Visualizzazione post con etichetta lingua tedesca. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua tedesca. Mostra tutti i post

giovedì 8 luglio 2021

I MAESTRI COMACINI: PROBLEMI ETIMOLOGICI

I Maestri comacini traggono notoriamente il loro nome da Como, terra che ha dato loro origine. In latino la denominazione di questa antica corporazione di architetti lombardi è Magistri cumacini (varianti: comaceni, commacini). Eppure l'etimo è tuttora considerato incerto. Perché? Non è difficile tracciare l'accaduto. Agli inizi del XX secolo, un critico d'arte rispondente al nome di Ugo Monneret de Villard (1881 - 1954) scrisse un contributo deprecabile, in cui cercava con ogni mezzo di dimostrare la sua folle tesi: i Maestri comacini avrebbero tratto il loro nome dalla locuzione cum machinis o cum macinis, ossia "con le macchine", alludendo ai marchingegni che questi architetti utilizzavano nella loro opera muratoria. I critici d'arte potrebbero coltivare con successo le patate, occupandosi anche della concimazione della terra. Quello che non dovrebbero fare è cercare di imporre la loro opinione nel campo della linguistica. Il principale e futile argomento dell'autore citato, italiano nonostante dal nome sembri d'Oltralpe, sarebbe questo: l'aggettivo formato dal toponimo Como (latino Cōmum) è comasco o comense (latino cōmēnsis), così non potrebbe essere al contempo comacino. Che infelicissima baggianata! Soltanto uno studioso autoreferenziale, di poco senno e cerebro minuscolo, potrebbe avere l'ardire di scrivere una tale colossale inconsistenza. Purtroppo, in tempi recenti questa teoria insensata dei "Maestri con le macchine" viene rivalutata nel Web e promossa da Google, anche se è palesemente falsa, come posso dimostrare con argomenti solidissimi.    
 
Ebbene, l'aggettivo comacino "comasco, comense" esiste eccome. La sua pronuncia può essere piana (comacìno) oppure sdrucciola (comàcino). La forma sdrucciola parrebbe la più antica, quella piana ha l'aria di essere stata tratta da una pronuncia ortografica. La derivazione è dal latino tardo cōmacĭnus / cōmacīnus, con varianti come commacinus, cōmacenus, cūmacinus, etc.; la quantità della vocale -a- è incerta. L'uso di questo aggettivo è documentato fin dal IV secolo al posto del classico cōmēnsis; un altro sinonimo tardo è cūmānus. Un'attestazione antica e sporadica si ha in Varrone (116 a.C. - 27 a.C.), che chiama cōmacinae pernae i prosciutti comensi (Lazzati, 2008). Il Lago di Como è denominato Lacus Cōmacenus nell'Itinerarium Antonii del 300. Questo limnonimo, con la sua variante Lacus Commacinus è sinonimo del più antico Lacus Cōmēnsis. Come poteva Ugo Monneret de Villard ignorare questa evidenza? Forse scarabocchiava la sua cacata charta senza consultare alcuna fonte.
 
Le testimonianze dell'esistenza e della diffusione di questo aggettivo comacino sono numerose e sopravvivono tuttora nella toponomastica lombarda. Questi sono i suoi esiti: 
 
comasno < cōmacinus 
Comàsina < Cōmacina 
Comasìna < Cōmacīna 
 
1) Dal toponimo milanese Porta Comàsina o Porta Comasna ha avuto origine il nome del quartiere detto oggi Comasina (con l'accento sulla penultima sillaba, Comasìna). Il luogo è noto soprattutto perché da esso prese il nome la famigerata banda della Comasina, capeggiata da Renato "Bel René" Vallanzasca, che terrorizzò la Lombardia con la sua ferocia. Il bandito era nativo dell'infernale Giambellino, quello stesso che tanto piaceva a Giorgio Gaber, però la sua banda prese il nome dalla Comasina perché proprio là si trovava un bar utilizzato come ritrovo abituale.
 
2) Ca' del Comasno, ossia "Casa del Comasco", è una frazione di Lodi Vecchio, un tempo comune indipendente.
 
3) L'Isola Comacina (in latino tardo Insula Comacina) è un'isola del Lago di Como (Lario), tecnicamente definibile come "lembo di terra": è lunga 600 metri, larga 200 metri, con un perimetro di 2 chilometri e una superficie di 7,5 ettari. Se ne trovano diverse menzioni nell'Historia Langobardorum di Paolo Diacono. Questa menzione è riferita all'anno 588 circa:
 
Alii quoque Langobardi in insula Comacina Francionem Magistrum Militum, qui adhuc de Narsetis parte fuerat et iam se per viginti annos continuerat, obsidebant. Qui Francio post sex menses obsidionis suae Langobardis eandem insulam tradidit, ipse vero, ut obtaverat, dimissus a rege, cum sua uxore et supellectili Ravennam properavit. Inventae sunt in eadem insula diviciae multae, quae ibi de singulis fuerant civitatibus commendatae.
Historia Langobardorum, III, 27
 
Traduzione:
 
"Altri Longobardi assediavano nell’isola Comacina il magister militum Francione, che era del partito di Narsete e che si era asserragliato ormai da vent’anni. Questo Francione, dopo sei mesi che era stato assediato onsegnò quella stessa isola ai Longobardi; congedato dal re, si affrettò a raggiungere Ravenna con sua moglie e i suoi bagagli, come certamente lui stesso aveva chiesto. In quella stessa isola furono trovate molte ricchezze, che in quel luogo erano state messe al sicuro da parte di diverse città."
 
Secondo Fabio Carminati e Andra Mariani (2016), l'Insula Comacina di cui ha scritto Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum sarebbe da identificarsi con una porzione di terra situata in quello che oggi è il comune di Olginate. Questi autori sono convinti che l'aggettivo comacino sia sì derivato dal toponimo Como, ma che in origine fosse riferito soltanto alla parte orientale del Lario e del suo territorio, ossia al Lago di Lecco e al Lecchese. Credo che ciò sia poco plausibile: Sant'Ambrogio chiamava rūpēs cōmacinae i monti sopra Como (Epistola 55). In ogni caso, se anche le tesi di Carminati-Mariani dovessero risultare fondate, comacino resterebbe pur sempre connesso a Como.
 
I Comacini nell'Editto di Rotari 
 
I capitoli dell'Editto di Rotari che trattano dei Maestri comacini sono due: il 144 e il 145. Ne riporto il testo originale e la traduzione. 
 
144. 
De magistros commacinos. Si magister commacinus cum collegantes suos cuiuscumque domum ad restaurandam vel fabricandam super se, placitum finito de mercedes, susceperit et contigerit aliquem per ipsam domum aut materium elapsum aut lapidem mori, non requiratur a domino, cuius domus fuerit, nisi magister commacinus cum consortibus suis ipsum homicidium aut damnum conponat; quia, postquam fabulam firmam de mercedis pro suo lucro suscepit, non inmerito damnum sustinet. 
 
