto anche questo. Così sia." 
 
Ecco i link al testo di Brébeuf:   


 
Come fa notare Barrios García e come si può desumere da questi documenti, la corretta traduzione della frase fatidica è "Signore, guarda questi bambini riuniti". Non è la prima frase del Padre Nostro e neppure il terzo versetto del Salmo 113. Non va quindi chiamata Padre Nostro GuancheSalmo Canario. Mi si perdoni la provocazione: sarebbe più sensato chiamarla Preghiera di Magua.   
 
Conclusioni 
 
Cosa possiamo dedurre da quanto esposto? Diverse cose, tutte mortificanti, addirittura annichilenti. 
 
Le culture identitarie e i nazionalismi si nutrono spesso di mitologie fabbricate, prive di qualunque rispondenza con la realtà storica. Solo per fare un esempio, a un indipendentista canario non sembra importare molto il concreto recupero dell'autentica lingua Guanche - anche ammesso che sia possibile realizzarlo. Si crea quindi una pseudo-identità, in cui la sola cosa che conta è la contrapposizione al governo della Spagna (che a sua volta agisce come persecutore per distruggere ogni possibile resto della cultura nativa). Una triade perversa in qualche modo accomuna oppressori e oppressi: 
i) un mito fondante, 
ii) una bandiera,
iii) un nemico. 

Conseguenza: una "tradizione orale" va sottoposta a indagini rigorose. Barrios García ci ha mostrato come una "tradizione orale" sicuramente falsa possa durare molto tempo. Ha importanza il fatto che possa trattarsi di un errore fatto in buona fede? Direi di no. Essendo perdute le lingue un tempo parlate nell'Arcipelago, sono sempre possibili fraintendimenti e distorsioni. I Canari leggono libri sulla cultura e sulla storia dei Guanche, quindi accedono allo scibile anche nel campo linguistico (parole riportate, frasi documentate, tentativi di analisi). Ciascun lettore, spesso privo di basi, può dare autonomamente vita a una "tradizione orale". 
 
Come possiamo ben comprendere, non ha il benché minimo senso che una frase nella lingua di un popolo indiano d'America venga usata in cerimonie e rituali "Guanche" a Tenerife. Se questo è accaduto, e ci sono prove schiaccianti che sia così, significa che i metodi usati finora dagli studiosi sono inefficaci. Se un "traduttore magico" come Reyes García si impegnasse su un testo pornografico in giapponese, opportunamente traslitterato in caratteri rōmaji, potrebbe analizzarlo come berbero continentale, ottenendone frasi religiose ed esoteriche!

domenica 1 agosto 2021

LE MISTERIOSE ISCRIZIONI SULLA STATUA DELLA VERGINE DELLA CANDELARIA

Già parlammo della singolare mitologia connessa con la Vergine della Candelaria e con il suo culto, popolarissimo nell'arcipelago canario e in molti altri luoghi. Secondo la leggenda, una statua della Vergine Maria col Bambinello in braccio e una candela in mano fu rinvenuta da due pastori Guanche sulla spiaggia di Chimisay a Güímar, nell'isola di Tenerife, quasi un secolo prima della conquista di quella terra ad opera degli Spagnoli. L'anno del rinvenimento secondo alcuni è il 1392. Dopo varie vicissitudini, il simulacro fu riconosciuto come un oggetto divino e venerato dalla popolazione indigena. La figura femminile fu dapprima identificata con la Madre degli Dei, Chaxiraxi, e il bambino con suo figlio Chijoraji. Questo finché un nativo dell'isola, che era stato rapito in gioventù ed era cresciuto in Spagna, riconobbe l'immagine della Vergine e convinse il sovrano a trasferirla in una grotta non condivisa con idoli di divinità pagane. Quest'uomo, noto come Antón Guanche, in seguito fece da traduttore per i missionari che catechizzarono le genti di Tenerife. Tracce dell'antico sincretismo persistono tuttavia fino ai nostri giorni.
 

Riporto la descrizione dell'originale simulacro mariano, fatta da un religioso dell'Ordine Domenicano
, Frate Alonso de Espinosa (1543 - 1616), poi ripresa da un personaggio conosciuto con lo pseudonimo di Frate Juan Abréu Galindo (1535 - ?), dell'Ordine dei Frati Minori. Questo è il testo in spagnolo: 
 
La imagen es de más o menos 5 palmos de altura (aproximadamente 1 metro), contando con la peana en que apoyaba los pies. Su posición era de pie, con la cabeza recta y mirando al frente, teniendo en el brazo derecho al Niño Dios, desnudo, las piernecitas dobladas y los brazos también. Aprisionaba por las alas un dorado pajarito de moñita o peineta, y por último, la Imagen del Niño tenía la cabeza ladeada a la derecha y miraba a algo que estaba a los pies de la Madre. El brazo izquierdo de la Virgen, en posición inverosímil, sostenía al Niño, y en la mano izquierda, que se presentaba en posición cerrada y muy natural, tenía un trozo de vela como un jeme de color verde, que daba a entender podía aumentarse con otro, a voluntad, y por último apoyaba las plantas de los pies sobre una tabla redonda o peana, como de cuatro centímetros de alto, pintada de color encarnado, descubriendose la parte externa del pie izquierdo que salía un poco del diámetro de la peana. La indumentaria constituíala una túnica dorada, imitando el color amarillo, desde el cuello hasta los pies, haciendo el talle un cinturón cerrado, azul, como de dos centímetros de altura. El manto, también azul obscuro, salpicado de flores de color de oro, calíale desde los hombros por uno y otro lado del cuerpo, sujetándolo sobre el pecho una traba cuerda encarnada. La parte del pie que se dejaba ver por los bajos de la túnica, presentaba calzado un chaplín cerrado, de color encarnado. La cabeza de la Santa Imagen adornába la hermosa cabellera partida a la mitad, cayendo sobre los hombros en seis ramales tendidos por la espalda. El rostro muy proporcionado a la estatura, era ligeramenmte ovalado, adornado por rasgados ojos, boca pequeña y bien plegada y con unas hermosas rosas en las mejillas. La Imagen esta adornada en el cuello del vestido, cinturón en los extremos de las mangas y al pie de la túnica con unas letras, que aún en la actualidad, no ha podido entenderse su significado. 
 
