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domenica 5 settembre 2021

ETIMOLOGIA DI CHIHUAHUA

 
Come tutti ben sanno, il chihuahua è un terribile canide di proporzioni microscopiche, distorto, rachitico, capace di emettere versi spaventosi e oltremodo molesti, che non potrebbero salire nemmeno dalla gola di Cerbero o di Garmr! Data la scarsa curiosità delle genti di questo pianeta, quasi nessuno si è chiesto quale possa essere l'etimologia della parola chihuahua. Basta interrogare Google per ottenere un responso meno utile di un ammasso di feci pastose: 
 
"Il nome è dovuto alla capitale dell'omonimo Stato messicano in cui sono nati i suoi primi allevamenti, dove è conosciuto come chihuahueño (pronuncia spagnola [ʧiwaˈweɲo])." 

Perché dico che il responso googliano è stolto? Perché non va oltre la superficie. Tutti possono arrivare con facilità estrema alla conclusione ovvia che il cane distorto e deforme trae il suo nome dallo Stato di Chihuahua, in Messico. Resta però una domanda aperta: perché lo Stato di Chihuahua ha questo nome? Quale ne è l'etimologia?  

Questo riporta il dizionario etimologico Etymonline.com
 
 
Chihuahua (n.)

city and state in Mexico, said to be from a lost native word that meant "dry place." The dog breed is attested by that name from 1854, though such dogs seem to have been bred there long before. Early American explorers in the west seem to have confused them somewhat with prairie dogs. 
 
Traduzione:  
 
"Città e stato in Messico, che si crede derivato da una perduta parola nativa il cui significato è "luogo secco". La razza di cani è attestata con questo nome dal 1854, anche se tali cani sembrano essere stati allevati in quel luogo molto tempo prima. I primi esploratori americani nel West sembrano averli confusi con i cani della prateria."  
 
Questo riporta Wikipedia in inglese alla voce Chihuahua (state)
 
 
The etymology of the name Chihuahua has long been disputed by historians and linguists. The most accepted theory explains that the name was derived from the Nahuatl language meaning "the place where the water of the rivers meet" (i.e. "confluence", cf. Koblenz). 

Traduzione: 

"L'etimologia del nome Chihuahua è stata a lungo disputata da storici e linguisti. La teoria più accettata spiega che il nome è derivato dalla lingua Nahuatl e significa "luogo dove le acque dei fiumi si incontrano (ossia "confluenza", cfr. Koblenz)."
 
Si evidenzia all'istante una ciclopica contraddizione. Le traduzioni "Luogo Secco" e "Confluenza" sono incompatibili! Non possono essere entrambe valide. Le possibilità sono due: o è valida una e l'altra è falsa, oppure sono false tutte e due! 
 
Il blog Thpanorama - Diventa meglio oggi (Tutto su scienza, cultura, educazione, psicologia e stile di vita), riporta un certo numero di tentativi etimologici, che a colpo d'occhio ci appaiono rudimentali. 


Ora dobbiamo passare in rassegna e commentare tutte le etimologie riportate dal blog e altrove nel Web, che coinvolgono diverse lingue amerindiane, come il Nāhuatl, il Tarahumara ed altre. Ho le prove che il blogger ha preso il suo articolo da una fonte in inglese, perché vi si trovano tracce di "traduttese" (ad esempio in un caso l'inglese bark "abbaiano" è tradotto con "corteccia", per via della notoria omofonia con bark "corteccia"). Dopo qualche ricerca sono riuscito a trovare l'originale: 


Conosco il Nāhuatl, che ho appreso quando studiavo all'università. Questo mi basta per scartare all'istante i tentativi di ricondurre il nome Chihuahua a questa nobilissima lingua.
Nel blog etimologico, viene menzionato un libro intitolato "Diario de los Curiosidades Históricas" (in spagnolo corretto dovrebbe "Diario de las Curiosidades Historicas"), a quanto pare scritto nel 1899. Autore? Sconosciuto. Nessuna menzione nel Web. Secondo quest'opera, probabilmente fantomatica, la forma originale del nome Chihuahua sarebbe "xicuauhua", definita "una parola di origine Azteca". Non esiste alcun fondamento. 
Ecco dunque la confutazione delle maldestre etimologie popolari spacciate per azteche.  
 
1) Chihuahua non significa "luogo secco". Non esiste in Nāhuatl una parola *xicuahua con questo senso. 
- Non esiste una parola o un prefisso xi(c)- col significato di "luogo".
- Questo è il verbo che esprime il concetto di secchezza e di aridità: 
   huāqui "diventare secco"
       pronuncia: /'wa:ki/ 
Non esiste una voce di questo verbo o un derivato che suoni *huāhua o qualcosa di simile. 
A proposito della fantomatica parola *xicuahua, nel blog etimologico è riportato quanto segue: 
"Quando la scomponiamo, ci accorgiamo che "xi" significa "come" e che "cuahua" significa "cosa secca" o "cosa sabbiosa".
Nulla di tutto questo ha senso nella lingua degli Aztechi: sono soltanto invenzioni.  