Traduzione: 

"Se un maestro comacino con i suoi consoci avrà accettato, dopo aver definito il patto sulla ricompensa, di restaurare una casa o di sopraelevarla, e sarà accaduto che qualcuno muoia a motivo della stessa costruzione o per la caduta d'una trave o per la caduta d'una pietra, allora non si richieda la composizione del danno al padrone della casa, qualora il maestro comacino in solido con i suoi consoci non faccia composizione dello stesso omicidio o del danno: infatti, poiché questi ha pattuito il suo guadagno, giustamente deve sostenere anche il rischio." 

145.
De rogatos aut conductos magistros. Si quis magistrum commacinum unum aut plures rogaverit aut conduxerit ad opera dictandum aut solatium diurnum prestandum inter servûs suos, domum aut casa sibi facienda, et contegerit per ipsam casam aliquem ex ipsis commacinis mori, non requiratur ab ipso, cuius casa est. Nam si cadens arbor aut lapis ex ipsa fabrigam occiderit aliquem extraneum, aut quodlebit damnum fecerit, non repotetur culpa magistris, sed ille, qui conduxit, ipse damnum susteneat. 

Traduzione: 

"Dei maestri chiamati o assunti. Se qualcuno invita o assume uno o più maestri comacini per dirigere i lavori o prestare aiuto quotidiano tra i suoi servi per la costruzione di una casa padronale o di un casale per sé, e accade che uno dei comacini muoia mentre lavorava in quel casale, non va fatta la querela nei confronti di colui al quale appartiene il casale. Ma se un pezzo di legno o una pietra, cadendo dall'edificio, uccide uno straniero o gli causa qualche danno, il padrone non sarà incolpato, ma accetterà il danno da parte di chi lo ha assunto." 

Bizzarre manipolazioni massoniche
 
Per qualche arcano e misterioso motivo, ai Frammassoni non è mai andata a genio la chiarezza etimologica. In genere fondano le loro etimologie su princìpi assolutamente irrazionali. Ricordo ancora l'amico G. (R.I.P.), che aderiva alla Libera Muratoria e se ne usciva ogni tanto con trovate che mi facevano infuriare. Una volta arrivò a sostenere che la parola dannato deriverebbe dal greco thánatos "morte". Rimase sconvolto quando gli dissi che dannato è soltanto il participio passato del verbo dannare, che deriva in modo del tutto naturale dal latino damnāre, da cui damnātiō "dannazione", vocabolo già usato da Sant'Agostino (massa damnātiōnis, etc.). I Frammassoni non analizzano le parole dividendo in modo sensato i suffissi e i prefissi dalla radice. Usano il principio dell'assonanza, l'anagramma, il calcolo numerico cabalistico delle lettere e altre manipolazioni ancor più stravaganti. L'etimologia di com(m)acinus è così ricondotta, con anagramma, a un fantomatico *co-monachus "confratello", inteso come "fratello Massone" (Knoop & Jones, 1978). Forme simili sono state ricostruite da romanisti col grembiule e il cappuccio, senza nessuna base scientifica, come ad esempio *commagister, *commachinātor e *commachiō (genitivo *commachiōnis, da *machiō "muratore", di origine germanica, vedi nel seguito per maggiori dettagli). 
 
Un'etimologia pseudogermanica
 
Non sono mancati tentativi di trovare un'origine germanica della denominazione dei Maestri comacini. Già nel 1883, Karl von Hoede ha postulato un fantomatico *gemachinus "costruttore", formato col prefisso collettivo ge- a partire dalla stessa radice del tedesco machen "fare", da cui in ultima analisi deriva anche il francese maçon (< *machiōnem, accusativo di *machiō). In tempi recenti è stato postulato un vocabolo assai simile, *ga-makin, attribuito al longobardo (Mastrelli, 2008). Tuttavia si capisce che, se davvero fosse esistita in longobardo una simile parola, questa non avrebbe subìto goffe e improbabili latinizzazioni: sarebbe stata presente nell'Editto di Rotari nella sua forma originale. Attendiamo la scoperta di nuovi documenti storici che possano aiutarci a fare maggior chiarezza. 

Consiglio senza dubbio la lettura di questo scritto interessantissimo di Marco Lazzati:

lunedì 5 luglio 2021

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL'ETIMOLOGIA DI COMO

Mi ha sempre incuriosito l'origine del toponimo Como, fin da bambino. All'epoca ero molto ingenuo. Solo per fare un esempio, credevo che il nome della cittadina chiamata Erba derivasse dall'erba verde che vi sarebbe cresciuta. Me lo aveva detto mio padre (R.I.P.). Quanto mi diceva mio padre a quell'epoca lo prendevo per oro colato. Ero convinto che esistesse un modo di ricondurre i nomi dei paesi e delle città a parole comuni della lingua parlata. Un'illusione delle più folli! Ora so che le cose sono molto diverse, perché non si può credere che nell'antichità si parlassero le lingue odierne. Capivo però già allor che con nomi di luogo come Como non funzionava nessun approccio razionale, non serviva a nulla ciò che era a me disponibile a quei tempi. Se gli studi sulla lingua celtica mi hanno in seguito permesso di capire che Erba significava in realtà "vacca" o "cerva" (ottimi i raffronti in antico irlandese evidenziati dal professor Guido Borghi), con Como le etimologie disponibili non funzionavano altrettanto bene. 

Il nome latino della città, ben attestato, è Cōmum, con la vocale -ō- lunga: il vecchio centro era chiamato Cōmum oppidum, mentre il nuovo centro fu ribattezzato da Cesare come Novum Cōmum. Il greco antico abbiamo attestata la forma Κώμον (Kṓmon), anche in questo caso con la vocale tonica -ō- lunga, scritta con una lettera omega. Sembrerebbe tutto molto semplice. Purtroppo le cose non stanno così: già la fonetica della vocale tonica presenta inaspettati e gravi problemi.

Mi sono spesso chiesto come mai in milanese e in brianzolo si pronunci Còmm /kɔm/ e non Cum /ku:m/, come avrebbe dovuto essere se il toponimo si fosse evoluto regolarmente dall'originario Cōmum. In realtà in comasco esistono sia Còmm /kɔm/ che Cumm /kum/ (secondo la Wikipedia italiana sarebbe /kʊm/, in ogni caso con vocale breve). In italiano "standard" la pronuncia è Còmo /'kɔ:mo/, con la vocale tonica aperta, mentre in italiano lombardo la pronuncia è Cómo /'ko:mo/, con la vocale tonica chiusa. In tedesco è attestata nel tardo XV secolo la forma Kam, che è considerata un prestito diretto dal lombardo Còmm (Obermair, 2008) - sebbene il vocalismo presenti innegabili difficoltà.
 
