Visualizzazione post con etichetta michel houellebecq. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta michel houellebecq. Mostra tutti i post

domenica 28 febbraio 2021

 
EXTENSION DU DOMAINE DE LA LUTTE 
(film) 
 
Titolo originale: Extension du domaine de la lutte 
Titolo internazionale: Whatever
Anno: 1999 
Paese: Francia 
Lingua: Francese 
Durata: 120 min circa  
Rapporto: 1,85:1 
Genere: Drammatico  
Regia: Philippe Harel  
Soggetto: Dall'omonimo romanzo di Michel Houellebecq
Sceneggiatura: Philippe Harel, Michel Houellebecq 
Produttore: Adeline Lécallier 
Casa di produzione: Lazennec, Le Studio Canal+, Canal+
Fotografia
: Gilles Henry
Montaggio
: Bénédicte Teiger
Scenografia
: Louise Marzaroli
Costumi
: Anne Schotte
Interpreti e personaggi:
    Philippe Bianco: Voce narrante
    Philippe Harel: Protagonista
    José Garcia: Raphaël Tisserand
    Catherine Mouchet: La psicologa
    Cécile Reiger: Catherine Lechardoy
    Marie Charlotte Leclaire: Segretaria di Henri La Brette
    Philippe Agael: Henri La Brette
    Alain Guillo: Buvet
    Yvan Garouel: Un rappresentante del Ministero
    Christophe Rossignon: Bernard
    Nicolas Simon: Schnabele
    Philippe Staw: Lo psichiatra 
    Julie Delafosse: La pseudo-Véronique 
    Roger Dolléans: L'insegnante di ballo  
    Jean-Luc Abel: Il mendicante sulla metropolitana 
    Emilie Benoît: La predicatrice sulla metropolitana
    Michka Assayas: Il capo del servizio informatico 
    Marc Bonnel: Norbert Lejailly 
Budget: 2,8 milioni di dollari US 
Box office: 420.000 dollari US
 
Trama: 
Il film parte con una musichetta irritante e la visione notturna, dantesca, della città che sembra un immenso ospedale. I palazzi spettrali sono come urne dalle mille finestre illuminate da carboni ardenti. Il faccione del protagonista, il Nostro Eroe, si staglia nell'oscurità. È in corso una festa domestica. Una milf dai capelli corvini e corti si esibisce in uno spogliarello. Quando però si tratta di togliersi le mutandine, lo spettacolo finisce. Il Nostro Eroe è sfinito dai bagordi. Fuma come un comignolo e ingurgita un distillato. Riflette sulle particelle elementari e sul Nulla della vita. Si stende sul pavimento, tra i cuscini e discorre tra sé e sé delle aberrazioni del femminismo, mentre alcune milf sul vicino divano chiacchierano di cose idiote. Si è fatto giorno, il Nostro Eroe è nel suo appartamento con vista carceraria sugli edifici ospedalieri. Reduce da una depressione a causa della fine della relazione con Véronique, continua il suo monologo senza sosta. Annusa i lezzi di decomposizione che provengono dal lavandino, in cui giacciono piatti con avanzi a cui mancano solo i cagnotti. Un annusare incalzante, fastidioso. Poi si mette sul divano e fa colazione con peperonata accompagnata da rum bianco, bevuto da una grossa tazza. I mozziconi si accumulano nel posacenere. Visioni spettrali della periferia. Le gru di un cantiere deserto, un uomo calvo coi capelli untuosi riportati, che porta a spasso un grosso cane nero. Ritorna la notte. Insonnia. Il mattino dopo, il Nostro Eroe è sulla metropolitana, diretto al lavoro. Viene infastidito da mendicanti aggressivi e da una predicatrice pazza. Entra nella sua prigione lavorativa e rimane schifato dai cinguettii delle colleghe. Nelle sue ruminazioni permanente, ci spiega che dalla separazione da Véronique, due anni prima, non ha più fatto sesso. Medita sull'elettronica e sull'automatismo. Un collega molesto, seduto nello stesso ufficio, indossa una camicia di un color blu carico e un'inguardabile cravatta gialla come un tuorlo con sopra un quadrato rossa. Il Nostro Eroe deve tenere un corso su un prodotto informatico. Ha un appuntamento con Catherine Lechardoy al Ministero dell'Agricoltura, ma una segretaria gli dice che non c'è. Si ritrova ad aspettare invano in un ufficio cadente. Rientra in sede e si becca un cazziatone dal capo. Al supermercato riflette sulla mercificazione. Compra pane di miglio e rum bianco. Rincasato, si scola la bottiglia di rum e prende alcune compresse di antidepressivi. Insonnia. L'indomani viene ricevuto dalla Lechardoy, una donna dal modo di parlare estremamente fastidioso, che esprime scetticismo sull'utilità del corso. La sera, il Nostro Eroe si ritrova a cena in un ristorante, con un amico prete, riconoscibile dal vestito nero con una piccola croce metallica appuntata sul petto. Parlano di stronzate sociali. Il giorno dopo visita un grande magazzino, dove prova un materasso e finisce con l'addormentarsi. Viene svegliato a fatica da un dipendente, che a un certo punto lo crede morto. È già sera. Altra notte insonne. Antidepressivi à gogo. Ancora una giornata di Nulla. Riunione con i funzionari del Ministero dell'Agricoltura. Durante una pausa caffé, si ritrova a fantasticare sulla Lechardoy, che immagina mezza nuda e in pose sexy, ma non raccoglie le sue avances quando lei si mostra disponibile. Anzi, va subito al cesso e vomita una massa di succhi gastrici. Nella tazza si vedono quelli che sembrano frammenti di merda. Forse aveva compiuto un atto di coprofagia e si è liberato lo stomaco! Il giorno dopo è in partenza per Rouen col collega Raphaël Tisserand, un bipolare esuberante che veste con abiti appariscenti. I due prendono il treno, il difficile viaggio ha inizio. Tutte le volte che vede una ragazza, Tisserand si lancia all'assalto e la approccia, senza rendersi conto di ruscirle irritante. Le sue avances falliscono in modo sistematico. Il Nostro Eroe attribuisce questi insuccessi del collega all'aspetto fisico, che non sembra però così mostruoso. Ha inizio l'estenuante corso di formazione, tenuto da Tisserand. Pausa pranzo, con irritanti domande di un funzionario. Esercitazione ai computer. Serata in discoteca con Tisserand, il cui umore si altera all'improvviso, quando si rende conto che ogni suo tentativo di ottenere sesso è vano e destinato a restare irrealizzabile, forse per anni, forse per sempre. Al supermercato il Nostro Eroe assiste al collasso di un vecio, che viene portato via in ambulanza nella generale indifferenza. Poi va in un cinema porno e osserva i relitti umani che lo popolano (si nota un rozzo pappone che conduce una donna nella sala per poi assaltarla sessualmente). Uscito nella notte, si reca alla stazione ferroviaria, che a quell'ora è un deserto surreale, e riflette una volta di più sull'introvabile senso dell'esistenza. Quando ormai è a letto nella sua camera, la luce spenta, corre in bagno a causa di un improvviso dolore lancinante al torace. Esce nella notte, cercando l'ospedale. Si dispera perché non riesce ad avere informazioni dagli automobilisti. Viene ricoverato d'urgenza. Si ritrova in camera con un bonaccione, un ingenuo operaio grassoccio assistito dalla moglie biondiccia. Riceve una visita di Tisserand. Quando l'incertezza raggiunge il culmine, fa irruzione nella stanza il primario dell'ospedale con una torma di medici. Il Nostro Eroe apprende così che la diagnosi è meno grave del previsto: è una pericardite, non un infarto. Quando si è un po' ripreso, telefonata in ufficio per dare notizie di sé, e alla chiamata risponde una collega, una milf fulva che fa "gnì gnì gnì". Non passa molto e viene dimesso. Ritorna nello squallore urbano, percorrendo scale mobili e tratti di strada col suo trolley bluastro. Prende un altro cazzo di treno e giunge a Parigi, in ufficio. Eccolo in riunione con Tisserand, mentre il capo blatera esponendo i propri desiderata stronzeschi. Presto i due sono di nuovo in viaggio, questa volta in macchina. Tisserand è alla guida e sembra euforico. Il Nostro Eroe fuma come al solito una sigaretta; guardando bene si nota che ha un dito sporco di materia fecale. La nuova missione, questa volta in Vandea, procede con la registrazione in albergo. A cena Tisserand rivela al collega di essere ancora vergine a 28 anni, rifiutando però di porre fine alla propria maledizione tramite i servigi di una prostituta, dal momento che vuole aspettare l'amore. In camera il Nostro Eroe inizia ad esprimere i suoi famosi pensieri sul liberalismo sessuale mentre fruga nel frigo bar e ne estrae microscopiche bottigliette di liquore. Passeggiata mattutina. Una spiaggia sotto il sole pallido. Candide strutture abitative dall'aspetto cimiteriale si estendono a perdita d'occhio. Un pescatore fruga nella sabbia cercando i cannolicchi. Il Nostro Eroe giunge a un residence deserto, pranza in un ristorante che sembra una casa degli Hobbit e poi va al supermercato, dove compra un coltellaccio. A cena con Tisserand, gli chiede cosa ha in mente di fare per Natale. Lui gli risponde di essere ebreo, anzi, che i suoi genitori sono ebrei. A notte fonda i due arrivano alla discoteca Le Malibu. Ennesimo fallimento di Tisserand, respinto da una danzatrice sculettante. Il Nostro Eroe va al cesso a vomitare, poi si masturba pensando a una fica infiammata. Tisserand si riprende e riesce a ballare con una ragazza bruna. Per un po' sembra avere successo, ma lei approfitta di un'interruzione della musica per raggiungere alcune amiche, deridendo il suo goffo corteggiatore. Tisserand, annientato dall'umiliazione, torna al tavolo dal Nostro Eroe, che nel frattempo è riuscito a procurarsi una bottiglia di Jack Daniel's e focalizza la sua attenzione su una coppia: una ragazza bionda somigliante a Véronique e un mandingo. Qualcosa scatta nella mente del Nostro Eroe, che istiga Tisserand: i due in macchina inseguono la coppia fino a giungere alla spiaggia. A questo punto il Nostro Eroe consegna al collega il coltellaccio che aveva comprato. Gli dice di vendicarsi uccidendo la ragazza bionda e il mandingo. Il bipolare afferra l'arma e si allontana nelle tenebre. Poi però ritorna e dice che non ce l'ha fatta a uccidere. Getta il coltello ancora pulito, sale in macchina e parte, lasciando il Nostro Eroe sulla spiaggia, in condizioni di abbrutimento. I due non si sentiranno mai più. Il Nostro Eroe tenta invano di contattare Tisserand per telefono, che nel frattempo è morto in un incidente d'auto. In ufficio, giunge la ferale notizia, che lascia attonito l'intero personale. Il Nostro Eroe è distrutto, la depressione ritorna. Tenta di gassare uno scarafaggio usando il fumo di tabacco. Brucia una foto di Véronique. Non è più in grado di lavorare. Piange in ufficio. Una collega magrolina e rossiccia gli chiede di spegnere la sigaretta, al che lui le tira una sonora sberla. Subito dopo si congeda dicendo che deve andare dallo psichiatra. Lo psichiatra, che ha una tipica fisionomia sefardita, gli diagnostica la depressione. Il Nostro Eroe passa il suo tempo a fare bizzarri collage coi giornali. Una notte si sveglia in preda al terrore, dopo aver avuto un incubo agghiacciante in cui si vedono molti cadaveri di donne squartate, pieni di sangue rappreso, su cui torreggia un gigantesco fallo eretto. L'indomani decide di farsi ricoverare in una clinica psichiatrica, in cui passa molto tempo. Viene infine dimesso quando la psicologa si rende conto delle sue prodigiose capacità logiche. Ripresa la sua libertà, il Nostro Eroe visita la tomba di Tisserand, una sepoltura ebraica in marmo nero, con la Stella di David sulla lapide, in alto a sinistra. Sulla tomba si trovano alcuni sassolini. Sono le pietre del lutto. Ignaro, il Nostro Eroe le spazza via, credendole sporcizia. Poi esalta il collega defunto, considerandolo un eroe, un martire morto per la coraggiosa ricerca dell'amore. Fatto questo, si iscrive a un corso di ballo. L'insegnante invita a formare le coppie, e il Nostro Eroe si ritrova con una bella brunetta, più alta di lui, che gli sorride: è l'inizio di una relazione. 
 