Traduzione in italiano: 
 
"L'immagine è alta più o meno 5 spanne (circa 1 metro), compresa la base su cui poggiava i piedi. La sua posizione era in piedi, con la testa dritta e lo sguardo davanti a sé, tenendo il Dio Bambino, nudo, sul braccio destro, le gambette piegate e anche le braccia. Imprigionava per le sue ali un uccellino d'oro con arco o pettine, e infine l'Immagine del Bambino aveva la testa inclinata a destra e guardava qualcosa che stava ai piedi della Madre. Il braccio sinistro della Vergine, in una posizione inverosimile, reggeva il Bambino, e nella mano sinistra, che si presentava in una posizione chiusa e molto naturale, aveva un pezzo di candela di circa una spanna, di colore verde, che lasciava intendere potesse essere aumentata con un altro, a piacere, ed infine poggiava la pianta dei piedi su una tavola o base rotonda, alta circa quattro centimetri, dipinta di rosso, lasciando intravedere la parte esterna del piede sinistro che fuoriusciva un po' dal diametro della base. L'abbigliamento costituiva una tunica dorata, imitante il colore giallo, dal collo ai piedi, formante una cintura azzurra chiusa intorno alla vita, alta circa due centimetri. Il mantello, anch'esso blu scuro, punteggiato di fiori color oro, scendeva dalle spalle ai lati del corpo, tenendolo sul petto con un cordone cremisi. La parte del piede che era visibile attraverso l'orlo della tunica, aveva una scarpetta chiusa, di colore rosso. La testa della Sacra Immagine ornava i bei capelli divisi nel mezzo, che ricadevano sulle spalle in sei ciocche tese lungo la schiena. Il viso era molto proporzionato all'altezza, era leggermente ovale, ornato da occhi a mandorla, bocca piccola e ben piegata e belle rose sulle guance. L'Immagine è ornata sul collo della veste, sulla cintura all'estremità delle maniche e ai piedi della tunica con alcune lettere, il cui significato non è stato ancora compreso."

Vergine della Candelaria, forse opera di Nicolás de Medina Villavencio
(XVIII sec.). Si notano in rosso le lettere misteriose.

 
Nel 1826 la statua scomparve in una tempesta. L'anno seguente fu realizzata allo scultore neoclassico Fernando Estévez una sua copia, che è quella che ancor oggi si può vedere nella grotta dietro la Basilica della Candelaria. La cosa che ha subito destato il mio interesse sono senza dubbio le lettere sulla tunica del manufatto originale, trascritte dallo stesso Frate Alonso de Espinosa e da altri autori. Non mi risulta che siano visibili sul manufatto attuale. 

Queste sono le enigmatiche iscrizioni: 
 
1) Sul bavero:

(E)TIEPESEPMERI
 
2) Sulla manica sinistra:

LPVRINENIPEPNEIFANT

3) In fondo alla veste:

EAFM IPNINI FMEAREI

4) Sulla cintura:

NARMPRLMOTARE

5) Sul mantello, sul braccio destro:

OLM INRANFR TAEBNPEM REVEN NVINAPIMLIFINIPI NIPIAN 

6) Sul bordo della mano sinistra: 
 
EVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVI MERI PIVNIAN NTRHN
 
7) Sul retro della tunica:

NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
 
Esiste qualche incertezza nella trascrizione di queste sequenze di lettere. Ad esempio, alcuni riportano ETIEPESEPMERI, con E- iniziale, molti altri invece hanno TIEPESEPMERI o TIEPFSEPMERI. Allo stesso modo c'è chi legge EVPMIRNA e chi legge FVPMIRNA. La perdita del manufatto originale rende molto difficile appurare quali siano le forme corrette.  
 
Dipinto del XVIII sec. che mostra l'apparizione della Vergine ai Guanche.
Anche qui si notano le lettere misteriose in rosso.

Non appena sono venuto a conoscenza di questo materiale, subito mi sono posto alcune domande. Che lingua è mai questa? Possibile che nessuno abbia mai studiato la questione? 
 
Tentativi infruttuosi 
 
In realtà le iscrizioni della Candelaria sono state studiate da diversi autori. Prima che qualcuno arrivasse a identificare la lingua misteriosa con una forma di Guanche, sono stati fatti numerosi tentativi di decrittazione a partire dal latino e da altre lingue estranee ai primi abitatori dell'Arcipelago. Tutti questi tentativi sono insipienti e noiosissimi. Sono stati elencati e descritti da Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila (2016, 2017, 2020). Li riporto, li riassumo e li commento brevemente in questa sede. 
 
1) Gonzalo Argote de Molina (1548–1596) interpretava le iscrizioni come acronimi di formule devozionali mariane in latino. Solo per fare un paio di esempi, forniva questa spiegazione allucinatoria della scritta TIEPFSEPMERI, risolvendola in "Illustrata Es Patri Filio Spíritu-santo Et Pia Mater Eiusdem Redemptoris Iesu", mentre NARMPRLMOTARE era interpretato addirittura come "Nostrum Altissimum Regem Maria Peperit Reddidit Libertatem Maria Omnibus Tortis A Rege Erebia". Fantasie a dir poco malate. Tra l'altro, il codice non si adatta bene: non è spiegata ad esempio l'iniziale T- della prima formula. (Abréu Galindo, 1676)

2) Athanasius Kircher (1602 - 1680), il famoso gesuita egittologo, se ne è uscito con altre inconsistenze criptiche dello stesso tenore: spiegava TIEPESEPMERI come "Insignes Matris / Tipus Matris", mentre NARMPRLOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Pro nobis ora, vel advocatio / Pro novis ora, vel advocate" - mutilando un certo numero di lettere. (de Andrade 1664; de Béthencourt Massieu 2004; Núñez de la Peña 1676; Vera, 2016)

3) Bartolomé García Ximénez (1622 - 1690) insisteva con queste assurde chiavi di lettura: spiegava ETIEPESEPMERI come "Eccleciae Triumfantis In Excelsis {Preposita/Praeposita} Electa Sanctorum Et Patrona Militantis Ecclesiae Romanae {Infal<l>ibilis / Indefectibilis}", mentre NARMPRLMOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Non Ambio Regnorum Magna Palatia Requiro Litora Maris Oceani {Thenerifensis / Thenerifensia} Ad Rusticos Edocendos". (Moure, 1991; Vera, 2016)

4) John Campbell (1840 - 1904) ha applicato alle iscrizioni la metodologia dei cosiddetti traduttori magici, utilizzando come chiave di lettura una lingua che gli era praticamente ignota: il basco. TIEPFSEPMERI è stato ridotto a un implausibile "ko i en tu po no en tu me ne ra au", ossia "Koi entu pono entu Menera au", tradotto come "Fa sì che la (dea) Menera ascolti la preghiera, ascolti il dolore". NARMPRLMOTARE è stato ridotto a un implausibile "mi ra er mi to ri se me ma gu re er en", ossia "mira erimi etorri seme etna gure erren", tradotto come "Venendo a far allestire uno spettacolo, per dare al figlio la nostra compassione". (Campbell, 1901; Vera, 2016)