Tentativi etimologici  

Il mondo accademico anglosassone considera il toponimo Comum come originatosi dalla parola celtica cumbā "valle", le cui attestazioni sono notevoli, ad esempio in Piemonte e in Linguadoca (tra le altre cose ha dato origine alla parola inglese coomb "valle stretta"). Questa derivazione è chiaramente impossibile per motivi fonetici: non si spiegherebbero né il vocalismo né il consonantismo. La -u- breve di cumbā non può aver dato la -ō- lunga di Cōmum; il gruppo consonantico -mb- non può essersi mutati in -m- semplice già in epoca romana. Mi ha sorpreso trovare questa falsa etimologia, tanto grossolana, sul famoso dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline.com
 
 
Pietro Pensa (1906 - 1996) ha fatto derivare il toponimo da una radice celtica *koimo-, a cui ha attribuito il significato di "abitato". L'origine sarebbe quindi dalla stessa protoforma indoeuropea *k'oimos "della casa", "appartenente alla famiglia", a sua volta dalla radice *k'ei- "giacere". La stessa protoforma ha dato regolarmente il protogermanico *χaimaz "casa, villaggio, patria", i cui esiti sono ben noti (ad es. gotico haims "villaggio", norreno heimr "mondo, patria", inglese home "casa", tedesco Heimat "patria", etc.). La cosa non è di per sé impossibile. Tuttavia non sono al momento attestate derivazioni con questa semantica nelle lingue celtiche. Si ricostruisce il protoceltico *koimos "bello, caro" (da un più antico "familiare"), a partire da questi dati:  
 
antico irlandese: cóim, cóem "caro, carino" 
   irlandese moderno: caomh "caro, carino" 
antico gallese: cum "caro, carino" 
   gallese moderno: cu "caro, carino" 
medio bretone: cunff, cuff "caro, carino" 
   bretone moderno: kuñv "caro, carino"
In gallico è attestato nell'antroponimo Coemo.

Ritengo più probabile che l'antenato diretto di Cōmum sia *Koimon "Luogo Bello", inteso come un luogo dove si è manifestato un portento particolarmente fausto, connesso al perduto mito della sua fondazione. Il passaggio dal dittongo -oi- a una vocale lunga -ō- non sarebbe impossibile.     

Il professor Guido Borghi si è occupato dell'etimologia del toponimo Como nel suo lavoro Continuità Celtica della Toponomastica Indoeuropea del Bacino Lariano (2012), consultabile liberamente su Academia.edu. Questo è il link:
 
 
La lettura dell'interessantissimo trattato è purtroppo poco agevole per via della caratteristica ortografia che marca le vocali brevi (a mio avviso in modo ridondante). A fini di conoscenza riporto questo estratto etimologico, che si trova a pagina 114: 

Como / Comm < gallico *Kōmŏn < celtico *Kŏϕŏmŏ-m < indoeuropeo *Kŏpŏmŏ-m < *(S)kŏp-ŏ-mŏ-m „della Copertura“ (cfr. Bergamo < gallico *Bĕrgŏmŏ-n < celtico *Bĕ́rgŏmŏ-m < indoeuropeo *Bɦĕ́rĝɦŏmŏ-m < *Bɦĕ́rĝɦ-ŏ-mŏ-m „del Monte“) più regolare che Como < gallico *Kōmŏn < orobico *Kōmŏ-m < indoeuropeo *Kōmŏ́-m < *Kōm(hx)-ŏ́-m „Che ha concentrazione (di insediamento)“  
 
Quello che Borghi ha compreso al volo è la stranezza della vocale lungua -ō-, da me già segnalata. Una simile vocale dell'indoeuropeo evolve in protoceltico come -ā-, tranne che nel caso in cui si trova nella sillaba finale di una parola, dove si oscura ed evolve in -ū-. Quindi una protoforma celtica *Kōmon, ricostruibile dal toponimo attestato nei documenti in latino, sarebbe decisamente anomala. Subito risulta chiaro che *Kōmon deve per necessità derivare da una protoforma più complessa. Detto questo, le ricostruzioni dell'esimio professor Borghi mi sembrano troppo complesse e improbabili. Resto convinto che un passaggio da *Koimon "Luogo Bello" a *Kōmon sia più plausibile e immediato. Spero che in futuro saranno trovate nuove evidenze in grado di portarci a una conclusione certa. 
 
I Neocomiti 
 
Molto utile è la lettura dello studio del professor Giorgio Luraschi (1991), consultabile sul sito del Comune di Como: 
 
 
Si parte dalla doppia fondazione di Como. 
 
"Como ebbe due fondazioni, nel senso che due città vere e proprie vennero fondate con lo stesso nome (Comum), sia pure in epoche e luoghi diversi. La prima fondazione risale al V sec. a.C., ed è da porsi sulle colline meridionali della convalle comasca, pressappoco dove oggi sono i borghi di Prestino e di San Fermo; la seconda cadde invece nel 59-58 a.C. e fu opera di Cesare, che la collocò esattamente sull’area della attuale città." 

L'opera di Giulio Cesare è spiegata subito dopo con maggiori dettagli, alludendo anche all'intervento di coloni giunti dall'Ellade:
 
"Che le Como fossero state due basta, d’altronde, a provarlo il fatto che il centro romano fu chiamato dai primi coloni greci Novum Comum (Strab. 5,1,6), il che lascia ovviamente ad intendere che esistesse un Vetus Comum, probabilmente quello di cui parla Livio (33,36) allorché descrive lo scontro (196 a.C.) fra Comensi e Romani e la conseguente presa di Comum oppidum e dei suoi ventotto castella da parte dei vincitori. Il problema è stabilire dove fosse situato Comum oppidum, e se ad esso potesse competere la qualifica di città in senso giuridico ed architettonico." 

Quasi commoventi sono le supposizioni sui più antichi popolamenti dell'area. Lo studioso cerca con ogni mezzo di colmare l'immenso baratro dell'ignoranza storica causata dall'assenza di fonti scritte:
 
"Per impostare correttamente la questione bisogna risalire alla fase di transizione fra l’età del Bronzo e l’età del Ferro (1000 a.C. circa), quando sull’incalzare di eventi imprecisati (bellici, naturali?), piccoli nuclei di popolazioni di stirpe ligure (sia pure con precoci influenze celtiche) si stanziarono sulle colline che vanno dal Baradello al Monte della Croce (Spina Verde).
Qui si disposero in minuscoli villaggi (13 o 30 capanne nei due casi accertati), isolati gli uni dagli altri, ognuno con propri luoghi di culto, necropoli (se ne contano una quindicina), sorgenti, accessi ecc. Oltre cento anni di scavi condotti dalla Società Archeologica Comense ne hanno data ampia documentazione." 
 
E ancora su Novum Comum:  

"Siamo nel 59 a.C., Roma è dominata dai triumviari, Cesare, Pompeo e Crasso. Cesare si fa eleggere console e si accinge a costruire il suo futuro e, a ben vedere, quello del mondo. Nei suoi piani lungimiranti, che già prevedevano l’espansione transalpina, rientra anche la fondazione di Novum Comum." 
 
Viene ribadita l'eco che la fondazione della nuova colonia ebbe nel mondo romano dell'epoca:
 
"Fu un evento di formidabile risonanza, tanto è vero che, come dissi, ne parlano o vi alludono ben sei autori: Catullo, Cicerone, Strabone, Plutarco, Svetonio ed Appiano: i primi due, fra l’altro, furono testimoni diretti ed interessati, avendo entrambi amici comaschi." 