 
Recensione: 
Adattamento del romanzo Estensione del dominio della lotta (1994) di Michel Houellebecq, la pellicola di Philippe Harel non ha avuto alcun successo già in Francia. Al di fuori della Francia, si può dire che sia praticamente invisibile o addirittura quasi inesistente. Ha recuperato con gli incassi al botteghino soltanto il 15% delle spese. Un fallimento epocale. Anche se il titolo internazionale del film è Whatever, l'unica versione è al momento quella in francese. A quanto mi risulta dalle ricerche nel Web, esistono soltanto due versioni sottotitolate: una con sottotitoli in inglese e una con sottotitoli in olandese.
 
Lo dico usando un francesismo. Dal punto di vista tecnico il film fa cagare. Non funziona. Non può funzionare. È un mattone inguardabile di quasi due ore! La trama da me riportata è volutamente lunghissima, estenuante e iper-dettagliata, perché deve dare un'idea seppur vaga della natura di questo film di Harel. Le pause tra una rimuginazione del Nostro Eroe e la successiva sono davvero piccolissime. Lo spettatore non fa in tempo ad apprezzare il dono del silenzio e subito viene aggredito da una nuova massa di fricative uvulari e di vocali nasalizzate. Vale la pena far notare che non tutti i romanzi sono automaticamente traducibili in una pellicola. Può anche uscirne qualcosa che non è affatto godibile.  
 
Per quanto riguarda i contenuti, la trasposizione dell'opera di Houellebecq sembra abbastanza fedele, curata fin nei minimi dettagli. Eppure, analizzandola con attenzione, si notano alcune importanti differenze, non soltanto formali. Il finale del film diverge in modo drastico da quello del romanzo. Non so se questo si debba alla fantasia del regista o a una bizzarria di Houellebecq. 
Nel film il Nostro Eroe, appena dimesso dalla clinica psichiatrica, si reca al cimitero a visitare la tomba di Tisserand, descrivendo la sua infelice esistenza come una lotta eroica. Non si trova traccia di questa visita nel romanzo. Alcune parole simili al panegirico funebre del film, ma più stringate, sono tuttavia state pensate dal protagonista dell'opera cartacea quando ha ricevuto la notizia della tragica morte del collega: 
 
"Almeno, mi dissi quando seppi della sua morte, si è battuto sino in fondo. Il villaggio-vacanze, le settimane bianche... Almeno non ha abdicato, non ha abbassato la guardia. Fino in fondo e malgrado i ripetuti insuccessi, ha cercato l'amore."
 
Nel film il Nostro Eroe riesce a trovare una compagna, durante un corso di ballo. Manca qualsiasi somiglianza col finale del romanzo. Se mi è permesso, in questo caso la distanza ontologica tra le due opere è fortissima. Nel film, il protagonista crede di ritrovare un senso della propria esistenza: una donna che gli sorride è la premessa di un periodo nuovo della vita, che gli porterà gioie e dolori. Nell'opera cartacea, il protagonista perde invece completamente la possibilità di ritrovare un senso della propria esistenza: giunto tra le montagne dell'Ardèche, piange durante i pasti, va in bicicletta tra i boschi e fallisce nel tentativo di cogliere un istante di lucidità. I Wikipediani affermano che questo viaggio in Ardèche "si rivelerà solo un'altra occasione persa"
Mancano le lunghe storie morali con animali come protagonisti: sono state omesse perché avrebbero introdotto eccessive discontinuità nella narrazione, già di per sé difficile e tormentata. 
 
