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domenica 20 ottobre 2019


PASTORALE AMERICANA
  (romanzo)

Titolo originale: American Pastoral
Autore: Philip Roth
1ª ed. originale: 1997
1ª ed. italiana: 1998
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Biografico
Sottogenere: Condizioni sociali, conflitto generazionale,
     antisemitismo
Lingua originale: Inglese
Editore italiano: Einaudi
Codice EAN: 9788806218034
Pagine: 462 pp.
Formato: Brossura
Traduttore in italiano: Vincenzo Mantovani
Traduzioni del titolo:
    Francese: Pastorale Americaine
    Spagnolo: Pastoral Americana
    Tedesco: Amerikanisches Idyll
    Polacco: Amerykańska sielanka
    Ceco: Americká idyla
    Finlandese: Amerikkalainen pastoraali
    Ebraico (moderno): פסטורלה אמריקנית
    Persiano: نغمه آمریکایی


Riconoscimenti:  
Vincitore premio Pulitzer per la narrativa 1998
"Un libro che demolisce ogni stereotipo sulla grandezza dell’America e getta una luce sinistra sui suoi valori fondanti. La guerra, la famiglia, il fanatismo, la crisi, sono raccontati da Philip Roth con profondo acume. Un libro che è stato definito da tutti “Il grande romanzo americano”. E lo è."


Sinossi (da www.amazon.it): 
Seymour Levov è un ricco americano di successo: al liceo lo chiamano "lo Svedese". Ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e gioie familiari. Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam non coinvolgono anche lui e l'adorata figlia Merry, decisa a portare la guerra in casa, letteralmente. Un libro sull'amore e sull'odio per l'America, sul desiderio di appartenere a un sogno di pace, prosperità e ordine, sul rifiuto dell'ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.

Risvolto:
Nathan Zuckerman, consueto alter ego letterario di Philip Roth, racconta questa volta
la storia di un suo compagno di scuola, Seymour Levov, come lui di origine ebraica, sebbene di pelle tanto chiara da essere soprannominato "lo Svedese". Negli anni Cinquanta, Seymour incarna l'ideale dell'americano perfetto: sportivo eccellente, ottimo imprenditore, rispettoso della legge e orgoglioso del suo paese, nonché marito di Miss New Jersey e padre felice di una bambina. Ma proprio la figlia Merry, una volta divenuta adolescente, vestirà i panni di una Storia che si vendica implacabilmente su chi non ne capisce il senso profondo e le trappole che esso appronta: nell'America dilaniata dalla guerra del Vietnam e dal conflitto razziale, Merry si incaricherà di mandare in pezzi con un gesto estremo il sogno di felicità, di ordine e di prosperità cui il padre aveva dedicato la vita. Pubblicato nel 1998, Pastorale americana è ormai considerato il capolavoro di Roth. Dramma con elegia, grottesco e commozione, satira e flusso di coscienza, vi si alternano e fondono in un registro originalissimo, capace di offrirci uno spietato ritratto della civiltà americana in un momento critico della sua storia, e insieme di farci riflettere e commuovere sulla condizione umana. La perdita del Paradiso che Seymour sconta in prima persona proietta la sua ombra lunga e minacciosa sul destino di ognuno; e la pietà che l'autore discretamente concede al suo personaggio può divenire in modo inquietante pietà per noi stessi, e per le nostre supreme inconsapevolezze.

Trama sintetica:
Old Rimrock, un luogo della desolazione rurale americana. Alla lettera il toponimo significa "Vecchia Roccia della Leccata di Culo". All'improvviso in quel borgo insignificante arriva la guerra. La giovane Meredith "Merry" Levov, ragazzina iraconda e fortemente politicizzata, rifiuta l'estrema razionalità e la pacatezza del padre Seymour. Rifiuta ogni tentativo di cambiare il mondo servendosi delle istituzioni democratiche. Nelle sue frequentazioni a New York è stata contagiata dal veleno, dal ribollire di quello stesso calderone purulento da cui sarebbe scarurito anche il politically correct con tutte le sue funeste conseguenze. Così la rivoluzionaria decide di attuare i suoi progetti omicidi proprio a Old Rimrock, facendo saltare per aria con una bomba l'emporio degli Hamlin, con annesso ufficio postale. Nell'esplosione il gestore rimane ucciso sul colpo. A causa dell'accaduto, Merry fa perdere ogni traccia di sé, si dà alla latitanza. Inutilmente i Federali cercano di snidarla. Soltanto dopo molti anni Seymour lo Svedese riesce a ritrovare la figlia ribelle, solo per scoprire che sopravvive in uno stato di estremo degrado, in mezzo all'immondizia. La sua esistenza è qualcosa che va oltre il limite estremo del concepibile da mente umana. Sguazza negli escrementi. Si copre il viso con un calzino sudicio, i suoi denti guasti esalano i miasmi di una fossa comune. Si è convertita alla religione giainista, dopo anni di vita da terrorista in cui ha provocato la morte di diverse vittime innocenti e ha subito un gran numero di stupri. Questa conversione ha annientato l'esistenza della giovane. Il padre si illude di poterla recuperare, ma ogni suo tentativo è destinato a non sortire alcun esito.      

Recensione:
Tutto ha inizio con alcune considerazioni di grande disonestà intellettuale, reperibili nelle prime pagine del romanzo. L'autore, Philip Roth, decantato ovunque come uno dei massimi ingegni letterari dell'Umanità, vorrebbe farci credere che la popolazione ashkenazita sarebbe costituita da gente dalla pelle scura come quella dei Mandingo. Newark come Kinshasa, come Gaborone. Egli vorrebbe farci credere che Seymour Levov lo Svedese, con la sua complessione nordica, i suoi occhi chiari e la sua chioma biondiccia, fosse una specie di mosca bianca. Sì, riesco quasi a leggere nella mente di Roth pensieri che sembrano partoriti dalla mente di Julius Streicher. Persino tra i ditteri più molesti, le mosche, a volte nasce un esemplare albino: ecco come in sostanza ci viene spiegata l'origine dello Svedese. E dove diamine sta scritto che gli Israeliti avrebbero la pelle scura? Pochi sembrano aver capito che lo scrittore di Newark, morto nel 2018, ha diffuso idee antisemite. Pur essendo ebreo. Perché tutto questo? Semplice. Roth era pieno di livore e di risentimento verso i propri genitori iperprotettivi, oppressivi, morbosi, giungendo così ad odiare a morte la sua stessa stirpe. Certo, Pastorale americana non raggiunge gli spaventosi eccessi del Lamento di Portnoy, i cui contenuti non sono da meno di quelli di Der Stürmer e dei Protocolli dei Savi di Sion. Il popolo dei lettori compulsivi e bulimici, futile e stupido quanto arrogante, non se ne rende conto. Non ho mai udito una sola voce di dissenso. Tutti si inchinano, leggono Lamento di Portnoy e Pastorale Americana con venerazione e dicono che questa roba farebbe bene al Popolo di Israele.

Un'ambigua premessa 

In realtà tutto cià che leggiamo della biografia di Seymour Levov lo Svedese è frutto dell'immaginazione dello scrittore Nathan Zuckerman. Questi si è servito dei suoi ricordi di scuola e di articoli di giornale per fabbricare l'ossatura della sua opera. Tutto il resto lo ha plasmato con la fantasia. Il lettore è quindi avvertito. È tutto fittizio. Quella che sta leggendo non è una vera biografia, bensì una pseudo-biografia che appartiene al vasto reame delle distorsioni percettive. Forse è proprio questa tecnica narrativa a destare il risentimento di Jerry Levov, lo scorbutico fratello minore dello Svedese, che leggendo gli scritti zuckermaniani non riesce a riconoscervi la vita reale e la personalità del proprio caro defunto. A un certo punto lo stesso Zuckerman, così abile nel destrutturare le fondamenta stesse della realtà, si dilegua in una nuvola quantistica di disinformazione. Quindi cosa resta al lettore quando ha raggiunto la conclusione di Pastorale americana? Non rimane nulla. Rimane soltanto il Nulla.

Integrazione etnocidaria

Sappiamo tutti che gli Stati Uniti hanno le loro fissazioni politiche e propagandistiche. Una di queste è il cosiddetto melting pot, alla lettera "crogiolo" o "calderone". La locuzione indica un modello di società in cui le diverse componenti etniche, culturali e religiose si amalgamano costituendo un'identità comune. Il punto è che questa identità comune si forma tramite l'annientamento delle singole identità di partenza. Un processo a cui possiamo dare soltanto un nome: etnocidio. In questo marasma, vige la legge del più adatto. Chi ha successo prospera e si espante, chi rimane indietro langue, finisce emarginato e muore di inedia. Ecco il tipico modello americano di integrazione: darwinismo sociale allo stato puro! Il nonno dello Svedese Levov arriva in America dall'Ucraina (il suo cognome è derivato dalla città di Leopoli, in russo L'vov e in ucraino L'viv). Non intende una sola parola di inglese, l'unica lingua che parla è lo yiddish. Consuma anni di dura esistenza a fare il raschiatore di pelli in una conceria. Suo figlio è già bilingue, si adatta alla perfezione alla nuova realtà e riesce ad avere successo - tanto che arriva a rilevare l'azienda in cui il padre aveva sofferto una dura condizione di schiavitù. Veniamo dunque allo Svedese Levov, questo gigante biondiccio venerato da tutti come l'incarnazione del Sogno Americano. Favorito dal Destino in ogni aspetto del suo essere: ha un fisico invidiabile, intelligenza e grande intraprendenza. Usando una parola macedonia, potremmo dire che egli è una specie di rinovallo, un animale che unisce la forza del rinoceronte alla velocità del cavallo. Riesce a conquistare una donna bellissima, una modella di origine irlandese che è stata Miss New Jersey e che per poco non ha vinto il titolo di Miss America. Mentre il padre è attaccatissimo alla tradizione ebraica ashkenazita, lo Svedese è perfettamente integrato nella società WASP (White Anglo-Saxon Protestant). Crede nei suoi valori borghesi, ne è impregnato fin nel midollo. Forse non parla nemmeno più correntemente lo yiddish, ne conosce soltanto qualche parola o qualche frase sentita in casa dai genitori. Non è in sostanza interessato alla religione, la parola kosher per lui non significa niente. In fondo all'americano medio per essere OK basta credere in un'Entità Superiore, astratta, impersonale, e chiamarla "Dio". Se anche questa Entità è God Zilla, va bene lo stesso. La moglie dello Svedese è di origine irlandese e non è nemmeno ebrea. Alla figlia Merry non viene data un'educazione religiosa (il suo periodo di fervore cattolico, trasmessole dalla nonna materna, durerà poco). Seymour si identifica con Giovannino Semedimela (Johnny Appleseed), credendosi l'incarnazione stessa della felicità. Eppure qualcosa nella sua vita perfetta va storto, in modo inatteso e imprevedibile, come se un fulmine a ciel sereno ne avesse incendiato le fondamenta. Da uno spermatozoo dell'uomo e da un ovulo della moglie ha origine un embrione, destinato a diventare un feto e a farsi strada nel canale procreativo fino a vedere la luce del Sole di Satana. Proprio questa bambina, con tutte le sue stranezze, con la sua balbuzie destabilizzante, con la sua ipersensibilità e la sua predisposizione per le idee più folli, rappresenta il grimaldello che permette alla tragedia di fare la sua irruzione nella vita dei Levov. Come la carie intacca lo smalto di un dente e raggiunge infine la polpa, così il seme piantato da un destino avverso penetra nell'edificio in apparenza splendido del Sogno Americano, lo corrompe, lo fa incancrenire e lo manda in rovina.

Numeri  

A volte, leggendo Roth, mi domando come mi troverei se dovessi essere un ashkenazita americano. Ebbene, scoprirei con sgomento che ogni uomo della comunità, più che dal nominativo, è caratterizzato da due secchi numeri che definiscono tutto il suo intrinseco valore. Il primo di questi numeri rappresenta il numero dei figli, il secondo rappresenta il numero dei nipoti. Se un uomo è un 3, 5, significa che ha avuto 3 figli e 5 nipoti. Per avere maggiori informazioni, vengono forniti altri numeri: quelli degli anni dei figli e dei nipoti. Così se un uomo è un 3 (anni: 35, 26, 20) e un 5 (anni: 12, 10, 8, 8, 6), significa che ha tre figli rispettivamente di trentacinque, ventisei e venti anni, più cinque nipoti rispettivamente di dodici, dieci, otto, otto e sei anni. Una bella cabala, certo. Che dovrei dunque dire? Che sono uno 0, 0. Zero figli e zero nipoti: nessuna discendenza. Una condizione che per il Popolo Eletto rappresenta la massima maledizione. Per loro io sono maledetto dal Creatore, perché non ho seminato e non ho avuto un raccolto. Mi detesterebbero, se sapessero della mia esistenza, perché sono in guerra contro quel Creatore che adorano. Vero è che anche il narratore, Nathan Zuckerman, dietro cui si cela lo stesso Philip Roth, afferma non aver avuto figli né nipoti. Dunque è uno 0, 0. Però lui ha una buona scusa: è stato debilitato da un'operazione di quintuplo bypass. Forse viene tollerato in virtù della sua irrilevanza, come se fosse soltanto un'ombra del passato. I pochi che si ricordano di lui lo perculano, etichettandolo come "segaiolo". E pensare che lo Svedese Levov che fa rima con Love per un pelo non è diventato egli stesso un insignificante 1, 0! Solo una figlia e per giunta bacata, una piccola assassina inadatta a dargli dei nipotini. Nessuno avrebbe mai chiamato "doddo" l'atletico gigante, se non fosse stato per il fallimento del suo matrimonio con la Miss America mancata. Come ha scoperto la moglie nell'atto di farsi penetrare da tergo, ecco che ha preso coraggio, ha divorziato ed è riuscito senza troppe difficoltà a trovare una nuova moglie, ashkenazita e più fertile, in grado di dargli una progenie numerosa e sana. 

Strategie evolutive

Bill Orcutt è senza dubbio uno dei personaggi più stravaganti del romanzo. Rappresenta la società WASP, pur essendone un esponente a dir poco atipico. Va per diporto al cimitero, come l'Amleto di Petrolini. Tuttavia non lo fa per qualche macabra disposizione o per una larvata forma di necrofilia, ma per poter vantare il suo albero genealogico, esibendo le tombe dei suoi avi al vicinato - giungendo al punto di organizzare allo scopo vere e proprie gite domenicali! Ogni scusa è buona pur di soddisfare il suo ego ipertrofico, torrenziale, ipereccitabile, sempre sul punto di esplodere inondando gli astanti con palate di sperma verbale.  Le sue velleità artistiche sono caratterizzate da un gigantismo che di certo non corrisponde al suo genio: il suo talento è quasi inesistente. Gesticola, veste in modo sgargiante e si ha l'impressione che sia una specie di pseudo-effeminato mimetico. Spacciandosi per un uomo poco virile e non interessato alle donne, riesce ad avvicinarle, a diventarne pian piano un confidente, lavorandole come la goccia che scava la roccia, quindi non fa troppa fatica a far loro abbassare le difese, approfittandone infine per penetrarle. Usando queste sofisticate macchinazioni, Bill Orcutt conquista la bellissima Mary Dawn Dwyer e la fa sua more ferarum, le depone il genetico nella matrice, proprio davanti agli occhi dello Svedese pietrificato, ormai ridotto a un semplice cornuto. Sono convinto che Piero Angela darebbe a tutto questo una spiegazione eminentemente evoluzionista, sentendosi felice per aver applicato una conveniente etichetta razionale a qualcosa di irrazionale.

Incesto

In quale preciso istante è andato in frantumi il mondo idilliaco dello Svedese? Lui stesso ne parla, attribuendo la catastrofe a una colpa iniziale, originatasi nello stesso istante in cui ha dato alla sua giovane figlia un bacio alla francese, ritraendosi subito inorridito per essersi macchiato del tabù dell'incesto. Proprio lui, che in buona sostanza è estraneo al concetto stesso di fede religioso, cade stritolato dall'immenso macigno della sua eredità biblica. Lei aveva undici anni, lui ne aveva trentasei. Lei era una bambina impubere: tecnicamente si può dire che quello sia stato un atto di pedofilia. "Baciami come b-b-baci la m-mm-mmamma". Quella richiesta di Merry era stato l'inizio di tutto? "Cosa non aveva funzionato in Merry? Cosa le aveva fatto, lo Svedese, di male? Il bacio? Quel bacio? Così abominevole? Come poteva un bacio fare di una persona un criminale? Le conseguenze del bacio? L'allontanamento? Era quello l'abominio?" E ancora: "Che la causa fosse quella? E se non ci fosse stata nessuna causa?" La stessa Merry ha fantasticato per anni su quel bacio. Lo si capisce quando lo Svedese incontra nella stanza di un hotel la ricattatrice Rita Cohen, una rivoluzionaria amica di Merry. Così accade qualcosa di incredibile: la Cohen apre le gambe e mostra con insistenza il cunnus all'uomo, masturbandosi, invitandolo ad assaggiare quel pertugio, a penetrarla. Si porta le dita alle labbra e le lecca con lascivia dopo averle immerse nelle proprie parti intime, e tartagliando gli dice che hanno lo stesso sapore di sua figlia. Roth fa una dettagliata descrizione di questo lubrico episodio, così efficace da convincermi che Rita Cohen fosse in realtà Merry Levov travestita con una parrucca nera e un trucco tanto sofisticato da poter ingannare persino suo padre! In effetti non è poi così improbabile che sia proprio così. Le due rivoluzionarie non compaiono mai insieme. Non c'è il minimo straccio di prova che si tratti di due persone diverse. Quando lo Svedese trova la figlia in una fogna da Inferno dantesco, le chiede informazioni su Rita Cohen, ma lei nega di sapere chi sia. Semplice: Rita Cohen e Merry Levov sono la stessa persona! La figlia sperava veramente di fornicare col suo stesso genitore, di consumare una copula incestuosa!

Il primo pompino  

Non poteva mancare in un'opera rothiana qualche pruriginoso dettaglio erotico, qualche passo pornografico. L'autore si diverte a spiare nella vita intima dei personaggi a cui ha dato vita. Gongola scrivendone, lo si percepisce in modo chiaro. Apprendiamo così che lo Svedese era un gran fottitore, dotato di una straordinaria resistenza, capace di copulare per ore per poi perdere il controllo rilasciando fiotti impetuosi di fluido genetico. Questa perdita di controllo, dovuta all'ineluttabilità della fisiologia, viene considerata quasi un'incoerenza, come se contraddicesse la pacatezza e la ragionevolezza estrema del personaggio, sempre padrone dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri. Eppure a un certo punto prende coraggio e si mette a leccare la vulva della moglie, donandone l'orgasmo. Lei rimane sconvolta, non avrebbe mai immaginato che qualcosa di simile potesse esistere. In fondo quando era un'educanda in un collegio cattolico, le avevano fatto credere che anche gli uomini avessero tra le gambe la fessurina, così pensava che quella fosse una "parte vergognosa", che anche soltanto pensarci fosse peccato. Ancora in preda agli ultimi echi della delizia, chiede al marito se lo aveva mai fatto prima di allora a qualcun'altra. Lui le risponde di no, che non lo aveva mai fatto a nessuna. A questo punto le immerge la faccia tra le chiappe, leccandole con infinita avidità l'orifizio anale:

"Era solo sopraffatto dal desiderio di fare qualcosa di più, e così le sollevò le natiche con una mano e si portò il suo corpo alla bocca. Per affondarvi il viso e andare. Andare dove non era mai stato prima. Estaticamente complici, lui e Dawn."

Deliziata dalle leccate ricevute, lei a un certo punto decide di ricambiarlo praticandogli la fellatio:

"Non aveva motivo di credere che Dawn lo avrebbe mai fatto per lui, naturalmente, e poi, una domenica mattina, lei lo fece e basta. Non sapeva che cosa pensare. La sua piccola Dawn con la bocca piccola e bellissima intorno al suo cazzo. Lo Svedese era sbalordito. A dire la verità, lo erano tutt'e due. Perché era un tabù per entrambi. Da allora in poi andò avanti così per anni e anni. Non cessò mai."

Nessuna glielo aveva mai fatto. Nessuna glielo aveva mai preso in bocca. I successi sportivi, sociali e imprenditoriali dello Svedese contrastano in modo stridente con la sua quasi assoluta mancanza di esperienza sessuale. La prima volta che si è giaciuto con la moglie, è stata anche la prima volta che ha penetrato una bernarda. Al massimo aveva fatto qualcosa di molto soft, qualche bacio con la lingua e qualche masturbazione, con una prostituta e con una ex fidanzata davvero effimera, durante il servizio militare. Del resto, quella era l'America piena zeppa di divieti e di pruderie, sessualmente handicappata. Nel brano sopra riportato sul primo pompino di Seymour Levov si coglie comunque una piccola contraddizione, solo in apparenza insignificante. Quel "non cessò mai" non ha senso, dato che i rapporti della coppia si sono incrinati e ne è infine risultato il divorzio. Oggi queste idiosincrasie sarebbero qualcosa di inconcepibile. Posso dire di essere testimone di tempi in cui le cose in Italia non erano poi molto diverse da quanto estrapolabile dalla lettura di Roth. Poi è cambiato tutto, in modo vorticoso. In questo inizio del terzo millennio la bocca è ritenuta come il posto più facile e più naturale in cui prenderlo. In molti ambienti un pompino ha più o meno lo stesso valore di una stretta di mano. In genere una ragazza prima pratica la fellatio, giusto per far capire il proprio blando interesse verso un possibile partner, e solo in un secondo tempo passa ad accettare la penetrazione nella vagina. Ho fatto ancora in tempo a leggere un'intervista a un politico americano, in occasione dell'affair Lewinski, il famoso Sexgate. Era un repubblicano e affermava una cosa che i Millennials riterrebbero sconcertante: credeva che il coito orale fosse più intimo di quello vaginale. Anch'io ho sempre avuto quest'opinione potenzialmente dannosa, ma in fondo non faccio testo, essendo un outsider, un estraneo in questo secolo.

Gola profonda

Mentre erano seduti a tavola, lo Svedese e Mary Dawn, i genitori dello Svedese, gli Orcutt, gli Umanoff e i Salzman, ecco che la conversazione è caduta su Gola profonda, il famosissimo film con Linda Lovelace, diretto da Gerard Damiano (Deep Throat, 1972). Tutti i presenti lo avevano visto, tranne i genitori dello Svedese, bacchettoni oltre ogni umano dire, e gli Orcutt, probabilmente perché è loro mancata l'occasione. Ecco il problema al centro della discussione: come mai il successo della pellicola porno era stato decretato da un elettorato repubblicano che poi votava politici moralisti? A questo punto è intervenuto il vecchio Lou Levov, tuonando come Mosè alla discesa dal Sinai con le Tavole della Legge. Dopo aver definito Gola profonda una porcheria, ha chiesto ai commensali perché facessero entrare una simile porcheria nella loro vita. Illuminante la risposta di Bill Orcutt dalle vesti variopinte come quelle del Pifferaio di Hamelin: "Penetra, signor Levov, che lo vogliamo o no. Ciò che è fuori entra dentro. S'infiltra. Non è più come una volta là fuori, sa, nel caso lei non se ne fosse accorto." Il geronte, spiazzato, è partito in quarta con un lunghissimo discorso sulla corruzione e sulla questione razziale a Newark, una massa di pesanti invettive contro italiani, irlandesi e negri (sic), immerse in un impasto di considerazioni politiche di cui a nessuno fregava alcunché. Non c'è dubbio che la reginetta di bellezza fosse molto stizzita nel veder rappresentato in un film ciò che faceva al marito senza poter alludere all'argomento nemmeno nei suoi pensieri, perché era tabù come la carne di porco nell'Egitto dei Faraoni: un cibo che si poteva mangiare ma non nominare. 

Anelito di perfezione e balbuzie

Cosa possiamo dire del penoso modo di parlare che aveva Meredith "Merry" Levov? La balbuzie nasce senza dubbio da un problema genetico, ma questo in America non si poteva dirlo. Pur essendo il concetto di eugenetica molto radicato nella società americana, una strana ipocrisia tendeva ad associarlo al Nazismo. Così accadeva che l'intero corpo docente e diversi ordini professionali, come quello degli psicologi, rifiutassero a priori l'idea che potessero esistere disfunzioni legate in qualche modo all'ereditarietà. Credevano nel principio della "tabula rasa", per cui un bambino nascerebbe senza una struttura per diventare tutto ciò che vuole con la sola forza della volontà. "Un bambino può diventare tutto ciò che vuole", così dicevano. "Anche un Puffo!" Com'è facile capire, le cose nel mondo reale non sono così semplici. Per Merry l'incapacità di articolare correttamente le sillabe si è rivelata una disgrazia. In fondo i suoi genitori erano privi di macchia. Non avevano difetti di sorta. Tutto in loro era assolutamente perfetto. Non avevano malattie, non avevano mai un solo disturbo. Mai una volta che digerissero male, che avessero mal di denti. Non puzzavano: l'igiene accurata era sufficiente a rintuzzare ogni azione dei batteri cutanei e delle muffe, dello smegma e del sudore, con tutti i graveolenti liquami che ne derivano. Quando defecavano, deponevano stronzi sodi e ben formati, perfettamente oliati, che uscivano dall'ano senza lordarlo, cadevano nella latrina senza che ne sorgessero schizzi. Quando si pulivano il deretano con la carta igienica, a stento si notava anche soltanto una traccia di marrone. Tutto in Seymour Levov e in Mary Dawn Dwyer era perfezione estetica assoluta, sembravano essere giunti sulla Terra direttamente dall'Olimpo. Non trovate naturale che la povera Merry provasse un'angoscia infinita confrontandosi con un simile fardello di sublime infallibilità? Non trovate che potesse vivere come una tragedia il continuo confronto con gli Dei che l'avevano generata? Il tormento rodeva la piccola dall'interno, come un fiume carsico. Occasionalmente questa corrente di veleno interiore emergeva in modi inaspettati, forse stupidi, che avrebbero però dovuto essere visti come campanelli di allarme. Una volta Merry ha sorpreso lo Svedese mentre massaggiava i piedi nudi della moglie. Si è lasciata scappare un'esclamazione: "Che disgusto!" Come se quella manifestazione di feticismo dei piedi fosse una massa di sterco grasso che il Cielo aveva deciso di scaricarle addosso. Nella sua razionalità estrema e apollinea, ecco che il gigante biondiccio ha cercato di fare qualcosa per la tormentata figlia. L'ha mandata da una foniatra, una specie di psicologa buonista e politically correct, politicizzata, dell'estrema sinistra terzomondista umanitaria. Una decisione improvvida, come abbandonare un inerme agnellino in una foresta infestata da lupi rabbiosi. Così la foniatra ha rovinato completamente Merry. Con la scusa di curarla, l'ha sottoposta ad atrocità inaudite, come la compilazione quotidiana del Diario Tartaglione, inculcandole il virus esiziale del buonismo - cosa che provocherà la sua metamorfosi in un'efferata omicida. Affidarla a Sir Jimmy Savile sarebbe stato meno dannoso, non ci sono dubbi!

L'Inquisitore Ashkenazita  

Lou Levov è un mostro. Non vedo come altro si potrebbe definirlo. Un uomo talmente gretto e meschino che al confronto Shylock può essere considerato un esempio di apertura mentale, di pensiero liberale e di generosità. La sua responsabilità morale è peggiore di quella di Caino. Sua è la colpa ultima di tutto. Per lo Svedese sarebbe stato meglio avere per padre Mengele. Roth affligge in modo atroce il lettore, lo dilania, proprio come un bambino crudele che si diverte a straziare le lucertole bucandole con uno spillo. Ho resistito e ho letto l'orripilante interrogatorio a cui il malefico Lou Levov sottopone Mary Dawn Dwyer, all'epoca fidanzata con lo Svedese, nel tentativo di farla desistere dall'imbarcarsi in un matrimonio da lui ritenuto empio, sacrilego, contrario alle leggi divine. Leggere il Malleus Maleficarum è al confronto un'esperienza rilassante! Quando lo Svedese era stato nei Marines in un campo di addestramento in South Carolina, aveva già cercato di sposare una donna non ebrea. Suo padre aveva dato in escandescenza, lo aveva raggiunto e lo aveva costretto a rompere il fidanzamento! Chi mai al mondo potrebbe sopportare simili prove e restare sano di mente? Persino Giobbe si sarebbe trasformato in un serial killer!    

Un finale ambiguo 

Merry ritorna. Fa il suo ingresso nella villa dei Levov mentre si sta svolgendo un party. Irrompe tra i vivi come il vomito dell'Ade, come un cadavere putrefatto che emana un fetore ammorbante di escrementi, di materia rigettata e di formaggio rancido! Lì, in mezzo alle persone sconvolte, si presenta in tutto il suo abominio e accusa se stessa di svariati omicidi. Il vecchio Levov, incapace di reggere una simile atrocità, ha un infarto e spira così, tra gli spasmi del miocardio lacerato. Leggendo sembra quasi di sentire il proprio cuore sfaldarsi, venir meno, mentre i lezzi cadaverici avvolgono ogni cosa. Una morte senza senso, da imputare esclusivamente a Merry. L'autore, che è stato capace di trasmetterci sensazioni orribili quanto realistiche,  si è poi accorto di aver gettato troppo acido sul cadavere dei propri genitori, così ha fatto retromarcia. Ecco, lo Svedese accorre quando sente le urla del vecchio padre e si rende conto di aver galoppato troppo con la fantasia. Merry non c'è, la sua irruzione era immaginaria. Era stata la cougar alcolizzata, la signora Orcutt, ad assestare all'ashkenazita impiccione una forchettata in pieno volto. Una reazione più che giustificata: lui voleva convincerla ad astenersi dal whisky e a ingurgitare un bicchierone di latte, con paternalismo proibizionista. Quindi un incidente banale, mentre il ritorno della terrorista repellente era soltanto un sogno ad occhi aperti dello Svedese. Mi sono sentito quasi tradito. L'ho ritenuto uno stratagemma vile e banale, che ci ha privati di un capolavoro apocalittico, assoluto, vibrante!

Un epilogo-epitaffio

"Ma cos'ha la loro vita che non va? Cosa  diavolo c'è di meno riprovevole della vita dei Levov?" Con queste parole si chiude il romanzo. Cos'ha la loro vita che non va? Questa è una domanda retorica. Philip Roth sapeva benissimo dare la risposta. Sapeva benissimo cosa non va. In un contesto più adatto allo sterminio di massa, egli sarebbe stato un genocida del calibro di Hulagu Khan. Avrebbe annientato milioni di persone senza battere ciglio. Ne sarebbe stato capace, ne sono sicuro. Tutto questo lo avrebbe fatto per far purgare al mondo e al suo maligno Artefice il fatto di essere nato da un tirannello esecrabile e da una madre oppressiva, egoista, crudele, sommamente molesta. Gratta un genocida e troverai la famiglia! Basta immergersi in Pastorale americana e in Lamento di Portnoy per compiere un viaggio senza ritorno, penetrando nell'oscurità abissale del Mistero dell'Uomo di Braunau: per capire fino in fondo l'odio assoluto che lo animava è necessaria la lettura di Roth. Le opere di Roth sono infinitamente più pericolose del Mein Kampf! Sapete perché? Semplice. Il Mein Kampf non lo legge nessuno, è alquanto pesante, è legato a un modo di intendere la realtà che ormai non è più compreso da anima viva, contiene molte informazioni ormai indecifrabili senza opportune glosse. Chi diavolo sa più chi era Schlageter? E il Signor Severing? Forse qualche storico che si diverte a leggere le note a piè di pagina. Invece Roth funziona come un siero in grado di trasmettere l'antisemitismo, in modo diretto e violento. La sua lettura non dovrebbe essere consentita nelle scuole. Chi volesse far divampare ovunque i pogrom, non avrebbe altro da fare che favorire la diffusione dei romanzi di Roth.


Seymour "Swede" Masin 

Ebbene, un gigante biondiccio di nome Seymour e soprannominato "Svedese" è esistito davvero. Il cognome però era diverso: Masin, non Levov. Lo stesso Roth ha ammesso in modo esplicito di aver tratto ispirazione dallo Svedese Masin per plasmare il proprio personaggio. Seymour "Swede" Masin (1920 - 2005), figlio di immigrati ebrei russi, era un leggendario atleta del liceo e del college. Nel 2000 fu nominato tra i 50 migliori atleti liceali del New Jersey nell'intero XX secolo: un traguardo non da poco, per una cultura come quella americana, in cui le attività agonistiche rivestono un'importanza fondamentale. Fu anche un imprenditore di successo, proprio come il figlio di Lou Levov, solo che la sua attività era molto più benemerita e proficua. Infatti non vendeva inutili guanti, vendeva liquori: i più nobili anestetici, che permettono all'umanità di lenire il proprio male di esistere. Eppure oggi lo Svedese Masin potrebbe essere accusato di razzismo e persino di neonazismo soltanto per aver indossato una maglietta con la scritta PANZER! In realtà si tratta del nome di una delle scuole che ha frequentato, il Panzer College nella Contea di East Orange, ma andatelo a spiegare ai buonisti politically correct! C'è chi sostiene che Pastorale americana abbia contribuito ad attirare i riflettori su questo personaggio. Se fossi un suo parente, non so se ne sarei molto contento. Forse sarebbe meglio lasciar riposare i morti.  

venerdì 18 gennaio 2019


LAMENTO DI PORTNOY 

Titolo originale: Portnoy's Complaint
Autore: Philip Roth
Anno: 1969
Lingua originale: Inglese
Genere: Romanzo
Sottogenere: Flusso di coscienza, pseudo-autobiografia,
     propaganda antisemita

1a edizione italiana:
1970
2a edizione italiana:
1989
3a edizione italiana: 2005
Editori:
   Bompiani (1970)
   Einaudi (1989, 2005)
Traduttori:
   Letizia Ciotti Miller (1970)
   Roberto C. Sonaglia (1989, 2005)
Codice ISBN (1989, 2005): 978-88-06-17395-1

Titoli tradotti:
   Tedesco: Portnoys Beschwerden

   Spagnolo: El mal de Portnoy
   Francese: Portnoy et son complexe
   Portoghese: Reclamação de Portnoy
   Catalano: El trastorn de Portnoy
   Russo: Случай Портного
   Polacco: Kompleks Portnoya
   Ceco: Portnoyův komplex
   Croato: Portnoyeva boljka
   Rumeno: Complexul lui Portnoy
   Olandese: Portnoy's klacht 

   Svedese: Portnoys besvär
   Danese: Portnoys genvordigheder 

   Finlandese: Portnoyn tauti
   Estone: Portnoy tõbi
   Ungherese: A Portnoy-kór
   Turco: Pornoy'un feryadı
   Neogreco: Η νόσος του Πορτνόυ
   Neoebraico: מה מעיק על פורטנוי
   Persiano: شکایت پورتنوی


Trama: 
Alexander Portnoy è un giovane ashkenazita, figlio di una famiglia ultraortodossa che abita in uno squallido sobborgo di New York, Newark. I tratti salienti dei suoi genitori sono più insopportabili delle Piaghe d'Egitto, tanto che avrebbero indotto al suicidio persino Giobbe. L'iracondo padre, duramente provato da una stitichezza incallita e incurabile, fa l'assicuratore, faticando come Sisifo per riscuotere le somme dovute da una massa di mandingo illetterati nelle zone più infime della megalopoli. La madre è una mortifera Erinni vendicatrice, una spaventosa Gorgone, un autentico concentrato di ossessione e di iperprotettività, una vera e propria fabbrica di psicosi esiziali. Solo per fare un esempio, tutti i cibi dei Goyim sono da lei etichettati come chazerai, ossia come "porcherie", al punto che persino l'ingestione di un semplice, banale piatto di patatine fritte da parte del ragazzo assume contorni apocalittici. A sentir lei, ingurgitare anche soltanto un boccone di aragosta può portare alla morte, come se il Signore degli Eserciti avesse da perdere una gran quantità di tempo a identificare i trasgressori delle più assurde regole alimentari della cucina kosher, allo scopo di fulminarli.
Nel suo incessante flusso di coscienza, steso sul lettino dello strizzacervelli, il sofferente protagonista non ci risparmia i dettagli più schifosi, abietti e grotteschi di queste esistenze assurde. Essere esposti a una simile mole di aberrazioni farebbe passare la voglia di sopravvivere a chiunque, persino ai più estremi biofili. Quando era piccolo, la madre gli menava il pistolino per farlo orinare meglio. Divenuto adolescente, la madre assumeva con lui atteggiamenti provocanti - quando non era troppo impegnata a massacrarlo e a instillargli sensi di colpa. Si converrà che queste sono cose che renderebbero insano chiunque. Il povero Portnoy, alla ricerca di un impossibile riscatto, escogitava trovate ridicole, come quella di nobilitare il suo cognome in un improbabile Porte-Noir, ossia "Porta Nera" in un fanta-francese sgrammaticato, sperando così di far colpo sulle belle shikse, le ragazze non ebree, di cui sogna giorno e notte le tette; in realtà le deformazioni del suo cognome che meglio lo descrivono sono Portnose, ossia "Portanaso", per via del suo colossale nasone, e Portnoise, ossia "Portarumore", per via del suo continuo lamentarsi di ogni minima cosa, in un rantolo permanente da moribondo.

Dopo numerose vicissitudini, alla fine Portnoy conosce la sua Nemesi proprio nella terra di Israele, in cui sperava invece di trovare la propria redenzione. Rimorchia una statuaria soldatessa bionda e senza troppe difficoltà la porta a letto. Lei vuole essere spaccata in due e arata, ma il membro virile del protagonista fallisce completamente. Impotenza assoluta. Non si rizza! L'infelice Portnoy cerca allora di circuire una robusta fanciulla lentigginosa dai capelli rossi come il fuoco, che somiglia alla madre come una gemella. La vicenda si conclude in un modo assurdo quanto inverecondo, in una bettola, con Portnoy che supplica la ragazza tanto simile a sua madre da giovane, strisciando a quattro zampe e implorandola di poterle leccare la fica. 

Recensione:
Non possono sussistere dubbi in proposito. Lamento di Portnoy è un testo di un antisemitismo violento, viscerale, addirittura streicheriano.
Non credo che Philip Roth se ne sia reso conto quando lo ha scritto. Sono ben consapevole del fatto che lo scrittore ashkenazita è considerato un pilastro della cultura ebraica contemporanea. Eppure Alexander Portnoy non è un personaggio qualunque, non è una semplice caricatura, una macchietta innocua: infatti incarna in ogni dettaglio l'Ebreo della propaganda nazionalsocialista, sia a livello fisico che morale e spirituale. Egli ha tutte le caratteristiche dell'Eterno Ebreo (Der ewige Jude). Tutto in lui è studiato a livello micrometrico per suscitare ripugnanza, esecrazione, disprezzo, rabbia e fantasie omicide. Se il presente romanzo venisse diffuso in modo capillare a vasti strati della popolazione, in Germania come in Italia o in qualsiasi altra nazione dell'Occidente, l'antisemitismo più radicale registrerebbe subito un prodigioso incremento. Il patetico Portnose riuscirebbe di sicuro dove nessun movimento neonazista è finora mai riuscito. L'odio così seminato divamperebbe come un incendio furioso in questa Europa degradata e ingovernabile, fino al punto di scatenare spaventosi pogrom. La lettura di Lamento di Portnoy presenta il rischio di compiere una trasformazione profonda nel lettore incauto, accendendo un odio feroce verso gli ebrei e verso tutto ciò che li riguarda. Si può leggere il Mein Kampf di Adolf Hitler come una testimonianza storica dell'epoca in cui fu scritto, con grande distacco, senza alcun coinvolgimento emotivo: si tratta di un'opera in buona sostanza inattuale. Questo atteggiamento asettico è assolutamente impossibile con il pernicioso libro di Roth. Il meccanismo che scatta è molto semplice. Il lettore sarà portato ad attribuire al Popolo Eletto le cause della propria personale rovina e insignificanza, del proprio fallimento esistenziale, come se il Maligno stesso gli sussurrasse nelle orecchie, soffiando su braci ardenti: "Se sei un fallito è colpa degli ebrei! La famiglia è una loro invenzione!" Nessuno si può dire davvero al sicuro, almeno finché non fa appiglio a un dato di fatto innegabile: non è stato il Popolo di Israele a introdurre nel mondo la famiglia oppressiva. Le madri iperprotettive, proprio come i padri autoritari, predatano di gran lunga qualsiasi contatto dell'Occidente con genti del Medio Oriente. A Roma c'era il pater familias con la patria potestas, tra i Germani c'era il mundio - e dovunque regnava soltanto l'oppressione, in ogni casa, fin dai più remoti tempi della Preistoria. 

Uomini nuovi per tempi nuovi  

Stupisce l'avversione profonda che la fulva ragazza del Kibbutz nutre verso gli ebrei del ghetto. Disprezza la lingua yiddish e tutto ciò che riguarda la Diaspora, dalle battute sul naso grosso al teatro, perché crede che queste cose esprimano una realtà di autodenigrazione e di miseria umana infinita. In netta opposizione al modo di essere del popolo della Diaspora, sembra che le genti dei Kibbutzim rappresentino l'Uomo Nuovo, puro e pieno di idealismo, non toccato dalle abominazioni del mondo. Un Uomo Nuovo che non soltanto è riuscito a riscattarsi dallo stigma della marginalità: in lui si è prodotta una discontinuità essenziale che ha cancellato il passato, lo ha abraso completamente facendolo piombare nell'Oblio: è come se un essere mai concepito prima da mente umana fosse venuto al mondo, senza alcuna relazione con colui che lo ha preceduto, finalmente privo della sudicia invenzione della coscienza. In pratica siamo di fronte a un modello antropologico più simile alla Gioventù Hitleriana che all'humus famigliare degli ashkenaziti di Newark, vegetanti in un microcosmo ristretto e asfittico, separati dal resto del pianeta come se fossero una colonia di alieni. In questo modo Portnose-Portnoise viene guardato con disgusto e quindi addirittura con odio, come se non fosse un essere umano, bensì uno schifoso verme del terriccio, un lombrico. In altre parole, siamo di fronte a un vero e proprio razzismo: gli ebrei antisemiti non sono affatto una rarità - anzi, sono i più virulenti e aggressivi. Gratta un antisemita furioso e nove volte su dieci troverai un ebreo rinnegato che cerca vendetta contro i propri genitori. 

Israele e gli ebrei antisemiti  

Trattando questi spinosi argomenti, subito viene in mente il film The Believer (Henry Bean, 2001), di cui ho pubblicato a suo tempo una recensione in questo stesso portale. Il protagonista, l'antisemita ebreo Daniel Balint, affermava in un'intervista la natura non ebraica di Israele, nazione per cui nutriva una certa ammirazione, in netto contrasto con il proprio odio inestinguibile verso gli ebrei dispersi tra le genti. Un paradosso soltanto apparente: dopo l'occupazione della Palestina - che Theodor Herzl definiva "una terra senza un popolo per un popolo senza terra" - si sono formati gli Israeliani come Popolo Nuovo, in un senso assai simile a quello attribuito dai Nazionalsocialisti tedeschi al vocabolo Volk. Un'entità nazionale possente e fiera, che quindi si è conquistata il riscatto dall'umiliante destino diasporico. Ecco la conversazione tra Danny Balint e il giornalista biondiccio Guy Dianielsen: 

Balint: "Il popolo vero trae il suo genio dalla sua terra. Dal sole, dal mare, dai campi. È così che impara a conoscere bene se stesso. Ma gli ebrei no, gli ebrei non hanno terra."
Danielsen: "Hanno Israele."
Balint: "Ah... non sono ebrei."

Danielsen
: "Certo che lo sono."
Balint: "Osserva bene gli Israeliani. La loro è una società secolarizzata. Non gli serve più l'Ebraismo perché hanno la terra, mentre il vero ebreo è un girovago, è un nomade, non ha radici, non ha nessun legame, perciò universalizza ogni cosa. Non sa piantare un chiodo né arare un campo. L'unica cosa che sa fare è comprare, vendere, investire capitali, manipolare i mercati. Capisci, cose tutte mentali. Lui prende la vita di un popolo, radicato nella terra, e la trasforma in questa cultura cosmopolita, basata sui libri, sui numeri, le idee, capisci, è questa la sua forza. Tu prendi le più grandi menti ebree: Marx, Freud, Einstein. Cosa ci hanno dato? Il comunismo, la sessualità infantile e la bomba atomica. Esattamente in tre secoli, il tempo che hanno impiegato per venire fuori dai ghetti d'Europa, ci hanno strappati da un mondo di ordine e ragione per scaraventarci in un caos fatto di lotta di classe, istinti irrazionali, relatività... dentro un mondo in cui anche l'esistenza stessa della materia è messa in discussione. Perché? Perché l'impulso pù profondo dell'anima ebraica è di tirare il tessuto della vita finché non rimane altro che un filo. Non vogliono nient'altro che il Nulla. Il Nulla senza fine*. 


*Traduzione di Ain Sof. Non ci si aspetterebbe una simile conoscenza da un goy. :)

Genesi di un antisemita  

Harold Portnoy, cugino del protagonista, incorre in un destino beffardo. Atleta poderoso, si innamora di una bellissima shikse polacca, Alice, che fa la majorette e incanta tutti con i suoi numeri. Ovviamente il padre di Harold prova grande stizza per questa relazione e la avversa, così decide di procedere con la massima viltà. Contatta Alice e confidandole che il fidanzato è affetto da una terribile malattia genetica che non gli permette di avere figli. Non contento, il vecchio Moshe Süss corrompe la giovane polacca offrendole dei soldi perché lasci in pace il ragazzo. Detto fatto, la majorette sparisce dalla vita di Harold che, disperato, se la prende col padre, devastandogli la cantina, dove sono stoccate moltissime bottiglie di gazzosa. Distrutta con la mazza da baseball tutta la merce dell'odioso genitore, il giovane atleta cade nella disperazione, ma a quel punto viene tolto di scena dal malevolo Roth con uno stratagemma ingegnoso e demiurgico: chiamato in guerra, l'innamorato deluso finisce col morire in una lontana battaglia. Immaginiamo cosa sarebbe invece successo se non fosse morto. Ve lo dico io: Harold Portnoy sarebbe diventato un antisemita! Sarebbe ricomparso in un'altra parte dell'America, con l'identità cambiata, cosa non così difficile in quel grande Paese. Avrebbe avuto un nuovo nome e avrebbe iniziato la sua carriera nei movimenti neonazisti. All'apice di questa sua nuova esistenza, si sarebbe guadagnato il grado di Gran Dragone del Ku Klux Klan. Animato da un ferocissimo e inetinguibile odio antisemita, avrebbe istigato al pogrom! Il suo sogno sarebbe stato uno solo: uccidere il padre e tutti i suoi famigliari! Pensate che io stia farneticando? Bene, informatevi sulla storia di Daniel "Dan" Burros, l'ebreo rinnegato divenuto esponente del KKK!

Una storiella morbosa 

Alexander Portnoy seduce una Figlia della Rivoluzione Americana. Lei è una timida bionda di ascendenza puritana, che però ama moltissimo il sesso. Lui la penetra con ardore e le lecca la fica, ma si aspetta che le sue attenzioni vengano ricambiate. Si aspetta i pompini. A lei non piace praticare il sesso orale a un uomo, le fa schifo. Non vuole prendere in bocca quell'uccello che pure le ha elargito così tanto godimento. Alla fine l'ashkenazita la riesce a convincere, plagiandola, e lei storcendo il naso china la sua bocca sul glande dell'amante, che immagina sarà il suo futuro marito e padre dei suoi figli. Sempre in preda al disgusto, si accinge a succhiarlo, ma non ci riesce bene: lo fa a denti alti, usando le labbra in modo tale da evitare per quanto possibile il contatto tra la lingua e il glande. Alle fine lui le scarica nel cavo orale getti di fluido seminale dal sapore di merluzzo, cosa che le induce i conati di vomito. Fatto sta che proprio a causa della penosa performance, la coppia si separa. Che atrocità mostruose! Per ogni fibra di piacere che un qualsiasi contatto sessuale può dare, ce ne sono novantanove di afflizione! E non sarebbe meglio se l'intero genere umano abbandonasse una volta per tutte questi squallidi esercizi? 

Il mito dei pompini!

Portnoy freudianamente è affetto da “disturbo in cui potenti impulsi etici e altruistici sono in perenne contrasto con una violenta tensione sessuale, spesso di natura perversa. Atti di esibizionismo, voyeurismo, feticismo, autoerotismo e coito orale sono assai frequenti; come conseguenza della “moralità” del paziente, tuttavia, né le fantasie né le azioni si traducono in autentica gratificazione sessuale, ma piuttosto in un soverchiante senso di colpa unito a timore di espiazione, soprattutto nella fantasmatica della castrazione. Gran parte dei sintomi si presume vadano ricercati nei legami formatisi nel rapporto madre – figlio.” Come spesso accade, è proprio Daniel "Danny" Balint a venirci in aiuto per capire meglio il problema che tormenta Portnoy. Ecco come spiega all'occhialuto quanto astuto Danielsen il suo strano punto di vista sul nesso tra ebraismo e sesso orale, testimonianza di echi spettrali in insondabili caverne della mente: 

Danielsen: "Danny, che mi dici degli ebrei?"
Balint: "Gli ebrei, l'ebraismo, sono una malattia."
Danielsen: "In che senso l'ebraismo è una malattia?"
Balint: "Prendi la sessualità."
Danielsen: "La sessualità?"
Balint: "Sì, sì."
Danielsen: "Che vuoi dire?"
Balint: "Ti sei scopato un'ebrea?"

Danielsen: "Cosa?!"
Balint: "Te la sei scopata?"
Danilsen (imbarazzatissimo): "Ah sì, insomma, voglio dire... sono stato con una ragazza ebrea."
Balint: "L'hai fatto. E che cosa hai notato?"
Danielsen: "Di che parli?"
Balint: "Le ragazze ebree adorano fare pompini."
Danielsen (quasi collassato): "---"
Balint: "Vero?"
Danielsen: "Sì, certo, non lo so, è così."
Balint: "E gli uomini ebrei ne vanno pazzi."
Danielsen: "A me sembra che piaccia a tutti..."
Balint: "Certo, è molto piacevole. Ma per gli ebrei è un'ossessione, e vuoi sapere perché?"
Danielsen: "Sì, perché?"
Balint: "Perché l'ebreo dentro è femmina."
Danielsen (pietrificato dall'orrore): "È femmina..."
Balint: "Gli uomini veri, i bianchi, i cristiani, beh, noi ci scopiamo una donna, la facciamo godere con il nostro cazzo! Ma un ebreo invece non penetra, non spinge, non riesce a imporsi in questo modo, perciò fa ricorso a queste perversioni. Il sesso orale è tecnicamente una perversione, questo lo sapevi, no?"
Danelsen (quasi incapace di parlare): "Sì..."
Balint: "Perciò una donna che è stata con un ebreo... è rovinata, non vorrà più stare insieme con un uomo normale."
Danielsen (nuovamente ringalluzzito): "Quindi l'ebreo è un amante migliore..."
Balint: "Non è migliore, non ho detto questo. Ho detto che dà piacere. In realtà è debolezza."
Danielsen: "Ok, il problema non è che gli ebrei controllano i media, o che sono proprietari delle banche, ma che sono sessualmente corrotti..."
Balint: "Senti, lo so, è chiaro che gli ebrei controllano i media e le banche - le banche d'investimento, non quelle commerciali - ma il punto è che operano in quegli ambiti secondo gli stessi principi che esprimono nella sessualità. Minano il modo di vita tradizionale, sradicano tutta la società. La sradicano, le strappano le radici."


Un bel calderone di pus, non trovate? Ebbene, il cervello di Portnoy non è meno torbido. 

Colpa, impurità, espiazione, razzismo

A quanto Roth ci descrive nel suo aberrante romanzo, esiste tra i Figli Americani di Ashkenaz una singolare costumanza, che i lettori italiani potranno capire solo con difficoltà estrema. A tutte le manie sulla purezza del cibo, sulle regole minuziose quanto esasperanti della kasherut, esiste un rimedio, una specie di valvola di sfogo. Così se si fa molta attenzione e si usa tutta la propria capacità di indagine, si possono cogliere in fallo rispettabili matrone della comunità ebraica di Newark, intente a recarsi a cena in ristoranti cinesi per ingozzarsi di carne di porco! Se Harold Portnoy - prima di entrare tra gli Incappucciati - era un fanatico della cucina kosher ("Noi prosciutto non mangiam!", esclamava a ogni piè sospinto), la madre del cugino Alexander, pur altrettanto fanatica, si concede esplorazioni approfondite delle bettole cinesi. Solo i crostacei restano un tabù, per via di una sua brutta esperienza di shock anafilattico, che le era capitata in gioventù. L'atteggiamento della signora Pornoy nei confronti dei cuochi orientali è descrivibile con una sola parola: razzismo. Il concetto portante è più o meno esprimibile con queste parole: "I camerieri cinesi non sono esseri umani. Sono una sottospecie di scimmie, quindi non ci dobbiamo curare di loro e di ciò che pensano di noi. Sono persino meno dei Goyim, non valgono neppure quanto i loro escrementi, già tanto vili."  Del resto un trattamento non migliore è riservato alla domestica afroamericana, considerata una specie di lebbrosa. Se devo essere franco, trovo moralmente ripugnante una simile doppiezza. Anche ai nostri giorni possiamo fare esperienza di atteggiamenti non troppo dissimili: i Goyim hanno il dovere di accogliere l'umanità intera, anche se in Israele non entra uno spillo. Bella coerenza. Posso dire che tutto ciò mi lascia perplesso?

Razzismo anti-italiano

La specialità di Roth consiste nell'inscenare teatrini della vergogna. Schifosi, indigeribili, tanto che neanche un porco di Gerasa si ciberebbe di simile vomito. Questo scempio non risparmia nemmeno noi Italiani. Alexander Portnoy fu iniziato al sesso da una diciottenne, certa "Bubbles" Girardi, figlia di un italiano che faceva l'autista per il Sindacato. Il fratello, un energumeno impegnato nella boxe, non badava troppo ai costumi dissoluti dell'esuberante sorella, visto anche che le permettevano di portare a casa qualche spicciolo. Ora, il detestabile Portnoy aveva un amico sommamente venereo, Arnold "Ba-ba-lu" Mandel, che assieme ad altri figuri - tra cui uno Smolka pieno di gonorrea - lo aveva condotto dalla "Bubbles" affinché lo svezzasse. Episodi di questo genere dovevano essere comunissimi negli States. Così leggiamo le gesta di questo gruppo di giovani ashkenaziti libidinosi. Si trovano a casa della ragazza italiana, ma la cosa va per le lunghe. Riuscito finalmente ad essere accolto dalla prosperosa "Bubbles", Portnose ha difficoltà estreme con l'erezione, di solito tanto pronta. Lei lo masturba pesantemente, gli strizza i genitali e la cosa non aiuta. Dopo penosissimi minuti di manipolazioni incessanti, il povero ragazzo ha un'eiaculazione improvvisa, con getti impetuosi di sburra che imbrattano il divano, i muri, persino il soffitto. Un bolo gli finisce in un occhio, causandogli grande bruciore e folli paranoie. La manipolatrice di genitali si adira per tutto quello sporco spermatico, che dovrà giustificare al suo babbo mafioso. "Brutto giudìo figlio d'una mignotta!", urla a squarciagola. Si assiste alla fuga precipitosa di Portnose, che si caga addosso temendo una vendetta e già si vede con l'addome bucato da uno stiletto (oltre che col fallo corrotto caduto per la sifilide e con gli occhi resi ciechi dalla sburra). Il giorno dopo, ecco che Arnold "Ba-ba-lu" Mandel lo trova per strada, gli dà dello Schmunk e gli dice serafico che sarebbe dovuto restare: dopo pochi minuti dalla vigliacca fuga, lui era già con la spada sfoderata, con l'italiana che se ne stava "accovacciata sulle fottute ginocchia terrone e gli leccava l'uccello". L'epiteto "terrone" è ancora un eufemismo che rende in qualche modo l'originale dago, termine slang americano il cui significato letterale è "sicario": è una semplice alterazione di dagger "pugnale". Per quanto riguarda all'aggettivo "fottute", in altre traduzioni al suo posto compare un più esplicito "di merda", mentre al posto di "gli leccava l'uccello" troviamo un più volgare "gli succhiava il cazzo". Tutto molto edificante, vero?

Etimologia di shikse 

La lingua yiddish è eminentemente germanica, ma è caratterizzata al contempo da una massiccia presenza lessicale di vocaboli di origine ebraica - oltre che di moltissime voci di origine sconosciuta. Tra le parole ebraiche in yiddish possiamo includere senz'altro shikse (שיקסע), vocabolo cruciale per il monomaniaco sessuale Alexander Portnoy. All'inizio si trattava di un epiteto fortemente abusivo, col significato centrale di "cosa abominevole", "detestabile"; il corrispondente maschile è shegetz (שייגעץ, in scrittura ebraica vocalizzata שֵׁיְגֶּץ; plurale shkotzim o shgatzim שקאצים). Cosa abominevole? Detestabile? Oh bella, non lo si sarebbe mai detto, data l'adorazione dimostrata dal giovane Portnoy per queste creature sensuali! Dal disprezzo iniziale, la parola iniziò ad assumere significati di satira e d'irrisione, per poi passare ad esprimere l'oggetto principe del più cocente desiderio carnale. La shikse era infatti l'idolo di quei Figli Americani di Ashkenaz, gangster animati dalle più lubriche pulsioni, malfattori che il Signore Geova pensò bene di risparmiare da ogni afflizione mentre si divertiva ad infierire sui devoti adoratori che abitavano negli shtetlekh della Polonia, destinati ad essere annichiliti dagli Einsatzgruppen

La vera etimologia del cognome Portnoy 

Ebbene, il cognome Portnoy ha origini russe. Il termine russo портной significa "sarto" ed è connesso con портки "pantaloni". La radice è l'antico slavo orientale пъртъ (pŭrtŭ) "pezzo di stoffa". Nonostante l'aspetto fonetico assai simile, questo termine non ha nulla a che vedere con порт "porto", voce originata in ultima analisi dal latino portus, che ritroviamo nell'italiano porto e nell'inglese port, per via di una complessa catena di prestiti culturali. Non si può quindi sostenere che портки significasse in origine "(abiti) marinareschi" e che in ultima analisi esista un nesso etimologico proprio con порт "porto". Il cognome yiddish che traduce Portnoy è Nadelman, con la variante Nudelman ("sarto", alla lettera "uomo dell'ago"). E pensare che ero tentato di ritenere Portnoy un anagramma satirico di *Porntoy, ossia "Giocattolo Porno"

La perversione di Portnoy! 

Il giovane Portnoy aveva elaborato una crudele vendetta contro sua madre e suo padre: si masturbava in modo veemente usando una bistecca per sfregare l'asta turgida, ricoprendo la carne di fiotti spermatici. La faceva così "marinare", dopodiché la madre ignara la cucinava e se la mangiava assieme al marito. Sì, i genitori ingoiavano entrambi la sburra del figlio, la digerivano e trasformavano gli spermatozoi in sterco! Al confronto di Alexander Portnoy le genti di Sodoma e Gomorra erano una compagnia di anime belle! Queste trovate raccapriccianti hanno dato persino origine a un termine gergale:


The Portnoy 

Having sexual intercourse with and ejaculating into any raw cut of meat (e.g. liver, porterhouse steak, pork roast), and then preparing and serving said meat (colloq. 'marinated') as a meal for one's immediate family or close friends.

(Origin: Portnoy's Complaint, by Philip Roth)

I was horrified when Andrew told me he'd done the Portnoy on the steak tartare I'd just enjoyed so heartily. 

Se il genere umano durerà abbastanza a lungo, i dettagli etimologici andranno perduto e l'evoluzione fonetica porterà i parlanti a pensare che questo vocabolo sia derivato da porn!  

Stereotipi 

Roth ha contribuito in modo importante quanto colpevole a rinfocolare stereotipi nocivi sugli Israeliti, caratterizzati come gobbi distorti e rachitici con un nasone così sviluppato da richiedere un porto d'armi, ovviamente tutti con capelli neri come la pece e con la pelle olivastra, magari anche avvolti in un sudicio caftano. Tutti pronti ad avventarsi su ogni shikse sexy proprio perché bionda e con gli occhi cerulei! Certo, certo, sono tutti gobbi, rachitici, malformati, nasoni e scuri... come Kirk Douglas, Paul Newman e Bar Refaeli! Capite cosa intendo? Non si vedeva nulla di simile dai tempi di Jud Süss!

Un grottesco teatrino social 

Nel marasma di Facebook mi accadde un fatto strano. Quando feci notare il ruolo di prim'ordine di Mark Zuckerberg nella diffusione capillare dell'antisemitismo a livello globale, fui aggredito da due navigatori, l'idealista G. e l'ostile S., che mi ritenevano in buona sostanza un coglione privo di cultura politica. Perché, vedete, nei loro modi di pensare abbastanza asfittici e figli del sistema scolastico, non è possibile che qualcuno accusi di antisemitismo un appartenente al Popolo Eletto come Montagna di Zucchero. Semmai mi viene da dubitare un po' dell'acume di G., borghese ma apostolo del neocomunismo (patrimoniale sui soldi altrui, sodomia col buco del culo altrui, travaso del Terzo e del Quarto Mondo in Italia, etc.), che nemmeno ha mai capito che S. è... un fascista! Proprio lui, che ostenta tanto fideismo nell'ideologia futurologica delle macchine pensanti, coscienti per via della loro potenza di calcolo, non sembra capire che un algoritmo dell'Intelligenza Artificiale, dopo aver macinato il romanzo di Roth senza altri elementi, restituirebbe questo sorprendente responso sull'identità più intima dell'autore: "SUPREMATISTA BIANCO"

Correlazione o causazione?

Ogni volta che in America avviene un attentato contro una sinagoga, ogni volta che qualcuno spara a un fedele con la kippah, mi sorge un dubbio fortissimo. Esiste la possibilità concreta che nella casa dell'attentatore sia trovata una copia di Lamento di Portnoy. "Aveva letto il romanzo di Roth", mi viene da pensare ogni volta. Sarebbe interessante fare studi di correlazione. Il problema è che gli investigatori e i criminologi non si aspettano di certo una cosa simile, quindi non fanno ricerche appropriate. Continuano a cercare il Mein Kampf, macinando a vuoto. Come se i nomi di Schlageter e di Lueger significassero qualcosa nel XXI secolo, in una terra che nutre verso la Germania un odio informe per via di qualche vaga reminiscenza scolastica sui mercenari Assiani assoldati dai Britannici all'epoca di Giorgio Washington!

Gli insulsi giudizi dei media 

Abbiamo appurato che il romanzo di Roth ha fatto all'intero mondo ebraico danni ingentissimi, quali non si vedevano dai tempi di Julius Streicher. Una ponderosa raccolta di numeri della rivista Der Stürmer faticherebbe ad eguagliare la mole di veleno contenuta in Lamento di Portnoy, e questo è un dato di fatto. Eppure i diretti interessati amano Roth e i mass media ne dicono mirabilia! Ecco alcuni capolavori eulogistici (non li linko per pigrizia, lascio al lettore l'onere di reperirli nella discarica del Web):

Philip Roth ha raccontato così bene Philip Roth che ci ha fatti diventare tutti Philip Roth.
(Corriere della Sera, 31 maggio 2018) 


I 5 libri di Philip Roth che chiunque dovrebbe leggere.
(Panorama, 23 maggio 2018)

10 cose di Philip Roth che valgono più del Nobel.
(Vanity Fair, 23 maggio 2018)


Gli anticorpi liberali che ci difendono contro la censura.
(Correre della Sera, 26 gennaio 2015) 


Non sono più riuscito a trovare, nonostante i miei sforzi, un incredibile titolo comparso come risultato di una ricerca, qualcosa che suonava così: 

Philip Roth fa bene al popolo ebraico. 

Certo, certo, fa proprio bene. Se qualcuno scrivesse che la retorica di Goebbels fa bene al popolo ebraico, sarebbe ritenuto subito un folle. Per contro, se qualcuno scrive che Philip Roth fa bene al popolo ebraico, i radical chic subito applaudono. L'intero mondo della cultura applaude. Che ironia! L'opera di Roth come cura all'antisemitismo? Un inclito autore di Science Fiction descrisse in un suo romanzo un popolo primitivo che aveva un ben singolare costume: l'applicazione di sterco di capra sulla pelle nel tentativo di curare la scabbia. Ecco, qui siamo di fronte a qualcosa di molto simile. Comune è la folle, delirante idea di contrastare qualcosa proprio con ciò che ne è la causa! La verità è che Roth è osannato dalla sua stessa gente proprio perché è colpita da cecità e da gravissima incoerenza. Lo innalzano su un altare, nonostante abbia commesso quello che in Israele è considerato il crimine più grave: dare ad Adolf Hitler una vittoria postuma.

Una soluzione semplice

Cosa avrebbe dovuto fare il Popolo di Israele, se avesse compreso il pericolo? Per essere franchi, avrebbe dovuto prendersi una pausa dalle sue geremiadi per abbattere Philip Roth servendosi del Mossad. Ormai è troppo tardi: l'autore è spirato e il malefico Portnoy continua a scavare come un fiume carsico.