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lunedì 18 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI ATKINS

L. Patrick Atkins è l'autore della tesi Phonetic Descriptions of Glossolalia (Descrizioni fonetiche della glossolalia), consultabile e scaricabile al seguente link:


Titolo della tesi:
Phonetic Descriptions of Glossolalia
Studente: L. Patrick Atkins, M.A.
Università: George Mason University, Fairfax (VA)
Anno: 2014
Relatore della tesi: Dr. Steven H. Weinberger
Lingua originale: Inglese


Questo è l'indice della tesi di Atkins:

TABLE OF CONTENTS

List of Tables ... v
List of Figures ... vi
Abstract ... vii
1. Introduction ... 1
2. Review of the Literature ... 10
3. Methodology ... 17
4. Data & Analysis ... 23
5. Discussion ... 35
Appendix A ... 42
Appendix B ... 44
References ... 47


LIST OF TABLES

1. Universals from Maddieson, 1986 ... 8
2. Observations from Goodman, 1972 ... 13
3. The Subjects at a glance ... 22
4. Phonetic Category Frequencies (% of Consonants) in
    Glossolalia Data ... 37


LIST OF FIGURES

1. IPA Consonant Chart for English ... 24
2. IPA Vowel Chart for English ... 24
3. Charlie’s Consonants ... 25
4. Charlie’s Vowels ... 26
5. Jill’s Consonants ... 27
6. Jill’s Vowels ... 27
7. Karen’s Consonants ... 28
8. Karen’s Vowels ... 29
9. Vowels: Glossolalia v. Maddieson ... 34
10. English Consonant Frequency Ranking from Mines, et al., 1978
    ... 36


DESCRIZIONI FONETICHE DELLA GLOSSOLALIA

"Questo articolo descrive foneticamente la parlata glossolalica di tre parlanti di madrelingua inglese. I soggetti sono stati intervistati per informazioni biografiche e glossolalie registrate. Dopo aver trascritto i discorsi coi simboli dell'alfabeto fonetico internazionale, gli inventari dei segmenti sono stati generati per ognuno dei campioni dei soggetti, e i segmenti di glossolalia asono stati descritti alla luce di universali fonologici. Questo studio conclude che gli universali linguistici influenzano la glossolalia e che i segmenti del discorso di un glossolalico sono un sottoinsieme dei segmenti della sua lingua nativa. Queste conclusioni hanno particolari implicazioni per la potenza degli universali fonologici come anche per ulteriori studi sulla glossolalia."

"Ogni parlante glossolalico è un'isola, con una propria lingua divina, nota soltanto a lui e priva di relazioni con tutte le altre lingue divine che sono state rivelate al mondo fin dall'inizio dei tempi. Questo è il dogma fondante degli studiosi dei fenomeni glossolalici. Un dogma che io sento di dover sfidare. Non esistono lingue davvero isolate. Non esistono lingue monadiche, fatte per descrivere un mondo privo di qualsiasi contatto con l'esterno." 
 
Innanzitutto l'autore fa alcune importanti precisazioni sulla parola glossolalia, sul suo uso e sulla sua storia. Non si tratta di un termine troppo antico, com'è facile immaginare: il suo conio risale alla seconda metà del XIX secolo ed è opera dell'ecclesiastico anglicano Frederic Farrar. Nella sua opera Life and Work of St. Paul (1879), egli ha descritto come glossolalia "quei soliloqui di emozione estatica spirituale" ("those soliloquies of ecstatic spiritual emotion"). Immagino che il testo non sia mai stato tradotto in italiano e non ho la benché minima idea di quante edizioni abbia avuto, in ogni caso sappiamo che la frase citata sui soliloqui spirituali si trova a pagina 52 dell'originale. A partire da Farrar, si è fatto un gran parlare di glossolalia e il mondo accademico ha usato tale termine per descrivere il fenomeno delle pronunce dirette dallo Spirito e prive di qualsiasi corrispondenza con lingue usate dal genere umano. Dal punto di vista fonologico, la glossolalia condivide con il linguaggio ordinario alcune caratteristiche di base, mancando tuttavia di parametri chiari e definibili di sintassi, semantica e proprietà comunicative. In realtà questo Farrar sembra aver avuto conoscenze scritturali abbastanza tenui. La locuzione "parlare in lingue" si trova negli Atti degli Apostoli (Atti 2, 1-13). I dodici Apostoli, riuniti dopo l'Ascensione di Cristo, udirono un improvviso suono dal cielo, simile a quello di un forte vento, che riempì la casa ove erano seduti. Apparvero dunque lingue di fuoco che si posarono su ognuno degli Apostoli, che furono pieni dello Spirito Santo, così si misero a parlare in altre lingue, dato che lo Spirito aveva dato loro la pronuncia. Quindi cominciarono a predicare a una folla di genti, e ognuno li udì parlare nella propria lingua nativa, come si legge in Atti 2, 8-11: "Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio." Ne possiamo dedurre che gli Apostoli non operarono affatto un miracolo di glossolalia, semmai un miracolo di xenoglossia, dato che parlarono in lingue esistenti e utilizzate da popoli di gente dotata di un corpo di carne, sangue e ossa. Non credo che ci sia bisogno di un eccelso grecista per comprendere che glossolalia è una parola formata male, come molte parole tipiche della nostra epoca (alcuni esempi: pedofilia, omofobia, etc.).
 
Per trovare un riferimento al dono di parlare lingue sconosciute dobbiamo andare a 1 Corinzi 14. Va però fatto notare una cosa estremamente importante: l'Apostolo reputa necessario che un discorso glossolalico proferito da qualcuno nell'Assemblea, sia tradotto prontamente da qualcun altro. Se non c'è traduzione possibile per le parole di qualcuno, la raccomandazione è che questi si astenga dal parlare nell'Assemblea, come scritto in 1 Corinzi 14, 29. Inoltre leggiamo in 1 Corinzi 14, 9 quanto segue: "Così anche voi, se con la lingua non proferite un discorso comprensibile, come si capirà quello che dite? Parlerete al vento." Tutto ciò è in assoluta contraddizione con la pratica glossolalica da parte dei Pentecostali e dei Carismatici, che insistono sull'assoluta intraducibilità dei loro interventi proferiti in lingue sconosciute. La cosa non deve stupire più di tanto. Sono sorte in numero immenso Chiese che sostengono dottrine e pratiche in contraddizione stridente con quanto si legge nelle Scritture. Se non ci sono confessioni cristiane che danno grande valore all'incesto, all'orgia e alla sodomia è soltanto perché nella competizione interreligiosa hanno perso la battaglia per la sopravvivenza, finendo annientate sul nascere da congregazioni più numerose, potenti e aggressive. Quando invece contenuti aberranti come l'adorazione di idoli e feticci riescono a passare per "devozione popolare", nessuno insorge, nesusno dice nulla: l'inveterata incorporazione dell'idolatria e del feticismo più crasso nella Chiesa Romana è un esempio lampante. 
 
Lo studio di Atkins si incentra su alcune domande essenziali:   
 
1) Gli universali fonologici che governano i segmenti del linguaggio umano ordinario limitano anche i segmenti e gli inventari fonemici delle parlate glossolaliche?
2) Esistono esempi in comune, relativamente ai segmenti, tra campioni distinti di glossolalia? 
3) Emerge qualche schema comune a campioni distinti di glossolalia?  