5) Antonio María Manrique (1837 - 1907) è partito dal presupposto che le iscrizioni nascondessero una non meglio specificata lingua semitica. I contenuti sarebbero passaggi biblici devozionali. In quest'ottica, TIEPFSEPMERI è stato interpretato come "Maria, piena di grazia", mentre NARMPRLMOTARE è stato interpretato come "Dio Unico e Padre per tutti". Di certo sono "traduzioni" più sobrie di quelle di Campbell, il che non basta a garantirne la plausibilità. (Manrique, 1898; Vera, 2016)

6) Alonso Ascanio y Negrín (1855–1936) ha proposto una combinazione sincretica di spagnolo, portoghese e italiano. Così (E)TIEPFSEPMERI è stato chissà come ridotto a ME SOBRA O GAJE, mentre NARMPRLMOTARE è stato manipolato fino a diventare EVIIOJ DE NOVIA. Addirittura ci sarebbe la datazione dell'opera: NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE ha dato per misteriosa distorsione LA FIXE SINESIVJ ZEA MCCXLIX. Mi domando come qualcuno abbia potuto sprecare del tempo a leggere simile spazzatura concettuale. (Negrín, 1899; Vera, 2016)

7) Fidel Fita Colomé (1845–1918) ipotizza una trasposizione di caratteri di un latino molto modificato in senso biblico. Va detto che egli ha proposto una spiegazione soltanto per la prima stringa ETIEPFSEPMERI, considerata un anagramma di SEPI ET ERIPE ME ("proteggimi e liberami"). Fornisce alcuni riferimenti biblici, scelti perché si parla di una torre, da lui identificata con la protezione soprannaturale: Cantico dei Cantici, 4, 4 e Isaia, 5, 2. Quindi connette questa simbologia della torre con l'epiteto Turris eburnea, ossia Torre d'Avorio, attribuito alla Vergine nelle Litanie Lauretane. Tutto ciò è molto labile. (Moure, 1991; Tveedale, 2005)

8) José Hernández Morán (1922 - vivente) continua imperterrito la tradizione degli pseudo-acronimi multipli ottenuti in modo ingegnoso quanto vano da frasi latine e spagnole. Prende spunto dal gesuita Kircher (Morán, 1957; Vera, 2016), giungendo ad interpretare TIEPFSEPMERI in due modi diversi quanto incompatibili: il primo, TI-E-PE-SEP-MERI "Tú eres por siempre María" (ossia "Tu sei per sempre Maria"), il secondo TI-ERES-EP-MERI "Tú eres espejo de madre" (ossia "Tu sei specchio di madre"). Non so dare indicazioni su quanta bamba abbia inalato per concepire assurdità sesquipedali come queste, ma sembra verosimile che abbia rielaborato le interpretazioni di Kircher.  

Mi sono imbattuto, navigando nel Web, in un ulteriore tentativo di spiegare le iscrizioni misteriose, questa volta ricorrendo al catalano parlato nelle Baleari. Non sono più riuscito a ritrovare il documento e non ricordo il nome dell'autore. Il suo argomento portante era di questo tenore: siccome l'originale statua della Vergine della Candelaria somigliava a quella della Vergine di Montserrat, la sua provenienza doveva essere balearica e le iscrizioni dovevano essere derivate da una serie di abbreviazioni di parole catalane (es.: dove ricorreva l'arduo gruppo consonantico FM, leggeva femella "donna", o qualcosa del genere). Forse spinto dalla vergogna, questo autore ha in seguito fatto scomparire ogni traccia della sua opera dilettantesca. Non c'è alcuna logica in queste illazioni. Se un uomo delle Baleari avesse voluto scrivere qualcosa, non avrebbe fatto ricorso a una forma di scrittura così smozzicata, soltanto per risultare incomprensibile a tutti! 
 
La crittografia non funziona    
 
La dimostrazione dell'assurdità delle interpretazioni criptiche è abbastanza lineare. 
i) Se fosse esistita una tradizione criptica nella Chiesa Cattolica, in grado di formare complessi codici a partire da frasi devozionali in latino, ne saremmo al corrente: ce ne sarebbero moltissime testimonianze in tutto il mondo. Invece è riconosciuto che le iscrizioni della Candelaria sono uniche
ii) Gli ecclesiastici stessi dicono chiaramente che le lettere sulla tunica mariana sono sconosciute nel loro significato e avanzano soltanto ipotesi tenui a questo proposito. 
iii) Nessuno avrebbe usato un linguaggio criptico, che non sarebbe stato compreso neppure dai religiosi. A chi sarebbe stato rivolto? A pochi iniziati? Conosciamo bene l'avversione mostrata dalla Chiesa Romana per ogni forma di conoscenza esoterica, fin dal suo inizio. 
 
Si nota la volontà di annientare la cultura nativa dei Guanche negando alla radice la stessa esistenza della loro lingua. In altre parole, l'idea di interpretare in modo criptico le iscrizioni sarebbe in tutto e per tutto un atto politico, volto a far cadere nell'oblio persino il vago ricordo dell'esistenza di qualunque cosa non fosse ispanica. 
 
Il lavoro di Reyes García 

Il primo ad effettuare una comparazione tra le iscrizioni della Candelaria, le lingue Guanche e le lingue berbere continentali è stato Ignacio Reyes García (2010. La Madre del Cielo: Estudio de Filología Ínsuloamazighe; 2011. Diccionario Ínsuloamaziq. Islas Canarias: Fondo de Cultura Ínsuloamaziq).
 
 
Ecco in breve i risultati ottenuti dallo studioso:  

TIEPFSEPMERI
<Ti yebb f sab Meri> 
"Il Padre sotto la protezione della Vergine Maria."
 
NARMPRLMOTARE
<Narəm əbər ghər muttar>
"Condividere (il cibo) è un dovere verso i poveri."

LPVRINENIPEPNEIFANT
<Lbu rinni bab nə afa ənt> 
"Sii misericordioso nella vittoria, Signore della Luce Eterna."  

OLM INRANFR IAEBNPFM RFVEN NVINAPIMLIFINVIPI NIPIAN 
<Ul-m yən ǎr anfər Iaeb ənubi f-m ǎr fwen. Nwi-ina bib am əliffi n wibbib. Ni bi-an> 
"Il tuo cuore ospita i più importanti tesori, il Bambino Yahveh su di te, tesoro splendente. Un peso sulla nostra coscienza è come una catasta sulle nostre spalle. Controlla quel peso."  

FVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVIMFRI PIVNIAN NTRHN 
<Ffu b-mirna. Nubi am ti ewen am bir ur wiwi-n rn, abu i mǝfri. Bib-wǝn ǝyyan nut ǝrγ un>
"Albeggia, grande potere. Il figlio, come il padre e la via della perfezione, evitano la malattia, sono un balsamo per la persona che soffre. Il tuo unico peso deve essere una candela luminosa."