2) Chihuahua non significa "confluenza". Non esiste in Nāhuatl una parola *xicuahua con questo senso. 
- In Nāhuatl esiste la parola xictli "ombelico", che significa anche "centro".
- In Nāhuatl esiste la parola ātl "acqua". 
Detto questo, āxictli significa "gorgo", alla lettera "centro d'acqua". Ciò è quanto di più simile si possa trovare. 
L'ipotetica parola *xicuahua non può essere formata a partire da xictli e da ātl: è completamente sbagliata a livello grammaticale. 
Nel blog etimologico è riportato quanto segue: 
"La parola "chi" significa "luogo" e "hua" (significa) "acqua"; due volte "hua" si riferisce ai due fiumi (il Sacramento e il Chuvíscar)." 
Neanche così può funzionare, né in Nāhuatl né nella lingua dei Tarahumara.

3) Chihuahua non significa "i cani abbaiano". Non esiste in Nāhuatl una frase *chi huahua con questo senso.
- In Nāhuatl chichi significa "cane". Non è una parola scomponibile. In particolare, non può essere ridotta a una semplice sillaba *chi
- Il plurale di chichi è chichimeh "cani".
- A quanto mi risulta, non esiste in Nāhuatl un verbo *huāhua "abbaiare". 
 
La lingua dei Tarahumara 

Non conosco bene la lingua dei Tarahumara, detta anche Rarámuri o Ralámuli e parlata soprattutto nello Stato di Chihuahua. I suoi parlanti sono almeno 70.000. So che appartiene alla stessa famiglia Uto-Azteca a cui appartiene il Nāhuatl, ma è molto diversa, più o meno come il russo lo è dallo spagnolo. Riporto alcuni esempi di somiglianze e di differenze. 
 
Parole derivate dalle stesse radici Uto-Azteche:
 
Rarámuri: ba'wí "acqua" 
Nāhuatl: ātl "acqua" 

Rarámuri: 'osá "due" 
Nāhuatl: ōme "due"
 
Rarámuri: karí "casa" 
Nāhuatl: calli "casa" 
 
Rarámuri: busí "occhio" 
Nāhuatl: īxtli "occhio"  

Rarámuri: kasí "gamba" 
Nāhuatl: icxitl "piede", "gamba"
 
Rarámuri: naká "orecchio" 
Nāhuatl: nacaztli "orecchio" 
 
Rarámuri: nawó "quattro" 
Nāhuatl: nāhui "quattro" 
 
Rarámuri: marí "cinque" 
Nāhuatl: mācuīlli "cinque"  
 
Rarámuri: michá "luna" 
Nāhuatl: mētztli "luna"  

Rarámuri: si'orí "mosca" 
Nāhuatl: zāyōlin "mosca"

Parole che non hanno la stessa origine: 
 
Rarámuri: biré "uno" 
Nāhuatl: "uno"
 
Rarámuri: rihóy "uomo" 
Nāhuatl: oquichtli "uomo" 
 
Rarámuri: 'ubí "donna" 
Nāhuatl: cihuātl "donna"  

Rarámuri: rayénari "sole" 
Nāhuatl: tōnatiuh "sole" 
 
Rarámuri: chomá "naso" 
Nāhuatl: yacatl "naso" 
 
Rarámuri: rará "piede"
Nāhuatl: xotl "piede", "gamba"  
 
Rarámuri: a'wé "aquila" 
Nāhuatl: cuāuhtli "aquila" 
 
Rarámuri: basachí "coyote" 
Nāhuatl: coyōtl "coyote" 
 
Rarámuri: ohuí "orso" 
Nāhuatl: cuetlachtli "orso" 

Rarámuri: kabósari "gufo" 
Nāhuatl: tecolōtl "gufo" 

Rarámuri: rochí "pesce" 
Nāhuatl: michin "pesce" 
 
Questo è il link alle pagine sulla lingua dei Tarahumara nel sito Native-languages.org:
 
 
A questo link si trova un utilissimo dizionario della lingua dei Tarahumara, che usa un'ortografia lievemente diversa da quella standard:
 

Queste sono alcune etimologie del toponimo Chihuahua ricondotte al Rarámuri, di cui ho potuto trovare qualche conferma nella maggior parte dei casi: 
 
1) Chihuahua significherebbe "Banda di ladri".
Questo riporta il blog etimologico: 
"Un altro studio si riferisce alla parola "chihuá" col significato del verbo "rubare". Questo è come fare riferimento a una banda di ladri." 
Ho potuto constatare che in Rarámuri esiste realmente il verbo chiwá (chihuá) "rubare". Significa anche "ferire" e "pugnalare". Il suo intensivo chiwawa (chihuahua) significa "rubare molto". Dalla stessa radice derivano chigó "rubare" e chigórami "ladrone". 
 