Ecco il retroscena nel complesso universo della legislazione romana, ingarbubliato a tal punto da essere comprensibile soltanto uno studioso della levatura di Luraschi: 

"Tutto trae origine nel 59 a.C., appunto, da una
lex Vatinia, cioè da un plebiscito rogato dal tribuno Vatinio, amico di Cesare, che autorizzò la fondazione e ne prescrisse i dettagli (58). Vediamo che cosa dice, al riguardo, Strabone (59): “Il divo Cesare portò a Como 5.000 nuovi coloni,di cui i 500 greci risultarono quelli più in vista; a costoro, invero, diede anche la cittadinanza e li iscrisse fra i coloni; essi tuttavia non fissarono in questo stesso luogo la residenza, ma comunque lasciarono alla fondazione il nome; infatti tutti quanti furono chiamati Neocomiti, ed il luogo, tradotto, è detto Novum Comum”."
 
Ora va detto qualcosa di estremamente scomodo. La storia dei Neocomiti (greco Νεοκωμῖται) destò immenso clamore postumo tra i parrucconi e tra i topi di biblioteca del XVIII secolo, colonne portanti del paleocomparativismo. Questa mania ellenizzante ha investito l'intera toponomastica lariana, dando origine a spiegazioni piuttosto inverosimili. Ecco alcuni esempi: 

Corenno è stato fatto risalire a Korinthos
Dervio è stato fatto risalire a Delphos
Lemna è stato fatto risalire a Lemnos
Lenno è stato fatto risalire a Lemnos
Nesso è stato fatto risalire a Naxos
Piona è stato fatto risalire a Peonia 
 
Sicuramente si ricollega alla leggenda dei Neocomiti anche il limnonimo Eupilis lacus, da cui Eupilio, tradizionalmente intrepretato come "bel luogo", dal ben noto prefisso greco eu- "bene, buono", per quanto la seconda parte del composto non sia di così facile etimologia. Sono puerili trovate della solita passione italica per le false etimologie: tutto è fondato su assonanze, senza controllare in alcun modo se siano o meno sigificative. A mio avviso nessun greco avrebbe dato a località sulla terraferma il nome di isole dell'Egeo: Lemna, Lenno e Nesso non si spiegano in questo modo. Allo stesso modo nessun greco avrebbe dato a un luogo sperduto il nome di una regione dell'Ellade: Peonia non si spiega in questo modo. Sorprende come questi toponimi, non studiati praticamente da nessuno fino a poco tempo fa, siano restati di difficilissima analisi per così tanto tempo. A volte, come nel caso di Piona, mancano tuttora proposte etimologiche convincenti. In altri casi, un'etimologia celtica è la sola spiegazione possibile. Chiunque abbia una minima dimestichezza con le lingue celtiche, comprende all'istante che Dervio significa "Luogo della Quercia" e che Nesso significa "Luogo Basso". Altrettanto evidente è che Lemna significa "Luogo degli Olmi". Non c'è proprio bisogno di tirare in ballo Delfo, che non si adatta nemmeno alla fonetica. Il problema è che in Italia la conoscenza delle lingue celtiche è disprezzata per imperativo scolastico e che per secoli hanno imperato studi classici decisamente sterili, tanto pedanti che persino una scorreggia scappata a uno studioso doveva essere ricondotta alla Grecità. Sorprende anche constatare che il mondo accademico si ostini a considere gran parte della toponomastica come un immenso buco nero. Il punto è di enunciazione semplice. Non è Como ad aver preso il suo nome dai Neocomiti. Sono i Neocomiti ad aver preso il loro nome da Como.

lunedì 17 maggio 2021

INGLESE CUCKOLD, FRANCESE COCU 'CORNUTO', GERGO PANINARO CUCCARE 'FARE SESSO'

Una parola inglese è diventata molto famosa: cuckold "cornuto". La si trova moltissime volte nei siti pornografici come xHamster. Come lemma tecnico del mondo del porno, l'epiteto cuckold indica un uomo passivo che presta volentieri la sua compagna a estranei perché ne godano sessualmente. In genere si tratta di energumeni che si fanno praticare sesso orale e la penetrano, arrivando infine a coprirla di sperma. Il costume è attecchito, tanto che si trovano bizzarri commenti dovunque. Ne ricordo due in particolare. Un marito portava la moglie a fare pompini gratuiti a sconosciuti e stava a spiarla, lamentandosi poi del fatto che lei si sentiva a disagio. Un altro marito sospirava e scriveva: "Non riesco a convincere la mia compagna a realizzare il mio sogno, quello di essere reso cornuto". Molti sono riusciti nell'intento. Godono a tal punto nel vedere la moglie fare le gangbang spermatiche, che eiaculano senza nemmeno toccarselo. Questo è quanto. Tramite la pornografia, l'ennesimo anglismo è stato importato in italiano: cuckold, pronunciato in modo approssimativo come /'kakold/. Perché importare cuckold se già abbiamo le parole cornuto e becco? Perché cuckold non è davvero un "prestito di lusso". C'è infatti una sfumatura particolare nella parola inglese: il cuckold desidera essere un cornuto, spasima, vuole che la consorte sia posseduta da altri. Il cornuto classico invece è ignaro delle attività che lo hanno reso tale, potendo reagire con furia nel caso ne venisse al corrente.

Quando ero uno scolaretto, mia madre mi insegnava alcune parole di francese, che ricordava dai tempi della scuola. Cose molto semplici, come table "tavolo", ville "città", garçon "ragazzo", fille "ragazza", rien "niente" etc. Qualche anno dopo, avendo visto un film in cui Cary Grant interpretava il ruolo di un becco, le chiesi come si dicesse "cornuto" in francese. Lei prontamente mi rispose: "Si dice cocu". All'epoca dell'università, studiando su un dizionario Nahuatl-Francese, appresi che in Francia il verme cornuto del tabacco è chiamato ver cocu. È un bruco verdognolo e pingue, molto odiato dai coltivatori di tabacco per la sua voracità. È la larva della sfinge del tabacco (Manduca sexta), una bella falena grigiastra e setosa. La glossa francese dell'azteco ocuilin cuācuahueh (pronuncia /o'kwilin kwa:'kwaweɁ/) è proprio "ver cocu". Quindi in alcuni contesti la parola cocu allude a protuberanze fisiche, non soltanto alla condizione del marito becco. Questo è un caso curioso e di difficile soluzione.

Si capisce a colpo d'occhio che l'inglese cuckold (pronuncia /ˈkʌkəʊld/, /ˈkʌkoʊld/, /ˈkʌkəld/) "cornuto" è connesso strettamente al francese cocu (pronuncia /kɔ'ky/) "cornuto", femminile cocue "cornuta", plurale maschile cocus "cornuti", plurale femminile cocues "cornute". Basta poco a comprendere che la parola inglese è stata presa a prestito dal francese. 

1) Questa è la trafila che ha portato alla parola inglese moderna:

Antico francese: cucuault => 
Medio inglese: cokewold =>
Inglese moderno: cuckold
Varianti in medio inglese: cockewold, cokolde, kukwald, kukewald, kukeweld.   

2) Questa è l'analisi della parola sorgente: 

Il suffisso antico francese -ault deriva direttamente dalla lingua dei Franchi, in cui suonava -wald, ben attestato nell'onomastica e adottato in romanzo come accrescitivo/peggiorativo.
Protogermanico: 
*-waldaz "dominatore, condottiero", 
*waldanan "dominare".
Gli adattamenti in medio inglese somigliano molto alla forma germanica originaria, segno che esisteva ancora tra i parlanti una capacità di riconoscere questo elemento. 
In antico francese il suffisso -ault è aggiunto a cucu "cuculo", con allusione alle abitudini di parassitismo procreativo dell'uccello. 
 