EAFM IRENINI FMEAREI 
<Ê af-m irenni f-əme arey>
"Oh, la tua scoperta aumenta la protezione contro la superstizione"
 
NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
<Nəbbi y əməyyi. An-năy əberref mi əwif Uf>
"Diamo rifugio a colui che ignora. Perdoneremo l'offesa quando è causata dalla paura di Dio"

Da queste elucubrazioni è possibile comporre un esiguo glossario, che purtroppo sembra altamente ipotetico. Eccolo:  
 
ENVP "figlio" 
MERI "Maria"
MOTARE "poveri" 
NARM "condividere" 
OLM "il tuo cuore" (f.)
SEP "vergine"
TI "padre" 
 
Si segnala l'enorme divergenza nella fonologia tra la lingua di queste iscrizioni e le lingue dei Guanche documentate.  
 
Il lavoro di Jara Vera e Sánchez Ávila
 
Un altro tentativo di decrittazione basato sulle lingue berbere continentali è quello di Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila dell'Università Politecnica di Madrid. Il loro articolo Linguistic Decipherment of the Lettering on the (Original) Carving of the Virgin of Candelaria from Tenerife (Canary Islands) (2017), è consultabile al seguente link: 


Ecco in breve i risultati ottenuti:
 
TIEPFSEPMERI
[T·Y]-[F·G]-[S·P]-[M·R]
/ti-effeg-ăsap-amər-i/
=> /ti-epef-sep-meri/
"Dio Padre ha trovato in me, la Vergine, la grazia"

NARMPRLMOTARE
[M]-[R]-[M]-[F·R]-[M·Ṭ]-[R]
/m-er-m-ffer-el-məṭṭuti-ar-e/
"Sei stata benedetta con unicità tra l'intero genere delle donne"

LPVRINENIPEPNEIFANT  
[L·F]-[R]-[N]-[N·F·(Y)]-[N·T]
/əlpu-ăr-in-inifif-ən-ăy-if-ent/

"Coloro che riempiono il cuore e la vita d'amore, sono in Me"

OLM
[H·L]-[M] 
/all-m/ 
"Ti preghiamo"

INRANFR
[M·R]-[F·R]
/imran-ffer/
 
     => /inranfr/
"Proteggi il territorio" 

IAEBNPFM 
[Y]-[B·B]-[N·B·Γ]-[G·M]
/i-ebb-ənbəγ-ğəm/
     => /i-eb-npγ-ğəm/ 
"Egli è l'Autore e il Signore che fa germogliare e crescere"
 
RFVEN 
[R]-[F]-[W·N]
/ere-af-wen/ 
    => /rfuen/
"Fortunato è chi la trova" 
 
NVINAPIMLIFINVIPI 
[N]-[NḌ]-[ML]-[FNWT]
/ănnu-inaḍ-imli-fənəwwət-i/ 
"Si propone di concedere autorità ai buoni piuttosto che essere eccessivamente orgogliosi"
 
NIPIAN 
[M]-[F]-[YN]
/mi-if-əyyăn/ 
"Chi è come il Signore?"
 
FVPMIRNA 
[F]-[W·F]-[R·N]
/f-ewef-mərna/ 
"Trionfo sul terrore e sulla paura"
 
ENVPMTI 
[N·B·(W)]-[N·T]-[T·Y]
/ənubi-ent-ti/ 
"Il Figlio è lo stesso del Padre"
 
EPNPMIR 
[B·D]-[N·N]-[T·Y]-[R]
/əbdəd-ənnun-tteyr/ 
"Egli esalta l'umile e abbassa il malvagio"
 
VRVIVINRN 
[R·W]-[Y]-[W·Y]-[N]-[RN]
/uru-i-iwi-n-renni/ 
"Questa ha generato Colui che ci guida verso la vittoria (i.e. verso la Salvezza)"
 
APVIMFRI 
[A]-[F]-[N·F·R]
/a-effu-anfər-i/ 
"Questa è colei che mi illumina completamente"
 
PIVNIAN 
[F·Y]-[W]-[N·Y]-[N]
/fi-iw-ənəy-ăn/ 
"Questo qui è il Figlio nato dall'Onnipotente"
 
NTRHN 
[N·T]-[R·H]-[H·N]
/ent-arəh-ehən/
"Casa fondata sulla roccia"
 
EAFM 
[H]-[F]-[M]
/əh-af-əm/ 
"Venga il tuo Regno"
 
IRENINI 
[Y·R]-[M·N·Y]
/ayur-emnəymənəy/ 
"Tu sei come la Luna splendente"
 
FMEAREI 
[F·N]-[R·Y]
/afna-arey/ 
"Liberaci dal Male"
 
NBIMEI 
[N·D]-[N·Y]
/əndu-ənəy/ 
"La tua saggezza è perfetta"
 
ANNEIPERFMIVIFVF  
[M]-[Y]-[FRG]-[F]-[GW]-[WF]
/anna-i-ferg-f-iməggiwa-əwəf/
"Tu sei la Madre che protegge dal fallimento e dalla paura"
 
Da queste elucubrazioni possiamo comporre un breve glossario di voci selezionate a colpo d'occhio. Questo glossario purtroppo sembra altamente ipotetico - e spesso in netto contrasto con quello ottenuto da Reyes García. 

AFM "il tuo regno" (f.)
ENINI "splendente" 
ENVP "figlio"
INRAN "territorio" 
IR "luna"
LPV "accumulare"
MERI "grazia"
MOT "donne"
OLM "ti chiediamo" 
SEP "vergine" 
TI "padre" 
 
Devo essere franco. Non possiamo farcene molto. 

Problemi e criticità 
 
A molti potrebbe anche sembrare che la difficile questione sia stata risolta. Non possiamo tuttavia fare a meno di esprimere alcune importanti considerazioni. 
 