La mia risposta al primo degli interrogativi di Atkins è senz'altro negativa. Le limitazioni fonotattiche dei linguaggi glossolalici sono in genere profondamente diverse da quelle della maggior parte dei linguaggi reali. Si notano sproporzioni impressionanti negli inventari dei fonemi (o meglio delle unità fonetiche, visto che non sappiamo nulla sul significato delle parole e su eventuali coppie minime). Sia la seconda che la terza domanda dell'autore sembrano invece avere risposta positiva, anche se sono necessari studi più approfonditi per comprendere le ragioni di ciò che mi capita di rilevare. Osservando con attenzione varie produzioni glossolaliche di persone diverse, come quelle esposte nella presente tesi, ho la netta impressione che si tratti di lingue simili tra loro e con caratteristiche fonotattiche quasi identiche. Anche se a quanto pare sono pochi, esistono poi glossolalici anomali come il sottoscritto, le cui produzioni sono ben diverse da quelle dei Pentecostali e dei Carismatici.  

L'autore ha selezionato il suo gruppo di partecipanti allo studio in base ai seguenti requisiti: 
 
i) Madrelingua inglese; 
ii) Età minima 18 anni; 
iii) Consenso all'audioregistrazione di episodi glossolalici. 
 
Per ognuno è stato registrato un saggio di glossolalia della durata di tre minuti primi. Tutti gli intervistati hanno dichiarato di possedere il controllo della loro capacità, essendo in grado di iniziare e di interrompere a piacimento una preghiera espressa col "dono delle lingue". Da ciascun saggio di glossolalia è stato raccolto il testo contenuto in un minuto primo di registrazione, in genere nel mezzo; non è chiaro se le restanti porzioni dei testi documentati siano state conservate oppure cancellate. Questo testo così ottenuto è stato poi diviso in sequenze articolate in una singola esalazione (i cosiddetti breath groups, alla lettera "gruppi di respiro") e quindi trascritto in caratteri fonetici IPA. La metodologia di segmentazione in breath groups è stata usata anche da Motley e da Samarin (non Samarian, come spesso è riporta erroneamente nella tesi).

Questa modalità di raccolta dei testi glossolalici mi lascia piuttosto perplesso e mi sembra francamente poco scientifica. Volendo indagare il fenomeno, sarebbe stato dovere di uno studioso accurato raccogliere testi più estesi e studiarli in dettaglio con la massima attenzione. Forse alla base di questa scelta c'è una considerazione pragmatica: dato che i testi glossolalici raccolti non hanno traduzione possibile, ogni loro segmento vale quanto qualsiasi altro e in buona sostanza si può selezionarne qualcuno a caso, gettando il resto. 

I soggetti intervistati sono stati ora della fine soltanto tre. I loro veri nomi sono stati cambiati dallo stesso Atkins per via della normativa sulla privacy. Un campione modesto, non ci sono dubbi. Questi sono alcuni dati salienti: 
a) Il primo soggetto è una donna denominata Jill, nata nel 1942 a Blue Ridge nella Virginia sudoccidentale. 
b) Il secondo soggetto è un uomo denominato Charlie, marito di Jill, nato nel 1940 a Roanoke, in Virginia. 
c) Il terzo soggetto è una donna denominata Karen, nata nel 1972 a Danville, in Pennsylvania, ma residente in Virginia settentrionale all'epoca dello studio. Non sembra avere alcun legame di parentela o di conoscenza con i primi due soggetti, sempre che la cosa non sia stata omessa. 
 
Sono state aggiunte informazioni abbastanza dettagliate sulle insignificanti vite di questi tre individui (circostanze delle loro sventurate nascite, matrimoni e altre fonti di afflizione). Ritengo tuttavia importante far notare che l'autore della tesi afferma queste cose: i soggetti denominati Jill e Charlie non sono mai stati esposti ad alcuna lingua diversa dal loro nativo inglese d'America. Non sanno nulla di altri idiomi, non sospettano nemmeno che esistano suoni diversi da quelli articolati dalle loro gole. Pensano che in tutto l'Universo si parli solo e soltanto l'inglese d'America. Non sono nemmeno informati della stessa esistenza della lingua latina e della lingua greca. La loro ignoranza sul mondo e sulla storia sembra essere abissale, in fondo sono tipici campagnoli americani vissuti sempre in un contesto impregnato di religiosità biblica. Per contro, Karen ha passato la sua vita a praticare lingue diverse dalla propria. Ha appreso a scuola lo spagnolo e si è dilettata con un gran numero di altre lingue: italiano, cinese mandarino, tedesco, greco antico, ebraico biblico e moderno. Atkins non ci dice quale sia stato il profitto degli studi di Karen, se abbia poi imparato davvero qualcosa o se la sua massima capacità sia quella di farfugliare qualche sillaba dalla fonetica americanizzata. Gli anni di pratica glossolalica sono più di 30 sia per Jill che per Charlie, soltanto 16 per Karen. Ognuno di questi tre soggetti considera le proprie produzioni glossolaliche come una lingua personale usata nella preghiera per una maggior vicinanza allo Spirito di Dio.        

Si converrà che includere due membri della stessa famiglia come Jill e Charlie non sia una scelta molto logica: se un uomo ha intimità con una donna nel matrimonio, condividerà con lei non soltanto lo sperma ma anche i pensieri. Non siamo certi che le glossolalie di un uomo e di una donna tra loro sposati possano definirsi davvero tra loro indipendenti. Se Jill e Charlie sono così gumpescamente ingenui da credere che si parlasse l'inglese americano persino alla corte del Re Sole, Karen non è certo linguisticamente vergine. In ogni caso, non si può dire che il campione di intervistati sia significativo e sufficientemente esteso. 
 
Atkins ha studiato nel dettaglio la fonologia delle tre glossolalie raccolte, confrontandole innanzitutto con gli universali fonologici rintracciati nelle lingue ordinarie. Si definisce universale fonologico una tendenza comune presente nei sistemi fonologici di molte lingue. Molti universali fonologici si fondano su princìpi di simmetria fonologica. Una definizione abbastanza sfumata, come si può constatare, che lascia ampio spazio ad eccezioni: proprio per questo l'uso stesso della parola "universale" in un simile contesto potrebbe essere considerato ingannevole. Così si afferma che sistemi fonologici che non rispettano gli universali sono possibili, anche se improbabili. Evidentemente nessun linguista pieno di fede in questo concetto fallace ha mai studiato la storia della lingua basca. L'ipotesi di Atkins si fonda sulla possibilità di estendere certi universali fonologici alla glossolalia. Il suo ragionamento è molto semplice, lo capirebbe anche Forrest Gump. Così come è stato possibile tracciare gli universali linguistici in realtà sfumate come le lingue creole, deve essere possibile farlo anche con le glossolalie. Forse sfugge una cosa: le lingue creole non vengono dal nulla, è naturale che si sviluppino a partire dalle lingue che hanno loro dato origine. Il riferimento agli universali fonologici considerati per il confronto con le tre glossolalie è lo studio di Maddieson (1986), con notifiche del numero di eccezioni riscontrate nel database UPSID (UCLA Phonological Segment Inventory Database) dell'Institut für Phonetik dell'Università di Francoforte. Questi sono tali universali, mostrati in Tabella 1 (pag. 8):   

1) /k/ non ricorre senza /t/ (un'eccezione nel db UPSID);
2) /p/ non ricorre senza /k/ (quattro eccezioni nel db UPSID);
3) le consonanti nasali non ricorrono se mancano le occlusive con lo stesso punto di articolazione (cinque eccezioni nel db UPSID); 
4) le vocali medie non ricorrono se mancano le vocali alte e quelle basse (due eccezioni nel db UPSID);
5) le vocali anteriori arrotondate non ricorrono se mancano vocali anteriori non arrotondate della stessa altezza (due eccezioni nel db UPSID).
 
Rimando alla tesi di Atkins per una dettagliata analisi degli inventari fonologici delle tre glossolalie considerate. Come fatto notare dallo stesso Maddieson, le glossolalie in genere favoriscono la semplicità anziché la complessità. Già avevo notato che mancano le consonanti finali, mancano i gruppi consonantici complessi in tutte le posizioni, le sillabe chiuse sono poche e semplici. Maddieson e Atkins confermano tutto ciò: è estremamente improbabile che l'inventario fonologico di una glossolalia contenga abbastanza consonanti da potersi definire complesso. In tutti i casi le consonanti più ricorrenti sono le occlusive, com'è illustrato nella Tabella 4 (pag. 37). 
 
Questa è la situazione del sistema consonantico dell'inglese, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 17
Nasali: 11
Fricative: 15

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Charlie, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 54
Nasali: 25
Fricative: 7

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Jill, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 51
Nasali: 18
Fricative: 14 

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Karen, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 35
Nasali: 18
Fricative: 26 
 
Riporto alcuni estratti delle glossolalie (pagg. 44-46). Immagino che negli States ci siano numerosi individui convinti che le glossolalie siano coperte dai diritti d'autore e che non possano essere nemmeno citate per motivi di conoscenza. Visto che sono un gentiluomo, posso soltanto suggerire loro di parlarne direttamente con Dio. 
 
Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Charlie: 
 
Segmento 1:
   [pɑmɑnioʊkoʊtʌmlɑmᵇosikədada]
Segmento 2:
   [kɑmədioʊkoʊtʌnᵐlɑmᵇəsikədodoʊ]

Segmento 3:
   [ɹɑməsiːtoʊdiataʰitəmənononiɑndəlakita]

Segmento 4:
   [tɑmədioʊkoʊtʌmlɑmᵇəsikoʊtoʊdoʊdiɑndələkitatada]

Segmento 5:
   [jɑmədoʊdoʊdiɑndɑləkiːta]
Segmento 6:
   [vididioʊtoʊləoʊməsikaˈitɑdadada]
Segmento 7:
   [wɑmədoʊdoʊdiɑndələkiːta]

Segmento 8:
   [oʊkənoʊibɑdədadawɑmənoʊdoʊɾiɑndəlakjata]
Segmento 9:
   [zibədodoʊdəlẽjəkoʊtomjɑndadadadioʊndoʊlɑməsikəbɑɾoʊ]

Segmento 10:
   [jɑkətomlɑməsikədoʊdoʊdiɑndəlɑkiː]

Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Jill: 

Segmento 1:
   [hɑʃɑtəɾomɑʃiəndəɾəba]
Segmento 2:
   [hɑʃɑtədəməkədiətəɾoblesenekoɾeɑntaɪ]

Segmento 3:
   [oʊwəʃondəɾəɑŋɡiətəɾe]

Segmento 4:
   [tɛleotərənɑnebokodedeotərobatedɛkɔɹsətadəbə]
Segmento 5:
   [ɑŋkɔɹʃe-əkwɛʃiɑtəɾəmɑʃiɑndeɪ]
Segmento 6:
   [ɑʃɑtədəməkəʃiɛteɪdeɪkɛteɪɑtɑ]
Segmento 7:
   [ɑʃɑɾəkəmɑʃiɑtəɾəkoʊmədɪdijɛtɪdəkoʊmʊsədeɑteɪ]

Segmento 8:
   [eʃenənaməkɑdeɑtərokoleɪːbiɛndo]
Segmento 9:
   [hɑŋkiɑtəɾokleʃɛtɑdəmɑkədiɑndəɾobadada]

Segmento 10:
  [hɑⁿbiɛte-eɪkimiətəɾobɑziɛtəɾokoʊmədiɑntoʊ]

Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Karen: 
 
Segmento 1:
  [ɑijəkətioʊsoʊʃəndatiəmɔsoʊʃənda]
Segmento 2:
  [ɑijəkotijəmɔsəʃəndadətijəməsəʃəndəteɔfʊʃəndo]
Segmento 3:
  [ɑijokoʊtəjuməsəʃəndədədeɪjɑjokʊʃətɑtədijɑsʊʃəndojomɑ]
Segmento 4:
  [ɑijəkɑtʃiosoʃəndadədijɑjosoʃəndɑfosombɑtiɑ]
Segmento 5:
  [ɑijəkətijosoʃəndɑdedijɑʃodʒujɑmovɑʃɪntɪdiː]
Segmento 6:
  [ɑijəkotʃijosəʃəndadədiɑjofəʃəndoʊjəmɑsəʃɑ]
Segmento 7:
  [ɑijokotʃijomɑtˢəʒəsəʃədədadiasoʊsoʊmɑtiːhɑː]
Segmento 8:
  [ɑijəfoʊʃəndədədiɑsoʃəndoijəmotiəmɑː]
Segmento 9:
  [ɑijokontjumɑː]
Segmento 10:
  [ɑijofoʃontiː]
 
Rilevo un'interessante contraddizione. Da una parte Atkins afferma che non di sono dittonghi nel campione raccolto da Charlie ("Furthermore, Charlie's sample contains no diphthongs", pag. 26). Quando passiamo ad analizzare le sequenze emesse da Charlie e riportate nell'Appendice B (pag.), scopriamo che vi ricorre in modo ossessivo il dittongo [oʊ]. 
 
Procedo all'analisi dei morfi, che a quanto mi consta non è stata fatta da Atkins. 

Si notano elementi comuni, che si ripetono ossessivamente in una stessa glossolalia e che a volte sembrano riecheggiare anche in glossolalie diverse. Non mi pare che finora si siano fatti avanti studiosi animati da questa consapevolezza. 
 
Nella glossolalia di Charlie si nota una certa libertà nelle sillabe iniziali dei segmenti, mentre le sillabe finali sono tra loro simili: ne ricorrono in sostanza due tipi soltanto. I morfi sono i seguenti: 

1) [-diɑndələkiːta] / [-niɑndələkita] / [-diɑndələkitatada] / [-ɾiɑndəlakjata] / [-diɑndəlɑki:]

Ne deduco che [-d-], [-n-] e [-ɾ-] sono allofoni di uno stesso fonema, almeno in alcuni contesti. Deduco anche l'esistenza di un possibile morfema [-ta] / [-da], la cui funzione ignoriamo. 

2) [-sikədada] / [-sikədodoʊ] / [-sikaˈitɑdadada] / [-sikəbɑɾoʊ]
 
Ne deduco che il dittongo [oʊ] potrebbe derivare da un ipotetico [*aʊ] o essere un allofono di [a], anche se non sono chiare le condizioni in cui ricorre. 
 
Nella glossolalia di Jill ricorre il seguente morfo complesso, che compare all'inizio di un segmento:  

[hɑʃɑtəɾomɑ-] / [hɑʃɑtədəmə-] / [ɑʃɑtədəmə-] / [ɑʃɑɾəkəmɑ-]  

Quasi certamente si tratta di un composto: un elemento [hɑʃɑ-] / [ɑʃɑ-] e un elemento [-təɾomɑ-] / [-tədəmə-] / [-ɾəkəmɑ-]. Studiare a fondo queste alternanze potrebbe permettere di distinguere i fonemi dagli allofono. Anche qui, come nella glossolalia di Charlie, sembra proprio che [-ɾ-] sia un allofono di [-t-] / [-d-]

Un morfo ricorrente all'interno dei segmenti è questo:

[-ʃiəndə-] / [-ʃondə-] / [-ʃiɑtə-] 
 
Credo che si tratti di qualcosa di molto importante, perché qualcosa di molto simile ricorre nella glossolalia di Karen (vedi nel seguito). Come già fatto notare, Charlie e Jill sono coniugi, mentre Karen non dovrebbe avere relazione con loro.
 
Nella glossolalia di Karen si nota che tutti i segmenti iniziano in modo molto simile, con un elemento [ɑijəkə-] / [ɑijəko-] / [ɑijokoʊ-] / [ɑijoko-] / [ɑijo-]. E se significasse proprio "Dio" o "Spirito"? Non ne abbiamo idea. Potrebbe essere invece un verbo, qualcosa come "Ti invoco" e via discorrendo. Ipotizzo che le forme ridotte (senza -k-), come [ɑijo-] e [ɑijə-] siano dovute alla presenza di una fricativa [-f-] nella sillaba seguente, come se si fosse prodotta una semplificazione automatica di un gruppo consonantico -*kf-. Si nota subito un elemento che ricorre con particolare insistenza: [-ʃənda]  / [-ʃənda-] / [-ʃəndɑ-] / [-ʃəndə-] / [-ʃəndo-] / [-ʃəndo]. Senza dubbio deve essere un morfo molto importante, peccato che non abbiamo idea del suo significato o della sua funzione: potrebbe benissimo essere un elemento grammaticale. La sua importanza è tale che ricorre anche nella glossolalia di Jill (vedi sopra). Prestiti tra glossolalie di persone che non dovrebbero conoscersi? Wanderwörter glossolaliche? Ci vuole ben altro che gli studi reperibili in letteratura per capirci qualcosa!  

Sono consapevole del fa[tto che la glossolalia è descritta come forma di linguaggio non comucativo (Goodman, 2969). A quanto è stato appurato dagli studiosi, non si tratta di un fenomeno relativo alla comunicazione. Resta tuttavia il fatto che se uno parla per ore di Dio, dovrà ben sapere qual è la parola usata per definire l'Essere oggetto di tanta adorazione. Invece niente. Non ne emerge nulla di utile, nulla che possa definirsi certo. Sfido i Pentecostali e i Carismatici di tutto il pianeta a fornirmi la pronuncia del nome di Dio nelle loro rispettive glossolalie. Sono certo che nessuno di loro sarà capace di farlo. Quindi a cosa varrebbe mai tutta la loro architettura pseudolinguistica? Non soltanto, come dice l'Apostolo, il loro parlare sarebbe fiato sprecato nel vento: conterrebbe un gravissimo vulnus. Se Dio parlasse per bocca di una persona e non le comunicasse in modo chiaro ed inequivocabile il senso di ogni parola ispirata, il suo stesso parlare sarebbe assolutamente vano. Questo contraddirebbe la definizione stessa di Cristianesimo. Se tu preghi e ti senti vicino allo Spirito di Dio, non puoi articolare sillabe di cui ignori il significato. Se dunque un folletto bizzarro si insinuasse in te e insufflasse nella tua bocca bestemmie atroci, non te ne accorgeresti nemmeno, crederesti di essere in comunione con lo Spirito di Dio, a meno che qualcun altro (ispirato da chi?) non si prendesse la briga di farti sapere (su quali basi?) che stai pronunciando parole blasfeme. Eppure la glossolalia religiosa è di un estremo interesse e continuerò a studiarla in modo approfondito. 
 
Un diverso tipo di glossolalia
 
Come diceva Bertrand Russell, ci sono due tipi di santi: i primi sono quelli che mangiano poco e vedono il Cielo, mentre i secondi sono quelli che bevono molto e vedono i serpenti. Sono fiero di appartenere ai secondi, per l'Eternità. Quelli che mangiano poco e vedono il Cielo balbettano così quando sono posseduti da quello che credono essere lo Spirito: "SHAKA-SHAKA-SHAKA BARA-BARA-BARA BAKA-BAKA-BAKA". E hanno anche il coraggio di definire i loro balbettamenti come "ineffabili". Io, che bevo molto e vedo i serpenti, articolo le mie glossolalie in un modo ben più complesso: "MRANGDAR NRELDZIMR DRAUGRMAAR MLENZHIRM STTAUR'M STTOREDALS MLANDRANZHIMZD R'BELLIR GDORDZEM STORBBOLD'MS BBARMAUDZIR STTORNR'M PPAMARAAMS NDORNBBOOM BDIIRM MANDARAUMABDAAUR'M NDAURU TTEERIMAH UNGDOH UNGDOH'S BBANDARANDAMS KHTOOLRDZD SSEBIR'M OGHDAMGD'S HURKHMU BDELRDZIROHT NUMENOMDZD STTEBOGAMST BBOMDZIROOMGH TTENEDZIRM MR'TOKKNA NDZEEMDARKKH AUMEDZORZH KKAMAHH". Ho inoltre qualche idea del significato di molte delle parole da me pronunciate (o meglio, scagliate): le sequenze esalate sono tutte maledizioni atroci contro l'Artefice di questo Universo abominevole! Coloro che mangiano poco e vedono il Cielo sono pecore lobotomizzate e belano, il mio invece è simile al ringhio di GMORK, in cui riverbera la Luce Nera dell'Odio Eterno. C'è solo un piccolo problema: quando si diventa consapevoli del significato di una glossolalia, qualunque sia la sua natura, questa diventa a tutti gli effetti una lingua vera e propria, una conlang glossolalica. Questo è quanto.

martedì 12 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI BOUTKAN-KOSSMANN

Dirk F. H. Boutkan e Maarten G. Kossmann (entrambi dell'Università di Leida) sono gli autori del lavoro Some Berber parallels of European Substratum Words, ossia Alcuni paralleli berberi delle parole di sostreato europee.

Il file in passato era consultabile sul sito dell'Università di Leida al seguente indirizzo: 


Attualmente compare un'inquietante dicitura, under embargo. Il file pdf è sclerotizzato: non è possibile aprirlo né tantomeno scaricarlo. Le mie ricerche nel Web sono state vane, non sono riuscito a trovare l'articolo in questione in altri siti. La speranza è che l'embargo finisca e che il pdf dell'Università di Leida ritorni accessibile. In ogni caso questi fastidiosi inconvenienti, dovuti alle leviataniche pretese di chi vuole monetizzare ciò che non è fatto di materia, non mi dissuadono dal pubblicare la mia recensione dell'opera di Boutkan-Kossmann. 

Questa è l'introduzione, da me tradotta:

"Negli anni recenti, le lingue di sostrato soggiacenti alle lingue indoeuropee dell'Europa hanno ricevuto nuova attenzione da parte di numerosi accademici. Molte parole di sostrato sono state identificate e numerose caratteristiche morfologiche delle parole di sostrato sono state definite (es. Polomé 1989, 1990, Kuiper 1995, Vennemann 1995, Beekes 1996, Boutkan 1998, Boutkan e Kossmann, 1998). Anche l'identificazione delle lingue di sostrato ha ricevuto attenzione. Specialmente il basco e il semitico sono i candidati favoriti (cfr. Vennemann 1995, Kortlandt 1997)."

La ricostruzione del protoberbero si trova ancora a uno stadio molto preliminare. Quindi le proposte per ogni ricostruzione devono essere allo stesso modo considerate preliminari. Valutando la versione proposta del proto-berbero, bisognerà notare i seguenti punti di partenza: 

1) Berbero /f/ e /γ/ sono ricostruiti come *p e *q (occlusiva uvulare sorda) rispettivamente. 
2) Tuareg /h/ (= Ghadames β) è ricostruita come . Siccome il proto-berbero *b è raro in molti contesti, si deve assumere che risalga a **b in uno stadio antecedente della protolingua. 
3) Le vocali brevi sono ricostruite sulla base delle forme del Tuareg meridionale e del Ghadames. Assumiamo che [ă] risalga ad *a breve e che e (ossia lo schwa ə) risalga a *i e *u brevi. 
4) Siccome le vocali lunghe del Tuareg-Ghadames, é e o, sono spesso, anche se non sempre, il risultato di sviluppi secondari, saranno ricostruite come e rispettivamente. 
5) Le vocali che non possono essere ricostruite, ossia la cui qualità è indeterminabile, o che variano secondo schemi di alternanza regolari, sono scritte come [V]

Elenco in questa sede i lemmi trattati dagli autori, riassumendo i dati e fornendo qualche commento a caldo.
Note: 
  i) Nel seguito ho sostituito le forme protogermaniche usate nell'articolo con ricostruzioni a parer mio più affidabili, usando una trascrizione diversa di alcuni fonemi ed esplicitando la desinenza del nominativo singolare.
  ii) Le parole delle lingue dei Guanche delle Canarie sono state aggiunte e commentate dal sottoscritto.
  iii) I confronti con parole etrusche, iberiche e liguri sono stati aggiunti e commentati dal sottoscritto.


1) Latino bāca (italiano bacca)
    Celtico: gallese bagad "grappolo" < *bakatu-  
Protoberbero ricostruito:
     *bqā "mirtillo; mora"
Forme attestate:
Berber del Sous (premoderno) ta-bγa, ta-fγa "mora", Medio Atlante ta-bγa "more di rovo", Rif ta-bγa "tipo d'erba", Chenoua ha-bγa "mora".
Commenti:
Si tratta di forme derivate senza dubbio da un'unica fonte, ma questa non è individuabile. Le forme berbere non sembrano prestiti dal latino, che aveva una vocale tonica lunga /a:/. Anche la la parola gallese presenta problemi simili: gli autori citano l'opinione di Schrijver, che considera dubbia la sua connessione con la parola latina.   


2) Protogermanico (occidentale) *ǣβandaz "sera": 
       antico alto tedesco âband, etc. 
   Protogermanico (nordico) *aftanaz "sera":   
        norreno aptann,
Protoberbero ricostruito:
      *βad "notte"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) éhoḍ, Tuareg (Iwellemmeden) éhăḍ, Ghadames ĕβăḍ, Cabilo, Sous, Medio Atlante, Mzab, Ouargla, Figuig iḍ.
Commenti:
Nelle lingue dei Guanche si trova un'altra radice: enac "notte; sera" (Lanzarote), enaguapa acha abezan "per illuminare la notte" (Tenerife, Tradizione di Güimar).
Potrebbe essere un prestito da una lingua indoeuropea sconosciuta, vista la somiglianza con la protoforma *nekw(t)- / *nokwt-. Prende sempre più corpo la mia ipotesi, a prima vista fantastica, di una spedizione marittima compiuta da Celtiberi e da Germani di Oretania in epoca imperiale, giunta fino a Tenerife.  

3) Latino haedus, sabino faedus < *ghaid- "capretto" 
    Protogermanico *gaitiz "capra":
       gotico gaits "capra", norreno geit, antico alto tedesco geiz, etc.
Protoberbero
ricostruito:
       *āqāḍ "capra femmina";
       *qayd "capretto"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) iγeyd "capretto", Tuareg (Iwellemmeden) éγăyd "capretto", Ghadames têʿaṭ "capra", aʿîḍ "capretto", Cabilo taγaṭ "capra", etc.
Commenti:
Le due radici protoberbere, per quanto foneticamente e semanticamente simili, sono da considerarsi formalmente distinte. Concordo senz'altro con questa opinione degli autori.


4) Protogermanico (occidentale) *krumbaz "curvo, piegato"
    Celtico: antico irlandese cromb, cromm; gallese crwm
       < *krumbos 

Protoberbero
ricostruito:
      *kurVnb- / *kirVnb- "essere curvo, piegato" 

Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) kerembi "essere curvo"; Tuareg (Iwellemmeden) kerenbew "essere curvo"; Rif krumbeš "essere ingarbugliato". 

Commenti:
Boutkan ipotizza che la forma protoceltica sia un prestito dal germanico; a me pare che sia piuttosto il contrario. Sono dell'avviso che la forma Rif krumbeš sia un prestito dal gallico *crumbos, con conservazione della sibilante finale del nominativo singolare. È dimostrato dall'onomastica di epoca imperiale che esisteva una folta comunità di lingua gallica in Africa - come avremo modo di mostrare in altra sede. 


5) Greco púrgos "fortificazione" (var. phúrkos)
    Protogermanico *burgz "città; castello":
        gotico baurgs, norreno borg, etc. 
    Urartaico: burgana "torre"
Protoberbero
ricostruito:
      *farāg "recinto"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) ăfarag' "barriera, recinzione", Tuareg (Iwellemmeden) afărag "barriera, recinzione; giardino", Cabilo afrag "barriera, recinzione", Rif afray "barriera, recinzione" (< *afrag), etc.
Commenti:
A complicare le cose sta l'interazione con la radice innegabilmente indoeuropea *bhṛg'h- "montagna". La parola urartaica è passata come prestito in aramaico (burgôn "torre") e in arabo (burj "torre"). Tutto molto complicato, difficile riuscire a districare la matassa. 

6) Protogermanico (occidentale) *krukjō "stampella": 
       antico inglese cryce "stampella", antico sassone krukka, antico
          alto tedesco krucka, etc.
    Protogermanico (settentrionale) *krōkaz "gancio", *krakǣn
           "bastone uncinato", *krǣkilaz "uncino": 
       norreno krókr "gancio", kraki "bastone uncinato", krækill
           "uncino" 
Protoberbero ricostruito:
      *qaru / *qariy "bastone"
Forme attestate:
Ghadames taγărit "bastone", Cabilo iγṛi "bastone" (arcaico), Medio Atlante taγriyt "bastone", etc.
Commenti: Le alternanze vocaliche decisamente anomale nelle forme germaniche sono un forte indizio di origine non indoeuropea. 

7) Protogermanico *χauβiðan, *χa(u)βuðan "testa, capo" : 
        gotico haubiþ "testa", norreno hǫfuð, antico inglese hēafod,
            antico alto tedesco haubit, etc. 
    Latino caput "testa" 
Protoberbero
ricostruito:
      *qap "testa, sommità"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) éγef "testa", Tuareg (Iwellemmeden) éγăf "testa, sommità", Ghadames éγăf "testa, estremità, sommità", Cabilo ixef "testa, sommità", Medio Atlante ixf "testa", Ouargla, Mzab ixf, iγef "testa", etc.
Guanche: -ife "picco, punta rocciosa"
Commenti:
Si noti che la forma canaria, presente ad esempio nel toponimo Arrecife, è senza dubbio simile alle forme Ouargla e Mzab, ma presenta una maggior evoluzione fonetica e una semantica peculiare.
Nota
:
Segnalo un'imprecisione nell'articolo di Boutkan-Kossmann, relativamente al norreno: è riportata la forma haufuþ, che è soltanto un'antica variante ortografica del corretto hǫfuð (non c'è dittongo).

8) Latino plumbum "piombo"
    Miceneo MO-RI-WO-DO (moliwdos) "piombo" 
    Greco molubdos, molibos, bolimos "piombo" (e varianti)
    Celtico: antico irlandese lúaiḋe "piombo" < *loudijon <
        *plobdjom
 
    Basco: berun "piombo" < pre-basco *belun (-uN)
    Iberico (ricostruito): *beltun "piombo"
    Ligure (ricostruito): *peltrom "lega di piombo e stagno"
Protoberbero
ricostruito:
      *βaldūn / *βāldūn / *būldūn / *βaldūm "piombo"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) ăhâllun "piombo; stagno", Tuareg (Iwellemmeden) aldom "stagno", Tuareg (Ghat) ahellum "piombo", Cabilo, Sous, Medio Atlante aldun "piombo", Mzab, Ouargla buldun "piombo".
Commenti:
Ritengo che la parola berbera sia un prestito diretto dall'iberico. I dati berberi permettono di ricostruire un gruppo consonantico mediano -lt-, che in iberico veniva scritto per ragioni storiche, finendo però per pronunciarsi come semplice -l- prima del passaggio della parola al pre-basco. Proprio come è accaduto all'iberico iltiŕ "città", passato in pre-basco come *(h)ili, da cui il basco attuale hiri, uri "città". Sulle legende monterarie in caratteri iberici si legge iltiŕta, nome della città in cui è avvenuto il conio, che corrisponde alla trascrizione latina ILERDA
Nota:
Ho provveduto a ricostruire la protoforma ligure *peltrom "lega di piombo e stagno" a partire da dati romanzi come l'italiano peltro, lo spagnolo peltre e il francese antico peautre, espeautre. Si comprende abbastanza facilmente che si tratta di un antico prestito dall'iberico, con ogni probabilità con mediazione etrusca.

9) Protogermanico (occidentale) *kraβitaz "granchio; aragosta":
      antico sassone krevit, antico alto tedesco krebiz, etc. 
   Protogermanico (nordico) *krabbǣn "granchio"
      norreno krabbi "granchio" (da cui l'inglese crab, che è un
         prestito) 
   Greco karābos "granchio" (con diverse varianti, tra cui
         grapsaîos)
   Latino cārabus "granchio" (prestito dal greco)
   Latino scarabaeus "scarabeo"
   Italico: osco *skarafaiis, da cui italiano scarafaggio, napoletano
        scarrafone
.  
Protoberbero ricostruito:
       *qirb / *qurb / *qirbī / *qurbī "scudo"
Forme attestate:
   Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden) aγer "scudo", Tuareg (Taneslemt) aγerh "scudo"; si trova una forma medievale isolata, attestata nel berbero del Marocco meridionale: aγri "scudo" (sembra il solo motivo per la ricostruzione di protoforme con ).  
Commenti:
Il confronto potrebbe essere valido, anche se a me pare un po' tirato per i capelli, sia sotto l'aspetto fonetico che sotto quello semantico. Gli autori citano un verbo berbero, la forma isolata Iwellemmeden γărăt "nascondersi dietro", chiedendosi se il termine per "scudo" ne sia una derivazione o se valga l'inverso. Potrebbe tuttavia non esistere alcun nesso.

10) Protogermanico (occidentale) *falisaz (, n) "pietra, roccia":
          antico alto tedesco felis(a), feliso, antico sassone felis, filis
      Protogermanico (nordico) *felzan "montagna":
          norreno fell, fjall "montagna"
     Celtico: antico irlandese all "roccia" (< *allos < *pḷsos); ail
           "roccia" (< *alek); toponimo gallico Alesia 
     Ligure (ricostruito) *palā "pietra, lapide" (preso a prestito dal
           leponzio, palā "lapide")
     Ligure (toponomastico) -pale (fiume Vindupale "Pietra Bianca",
           oggi Prealba)
     Macedone pélla "scoglio" 
     Greco: phelleús "terreno pietroso"
    Etrusco: falas "torre, colonna" (passato in latino come fala "torre di legno"), *falaθu "cielo" (trascritto in caratteri latini come falado "cielo" < "altezza; volta, soffitto di pietra"; il latino palātum "palato; volta del cielo" è esso stesso un prestito più antico dalla stessa fonte)
Protoberbero ricostruito:
      *pallā "altezza"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) afella "alto (superficie superiore, in alto)", Tuareg (Iwellemmeden) afălla "alto, parte superiore", Cabilo -fella "in cima, in alto", Sous aflla "sopra", Medio Atlante afella "ciò che è in alto, ciò che è sopra", Ouargla f-, fell- "su" (ridotto a preposizione).
Commenti:
Senza dubbio è sconcertante la consonanza tra l'etrusco e il protoberbero ricostruito. Purtroppo gli autori dello studio in analisi non hanno considerato raffronti con la lingua dei Rasna. 

11) Protogermanico *silχaz "foca": 
           norreno selr "foca", antico inglese seolh, etc.  
      Voci non indoeuropee attestate in latino: salmō (gen. salmōnis)
           "salmone"; salar "trota" (gen. salaris
      Greco: sélakhos "squalo" (prestito da una lingua pre-greca);
           salpa "tipo di pesce marino" (di origine non IE)        
Protoberbero ricostruito:
     *sūlmay / *slVm "pesce" 
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) asûlmey "pesce", Cabilo, Medio Atlante, Figuig aslem "pesce", Rif asřem "pesce" (< *aslem); Sous aslm "pesce", Ghadames olisma "scinco", ossia "pesce (della sabbia)". 
Guanche: salema "salpa" (Tenerife)
Commenti:
Gli autori citano alcuni prestiti dal latino al germanico (antico alto tedesco salmo "salmone", etc.), parlando della loro concorrenza col termine nativo *laχsaz "salmone", ancor oggi ben vivo in vaste regioni. Non citano però alcuni dei raffronti qui riportati. Evidentemente la radice neolitica da cui sono derivate queste parole doveva suonare *sVl-, essendo gli altri elementi puri e semplici suffissi a noi ormai oscuri.

12) Protogermanico *skuldrō "spalla":
      antico alto tedesco skultarra, skultirra (moderno Schulter),
      antico inglese sculdor (moderno shoulder), etc.
Protoberbero ricostruito:
      *qrūḍ "spalla, scapola"
Forme attestate:
Tuareg (Iwellemmeden) iγerdén "parte del corpo situata sotto il collo e tra le scapole", Ghadames taγureṭ "spalla", Cabilo taγṛuṭ "scapola, spalla", etc.
Commenti:
Sembrano del tutto vani i tentativi di connettere le forme germaniche con la radice indoeuropea *(s)kel- "dividere". Forse un giorno si capirà che gli Antichi non cavillavano masturbando i verbi per dare il nome a cose elementari. Se qualcosa non ha un'agevole e facile spiegazione all'interno di un sistema linguistico, significa molto probabilmente che proviene da qualche altra parte. L'idea fissa di spiegare Omero con Omero, tanto popolare nel XIX secolo, ci priva della possibilità di indagare a fondo il passato.

13) Latino lēns "lenticchia" (gen. lentis)
     Germanico: antico alto tedesco linsī "lenticchia"; l'olandese linze
          può essere un prestito abbastanza recente dal tedesco
     Slavo e baltico: slavo ecclesiastico lęšta "lenticchia"; lituano
          lę̃šis (sono entrambi prestiti dal germanico)
    Basco: dilista "lenticchia"
Protoberbero ricostruito:
      *lintī "lenticchia"
Forme attestate:
Questa parola si trova, per quanto se ne sa, soltanto in Sous: tilintit, tiniltit "lenticchia".
Commenti:
Con ogni probabilità si è avuto un prestito dal latino volgare o dal protoromanzo al berbero. Non è affatto chiaro il rapporto tra la parola latina, che sembra ben radicata e di ottima tradizione, e il termine antico alto tedesco. Forse si tratta semplicemente di un prestito, cosicché questi raffronti parrebbero privi di forza argomentativa. Va però fatto notare che la forma basca ha un prefisso fossilizzato che è chiaramente lo stesso del berbero, oltre a una sibilante nel corpo della parola, il che crea non pochi problemi. Non si riesce a districare questo ginepraio.

14) Protogermanico *χriflingaz "scarpa":
          norreno hriflingr "scarpa", antico inglese hrifeling "scarpa"
     Greco: karbátinos "fatto di cuoio" 
     Celtico: antico irlandese cairem "calzolaio", antico gallese crydd
         "calzolaio" (< *kṛp-)
     Latino: carpisculum "tipo di scarpa" 
     Slavo: antico bulgaro kŭrpa "tessitura; straccio"
    Baltico: lituano kùrpė "scarpa" (è riportato che nel tedesco di
         Prussia si usava Kurp per dire "scarpa" anziché Schuh)
Protoberbero ricostruito:
    *VqrVp "coprire qualcosa con cuoio"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden) eγref "tendere una pelle", Medio Atlante γref "coprire con cuoio", etc.
Commenti:
Alcuni sostengono che l'italiano scarpa sia stato retroformato da scarpettina, e che questo falso diminutivo altro non sia che il greco karpatinē "calzatura di cuoio", variante di karbatinē, femminile dell'aggettivo karbátinos (vedi sopra). Altri - e sono tutti romanisti - fantasticano su un germanico *skarpa "tasca di cuoio", che a quanto mi consta non si è mai visto da nessuna parte. 

15) Protogermanico (occidentale) *gristilaz / *krustilō (-az) /
     *krustulō
(*g-) "cartilagine":
           antico inglese gristel, gristl 
           antico alto tedesco krustula, krustila, krostila, grustila,
                krustil, krustilīn  
      Protogermanico (occidentale) *kruspilaz "cartilagine":
           antico alto tedesco kruspil
      Protogermanico (occidentale) *grosVlō "cartilagine":
           antico alto tedesco krosila, krosla
           antico sassone krosla (glossa)
      Protogermanico (occidentale) *grostaz "cartilagine"
          antico inglese grost
Protoberbero ricostruito:
       *gVrgVr- "cartilagine
Forme attestate:
Tuareg (Iwellemmeden) égärgäwés "cartilagine", Cabilo igergir "cartilagine".
Commenti:
Il gran numero di varianti in germanico occidentale e le irregolarità che presentano, sono indizi chiari del fatto che si tratta di prestiti, forse nemmeno troppo remoti, da una lingua sconosciuta.
Si noti che le attestazioni riguardano quasi soltanto l'antico alto tedesco e l'antico inglese. 

16) Protogermanico *siluβran "argento":
      gotico silubr "argento", norreno silfr, antico inglese seolufr,
           siolufr
, silofr, antico alto tedesco silibar, silabar, antico
           sassone siluƀar, silƀar 
      Slavo: slavo ecclesiastico sĭrebro, sŭrebro "argento", russo
          serebro, etc.
      Baltico: lituano sidãbras "argento", lettone sidrabs 
      Celtico: celtiberico SILABUR (Iscrizione di Botorrita,
          trascritto anche
śilaPuŕ) < iberico *śilabuŕ
      Basco: zilhar "argento" (varianti dialettali: zilar, zidar, zildar)

Protoberbero ricostruito:
      *-zrĭp(i), *-zrŭp(i) "argento"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden), Sous (medievale), Chenoua aẓref "argento", Zenaga (Mauritania) aḍerfi
(trascritto anche azerfi, azerfu).
Commenti:
La forma celtiberica è evidentemente un prestito dall'iberico. La stessa parola ha dato origine alche al basco zilhar < *ziL(h)aR < *ziLabR-. L'origine ultima di questa parola migrante dovrebbe essere semitica, come già ipotizzato da Trombetti. Infatti in molte lingue semitice compare una radice verbale ṣrp col significato di "raffinare il metallo", usata specialmente con riferimento all'argento. In alcune di esse esistono testimonianze dell'uso di tale radice con il significato di "argento" (es. sabeo ṣrp "argento", arabo poetico ṣarīf "argento"). Boutkan è scettico su questa etimologia: egli afferma che non esiste alcuna parola dalla radice verbale ṣrp col significato di "argento" proprio nelle lingue parlate in epoca antica sulle rive del mediterraneo (es. punico, ebraico). L'obiezione non mi sembra comunque valida: potrebbero essere esistite lingue afroasiatiche che sono scomparse senza lasciare tracce.
Nota:
Questa radice non è inclusa nell'articolo di Boutkan-Kossmann; tuttavia gli autori hanno pubblicato un altro articolo con analisi approfondite, reperibile su Academia.edu:


Conclusioni
L'interpretazione più probabile delle evidenze mostrate dal materiale discusso è che sia esistita almeno una lingua neolitica, estinta senza lasciare altre tracce, donatrice di prestiti sia a un gran numero di lingue indoeuropee che al proto-berbero. Tutto ciò è meritevole di ulteriori indagini.

domenica 10 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI KAGAMI

Akikatsu Kagami (Aichi Gakuin University, Nagoya, Giappone) è l'autore dello studio Changes and Traces of Ainu Place Names in Contact with Japanese, ossia Cambiamenti e tracce dei nomi di luogo Ainu in contatto col giapponese, pubblicato nel 2009. Mi rendo conto che l'antroponimo nipponico in italiano fa un po' ridere, proprio come il famoso Urina Suimuri che compariva nelle barzellette sui Giapponesi, spesso assieme a Kagapoko Kifapokomoto. Immagino che i troll si faranno grasse risate, come se il nominativo dell'accademico di Nagoya fosse una trasposizione ironica di una frase italiana, "chi cazzo mi caga?" o qualcosa del genere. Ne sono consapevole e mi dispiace, ma non posso farci niente. Non l'ho inventato io, esiste davvero. Riporto la pagina con le opere dell'autore nel sito dell'editore De Gruyter:


Il lavoro di Kagami sui toponimi di origine Ainu è consultabile nel Web tramite questi link, che spero si manterranno a lungo funzionanti:



Questo è l'abstract, da me tradotto:

"Alla diciassettesima conferenza ICOS a Helsinki, ho rilasciato un articolo intitolato “Ainu Substratum in the Distribution of Japanese Microtoponyms” (Sostrato Ainu nella distribuzione dei microtoponimi giapponesi) e ora vorrei presentare i miei continui studi su questo argomento. A Tōhoku (Distretto del Giappone nordorientale), restano molti nomi di luogo che hanno la stessa struttura dei nomi di Hokkaidō, dove ancora sussistono aborigeni Ainu. Ma questi nomi di Tōhoku sono mutati attraverso il contatto con la lingua giapponese, ed è necessario interpretarli come se fossero cambiati dall'Ainu a parole nipponizzate."

Per chi non lo sapesse, gli Ainu sono una popolazione antichissima del Giappone, che vive nell'isola di Hokkaidō e nelle isole Curili (queste ultime appartenenti alla Federazione Russa). Sono molto diversi dai Giapponesi e caratterizzati da un somatismo più simile a quello europeo (manca la plica mongolica); gli uomini hanno folta barba e pelosità abbondante. La lingua tradizionale degli Ainu, ormai moribonda, non ha parentele note con alcun'altra lingua del mondo. 

Queste sono le radici di sostrato indagate da Kagami nel suo articolo:

1) PI-NAY "fiume dei ciottoli"
     Compare a Tōhoku come HI-NAI.
   Metanalisi: Questo elemento è stato interpretato erroneamente a partire dall'antico giapponese hi "cipresso giapponese", con la variante hinoki. Si noterà che questi toponimi si trovano nella maggior parte dei casi oltre l'estremo limite settentrionale della crescita spontanea del cipresso giapponese (Chamecyparis obtusa), cosa che dimostra in modo semplice e diretto la falsità di questa etimologia popolare.


2) KOTAN "villaggio"
     Compare a Tōhoku come KOTANI e KOTATE / KODATE.
     Metanalisi: L'elemento kotani è stato interpretato in giapponese come "piccola valle" o come "vecchia valle" (ko "vecchio"), a partire da tani "valle". Tuttavia in Tohoku la parola giapponese usata per indicare la valle è ya, non tani. Le forme kotate e kodate sono state interpretate a partire da tate "scudo"; con sostituzione criptica di ko "vecchio" con furu, altra pronuncia dello stesso ideogramma, si sono ottenute le forme furutate e furudate, ancor più fuorvianti.


3) PENKE "superiore, alto"
     Compare a Tōhoku come BENKE, BENKEI.
     Metanalisi: Questo elemento non è stato sottoposto a metanalisi, dato che la sua peculiare struttura non ha permesso l'accostamento a parole nipponiche. Nella maggior parte dei casi è stato quindi sostituito dal giapponese kami "superiore, in alto". La forma Ainu originale Penke compare nella toponomastica di Hokkaidō, ad esempio in Penke-to "Lago Superiore".


4) PANKE "inferiore, basso"
     Compare a Tōhoku come BANGE.
     Metanalisi: Questo elemento non è stato
sottoposto a metanalisi, dato che la sua peculiare struttura non ha permesso l'accostamento a parole nipponiche. Nella maggior parte dei casi è stato quindi sistituito dal giapponese shimo "inferiore, in basso". La forma Ainu originale Panke compare nella toponomastica di Hokkaidō, ad esempio in Panke-to "Lago Inferiore".

5) NUPRI "montagna"
    Compare a Tōhoku come -NO-MORI 
   Metanalisi: In questo elemento -no è stato interpretato come particella giapponese del genitivo, mentre -mori è stato interpretato come una parola giapponese antica che significa "montagna" (e anche "foresta"). Si noti che nei toponimi giapponesi di origine non Ainu il suffissoide -mori non compare preceduto dalla particella genitivale -no (es. Aomori "Foresta Blu"). La forma Ainu originale -nupuri compare molto frequentemente nella toponomastica di Hokkaidō per designare montagne: Atusa-nupuri, Nisey-ko-an-nupuri, etc.

A questo punto, dopo aver discusso gli elementi toponomastici sopra riportati (per ognuno è inclusa una mappa che ne illustra la distribuzione), Kagami si auspica che l'applicazione del suo ineccepibile metodo possa portare a scoprire un maggior numero di toponimi Ainu mascherati. Segue una ricca bibliografia di suoi lavori precedenti, che purtroppo non sono riuscito a recuperare nel Web. 

Gli Emishi 

Nel Nordest dell'isola di Honshū, proprio in quella che oggi è conosciuta come regione di Tōhoku, viveva un popolo molto bellicoso i cui uomini erano caratterizzati da una pelosità abbondante. Sono conosciuti con il nome di Emishi (蝦夷, nell'epoca Nara 毛人) e hanno resistito a lungo all'espansione dell'Impero. I primi contatti con i Giapponesi si ebbero nel 658 d.C., quando una spedizione navale raggiunse Akita (all'epoca chiamata Aguta, ho sentito che qualche anno fa vi avvenivano apparizioni mariane, è come se fosse la Medjugorje giapponese). Ebbe inizio una lunga serie di guerre: alcune tribù erano alleate con i Giapponesi, altre erano ostili. Gli ultimi focolai di resistenza furono domati nell'811 d.C.; da allora gli Emishi furono incorporati nella società feudale e dominati da una casta di meticci, finché si perse ogni loro caratteristica distintiva. Si suppone con ottime basi che parlassero una lingua imparentata con quella degli Ainu di Hokkaidō. Una prova molto convincente sono gli idronimi in -betsu, derivati dall'Ainu pet "fiume" tramite adattamento naturale alla fonetica giapponese. Molto più a meridione della grande isola di Honshū, questa radice pet è stata adattata nella forma abbreviata -be, ad esempio in Kurobe e Oyabe, nomi di fiumi della Prefettura di Toyama. Chiaramente il suffissoide -be "fiume" era tipico di un popolo che parlava una lingua imparentata con quella degli Emishi, seppur non identica. Per secoli si sono tentate etimologie dell'etnonimo Emishi utilizzando parole giapponesi, ottenendo così i risultati grotteschi e inverosimili tipici del più crasso paleocomparativismo, fenomeno tristemente noto nella nostra Penisola. In realtà è tutto semplicissimo: nella lingua degli Ainu la parola emchiu significa "uomo, persona" (scritto anche enju, enzyu). 

Sopravvivenze di elementi di sostrato 

Esiste a Tōhoku, nella parte settentrionale dell'isola di Honshū (prefetture di Akita, Aomori, Iwate ed altre), una società di cacciatori d'orsi, chiamati Matagi. Questi usano tra loro, esclusivamente durante la caccia, un gergo chiamato Yama-kotoba, ossia "Parole della Montagna" (in giapponese yama "montagna", kotoba "parole") o Matagi-kotoba. Accanto ad alcuni termini giapponesi usati in senso traslato (es. ossama "orso", alla lettera "uomo anziano"), vi sono numerose parole Ainu adattate alla fonetica nipponica. Questi sono alcuni esempi: 

sanpe "cuore" 
    (Ainu sanpe)

setta "cane"
    (Ainu sita)

hakke "testa"
    (Ainu pake)
hono "bambino piccolo"
     (Ainu ponpe)
horo "grande"
    (Ainu poro)
kappo "cuoio"
    (Ainu kapkapuhu)

wakka
"acqua"
    (Ainu wakka)

Per ulteriori informazioni si rimanda al lavoro di Catherine Knight:


Mentre si continua ad affermare nel Web che gli studiosi non sono riusciti a ricostruire la lingua degli Emishi, a dispetto della presenza di ricco materiale non soltanto toponomastico nella regione che hanno abitato, nessuno sembra collegare proprio agli Emishi il lessico di origine Ainu presente nello Yama-kotoba. In effetti si trova ben poco sullo Yama-kotoba e non ho avuto modo di approfondire l'affascinante argomento quanto avrei voluto. Oltre alle parole fornite dalla Knight, se ne possono riportare poche altre, riportate in un blog di Tumblr (dunque non esistono soltanto i porno-Tumblr!):


ege "fuoco"
kodataki "gatto"
nasashi "sake"
surube "fucile, pistola"
takase "cavallo"

Per questi vocabili non sono riuscito a trovare corrispondenze in Ainu; in particolare il termine ege "fuoco" mi pare enigmatico (ho trovato che in Ainu si ha invece ape, abe "fuoco", mentre il verbo corrispondente è ruy "bruciare"). Faccio notare al mondo accademico che il termine kodataki "gatto" non ha nulla a che vedere col giapponese neko "gatto": somiglia molto di più alla parola preistorica che ha dato il nostro vocabolo "gatto" (dal latino cattus, comune al celtico e al germanico). Potrebbe trattarsi di una falsa etimologia e potrei peccare fortemente di ingenuità, ne sono consapevole. Tuttavia potremmo anche essere di fronte a qualcosa di importante. Mi piacerebbe che il professor Guido Borghi si occupasse della questione. Che spiegazione dare a questi dati bizzarri? Faccio notare che le cronache giapponesi menzionano un popolo diverso dagli Emishi, che competeva con loro per il possesso di Tōhoku. Queste genti, la cui origine ignoriamo, sono note col nome di Mishihase. Non è chiaro se parlassero una lingua del ceppo Ainu. Posso soltanto notare che l'etnonimo contiene l'elemento mishi-, che potrebbe avere la stessa etimologia del nome degli Emishi. Forse invece l'origine è del tutto diverso e si trattava di un popolo anteriore agli stessi Ainu, un relitto di una preistoria ormai sprofondata nell'Oblio. La mia ipotesi, forse non del tutto peregrina, è che il gergo dei Matagi comprenda sia elementi lessicali della lingua degli Emishi che di quella dei Mishihase. Così ege "fuoco" sarebbe una parola del perduto idioma di questi ultimi! La ricostruzione che posso tentare è abbastanza verosimile: gli Emishi non assimilati, oppressi duramente dai meticci giapponesizzati, si sono ritirati in zone remotissime, dove vivevano anche i discendenti dei loro ancestrali nemici, i Mishihase. Sarebbero dunque avvenute unioni tra i due gruppi considerati reietti. 

Perché nessuno si occupa di tutto ciò? Perché non si trovano studi accessibili? Vorrei sbagliarmi, eppure ho il sospetto che la scienza ideologica non sia una peculiarità del solo Occidente. Evidentemente se ne trovano manifestazioni anche nel paese del Sol Levante. Non dimentichiamoci che gli stessi Ainu di Hokkaidō sono stati sottoposti a spaventose persecuzioni e a discriminazioni di ogni genere. Se nominassi poi gli intoccabili dell'Arcipelago, gli Eta, quale sarebbe la reazione degli accademici?