2) Questa è la trafila che ha portato alla parola francese moderna: 
 
Antico francese: cucuault => 
Francese moderno: cocu

3) Si sono venute a formare queste contrapposizioni: 

Inglese:  
cuckoo /'kʊku:/ "cuculo" : cuckold /'kʌkǝld/ "cornuto"
 
Francese: 
coucou /ku'ku/ "cuculo" : cocu /kɔ'ky/ "cornuto" 
 
Una miniera di informazioni utili 
 
Questo riporta il dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline
 
 
cuckold (n.)
 
"derisive name for a man whose wife is false to him, "husband of an adulteress," early 13c., kukewald, cokewold, from Old French cucuault, from cocu (see cuckoo) + pejorative suffix -ault, of Germanic origin. So called from the female bird's alleged habit of changing mates, or her authentic habit of leaving eggs in another bird's nest."

Traduzione in italiano: 
 
"nome derisorio per un uomo la cui moglie è falsa nei suoi confronti, "marito di un'adultera", primo Trecento, kukewald, cokewold, dall'antico francese cucuault, da cocu (vedi cuckoo) + suffisso peggiorativo -ault, di origine germanica. Così chiamato dalla supposta abitudine femminile dell'uccello di cambiare compagno, o dell'autentica abitudine di lasciare uova nel nido di un altro uccello."
 
E ancora: 

"In Modern French the identity is more obvious: Coucou for the bird and cocu for the betrayed husband. German Hahnrei (13c.), from Low German, is of obscure origin. The second element seems to be connected to words for "ardent," and suggests perhaps "sexually aggressive hen," with transferal to humans, but Kluge suggests rather a connection to words for "capon" and "castrated." The female equivalent, cuckquean, is attested by 1560s."
 
Traduzione in italiano:  

"In francese moderno l'identità è più ovvia: coucou per l'uccello e cocu per il marito tradito. Il tedesco Hahnrei (Tredicesimo secolo), dal basso tedesco, è di oscura origine. Il secondo elemento sembra essere connesso a parole per "ardente", e suggerisce forse "gallina sessualmente aggressiva", con trasferimento agli umani, ma Kluge suggerisce piuttosto una connessione a parole per "cappone" e "castrato". L'equivalente femminile, cuckquean, è attestato dagli anni '60 del Cinquecento." 

Il Paninarismo e l'imperativo di cuccare

I paninari degli anni '80 dello scorso secolo facevano uso ed abuso del termine cuccare "fare sesso con una ragazza". Da tale verbo, che potremmo definire braschiano in quanto promosso dal comico Enzo Braschi, deriva per retroformazione il sostantivo cucco "atto di fare sesso con una ragazza". Si noterà che il verbo cuccare può essere intransitivo (es. "ieri sera ho cuccato") oppure transitivo (es. "sono riuscito a cuccare la sfitinzia arrapation"). Pochi sanno che queste parole erano già in uso nel gergo dei cicisbei del XVIII secolo. In origine il verbo cuccare significava "ingannare" ed è derivato da cucco "cuculo". Rimangono ancora alcune tracce dell'uso originario. La frase "non mi cucchi" significa "non m'imbrogli"
 
1) Questa è una possibile trafila semantica: 
 
cuccare "ingannare" => 
cuccare "convincere con l'inganno una donna a fare sesso"
cuccare "fare sesso con una donna"  
 
2) Questa è una trafila semantica alternativa: 

cuccare "agire come il cuculo" (= *cuculare)
cuccare "sedurre una donna, rendendo cornuto suo marito"
cuccare "fare sesso con una donna" 

Il fatto che cuccare possa essere un verbo transitivo fa pensare che la trafila 2) sia migliore della trafila 1).

Ai nostri giorni pochi usano la parola cucco per indicare il cuculo (Cuculus canorus). Ormai è diventata obsoleta e si conserva essenzialmente in una frase fatta: si dice "vecchio come il cucco" o "vecchio come il cucù", con riferimento al mitico pseudo-piccione strabico e parassitario. Forse il riferimento è al fatto che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, come  scritto nell'Ecclesiaste. In quest'ottica il trucco del cuculo è il più antico di tutti, proprio come la prostituzione è il più antico di tutti i mestieri. Ricordo ancora che l'amico Giovanni "X" De Matteo inveiva giustamente contro la Marvel, rea di aver trasformato Capitan America in una specie di neonazista affiliato all'organizzazione terroristica Hydra. Così scriveva (non ricordo tutte le parole in modo perfetto): 
 
"Come possono pensare che i fan rivorranno indietro il personaggio se ha commesso crimini contro l'Umanità? Come credono di uscirne? Con qualche trovata vecchia come il cucco, del tipo 'me lo hanno fatto fare gli alieni' oppure 'è stato un sogno'? Saluti, Casa delle Idee!" 
 
Vorrei riportare il testo nella sua forma originale, ma purtroppo è sparito da FB e dall'intero Web. Si noterà che cucco e cucù non sono due parole del tutto intercambiabili. Si dice orologio a cucù, non orologio a cucco (anche se nel Web si trova qualche attestazione). Mi affascinano queste sottigliezze della lingua italiana. 

mercoledì 12 maggio 2021

ETIMOLOGIA DI CICISBEO

Il cicisbeo era il cavalier servente, una figura oggi inconcepibile ma molto diffusa nel XVIII secolo. Ogni dama sposata aveva un gentiluomo che la seguiva dovunque e attendeva alle sue necessità corporali, col benestare del marito, che non si sarebbe mai sognato di svolgere compiti che reputava degradanti. Solo per fare un esempio, una delle incombenze del cavalier servente era quella di occuparsi della pulizia e della cura dell'ano della sua Signora. Quando lei defecava, lui le puliva con amore lo sfintere. In tale contesto ambiguo e pruriginoso, non era raro che simili morbosità avessero come conseguenza una relazione sessuale. Ai figli nati da queste unioni era attribuita la paternità del marito, in modo automatico. Va detto che esistevano anche cicisbei omosessuali, cosa di cui esiste esplicita documentazione (Steegmuller, 1991). Quando il marito della dama era cornuto, lo sapeva e tuttavia non se ne curava. Era cornuto e contento. Ogni cosa era alla luce del sole. Il cicisbeo abitava nella dimora dei coniugi. Accompagnava la dama persino in chiesa. Qualsiasi manifestazione di gelosia da parte del marito della dama lo esponeva allo scherno generale: sarebbe stato coperto di ridicolo. Si tenga conto del fatto che all'epoca i matrimoni tra aristocratici non erano altro che contratti sociali gravosi dettati da ragioni politiche, le cui motivazioni escludevano per definizione l'amore e la passione. Sappiamo che Giovanni Verri servì come cicisbeo Giulia Beccaria, madre di Alessandro Manzoni. L'illustre scrittore milanese potrebbe essere stato concepito tramite le corna! Giovanni Verri era fratello di Pietro Verri, famoso economista, storico e letterato. Giulia Beccaria si dava parecchio da fare e rimediò come amante Carlo Imbonati, a cui lo stesso Manzoni dedicò una poesia. Un altro cicisbeo illustre fu Vittorio Alfieri, che servì la marchesa Gabriella Falletti per un periodo di due anni. Le regole del cicisbeismo stabilivano che un cavalier servente non poteva avere relazioni con donne diverse da quella a cui prestava i suoi servigi. La dama poteva troncare la relazione in qualsiasi momento, nel qual caso il cicisbeo cacciato via era definito spiantato. La diffusione del fenomeno includeva diverse grandi città italiane, tra cui Venezia, Milano, Firenze, Roma e Genova, oltre a Nizza, che attualmente si trova in Francia. In Francia questa pratica non era amata e poneva gravi problemi legati all'infedeltà coniugale e soprattutto alla legittimità della filiazione. Il cicisbeismo contribuì a far sì che in Francia fosse diffusa una cattiva opinione degli Italiani. Non a caso il mondo dei cavalier serventi andò in crisi quando furono introdotte nella Penisola le idee della Rivoluzione Francese; il Risorgimento contribuì attivamente alla sua estinzione. La sfrontatezza dell'aristocrazia decaduta fu sostituita dalla ripugnante ipocrisia borghese. 
 