2) Chihuahua significherebbe "Sacco di cuoio".
Questo riporta il blog etimologico:  
"Gli antropologi hanno stabilito la relazione con le parole "chihuahuira", "chihuahuara" o "maruca", che sono usate nella lingua indigena per indicare un sacco di cuoio o una borsa dove sono conservate piccole cose."
Ho potuto constatare che in Rarámuri esiste realmente la parola chiwáwara (chihuáhuara) "sacco di cuoio".
 
3) Chihuahua significherebbe "Stalla".
Questo riporta il blog etimologico: 
"Stabilendo un'associazione con la parola "chihuaca", che significa "latte", i linguisti osano affermare che "Chihuahua" può riferirsi a una "stalla", dove le vacche riposano prima di essere munte.
Nel materiale Rarámuri sono riuscito a trovare la parola chi'wara (chi'huara) "seno materno", che somiglia senza dubbio al chihuaca riportato nella fonte, sia nella fonetica che nella semantica. Sicuramente la parola è imparentata con il Nāhuatl chīchi "succhiare il latte", donde chīchīhualli "seno materno". 
 
4) Chihuahua significherebbe "Pietre forate". 
Questo riporta il blog etimologico: 
"Gli storici hanno stabilito una relazione tra le sillabe iniziali della parola Guaguachiqui (città della municipalità di Urique) con la finale "huahua", e hanno fatto l'associazione all'entrata della luce attraverso Cerro Coronel. Anche se molti hanno accettato questo significato, altri linguisti obiettano perché dicono che in lingua Tarahumara una pietra è chiamata "reheque"; tuttavia accettano la coincidenza con Guaguachiqui, che significa "buco"."   
Sono riuscito a trovare soltanto rité "pietra". Non sono riuscito a trovare traccia della parola reheque. Per quanto riguarda guaguachiqui, ho trovato soltanto iwáachi (ihuáachi) "buco", derivato dal verbo iwá (ihuá) "avere un buco" e vagamente simile. Il tutto appare abbastanza implausibile.

La lingua dei Conchos

Ci sono poche tracce della lingua dei Conchos, estinta nel XVIII secolo, ma alcuni pensano che fosse affine al Rarámuri o addirittura una sua variante dialettale. Questo è riportato da Guillermo Cervantes: "el idioma hablado en el antiguo poblado ribereño de los conchos era la misma en las cumbres de la sierra empleada por los tarahumaras"
Questi sono i nomi di alcuni gruppi tribali in cui erano suddivisi i Conchos:

Abasopalme 
Aycalme 
Bachilmi 
Baopapa 
Cacalotito 
Guamichicorama 
Guelasiguicme 
Guiaquita 
Obome 
Ochan 
Olobayaguame 
Polacme 
Posalme 
Topacolme 
Yacchicahua
Yaochan
Yeguacat
 
Sono noti anche alcuni toponimi. Esempi: 
 
Bachimba 
Cauimuli 
Namiquipa
 
L'ideale sarebbe analizzarli in dettaglio, in modo tale da poter stabilire se realmente appartengono alla lingua Rarámuri o se sono piuttosto resti di uno strato linguistico più antico. A una prima analisi degli etnonimi, mi è subito sembrato che fosse una lingua del tutto diversa dal Rarámuri. Si nota che la rotica /r/, comunissima in Rarámuri, è assente nei nomi dei Conchos. Questo è l'articolo di Julián Contreras Álvarez (2020), che tra le altre cose riporta la discutibile opinione di Guillermo Cervantes:  
 
 
Approfondendo le mie ricerche, ho reperito un'informazione oltremodo interessante. Della lingua dei Conchos sono conosciute soltanto tre parole (Sauer, 1934): 
 
bate "acqua" 
sanate "mais" 
yolli "gente" 
 
La parola yolli "gente", che si trova anche scritta yoli, era usata come endoetnico (Yoli = Conchos) Questi pochi vocaboli confermano che si tratta di una lingua Uto-Azteca, tuttavia molto distante dal Rarámuri. Ad ogni modo non è una lingua isolata, come all'inizio avevo temuto.  

Conchos: bate "acqua" 
Rarámuri: ba'wí "acqua" 
Nāhuatl: ātl "acqua" 
Sono corradicali.

Conchos: sanate "mais" 
Rarámuri: sunú "mais" 
Nāhuatl: centli, cintli "mais" 
Sono corradicali.

Conchos: yolli "gente" 
Rarámuri: pagótami, rarámuri "gente"; 
        si'néami "tutta la gente"  
Nāhuatl: tlācah "gente"; yōli "vivere" 
La parola della lingua dei Conchos ha la stessa radice del verbo Nahuatl e in origine doveva significare "viventi".
 
