sabato 15 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI VERHASSELT

Gertjan Verhasselt (Ludwig-Maximilians-Universität München) è l'autore dell'articolo The Pre-Greek Linguistic Substratum - An Overview of Current Research, apparso su Les Études Classiques 77 (2009), pag. 211-239. L'articolo è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link:


Anche un altro articolo dello stesso autore, The Pre-Greek linguistic Substratum - A Critical Assessment of Recent Theories è presente nel sito Academia.edu, consultabile e scaricabile liberamente al seguente link:


Questo è l'abstract del primo articolo di Verhasselt, da me tradotto dal francese:

La questione della lingua pre-ellenica non ha smesso di attirare l'attenzione dei filologi e dei linguisti a partire dalla fine del XIX secolo. La ricerca attuale si focalizza sullo studio degli elementi del vocabolario greco il cui aspetto esteriore non si conforma alle leggi fonetiche riconosciute. Questo articolo ha per obiettivo passare in rivista le principali teorie linguistiche difese durante gli ultimi tre decenni. Cominciamo il nostro esame con i rappresentanti della vecchia teoria pelasgica, che ricostruiscono il pre-ellenico come una lingua indoeuropea dotata di fonetica particolare. Una seconda corrente di ricerca intende spiegare gli elementi stranieri del vocabolario greco come residui di un sostrato anatolico-luvio. Una terza teoria, che definiamo "egea", si rivela attualmente la più importante: secondo i suoi aderenti, il pre-ellenico è una lingua la cui origine non è indoeuropea né semitica. Infine, la teoria kartvelica è stata elaborata più recentemente delle altre; i suoi difensori identificano il pre-ellenico in larga parte come una lingua kartvelica o sud-caucasica. Questo ha aperto i termini per l'esame di alcuni problemi centrali che incontra la ricerca linguistica del sostrato pre-ellenico. 

Questo è l'abstract del secondo articolo di Verhasselt, sempre da me tradotto:  

Un precedente articolo apparso su Les Études Classiques, aveva presentato diverse teorie recenti sul pre-ellenico (teorie dette "pelasgica", "anatolica", "egea" e "kartvelica"); esse sono qui confrontate sulla base di una selezione di problemi etimologici (specialmente le etimologie di πέλεκυς, di τύμβος, di σῑγή / σῐωπή, di ἀγαθός e del suffisso -νθος). Sono le teorie "egea" e "kartvelica" ad essere le più produttive, anche se pongono ancora diversi problemi metodologici. Le parole più problematiche sono quelle che potrebbero essere state adottate da una lingua semitica e le glosse di Esichio. Inoltre, in qualche caso, una spiegazione all'interno del greco o un'interpretazione indoeuropea sembrano preferibili al postulato di un'origine pre-ellenica.    

Il pelasgico di Georgiev 

La teoria pelasgica fu fondata dal linguista bulgaro Vladimir Ivanov Georgiev (1908-1986) negli anni '40 del XX secolo. Nel suo libro Introduction to the History of Indo-European Languages (1981) egli dedicò un capitolo alla lingua pelasgica, concepita come sostrato indoeuropeo pre-ellenico, cosa che gli attirò feroci critiche. In tale trattato, analizzò diverse voci problematiche della lingua greca, riconducendole alle seguenti mutazioni fonetiche dall'indoeuropeo: 

1) IE *e si conserva, tranne che prima di *nt(h) atono, nel qual caso
    > i
2) IE *o > Pelasg. a
3) Sonanti IE:
   *ṛ, *ḷ, *ṇ, *ṃ > Pelasg. ur / ru, ul / lu, un / nu, um / mu
    rispettivamente
4) Rotazione delle occlusive IE:
   IE *p, *t, *k > Pelasg. ph, th, kh
   IE *b, *d, *g > Pelasg. p, t, k
   IE *bh, *dh, *gh > Pelasg. b, d, g
5) Assibilazione satəm delle palatali IE:
   IE *k' > Pelasg. s, θ
   IE *g', *g'h > Pelasg. z, ð (d)
6) Delabializzazione delle labiovelari IE:
   IE *kw, *gw > Pelasg. k, g
7) Conservazione di IE *s (in posizione iniziale e intervocalica)
8) Dissimilazione delle aspirate: 
    (es. IE *bh...gh... > *b...gh... > p...g...)
9) IE *s- > Pelasg. s- 