 
Derivati:
cicisbeare "fare da cavalier servente a una dama"; "fare il galante con le donne", "agire come un corteggiatore o un seduttore"  
cicisbeatura "atto e abitudine da cicisbeo"
cicisbea "donna vanitosa e futile che ama farsi adorare"
cicisbeismo "atteggiamento proprio dei cicisbei"; "il costume dei cicisbei" 

Sinonimi del termine nell'accezione moderna: 
attillato 
bellimbusto 
damerino 
galletto 
vagheggino 
zerbinotto 

Proverbio toscano: 
Cicisbei e ganzerini fanno vita da facchini.
 
Qual è l'etimologia della parola cicisbeo? Notiamo subito la presenza di un gruppo consonantico particolare, sb. Nella lingua italiana il gruppo consonantico sb /zb/ non è eccezionale ma nemmeno comunissimo. Ricorre in quattro casi: 
 
1) Parole che iniziano con sb-, in cui il prefisso s- è l'esito del prefisso latino ex-. In molti casi sono verbi e loro derivati, meno spesso sono sostantivi e aggettivi non derivati da verbi, in cui il prefisso in questione funge da peggiorativo o intensivo.
Esempi: 
    sbadigliare (da cui sbadiglio)
    sbagliare (da cui sbagliato, sbaglio
    sballare (da cui sballo
    sbalzo 
    sbaraccare
    sbarrare (da cui sbarrato)
    sbellicarsi 
    sberla (non deverbale) 
    sberleffo (non deverbale)  
    sbilenco (non deverbale)
    sbirciare  
    sbirro (non deverbale)
    sboccare  
    sboccato "volgare" (non deverbale) 
    sbocciare
    sbolognare  
    sbornia (non deverbale) 
    sborone (non deverbale, da boria)
    sborrare "eiaculare" (da cui sborra "sperma", sborrata 
        "eiaculazione") 
    sborrare "togliere la lanugine" (caduto in disuso)
    sbudellare 
Raramente abbiamo un gruppo consonantico più complesso, sbr- /zbr-/.
Esempi: 
    sbraitare 
    sbranare 
    sbriciolare  
    sbrinare 
    sbrogliare 
    sbruffone (dal verbo sbruffare "darsi arie", caduto in disuso)
Il gruppo consonantico sbl- /zbl-/ è ancor più raro. 
Esempio: 
    sbloccare (da cui sblocco)
2) Prestiti dotti dal greco classico o neologismi formati a partire da tale lingua. In questo caso il gruppo consonantico sb compare all'interno della parola.
Esempi: 
    asbesto "amianto" 
    Lesbo (nome di un'isola)
    lesbica "omosessuale femmina"
    olisbo "dildo, fallo finto" 
    Tisbe (nome proprio femminile)
3) Parole prese a prestito da altre lingue. Spesso sono toponimi e antroponimi, ma non sempre. 
Esempio: 
    casba, kasba (dall'arabo qaṣba "fortezza")
    Lisbona 
    nisba "niente" (colloquiale, dal tedesco nichts
    Ozzy Osbourne
4) Formazioni onomatopeiche. 
Esempio: 
    bisbigliare 

Si nota subito una cosa: se togliamo le parole in cui il gruppo consonantico in questione ricorre in posizione iniziale, rimane veramente poco. In quale categoria dovrebbe essere inserita la parola cicisbeo? L'ipotesi più accreditata tra gli accademici è che sia una formazione onomatopeica, proprio come bisbigliare. In veneziano esisteva la parola espressiva cici, che indica il cicaleccio, il chiacchericcio delle donne. Il cicisbeo avrebbe ricevuto questo nome che era una sorta di trascrizione fonetica del chiacchiericcio in cui viveva immerso. Gli ambienti in cui prestava i suoi servigi erano pervasi senza sosta da un monotono brusio di pettegolezzi femminili. La vita del cavalier servente doveva essere incredibilmente frivola, anche se ricca di soddisfazioni sensuali.  

Le prime attestazioni 

La parola cicisbeo è riportata per la prima volta nel 1708 nell'opera del predicatore Giovanni Maria Muti, Quaresimale del Padre Maestro Fra Giovanni Maria Muti de Predicatori. Dieci anni più tardi, nel 1718, compare in una lettera della meritoria nobildonna Lady Mary Wortley Montagu, la stessa che documentò le ultime sopravvivenze dei Pauliciani a Plovdiv, in Bulgaria.

Cicisbeo e birignao 
 
Esiste un caratteristico modo di parlare che ha avuto origine proprio nell'ambiente dei cicisbei del XVIII secolo. È il cosiddetto birignao. Cos'è il birignao? Semplice: è una pronuncia artificiosa caratterizza da vocina nasale e da vocali finali allungate. Alcuni la definiscono "pronuncia leziosa fino al ridicolo, affettata, malamente teatrale" (cit.). Il termine è senza dubbio di origine onomatopeica: altro non è che un tentativo di trascrivere foneticamente questo tipo di pronuncia, che in qualche modo imita il miagolio dei gatti. Si narra che i Greci antichi, sentendo qualcuno parlare in una lingua diversa da quella dell'Ellade, udissero soltanto "bar bar" - da cui avrebbe tratto origine la parola barbaro (greco βάρβαρος, latino barbarus). In modo del tutto simile, quando le dame settecentesche e i loro adoratori parlavano, un uomo comune doveva sentire soltanto "miao, miao, birignao, birignao". Il fatto che la parola birignao sia onomatopeica deporrebbe a favore di un'origine onomatopeica anche della parola cicisbeo, dato che le due si sono formate fianco a fianco, per descrivere una stessa realtà.
 