L'apparizione del fallo 
 
In tre occasioni si vede qualcosa di completamente inatteso: un membro virile eretto. Quando il Nostro Eroe si trova in un cinema, sullo schermo scorrono le immagini di una copula. Un grosso cazzone durissimo scivola in una vagina e stantuffa, anche se questa tensione non sfocia in un culmine e non si vede il torrente spermatico. Poi, nella squalida discoteca Le Malibu, si vede chiaramente il Nostro Eroe nell'atto di masturbarsi. Il pene è eretto ma non turgidissimo, tanto che l'esercizio manuale si fa furioso, ossessivo. Nemmeno in questo caso è mostrato il liquido seminale. Infine vediamo un fallo torreggiante nell'incubo grandguignolesco che spinge il Nostro Eroe a farsi ricoverare. Queste scene priapiche sono abbastanza inconsuete in un film non pornografico. 

Il Nostro Eroe e la coprofagia 
 
In alcune sequenze viene fatta una rivelazione importante, tale da lasciare di sasso lo spettatore. Il Nostro Eroe mangia abitualmente escrementi umani! Ha contatto con gli stronzi! Dal momento che si lamenta della propria solitudine, possiamo dedurre che lo sterco sia il suo. Avrebbe potuto usufruire di una escort per toccare e ingerire i prodotti di un intestino tanto venusto! Però in questo caso non sarebbe stato così lancinante il problema dell'assenza di contatto col corpo femminile. Quindi resta il sospetto che il Nostro Eroe raccogliesse la merda dal proprio retto e la masticasse, salvo poi vomitarla nelle latrine! A quanto pare, nessun recensore o commentatore si è mai accorto finora di questi scabrosi fatti. Nel testo scritto non ho trovato menzioni della coprofagia del protagonista: si deve trattare quindi di un'innovazione pensata appositamente per la pellicola. Dubito molto che l'idea possa essere di Philippe Harel, sarà piuttosto un frutto della mente frenetica di Houellebecq.  
 
 
Alcune riflessioni sul caso Tisserand  
 
Questo è quanto ci dice il protagonista del romanzo sulla morte del povero Tisserand: 
 
"Non avrei mai più rivisto Tisserand; si uccise con la macchina quella notte stessa, durante il viaggio di ritorno a Parigi. Dalle parti di Angers c'era molta nebbia; lui correva a tutta birra, come al solito. La sua 205 GTI si schiantò contro un camion ribaltatosi in mezzo alla carreggiata. Morì sul colpo, poco prima dell’alba. L'indomani era giorno di ferie, per festeggiare la nascita di Cristo; i suoi famigliari lasciarono passare tre giorni prima di comunicare in ufficio la notizia dell'incidente. Le esequie avevano già avuto luogo, cosa che annientò qualsiasi ipotesi di corona di fiori o di condoglianze formali. Vennero pronunciate brevi frasi sul pericolo della guida nella nebbia, si riprese a lavorare, fine." 
 
Quell'uso del verbo "si uccise" (nell'originale francese "il se tua") non sembra lasciare adito a dubbi, anche se potrebbe essere interpretato come "rimase ucciso". Nel film si vede la macchina di Tisserand frenare fino a fermarsi, senza alcuno schianto. Una rappresentazione grottesca, come se un guidatore esperto potesse rimanere ucciso da una semplice frenata. Si capisce che il suicidio del collega è una certezza, sia nel film che nel romanzo. Il protagonista è infatti straziato da questa consapevolezza, si porta un immenso peso sulla coscienza, perché sa bene di essere la causa di quella morte. Eppure, suicidarsi a 28 anni per mancanza di sesso o di amore è una cosa poco conveniente, già soltanto per il fatto che - come ci ricorda Cioran - un morto si pone in una condizione in cui ogni azione è impossibile, ogni cambiamento è precluso, per l'eternità. Anche solo respirare o muoversi nel giaciglio, per un cadavere appartiene al reame dell'impossibilità. A parte il fatto che è meglio andare con una puttana e finire devastati dalla gonorrea, piuttosto che essere umiliati in inutili corteggiamenti fallimentari, non potremmo dire di aver vissuto una vita davvero inutile neanche a 56 anni o a 112 anni, quando siamo guidati dalla Conoscenza. 
 
Il Dialogo della Disperazione

Riporto le parole, tratte dal film e tradotte, che hanno causato il suicidio di Tisserand.
 
Tisserand: "Così è senza speranza?"
Nostro Eroe: "Certamente. Lo è sempre stato. Fin dall'inizio. Tu non sarai mai il sogno erotico di una ragazza. Fattene una ragione. Non fa per te. In ogni caso, è troppo tardi. Tutti i tuoi fallimenti sessuali fin dall'adolescenza, la frustrazione che ti ha perseguitato fin dalla pubertà, ti hanno segnato per sempre. Anche se tu potessi trovare una donna, cosa che francamente dubito, non funzionerebbe. Non funzionerà mai. Sei orfano degli amori giovanili che non hai mai avuto. Il danno è già stato fatto. Diventerà peggio. Un'amarezza agonizzante ti riempirà il cuore. Non c'è redenzione. Nessuna liberazione. Questo è quanto." 

Giudizi impietosi, disumani 
 
Questo sentenzia l'autore di un articolo apparso su Wired, parlando di Tisserand:  
 
""uomo bruttissimo" ed estremamente perverso, che tratta le donne in modo bestiale".

 
Questo sentenzia l'autore di un articolo apparso su Lidenbrock.org, sempre sullo stesso argomento:  
 
"Il protagonista viaggia per lavoro con il ripugnante Tisserand, impiegato che cerca a tutti i costi la compagnia di una donna senza ottenerla: ha rinunciato all’amore, cerca soltanto l’avventura ma nemmeno questo gli riesce. Tisserand è un uomo ridicolo, grottesco, e così Houellebecq ci ricorda come l’uomo privato delle sue fedi o delle sue illusioni si abbassa al rango di un animale ma con la coscienza di essere qualcosa di più."  
 
 
Se c'è qualcosa che trovo ripugnante, sono proprio le parole di questi articolisti, che non mostrano nessun rispetto verso la sofferenza umana - anche se in ultima analisi si parla di un personaggio letterario/cinematografico, non di una persona reale. Eppure ogni personaggio di un romanzo o di un film ha il suo fondamento in un individuo in carne ed ossa. Detesto simili giudici seduti sui loro iniqui troni moralistici! Loro pensano di aver capito tutto della vita. Chi non rientra nei loro schemi è soltanto una nullità da stritolare. Forse non dovremmo stupirci più di tanto. Nella specie Homo sapiens si è sviluppata nei millenni un'inclinazione deleteria, quella di infierire sui più deboli, su chi nell'esistenza non si trova a proprio agio. 
 

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Con mia grande sorpresa, ho scoperto che esiste una vera e propria Wikipedia degli Incel, che dedica una pagina al film di Harel. Questo è l'interessante commento che vi è riportato: "It is considered the most brutal film about inceldom ever made". Quindi la pellicola non è completamente fallimentare, perché vive di una sua inattesa vita underground. Ecco il link:
 

Che altro dire? Possano questi semi crescere, diventare alberi rigogliosi e dare frutto! 

mercoledì 24 febbraio 2021

 
ESTENSIONE DEL DOMINIO DELLA LOTTA 
 
Titolo originale: Extension du domaine de la lutte 
Autore: Michel Houellebecq 
Anno: 1994 
Lingua originale: Francese 
Tipologia narrativa: Romanzo  
Genere: Autobiografico, introspettivo 
Sottogenere: Depressivo, suicidario, ospedaliero, psichiatrico 
Ambientazione: Francia
I ed. italiana: 2000 
2 ed. italiana: 2019 
Editore (I ed.): Bompiani 
Editore (II ed.): La nave di Teseo 
Collana (I ed.): Romanzo Bompiani
Collana (II ed.): I delfini. Best seller
Traduttore: Sergio Claudio Perroni 
Pagine: 164 pagg.; 
    144 pagg. (copertina flessibile)  
Formato: Brossura 
Codice ISBN-10 (I ed.): 8845247708 
Codice ISBN-13 (I ed.): 978-8845247705  
Codice EAN (II ed.): 9788893448642 
Editore francese: Éditions Maurice Nadeau

Titoli in altre lingue: 
    Inglese: Whatever 
    Tedesco: Ausweitung der Kampfzone 
    Spagnolo: Ampliación del campo de batalla 
    Catalano: Ampliació del camp de batalla 
    Svedese: Konkurrens till döds  
    Norvegese (Bokmål): Utvidelse av kampsonen
    Russo: Расширение пространства борьбы 
    Polacco: Poszerzenie pola walki
    Rumeno: Extinderea domeniului luptei
 
Sinossi (da www.ibs.it)
"Trent'anni, analista programmatore in una società di servizi informatici, il protagonista di questo romanzo conduce un'esistenza indifferente. Il lavoro, i viaggi d'affari, le prigioni dell'amore e del sesso, l'assenza di qualsiasi sentimento che non sia di insofferenza verso se stesso, lo scivolare lento e inesorabile in uno stato di insensibilità dal quale sembra non esserci via d'uscita."

Trama:
Il protagonista è un giovane programmatore che lavora in un'azienda informatica di Parigi e si occupa in particolare di formazione. Nonostante la sua professione sia ben retribuita, conduce una vita squallida e priva di sostanza, assimilabile alla condizione di un'ombra murata in un cubicolo. Ignoriamo persino il suo nome. Il suo livello di istruzione è alto, in teoria dovrebbe avere molte possibilità, eppure il suo unico divertimento sembra essere la composizione di favole filosofiche i cui protagonisti sono animali. Sono narrazioni lunghissime, tediose, la cui lettura è defatigante. Il suo rapporto con il gentil sesso è stato caratterizzato da esperienze traumatiche, così da almeno due anni non ha avuto alcun contatto sessuale. I suoi superiori lo incaricano di andare in giro per la Francia a presentare un inutile e farraginoso programma ad alcuni enti della Pubblica Amministrazione, a cominciare dal Ministero dell'Agricoltura. Un compito snervante, annichilente, che lo porta ad avere contatti con numerosi esemplari della sottospecie Homo anaerobicus, tipica popolazione dei labirinti ministeriali. All'inizio della sua missione a Rouen tutto sembra andar bene. A un certo punto gli si presenta persino l'occasione di copulare con una funzionaria racchietta, ma lui scarta sul nascere l'idea di darle il proprio membro turgido. Nell'estenuante opera di formazione lo affianca un collega, Tisserand, che ha un aspetto fisico ripugnante e seri problemi sessuali; essendo incompetente spesso gli è più di ostacolo che di aiuto. Presto cominciano per il formatore problemi dovuti alla salute cardiovascolare, che lo portano a un ricovero in ospedale. La diagnosi è pericardite (all'inizio sembrava un grave infarto). Uscito dall'ospedale dopo un periodo di convalescenza, torna suo tour formativo, la cui seconda tappa è in Vandea. Qui si approfondisce il suo dialogo con Tisserand, che gli rivela i propri abissi interiori dovuti alla totale assenza di rapporti con l'altro sesso. In una discoteca, i due si trovano in uno stato di pesante ubriachezza e osservano una ragazza che si fa rimorchiare da un gigantesco mandingo. All'improvviso fa la sua irruzione un elemento insensato. Il protagonista parla al collega disperato, cercando di spingerlo a inseguire e a uccidere la coppietta; fallito miseramente il tentativo di fare di lui un Pacciani, ha un crollo psichico dopo aver appreso la notizia del suo suicidio. Come spesso accade ai personaggi dei romanzi di Houellebecq, finisce col farsi internare in una clinica psichiatrica, uscendone solo dopo alcuni anni. Una volta dimesso, decide di recarsi in una regione impervia dell'Ardèche, spinto da un'ispirazione insensata. Nemmeno tra quelle montagne riuscirà a dare un senso alla propria esperienza terrena.
 
Recensione:  
La prima volta che ho letto Estensione del dominio della lotta, che ha segnato l'esordio di Houellebecq come romanziere, mi sono reso conto di avere di fronte un lavoro eccellente. A distanza di anni ho sentito il bisogno di rileggere l'esile volume, ma con mia grande sorpresa non mi è piaciuto più così tanto, nonostante contenga alcuni concetti assolutamente geniali e sempre validi. Mi è parso che il costrutto fosse labile, addirittura sconclusionato, con quei racconti morali animaleschi che rovinano la continuità e sembrano blocchi di cemento abbandonati in una foresta. La trama si sfilaccia subito, si perde nei diverticoli dell'incessante ruminazione dell'autore, che a volte dà prova di un temperamento irritabile e cervellotico. Certe trovate narrative colpiscono per la loro completa assurdità, come il tentativo del protagonista di istigare il povero Tisserand a emulare il Mostro di Firenze. Forse non dovrei lamentarmi di una simile irruzione dell'insensatezza, del fatto che mi riesce incomprensibile. Se il comportamento di un individuo in quelle condizioni avesse un senso logico, non si potrebbe più attribuirgli l'etichetta di pazzia. Lo sfaldamento della personalità del programmatore procede senza sosta: possiamo dire che quando ha raggiunto l'Ardèche ogni suo processo mentale sia giunto alla dissoluzione. Il suo è uno stato crepuscolare. Questo è l'epilogo, che in qualche modo funge da epitaffio di un uomo annientato: 
 
"Sono al centro del baratro. Sento la mia pelle come una frontiera, e il mondo esterno come uno schiacciamento. L’impressione di scissione è totale; ormai sono prigioniero in me stesso. La fusione sublime non avverrà; lo scopo della vita è mancato. Sono le due del pomeriggio."  

È destabilizzante. Leggendo, si sentono le sinapsi che si sfaldano. É l'Essere che si disperde nell'Oblio.  
 
Una nuova teoria sociologica 
 
Da leggere, rileggere e incorniciare, perché sia sotto gli occhi ogni giorno e non sia mai dimenticato, è questo sublime brano che si trova nel capitolo 8 (Ritorno alle mucche):
 
"Decisamente, mi sono detto, nella nostra società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto spietato, se non di più. Tuttavia gli effetti di questi due sistemi sono strettamente equivalenti. Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l’amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che viene chiamato “legge del mercato”. In un sistema economico dove il licenziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l’adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Sul piano economico, Raphael Tisserand appartiene alla schiera dei vincitori; sul piano sessuale, a quella dei vinti. Taluni vincono su entrambi i fronti; altri perdono su entrambi i fronti. Le imprese si disputano alcuni giovani laureati; le femmine si disputano alcuni giovani maschi; i maschi si disputano alcune giovani femmine; lo scompiglio e la confusione sono considerevoli."
 
Un esempio di antiliberalismo economico, in cui il licenziamento era proibito e tutti avevano un posto: 
IL TERZO REICH. 
 
Un esempio di antiliberalismo sessuale, in cui tutti gli uomini avevano una moglie e chi non la trovava se ne vedeva assegnata una dal sovrano: 
L'IMPERO DELL'INCA. 
 
Due esperimenti sociali che si sono rivelati fallimentari. Sono stati entrambi annientati dal liberalismo, che non tollerava e non tollera tuttora alcuna vistosa eccezione al proprio dominio. E questo è quanto.  
 
Stanti le premesse sopra esposte, non ho motivo di nascondere la mia natura fallimentare. Sono un perdente che il mondo ha condannato alla solitudine e alla masturbazione. I miei pochi incontri col genere femminile mi hanno causato ferite che sanguinano ancora e che non potranno mai rimarginarsi. Le mie condizioni economiche non leniscono minimamente la mia condanna. Non c'è riscatto alla mia maledizione. Sono dannato. Rispetto alle dottrine di Marx, la teoria sociologica abbozzata da Houellebecq ha il merito di comprendere che liberalismo economico e liberalismo sessuale non sono affatto interdipendenti, come gli stolti potrebbero invece pensare: senza dubbio possiamo affermare che il secondo non è semplicemente il frutto del primo. Non solo. La stessa esistenza del liberalismo sessuale non è percepita quasi da nessuno e non è considerata un problema gravissimo da affrontare. La mia esperienza m'insegna che ci sono persone che si professano marxiste, di estrema sinistra, proletarie, rivoluzionarie, essendo però ultraliberiste in campo sessuale e senza la benché minima percezione dell'iniquità della propria condizione. In  Rete c'è persino chi è convinto che la teoria enunciata da Houellebecq non sia una novità, arrivando ad affermare che sia davvero stata applicata nel '68. Non bisogna crederci. Chi sostiene queste assurdità tira in ballo il femminismo radicale, che è un rigurgito di demenza convulsionaria i cui frutti sono aberranti. Chi sostiene queste assurdità non ha compreso affatto la portata rivoluzionaria della denuncia degli orrori dell'ultraliberismo sessuale! 
 
La sofferenza, fisica e mentale 

Houellebecq ha un'autentica fissazione per gli ospedali e soprattutto per i reparti psichiatrici. Lo attrae la macerazione nel dolore, adora descriverla, freme dalla bramosia quando comunica al lettore ogni istante di degradazione e di annichilimento dell'Essere di un individuo schiantato. Eppure sul maleficio chiamato "psicanalisi" ha le idee ben chiare fin dal principio, come mostrano questi passaggi del capitolo 8 (Ritorno alle mucche): 
 
"Con l’alibi della ricostruzione dell’io, in realtà gli psicanalisti procedono a una scandalosa demolizione dell’essere umano. Innocenza, generosità, purezza… tutto ciò viene rapidamente triturato dalle loro rozze mani. Gli psicanalisti, pinguemente rimunerati, supponenti e stupidi, annientano definitivamente nei loro cosiddetti pazienti qualunque attitudine all’amore, sia mentale sia fisico; in pratica si comportano da veri e propri nemici dell’umanità. Spietata scuola di egoismo, la psicanalisi sfrutta con agghiacciante cinismo le brave figliole un po’ smarrite e le trasforma in ignobili bagasce dall’egocentrismo delirante, incapaci di suscitare altro che un legittimo disgusto." 
 
Nonostante la sua lucidità e il suo scetticismo sulla malvagia scienza degli strizzacervelli - schifosa piaga suppurante che affligge il genere umano - il protagonista finirà stritolato in una clinica, col cervello raso al suolo da damigiane di psicofarmaci e da ogni sorta di trattamenti deleteri. Questo identico percorso infernale lo si vede nella maggior parte delle opere dell'autore francese, tanto è radicato nel suo sentire! 
 
Un clamoroso errore botanico 
 
All'inizio del capitolo 5 (Presa di contatti), è scritto quanto segue:
 
"L’applicazione di sistema si chiamava “Sicomoro”. Il sicomoro è un albero che cresce in certe regioni della zona temperata fredda, apprezzato per il legname che se ne ricava e che produce una linfa zuccherosa; il sicomoro è diffuso in particolare in Canada. L’applicazione Sicomoro è scritta in linguaggio Pascal, con taluni passaggi in C++. Pascal è uno scrittore francese del XVII secolo, autore dei celebri Pensieri. Pascal è altresì un linguaggio di programmazione notevolmente strutturato e particolarmente adatto all’elaborazione statistica, del quale avevo acquisito una notevole padronanza." 

Vediamo subito che lo scrittore francese ha fatto una marchiana confusione tra il sicomoro (nome scientifico: Ficus sycomorus) e l'acero da zucchero o acero del Canada (nome scientifico: Acer saccharum). Al sicomoro sono state attribuite le proprietà dell'acero del Canada. Una confusione non da poco. Si tratta di due alberi completamente dissimili! Com'è potuto accadere un simile errore? Si tratta di una distorsione, che ricorre quando si è soggetti a un sovraccarico cognitivo e ci si fida troppo dei concetti immagazzinati nei propri banchi di memoria stagnante, senza un costante processo di verifica. È un insidia molto subdola. Può colpire chiunque. Basta dimenticarsi di controllare ogni singolo bit di informazione e subito si insinuano contenuti distorti! E pensare che questo romanzo Houellebecq lo ha scritto nel 1994, quando il World Wide Web era ancora agli inizi e la Conoscenza la si doveva sudare!  

Curiosità 

Nel 1999 il romanzo è stato adattato in un film, Extension du domaine de la lutte, diretto da Philippe Harel. Il regista stesso è anche sceneggiatore assieme a Michel Houellebecq, oltre che attore nella pellicola, interpretando il ruolo del protagonista. Il film non è stato distribuito in Italia. Non mi risulta ne esistano versioni in lingue diverse dal francese.  

Secondo quanto riportato nella Wikipedia in inglese, il protagonista del romanzo di Houellebecq sarebbe chiamato "Nostro Eroe" ("Our Hero" in inglese, "Notre Héros" in francese). A quanto ho potuto constatare, non si la benché minima traccia di questa denominazione nella versione originale e nemmeno in quella in italiano. Ho poi potuto appurare che il wikipediano responsabile di questa informazione inesatta ha preso "Notre Héros" proprio dal film di Harel. La parola "héros" ricorre soltanto una volta, nel capitolo 3 (senza titolo):
 
"Les pages qui vont suivre constituent un roman ; j'entends, une succession d'anecdotes dont je suis le héros." 
 
Nella traduzione di Perroni, "héros" è reso con un meno poetico "protagonista"
 
"Le pagine che seguono costituiscono un romanzo; cioè, chiarisco: una successione di aneddoti di cui io sono il protagonista." 
 
Ecco un altro esempio di come le informazioni debbano essere validate, potendo contenere bachi. Purtroppo tale lavoro è molto pesante, non può essere automatizzato e non è detto che il suo esito sia sempre un successo.   
 
Possibili echi dickiani 

Durante la rilettura mi è saltato subito all'occhio il seguente brano, che appare verso la fine del romanzo: 
 
"In un altro 26 maggio, nel tardo pomeriggio di un altro 26 maggio, era avvenuto il mio concepimento. Il coito aveva avuto luogo in salotto, su un tappeto pseudo-pakistano. Mentre mio padre la prendeva da dietro, mia madre aveva avuto la malaugurata idea di allungare la mano per carezzargli i testicoli, con tanta sapienza da portarlo in breve all’eiaculazione. Mia madre aveva provato piacere, ma non un orgasmo vero e proprio. Poco più tardi, avevano mangiato del pollo freddo. Questo avveniva trentadue anni fa; a quei tempi si riusciva ancora a trovare dei polli veri." 
 
Ricordo nitidamente di essermi imbattuto in un passo del tutto simile in un romanzo di Philip K. Dick. Purtroppo non riesco più a trovare in quale. Ci sono diventato matto e ho cercato in diversi file pdf di opere dickiane, invano. Credo proprio che fosse uno dei cosiddetti romanzi "mainstream". Non era fantascienza. La descrizione era meno estesa e non vi compariva alcuna allusione a un tappeto pseudo-pakistano (che può essere solo il prodotto di manie tipicamente francesi). Vi compariva però la posizione sessuale more ferarum e la carezza sui testicoli, che produceva l'eruzione di fiotti di sperma nel canale procreativo. Era anche usata la stessa parola, "sapiente", per descrivere il massaggio gonadico. Ho avanzato l'ipotesi che la fonte dickiana fosse il romanzo "mainstream" Voci dalla strada (Voices from the Street). Tuttavia Cesare Buttaboni mi ha fatto notare che, pur essendo stato scritto nel 1952, è stato pubblicato soltanto nel 2007, anni dopo il romanzo di Houellebecq.  
 
Sottopongo la questione a chi è più esperto di me sull'opera omnia di Dick, affinché possa dirmi se quanto ho trovato è frutto di una mia memoria distorta oppure se è qualcosa di reale. In quest'ultimo caso, spero che sia possibile ritrovare l'esatto brano dickiano con la citazione completa, per poter trattare l'argomento in dettaglio in un apposito contributo.  
 
Origine del cognome Tisserand 
 
Nel capitolo 8 (L'Escale), Tisserand rivela le proprie origini ebraiche: 
 
"“A Natale non facciamo niente. Io sono ebreo,” mi informò con uno scatto di fierezza. “Cioè, i miei genitori sono ebrei,” precisò più pacatamente." 
 
In realtà Tisserand non è un cognome ebreo. Agli inizi del XIII secolo, il termine tisserand, ossia "tessitore", era sinonimo di "eretico", e più precisamente di "cataro", "dissidente dualista". Col passar del tempo questo soprannome è diventato un cognome, di cui sono note le varianti Tisserant e Tixerand. Il cognome Tisserand, particolarmente comune in Francia, si trova anche nelle Valli Valdesi del Piemonte. 
 
Dialoghi tra una mucca e una puledra 
 
Anche se le favole moraleggianti inserite da Houellebecq nel testo sono scritte davvero male, a volte vi si possono trovare contenuti molto interessanti e utili. Questo per esempio è il commento che il narratore appone a un proprio scritto, nel capitolo 2 (In mezzo ai Marcel): 
 
"Ovviamente l’allevatore simboleggiava Dio; spinto da una simpatia irrazionale per la puledra, nel capitolo successivo le avrebbe promesso la gioia eterna di numerosi stalloni, mentre la mucca, colpevole del peccato originale, a poco a poco sarebbe stata condannata ai mesti spassi della fecondazione artificiale. I pietosi muggiti del bovide si sarebbero dimostrati incapaci di mitigare la sentenza del Grande Architetto. Una delegazione di pecore mosse da spirito di solidarietà non avrebbe ottenuto risultato diverso. Il Dio messo in scena in quella novella non era, evidentemente, un Dio di misericordia."  
 
Ne condivido appieno i contenuto. Percepisco come miei fratelli tutti coloro che riescono a svelare la natura maligna del Creatore di questo Universo iniquo.

lunedì 15 luglio 2019


SEROTONINA

Autore: Michel Houellebecq
Titolo originale: Sérotonine
Anno: 2019
Lingua: Francese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Distopico, esistenziale 
Editore: La nave di Teseo
Collana: Oceani
Traduzione (in italiano): Vincenzo Vega
Traduzione (in inglese): Shaun Whiteside
Codice EAN: 9788893447393 

Sinossi (da Googlebooks):
Florent-Claude Labrouste è un quarantaseienne funzionario del ministero dell'Agricoltura, vive una relazione oramai al tramonto con una torbida donna giapponese, più giovane di lui, con la quale condivide un appartamento in un anonimo grattacielo alla periferia di Parigi. L'incalzante depressione induce Florent-Claude all'assunzione in dosi sempre più intense di Captorix, grazie al quale affronta la vita, un amore perduto che vorrebbe ritrovare, la crisi della industria agricola francese che non resiste alla globalizzazione, la deriva della classe media. Una vitalità rinnovata ogni volta grazie al Captorix, che chiede tuttavia un sacrificio, uno solo, che pochi uomini sarebbero disposti ad accettare.


Recensione: 
Il sacrificio a cui Florent-Claude Labrouste si sottopone è lo stesso che Giulio Cesare, magistralmente interpretato da John Wayne, in un vecchio film storico rinfaccia a un astronomo egiziano. In poche parole, si tratta della castrazione. Una castrazione chirurgica, nel caso dell'uomo di Scienza della corte di Cleopatra. Una castrazione chimica, ma non meno efficace, nel caso del dipendente del Ministero dell'Agricoltura. Impotenza assoluta indotta dal farmaco. Il Captorix, per l'appunto. Quando una cantante bionda e prosperosa si inginocchia davanti al protagonista nel corso di un incontro dopo tanti anni di separazione - e gli prende in bocca l'uccello - ecco che lo spermodepositore flaccidissimo non mostra segni di vita. Dopo qualche minuto d'insistenza, la fellatrice smette di lavorare il glande con le labbra e con la lingua: capisce che non c'è più niente da fare. Gli ex amanti si lasciano quindi come se tra di loro ci fosse sempre stato soltanto il più mortificante tra i possibili rapporti tra maschio e femmina: ciò che con infame eufemismo è denominato "amicizia". Com'è risaputo, l'animale che le donne più odiano è il camoscio: se si imbattono in un esemplare, serbano rancore per tutta la vita. Il teatrino mi è parso davvero buffo. Nella mia fantasia mi sono immaginato la donna con tratti simili a quelli di una melomane e grandissima cornificatrice, che ha ornato il cranio del marito di palchi colossali, da fare invidia a un cervo gigante della megafauna pleistocenica. Labrouste non è soltanto quello che il Necchi chiamava "un non trombante". Il Captorix, inutile girarci intorno, è uno strumento di lobotomia chimica. Dovrebbe limitarsi a stimolare la produzione di serotonina (l'ormone della felicità). Il sospetto è che in pratica lesioni il lobo frontale. Ecco perché impedisce di sentirsi avvolti dal nero e oleoso tocco della depressione. Così Houellebecq definisce la pillola magica partorita dal suo ingegno:      

«È una piccola compressa bianca, ovale, divisibile. Non crea né trasforma; interpreta. Ciò che era definitivo, lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile, lo rende contingente.»

E ancora:
«non dà alcuna forma di felicità, e neppure di vero sollievo, ma trasformando la vita in una serie di formalità aiuta gli uomini a vivere, o almeno a non morire, per qualche tempo.» 

L'impotenza assoluta è un effetto collaterale che nessuno a quanto pare sa spiegarsi, un'ironia del Diavolo. Lo scrittore francese tenta persino un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica o, meglio, di pseudospiegazione scientifica. Lo stravagante dottor Azote, il cui cognome significa "Senza Vita", rivolge queste parole al suo paziente: 

«Comunque vorrei che facesse un prelievo di sangue, per controllare il tasso di testosterone. Di norma dovrebbe essere bassissimo, la serotonina prodotta per mezzo del Captorix inibisce la sintesi del testosterone, contrariamente alla serotonina naturale, non mi chieda come mai perché non se ne sa niente.» 

Eppure, anche seguendo questa terapia, il misero travet è ben lungi dall'essere diventato un puffo! Continua a vedere il mondo come l'ammasso escrementizio che è.

«In Occidente nessuno sarà più felice, pensava ancora, mai più, oggi dobbiamo considerare la felicità come un’antica chimera, non se ne sono più presentate le condizioni storiche.» 

Una lucida quanto annichilente disamina della nostra condizione. Apparteniamo a una civiltà moribonda, il cui exitus non è lontano. Crolleremo sotto il peso di infinite criticità. Senza contare una cosa che forse potrà apparire banale ma non lo è. Chi ha detto che abbiamo il diritto di essere felici?    