1) Le lingue Guanche avevano un vocalismo pieno, con cinque vocali /a/, /e/, /i/, /o/, /u/. Le lingue berbere continentali hanno un vocalismo ridotto, quasi rudimentale. 
2) Le lingue Guanche avevano un sistema consonantico simile a quello delle lingue romanze, non particolarmente ricco. I viaggiatori e i cronisti concordavano col dire che il loro suono era melodioso. Le lingue berbere continentali hanno un consonantismo ricchissimo. Chi le ha udite concorda col dire che il loro suono è aspro
3) Le lingue berbere continentali sono il prodotto di un "collo di bottiglia": la protolingua ricostruita dovrebbe corrispondere a una lingua parlata all'epoca dell'Impero Romano. Questo protoberbero ha fatto scomparire una grande varietà di lingue preesistenti (Blench, 2018). Le lingue Guanche appartengono a questa varietà di lingue più antiche; si sono separate prima della formazione del protoberbero di cui sopra.  
4) Nel database compilato da Alexander Militarev e contenuto nel sito The Tower of Babel sono riportate 515 protoforme berbere ricostruite a partire da vocaboli documentati delle lingue documentate - tra cui prevalgono in modo netto quelle attualmente parlate. Ci sono soltanto 19 etimologie canarie (circa il 3,7% del totale) e 3 etimologie di parole dell'antico libico (circa lo 0,6% del totale). Peggio ancora, poche tra le 19 etimologie canarie hanno corrispondenze in altre lingue trattate nel database delle etimologie berbere. Alcune poi sono scarsamente consistenti. 
 
 
5) Esistono contraddizioni tra le ricostruzioni di García e di Vera-Sánchez Ávila e le parole realmente attestate nelle isole. Ho identificato subito un esempio. Nel lavoro di Jara Vera-Sánchez Ávila MOT significa "donne", ma nel Guanche di Tenerife la parola per dire "donna" era CHAMATO. Chiaramente la radice è la stessa, ma è assai improbabile che si tratti di testimonianze di un'unica lingua. Un altro esempio: il termine IR dovrebbe significare "luna" e corrispondere al berbero continentale ayur "luna". Tale parola non è tuttavia documentata nelle Canarie. A Tenerife la luna era chiamata cel, da tutt'altra radice.
6) Potrebbe essere un gravissimo errore ritenere le lingue berbere moderne come un punto fisso di riferimento in base a cui decrittare qualsiasi attestazione delle lingue Guanche. In altre parole, sia Reyes García che Jara Vera e Sánchez Ávila potrebbero essere caduti nel tranello delle traduzioni magiche.  

Una credenza ideologica 

Alla base degli errori alla base dei lavori sopra riportati sta un presupposto dettato da ragioni essenzialmente politiche: l'idea folle secondo cui lo strano aspetto fonetico delle parole e dei nomi Guanche di cui abbiamo documentazione sia dovuto all'incapacità dei conquistatori (Spagnoli, Genovesi, Normanni, etc.) di trascrivere i suoni della lingua nativa, che di per sé sarebbero stati identici a quelli delle lingue della Barberia. Finché non si farà piazza pulita di questo terribile malinteso, non si arriverà da nessuna parte.

Conclusioni 

La mia paura è che gli studi di Reyes García e di Jara Vera-Sánchez Ávila siano da buttar via. Credo che ci vorranno ancora molti anni di indagini per arrivare a qualcosa di sicuro, possibilmente con l'aiuto della scoperta di nuovo materiale. Non si potrà purtroppo fare molto finché durerà il funesto influsso della politica, che è interessata a far sì che le lingue canarie siano perdute per sempre. Che soluzione dare al mistero? La statua si è spiaggiata recando già le iscrizioni in caratteri rossi? E in questo caso, da dove proveniva? Oppure qualcuno ha eseguito le iscrizioni in seguito? Chi era costui? Qualche missionario animato dal nobile intento di insegnare ai Guanche di Tenerife a leggere e a scrivere nella loro lingua? Sono domande al momento destinate a rimanere senza risposta.  

mercoledì 12 maggio 2021

ETIMOLOGIA DI CICISBEO

Il cicisbeo era il cavalier servente, una figura oggi inconcepibile ma molto diffusa nel XVIII secolo. Ogni dama sposata aveva un gentiluomo che la seguiva dovunque e attendeva alle sue necessità corporali, col benestare del marito, che non si sarebbe mai sognato di svolgere compiti che reputava degradanti. Solo per fare un esempio, una delle incombenze del cavalier servente era quella di occuparsi della pulizia e della cura dell'ano della sua Signora. Quando lei defecava, lui le puliva con amore lo sfintere. In tale contesto ambiguo e pruriginoso, non era raro che simili morbosità avessero come conseguenza una relazione sessuale. Ai figli nati da queste unioni era attribuita la paternità del marito, in modo automatico. Va detto che esistevano anche cicisbei omosessuali, cosa di cui esiste esplicita documentazione (Steegmuller, 1991). Quando il marito della dama era cornuto, lo sapeva e tuttavia non se ne curava. Era cornuto e contento. Ogni cosa era alla luce del sole. Il cicisbeo abitava nella dimora dei coniugi. Accompagnava la dama persino in chiesa. Qualsiasi manifestazione di gelosia da parte del marito della dama lo esponeva allo scherno generale: sarebbe stato coperto di ridicolo. Si tenga conto del fatto che all'epoca i matrimoni tra aristocratici non erano altro che contratti sociali gravosi dettati da ragioni politiche, le cui motivazioni escludevano per definizione l'amore e la passione. Sappiamo che Giovanni Verri servì come cicisbeo Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni. L'illustre scrittore milanese potrebbe essere stato concepito tramite le corna! Giovanni Verri era fratello di Pietro Verri, famoso economista, storico e letterato. Giulia Beccaria si dava parecchio da fare e rimediò come amante Carlo Imbonati, a cui lo stesso Manzoni dedicò una poesia. Un altro cicisbeo illustre fu Vittorio Alfieri, che servì la marchesa Gabriella Falletti per un periodo di due anni. Le regole del cicisbeismo stabilivano che un cavalier servente non poteva avere relazioni con donne diverse da quella a cui prestava i suoi servigi. La dama poteva troncare la relazione in qualsiasi momento, nel qual caso il cicisbeo cacciato via era definito spiantato. La diffusione del fenomeno includeva diverse grandi città italiane, tra cui Venezia, Milano, Firenze, Roma e Genova, oltre a Nizza, che attualmente si trova in Francia. In Francia questa pratica non era amata e poneva gravi problemi legati all'infedeltà coniugale e soprattutto alla legittimità della filiazione. Il cicisbeismo contribuì a far sì che in Francia fosse diffusa una cattiva opinione degli Italiani. Non a caso il mondo dei cavalier serventi andò in crisi quando furono introdotte nella Penisola le idee della Rivoluzione Francese; il Risorgimento contribuì attivamente alla sua estinzione. La sfrontatezza dell'aristocrazia decaduta fu sostituita dalla ripugnante ipocrisia borghese. 
 
 
Derivati:
cicisbeare "fare da cavalier servente a una dama"; "fare il galante con le donne", "agire come un corteggiatore o un seduttore"  
cicisbeatura "atto e abitudine da cicisbeo"
cicisbea "donna vanitosa e futile che ama farsi adorare"
cicisbeismo "atteggiamento proprio dei cicisbei"; "il costume dei cicisbei" 

Sinonimi del termine nell'accezione moderna: 
attillato 
bellimbusto 
damerino 
galletto 
vagheggino 
zerbinotto 

Proverbio toscano: 
Cicisbei e ganzerini fanno vita da facchini.
 
Qual è l'etimologia della parola cicisbeo? Notiamo subito la presenza di un gruppo consonantico particolare, sb. Nella lingua italiana il gruppo consonantico sb /zb/ non è eccezionale ma nemmeno comunissimo. Ricorre in quattro casi: 
 
1) Parole che iniziano con sb-, in cui il prefisso s- è l'esito del prefisso latino ex-. In molti casi sono verbi e loro derivati, meno spesso sono sostantivi e aggettivi non derivati da verbi, in cui il prefisso in questione funge da peggiorativo o intensivo.
Esempi: 
    sbadigliare (da cui sbadiglio)
    sbagliare (da cui sbagliato, sbaglio
    sballare (da cui sballo
    sbalzo 
    sbaraccare
    sbarrare (da cui sbarrato)
    sbellicarsi 
    sberla (non deverbale) 
    sberleffo (non deverbale)  
    sbilenco (non deverbale)
    sbirciare  
    sbirro (non deverbale)
    sboccare  
    sboccato "volgare" (non deverbale) 
    sbocciare
    sbolognare  
    sbornia (non deverbale) 
    sborone (non deverbale, da boria)
    sborrare "eiaculare" (da cui sborra "sperma", sborrata 
        "eiaculazione") 
    sborrare "togliere la lanugine" (caduto in disuso)
    sbudellare 
Raramente abbiamo un gruppo consonantico più complesso, sbr- /zbr-/.
Esempi: 
    sbraitare 
    sbranare 
    sbriciolare  
    sbrinare 
    sbrogliare 
    sbruffone (dal verbo sbruffare "darsi arie", caduto in disuso)
Il gruppo consonantico sbl- /zbl-/ è ancor più raro. 
Esempio: 
    sbloccare (da cui sblocco)
2) Prestiti dotti dal greco classico o neologismi formati a partire da tale lingua. In questo caso il gruppo consonantico sb compare all'interno della parola.
Esempi: 
    asbesto "amianto" 
    Lesbo (nome di un'isola)
    lesbica "omosessuale femmina"
    olisbo "dildo, fallo finto" 
    Tisbe (nome proprio femminile)
3) Parole prese a prestito da altre lingue. Spesso sono toponimi e antroponimi, ma non sempre. 
Esempio: 
    casba, kasba (dall'arabo qaṣba "fortezza")
    Lisbona 
    nisba "niente" (colloquiale, dal tedesco nichts
    Ozzy Osbourne
4) Formazioni onomatopeiche. 
Esempio: 
    bisbigliare 

Si nota subito una cosa: se togliamo le parole in cui il gruppo consonantico in questione ricorre in posizione iniziale, rimane veramente poco. In quale categoria dovrebbe essere inserita la parola cicisbeo? L'ipotesi più accreditata tra gli accademici è che sia una formazione onomatopeica, proprio come bisbigliare. In veneziano esisteva la parola espressiva cici, che indica il cicaleccio, il chiacchericcio delle donne. Il cicisbeo avrebbe ricevuto questo nome che era una sorta di trascrizione fonetica del chiacchiericcio in cui viveva immerso. Gli ambienti in cui prestava i suoi servigi erano pervasi senza sosta da un monotono brusio di pettegolezzi femminili. La vita del cavalier servente doveva essere incredibilmente frivola, anche se ricca di soddisfazioni sensuali.  

Le prime attestazioni 

La parola cicisbeo è riportata per la prima volta nel 1708 nell'opera del predicatore Giovanni Maria Muti, Quaresimale del Padre Maestro Fra Giovanni Maria Muti de Predicatori. Dieci anni più tardi, nel 1718, compare in una lettera della meritoria nobildonna Lady Mary Wortley Montagu, la stessa che documentò le ultime sopravvivenze dei Pauliciani a Plovdiv, in Bulgaria.

Cicisbeo e birignao 
 
Esiste un caratteristico modo di parlare che ha avuto origine proprio nell'ambiente dei cicisbei del XVIII secolo. È il cosiddetto birignao. Cos'è il birignao? Semplice: è una pronuncia artificiosa caratterizza da vocina nasale e da vocali finali allungate. Alcuni la definiscono "pronuncia leziosa fino al ridicolo, affettata, malamente teatrale" (cit.). Il termine è senza dubbio di origine onomatopeica: altro non è che un tentativo di trascrivere foneticamente questo tipo di pronuncia, che in qualche modo imita il miagolio dei gatti. Si narra che i Greci antichi, sentendo qualcuno parlare in una lingua diversa da quella dell'Ellade, udissero soltanto "bar bar" - da cui avrebbe tratto origine la parola barbaro (greco βάρβαρος, latino barbarus). In modo del tutto simile, quando le dame settecentesche e i loro adoratori parlavano, un uomo comune doveva sentire soltanto "miao, miao, birignao, birignao". Il fatto che la parola birignao sia onomatopeica deporrebbe a favore di un'origine onomatopeica anche della parola cicisbeo, dato che le due si sono formate fianco a fianco, per descrivere una stessa realtà.
 
Cicisbeo e Chichibio 
 
Senza dubbio è merito di Lovarini (1940) l'aver notato una strana somiglianza tra la parola cicisbeo e il nome di un personaggio della VI novella del Decameron di Boccaccio, Chichibio, che era un lussurioso ragazzotto esercitante la professione di cuoco. L'esatta pronuncia del singolare antroponimo è andata perduta: c'è chi dice Chichìbio e chi dice Chichibìo. Lovarini ha sostenuto questa idea: essendo questo Chichibio veneziano, il suo nome deve essere stato trascritto secondo la consuetudine veneziana, con il digramma ch che è pronunciato come un suono palatale. Così Chichibio viene a coincidere con cicibìo, che è la trascrizione fonetica del canto del fringuello o del beccafico. Questo cicibìo somiglia un po' a cicisbeo e ne potrebbe essere l'origine. Un'altra possibilità è che Boccaccio abbia ipercorretto la parola cicibìo in Chichibio, con un suono occlusivo velare: in fondo, secoli dopo il veneto còcio "tipo di carrozza" è stato ipercorretto in cocchio. La trovo un'idea sommamente interessante e meritevole di indagini approfondite. Di questo argomento si è occupata la vetusta Accademia della Crusca. Riporto il link: 
 
 
Alcune etimologie implausibili

Navigando nel vasto Web sono venuto a conoscenza alcune singolari leggende, tra loro molto simili. Le riporto senza indugio.
 