Cicisbeo e Chichibio 
 
Senza dubbio è merito di Lovarini (1940) l'aver notato una strana somiglianza tra la parola cicisbeo e il nome di un personaggio della VI novella del Decameron di Boccaccio, Chichibio, che era un lussurioso ragazzotto esercitante la professione di cuoco. L'esatta pronuncia del singolare antroponimo è andata perduta: c'è chi dice Chichìbio e chi dice Chichibìo. Lovarini ha sostenuto questa idea: essendo questo Chichibio veneziano, il suo nome deve essere stato trascritto secondo la consuetudine veneziana, con il digramma ch che è pronunciato come un suono palatale. Così Chichibio viene a coincidere con cicibìo, che è la trascrizione fonetica del canto del fringuello o del beccafico. Questo cicibìo somiglia un po' a cicisbeo e ne potrebbe essere l'origine. Un'altra possibilità è che Boccaccio abbia ipercorretto la parola cicibìo in Chichibio, con un suono occlusivo velare: in fondo, secoli dopo il veneto còcio "tipo di carrozza" è stato ipercorretto in cocchio. La trovo un'idea sommamente interessante e meritevole di indagini approfondite. Di questo argomento si è occupata la vetusta Accademia della Crusca. Riporto il link: 
 
 
Alcune etimologie implausibili

Navigando nel vasto Web sono venuto a conoscenza alcune singolari leggende, tra loro molto simili. Le riporto senza indugio.
 
1) Il cicisbeo sarebbe stato chiamato così da un adattamento veneziano del francese chiche-beau, il cui corrispondente italiano è "cece bello" (non un ingannevole "ciccio bello"!). Siccome chiche è anche un termine colloquale per dire "piccolo" (cfr. spagnolo chico), la traduzione più idonea potrebbe invece essere "piccino bello". Questa proposta etimologica è sostenuta particolarmente dagli accademici tedeschi (la traduzione in tedesco è "schöne Kichererbse"). Non ha tuttavia fondamento alcuno, come dimostriamo nel seguito, con argomenti solidissimi. 
2) Secondo altri il cicisbeo sarebbe stato chiamato così dal toscano bel cece pronunciato al contrario, quasi come se fosse un "cece bello", che alcuni traducono come "bel pulcino" o "bel pisello". Questo cece bello sarebbe poi stato adattato in veneziano rendendo l'aggettivo bello con beo, producendo quindi cicisbeo attraverso un'incomprensibile mutazione. C'è sempre questo benedetto gruppo consonantico -sb- di cui nessuno sa render conto. 
3) A quanto sostiene la scrittrice e poetessa spagnola Carmen Martín Gaite, la parola cicisbeo in italiano significherebbe "in un sussurro". Non esiste alcun fondamento che possa giustificare questa "traduzione", è un po' come quando Walter Matthau sosteneva che Trabucco in latino significasse "Perdonatemi Padre perché ho molto peccato" (Buddy Buddy, Billy Wilder, 1981) o come quando Christian De Sica sosteneva che Ruòppolo in bolognese significasse "Per Bacco non lo so" (I pompieri, Neri Parenti, 1985). 
4) Secondo un grecista che segue la tradizione pedantesca, cicisbeo sarebbe una parola puramente ellenica, che qualche parruccone avrebbe formato dalle parole κῖκυς (kîkys) "forza, vigore" e σβέννυμι (sbénnymi) "estinguersi". Il cicisbeo sarebbe quindi un uomo effeminato, in quanto privo di forze virili. Si trova a malapena il tempo di deridere una simile baggianata.
 
Adattamenti in altre lingue 
 
Analizziamo ora il modo in cui la parola cicisbeo è stata importata in altre lingue d'Europa. 
 
1) Francese 
In francese il cicisbeo è chiamato sigisbée. La pronuncia più usata è /siʒis'be/, con un inesplicabile gruppo consonantico /sb/ la cui sibilante è sorda. La pronuncia /siʒiz'be/ esiste senz'altro, ma è meno prestigiosa. La variante cicisbée /sisis'be/ è desueta. Gli accademici francesi concordano nel ritenere questa parola un prestito dall'italiano cicisbeo. Non soltanto è falsa la derivazione di cicisbeo dal francese chiche-beau (la cui pronuncia sarebbe /ʃiʃ'bo/ o al limite /ʃiʃə'bo), ma possiamo vedere che è stato invece il francese a prendere a prestito sigisbée dall'italiano. Chi ha fabbricato l'etimologia di cicisbeo dal fantomatico chiche-beau non ha semplicemente controllato le parole usate in altre lingue per esprimere il concetto. Nell'immaginario collettivo italiano, ogni bizzarria sessuale sarebbe stata importata dalla Francia. Si è quindi portati a credere che il cavalier servente fosse una figura che prosperava proprio oltralpe. Non è così. Le anomalie fonetiche della parola sigisbée sono con ogni probabilità spiegabili tramite una complessa serie di dissimilazioni spontanee, generatesi allo scopo di minimizzare le difficoltà di pronuncia. 
 
/*ʃiʃis'be/ => 
/*ʃiʒis'be/ => 
/siʒis'be/.  

Sinonimi di sigisbée sono chevalier servant e galant. Per maggiori informazioni si rimanda al sito La langue française (www.lalanguefrancaise.com):
 
 
Possiamo trarre da tutto ciò un'informazione della massima utilità. La pronuncia raccomandata in italiano è cicisbèo /tʃitʃiz'bεo/, anche i dati della lingua francese fanno pensare che un tempo fosse cicisbéo /tʃitʃis'beo/, con la vocale /e/ chiusa e con la sibilante sorda /s/
 
2) Inglese 
Nella lingua di Albione troviamo prestiti dall'italiano e dal francese per indicare il cicisbeo. Abbiamo queste forme: 
cicisbeo /ˌtʃɪtʃɪzˈbeɪəʊ/ (UK), /ˌtʃɪtʃɪzˈbeɪoʊ/ (USA)
cicisbee /sisiz'bi:/ 
sigisbeo /sidʒiz'beɪəʊ/ (UK), /ˌsɪdʒɪzˈbeɪoʊ/ (USA) 
Il celebre Lord George Gordon Byron servì come cicisbeo la contessa Teresa Gamba Guiccioli, che successivamente divenne marchesa di Boissy. Era una donna bellissima. Il suo servitore e amante la conobbe in senso biblico, lasciandole dentro il materiale genetico, come già aveva fatto con la sorellastra Augusta.       

3) Spagnolo  
La parola cicisbeo è stata adattata in spagnolo come chichsveo (variante ortografica: chichisbeo). Nel Diccionario de Autoridades (1729) è contenuta la seguente definizione: 

Chichisveo. Especie de galanteo, obsequio, y servicio cortesano de un hombre a una muger que no reprehende el empacho; pero le condena por peligroso la conciencia. Es voz italiana, de donde se ha introducido en España. 
 
Traduzione della glossa: 
 
"Una sorta di civetteria, dono e servizio cortese da parte di un uomo a una donna che non rimprovera l'imbarazzo; ma la coscienza lo condanna come pericoloso. È una voce italiana, da dove è stata introdotta in Spagna."

Si ritiene che questa sia una delle poche parole italiane entrate come prestiti nello spagnolo degli inizi del XVIII secolo. Non è giunta dalla Francia. Come notato da Luciana Gentilli (Università di Macerata, 2017), la voce citata nel dizionario è relativa al mestiere del cavalier servente piuttosto che alla sua concreta persona; vi trapela un bilioso astio moralistico fondato sull'invidia. 
Nello spagnolo del Messico esiste un'ulteriore evoluzione, sia fonetica che semantica, dell'italianismo chichisveo
chichifo /tʃi'tʃifo/ "prostituto omosessuale" 
Si nota la retrazione dell'accento, nata con ogni probabilità in contesti gergali.