Una nipponica antropofaga e genocida    

Il protagonista ha un crollo esistenziale quando scopre la verità sulla sua compagna, la giapponesina di nome Yuzu. La donna d'Oriente ha lasciato traccia delle sue imprese erotiche in alcuni densi filmati in formato mp3, che inviava alle sue amiche. Praticava le gangbang spermatiche: decine di uomini si masturbavano intorno a lei nuda e inginocchiata, per poi scaricarsi a turno nella sua bocca e sulla sua faccia. Lei ingurgitava il liquame seminale, uccidendo milioni di spermatozoi nell'acido del suo stomachino, per poi avviarli con la peristalsi alle fetide caverne del suo ventre serico, finendo col trasformarli tutti in merda! Prendeva l'essenza stessa di ogni uomo, ciò che contiene tutte le istruzioni per replicarne una copia, un clone, quindi con un'operazione di Magia Nera degradava tale codice genetico, riducendolo a scoria, a schifosissima abominazione. Quando un amante si accingeva a leccare l'ano di Yuzu, sul roseo sfintere c'erano particelle microscopiche che recavano traccia della degradazione stercorale degli homunculi inghiottiti! Questi esserini agonizzanti, destinati a morire asfissiati già al loro scaturire nella bocca della donna, dopo qualche ora fuoriuscivano come terriccio pastoso dall'orifizio tanto desiderato da altri uomini ansiosi di sburrare, rinnovando il ciclo del sacrificio a Moloch! Non basta. La giapponesina non si limitava ad amanti umani. Si faceva possedere carnalmente da grossi cani! Mentre ciucciava la rubizza virilità di un esemplare robusto, credo un pitbull, un altro animale nerboruto, se non erro un alano, faceva scivolare i suoi corpi cavernosi nella vagina accogliente della ninfomane nipponica. Alla fine usciva il materiale genetico canino. Anche in questo caso gli spermatozoi eiettati nel cavo orale venivano trangugiati a boccate e condotti nel loro luogo di digestione, verso la nemesi dell'assimilazione e del rifiuto. I caldi girini che inondavano il vaso procreativo, nell'impossibilità di fecondare un ovulo, morivano tutti soffocati, lentamente, in un'agonia estenuante. E pensare che Labrouste è sempre stato perplesso dalla complessità e dalla stranezza della vulva della sua compagna. Per questo motivo preferiva consumare la sua vita di coppia intrudendo il fallo nel retto femminile ben lubrificato. Le papule sul glande subivano lo sfregamento con le aspre superfici degli stronzi formati nell'ultimo tratto intestinale e già pronti all'evacuazione. Scavando nell'anfratto merdoso, ecco che il miracolo si ripeteva ogni volta: una marea di seme invadeva la spelonca stercoraria, tingendosi di bruno da candida che era, contaminandosi e consumandosi in un'ecatombe inenarrabile di creature uccise. Crema di aborti mista a bruttura fecale! Ovviamente mi faccio beffe della dottrina dell'homunculus, professata dai tristi fetolatri di Verona: reputo il seme un po' di muco che esce da un budellino. Ho però dimostrato che è possibile utilizzare la morte degli spermatozzi (sic) per produrre bizzarre creazioni letterarie, che dovrebbero far meditare sulla nullità della natura umana. Tra i pochi lettori capitati qui per caso, spero che qualcuno abbia avuto un'erezione leggendo queste righe morbose.

Etimologia di Captorix 

Trovo davvero bizzarro l'aspetto fonetico del nome del farmaco houellebecquiano, che ricorda i famosi antroponimi celtici in -rīx "Re". Possiamo ricostruire un antroponimo gallico *Caχtorīx "Re dei Prigionieri" (-χ- trascrive una forte aspirazione): la cosa è ancor più sorprendente dal momento che *caχtos "prigioniero; schiavo" (antico irlandese cacht, gallese caeth) è proprio la naturale evoluzione di un precedente *captos, che troviamo anche nel latino captus "preso" e captīvus "prigioniero". L'antroponimo gallico trascritto come Moenicaptus dimostra che il gruppo -pt- era conservato in qualche variante della lingua: ecco che *Captorīx diventa un nome del tutto credibile! Sarà un purissimo caso? Non mi si dica che Houellebecq conosce il gallico! Come mai anche in autori che non sembrano avere conoscenze di lingue antiche, paiono emergere frammenti di nozioni occulte che hanno tutta l'aria di provenire da mondi perduti? Caso? Coincidenze? Sincronicità junghiana? Entanglement quantistico? Oppure queste cose accadono perché la vita che viviamo non è altro che un incubo delirante? Ne sono sempre più convinto: quest'ultima è la spiegazione giusta. Forse un giorno mi sveglierò e capirò tutto!

L'istinto del leone 

A un certo punto, allo scopo di riconquistare una sua vecchia fiamma, Labrouste è preso da una forza irresistibile quanto aberrante. Vuole uccidere il figlio piccolo della donna, un'affascinante morettina, sperando assurdamente di poter indurre in lei il calore e di poterla così fare nuovamente sua. Studia tutto nei minimi particolari: si reca in un albergo abbandonato che si trova non lontano dalla casa in cui la sua amata vive col figlio, per poter colpire il giovanissimo con un fucile di precisione e stroncare la sua vita. Proprio quando l'orrido piano sembra scattare e andare in porto, subentra un tremore della mano che lo fa fallire. L'uomo è preso da una subitanea onda d'orrore e si ritrae. La forza inumana che lo aveva posseduto fino a pochi istanti prima si è ormai dileguata per sempre. È proprio quella stessa forza che spinge i maschi dei leoni a trucidare i cuccioli che la leonessa ha generato in precedenti relazioni! Cosa sperava di ottenere in realtà? Credeva davvero che tutto si sarebbe aggiustato se avesse compiuto l'infame delitto? Non si rendeva neanche più conto di essere impotente a causa del Captorix? In realtà lui voleva vendicarsi. Voleva punire la donna che lo aveva abbandonato per concepire un figlio con uno sconosciuto, agendo spinta dal Genio della Specie. Con questa scelta, lei aveva rifiutato il suo ex amante, dichiarandone il fallimento biologico. Lo aveva marchiato con un epiteto che brucia anche dopo decenni: SFIGATO.

L'estinzione del ceto medio 

Serotonina non è soltanto un affresco a tinte foschissime di questo malaugurato presente: è anche un geroglifico di un futuro ben più spaventoso che incombe su tutti noi. Descrive un fatto che può essere considerato un portento funesto per l'intero Occidente: il declino del ceto medio. Questa classe sociale di grande importanza langue sempre più in situazioni critiche e si avvia verso l'annientamento. Credo che la cosa sia sotto gli occhi di tutti. Molti anni fa lessi su un libro di storia romana qualcosa che mi colpì in modo profondo. Secondo l'autore, Carlo Bornate (1871 - 1959) uno dei segni del declino dell'Impero Romano fu la scomparsa dell'ordine equestre. Proprio gli Equites, ossia i Cavalieri, costituivano il ceto medio di Roma. Si collocavano a metà strada tra i plebei e i patrizi, costituendo una specie di cuscinetto che attutiva le frizioni sociali. Era proprio l'ordine equestre a permettere l'esistenza e la tenuta dell'ascensore sociale, quel mirabile meccanismo che evita la stagnazione con tutte le sue funeste conseguenze. Fame, tumulti, tirannia e peste! Possiamo ben capire che dal blocco dell'ascensore sociale scaturisce sempre la rovina: poveri sempre più poveri e senza garanzia alcuna di potersi sostentare, plutocrati sempre più ricchi e strapotenti. Piove sul bagnato e altrove imperversa la peggiore siccità. I Gilets jaunes non sono poi così diversi dai Bagaudae dell'epoca imperiale, dal momento che si sono formati dallo stesso ribollente calderone di insicurezza e di disperazione. Ora come allora la causa ultima del disastro è soltanto una: la globalizzazione.  

Un goffo predatore sessuale 

Tra le tante cose strane, Houellebecq descrive un esemplare di paedoraptor. Non si tratta di un rettile preistorico come il velociraptor che tutti abbiamo visto nella saga di Jurassic Park. A prima vista il predatore è in tutto e per tutto simile a un professore tedesco sulla quarantina, che fa sfoggio di un certo lusso. Labrouste si imbatte in lui nel corso di una vacanza nel Cotentin. Non fa la sua conoscenza di persona, certo, si limita a guardarlo da lontano col binocolo. Così scopre che ogni giorno il paedoraptor accoglie nel suo bungalow una bambina sui dieci anni. La giovinetta dà l'impressione di essere avvezza a questo tipo di rapporti. Evidentemente ha appreso come fare qualche soldo manipolando gli uccelli. Così Labrouste approfondisce le indagini, fino ad approfittare dell'uscita del predatore, penetrando così nel suo bungalow, che era stato lasciato aperto. Qui si mette alla tastiera del computer, ovviamente non protetto da password alcuna, accedendo così al materiale pedoporno come se nulla fosse. Il professore tedesco rientra in quel mentre e trova l'intruso, ma non può ovviamente far valere il proprio diritto alla privacy. Labrouste biascica che non parlerà, che non lo denuncerà, approfittando della sorpresa dell'altro per fuggire via a gambe levate. Di lì a poco il pedosauro balza sulla macchina e fugge via con addosso un terrore folle. Si converrà che tutto l'impianto narrativo è a dir poco implausibile.    

Un gravissimo errore 

Vantando la sua smisurata cultura musicale ed elargendola con generosità ai bibliofagi, il geniale Houellebecq scivola su un grosso pezzo di sterco. Per la precisione si tratta di una gigantesca torta di vacca. Certo, non sarà appetitosa come i grassi e unti dolciumi di Gianni M., ma comunque meglio non calpestarla. Unico in tutto il Web ad aver notato la marchiana incongruenza è l'amico C., ossia Cesare Buttaboni. In poche parole riassumo l'accaduto. Quando Labrouste incontra dopo tanti anni il suo compagno di sventure universitarie, il gagliardo normanno Aymeric Florent, i loro discorsi virano sulla musica. A un certo punto il protagonista descrive la passione del nobile per i Pink Floyd e menziona Ummagumma come "il disco della mucca". Cosa c'è di sbagliato? In fondo tutti noi ricordiamo un famoso disco dei Pink Floyd con una bella mucca pezzata in copertina. Il punto è che quel disco non si intitola Ummagumma. Come giustamente il Buttaboni mette in evidenza, è sulla copertina di Atom Heart Mother che compare il famigerato bovino dal manto bianco e nero, dotato di smisurate ghiandole lattifere! Ecco a voi la recensione buttaboniana, la cui lettura raccomando vivamente a tutti:


La domanda che mi pongo è questa: davvero un sapiente come Houellebecq ha potuto commettere un simile svarione? A parer mio, anche se non ne ho prova alcuna, lo ha fatto apposta. Ha ingannato volutamente i lettori. Il motivo non è difficile da comprendere. Noi viviamo ormai un'intera esistenza navigando nel Web ma non sappiamo davvero nulla. Sono passati da un pezzo i tempi in cui la conoscenza la si doveva sudare! Internet è diventato una protesi del nostro cervello, ma il suo funzionamento è fallace. Questo ci vuole insegnare Houellebecq: "Io posso inserire un'informazione falsa, ad esempio posso dire che I miserabili è un romanzo di Alexandre Dumas padre, perché tanto ciò che ho scritto se lo berranno tutti, come una fellatrice spermatofaga manda giù una boccata di sburra da uno sconosciuto in un glory hole!"  

Etimologia di Yuzu  

Mark Montagna di Zucchero, col suo solito paternalismo, ha provveduto a rendermi edotto sull'origine del nome della giapponesina spermatofaga e bestialista erotica. Mi è infatti apparsa, un giorno, la pagina di un sushi bar milanese che pubblicizzava un sake assai peculiare, il cui nome era proprio Yuzu. Si spiegava che yuzu in giapponese è il nome dato a un agrume simile al bergamotto e alla leggera bevanda alcolica che se ne ottiene. La parola in questione, scritta ユズ o 柚子, è un prestito dal coreano yuja (유자), che a sua volta proviene dal cinese yòuzi (柚子) "pomelo". Il peculiare agrume, il cui nome scientifico è Citrus junos, sarebbe originario della Cina centrale e del Tibet, dove cresce anche allo stato selvatico. Sarebbe un ibrido tra il mandarino (Citrus reticulata) e il limone di Ichang (Citrus ichangensis). Durante la dinastia Tang (618 - 907 d.C.) fu introdotto in Corea e quindi in Giappone. Proprio nel Paese del Sol Levante sono state selezionate alcune varietà della pianta, a fini ornamentali Una di queste varietà è chiamata yukô (日本語) e non si trova altrove; lo yuzu fiorito (hana yuzu, 花柚子) è coltivato per i suoi fiori, belli e profumati, mentre lo yuzu leone (shishi yuzu, 獅子柚子) ha frutti con una spessa scorza nodosa.

Microrecensioni e reazioni nel Web

Sul sito www.ibs.it numerosi lettori hanno espresso le loro opinioni. Ce ne sono davvero tante e sono piuttosto eterogenee, mi limito a riportarne alcune: 

Raffaele ha scritto: 

"Libro che divide. O si ama, o si odia."

Simone ha scritto: 

"Houellebecq ha perso mordente. Certo, la sua scrittura asciutta e dissacrante riesce ad evitare la noia, e tutto sommato si legge bene. Però non succede nulla. Ma veramente nulla, nonostante per tutto il tempo ci si attenda un qualcosa che sembra essere nell'aria. Evitabile, a meno che non si sia realmente suoi fan. Ed io lo sono."

Ruud ha scritto:

"La lettura di Houellebecq è sempre spiazzante e disturbante: al di là del continuo e costante indugiare sul sesso, le storie dello scrittore francese costituiscono una veritiera rappresentazione delle nevrosi dell'uomo occidentale moderno, anche ripetutamente profetica per certi versi." 

Antonio Iannone ha scritto: 

"La depressione deprime, per utilizzare una tautologia, ovvero: costringe gli uomini a osservare, non con il nichilismo divertito che tanti consensi brandisce, bensì con la crudezza di un “cuore messo a nudo” l’annientamento di qualsiasi prospettiva. Florent-Claude sopprime una-per-una tutte le possibilità della vita; quelle che non sopprime, sopprimono lui. Il lamento si fa ecolalico, diviene a tutti gli effetti allarme del male. «Non bisogna lasciar crescere la sofferenza oltre un certo livello», confida. Non resta che la fuga, geografica, psichica: romanzesca. "Serotonina" è forse l'opera più narrativa di Houellebecq." 

Carmine ha scritto: 

"Romanzo depresso e deprimente, senza trama nè struttura, una manciata di argomenti buttati dentro a caso (pedofilia, quote latte, psicofarmaci) ma che non hanno la forza di essere provocatori. Un protagonista sempre sull'orlo del suicidio che a un certo punto sarebbe auspicabile, soprattutto quando vorrebbe uccidere un bambino (cosa totalmente senza senso, anche all'interno di un contesto già abbastanza privo di senso). Serotonina è un capolavoro? No, semplicemente Houellebecq non ha più niente da dire, il suo pensiero era già tutto nei romanzi precedenti. Solo con dei contorsionismi intellettuali è possibile attribuire un significato a questo brutto romanzo."

Lorenzo ha scritto:

Sarà ormai ripetitivo, quello che volete, ma un libro di Houellebecq rimane un libro di Houellebecq: da leggere.