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lunedì 10 agosto 2020

I GARAMANTI, UN POPOLO MELANOLIBICO

I buonisti fautori del politically correct cercano di cancellare il passato facendo becero revisionismo, impegnandosi con ogni mezzo per far passare per verità cose che sono soltanto crasse e sudicie bugie. Ogni tanto salta fuori da qualche angiporto un decostruzionista postmoderno con una folle idea da imporre, pena essere considerati "razzisti" o addirittura "suprematisti bianchi". Così accade qualcosa di portentoso: in quel che resta della Settima Arte, Achille, Heimdall e Anna Bolena diventano nativi dell'Africa subsahariana. Secondo alcuni "studiosi", l'Impero Romano sarebbe stato retto da persone dalla pelle più scura del carbone e del fumo delle fucine. A detta loro sarebbero stati neri persino Romolo e Remo. Non ci sono limiti a questa bramosia di riscrivere la realtà. Andando avanti di questo passo, faranno un film sul III Reich in cui Heinrich Himmler sarà ritratto come "colorato". 
 
Detesto la politica e ho in abominio i media che deformano anziché informare. Vediamo come stavano davvero le cose. Vediamo come sono documentate e cosa possiamo dedurne. Nell'Antica Roma le persone che oggi sono chiamate "di colore" erano considerate simili alle ombre del Tartaro. Il loro colore della pelle e i loro tratti somatici erano associati a Caronte e all'Ade. Non siamo di fronte a quello che i moderni chiamano "razzismo", perché non esistevano le stesse categorie concettuali, eppure era un odio ancora più forte di quanto possiamo immaginare. Si pensava che i neri portassero sventura, dato il legame che veniva loro attribuito con gli Inferi. Durante una parata, Settimio Severo nel corso di una campagna in Britannia fece nascondere un militare di colore perché era convinto che fosse un sicuro presagio di sconfitta (Historia Augusta, cap. 22). Proprio quella Britannia che i giornalisti del Fuffington Post considerano un avamposto dell'Africa. Qualcuno fa notare che Settimio Severo era nato in Libia. Vero, ma la sua famiglia era di origine romana, anche se aveva adottato da tempo la lingua numidica. Non è lecito dipingerlo come un Obama del mondo antico! 

Ecco il testo dell'Historia Augusta, tanto per avere un'idea: 

Signa mortis eius haec fuerunt: ipse somniavit quattuor aquilis et gemmato curru praevolante nescio qua ingenti humana specie ad caelum esse raptum; cumque raperetur, octoginta et novem numeros explicuisse, ultra quot annos ne unum quidem annum vixit, nam ad imperium senex venit. cumque positus esset in circulo ingenti aereo, diu solus et destitutus stetit, cum vereretur autem, ne praeceps rueret, a Iove se vocatum vidit atque inter Antoninos locatum. die circensium cum tres Victoriolae more solito essent locatae gypseae cum palmis, media, quae ipsius nomine adscriptum orbem tenebat, vento icta de podio stans decidit et humi constitit; at quae Getae nomine inscripta erat, corruit et omnis conminuta est; illa vero quae Bassiani titulum praeferebat, amissa palma venti turbine vix constitit. post murum apud Luguvallum visum in Britannia cum ad proximam mansionem rediret non solum victor sed etiam in aeternum pace fundata, volvens animo quid ominis sibi occurreret, Aethiops quidam e numero militari, clarae inter scurras famae et celebratorum semper iocorum, cum corona e cupressu facta eidem occurrit. quem cum ille iratus removeri ab oculis praecepisset, et coloris eius tactus omine​ et coronae, dixisse ille dicitur ioci causa: "Totum fuisti, totum vicisti, iam deus esto victor". et in civitatem veniens cum rem divinam vellet facere, primum ad Bellonae templum ductus est errore haruspicis rustici, deinde hostiae furvae sunt adplicitae. quod cum esset aspernatus atque ad Palatium se reciperet, neglegentia ministrorum nigrae hostiae et usque ad limen domus Palatinae imperatorem secutae sunt.
 
Questi sono alcuni versi tradizionalmente attribuiti al poeta africano Publio Annio Floro (detto anche Lucio Anneo Floro o Giulio Floro, 70/75 d.C. - 140 d.C.), che descrivono uno schiavo nero come "feccia dei Garamanti": 
 
Faex Garamantarum nostrum processit ad axem
et piceo gaudet corpore verna niger,
quem nisi vox hominem labris emissa sonaret,
terreret visu horrida larva viros.
dira, Hadrumeta, tuum rapiant sibi Tartara monstrum:
custodem hunc Ditis debet habere domus. 

Traduzione: 
 
"La feccia dei Garamanti è giunta alla nostra parte del mondo e lo schiavo nero gioisce del suo corpo del color della pece,
terribile fantasma che spaventerebbe col suo aspetto, se solo il suono delle sue labbra non allontanasse gli uomini. 
Hadrumeta, lascia che l'oltretomba porti via questo mostro: egli dovrebbe far la guardia alla casa del Dio degli Inferi." 
 
Questi versi sono contenuti nell'Anthologia latina, un'opera composta verosimilmente nel VI secolo d.C.; il loro autore è denominato Floro. Non è scontato che si tratti proprio di Lucio Anneo Floro. Per alcuni i due autori sono ben diversi e quello dei versi sui Garamanti deve essere considerato ignoto. Se passiamo al contenuto, notiamo subito che il significato letterale di faex è "merda". Un insulto ben violento. Va detto che in ogni caso non esistevano lavori o incarichi per principio interdetti agli Africani dalla pelle scura. 
 
Dall'analisi delle fonti emerge un forte disprezzo misto a paura verso i Garamanti (in latino Garamantes, Garamantae, in greco Γαράμαντες). Eppure si parla di un popolo glorioso, che costruì un impero nel Sahara, caratterizzato da avanzate opere di ingegneria idraulica. I Garamanti erano considerati da un'antica tradizione gli inventori dell'apicoltura e con ogni probabilità anche dell'idromele, che di tale arte nobilissima costituisce il miglior frutto. Coltivavano uva, fichi, orzo e frumento, che costituivano la base della loro alimentazione. Lucio Cornelio Balbo li sottomise nel 69 d.C., per punire una loro spedizione contro Leptis Magna. Da allora furono clienti di Roma.  

 
Le fonti dell'Antico Egitto del Medio Regno ci parlano dei Libi come di un popolo dalla pelle chiara, con capelli rossicci. Questo non contraddice il fatto che i Garamanti avevano un aspetto molto diverso, come tra l'altro è ben attestato dall'iconografia di epoca romana. Esistevano popoli Leucolibici, con pelle, occhi e capelli chiari, e popoli Melanolibici, con pelle, occhi e capelli scuri. I Garamanti erano per l'appunto Melanolibici. La cosa piacerà molto poco ai fautori del politically correct, eppure la devo riportare: i neri Garamanti, che usavano i carri da guerra, davano la caccia ai Trogloditi, anch'essi scuri di pelle, li riducevano in schiavitù e ne facevano mercato, vendendoli ai Romani. La triste verità è questa: un sistema sociale complesso edificato in un ambiente sommamente ostile necessita di manodopera per poter sussistere. Si può capire con facilità che questa manodopera non può essere prestata volontariamente e con gioia, potendo essere soltanto il frutto di una feroce coercizione. 
 
Etimologia del nome dei Garamanti 
 
Ebbene, i Garamanti traevano il loro nome da quello della loro capitale, Garama (l'odierna Germa, 150 km a ovest di Sebha). Questo stanziamento aveva sostituito un nucleo abitato più antico, denominato Zinchecra, che comunque non era situato molto lontano. Il toponimo Garama trova corrispondenza nel proto-berbero. Nelle attuali lingue berbere è tuttora vivo il vocabolo iγerman "castelli, fortezze". Certo, questa radice potrebbe anche essere entrata in proto-berbero da una lingua perduta parlata in precedenza.  

L'antica lingua perduta dei Garamanti
 
Come ci ricorda Roger Blench (2014), sono note numerose iscrizioni attribuibili ai Garamanti. Sono scritte in caratteri berbero-libici, eppure soltanto poche sono comprensibili. Il perché è presto detto: sono redatte in una lingua non berbera. Si può ipotizzare che si tratti di una lingua nilo-sahariana, anche se potrebbe essere una lingua isolata e perduta. La traduzione delle iscrizioni dei Garamanti è stata indicata dallo stesso Blench come una priorità per il mondo scientifico. Purtroppo ho fondate ragioni di dubitare che il suo appello sarà raccolto. 
 
 
Epigoni 
 
I discendenti dei Garamanti sono le genti del Fezzan (in italiano anche Fasania), il cui aspetto è ben compatibile con quanto affermato dalle fonti antiche sopra esposte. La loro lingua è berbera. A quanto ho appreso su un manuale della lingua araba parlata in Libia (Griffini, 1913), nel Fezzan si produce una birra fatta coi datteri - o almeno la si produceva in tempi non troppo lontani dai nostri.

martedì 16 giugno 2020


L'IGNOTO SPAZIO PROFONDO

Titolo originale:
The Wild Blue Yonder
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Regno Unito, USA, Francia, Germania
Anno: 2005
Durata: 81 min
Rapporto: 1.85:1 (16:9)
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Pseudo-documentario
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Andre Singer, Lucki Stipetić
Produttore esecutivo: Christine Le Goff
Casa di produzione: Werner Herzog Filmproduktion, West
     Park Pictures, Tetra Media
Distribuzione in italiano: Fandango
Fotografia: Henry Kaiser, Tanja Koop, Klaus Scheurich
Montaggio: Joe Bini
Musiche: Ernst Reijseger, Mola Sylla, Cuncordu e Tenore de
     Orosei
Interpreti e personaggi:
    Brad Dourif: L'alieno
    Donald Edward Williams: Astronauta (comandante)
    Ellen Baker: se stessa, come astronauta (fisico)
    Franklin Chang-Diaz: se stesso, come astronauta (fisico)
    Shannon Lucid: se stessa, come astronauta (biochimico)
    Michael McCulley: se stesso, come astronauta (pilota)
    Roger Diehl: se stesso, come matematico
    Ted Sweetser: se stesso, come matematico
    Martin Lo: se stesso, come matematico
Traduzioni del titolo: 
     Spagnolo: La salvaje y azul lejanía
     Russo: Далёкая синяя высь
Colonna sonora: 
    CD: Requiem for a dying planet 
    Contenuti:  
    1. Intro Dank Sei Dir Gott
    2. Dank Sei Dir Gott (di Georg Friedrich Haendel, cantato
         da Emmi Leisner)
    3. Longing For A Frozen Sky
    4. A Una Rosa
    5. Libera Me, Domine
    6. In Search Of A Hospitable Place
    7. Sanctus
    8. Bad News From Outer Space
    9. Su Bolu 'E S'Astore
   10. Mura/Ballu Turturinu
   11. Song Of The Desert
   12. Kyrie 
Premi e riconoscimenti:
Premio FIPRESCI, vinto il 5 settembre 2005 alla 62ª Mostra del cinema di Venezia.

Sinossi: 
Il film, suddiviso in dieci capitoli, inizia narrando l'angosciante storia di una civiltà aliena nata nella galassia di Andromeda e costretta a migrare dal proprio pianeta, l'Ignoto Spazio Profondo (The Wild Blue Yonder), reso inabitabile da una violenta glaciazione. È una storia costituita dai fallimentari tentativi intrapresi da questi extraterrestri allo scopo di comunicare e di avere rapporti commerciali con gli umani della Terra. 
 
I. Requiem per un pianeta morente
     (Requiem for a dying planet)  
II. I Padri Fondatori alieni
    (The alien Founding Fathers) 
III. Riesaminato il mistero dell'UFO di Roswell 
    (The Roswell UFO mystery re-examined)
IV. Missione oltre i limiti
      (Mission to the Outer Fringes)
V. La morte di un sogno
      (The death of a dream) 
VI. La matematica del trasporto caotico 
      (The mathematics of chaotic transport) 
VII. I misteri dello Spazio Profondo
      (Mysteries of the Blue Yonder) 
VIII. Utopia della colonia ideale
      (Utopia of the ideal colony) 
IX. Il tunnel del tempo 
     (The tunnel of time) 
X. La vera storia del loro ritorno 
     (The true story of their return) 
 
Come ci spiega l'alieno, il relitto trovato a Roswell era una sonda della sua civiltà. Riesaminato dopo 50 anni, il manufatto ha dato origine a una contaminazione batterica e a una pandemia contenuta a stento. Questo ha portato la NASA ad inviare nello spazio un equipaggio con l'incarico di trovare un nuovo pianeta abitabile, una casa per il genere umano. Scelta acuta e intelligente, proprio come quella dei benestanti fuggiti da Milano durante la peste descritta dal Manzoni. Dopo vani tentativi di esplorazione dello spazio vicino, come per incanto la nave spaziale viene ghermita da una distorsione spaziotemporale e finisce proprio nella galassia di Andromeda, sul pianeta d'origine degli alieni - ormai disabitato e ridotto a una palla di ghiaccio. L'equipaggio perfora questa crosta glaciale, tuffandosi nel sottostante oceano di elio liquido (sic!). Trovano meduse, alghe e altri organismi mucillaginosi, quindi fanno della nave la loro dimora per qualche anno. Quindi decidono di tornare sulla Terra, perché nemmeno il pianeta oceanico può offrire ospitalità duratura a un'umanità di esuli. Utilizzando la distorsione spaziotemporale, credono di viaggiare per soli 15 anni. In realtà ci mettono ben 820 anni. L'umanità nel frattempo ha abbandonato la Terra servendosi di stazioni spaziali. Il pianeta, diventato un Parco Nazionale, è ricoperto di foreste e sprofondato nella preistoria. 
 

Recensione: 
Questo non è un film di facile assimilazione. Ho dovuto vederlo due volte per comprenderlo ed apprezzarlo appieno. Spicca l'estrema povertà dei mezzi utilizzati. In pratica, il regista ha saldato svariati filmati di repertorio della NASA e di esplorazione subacquea antartica - questi ultimi opera di Henry Kaiser e girati nelle acque dell'Isola di Ross. Anche le interviste agli scienziati sono reali, per quanto siano state impiegate dando loro un significato molto diverso da quello originale. Per questo moltivo, una parte della critica cinematografica ha ritenuto "inaccettabile" questa pellicola. Spiccano alcune incongruenze marchiane, sesquipedali, che nulla tolgono al lirismo dell'opera. Ad esempio, l'ammaraggio di un astronauta americano viene presentato dal regista come se fosse il recupero di un alieno venuto dall'Ignoto Spazio Profondo. Eppure la tuta non ha affatto l'aspetto di essere di produzione aliena, tanto che mostra la bandiera degli USA su una manica. La stessa forma degli esuli si presenta come indistinguibile dalla nostra, nonostante provengano da un ambiente tanto diverso. Come avrebbero fatto ad adattarsi? A questo mistero non viene fornito neppure un abbozzo di risposta. Stupisce l'assoluta mancanza di contenuti propri nelle genti dell'Ignoto Spazio Profondo, come se si fossero assimilate interamente alla lingua inglese e agli usi della Terra dei Coraggiosi, perdendo ogni memoria della loro cultura d'origine. Un'amnesia poco credibile, anche postulando il progressivo scemare delle capacità mentali degli alieni, a cui pure il narratore fa allusione: se anche fossero diventati dementi, come avrebbero fatto ad apprendere una nuova lingua e un nuovo mondo di informazioni? Abbondano le contraddizioni logiche. In uno dei suoi interminabili monologhi, il narratore afferma che l'allevamento di animali domestici è stato il primo peccato del genere umano, avvenuto nel Neolitico. Il nome dato a questa grave colpa è "sedentarietà". Infatti dall'allevamento e dall'agricoltura deriva la fondazione di villaggi e grandi città, con tutto il degrado che ne consegue. L'allevamento di cani non è invece un peccato, perché tali intelligenti carnivori aiutano l'uomo nella caccia quando è nomade. Bene, sono d'accordo. Però l'esule cosmico non spiega come avrebbe fatto la propria civiltà ad uscire dal Paleolitico e ad arrivare a viaggiare tra le galassie. L'elogio ecologico dell'umanità di cacciatori e raccoglitori stride con i tentativi degli alieni di installare sulla Terra una città e di integrarsi nell'economia e nella politica delle sue nazioni.  