4) Tedesco 
Oltre al prestito non assimilato cicisbeo, si trova in tedesco il calco dienender Kavalier "cavalier servente". La professione è detta Cicisbeat. Un altro sinonimo è Hausfreund, alla lettera "amico di casa" (si noterà che questa parola è un eufemismo per Liebhaber "amante"). Dal francese è giunta anche la denominazione Galan, alla lettera "galante".

Alcune note antropologiche

Il Divino Marchese Donatien Alphonse François de Sade, era molto scettico sulla natura carnale della relazione tra il cicisbeo e la sua Signora. Nella sua opera Histoire de Juliette, ou les Prospérités du vice, ha scritto quanto segue:

"Ceux qui croient que le sigisbée est un amant sont dans une grande erreur : il est l’ami commode de la femme, quelquefois l’espion du mari, mais il ne couche point, et c’est sans doute, de tous les rôles, le plus plat à jouer en Italie."

Traduzione: 

"Sbaglia di grosso chi crede che il cicisbeo sia un amante: è l'amico di comodo della moglie, a volte la spia del marito, ma non dorme <con lei>, e questo è senza dubbio, fra tutti i ruoli, il più piatto da recitare in Italia." 

Questo perché il Divino Marchese, che pure era un libertino sfrenato, doveva avere poca esperienza di certi aspetti della vita mondana delle città italiane, nonostante avesse viaggiato nella Penisola, non mancando di notare fenomeni come la corruzione a Firenze e la prostituzione infantile a Napoli. Molto strano. Probabilmente non lo interessavano affatto le vicende dei cavalier serventi, delle dame e dei mariti cornuti. Cercava cose più sanguigne e più turpi. Non si deve dimenticare un dettaglio di non poco conto: esistono numerose immagini pornografiche d'epoca che ritraggono i cicisbei itifallici in azione! 
 
Così scriveva Montesquieu, che ebbe occasione di vedere cicisbei in un suo viaggio a Milano: 
 
"Je ne vous ai parlé des sigisbées. C'est la chose la plus ridicule qu'un sot peuple ait pu inventer : ce sont des amoureux sans espérance, des victimes qui sacrifient leur liberté à la dame qu'ils ont choisie. Enfin, après les chevaliers errants, il n'y a rien de si sot qu'un sigisbée. On ne peut s'empêcher de rire en voyant passer une femme dans les rues dans sa chaise et un sénateur qui lui conte ses raisons, fait des gestes, et sa souveraine aussi, au milieux de la rue ; on ne peut s'empêcher de rire la première fois que l'on voit cela. Le sigisbée ne quitte pas sa dame d'un pas: il est toujours auprès d'elle et à ses ordres ; le crime d'indifférence est un crime impardonnable."
 
Traduzione: 
 
"Non vi ho parlato dei cicisbei. È la cosa più ridicola che un popolo stupido abbia potuto inventare: sono innamorati senza speranza, vittime che sacrificano la loro libertà alla dama che hanno scelto. Per me, dopo i cavalieri erranti, non vi è nulla di più sciocco di un cicisbeo. Non si può trattenere il riso alla vista di una signora che passa per strada, sulla portantina, e di un senatore che le (racconta le sue ragioni), gesticola come la sua sovrana, in mezzo alla strada; non ci si può trattenere dal sorridere la prima volta che si vede una simile scena. Il cicisbeo non si allontana dalla dama di un passo: è sempre vicino a lei ed ai suoi ordini; il delitto di indifferenza è un crimine imperdonabile."  
 
Charle Dupaty nelle Lettres sur l'Italie en 1785 (Volume 1, Lettera XX), attesta che il cicisbeismo era diffusissimo a Genova. Non era sconosciuto nemmeno in Francia, nonostante le furibonde polemiche che scatenava.  

"Qu'est-ce en apparence qu'un sigisbée? qu'est-il dans la réalité? comment une femme en prend-elle? comment un homme veut-il l'être? comment les maris en souffrent ils? est-ce le lieutenant d'un mari? jusqu'à quel poin le représente-t-il? quel est l'origine de cet usage? quelle cause l'entretient ou l'altère? quelle influence a-t-il sur les mœures? en trouve-t-on des traces ou des approximations dans les mœurs des autres peuples? Questions difficiles è résoudre! En deux mots, le sigisbée représente à peu près à Gênes l'ami de la maison à Paris." 
 
Traduzione:  
 
"Che cos'è in apparenza un cicisbeo? Che cos'è in realtà? Come una donna lo accetta? Come un uomo vuole esserlo? Come i mariti lo sopportano? È il sostituto del marito? Fino a che punto lo rappresenta? Qual è l'origine di questa usanza? Quale motivo la mantiene o la modifica? Che influenza ha sui costumi? Se ne trovano tracce o somiglianze nei costumi degli altri popoli? Domande a cui è difficile rispondere! In due parole, il cicisbeo rappresenta, più o meno, a Genova, quello che, a Parigi, è l'amico di casa."

A Genova si scopava liberamente e l'amore platonico non esisteva. Scopavano anche i preti. A quei tempi le cose erano così un po' ovunque, non soltanto nella città ligure. Incredibile come abbia potuto avvenire una restaurazione di precetti matrimoniali rigoristi. 

Il cicisbeismo in Spagna

Nella moderna Spagna esiste la radicata convinzione che quello del cicisbeo fosse amore puramente platonico, addirittura spirituale. Di fronte alla benché minima insinuazione del contrario, gli accademici iberici esclamano stizziti: "¡No es posible!", "¡No es posible!" Tutti i loro argomenti si riducono a questo. La realtà del XVIII secolo era ben diversa e ne è stata completata la rimozione. Questa è una delle tante manipolazioni ideologiche portate avanti dalle autorità spagnole. Possiamo trovare indizi del fatto che il cicisbeismo fu importato in Spagna dall'Italia, vi prosperò e destò immenso scandalo, conducendo quindi a una reazione violenta: una vera e propria campagna moralizzatrice anticisisbeale! 

"Orbene al di là delle diverse registrazioni linguistiche, il cavalier servente di dama d’alto lignaggio con la sua ritualità cogente, con i suoi nuovi paradigmi comportamentali è al centro di una vera e propria trasformazione epocale, che nella Spagna settecentesca ingenererà vivaci proteste e prese di posizione sessuofobe." 
(Gentilli, 2017) 

Nella citata opera di Luciana Gentilli (Il cicisbeismo screditato. Tra satira misogina e intransigenza religiosa), è riportato anche che un certo Abad de Cenicero scrisse addirittura una "Impugnación católica y fundada a la escandalosa moda del chichisveo, introducida en la pundonorosa nación española" (Madrid, 1737). Si tratta di un testo assolutamente illeggibile, che testimonia tuttavia due cose: 
1) Il fenomeno del cicisbeismo ebbe gran corso e diffusione in Spagna; 
2) I cicisbei avevano contatti carnali con le dame e vivevano in grande sfrenatezza, con buona pace di Sade. 

Riporto il link all'articolo: