Visualizzazione post con etichetta protogermanico. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta protogermanico. Mostra tutti i post

sabato 14 agosto 2021

ETIMOLOGIA DEL NOME TOTILA: LA SOLUZIONE DI UN ANNOSO PROBLEMA

Totila (forse 516 - 552) fu un grande condottiero e il penultimo sovrano degli Ostrogoti, che combatté eroicamente contro i Bizantini, finendo sconfitto e morendo in battaglia. Cosa significa esattamente il nome Totila? Secondo una tradizione inveterata quanto fallace, Totila (pronuncia Tòtila) significherebbe "L'Immortale". Questa informazione distorta, la cui origine ultima non mi è affatto chiara, è riportata dovunque, sia in libri cartacei che nei siti del Web. Lo storico Procopio di Cesarea (VI secolo) non ne fa menzione. Ho reperito una fonte del XIX secolo, l'Almanacco perpetuo martiro-etimologico di Raffaello Mazzoni (1839), che consiste in un elenco di "traduzioni" di moltissimi nomi propri di persona, accompagnate da un'abbreviazione descrivente la lingua d'origine (teut. sta per "teutonico", ossia "germanico"). Ecco cosa è scritto su Totila:

Totila , m. Liberato dalla morte, teut. 

Gli almanacchi perpetui erano per così dire la Wikipedia dei tempi andati.
 
La lingua dei Goti è ben conosciuta nella sua forma usata da Wulfila per la traduzione delle Scritture, di cui ci restano in massima parte i testi del Nuovo Testamento. Dovrebbe essere quindi chiaro che Totila non può significare "Immortale", né tantomeno "Liberato dalla morte": stupisce che praticamente nessuno abbia sollevato la questione. 
 
1) Nonostante l'assonanza tra Totila e il tedesco moderno Tot "morte", tod "morto", la radice dell'antroponimo non ha a che fare con la morte. Questi sono i corrispondenti in gotico delle parole tedesche in questione (il carattere þ indica il suono di th dell'inglese thing; il dittongo au ha il suono di una o aperta e lunga): 
 
dauþus "morte"
dauþs "morto"  

In gotico il risultato del protogermanico *d- è d-, mentre in tedesco è t-, essendosi avuta la seconda rotazione consonantica. Se questa fosse la radice, ci aspetteremmo trascrizioni come *Dothila, *Dodila o simili, cosa che però non sussiste.
2) Il suffisso -ila è un diminutivo maschile. Così il nome Wulfila significa "Piccolo Lupo" e deriva da wulfs "lupo". In nessun modo il suffisso -ila può essere considerato un privativo o una forma negativa. 
3) L'unica possibilità sarebbe ammettere che il nome Totila non sia gotico, bensì originato in un'area che aveva la seconda rotazione consonantica nel VI secolo, come ad esempio la Baviera: in tal caso significherebbe "Piccola Morte". Questa ipotesi è stata enunciata da Marja Erwin in un gruppo di Google (2014). In gotico "Piccola Morte" sarebbe *Dauþula.
 
Avvertiamo subito una certa ridondanza nelle informazioni. Totila era un nome di guerra: sappiamo infatti che il vero nome del Re degli Ostrogoti era Baduila (varianti: Baduela, Baduilla), che possiamo tradurre facilmente con "Piccola Battaglia" o con "Piccolo Guerriero". 
 
Questa è la declinazione di *badwa "battaglia" in gotico:  
 
Singolare  
 
nominativo: *badwa "battaglia"
genitivo: *badwos "della battaglia"
dativo: *badwai "alla battaglia"
accusativo: *badwa "battaglia"
 
Plurale  
 
nominativo: *badwos  "battaglie"
genitivo: *badwo "delle battaglie"
dativo: *badwom "alle battaglie"
accusativo: *badwos "battaglie"
 
Corrispondenze in altre lingue germaniche: 
 
Antico inglese: badu, beado, beadu "battaglia" 
Antico sassone: badu-, -bad(u) "battaglia"
     (solo in nomi propri) 
Antico alto tedesco: badu-, batu-, pato-; -bad(u), -batu
     -pato "battaglia" (solo in nomi propri) 
Norreno: bǫð "battaglia" (poet.)
 
Queste sono le forme ricostruibili per il protogermanico: 
 
Singolare 
 
nominativo: *baðwō "battaglia" 
genitivo: *baðwōz "della battaglia" 
dativo: *baðwōi "alla battaglia"
accusativo: *baðwōn "battaglia" 
strumentale: *baðwō "con la battaglia" 

Plurale 

nominativo: *baðwôz "battaglie"
genitivo: *baðwôn "delle battaglie"
dativo: *baðwōmaz "alle battaglie"
accusativo: *baðwôz "battaglie"
strumentale: *baðwōmiz "con le battaglie" 

Il vocabolo protogermanico era di genere femminile, ma si usava la forma maschile *baðwaz quando era il secondo elemento di antroponimi maschili composti e quando era un antroponimo maschile semplice. 
Ritengo quindi un errore ricostruire in gotico un maschile *badus o *badws "battaglia" come sostantivo del linguaggio comune: doveva però essere *-badus o *-badws quando ricorreva come secondo elemento in antroponimi maschili composti (cfr. antico alto tedesco Deodpato, Sigipato) e quando era un antroponimo maschile semplice (cfr. antico alto tedesco Bado, Pato, Patto). 

L'antroponimo Baduila (pronuncia Bàduila) poteva anche essere un diminutivo del gotico *badwja "guerriero", regolarmente derivato tramite un suffisso agentivo -ja, con la declinazione debole. Esempi di sostantivi con questo suffisso: baurgja "cittadino"; ferja "informatore, spia"; fiskja "pescatore"; gudja "sacerdote"; haurnja "trombettiere"; kasja "vasaio";  timrja "carpentiere", etc.

Singolare 

nominativo: *badwja "guerriero"
genitivo: *badwjins "del guerriero"
dativo: *badwjin "al guerriero"
accusativo: *badwjan "guerriero"

Plurale 

nominativo: *badwjans "guerrieri"
genitivo: *badwjane "dei guerrieri"
dativo: *badwjam "ai guerrieri"
accusativo: *badwjans "guerrieri" 
 
Ecco la declinazione dell'antroponimo: 
 
nominativo: BADWILA
genitivo: BADWILINS 
dativo: BADWILIN 
accusativo: BADWILAN  
 
Corrispondenze in altre lingue indoeuropee: 

Celtico: *bodw- "battaglia"
   Attestato in antroponimi gallici: 
      Ate-boduus, Boduo-gnatus
   Antico irlandese: Bodb "Dea della battaglia" (in forma di 
       corvo)

La ricostruzione di Bradley
 
È anche possibile che il nome originale di Totila fosse un composto TOTABADWS, come ricostruito da Henry Bradley (1845 - 1923), filologo e lessicografo britannico succeduto a James Murray come senior editor dell'Oxford English Dictionary (OED). C'è tuttavia qualcosa che manca nella sua ricostruzione. Sembra che lo studioso non abbia compreso completamente il significato del nome composto. Se è consapevole del significato di -BADWS, non riporta nulla a proposito di TOTA-
 
 
Questo è quanto Bradley riporta nel testo originale, The Story of Goths: From the Earliest Times To the End of Gothic Dominion in Spain (1888), a pag. 280: 
 
It shoud be mentioned here that Totila seems on becoming king to have changed his name to Baduila. Or possibly the latter may have been his real nale, and Totila only a nickname. At any rate he was known to his countryman by both names, though Baduila is the only one which appears on his coins. However, in history he is always calles Totila ; the other name would have been unknown to us but for the coins and a solitary mention in Jordanes.1

1 Perhaps the truth may be that his original name was Totabadws, and that Totila and Baduila are diminutive of this (see Appendix). 
 
Traduzione:

Va qui menzionato che Totila, divenuto re, sembra abbia cambiato il suo nome in Baduila. O forse quest'ultimo potrebbe essere stato il suo vero nome, e Totila solo un soprannome. In ogni caso il suo connazionale lo conosceva con entrambi i nomi, anche se Baduila è l'unico che compare sulle sue monete. Nella storia però viene sempre chiamato Totila; l'altro nome ci sarebbe stato sconosciuto se non fosse stato per le monete e per una menzione isolata in Giordane.1

1 Forse la verità è che il suo nome originale era Totabadws, e che Totila e Baduila ne sono diminutivi (vedi Appendice). 

Questo è riportato nell'Appendice a pag. 370:

Amongst the Goths, as among all other peoples, diminutives or "pet names" were formed from ordinary pet names by shortening them and adding an affix. This affix was usually -ila, but sometimes -ika. Thus such a name as Audamer-s might become Audila or Merila ; Wulfareiks might become Wulfila or Reikila. But just as in modern timies children are sometimes christened Harry or Lizzie, so these Gothic diminutives were often used as regular names, as in the case of Bishop Wulfila and King Badwila or Totila.

Traduzione:

Presso i Goti, come tra tutti gli altri popoli, i diminutivi o "nomi vezzeggiativi" venivano formati dai vezzeggiativi comuni, abbreviandoli e aggiungendo un suffisso. Questo suffisso era solitamente -ila, ma talvolta -ika. Quindi un nome come Audamers potrebbe diventare Audila o Merila; Wulfareiks potrebbe diventare Wulfila o Reikila. Ma proprio come nei tempi moderni i bambini vengono talvolta battezzati Harry o Lizzie, così questi diminutivi gotici erano spesso usati come nomi regolari, come nel caso del Vescovo Wulfila e del Re Badwila o Totila.
 
Una spiegazione innovativa 
 
Nella lingua gotica doveva esistere la preposizione *tota /'to:ta/ "verso", pur non essendo attestata in Wulfila. Corrisponde alla perfezione all'antico alto tedesco zuoza (variante: zuozi) "verso", "a"; "con". In protogermanico è ricostruibile come *tō-tō "verso", "fino a"; secondo altri sarebbe *tō-ta, ma a parer mio non è necessario. In pratica è una forma duplicata della preposizione *tō, la stessa che ha dato origine anche all'inglese to e al tedesco moderno zu. Guardate queste attestazioni: 
 
Antico sassone: tōtō, tōte "fino a" 
  Medio basso tedesco: tôte, tote, tôt, tot "fino a"  
Antico olandese: tuote "fino a", "verso" 
  Medio olandese: tote, tot, toete, toet "fino a", "verso" 
  Olandese moderno: tot "fino a"
Antico frisone: tote, tot "fino a"  
Antico alto tedesco: zuoza, zuozi "verso", "a"; "con" 
  Medio alto tedesco: zuoze "verso", "a"; "con"  
 
In tedesco moderno questa preposizione duplicata non esiste più. 

A questo punto direi che esiste una sola possibilità plausibile. Il nome Totila e il nome Baduila sono ipocoristici derivati rispettivamente dal primo e dal secondo membro del nome composto TOTABADWS, come sostenuto da Bradley. A sua volta questo nome sarebbe stato formato ispirandosi a una frase TOTA BADWAI "verso la battaglia", che doveva essere un sinonimo dell'attestato du wigana "alla battaglia". Quindi Totila corrisponde alla perfezione aun antroponimo maschile attestato in antico alto tedesco: Zuozo. Cercando di dare una concreta traduzione del nome Totila, opterei per "Piccolo Bellicoso", alla lettera: "(che si scaglia) verso", "(che si scaglia) contro (il nemico)". 

giovedì 12 agosto 2021

ETIMOLOGIA DEL NOME DAUFER, DAUFERIUS: LA SOLUZIONE DI UN ANNOSO PROBLEMA

L'ultimo Re dei Longobardi fu Desiderio (in latino Desiderius). Nacque a Brescia in data sconosciuta; deve essere morto dopo il 774 nel monastero di Corbie, in Francia. Regnò dal 757 al 774. Il figlio Adelchi (Adelchis, Adalgis) fu da lui associato al trono a partire dal 759, forse con l'intento di evitare problemi di successione. La guerra contro i Franchi iniziò nella primavera del 773 ed ebbe esito catastrofico. Nel giugno del 774, con la deposizione di Desiderio e la fuga di Adelchi a Costantinopoli, ebbe fine l'indipendenza dei Longobardi. Carlo Magno assunse il titolo di Rex Francorum et Langobardorum. La figura di Desiderio è ben nota in Italia per via dell'opera tragica di Manzoni, Adelchi, pubblicata nel 1822. 
 
Perché Desiderio avrebbe portato un nome latino? I romanisti ovviamente considerano questo fatto come un'evidenza della completa romanizzazione dei Longobardi. Tuttavia non tengono conto del fatto che l'antroponimia germanica era e continuò ad essere la norma, anche dopo la fine del Regno. Solo per fare un esempio, il figlio di Desiderio, il Principe Adelchi, aveva un tipico nome longobardo e mai pensò di adottarne uno latino. Fu invece proprio il Re Desidero a farsi conoscere con un nome latino, forse per il semplice e banale fatto che il suo nome originale non gli piaceva affatto. I libri di scuola tengono ben nascosto il vero nome di Desiderio, quello che ricevette quando fu battezzato. Il motivo di questa omissione è certamente ideologico. Per fortuna l'informazione non ci è sconosciuta. Egli si chiamava Daufer (a volte latinizzato in Dauferius).  