La lingua Tepehuana 
 
Il Tepehuano è un'altra lingua Uto-Azteca, parlata nello Stato di Chihuahua e nelle regioni settentrionali dello Stato di Durango. I parlanti sono circa 10.000.
 
Parole derivate dalle stesse radici Uto-Azteche: 
 
Tepehuano: ɨmado "uno" 
Nāhuatl: "uno" 
 
Tepehuano: góka "due" 
Nāhuatl: ōme "due" 
 
Tepehuano: báika "tre" 
Nāhuatl: yēi "tre" 
 
Tepehuano: maakóva "quattro" 
Nāhuatl: nāhui "quattro" 

Tepehuano: taáma "cinque" 
Nāhuatl: mācuīlli "cinque"
 
Tepehuano: áki "acqua" 
Nāhuatl: ātl "acqua"  

Tepehuano: tásai "sole" 
Nāhuatl: tōnatiuh "sole" 

Tepehuano: masádai "luna" 
Nāhuatl: mētztli "luna" 

Questo è il link alle pagine sulla lingua Tepehuana nel sito Native-languages.org

 
Conclusioni 
 
Si arriva a dedurre quanto segue: 
1) La lingua degli Aztechi non spiega il toponimo Chihuahua;
2) Esiste qualche possibilità che Chihuahua derivi da una parola della lingua dei Tarahumara, anche se le proposte fatte sembrano leggende popolari;
3) Al momento non si può dire molto della lingua dei Conchos, a parte il fatto che è Uto-Azteca: servono ulteriori studi per ricostruirla parzialmente;
4) La lingua Tepehuana non spiega il toponimo Chihuahua.
 
Curiosità 
 
Nel XIX secolo un chihuahua costava come una pizza (Fonte: Mondo Exotica. Suoni, visioni e manie della cocktail generation, Francesco Adinolfi, 2000).   

martedì 10 agosto 2021

ALCUNE NOTE SUI PETROGLIFI E SULLE ISCRIZIONI DELLA VAL CAMONICA

La Val Camonica, in provincia di Brescia, trae il suo nome dall'antica popolazione dei Camuni (latino Camunni, greco Καμοῦνοι), artefice della più vasta collezione di incisioni rupestri dell'intero pianeta. Sono state classificate dall'UNESCO ben 140.000 opere, ma ne vengono scoperte sempre di nuove. Il loro numero potrebbe arrivare alla sorprendente cifra di 300.000. Le più antiche manifestazioni artistiche risalgono alla fine del Paleolitico e si distinguono svariati periodi nel corso dei millenni. Si segnalano alcune raffigurazioni stupefacenti di soggetti che non ci si aspetterebbe, come ad esempio la lotta tra due "astronauti" e addirittura un "brontosauro", roba che farebbe impazzire i complottisti. Molti sarebbero sorpresi se venissero a sapere che la tradizione petroglifica dei Camuni non si è mai veramente interrotta fino a tempi abbastanza recenti. Le varie epoche storiche hanno comportato la sovrapposizione di molteplici strati: le istoriazioni più moderne venivano ad essere eseguite accanto a quelle precedenti, creando a volte anacronismi sbalorditivi. In alcuni periodi le incisioni rupestri sono scarse, come se l'arte fosse entrata in stato di quiescenza. Così è accaduto con la conquista da parte dei Romani (I secolo a.C.): soltanto con la decadenza dell'Impero si è avuta una graduale ripresa della produzione di petroglifi. Dopo un nuovo periodo di scarsa attività, si sono avute successive incisioni in epoca moderna, postmedievale. Con buona pace di chi dice che esiste soltanto ciò che si trova in Google con qualche pressione di un tasto, devo dire che non è sempre facile reperire informazioni valide. Ancor più arduo è ottenere fotografie di alcune iscrizioni recenti. 
 
 
Iscrizioni antiche in lingua camuna 
 
I primi tentativi di traslitterare le iscrizioni camune redatte nell'alfabeto encoriale sono stati abbastanza fuorvianti. Si vedano a questo proposito gli studi di Maria Grazia Tibiletti Bruno e di Alberto Mancini. All'epoca in cui mi interessai per la prima volta a questo argomento, si aveva l'impressione che il camuno fosse una lingua completamente isolata, senza somiglianza con qualsiasi altra lingua del pianeta e del tutto impenetrabile. In fondo la cosa poteva anche sembrare logica: un popolo simile, con una cultura tanto peculiare, residuo di una preistoria inconoscibile, avrebbe ben potuto parlare una lingua priva di parentele determinabili. Tuttavia, una volta decifrato correttamente l'alfabeto, numerose iscrizioni sono risultate redatte in una lingua affine all'etrusco, tanto che alcune possono essere comprese con un certo grado di sicurezza. Era bastata la lettura erronea di pochi caratteri per oscurare ogni cosa. Riporto nel seguito alcuni interessanti esempi di testi etruscoidi.  
 
asθ "colpisci" (1)  
enesau "del nostro" (2)  
mi ruas "io sono del fratello" (3)  
munθau "dell'ordinatore" (4) 
nuni "prega" (5) 
pueia is "rapisci la donna" (6) 
ren "con la mano" (7)
ril "età" (8)
seh manals "figlia dal ricordo" (9)  
sele useu "sole allo zenit" (10) 
tine "nel giorno" (11) 
tiu ulu "luna crescente" (12) 
θiu "dell'acqua" (13)
uahθ raseu "nella formula dell'uomo" (14) 
un "a te" (15)
unsθ "in voi" (16)
unu "voi" (17) 
unus "di voi" (18) 
zeriau "del rito" (19)

(1) Cimbergo, Roccia 49
(2) Berzo-Demo, Roccia 2 
(3) Piancogno, Roccia delle Spade
(4) Foppe di Nadro, Roccia 6  
(5) Berzo-Demo, Roccia 2  
(6) Bedolina 
(7) Zurla, Roccia 22 
(8) Berzo-Bemo, Roccia 2
(9) Piancogno, Roccia delle Spade 
(10) Foppe di Nadro 
(11) Crap di Luine, Roccia 6 
(12) Crap di Luine, Roccia 6  
(13) Foppe di Nadro, Verdi, Roccia 2 
(14) Piancogno, Roccia della Biscia 
(15) Foppe di Nadro, Roccia 27 
(16) Crap di Luine, Roccia 6
(17) Berzo-Demo, Roccia 3 
(18) Berzo-Demo, Roccia 2 
(19) Seradina

In camuno l'antica consonante liquida *-l finale di parola è spesso diventata -u, velarizzandosi completamente. L'idea è stata enunciata anni fa dal canadese Glen Gordon e mi sono reso conto che è molto produttiva. Questa velarizzazione non sembra invece essersi applicata all'interno delle parole, davanti a consonante ed esiste comunque qualche possibile eccezione anche in posizione finale. 

Elementi morfologici camuni ed etruschi: 
 
-au, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -al  
-als, uscita dell'ablativo, corrisponde all'etrusco -alas 
-s, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -s,  
, uscita del locativo, corrisponde all'etrusco , -θi  
-u, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -l 

Lessico camuno ed etrusco: 
 
asθ "colpisci" corrisponde all'etrusco asθ "colpisci" 
      (scritto su una glans missilis
enesau "del nostro" corrisponde all'etrusco enas "di noi", 
      enesci "nel nostro"
manals "dal ricordo" corrisponde all'etrusco manim 
      "monumento; ricordo" 
mi "io" corrisponde all'etrusco mi "io"  
munθau "dell'ordinatore" corrisponde all'etrusco munθ 
      "ordinatore"
nuni "prega" corrisponde all'etrusco nuna "preghiera" 
pueia "donna" corrisponde all'etrusco puia "moglie" 
raseu "dell'uomo" ha la stessa radice dell'etrusco rasna 
      "etrusco"  
ren "con la mano" corrisponde all'etrusco rens "della
      mano", rinuś "delle mani", rinuθ "nelle mani"
ril "età" corrisponde all'etrusco ril "età"
ruas "del fratello" corrisponde all'etrusco ruva "fratello"
seh "figlia" corrisponde all'etrusco seχ, sec "figlia"
sele "allo zenit" corrisponde all'etrusco seleita-, seleta 
      "massimo" (*) 
tine "nel giorno" corrisponde all'etrusco tinśi "nel giorno" 
tiu "luna" corrisponde all'etrusco tiu, tiv "luna"  
θiu "dell'acqua" corrisponde all'etrusco θi "acqua"
uahθ "nella formula" corrisponde all'etrusco vacal, vacl 
      "formula, preghiera"  
un "a te" corrisponde all'etrusco un "te", une "a te" 
unsθ "in voi" corrisponde all'etrusco unuθ "in voi" 
unu "voi" corrisponde all'etrusco unu "voi", unum "voi, 
      vi" (acc.) 
unus "di voi" corrisponde all'etrusco unuse "a voi"
useu "sole" corrisponde all'etrusco usil "sole" 
zeriau "del rito" corrisponde all'etrusco zeri "rito" 

(*) La traduzione, opera di Giulio Mauro Facchetti, mi pare molto verosimile. Questa radice sel- potrebbe avere corrispondenze in anatolico: hittita šēr "sopra", lidio serli- "somma autorità". 

Si ha qualche notevole prestito indoeuropeo. In un petroglifo (Bedolina) si vedono chiaramente un lupo, un serpente e un cerchio. Come evidenziato da Adolfo Zavaroni, accanto al lupo compare la scritta ulk e accanto al serpente compare la scritta anki. Il cerchio riporta invece la scritta uka. Nonostante le interpretazioni di Zavaroni siano nella maggior parte dei casi fallaci, in quanto dettate da un'applicazione incongrua e aprioristica del metodo etimologico, in questo caso sono da considerarsi verosimili, perché abbiamo a che fare con figure parlanti - un fenomeno riscontrabile spesso anche tra gli Etruschi.

anki "serpente" (IE *ang(h)wi-, latino anguis "serpente") 
uka "unione (IE *jeug- / *jug- "unire")  
ulk "lupo" (IE *wḷkw- "lupo") 

Abbiamo poi un'importante radice indoeuropea documenta in un'iscrizione sinistrorsa i cui caratteri somigliano a quelli dell'alfabeto latino (Castelliere di Dos dell'Arca, Capo di Ponte):
 
DIEV  

Esiste anche un'altra attestazione più antica e assimilata alla fonologia dellingua nativa, derivata dalla stessa protoforma (Naquane, Roccia 60): 

ties "di Giove" 

Si tratta evidentemente di un genitivo sigmatico della stessa parola.

Gli autori antichi erano ben consapevoli dell'esistenza di un vero e proprio etrusco alpino. Fondandosi sull'autorità di Catone il Censore, Plinio il Vecchio riporta che gli Euganei si suddividevano nelle tre stirpi: Camuni, Triumpilini e Stoni. Era evidente la loro somiglianza con i Reti, oltre all'origine linguistica comune con gli Etruschi.

Raetos Tuscorum prolem arbitrantur a Gallis pulsos duce Raeto. Verso deinde in Italiam pectore Alpium Latini iuris Euganeae gentes, quarum oppida XXXIIII enumerat Cato. ex iis Trumplini, venalis cum agris suis populus, dein Camunni conpluresque similes finitimis adtributi municipis.  
(Plinio il Vecchio, Naturalisi Historia, Libro III, paragrafi 133-134)

"Si ritiene che i Reti siano di stirpe etrusca, scacciati dai Galli e guidati da Reto Voltandoci verso l'Italia, [incontriamo] i popoli euganei delle Alpi sotto la giurisdizione romana, dei quali Catone elenca trentaquattro insediamenti. Fra questi i Trumplini, resi schiavi e messi in vendita assieme ai loro campi e, di seguito, i Camunni molti dei quali [furono] assegnati ad una città vicina." 

Tito Livio ci trasmette un'importante opinione sulla lingua di queste genti.
 
Alpinis quoque ea gentibus haud dubie origo est, maxime Raetis, quos loca ipsa efferarunt ne quid ex antiquo praeter sonum linguae nec eum incorruptum retinerent. 
(Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro V, paragrafo 33

"Anche le popolazioni alpine hanno senza dubbio origine da questa gente [gli Etruschi], soprattutto i Reti, che i luoghi stessi hanno reso selvaggi, non conservando nulla del passato, salvo il suono della lingua e neppure questo incontaminato." 
 
Spesso si trova sonum linguae tradotto in modo fuorviante con "inflessione della parlata", come se si trattasse di un semplice accento. Non ci sono dubbi che Tito Livio alludesse invece alla concreta somiglianza dei vocaboli oltre che alla fonetica. L'allusione alla "contaminazione" è un indizio del fatto che si percepivano non sono somiglianze con l'etrusco, ma anche differenze, dovute anche a prestiti lessicali da altre lingue.  

 
Le iscrizioni in alfabeto latino 

Nonostante la scarsità sostanziale di petroglifi camuni di età romana, sono noti due alfabetari latini incisi sulle rocce a Piancogno e a Redondo. Si trovano anche alcune iscrizioni in latino. Interessante è il caso di un antroponimo bizzarro, leggibile a Crap di Luine (Boario), sulla Roccia 10:

MVCRO
 
In latino la parola mucro (genitivo mucrōnis) indicava una pietra liscia e appuntita o una punta di pietra. Si tratta di un vocabolo non indoeuropeo, molto probabilmente preso a prestito dagli Etruschi. 
 
A Foppe di Nadro, sulla Roccia 29, si trova un'iscrizione latina: 
 
SCAB(O) / LVCIVS  

La vocale (O) è in realtà non è visibile. Zavaroni fa notare che la A si SCAB(O) è di tipo falisco, simile a una R. Per questo motivo sono in passato state date interpretazioni fuorvianti, leggendo SCRB iupu o SCRB upui (Mancini, 1980). 

A Cimbergo, sulla Roccia 5, si trova un'iscrizione latina destrorsa: 
 
IOVIS 
 
Nonostante sia un chiarissimo genitivo del nome della divnità celeste ("di Giove"), alcuni autori hanno interpretato il testo come un'abbreviazione di IOVI S(ACRUM) "sacro a Giove" (Buonaparte, 1985; Valvo, 1992).
 
Un'iscrizione rupestre destrorsa trovata a Bedolina, su una roccia vicina a una baita, è redatta in lingua camuna ma in caratteri latini. La lunghezza complessiva è di 6,2 centimetri. Questo è il testo:

SILAV TOSSIAI ACILAV 

Si vede subito che ACILAV è corradicale dell'etrusco acil "opera". Possiamo tradurlo con "dell'opera", data la presenza della tipica desinenza camuna -au, corrispondente all'etrusco -al. La lettura di questa iscrizione ha una storia molto tormentata. Si pensi che Altheim nel 1937 aveva letto la sequenza come TITOSAN.QUUOS, cosa in apparenza sensata, se non fosse che la prima lettera T- era nata da un suo arbitrio, non sopportando egli la lettura IITOSAN.QUUOS. Prosdocimi per contro si contentò di una ricostruzione mutila, ?]TOS[x]NQ[xx]O[?, dove x indica un carattere illeggibile. La restaurazione della corretta lettura del testo si deve a Zavaroni, con l'aiuto di Priuli. 

 
Scene venatorie ed erotiche 
 
Nell'antichità preromana erano diffusissime raffigurazioni connesse con la caccia, ma anche con la zooerastia, ovvero col sesso con animali: questa pratica era diffusa tra i Camuni. A Còren del Valento si trova un notevole petroglifo, databile 10.000 anni fa (inizi del Neolitico), che illustra un guerriero intento a copulare con un equino infilandogli il mazzone gigantesco nell'ano, scavando morbosamente nell'intestino retto. 
 
 
La fantasia era sfrenata fin dall'inizio: in petroglifi del Mesolitico, in diversi casi si vede un cane intento a leccare lo sfintere anale di un cervo! Si noterà che il cane leccatore, il cervo leccato e il cacciatore hanno tutti e tre il fallo eretto fino a scoppiare. Mi accingo ad enunciare un'ipotesi assai ardita, che molti troveranno stupefacente. I Camuni devono aver selezionato una particolare varietà di segugi addestrati specificamente per infilare la lingua nel buco del culo ai cervi. Il cervo maschio, nel sentirsi lambire la parte più intima, con insistenza, doveva provare un grandissimo piacere. Così il fiero animale cadeva facile preda delle imboscate dei cacciatori, che prima lo trafiggevano con le lance e poi lo sodomizzavano, scaricando lo sperma nel budello, tra le feci ancora calde. Questi dovevano essere i segreti degli antichi Clan di cacciatori Camuni! Non so cosa darei per poter avere una macchina del tempo e studiare questo popolo così bizzarro. Senza dubbio dovevano imperare virus e parassiti molto inconsueti, a causa di costumanze sodomitiche così fantasiose! Pure nessun Dio ha mai mandato una pioggia di fuoco e di zolfo sulle fiere genti di quella valle e sfido qualunque cultore delle Scritture a provarmi il contrario.  

 
Petroglifi e iscrizioni dell'Età
Medievale e Moderna 

 
Alle Campanelle di Cimbergo ci sono opere petroglifiche molto interessanti, di epoca decisamente più tarda di quelle del periodo più glorioso della storia dei Camuni. L'opinione generale degli accademici vorrebbe queste testimonianze ispirate a uno spirito non religioso, "laico", mentre non gode più di grande credito l'idea che si siano avuto l'intento di risacralizzare tramite simboli cristiani i precedenti luoghi di culto pagani. Tale interpretazione semplicistica non tiene conto del fatto che i valligiani istoriavano ciò che vedevano nella loro vita di tutti i giorni e ciò che costituiva il loro immaginario. Non esiste "vandalismo", come certi neopagani si ostinano ad affermare con una certa dose di rabbia: tutto contribuisce alla sedimentazione dei fossili della Storia e ha il suo interesse. Abbondano incisioni che rappresentano impiccagioni con tanto di boia, a volte cancellate a colpi di scalpello, certo per paura superstiziosa. Altre opere petroglifiche rappresentano torri con vedette provviste di stendardo, aquile imperiali e soldati armati del cosiddetto spiedo friulano, una specie di alabarda usata dagli eserciti delle Venezie nei secoli XIV-XV (Sansoni, 1996). Troviamo anche numerose manifestazioni di religiosità (Cominelli, 2006), non soltanto ortodosse: oltre a raffigurazioni di chiavi, bare e monaci, si notano anche simboli esoterici come il Nodo di Salomone e persino quelle che sembrano prove dell'esistenza di una rudimentale forma di Satanismo. 
 
Questo testo è in apparenza un imperativo piissimo: 
 
Ambula in via D(omi)ni 
 
Ed ecco qualcosa che non ci si aspetterebbe: 
 
666 
 
Il Numero Satanico precede una scritta in lingua romanza, non completamente comprensibile, anche se è senza alcun dubbio un'allusione al fulmine, assai temuto dai montanari: 
 
Quan che il folgora se bussa [?] una […][…]che risa [?]  
 
Un'altra iscrizione romanza, poco sopra, allude al frumento: 

N[…] compr[…] c[]na formet vago del plan d[…] cimberc en sac […] 

Il vocabolo formet /for'met/ è proprio il frumento (latino frūmentum). Vicino si trova quella che dovrebbe essere la firma di uno scalpellino: 
 
 [.]DO DE FRANZO A SCHRITO IN QVESTO PREDO 

Ci vorrebbe un'enciclopedia per esporre in dettaglio tutto lo scibile sulla cultura e sulla storia della Val Camonica. Tanto per rendere l'idea dell'ambiente singolare, basterà citare un episodio grottesco risalente alla metà del XVIII secolo: i protagonisti sono dei fratacchioni che in una chiesa facevano crapule, ingurgitando quantità ingenti di vino e di ostie!
 
 
Il Diavolo con la mandragola 
 
Sempre a Cimbergo si trova una sorprendente raffigurazione del Demonio, ritratto come un umanoide paffuto. Si noti la caratteristica itifallica: l'organo sessuale del Diavolo è eretto ma penzolante, proprio come nei guerrieri antichi dipinti nell'atto di cacciare i cervi. Il cranio del Principe delle Tenebre è massiccio e sferico, l'espressione è grifagna e due piccolissime corna sporgono sull'ossatura parietale. Una coda non troppo pronunciata pare ravvisarsi su un fianco della figura diabolica. Nel complesso lo stile può sembrare molto involuto, addirittura rudimentale, eppure credo che questa raffigurazione meriti di essere ricordata e commentata. Vicino al Diavolo itifallico si vede uno stranissimo vegetale, un po' somigliante ad una rapa: è una mandragola, pianta dal notorio potere afrodisiaco, sicuramente associata all'atto sessuale. Molto interessante è l'articolo di Carlo Cominelli, Angelo Giorgi, Salvatore Lentini e Pier Paolo Merlin, Per una storia della mandragora nell'immaginario della Valcamonica (Italia settentrionale), pubblicato su Eleusis - Piante e composti psicoattivi (2004). Riporto il link: 

https://www.samorini.it/doc1/alt_aut/ad/
cominelli-storia-mandragora-immaginario-
valcamonica.pdf


L'uomo bisognoso e il pappone 
 
Non lontano dal luogo dove è incisa la figura del Diavolo con la mandragola, è presente un'altra sorprendente testimonianza di vita quotidiana della Valcamonica. Questo è il testo dell'iscrizione, in lingua romanza: 
 
Roro, dam una bella pula de foter che la tolirò ades ades de quelli de Cim[bergo] la più

L'interpretazione è chiarissima:

"Roro, dammi una bella ragazza da fottere che la prenderò or ora da quelli di Cimbergo di più"
 
Lo stravagante antroponimo Roro è verosimilmente un ipocoristico di Roberto o di Rodolfo
Il termine pula indica alla lettera una giovane gallina e potrebbe ben tradursi con "pollastra" o "pollastrella". Soltanto un ritardato avrebbe difficoltà a capire che la parola allude a una ragazza in un contesto sessuale.  
Il verbo foter /'foter/ "fottere" è notevole per la conservazione della terminazione -er dell'infinito, che nelle parlate attuali è scomparsa. Compare lo stesso verbo sessuale, inciso nella roccia, in altre due occasioni, segno dell'estremo interesse delle genti camune per la sessualità sfrenata.  

Pur di evitare di ammettere la scandalosa esistenza di uno stravagante pappone di nome Roro, i romanisti si sono inventati interpretazioni fantomatiche. Innanzitutto si sono concentrati sull'osceno verbo foter, facendolo passare a viva forza per un'improbabile contrazione del sostantivo forahter "forestiero", anche se il risultato non è grammaticalmente sensato! Questo caso grottesco mi richiama alla memoria l'interpretazione surreale che un archeologo ha dato di un bassorilievo sumerico in cui un uomo è raffigurato nell'atto di penetrare una donna more ferarum: secondo lui quella sarebbe stata la raffigurazione di un tentativo di salvataggio di una povera donzella dalle acque dell'Eufrate!  
 
 
L'epilogo 
 
L'ultima testimonianza nota dell'arte petroglifica camuna è a quanto pare una scritta novecentesca di argomento religioso: 
 
W IL S. PADRON   

Se il genere umano sopravvivrà, non è escluso che al libro dei petroglifi camuni possano aggiungersi nuove pagine.