 
Un pianeta antifisico 

L'Ignoto Spazio Profondo (in inglese The Wild Blue Yonder, alla lettera "Il Blu selvaggio laggiù") dovrebbe essere un mondo oceanico fatto di acqua e ghiacciato in superficie a causa di un'improvvida era glaciale. Quando gli astronauti terrestri raggiungono la superficie candida di questo mirabile globo e ne perforano la superficie, l'oceano viene descritto dal narratore come un'atmosfera composta di elio liquido. L'elio è un gas nobile, inerte, incolore e insapore, non tossico, che si presenta allo stato liquido a temperature inferiori a -268,91 °C (si consideri che lo zero assoluto è -273,15 °C). È una pura e semplice assurdità pensare che in simili condizioni gli astronauti possano nuotare allegramente servendosi di tute da subacqueo. Le condizioni di un modo sarebbero vicine alla Morte Termodinamica, non si vedrebbero certo organismi gelatinosi nuotare allegramente. In fondo non è un problema eccessivo. I pianeti antifisici sono molto comuni nella tradizione fantascientifica. Iniziamo col gigantesco pianeta Kobol, che i Mormoni ritengono la sede di Dio (dotato a loro detta di un corpo fisico), per continuare con il celeberrimo Trantor, nato dalla fantasia di Isaac Asimov. Cosa c'è di più assurdo di un mondo ricoperto interamente da una città di metallo compatto, in barba a un'amenità chiamata "conduzione del calore"? Nella realtà, una costruzione simile sarebbe inconcepibile, eppure Trantor ha incantato intere generazioni di lettori di fantascienza, in nome di un trucchetto conosciuto come "sospensione dell'incredulità". Se si ammette un pianeta abitabile come Trantor, non si faranno troppe storie per la creazione di Herzog! 
 

L'Involuzione delle Specie 
 
Gli alieni partiti dall'Ignoto Spazio Profondo hanno subìto nel corso dei secoli un processo di degradazione cognitiva, che li ha portati a diventare sempre più incapaci e sconnessi dalla realtà. Pare proprio che sia un processo entropico ineluttabile che colpisce tutte le specie intelligenti. Prima si accende la fiammella dell'Intelligenza, che permette di accedere alla Conoscenza e ai suoi frutti. Poi accade che l'Intelligenza cominci a scemare e a mostrare sintomi di degrado, sempre più gravi. Alla fine, si arriva alla demenza generalizzata. Herzog ci mostra i desolanti risultati di questo corrosivo processo. Gli alieni avevano in mente di costruire sulla Terra una città grande e potente come Washington D.C., proprio nel territorio degli States. Una seconda Washington, con tanto di Pentagono, Congresso, Campidoglio, Corte Suprema e via discorrendo, che doveva diventare un centro commerciale di importanza mondiale. Cosa sono riusciti a realizzare? Una specie di discount in cui nessuno andava, situato in un crocicchio nel bel mezzo del deserto. Il sito istituzionale che avrebbe dovuto oscurare il Campidoglio era un piccolo edificio fatiscente alla confluenza di due stradine polverose. 
 
Questa è la traduzione in italiano del passaggio, tratta tra i sottotitoli: 
 
"Sapete, i nostri bis, bis, bis, bis, bis, bisnonni erano degli eccellenti scienziati, ma il viaggio era lungo e noioso. E quando arrivammo qui, centinaia e centinaia e centinaia di anni dopo, eravamo diventati degli incapaci."  

Questa è l'originale in inglese d'America: 
 
"You know, our great-great-great-great-great-great-great-great grandfathers were fine scientists, but the journey was long and boring and when we got here, hundreds of hundreds and hundreds and hundreds and hundreds of years later, those of us who arrived here just... sucked."
 
La pronuncia è allucinante: quella lunga successione di "great-great-great-great" suona come il verso di un papero: GWÈ GWÈ GWÈ GWÈ! Si noterà anche l'anodina "traduzione" di "just... sucked" con "eravamo diventati degli incapaci". Mancava il coraggio di tradurre correttamente con "facevamo schifo".  
 
Una fisica surreale  

Herzog cerca in tutti i modi di fornire una descrizione plausibile di come gli astronauti siano riusciti a raggiungere l'Ignoto Spazio Profondo. Non ci riesce, credo per via del fatto che ignora i princìpi della Relatività di Einstein. Uno scienziato di origine orientale, forse coreana, si lancia in una presentazione dal sapore New Age, in cui si propone di sostituire lo schema delle orbite dei pianeti del sistema solare con un labirinto neolitico come quello che si trova nella cattedrale di Chartres. Ha in testa una grande confusione. Secondo lui, se si raggiunge il punto lagrangiano L1 del sistema Terra-Luna e si imbocca la giusta "autostrada spaziale", si finisce comodamente su altre stelle o addirittura in un'altra galassia, a velocità superluminali! Per spiegare la distorsione del tempo nel viaggio di ritorno degli astronauti si invocano addirittura gli universi paralleli. Tuttavia sarebbe stato più facile postulare i cunicoli spaziotemporali detti wormholes (connettono regioni remote dell'Universo) e la presenza di una grande massa come quella di un buco nero gigante (la dilatazione temporale gravitazionale rallenta lo scorrimento delle lancette degli orologi).
 
    
Un equivoco linguistico 

Mentre le meduse passano accanto agli esploratori in pinne subacquee, una voce canta in una lingua dalla sonorità semitica, molto affine a quella dell'arabo. Lì per lì ho pensato che fosse un canto in punico conservato miracolosamente dai Tenores sardi, anche se la cosa pareva abbastanza inverosimile. Tempo fa mi è stato detto che in Sardegna ci sono persone capaci di scagliare maledizioni servendosi di formule in una lingua antica, ma non ho avuto mai la possibilità di visionarne i testi. Ovviamente c'era la possibilità che si trattasse di una lingua inventata di sana pianta, di una specie di grammelot semitico, messo a punto per dare l'impressione di una lingua ignota di origine aliena. Il punto è che una simile creazione non è poi così immediata e facile. Poi ho scoperto che il canto è in lingua Wolof. Una lingua reale, dunque, parlata in Senegal, ma anche in Gambia, Guinea, Guinea-Bissau, Mali e Mauritania, per un totale di quasi 5,5 milioni di locutori. Mola Sylla, che ha contribuito alla colonna sonora del film, è per l'appunto un cantante senegalese, i cui testi sono proprio in lingua Wolof. 
 
 
Cantu a tenore 

Il cantu a tenore (ossia "canto a tenore") è uno stile di canto corale polifonico, originale ed autoctono, tipico della Sardegna e in particolare dell'impervia Barbagia. In lingua sarda è chiamato anche su tenore, su cuncordu, su cussertu (su cuntzertu), su cuntrattu, su cantu a proa, s'agarropamentu. Spesso si parla di Tenores sardi, ma tale locuzione non è così semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Infatti in sardo la parola tenore è già un plurale collettivo, che indica l'insieme di coloro che cantano in un gruppo. Ciascuno dei cantanti è detto boche "voce". Il plurale sigmatico Tenores indica i diversi gruppi che praticano il cantu a tenore. Si tratta senza dubbio di un'eredità antichissima, a parer mio preromana. Si ipotizza che questa forma di canto, tipicamente pastorare, sia nato dall'imitazione dei suoni della Natura. Così secondo alcuni su bassu (il basso) imita il muggito di un bue, sa contra (il contralto) imita il belato di una pecora, sa mesu boche (la mezza voce) imita il verso dell'agnello, mentre la voce dell'uomo è quella del solista, sa boche. Si notano sorprendenti somiglianze tra il cantu a tenore e il xöömej, un canto difonico tipico delle genti di Tuva, in Siberia, ai confini con la Mongolia. Secondo le tradizioni tuvane, il xöömej sarebbe nato dall'imitazione dei suoni della steppa: l'acqua che scorre, il trotto dei cavalli, il sibilo del vento. Lo scopo sarebbe stato quello di acquisire la forza degli spiriti degli elementi naturali. Tutto ciò è di estremo interesse e merita approfondimenti. 
 
 
Utopie e contenuti profetici 
 
Anno del Signore 2005. Tempi non sospetti. Greta Thunberg poppava ancora il latte materno: sarebbero passati anni prima del manifestarsi dei prodromi della sua condizione isterica di attivista convulsionaria. Ebbene, Werner Herzog aveva ben chiare le condizioni terminali del nostro pianeta malato, infestato dal parassita Homo sapiens, e sognava la palingenesi, il ripristino di una purezza edenica. Così ci parla del ritorno degli astronauti dall'Ignoto Spazio Profondo, mostrandoci l'immagine di un imponente acrocoro che sorge dalla foresta pluviale facendo scaturire impetuosi ruscelli dai fianchi: 
 
"Quando sono tornati, 820 anni dopo, la Terra non era più abitata. Era diventata un Parco Nazionale. L'atterraggio è avvenuto su questo altopiano, perché non c'erano più aeroporti, città, ponti, dighe, soldi, banche, tempo e vita. Era tornata alla sua bellezza originaria. Era di nuovo preistorica. E questo è il suo aspetto..." 
 
All'epoca non si sospettava che una pandemia avrebbe fatto la sua irruzione nel mondo, introducendo una discontinuità di portata storica. Eppure Herzog in qualche modo lo presentiva. Così ha immaginato la comparsa di un morbo alieno e ha preconizzato draconiane misure di contenimento. Ricordiamoci che il tanto strombazzato Contagion di Steven Soderbergh (2011), esaltato in modo fanatico da molti fantascientisti, non mostra nulla di simile a un lockdown e all'imposizione generale delle mascherine. Altra cosa prevista dal regista è il delirante titanismo di Elon Musk. A un certo punto si vede infatti uno scienziato che dice mirabilia della colonizzazione spaziale prossima ventura, teorizzando addirittura un pendolarismo tra il lavoro nelle miniere asteroidali (come se fosse una barzelletta!) e le vacanze sulle spiagge assolate della Terra.   

Nostalgia di Klaus Kinski 
 
L'interpretazione di Brad Dourif mi ha convinto che Herzog lo abbia scelto nel tentativo estremo di trovare qualcuno capace di ricordare, seppur vagamente, il mitico Klaus Kinski. Celebre come protagonista di Qualcuno volò sul nido del cuculo (Miloš Forman, 1975), Dourif è comparso anche in Dune (David Lynch, 1984), dove ha interpretato la parte di Piter DeVries, l'astuto consigliere del Barone Vladimir Harkonnen. Nel 1988 lo vediamo impegnato in Mississippi Burning - Le radici dell'odio (Alan Parker), dove rivestiva i panni di uno sceriffo affiliato al Ku Klux Klan: era un enfant terrible che prendeva a sganassoni le donne, spezzava il collo ai gatti, inveiva contro Martin Luther King chiamandolo "Martin Luther King Kong", etichettava i progressisti come "leccanegri" e vomitava sul pavimento una decina di litri di birra dopo un colossale binge drinking. È poi stato l'odiosissimo Grima Vermilinguo nel kolossal Il Signore degli Anelli: Le due Torri (Peter Jackson, 2002). È nato a Huntington in West Virginia nel 1050. Il suo nominativo esteso è Bradford Claude "Brad" Dourif. Il cognome, rarissimo, è di origine francese. L'origine più probabile è da dou "del" (dialettale per du) e rif "ruscello" (dialettale per ruisseau). Dovrebbe pronunciarsi /du'Rif/, ma negli States la pronuncia è stata bizzarramente adattata in /'dɔ:rɪf/. Ha la stessa origine il cognome Durif (anche scritto Duriff in America), come pure l'italiano Delrio. Quello che Herzog voleva era un attore grintoso e dal sembiante truce, che potesse dare l'impressione di essere chiaro di capelli, quasi albino o leucistico. In realtà le chiome di Dourif erano semplicemente ingrigite dall'età. 
 
Curiosità 
 
Quando chiedevano a Herzog dove avesse girato questo film, lui faceva il faceto e diceva che le riprese erano avvenute sulla galassia di Andromeda. 

Il titolo originale, Wild Blue Yonder, è stato ispirato dall'inno dell'Aviazione Militare degli Stati Uniti d'America (The U.S. Air Force Song). Ecco il testo originale in cui compare la locuzione (Verse I): 
 
Off we go into the wild blue yonder,
Climbing high into the sun;
Here they come, zooming to meet our thunder,
At 'em boys, Give 'er the gun! (Give 'er the gun, now!)
Down we dive, spouting our flame from under
Off with one helluva roar!
We live in fame or go down in flame. Hey!
Nothing'll stop the Army Air Corps! 
 
(helluva roar = hell of a roar)

A un artista geniale bastano poche parole per dar forma a un mondo! 
 
Herzog è rimasto folgorato dalla visione di alcuni filmati nell'archivio della NASA a Pasadena (California). Così ha detto: "C'è qualcosa di straordinario in alcune agenzie governative come la NASA. Hanno un insito senso di poesia, nessuno ci crederebbe, ma è così. E la gentilezza e il supporto che hanno dato al mio progetto erano totalmente inaspettati e senza precedenti". I filmati in questione erano stati registrati durante la missione dello Space Shuttle STS-34 del 1989, che aveva il compito di lanciare la sonda Galileo.

La squallida imitazione del Campidoglio esiste davvero e si trova a Niland, in California, proprio all'intersezione tra Niland Avenue e la East Main Street. In pratica quel luogo è un immondezzaio. La sua desolazione è insostenibile. Farebbe inorridire persino i Rom valacchi di condizione più umile.   
 
Lo stranissimo altopiano su cui avveniene l'atterraggio degli astronauti si trova in Venezuela: è il Monte Roraima. Fa subito venire in mente l'acrocoro descritto ne Il mondo perduto di Sir Arthur Conan Doyle (1912). 
 