Roberto Rigoni, nel suo lavoro Note di toponomastica italiana, riporta quanto segue: "... ma gradatamente già prima della sconfitta del loro regno, nobili e arimanni, dai loro precedenti insediamenti rurali, avevano cominciato ad affluire nei centri urbani di saldo diritto latino e a fondersi con la sopravvivente aristocrazia latina, adottandone la lingua e costumi, costretti anche dal loro analfabetismo."
Quel "costretti dal loro analfabetismo" è una pura e semplice assurdità, proferita da chi sembra far fatica a capire che lingua parlata e lingua scritta sono due cose diverse. Nel corso dei secoli molte lingue sono state parlate senza sentire alcuna particolare necessità di una forma scritta. Può anche essere adottata una lingua scritta molto diversa da quella parlata. Peccato che queste ovvietà non siano considerate. In poche parole, siamo di fronte all'ennesimo caso di quello che potremmo chiamare razzismo scolastico antigermanico
Sempre Rigoni riporta questo a proposito del vero nome di Desiderio: "Alcuni di essi, come l'ultimo re Daufer, cominciarono ad adottare, accanto al loro nome germanico, un nome latino (Desiderius)."
 
A questo punto è necessario porsi una domanda, che nessuno sembra essersi mai posto, almeno a giudicare da quanto si trova nel vasto Web. Qual è il significato del nome Daufer
 
Ebbene, Desiderio non è la traduzione di  Daufer, il cui significato è del tutto dissimile. Daufer significa "Sopravvissuto al Coma" (letteralmente "che ha attraversato il coma"). Tale nome ha in sé qualcosa di macabro e si può facilmente pensare che causasse angoscia a chi lo portava. 
 
1) Primo elemento del composto: dau- 
 
In norreno significa "svenimento", "coma". Anche se con una pronuncia diversa, la stessa parola ha ancora il significato di "coma" in islandese moderno. Deriva in modo regolare dal protogermanico *dawan "perdita di sensi", "coma", con ogni probabilità connesso con il verbo *dawjanan "morire" (da cui il norreno deyja "morire", antico alto tedesco touwen "morire"). Questa è la declinazione del sostantivo norreno: 
 
nominativo: "coma"
genitivo: dás "del coma"
dativo: dái "al coma"
accusativo: "coma" 
 
Non sono presenti forme plurali per questo vocabolo. 
Questa è la declinazione ricostruibile per il protogermanico: 
 
nominativo: dawan "coma"
genitivo: dawasa "del coma"
dativo: dawai "al coma"
accusativo: dawan "coma"
 
2) Secondo elemento del composto: -fer(i) 
 
Il secondo membro dell'antroponimo Daufer proviene dal protogermanico *fēriz "che attraversa", "capace di attraversare", aggettivo derivato da un verbo *feranan "attraversare", "giungere in un luogo", che non ha tuttavia lasciato traccia. Questi sono gli esiti documentati della protoforma *fēriz nelle lingue storiche:
 
Antico inglese: 
      fǣre "che attraversa, capace di attraversare", 
      langfǣre, langfēre "durevole"
Antico alto tedesco:  
      fāri "che attraversa, capace di attraversare",  
      langfāri, lancfāri "durevole"  
 
3) La forma protogermanica del nome:  
 
*dawa-fḗriz "che ha attraversato il coma" 
 
L'aggettivo con la flessione forte può fungere da sostantivo quando è usato come nome proprio di persona composto. 
 
A questo punto è necessario notare alcune irregolarità fonologiche che sono alquanto interessanti, essendo in grado di guidarci a una più profonda comprensione della concreta genesi dell'antroponimo.
 
Possibile origine gotica del nome 
 
Siccome in longobardo il protogermanico *d- tende a dare origine a un'occlusiva sorda t- (es.: Tachipert, Tano, Tado, etc.), oltre al fatto che la vocale lunga *-ē- in genere diventa -ā- (es.: Aldemari, Filimari, Tado, etc.), dobbiamo dedurne che potrebbe trattarsi di un prestito dotto dal gotico. 
 
Questa doveva essere la declinazione dell'antroponimo in gotico: 
 
nominativo: *Daufers 
genitivo: *Dauferis 
dativo: *Dauferja 
accusativo: *Daufer  
 
La pronuncia avrebbe dovuto essere /'dɔ:fe:rs/ all'epoca di Wulfila (IV secolo), ma in epoca precedente era certamente /'daʊfe:rs/, con un dittongo. Se così fosse, il prestito dal gotico al longobardo dovrebbe essere avvenuto nel III secolo. Esiste però anche la possibilità che il dittongo si fosse conservato più a lungo in gotico, essendo l'antroponimo tratto da un vocabolo di formazione non certo popolare. In questo caso, sarebbe meglio forse scrivere *Dawfers. Si spera che un giorno si trovino attestazioni in grado di portare alla soluzione di queste incertezze. 
 
Sul vero nome di Papa Vittore III
 
Notiamo che esisteva nella tradizione onomastica dei Longobardi anche una variante più regolare dell'antroponimo, che aveva una -ā- lunga anziché -ē-: Daufari, latinizzato in Daufarius e sinonimo di Dauferius. Ben dopo la fine del Regno, ricordiamo che Papa Vittore III (Benevento, 1027 - Montecassino, 1087) aveva il nome di nascita Dauferio Epifani del Zotto, con le varianti Dauferi e Daufari. Era figlio di Landolfo del Zotto, della nobile stirpe longobarda dei Duchi di Benevento. Fu abate di Montecassimo dal 1058 fino alla morte. Quando divenne benedettino cambiò il suo nome in Desiderius ed è noto soprattutto come Desiderio da Montecassino. Richiamo l'attenzione su un dettaglio. Mi pare altamente significativo che anche questo Dauferio assunse il nome di Desiderio, proprio come aveva fatto l'ultimo sovrano dei Longobardi. Nel 1887, otto secoli dopo la sua morte, fu dichiarato beato.    

lunedì 5 luglio 2021

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULL'ETIMOLOGIA DI COMO

Mi ha sempre incuriosito l'origine del toponimo Como, fin da bambino. All'epoca ero molto ingenuo. Solo per fare un esempio, credevo che il nome della cittadina chiamata Erba derivasse dall'erba verde che vi sarebbe cresciuta. Me lo aveva detto mio padre (R.I.P.). Quanto mi diceva mio padre a quell'epoca lo prendevo per oro colato. Ero convinto che esistesse un modo di ricondurre i nomi dei paesi e delle città a parole comuni della lingua parlata. Un'illusione delle più folli! Ora so che le cose sono molto diverse, perché non si può credere che nell'antichità si parlassero le lingue odierne. Capivo però già allor che con nomi di luogo come Como non funzionava nessun approccio razionale, non serviva a nulla ciò che era a me disponibile a quei tempi. Se gli studi sulla lingua celtica mi hanno in seguito permesso di capire che Erba significava in realtà "vacca" o "cerva" (ottimi i raffronti in antico irlandese evidenziati dal professor Guido Borghi), con Como le etimologie disponibili non funzionavano altrettanto bene. 

Il nome latino della città, ben attestato, è Cōmum, con la vocale -ō- lunga: il vecchio centro era chiamato Cōmum oppidum, mentre il nuovo centro fu ribattezzato da Cesare come Novum Cōmum. Il greco antico abbiamo attestata la forma Κώμον (Kṓmon), anche in questo caso con la vocale tonica -ō- lunga, scritta con una lettera omega. Sembrerebbe tutto molto semplice. Purtroppo le cose non stanno così: già la fonetica della vocale tonica presenta inaspettati e gravi problemi.

Mi sono spesso chiesto come mai in milanese e in brianzolo si pronunci Còmm /kɔm/ e non Cum /ku:m/, come avrebbe dovuto essere se il toponimo si fosse evoluto regolarmente dall'originario Cōmum. In realtà in comasco esistono sia Còmm /kɔm/ che Cumm /kum/ (secondo la Wikipedia italiana sarebbe /kʊm/, in ogni caso con vocale breve). In italiano "standard" la pronuncia è Còmo /'kɔ:mo/, con la vocale tonica aperta, mentre in italiano lombardo la pronuncia è Cómo /'ko:mo/, con la vocale tonica chiusa. In tedesco è attestata nel tardo XV secolo la forma Kam, che è considerata un prestito diretto dal lombardo Còmm (Obermair, 2008) - sebbene il vocalismo presenti innegabili difficoltà.
 
Tentativi etimologici  

Il mondo accademico anglosassone considera il toponimo Comum come originatosi dalla parola celtica cumbā "valle", le cui attestazioni sono notevoli, ad esempio in Piemonte e in Linguadoca (tra le altre cose ha dato origine alla parola inglese coomb "valle stretta"). Questa derivazione è chiaramente impossibile per motivi fonetici: non si spiegherebbero né il vocalismo né il consonantismo. La -u- breve di cumbā non può aver dato la -ō- lunga di Cōmum; il gruppo consonantico -mb- non può essersi mutati in -m- semplice già in epoca romana. Mi ha sorpreso trovare questa falsa etimologia, tanto grossolana, sul famoso dizionario etimologico della lingua inglese Etymonline.com
 
 
Pietro Pensa (1906 - 1996) ha fatto derivare il toponimo da una radice celtica *koimo-, a cui ha attribuito il significato di "abitato". L'origine sarebbe quindi dalla stessa protoforma indoeuropea *k'oimos "della casa", "appartenente alla famiglia", a sua volta dalla radice *k'ei- "giacere". La stessa protoforma ha dato regolarmente il protogermanico *χaimaz "casa, villaggio, patria", i cui esiti sono ben noti (ad es. gotico haims "villaggio", norreno heimr "mondo, patria", inglese home "casa", tedesco Heimat "patria", etc.). La cosa non è di per sé impossibile. Tuttavia non sono al momento attestate derivazioni con questa semantica nelle lingue celtiche. Si ricostruisce il protoceltico *koimos "bello, caro" (da un più antico "familiare"), a partire da questi dati:  
 
antico irlandese: cóim, cóem "caro, carino" 
   irlandese moderno: caomh "caro, carino" 
antico gallese: cum "caro, carino" 
   gallese moderno: cu "caro, carino" 
medio bretone: cunff, cuff "caro, carino" 
   bretone moderno: kuñv "caro, carino"
In gallico è attestato nell'antroponimo Coemo.

Ritengo più probabile che l'antenato diretto di Cōmum sia *Koimon "Luogo Bello", inteso come un luogo dove si è manifestato un portento particolarmente fausto, connesso al perduto mito della sua fondazione. Il passaggio dal dittongo -oi- a una vocale lunga -ō- non sarebbe impossibile.     

Il professor Guido Borghi si è occupato dell'etimologia del toponimo Como nel suo lavoro Continuità Celtica della Toponomastica Indoeuropea del Bacino Lariano (2012), consultabile liberamente su Academia.edu. Questo è il link:
 
 
La lettura dell'interessantissimo trattato è purtroppo poco agevole per via della caratteristica ortografia che marca le vocali brevi (a mio avviso in modo ridondante). A fini di conoscenza riporto questo estratto etimologico, che si trova a pagina 114: 

Como / Comm < gallico *Kōmŏn < celtico *Kŏϕŏmŏ-m < indoeuropeo *Kŏpŏmŏ-m < *(S)kŏp-ŏ-mŏ-m „della Copertura“ (cfr. Bergamo < gallico *Bĕrgŏmŏ-n < celtico *Bĕ́rgŏmŏ-m < indoeuropeo *Bɦĕ́rĝɦŏmŏ-m < *Bɦĕ́rĝɦ-ŏ-mŏ-m „del Monte“) più regolare che Como < gallico *Kōmŏn < orobico *Kōmŏ-m < indoeuropeo *Kōmŏ́-m < *Kōm(hx)-ŏ́-m „Che ha concentrazione (di insediamento)“  
 
Quello che Borghi ha compreso al volo è la stranezza della vocale lungua -ō-, da me già segnalata. Una simile vocale dell'indoeuropeo evolve in protoceltico come -ā-, tranne che nel caso in cui si trova nella sillaba finale di una parola, dove si oscura ed evolve in -ū-. Quindi una protoforma celtica *Kōmon, ricostruibile dal toponimo attestato nei documenti in latino, sarebbe decisamente anomala. Subito risulta chiaro che *Kōmon deve per necessità derivare da una protoforma più complessa. Detto questo, le ricostruzioni dell'esimio professor Borghi mi sembrano troppo complesse e improbabili. Resto convinto che un passaggio da *Koimon "Luogo Bello" a *Kōmon sia più plausibile e immediato. Spero che in futuro saranno trovate nuove evidenze in grado di portarci a una conclusione certa. 
 
I Neocomiti 
 
Molto utile è la lettura dello studio del professor Giorgio Luraschi (1991), consultabile sul sito del Comune di Como: 
 
 
Si parte dalla doppia fondazione di Como. 
 
"Como ebbe due fondazioni, nel senso che due città vere e proprie vennero fondate con lo stesso nome (Comum), sia pure in epoche e luoghi diversi. La prima fondazione risale al V sec. a.C., ed è da porsi sulle colline meridionali della convalle comasca, pressappoco dove oggi sono i borghi di Prestino e di San Fermo; la seconda cadde invece nel 59-58 a.C. e fu opera di Cesare, che la collocò esattamente sull’area della attuale città." 

L'opera di Giulio Cesare è spiegata subito dopo con maggiori dettagli, alludendo anche all'intervento di coloni giunti dall'Ellade:
 
"Che le Como fossero state due basta, d’altronde, a provarlo il fatto che il centro romano fu chiamato dai primi coloni greci Novum Comum (Strab. 5,1,6), il che lascia ovviamente ad intendere che esistesse un Vetus Comum, probabilmente quello di cui parla Livio (33,36) allorché descrive lo scontro (196 a.C.) fra Comensi e Romani e la conseguente presa di Comum oppidum e dei suoi ventotto castella da parte dei vincitori. Il problema è stabilire dove fosse situato Comum oppidum, e se ad esso potesse competere la qualifica di città in senso giuridico ed architettonico." 

Quasi commoventi sono le supposizioni sui più antichi popolamenti dell'area. Lo studioso cerca con ogni mezzo di colmare l'immenso baratro dell'ignoranza storica causata dall'assenza di fonti scritte:
 
"Per impostare correttamente la questione bisogna risalire alla fase di transizione fra l’età del Bronzo e l’età del Ferro (1000 a.C. circa), quando sull’incalzare di eventi imprecisati (bellici, naturali?), piccoli nuclei di popolazioni di stirpe ligure (sia pure con precoci influenze celtiche) si stanziarono sulle colline che vanno dal Baradello al Monte della Croce (Spina Verde).
Qui si disposero in minuscoli villaggi (13 o 30 capanne nei due casi accertati), isolati gli uni dagli altri, ognuno con propri luoghi di culto, necropoli (se ne contano una quindicina), sorgenti, accessi ecc. Oltre cento anni di scavi condotti dalla Società Archeologica Comense ne hanno data ampia documentazione." 
 
E ancora su Novum Comum:  

"Siamo nel 59 a.C., Roma è dominata dai triumviari, Cesare, Pompeo e Crasso. Cesare si fa eleggere console e si accinge a costruire il suo futuro e, a ben vedere, quello del mondo. Nei suoi piani lungimiranti, che già prevedevano l’espansione transalpina, rientra anche la fondazione di Novum Comum." 
 
Viene ribadita l'eco che la fondazione della nuova colonia ebbe nel mondo romano dell'epoca:
 
"Fu un evento di formidabile risonanza, tanto è vero che, come dissi, ne parlano o vi alludono ben sei autori: Catullo, Cicerone, Strabone, Plutarco, Svetonio ed Appiano: i primi due, fra l’altro, furono testimoni diretti ed interessati, avendo entrambi amici comaschi." 

Ecco il retroscena nel complesso universo della legislazione romana, ingarbubliato a tal punto da essere comprensibile soltanto uno studioso della levatura di Luraschi: 

"Tutto trae origine nel 59 a.C., appunto, da una
lex Vatinia, cioè da un plebiscito rogato dal tribuno Vatinio, amico di Cesare, che autorizzò la fondazione e ne prescrisse i dettagli (58). Vediamo che cosa dice, al riguardo, Strabone (59): “Il divo Cesare portò a Como 5.000 nuovi coloni,di cui i 500 greci risultarono quelli più in vista; a costoro, invero, diede anche la cittadinanza e li iscrisse fra i coloni; essi tuttavia non fissarono in questo stesso luogo la residenza, ma comunque lasciarono alla fondazione il nome; infatti tutti quanti furono chiamati Neocomiti, ed il luogo, tradotto, è detto Novum Comum”."
 
Ora va detto qualcosa di estremamente scomodo. La storia dei Neocomiti (greco Νεοκωμῖται) destò immenso clamore postumo tra i parrucconi e tra i topi di biblioteca del XVIII secolo, colonne portanti del paleocomparativismo. Questa mania ellenizzante ha investito l'intera toponomastica lariana, dando origine a spiegazioni piuttosto inverosimili. Ecco alcuni esempi: 

Corenno è stato fatto risalire a Korinthos
Dervio è stato fatto risalire a Delphos
Lemna è stato fatto risalire a Lemnos
Lenno è stato fatto risalire a Lemnos
Nesso è stato fatto risalire a Naxos
Piona è stato fatto risalire a Peonia 
 
Sicuramente si ricollega alla leggenda dei Neocomiti anche il limnonimo Eupilis lacus, da cui Eupilio, tradizionalmente intrepretato come "bel luogo", dal ben noto prefisso greco eu- "bene, buono", per quanto la seconda parte del composto non sia di così facile etimologia. Sono puerili trovate della solita passione italica per le false etimologie: tutto è fondato su assonanze, senza controllare in alcun modo se siano o meno sigificative. A mio avviso nessun greco avrebbe dato a località sulla terraferma il nome di isole dell'Egeo: Lemna, Lenno e Nesso non si spiegano in questo modo. Allo stesso modo nessun greco avrebbe dato a un luogo sperduto il nome di una regione dell'Ellade: Peonia non si spiega in questo modo. Sorprende come questi toponimi, non studiati praticamente da nessuno fino a poco tempo fa, siano restati di difficilissima analisi per così tanto tempo. A volte, come nel caso di Piona, mancano tuttora proposte etimologiche convincenti. In altri casi, un'etimologia celtica è la sola spiegazione possibile. Chiunque abbia una minima dimestichezza con le lingue celtiche, comprende all'istante che Dervio significa "Luogo della Quercia" e che Nesso significa "Luogo Basso". Altrettanto evidente è che Lemna significa "Luogo degli Olmi". Non c'è proprio bisogno di tirare in ballo Delfo, che non si adatta nemmeno alla fonetica. Il problema è che in Italia la conoscenza delle lingue celtiche è disprezzata per imperativo scolastico e che per secoli hanno imperato studi classici decisamente sterili, tanto pedanti che persino una scorreggia scappata a uno studioso doveva essere ricondotta alla Grecità. Sorprende anche constatare che il mondo accademico si ostini a considere gran parte della toponomastica come un immenso buco nero. Il punto è di enunciazione semplice. Non è Como ad aver preso il suo nome dai Neocomiti. Sono i Neocomiti ad aver preso il loro nome da Como.

domenica 13 giugno 2021

 
LA LEGGENDA VICHINGA 
 
Titolo originale: The Saga of the Viking Women and Their 
     Voyage to the Waters of the Great Sea Serpent 
Aka: Viking Women and the Sea Serpent;
       Le donne vichinghe e il dio serpente
Lingua: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1957
Durata: 66 min
Colore: B/N
Rapporto: 1,85:1
Genere: Avventura, fantastico
Regia: Roger Corman
Soggetto: Irving Block
Sceneggiatura: Lawrence L. Goldman
Produttore: Roger Corman
Produttore esecutivo: Samuel Z. Arkoff, James H. Nicholson 
Casa di produzione: Malibu Productions 
Direttore artistico: Robert "Bob" Kinoshita
Fotografia: Monroe P. Askins
Effetti speciali: Irving Block, Louis DeWitt, Jack Rabin
Musiche: Albert Glasser
Costumi: Gwen Fitzer
Trucco: Harry Ross 
Fonico: Herman Lewis
Interpreti e personaggi:
    Abby Dalton: Desir
    Susan Cabot: Enger
    Bradford "Brad" Jackson: Vedric
    June Kenney: Asmild
    Richard Devon: Stark
    Betsy Jones-Moreland: Thyra
    Jonathan Haze: Ottar
    Jay Sayer: Senya
    Lynette "Lynn" Bernay: Dagda
    Sally Todd: Sanda
    Gary Conway: Jarl
    Michael "Mike" Forest: Zarko 
    Herman Hack: Cavaliere Grimault 
    Signe Hack: Donna Grimault
    Wilda Taylor: Danzatrice Grimault 
    Ross Sturlin: Guerriero Grimault 
Titoli in altre lingue: 
    Spagnolo (Spagna): Las mujeres vikingo y la serpiente del mar
    Spagnolo (Messico): La serpiente del averno 
    Spagnolo (Perù): Mujeres vikingos  
    Spagnolo (Venezuela): La leyenda de las vikingas y su viaje
         a las aguas del gran dios serpiente 
    Russo: Сага о женщинах-викингах и об их путешествии
         по водам Великого Змеиного Моря 
    Serbo: Saga o vikinškim ženama i njihovom putovanju
        do voda Velike morske zmije
Budget: 65.000 dollari US
 
Trama: 
In una fantomatica terra nordica chiamata Stannjold tumultua senza sosta un gruppo di donne guidate dalla splendida Desir. Sono autentiche virago. I loro uomini sono scomparsi e devono essere ritrovati ad ogni costo, giusto per essere randellati a dovere. Il clima di Stannjold è tropicale, vi splende perennemente il solleone e tutte vanno in giro mezze nude. Desir e le sue seguaci salpano su una lunga nave e in seguito a un vortice marino fanno naufragio in una terra sconosciuta, oltre il Mare Sconosciuto. Qui trovano i loro uomini imprigionati nelle miniere da guerrieri di un popolo crudele che somiglia per aspetto fisico e per costumi agli Unni. Sono i Grimault, crudeli e dai capelli corvini. Sono governati dal tiranno Stark. Dopo mille peripezie, le donne vichinghe riescono a liberare i loro uomini, il cui capo è Vedric, raggiungendo così la costa. Qui avviene un drammatico confronto con i Grimault. Il figlio effeminato del tiranno Stark viene colpito da Thor, che lo uccide con la folgore. Gli uomini e le donne di Stannjold riescono a impadronirsi di un'imbarcazione, prendendo il largo. Affrontano una gigantesca lucertola gommosa scaturita da un immane gorgo, piena di creste che paiono condilomi venerei acuminati, e la uccidono servendosi di una minuscola spada, la cui punta non è certo acuminata. Secondo l'idea del regista, anche un coltellino svizzero sarebbe bastato a squarciare quella massa gelatinosa! Prima di spirare per l'esigua puntura, il mostro marino distrugge con le sue convulsioni la barca dei Grimault lanciata all'inseguimento dei Vichinghi gloriosi. Evidentemente i Grimault erano un popolo piccolissimo: il potere di Stark è distrutto nell'incidente e non giungono altre minacce. Così gli eroici Vichinghi e le loro robuste compagne riescono a raggiungere la torrida patria.
 
Recensione:  
Questo film è un autentico escremento di celluloide, come a volte sono i prodotti di Corman (altri sono invece notevoli). Non penso che esista una sola ragione al mondo perché si debbano vedere simili porcherie. A spingermi deve essere il mio innato masochismo. Qui siamo addirittura a livelli di autolesionismo. Certo, la sensibilità era molto diversa all'epoca in cui la pellicola cormaniana fu distribuita. Senza dubbio lo era anche la mia: non ero ancora nato! 

 
L'onirostorico Paese di Stannjold 
 
All'inizio della pellicola viene mostrata una mappa con la geografia del Nord tropicale cormaniano. Si nota all'istante una cosa stravagante: quella che ora è la Danimarca è invece denominata "Stonjold", mentre "Land of the Danes" (ossia "Terra dei Danesi") indica la costa meridionale del Mar Baltico. Il regista immagina che in seguito quattro o cinque Danesi sarebbero migrati a nord, stanziandosi nella terra di Stannjold e imponendosi sui quattro o cinque nativi, cambiando il nome alla nazione. Secondo l'idea di Corman e di Goldman, tutti i popoli dell'antico Settentrione sarebbero stati talmente esigui come consistenza numerica da poter essere spazzati via da una semplice epidemia di raffreddore! Non ci si possono aspettare idee realistiche sulle antiche migrazioni da individui con una conoscenza tanto limitata. Non mancano gli anacronismi, che sono abbastanza gratuiti e insensati. Vediamo che i Grimault hanno un immenso castello dotato di merli, come se potessero servirsi di una tecnologia assai avanzata e di una grandissima abbondanza di manodopera, ma questo non risulta: sono quattro gatti! Il Re Harald Dente Azzurro non avrebbe potuto concepire nulla di simile, pur essendo la Danimarca tanto popolosa e potente da inviare spedizioni a devastare l'Inghilterra. Se la narrazione del film di Corman è un'ucronia, non siamo in grado di determinare il Punto di Divergenza. Non siamo in grado perché non c'è. Si tratta di un delirio onirostorico, quale può essere concepito in un sogno provocato dall'eccessiva quantità di formaggio ingerito prima di coricarsi.  

 
Una profonda ignoranza del norreno 

Chiaramente Corman non conosceva l'antico nordico. Nemmeno Goldman ne sapeva granché. Probabilmente non avevano la benché minima natura di che lingua fosse. Se qualcuno avesse detto loro che parole inglesissime come big, black, window, fellow, skipper, they, take, call, cast, get e molte altre sono in realtà prestiti dalla lingua dei Vichinghi, ne sarebbero rimasti sconvolti. In ogni caso, il regista e lo sceneggiatore sono riusciti a escogitare alcune cose notevoli, anche se a tratti grottesche. Forse ce l'hanno fatta per puro caso.     
L'antroponimo femminile Desir sembra semplicemente un prestito dall'antico francese desire, che significa "Desiderio". C'è anche un'altra possibilità. In norreno esiste la parola Dísir che indica alcune divinità femminili minori invocate soprattutto in occasione della morte. La forma singolare è dís, il suffisso -ir indica il plurale. In norreno non si hanno forme plurali usate come antroponimi, cosa che già di per sé rende questa etimologia implausibile. I problemi fonetici potrebbero risolversi facilmente se pensassimo che lo sceneggiatore abbia trascritto con una -e- la vocale lunga /i:/ del norreno. 
L'antroponimo femminile Dagda corrisponde al teonimo maschile irlandese Dagda. Come il nome della divinità Dagda è dal protoceltico *dago-dēwos "Buon Dio", Corman ha escogitato un femminile Dagda, la cui protoforma sarebbe *dago-dēwā "Buona Dea". Non sembra difficile né irrazionale, anche se questo nome non risulta attestato. Non credo che lo sceneggiatore conoscesse le lingue celtiche e la loro origine: è più facile pensare che abbia preso il nome a caso da qualche scritto sull'antica Irlanda, scegliendolo soltanto per via della sua sonorità.
L'antroponimo femminile Enger ha una terminazione tipica di un nome maschile. Dovrebbe derivare dal norreno engr "stretto", ma non ha alcuna corrispondenza nella reale antroponimia della Scandinavia: ha tutta l'aria di essere stato inventato di sana pianta. Non ha alcun senso pensare che possa essere derivato da engi "nessuno; nulla" (negazione di einn "uno" tramite il suffisso -gi). 
L'antroponimo femminile Thyra è una latinizzazione del nome della madre del Re Harald Dente Azzurro (Haraldr Blátǫnn), Thurvi (antico danese Þurvi). In islandese moderno è Þuri. Si nota che la vocale tonica è breve. L'etimologia è incerta. Gli accademici concordano nel considerare il nome un derivato del teonimo Thor (Þórr). In effetti si potrebbe ricostruire una protoforma *Þunra-wīχō "Consacrata a Thor" (cfr. gotico weihs "santo", weiha "prete"). La fonetica è altamente irregolare. 
L'antroponimo femminile Asmild viene dal norreno áss (ǫ́ss) "divinità della stirpe degli Asi" (pl. Æsir "gli Asi"), dal protogermanico *ansuz. Il secondo membro del composto viene dall'aggettivo mildr "mite" (femminile mild), che corrisponde all'inglese mild "mite". Non ho presenti attestazioni di questo nome nelle saghe, ma in Danimarca esistono famiglie il cui cognome è Asmild.  
L'antroponimo maschile Ottar (norreno Óttarr) è ben attestato e deriva regolarmente da una protoforma *Ōχti-χarjaz "Esercito del Terrore". La somiglianza di Ottar col norreno otr "lontra" è soltanto casuale. 
L'antroponimo maschile Jarl significa "Conte" ed è una parola norrena ben conosciuta, che deriva dalla protoforma *irilaz "nobiluomo". Più che altro è un titolo, anche se a rigor di logica potrebbe benissimo essere usato come nome proprio di uomo. 
L'antroponimo maschile Vedric pare più che altro di origine celtica. Lo faccio facilmente derivare dal protoceltico *Widu-rīks "Re dei Boschi", nonostante la leggera anomalia del vocalismo. In norreno ci aspetteremmo *Viðrekr, la cui trasposizione cormaniana attesa sarebbe stata *Vidric anziché Vedric. In Norvegia esiste una fattoria chiamata Vidringstad, il cui nome può essere derivato proprio dall'antroponimo *Viðrekr, che ha un perefetto corrispondente nell'antico alto tedesco Witrih
Il nome del tiranno Stark è trasparente e ben comprensibile: è derivato dal norreno sterkr "forte" (anche starkr), a sua volta dal protogermanico *starkuz / *starkjaz. Dalla stessa radice è stato formato il nome dell'eroe Starkaðr, che non temeva alcuna potenza soprannaturale eccetto il Dio Thor. 
Due nomi dei Grimault risultano assolutamente privi di connessioni col norreno: Zarko e Senya. Un verbo to zark, sinonimo di to fuck "fottere", è stato coniato dallo scrittore, sceneggiatore e umorista britannico Douglas Noel Adams, autore della famosa Guida galattica per autostoppisti (The Hichhicker's Guide to the Galaxy), romanzo del 1978 - molto dopo il film di Corman. L'imperativo zark off "fottiti" suona quasi come Zarko. Non so se Adams abbia preso l'idea dall'antroponimo goldmaniano; non si può escludere, anche se mi sembra piuttosto improbabile. Cosa curiosa, in armeno zark significa "colpire, battere" e potrebbe essere la fonte sia del neologismo di Adams che del nome del personaggio del film di Corman. Forse il tramite di queste bizzarre creazioni lessicali è stato un discendente di immigrati armeni, la cui identità ci sarà sconosciuta per sempre.  
Per il resto non ci sono dubbi: la lingua nativa dei Grimault non è il norreno. Il tiranno Stark afferma in un'occasione di aver imparato qualche parola dai prigionieri, anche se risulta che non ci siano difficoltà di comprensione tra lui e le donne vichinghe. Questa è una cosa ben stravagante. Da che mondo è mondo, sono i prigionieri ad imparare per necessità qualche parola della lingua dei loro carcerieri, non il contrario. Le comunicazioni sono spesso difficili quando i prigionieri non hanno alcuna conoscenza della lingua del paese in cui sono detenuti. Si riporta il caso di un danese che fu imprigionato dai Franchi di Carlomagno. Paolo Diacono fu incaricato dal Re di comunicare con questo vichingo, perché nessuno comprendeva le sue parole, nessuno riusciva a farsi capire. Non funzionavano né la lingua germanica del sovrano e della sua corte, né la lingua protofrancese dei sudditi. Paolo Diacono cercò di farsi capire usando il longobardo e il latino, senz'altro risultato che il riconoscimento dei nomi di due divinità adorate dal danese, riportati come Waten (ossia Odino) e Thonar (ossia Thor) - e solo perché erano simili alle corrispondenti forme longobarde. Per ulteriori dettagli di questa vicenda poco conosciuta si rimanda al datato ma interessantissimo Des Paulus Diaconus Leben und Schriften (Dahn, 1876). 
 
 
 
Etimologia di Stannjold 
 
Il fantatoponimo Stannjold (variante Stonjold) non ha alcuna etimologia credibile. Forse lo sceneggiatore voleva suggerire un'origine dall'inglese stone "pietra", anglosassone stān, il cui corrispondente in norreno è però steinn. In ultima analisi tutte le forme storiche provengono dal protogermanico *stainaz attraverso mutamenti molto facili da comprendere. All'origine delle elucubrazioni di Goldman doveva esserci l'idea di una lingua germanica settentrionale diversa dal norreno, poi perduta nel tumulto della Storia, che avesse *stánn, *stónn "pietra" anziché steinn. Anche senza considerate che la Danimarca non è un paese di rupi e scogliere (né lo era nemmeno in epoca antica), resta il fatto che l'elemento -jold sembra privo di qualsiasi parentela discernibile. Non è plausibile una sua connessione col norreno jól "metà inverno", dato che non si spiegherebbe la terminazione -d e non ne verrebbe fuori alcuna semantica credibile. La vera atrocità in questa creazione deforme è senz'altro la pronuncia: Stannjold suona /'stɔndʒold/, con un'orrida consonante postalveolare! 
 

Etimologia di Grimault
 
L'origine dell'etnonimo Grimault è dal norreno grimmr "crudele", a sua volta dal protogermanico *grimmaz "crudele, severo". Potrebbe essere in qualche modo l'equivalente dell'aggettivo grimm-úðigr "feroce". La terminazione richiama il tipico suffisso accrescitivo e peggiorativo -ault, tipico dell'antico francese, di origine germanica (*-waldaz, che in norreno ha dato origine all'elemento antroponimico -(v)aldr). Meno plausibile mi pare una proposta di derivazione da gríma "maschera, travestimento che nasconde il capo". La pronuncia di Grimault nella versione originale del film dovrebbe essere /'gɹɪmoʊlt/. Si registrano nel Web un paio di varianti ortografiche dell'etnonimo: Grimolt e Grimold.
 
Vino d'uva per i Grimault  

Nel corso dell'improbabile festa in onore delle donne vichinghe giunte dal Sud, una rozza serva dei Grimault porta loro una brocca piena di vino rosso. Si tratta certamente di succo d'uva fermentato, non possono esserci dubbi al riguardo. Si direbbe che la Terra immaginata da Corman e da Goldman si trovasse in un periodo interglaciale, caldissimo, in grado di far crescere l'uva anche nelle regioni polari più impervie.  
 

Thor e l'omosessualità
 
Verso il finale del film Thor fulmina un arga. Senya, il gracile e inetto figlio del Re dei Grimault, è evidentemente un omosessuale effeminato che assume ruoli passivi con i guerrieri, comportandosi come una giumenta con gli stalloni (era questo il modo di dire usato nella Scandinavia pagana per descrivere la situazione). Per questo motivo Senya è odiato dalla divinità uranica dei Vichinghi, che lo abbatte senza pietà scagliandogli contro i suoi strali. Qual è il motivo di questo odio, che al giorno d'oggi sarebbe definito "omofobia"? Semplice: Thor era adorato come divinità dei fenomeni celesti e della fertilità. Era diffusa tra le genti del Nord l'assurda convinzione che il sesso anale, anche tra uomini, potesse essere fecondo e portare alla nascita di sventurati. Si credeva nella reale esistenza del parto anale. Ovviamente Thor, che benediceva gli sposi e favoriva la procreazione, era offesissimo dalla generazione di bambini tramite l'intestino. La reazione era prevedibile: scagliava la folgore! Nella mitologia esiste il caso di Loki, che ha ingerito il cuore ancora caldo della gigantessa Angrboða appena bruciata sul rogo, rimanendo in un innaturale stato di gravidanza. I frutti di tale orrida fecondazione erano mostri: il lupo Fenrir, il Serpente del Mondo (Jǫrmungandr) e la Signora degli Inferi, Hel. Con un altro parto anale Loki ha dato alla luce il cavallo Sleipnir, dotato di otto zampe, che è diventato il destriero di Odino. Per concepirlo, l'ambiguo Loki si era trasformato in una giumenta, venendo montato da uno stallone eccitato. Quando aveva la forma di una cavalla, l'ambigua divinità era dotata di una fica. Ritornato nella sua forma naturale, questa fica era scomparsa e restava soltanto l'intestino retto come unica risorsa per far uscire la vita che era stata concepita nel ventre. A differenza delle molte inconsistenze mostrate nelle sequenze della pellicola di Corman, questa trovata di Thor che fulmina Senya sembra abbastanza verosimile e dotata di buone basi filologiche. 

 
Altre assurdità e incongruenze 
 
Il culto di Thor mostrato nel film è amministrato dalla bruna Enger, che ne è la sacerdotessa, cosa già di per sé abbastanza anomala. Inoltre è pieno zeppo di concetti cristiani, come ad esempio un'altisonante quanto vana menzione della rinuncia ai piaceri della carne. Ciò è di una palese assurdità, visto che nella mitologia nordica Thor è descritto come un formidabile mangiatore e bevitore! Un'altra assurdità è un'invocazione pronunciata da Vedric nell'atto di scagliare la sua spada dalla punta smussata contro il mostro marino: "Che Thor abbia pietà delle nostre anime!" C'è stata una fase di commistione tra il Cristianesimo e il culto degli antichi Dei, cosa che può essere ben documentata da molte fonti storiche attendibili, eppure sono certo che le cose non siano andate come le ha descritte Corman.  
 
 
Curiosità varie 

Il regista in un'occasione ebbe a dire: "Il titolo completo è The Saga of the Viking Women and Their Voyage to the Waters of the Great Sea Serpent. Non siamo riusciti a trovare un modo per mettere il titolo in due o tre parole, quindi ho detto "andiamo all'altro estremo e diamo loro il titolo più lungo che abbiano mai visto per poi usare il più grande cliché nelle immagini storiche dell'epoca, che è quello di aprire con un libro di pelle incisa, una mano che entra e apre la copertina del libro, e c'è il titolo del film." Avevo un vago sospetto che il geniale cineasta facesse uso di sostanze pregiate. Dopo aver letto queste sue considerazioni stravaganti, ne ho l'assoluta certezza. 
 
A quanto pare Senya, il principe arga, nella versione in inglese ha un fortissimo accento di Brooklyn, cosa grottesca che ha portato un commentatore a schernire il film ("I didnt' realize that the Grimolts originally hailed from Brooklyn"). Un'irrisione giustissima, ci tengo a precisare.  

Conclusioni 

In sostanza, l'unico aspetto positivo di quest'opera di Corman sono le sensualissime creature femminili!