Alcune etimologie di Georgiev sono riportate da Francisco Villar nel suo volume Gli indoeuropei e le origini dell'Europa: lingua e storia (1991). Il linguista spagnolo non ha nascosto il fascino esercitato su di lui da questa ipotesi, arrivando a trovare alcune di queste etimologie "brillanti e irresistibili". A quanto sono riuscito a ricostruire, il glossario originale di Georgiev è quello riportato da Cyril Babaev in una sua pagina (con una grezza traslitterazione). Lo propongo in questa sede, con le parole in caratteri greci e aggiungendovi le radici indoeropee a cui sono state fatte risalire: 

ἀλείφω  "io ungo"
   IE *leip- "ungere"
ἀσάμινθος "vasca da bagno"
    IE *ak'men- "pietra", donde *ak'men-to- "fatto di pietra"
ἄστυ "città"
    IE *
astu- "costruzione; dimora"
ἀτέμβω "io offendo"
    IE *dhembh- "maltrattare"
ἄφνος "ricchezza, abbondanza"
    IE *op- < *h3ep- "frutto del lavoro" (cfr. lat. ops, opulentus)
βαλιός "pezzato, macchiato (di bianco)" (1) 
    IE *bhel- "bianco, splendente"
βρέτας "statua, immagine di legno"
    IE *bherdh- "tagliare, incidere" (2)
γαῖα, γῆ "terra, paese"
    IE *g'hdhom- "terra"
δεύω "io irrigo"
    IE *dheu- "correre, fluire"
δύναμαι "io posso"
    IE *dheu- "scuotere; muovere", sanscr. dhūnāti "egli scuote; egli
    fa marciare" (> "egli forza" > "egli è potente") (3)  
εἴκω "io mi ritraggo"
    IE *weig- "evitare, cedere" (cfr. sanscr. vijate "fugge")
ἔλαιον "olio"
    IE *lei- "versare; ungere", donde *loi-
o- "olio"
θεράπνη "dimora" (4)
    IE *treb- / *t
b- / *terəb- "abitazione"
ἴδη "foresta"
    IE *
idhu- "legno"
λάχη "pozzo"
    IE *laku- "corpo d'acqua"
νεώς "tempio"
    IE *nes- "vivere", donde
*nas-o- "dimora (degli Dei)" (5)
πύνδαξ "fondo di vaso"
    IE *bhundh-
< *bhudhn- / *bhudhm- "fondo"
πύργος "torre"
    IE *bh
g'h- "alto" (6)

(1) Tradotto con "bianco" da Babaev.
(2) Con ipotesi ad hoc di dissimilazione inversa *bherdh- > *bherd- > bret-.
(3) Si converrà che la forzatura semantica è assai poco convincente. Meglio collegare il verbo greco al latino bonus < lat. arc. duenos < *d
en- "buono; forte". 
(4) Significa anche "ancella".
(5) Il derivato in questione non è in realtà attestato in nessun'altra lingua IE: l'etimologia è a dir poco forzata
(6) Georgiev presuppone *bh
gh-, in contrasto con la postulata assibilazione di -g'h- in pelasgico.