Cineforum fantafilm 
 
Il film è stato proiettato il 19 febbraio 2007 al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro. Purtroppo non ho potuto essere presente e ho visto il film molti anni dopo, sullo schermo del portatile, in inglese americano con i sottotitoli in italiano. Solo ora vengo a sapere che in occasione della proiezione si è tenuto un dibattito sul tema dell'esistenza degli extraterrestri, a cui ha partecipato il professor Elio Sindoni, che ricordo bene dall'epoca dell'università. Cosa che ignoravo, è l'autore di un libro sul tema: Esistono gli extraterrestri? (Il Saggiatore, 1997). È stato pubblicato nello stesso anno in cui ho conseguito la laurea! Avrò cura di procurarmi il volume, di leggerlo e di recensirlo.
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Questi sono alcuni interventi della critica: 
 
"Una piccola ed ecologica Odissea nello Spazio per comprendere che il cinema può essere filosofia e comunicazione dello stato delle cose."
(Pino Farinotti) 
 
"<Herzog> si perde oggi in un misticismo laico ed approda alle soglie del tempo armato di un velleitarismo filosofico, che cerca di mascherare la sua smisurata ambizione fingendo di raccontare, male, una vicenda fantascientifica che si poteva sbrigare con mezzi convenzionali. Ma Herzog, forte della sua incrollabile fiducia nei propri mezzi, ci offre uno sconnesso semidocumentario, tecnicamente inaccettabile, le cui ambizioni non sembrano né poche, né piccole. Ma è come fotografare Dio con una vecchia polaroid."
(Il Giornale) 
 
"Si segue abbacinati e coinvolti, si ringrazia il cinema che, quando è gestito da un Poeta vero, può approdare a risultati unici, del tutto estranei a tutto quanto di solito, anche i suoi autori maggiori, riescono a proporci."
(Gian Luigi Rondi, Il Tempo) 
 
Il navigatore piernelweb ha scritto su Mymovies.it:

"Per molti versi "l'ignoto spazio profondo" è un film prodigioso. Dal genio di Herzog un'esempio (sic), credo senza precedenti, di cinema sperimentale che prende forma da immagini e filmati di altra fonte che divengono agli occhi dello spettatore, per manipolazione del regista tedesco, tutt'altro. Un mix di sequenze spaziali (di provenienza Nasa) subacque e aeree surreali e di impressionante bellezza accompagnate dalla voce narrante dell'alieno Brad Dourif e dalla musica "senza tempo" dei Tenores di Orosei. L'Odissea nello spazio di Herzog in diversi momenti è pesante come un macigno, nella sua lentezza ed allucinazione ma nel complesso assume la forma di una portentosa fantascientifica fiaba ecologica di grande impatto emotivo. E' incredibile come con pochissimi mezzi si possa fare dell'ottimo cinema." 

venerdì 12 giugno 2020

 
COBRA VERDE

Titolo originale: Cobra Verde
Paese di produzione: Germania Ovest
Anno: 1987
Lingua: Tedesco, Ewe   
Durata: 111 min
Genere: Avventura
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Bruce Chatwin (dal romanzo Il viceré di Ouidah)
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Lucki Stipetić
Produttore esecutivo: Walter Saxer, Salvatore Basile
Fotografia: Viktor Růžička
Montaggio: Maximiliane Mainka
Musiche: Popol Vuh
Scenografia: Ulrich Bergfelder
Costumi: Gisela Storch
Interpreti e personaggi:
    Klaus Kinski: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
    King Ampaw: Taparica
    José Lewgoy: Dom Octavio Coutinho
    Salvatore Basile: Capitano Fraternidade
    Peter Berling: Bernabé
    Guillermo Coronel: Euclides, il taverniere nano
    Nana Agyefi Kwame II: Re Bossa Ahadee
    Nana Fedu Abodo: Yovogan
    Kofi Yerenkyi: Bakoko
    Kwesi Fase: Kankpé
    Benito Stefanelli: Capitano Pedro Vicente
    Kofi Bryan: Messaggero del Re Bossa
    Carlos Mayolo: Governatore di Bahia 
    Marcela Ampudia: Bonita
    Maria Elvira Chavez Mejia: Wanderleide
    Luz Marina Rodriguez Molina: Valkyria
    Awudu Adama
    Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe: Coro di ragazze danzanti
Doppiatori italiani:
    Dario Penne: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
Location:
    Colombia (Villa de Leyva, Valle del Cauca), Brasile, Ghana
Colonna sonora:
   Cobra Verde è il sedicesimo album dei Popol Vuh (1987).
   Contenuto:
   1. Der Tod des Cobra Verde (4:35)
   2. Nachts: Schnee (1:51)
   3. Der Marktplatz (2:30)
   4. Eine andere Welt (5:07)
   5. Grab der Mutter (4:30)
   6. Die singenden Mädchen von Ho, Ziavi" (Zigi Cultural
       Troupe Ho, Ziavi) (6:52)
   7. Sieh nicht überm Meer ist's (1:26)
   8. Hab Mut, bis daß die Nacht mit Ruh' und Stille kommt
      (9:32)
   2006 bonus track
      OM Mani Padme Hum 4" (Piano Version) (5:28)
   Compositore: Florian Fricke (tranne il coro danzante)
 
Trama: 
Una siccità spaventosa colpisce il Sertão, una desolata regione del Brasile, uccidendo il bestiame del fattore Francisco Manoel da Silva. L'uomo biondo e segaligno si trova costretto a lavorare come garimpeiro in una fangosa miniera d'oro, una specie di girone infernale a cielo aperto. Quando il padrone lo priva della paga, Da Silva insorge e lo uccide. Si rifugia quindi nella foresta, dove assume il nome di Cobra Verde (ossia "Serpente Verde") e diventa un temutissimo bandito che semina il terrore nel Sertão. Durante una visita in una città, assiste alla fustigazione di un mandingo. Un compagno dello schiavo legato al palo cerca di fuggire, ma incontra lo sguardo truce e gelido del Cobra Verde, che con la sola forza di volontà lo convince a ritornare al luogo della punizione e a sottoporsi alle frustate. Dom Octávio Coutinho, un proprietario terriero, è testimone dell'accaduto e ne resta profondamente colpito: dice quindi al bandito biondo che gli servono uomini come lui e gli propone di fare il guardiano degli schiavi che lavorano nelle sue piantagioni di canna da zucchero. Cobra Verde accetta l'incarico, pensando bene di nascondere la propria problematica identità di fuorilegge. Per un po' tutto sembra filare liscio. I guai iniziano per via di un fatto oltremodo singolare: l'uomo manifesta una strana reazione alla vista dei corpi femminili, caratterizzata da inturgidimento dei corpi cavernosi e da sommovimento dei dotti seminali, accompagnata da impellente necessità di eiettare lo sperma a contatto con l'oggetto del desiderio. Accade così che Cobra Verde, già noto per essere un infaticabile montatore, particolarmente arrapato dalle donne di colore, si lascia sedurre dalle figlie mulatte di Dom Coutinho, possedendole carnalmente e ingravidandole tutte. "Tanto non ho niente da perdere", dice tra sé e sé prima di iniziare a penetrare quel ben di Dio. Secondo le costumanze barbariche di quel contesto, Dom Coutinho avrebbe potuto far uccidere all'istante il seduttore delle sue figlie - che ormai gli ha rivelato la propria identità banditesca. Invece gli propone un affare lucroso ma pericolosissimo, sperando di provocarne così la morte. Francisco Manoel da Silva Verde è incaricato di recarsi in Africa, nel Regno di Dahomey, allo scopo di riaprire la rotta atlantica del commercio degli schiavi, forzando il blocco navale imposto dagli Inglesi. Gli concedono l'apposita patente di mercante di esseri umani e gli aprono un conto in banca, in cui saranno depositati i proventi del suo lavoro. Arrivato in Dahomey, il Re Bossa Ahadee lo riceve e si lascia da lui convincere a riprendere le forniture di schiavi; gli concede anche di prendere possesso della roccaforte portoghese di Elmina, abbandonata da tempo, facendone la propria residenza. Tra quelle mura il brasiliano trova Tarapica, un robusto Yoruba libero, unico superstite della precedente spedizione. I due diventano subito soci e riescono con successo a restaurare la rotta atlantica, inviando carichi di schiavi in Brasile. La loro fortuna dura poco: il Re Bossa, che è mentalmente instabile, accusa Da Silva di un gran numero di crimini fantomatici, tra cui l'avvelenamento del levriero reale. La condanna è la pena di morte per decapitazione. Accade l'insperato: il nipote del sovrano fa rapire nottetempo Da Silva e Tarapica, pensando di utilizzarli in un complotto. Il suo intento è infatti quello di rovesciare Re Bossa e di salire al trono. L'impresa ha qualcosa di eroico. L'uomo venuto dal Brasile addestra un esercito di donne gerriere, riuscendo col duro impegno nel suo intento di portate a compimento la Rivoluzione. Le cose però non vanno come si attendeva. Non appena il tiranno è stato abbattuto, il nuovo Re abbandona chi gli ha permesso di ottenere la vittoria. La vita di Da Silva è sconvolta da una ferale notizia: la schiavitù è stata abolita dal Brasile. Il suo conto in banca è stato confiscato. Non gli rimane più alternativa. Non può ritornare nella sua terra d'origine, dove lo aspetta la forca. Ammesso e non concesso che riesca ad arrivarci, visto che l'Inghilterra ha messo una taglia sulla sua testa. I suoi sogni sono annientati: le sue ultime forze le impiega nel vano tentativo di mettere in mare una grossa barca senza remi e senza vela. 
 

Incipit: 

"La madre di Francisco Manoel sospira,
Francisco, sento tanto dolore, ho paura.
La madre di Francisco Manoel sta gridando.  
La siccità è durata per quasi dodici anni,
Son malate le pietre, il mondo sta finendo,
E se soffri t'inganni.
Io ora morirò. Fa' piano, questa panca per tristezza si spezza.
Non muoverti, sta' fermo.
L'alba, la terra, l'acqua stan diventando nere.
Dio perplesso fa finta che sia il suo volere.
Francisco nel suo viaggio legge un verso del cielo,
Non fissare lo sguardo al sabbioso orizzonte, alla spiaggia salata,
Non chiedere ragioni, non indagare il torto: inutili questioni.  
Il Fato ti riserva questo regalo antico,
Ti manderà un'amante, ti manderà un amico."

Recensione: 
Le febbrili vicende narrate dalla pellicola hanno come epilogo l'annichilimento del protagonista, che in ogni istante della sua esistenza terrena ha lottato invano contro quell'orrida e plumbea cosa chiamata "realtà". Un uomo deformato dalla poliomielite procede sulla battigia, con andatura quadrupede. La sua figura distorta e sofferente sembra il sigillo geroglifico dell'avventura fallimentare di Cobra Verde, quasi il sardonico e beffardo commento delle spaventose forze che muovono il Destino. Nelle originali intenzioni del regista, Francisco Manoel da Silva sarebbe dovuto morire affogato mentre cercava di far scivolare tra le onde la pesantissima imbarcazione. La morte sarebbe stata per lui la fine dei tormenti della vita, ma non avrebbe aggiunto nulla alla narrazione. Egli appartiene a quella specie di uomini che non si sentono a loro agio da nessuna parte. 
 
"Come descrivere questa mia stupida esistenza? Come dire quanto sia triste e solitaria, senza famiglia, senza amici? Il solo uomo bianco in questo paese, forse nell'intero continente. Intanto sono diventato padre di 62 bambini, ma questo non mi procura alcuna soddisfazione. Può darsi che l'anno prossimo io possa tornare, e sposarmi. Vorrei vivere nella terra del ghiaccio e della neve. Ovunque, purché sia lontano da qui. Il caldo è crudele e non dà tregua, ti scorre dentro il corpo come una febbre. Eppure, nonostante ciò, il mio cuore si fa ogni giorno più freddo." 
 
Quando si è in Brasile, l'Africa è una terra utopica. Quando si arriva in Africa, il Brasile è il Giardino dell'Eden.  
 
 
Visioni apocalittiche 
 
Fortissimo è il tema herzoghiano della decadenza cosmica, che pochi sembrano aver notato. Il bandito Cobra Verde giunge in una città, suscitando il terrore della popolazione, Si scatena un fuggi fuggi generale, tutti corrono a nascondersi, urlando in preda alla disperazione. Un bambino cerca di trasportare un barile facendolo rotolare, poi vi rinuncia. Nella piazza, piena di sporcizia, una scrofa brunastra grufola oscenamente mentre viene montata con fatica da un magro verro grigio chiazzato di bianco. La prima volta che ho visto il film ho avuto una distorsione percettiva: ai miei occhi quel verro è sembrato un cane! Solo guardando con attenzione ho potuto capire che quello non era un atto di bestialità tra specie diverse. C'è un altro dettaglio degno di nota, non facile a stamparsi nella memoria perché l'azione accade in pochi secondi: è in corso un funerale e qualcuno ordina a gran voce di riportare la bara indietro nella chiesa. Il prete, colto dal marasma e oppresso dai paramenti sgargianti, si affretta a salire le scale da cui era appena sceso, inseguendo il feretro. I partecipanti lo imitano prontamente, accalcandosi e incespicando, come se si fossero defecati nelle brache!  

La Venere Nera 

Spicca una scena surreale di altissimo valore simbolico. Cobra Verde raggiunge una regione selvosa in cui sorge lo scheletro di una grande chiesa in rovina. A un certo punto passa un convoglio di schiavi e di asini, con molti bagagli. In due reggono una portantina velata di bianco. Il bandito spara e mette tutti in fuga. Poi urla: "Il danaro o la vita!" Dalla portantina esce una Venere Nera, coperta di un lungo velo bianco. La donna prosperosa risponde con voce sensuale: "La vita!" Avanza con movenze languide, mimando una danza erotica, quindi si getta tra le braccia dell'uomo. I due si conoscono e sono amanti. L'uomo percorre molte miglia a piedi ogni giorno per potere incontrare la Venere Nera. È scalzo e afferma di non potersi fidare delle scarpe. Non si fida nemmeno di un cavallo, proprio come non si fida della gente. "La sola cosa che voglio è andare via di qui verso un altro mondo", aggiunge. Non ha la benché minima idea delle delusioni che lo attendono.   

 
La poesia del Taverniere Nano 

In questo film trova spazio una delle più bizzarre ossessioni di Herzog: la tematica nanesca! Già il bambino che spinge il barile desta qualche sospetto, in quanto non ci si riesce a togliere dalla mente l'idea che sia in realtà un nano. Poi, quando Cobra Verde entra nella locanda, vediamo che il suo gerente è un autentico nano. Per la precisione, è affetto da nanismo ipofisario (infatti è abbastanza ben proporzionato nelle membra). Il taverniere si presenta: il suo nome completo è Euclides Alves da Silva Pernambucano Wandereley. Il bandito nota subito il cognome Da Silva. Non è improbabile che i due siano lontani parenti. Euclides ha un'innata vena poetica e lo dimostra subito: "Soltanto la mia schiena e il mio torace sono deformi. La notte sogno di trasportare un'intera catena di montagne sulle mie spalle." Cobra Verde ne è subito ammirato. "Hai più fegato tu di tutta questa città", commenta. Euclides gli porta da mangiare, con ogni probabilità riso e fagioli. Il fuorilegge resta fino a notte fonda a farsi una bella bevuta di acquavite di canna, e nel frattempo ascolta con grande interesse. Riporto il dialogo:      

Cobra Verde: "Come fai a sapere tante cose?"
Euclides: "Le so dal nostro prete, e lui le ha imparate dal nostro vescovo." 
Cobra Verde: "E da dove viene la neve?" 
Euclides: "Aah! Puoi vederla tu stesso, viene giù dalla luna. C'è tanta neve sulla luna. È per questo che la vedi così bianca. Bianca e fredda. Se guardi con attenzione la vedi." 
Cobra Verde: "Come succede?" 
Euclides: "Beh, ecco, la luna tira su l'acqua che le serve dall'oceano e poi, quando arriva la notte, le cime delle montagne attraggono i fiocchi di neve. Dentro la neve c'è del sale, ma solo tanto quanto ce n'è nelle nostre lacrime." 
Cobra Verde: "E dove si trova?"
Euclides: "Oh, molto, molto lontano. Devi andare verso ovest. Ci vogliono quattro anni a dorso di cavallo e dieci a piedi. E alla fine del viaggio troverai delle grandi, grandi montagne, che si innalzano sempre più alte, fino a raggiungere le nuvole, e quando avrai raggiunto le nuvole, allora là troverai la neve. La neve cade solo durante la notte, e viene giù leggera come le piume, ed è la luna a mandarcela e ce la manda giù attraverso le nuvole. E quando arriva, è come se l'intero mondo diventasse leggero, come il cotone. Soffice e leggero. E allora anche i leoni diventano bianchi, e anche le aquile reali. Tutto si avvolge in un candido mantello e non capisci più dov'è l'inizio e dov'è la fine. E quando cammini in mezzo alla neve, i tuoi piedi non pesano assolutamente niente. E i fiocchi ti girano intorno, ti accarezzano, ti sfiorano leggeri, come piume di uccelli."
Euclides (dopo una pausa): "Fra un anno o due venderò questa locanda, andrò ad ovest e mi arrampicherò in cima a quella montagne!"  
Cobra Verde: "Io andrò verso il mare. Il Sertão inaridisce i cuori e uccide il bestiame." 
Euclides: "Quando arrivi al mare fai molta attenzione. Perché è da lì che nascono gli uragani, e anche i fiocchi di neve. Almeno così ti ci eleveranno padre!" 
Cobra Verde (stringendo la mano ad Euclides): "Non ho mai avuto un amico in tutta la mia vita. Addio amico!"  

Tutto questo è puro genio! È struggente! Una visione utopica della neve e del gelo.   
 
Zucchero insanguinato  
 
La lavorazione della canna da zucchero è lunga e complessa. Richiede grande cura ed esperienza, oltre alla dura fatica. Dom Coutinho ne illustra per sommi capi le varie fasi. A un certo punto Cobra Verde è testimone di un fatto orribile. Uno schiavo mandingo rimane con un braccio intrappolato in un ingranaggio. Un suo compagno è costretto a recidere l'arto servendosi di un machete. Il fatto è ritenuto pura e semplice quotidianità. È ritenuto normale. Quindi irrilevante. Eppure all'improvviso siamo messi di fronte a una tremenda verità: in questo mondo tutto è insanguinato, persino lo zucchero!  

 
Il concetto di razza in Brasile 

Nel Profondo Sud degli States, nella Confederazione, bastava una goccia di sangue africano per fare di una persona un "negro". Anche se il suo aspetto era in tutto e per tutto quello di un bianco. Ricordo vagamente un film in cui una divina attrice, credo che fosse Ava Gardner, si trovava ad essere considerata una "negra" perché nelle sue vene scorreva un ottavo o un sedicesimo di sangue nero. In Brasile è in vigore un concetto completamente diverso, fondato sul fenotipo anziché sull'interezza del corredo genetico. In altre parole, una persona è classificata come preto "nero", pardo "mulatto" (alla lettera "marrone, bruno") o branco "bianco", non tanto per via dei suoi ascendenti, bensì del suo mero aspetto fisico, della sua apparenza. Quindi una persona con un ottavo o con un sedicesimo di sangue nero è considerata bianca a tutti gli effetti. Le interazioni tra queste parti della popolazione seguono dinamiche complesse e difficilmente comprensibili. Solo per fare un esempio, di solito gli uomini pardos cercano di sposare una moglie bianca o comunque dalla pelle più chiara della propria. Il personaggio di Manoel Francisco da Silva ci mostra uno schema di comportamento molto diverso: egli è un uomo dai caratteri somatici nordici, che potrebbe essere un discendente dei Goti, ed ama possedere carnalmente un gran numero di donne nere o mulatte - tanto che ci si potrebbe anche chiedere se in vita sua abbia mai conosciuto una bianca. In Brasile è una pratica comune e radicata viaggiare in lungo e in largo, intrattenere relazioni occasionali con donne sconosciute e ingravidarle, senza che la cosa comporti biasimo sociale. Le realtà di quella terra sono incredibili e varie. Pochi sanno che la Confederazione continua a vivere nel comune di Americana (Stato di San Paolo), dove la Bandiera Ribelle è tuttora molto venerata dai discendenti degli esuli giunti dopo la fine della Guerra di Secessione. Ebbene, non di rado si vedono persone di colore portare con orgoglio il vessillo dei Confederati! 

Anacronismi e altre incongruenze 

La vicenda di Cobra Verde inizia verso il 1880 e si conclude esattamente nel 1888, anno in cui avvenne la definitiva abolizione della schiavitù nell'Impero del Brasile. Il Re del Dahomey, Bossa Ahadee, è vissuto in realtà un secolo prima degli eventi narrati nel film: noto anche come Tagbesu (Tagbessou), regnò dal 1740 al 1774. Negli anni in cui è ambientata la pellicola regnava invece Glele (Glèlè), detto anche Badohou, che morì nel dicembre del 1889.   
 
Sono stato colpito dall'insegna della taverna il cui gerente è il nano Euclides: riporta la scritta "BAR RESTAURANTE". Una scritta che suona molto moderna. Sappiamo che la parola "bar" nella sua attuale accezione era già in uso nel mondo anglosassone, eppure mi sembra strano che fosse già stata importata in Brasile sul finire del XIX secolo. Probabilmente è un insidioso anacronismo di cui Herzog non si è accorto. Può anche darsi che io mi sbagli, sarebbero necessarie ricerche approfondite che esulano dallo scopo di una recensione e che richiederanno una trattazione in altra sede.
 
Nel paese africano notiamo la presenza di abbondanti fichi d'India (nome scientifico: Opuntia ficus indica), cosa un tantino singolare. Non ho approfondite conoscenze di botanica storica che mi permettano di dire se tale specie è attecchita in Africa. Sappiamo che è ben acclimatata in Sicilia, così potrebbe anche darsi che fosse presente nel Dahomey sul finire del XIX secolo. Quando ho appreso che il film è stato in parte girato in Colombia, lì per lì ho pensato che l'incongruenza potesse avere questa origine. Sembra tuttavia che le scene ambientate in Africa non siano state girate in Sudamerica, bensì in Ghana, così il problema persiste. 

Ricorre un errore geografico abbastanza marchiano. Mentre il Regno di Dahomey si trovava in quello che oggi è chiamato Benin, il forte portoghese di Elmina sorge nel territorio del Ghana, a oltre 500 chilometri dalla capitale del Re Bossa. Per raggiungerlo è necessario andare dal Dahomey verso occidente, cosa che Francisco Manoel da Silva non avrebbe potuto fare con una semplice passeggiata. 
 
Il fratacchione paraninfo 

La religione del Dahomey era il culto Voodoo (Vodun). Un pingue missionario si trova a corte da tempo, ma i suoi tentativi di ottenere conversioni alla Chiesa Romana si sono sempre dimostrati pressoché inutili. L'ecclesiastico, vagamente somigliante a un Bud Spencer semicalvo, invecchiato ed incattivito, vestito con un saio bianco, ha approfittato dell'ospitalità del Re Bossa per spargere il proprio seme in un gran numero di ventri femminili fecondi, generando così tanti figli da rendere difficile la conta. In particolare le figlie le fa prostituire senza scrupolo alcuno: in poche parole è un pappone della peggior specie. Nessuno mette in dubbio il suo fervore religioso, che però non impedisce interpretazioni a dir poco bizzarre delle dottrine eucaristiche cattoliche: quando sta distribuendo la comunione ai suoi pochi parrocchiani, non esita a dare l'ostia in bocca a una capra maculata!  
 
 
Il viceré di Ouidah  
 
Bruce Chatwin scrisse un lungo e complesso romanzo, intitolato Il viceré di Ouidah (prima edizione: 1980), pubblicato in Italia da Adelphi (1983). Werner Herzog ha comperato dallo scrittore i diritti cinematografici sull'opera, in modo tale da poterne trarre ispirazione per il suo film. La trama del romanzo in questione è per necessità molto più elaborata di quella di Cobra Verde: moltissimi dettagli e sviluppi narrativi non sono stati trasposti in pellicola. L'opera di Chatwin all'epoca fu considerata "eccessivamente violenta" e "barocca" dai soliti critici radical chic pieni di nauseante buonismo politically correct. L'ispirazione venne allo scrittore nel corso di una sua visita in Benin, in un periodo molto difficile di torbidi politici. La figura di Francisco Manoel da Silva è ispirata a quella di Francisco Félix de Sousa (scritto anche Souza), un negriero vissuto agli inizi del XIX secolo. Nato a Bahía nel 1754, morì a Ouidah nel 1849, alla venerabile età di 94 anni. Era riuscito a diventare il Viceré (chacha) del Regno di Dahomey. È stato definito "il più grande mercante di schiavi". Pochi sanno che i suoi discendenti, che portano il suo cognome, sono tuttora tra le famiglie più potenti dell'intera Africa, se non addirittura la più potente. Si trovano in Benin, Ghana, Togo e Nigeria. Una cosa sorprendente salta subito agli occhi: mentre Francisco Félix de Sousa somigliava un po' a Garibaldi ed era biondiccio, i suoi discendenti sono tutti neri. Non è così difficile comprenderne il motivo: il Viceré ebbe un harem di donne native e fu padre di un'ottantina di figli. Fu sepolto in un santuario della religione Vodun, che praticava assiduamente nonostante l'adesione di forma alla Chiesa Romana. 
 
Il Dahomey e le sue responsabilità 
 
Appare subito evidente che l'origine del concetto di regalità nelle culture dell'Africa subsahariana ha avuto origine nell'Egitto dei Faraoni. Il Re del Dahomey era considerato una divinità sulla terra. La sua vita era regolata da strani tabù. Ad esempio gli era vietato guardare il mare. Quando il Re Bossa Ahadee finisce detronizzato, viene murato vivo con le sue mogli nella sua estrema dimora-tomba. Pur votate alla morte, le donne si occupano di praticargli una specie di eutanasia. Pochi sembrano considerare una dato di fatto: i regni africani erano società guerriere che praticavano la schiavitù. Il Dahomey era in perenne guerra con gli Egba e ne traeva un gran numero di schiavi, che poi venivano venduti al Brasile e ad altre nazioni. I regni africani erano i principali fautori del mercato di esseri umani. Migliaia di prigionieri finivano incatenati in orrendi pozzi. In fondo tutto ciò è abbastanza coerente, dato che la schiavitù è stata pratica comunissima dovunque per millenni e nessuno pensava come una persona del XXI secolo. I fanatici attivisti del buonismo politically correct si rifiutano di considerare queste cose, perché il loro intento è quello di riscrivere la Storia secondo i propri desiderata ideologici. Non esiste qualcosa di simile all'uomo nero innocente da contrapporre all'uomo bianco perverso e maligno: Homo sapiens è dominato dalla schizofrenia. Come diceva l'Ispettore Derrick, umano e disumano possono convivere in ognuno di noi.

 
Il coro danzante
 
Ho incontrato non poche difficoltà per identificare la lingua del coro di ragazze danzanti che cantano alla fine del film, mentre scorrono i titoli di coda. Già in una sequenza le si era viste ed erano presentate dal corrotto fratacchione come il suo "coro di monache". Sono partito dal nome del gruppo, Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe, per arrivare al suo luogo di origine, che è Ziavi, nel distretto di Ho, in Ghana. Ho poi trovato nel Web materiale che mi ha permesso di risalire alla lingua delle canzioni. Si tratta della lingua Ewe, appartenente al ceppo Gbe. È parlata in Ghana e in Togo da più di 3 milioni di persone. Allo stesso ceppo appartiene anche la lingua Fon, anche detta Fon-gbe, parlata in Benin, Togo e Nigeria da circa 1,5 milioni di persone. Il Fon era proprio la lingua ufficiale del Regno di Dahomey. 
 
Curiosità 
 
Lo schiavo rimasto con un braccio intrappolato e spappolato in una macchina è stato interpretato da un attore mutilato, che portava una protesi. Girare la scena è stato quindi molto semplice: il braccio finto finito tra gli ingranaggi della pressa ha dato l'impressione di un incidente reale! 
 
Il produttore ha suggerito a Herzog di impiegare attori afroamericani per i ruoli delle persone di colore, ma lui si è rifiutato in modo categorico e ha voluto reclutare professionisti africani locali. Una scelta che approvo appieno.
 
La parte del film ambientata in Africa è stata girata per prima, in quanto è stata ritenuta più complessa e difficile. La parte ambientata in Brasile è stata girata subito dopo. La città in cui Cobra Verde sparge il terrore è ben riconoscibile: è Villa de Leyva, in Colombia. Si riconoscono subito i suoi edifici in stile coloniale. Herzog ha dimostrato la propria maestria riuscendo a rappresentare un'atmosfera di disfacimento che manca nel borgo attuale. 

Nel 1994 nacque a Cleveland (Ohio) il gruppo musicale Cobra Verde, post-punk e hard rock, tuttora attivo. La sua denominazione trae chiaramente origine dal film herzoghiano. Il primo album pubblicato ha un titolo molto suggestivo: Viva la Muerte.
 
 
L'epilogo 
 
Questo è stato il quinto e ultimo film in cui Werner Herzog ha diretto Klaus Kinski, dopo Aguirre furore di Dio (1972), Nosferatu - Il principe della notte (1979), Woyzeck (1979) e Fitzcarraldo (1982). Spesso i recensori insistono nel chiamare Kinski "attore-feticcio" di Herzog. Non so da dove questa bislacca denominazione abbia tratto la sua origine, fatto sta che il rapporto tra i due non è mai stato semplice. Sembra che all'origine della rottura ci sia stato un episodio di aggressione fisica. Il biondo e intemperante attore a quanto pare si lanciò contro il regista tentando di strangolarlo. Una foto molto diffusa nel Web ci mostra lo scatto dell'aggressore, gli occhi pieni di odio e il volto stravolto dalla possessione diabolica. Non ci sono dubbi: Kinski era un uomo con più di un aspetto, per usare un modo di dire comune tra i Vichinghi. In altre parole, egli era un genuino berserk. Guardando la foto, comprendiamo all'istante il significato della locuzione "avere il verme negli occhi", che descriveva i guerrieri invasati. Al culmine del suo dispotismo, il bizzoso attore pretese che Herzog rimuovesse il direttore della fotografia, Thomas Mauch, che aveva collaborato ai suoi film fin dal principio. Mauch fu sostituito, ma lo stesso Kinski non comparve in altri film herzoghiani. In seguito il regista descrisse il suo rapporto con lui nel film documentario Kinski, il mio più caro nemico (1999).