1) Il cicisbeo sarebbe stato chiamato così da un adattamento veneziano del francese chiche-beau, il cui corrispondente italiano è "cece bello" (non un ingannevole "ciccio bello"!). Siccome chiche è anche un termine colloquale per dire "piccolo" (cfr. spagnolo chico), la traduzione più idonea potrebbe invece essere "piccino bello". Questa proposta etimologica è sostenuta particolarmente dagli accademici tedeschi (la traduzione in tedesco è "schöne Kichererbse"). Non ha tuttavia fondamento alcuno, come dimostriamo nel seguito, con argomenti solidissimi. 
2) Secondo altri il cicisbeo sarebbe stato chiamato così dal toscano bel cece pronunciato al contrario, quasi come se fosse un "cece bello", che alcuni traducono come "bel pulcino" o "bel pisello". Questo cece bello sarebbe poi stato adattato in veneziano rendendo l'aggettivo bello con beo, producendo quindi cicisbeo attraverso un'incomprensibile mutazione. C'è sempre questo benedetto gruppo consonantico -sb- di cui nessuno sa render conto. 
3) A quanto sostiene la scrittrice e poetessa spagnola Carmen Martín Gaite, la parola cicisbeo in italiano significherebbe "in un sussurro". Non esiste alcun fondamento che possa giustificare questa "traduzione", è un po' come quando Walter Matthau sosteneva che Trabucco in latino significasse "Perdonatemi Padre perché ho molto peccato" (Buddy Buddy, Billy Wilder, 1981) o come quando Christian De Sica sosteneva che Ruòppolo in bolognese significasse "Per Bacco non lo so" (I pompieri, Neri Parenti, 1985). 
4) Secondo un grecista che segue la tradizione pedantesca, cicisbeo sarebbe una parola puramente ellenica, che qualche parruccone avrebbe formato dalle parole κῖκυς (kîkys) "forza, vigore" e σβέννυμι (sbénnymi) "estinguersi". Il cicisbeo sarebbe quindi un uomo effeminato, in quanto privo di forze virili. Si trova a malapena il tempo di deridere una simile baggianata.
 
Adattamenti in altre lingue 
 
Analizziamo ora il modo in cui la parola cicisbeo è stata importata in altre lingue d'Europa. 
 
1) Francese 
In francese il cicisbeo è chiamato sigisbée. La pronuncia più usata è /siʒis'be/, con un inesplicabile gruppo consonantico /sb/ la cui sibilante è sorda. La pronuncia /siʒiz'be/ esiste senz'altro, ma è meno prestigiosa. La variante cicisbée /sisis'be/ è desueta. Gli accademici francesi concordano nel ritenere questa parola un prestito dall'italiano cicisbeo. Non soltanto è falsa la derivazione di cicisbeo dal francese chiche-beau (la cui pronuncia sarebbe /ʃiʃ'bo/ o al limite /ʃiʃə'bo), ma possiamo vedere che è stato invece il francese a prendere a prestito sigisbée dall'italiano. Chi ha fabbricato l'etimologia di cicisbeo dal fantomatico chiche-beau non ha semplicemente controllato le parole usate in altre lingue per esprimere il concetto. Nell'immaginario collettivo italiano, ogni bizzarria sessuale sarebbe stata importata dalla Francia. Si è quindi portati a credere che il cavalier servente fosse una figura che prosperava proprio oltralpe. Non è così. Le anomalie fonetiche della parola sigisbée sono con ogni probabilità spiegabili tramite una complessa serie di dissimilazioni spontanee, generatesi allo scopo di minimizzare le difficoltà di pronuncia. 
 
/*ʃiʃis'be/ => 
/*ʃiʒis'be/ => 
/siʒis'be/.  

Sinonimi di sigisbée sono chevalier servant e galant. Per maggiori informazioni si rimanda al sito La langue française (www.lalanguefrancaise.com):
 
 
Possiamo trarre da tutto ciò un'informazione della massima utilità. La pronuncia raccomandata in italiano è cicisbèo /tʃitʃiz'bεo/, anche i dati della lingua francese fanno pensare che un tempo fosse cicisbéo /tʃitʃis'beo/, con la vocale /e/ chiusa e con la sibilante sorda /s/
 
2) Inglese 
Nella lingua di Albione troviamo prestiti dall'italiano e dal francese per indicare il cicisbeo. Abbiamo queste forme: 
cicisbeo /ˌtʃɪtʃɪzˈbeɪəʊ/ (UK), /ˌtʃɪtʃɪzˈbeɪoʊ/ (USA)
cicisbee /sisiz'bi:/ 
sigisbeo /sidʒiz'beɪəʊ/ (UK), /ˌsɪdʒɪzˈbeɪoʊ/ (USA) 
Il celebre Lord George Gordon Byron servì come cicisbeo la contessa Teresa Gamba Guiccioli, che successivamente divenne marchesa di Boissy. Era una donna bellissima. Il suo servitore e amante la conobbe in senso biblico, lasciandole dentro il materiale genetico, come già aveva fatto con la sorellastra Augusta.       

3) Spagnolo  
La parola cicisbeo è stata adattata in spagnolo come chichsveo (variante ortografica: chichisbeo). Nel Diccionario de Autoridades (1729) è contenuta la seguente definizione: 

Chichisveo. Especie de galanteo, obsequio, y servicio cortesano de un hombre a una muger que no reprehende el empacho; pero le condena por peligroso la conciencia. Es voz italiana, de donde se ha introducido en España. 
 
Traduzione della glossa: 
 
"Una sorta di civetteria, dono e servizio cortese da parte di un uomo a una donna che non rimprovera l'imbarazzo; ma la coscienza lo condanna come pericoloso. È una voce italiana, da dove è stata introdotta in Spagna."

Si ritiene che questa sia una delle poche parole italiane entrate come prestiti nello spagnolo degli inizi del XVIII secolo. Non è giunta dalla Francia. Come notato da Luciana Gentilli (Università di Macerata, 2017), la voce citata nel dizionario è relativa al mestiere del cavalier servente piuttosto che alla sua concreta persona; vi trapela un bilioso astio moralistico fondato sull'invidia. 
Nello spagnolo del Messico esiste un'ulteriore evoluzione, sia fonetica che semantica, dell'italianismo chichisveo
chichifo /tʃi'tʃifo/ "prostituto omosessuale" 
Si nota la retrazione dell'accento, nata con ogni probabilità in contesti gergali.

4) Tedesco 
Oltre al prestito non assimilato cicisbeo, si trova in tedesco il calco dienender Kavalier "cavalier servente". La professione è detta Cicisbeat. Un altro sinonimo è Hausfreund, alla lettera "amico di casa" (si noterà che questa parola è un eufemismo per Liebhaber "amante"). Dal francese è giunta anche la denominazione Galan, alla lettera "galante".

Alcune note antropologiche

Il Divino Marchese Donatien Alphonse François de Sade, era molto scettico sulla natura carnale della relazione tra il cicisbeo e la sua Signora. Nella sua opera Histoire de Juliette, ou les Prospérités du vice, ha scritto quanto segue:

"Ceux qui croient que le sigisbée est un amant sont dans une grande erreur : il est l’ami commode de la femme, quelquefois l’espion du mari, mais il ne couche point, et c’est sans doute, de tous les rôles, le plus plat à jouer en Italie."

Traduzione: 

"Sbaglia di grosso chi crede che il cicisbeo sia un amante: è l'amico di comodo della moglie, a volte la spia del marito, ma non dorme <con lei>, e questo è senza dubbio, fra tutti i ruoli, il più piatto da recitare in Italia." 

Questo perché il Divino Marchese, che pure era un libertino sfrenato, doveva avere poca esperienza di certi aspetti della vita mondana delle città italiane, nonostante avesse viaggiato nella Penisola, non mancando di notare fenomeni come la corruzione a Firenze e la prostituzione infantile a Napoli. Molto strano. Probabilmente non lo interessavano affatto le vicende dei cavalier serventi, delle dame e dei mariti cornuti. Cercava cose più sanguigne e più turpi. Non si deve dimenticare un dettaglio di non poco conto: esistono numerose immagini pornografiche d'epoca che ritraggono i cicisbei itifallici in azione! 
 
Così scriveva Montesquieu, che ebbe occasione di vedere cicisbei in un suo viaggio a Milano: 
 
"Je ne vous ai parlé des sigisbées. C'est la chose la plus ridicule qu'un sot peuple ait pu inventer : ce sont des amoureux sans espérance, des victimes qui sacrifient leur liberté à la dame qu'ils ont choisie. Enfin, après les chevaliers errants, il n'y a rien de si sot qu'un sigisbée. On ne peut s'empêcher de rire en voyant passer une femme dans les rues dans sa chaise et un sénateur qui lui conte ses raisons, fait des gestes, et sa souveraine aussi, au milieux de la rue ; on ne peut s'empêcher de rire la première fois que l'on voit cela. Le sigisbée ne quitte pas sa dame d'un pas: il est toujours auprès d'elle et à ses ordres ; le crime d'indifférence est un crime impardonnable."
 
Traduzione: 
 
"Non vi ho parlato dei cicisbei. È la cosa più ridicola che un popolo stupido abbia potuto inventare: sono innamorati senza speranza, vittime che sacrificano la loro libertà alla dama che hanno scelto. Per me, dopo i cavalieri erranti, non vi è nulla di più sciocco di un cicisbeo. Non si può trattenere il riso alla vista di una signora che passa per strada, sulla portantina, e di un senatore che le (racconta le sue ragioni), gesticola come la sua sovrana, in mezzo alla strada; non ci si può trattenere dal sorridere la prima volta che si vede una simile scena. Il cicisbeo non si allontana dalla dama di un passo: è sempre vicino a lei ed ai suoi ordini; il delitto di indifferenza è un crimine imperdonabile."  
 
Charle Dupaty nelle Lettres sur l'Italie en 1785 (Volume 1, Lettera XX), attesta che il cicisbeismo era diffusissimo a Genova. Non era sconosciuto nemmeno in Francia, nonostante le furibonde polemiche che scatenava.  

"Qu'est-ce en apparence qu'un sigisbée? qu'est-il dans la réalité? comment une femme en prend-elle? comment un homme veut-il l'être? comment les maris en souffrent ils? est-ce le lieutenant d'un mari? jusqu'à quel poin le représente-t-il? quel est l'origine de cet usage? quelle cause l'entretient ou l'altère? quelle influence a-t-il sur les mœures? en trouve-t-on des traces ou des approximations dans les mœurs des autres peuples? Questions difficiles è résoudre! En deux mots, le sigisbée représente à peu près à Gênes l'ami de la maison à Paris." 
 
Traduzione:  
 
"Che cos'è in apparenza un cicisbeo? Che cos'è in realtà? Come una donna lo accetta? Come un uomo vuole esserlo? Come i mariti lo sopportano? È il sostituto del marito? Fino a che punto lo rappresenta? Qual è l'origine di questa usanza? Quale motivo la mantiene o la modifica? Che influenza ha sui costumi? Se ne trovano tracce o somiglianze nei costumi degli altri popoli? Domande a cui è difficile rispondere! In due parole, il cicisbeo rappresenta, più o meno, a Genova, quello che, a Parigi, è l'amico di casa."

A Genova si scopava liberamente e l'amore platonico non esisteva. Scopavano anche i preti. A quei tempi le cose erano così un po' ovunque, non soltanto nella città ligure. Incredibile come abbia potuto avvenire una restaurazione di precetti matrimoniali rigoristi. 

Il cicisbeismo in Spagna

Nella moderna Spagna esiste la radicata convinzione che quello del cicisbeo fosse amore puramente platonico, addirittura spirituale. Di fronte alla benché minima insinuazione del contrario, gli accademici iberici esclamano stizziti: "¡No es posible!", "¡No es posible!" Tutti i loro argomenti si riducono a questo. La realtà del XVIII secolo era ben diversa e ne è stata completata la rimozione. Questa è una delle tante manipolazioni ideologiche portate avanti dalle autorità spagnole. Possiamo trovare indizi del fatto che il cicisbeismo fu importato in Spagna dall'Italia, vi prosperò e destò immenso scandalo, conducendo quindi a una reazione violenta: una vera e propria campagna moralizzatrice anticisisbeale! 

"Orbene al di là delle diverse registrazioni linguistiche, il cavalier servente di dama d’alto lignaggio con la sua ritualità cogente, con i suoi nuovi paradigmi comportamentali è al centro di una vera e propria trasformazione epocale, che nella Spagna settecentesca ingenererà vivaci proteste e prese di posizione sessuofobe." 
(Gentilli, 2017) 

Nella citata opera di Luciana Gentilli (Il cicisbeismo screditato. Tra satira misogina e intransigenza religiosa), è riportato anche che un certo Abad de Cenicero scrisse addirittura una "Impugnación católica y fundada a la escandalosa moda del chichisveo, introducida en la pundonorosa nación española" (Madrid, 1737). Si tratta di un testo assolutamente illeggibile, che testimonia tuttavia due cose: 
1) Il fenomeno del cicisbeismo ebbe gran corso e diffusione in Spagna; 
2) I cicisbei avevano contatti carnali con le dame e vivevano in grande sfrenatezza, con buona pace di Sade. 

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