In realtà le etimologie proposte dall'autore in questione sono più numerose. A titolo di esempio possiamo aggiungere le seguenti:

ἔτνος "zuppa di legumi"
    IE *ed- "mangiare"
ὄμβρος "tempesta di pioggia" 
    IE *bhro- "pioggia" (cfr. lat. imber
σέλας "luce, splendore" 
    IE *sel- "splendore"
σῖτος "grano"
   IE *k'
eid- "bianco" (cfr. got. ƕaiteis "frumento")
σς "scrofa"
    IE *su:- "maiale"
τερέβινθος "terebinto"
    IE *deru- "legno, albero", donde *der
-ent-
τύμβος "tomba"
    IE *dhṃbh- "tomba"
τύρσις "torre"
    IE *dherg'h- "essere forte" 
φιαρός "pingue"
    IE *pei̯ə-, *pi(:)- "grasso"
φύλαξ "guardiano"
   IE *pol-okw- "che guarda la porta" (*)
 
(*) La radice "IE" del primo membro del composto è stata desunta in modo abusivo dal greco πύλη "battente della porta", in realtà di origine ignota. A parer mio è parente dell'etrusco culs-cva "porte", Culsans "Giano", Culsu "Custode della Porta" (un demone femminile) < *kwVl- "porta".

Anche se Verhasselt non cita la questione, una delle teorie georgieviane più notevoli - tanto da sembrare ispirate da un daimon socratico - sembrava aver offerto una soluzione all'annoso problema dei termini pre-ellenici per indicare tipi di danza. 

ἴαμβος "giambo"
   IE *d
i- "due" + *angw- "passo di danza"
θρίαμβος "inno a Dioniso"

  IE *tri- "tre" +
*angw- "passo di danza"
δι
θύραμβος "ditirambo" 
  IE *kwetu̯or- "quattro" +
*angw- "passo di danza"

Per l'elemento *angw-, Georgiev era convinto di aver trovato un valido parallelo nel sanscrito aṅga- "passo di danza" (di etimologia sconosciuta) - anche se con più senno in successivi studi di altri autori l'elemento -amb- è stato ritenuto un mero suffisso pre-ellenico.  
 
Revisioni di Hamp e Witczak 

Eric P. Hamp, maggiore proponente della teoria pelasgica negli anni '80 e '90 dal XX secolo, ha revisionato il lavoro di Georgiev, accettandone molti postulati, ma ritenendo il pelasgico una lingua centum anziché una lingua satəm, forte dell'etimologia di vocaboli come πύργος "torre" (la forma IE è *bhg'h- con palatale, non semplicemente *bhgh-). Questo però farebbe perdere l'etimologia IE di ἀσάμινθος "vasca da bagno", a meno che non si pongano due diversi sostrati, uno centum e l'altro satəm. Krzystof T. Witczak si è cimentato nell'analisi delle glosse di Esichio, che contengono molto materiale pre-ellenico di estremo interesse, facendo i salti mortali per ridurre all'indoeuropeo lessemi come i seguenti: 

χνυλα "noci"
     ricondotto a IE *h2knud- "noce"
θρινία "vite" (Vitis vinifera)
     ricondotto a IE *(s)tṛn- "rigido" 
βήλα "vino"
     ricondotto a IE *gwhe:la: "vino"

Sulla natura indoeuropea di *gwhe:la: c'è molto da ridire, nonostante forme derivate si trovino sia in greco che in sanscrito. Si tratta evidentemente di un remoto prestito da una lingua sconosciuta, dato che sembra indoeuropeo come la parola mafia sembra inglese.

Revisioni di Van Windekens

Continuando sul cammino aperto da Georgev, Albert Joris Van Windekens (1915-1989) ha aggiunto numerose altre etimologie pelasgiche. Tra queste, alcune sono riportate dallo stesso Villar, che ne fa grandi lodi:

βαλανεῖον "stabilimento di bagni"
   IE *bhe:- "scaldare"
   (Villar ha *bhə2no- "bagno caldo")  
βασσάρα "volpe"
   IE *bhaghi-oro- "che mangia uccelli"
γαλλία "intestini"
   IE *ghol- "bile"
ταμί
ς "servo domestico"
   IE *dom- "casa" 

L'etimologia proposta per la parola indicante la volpe è cervellotica e non convince; probabilmente βασσάρα è una glossa di origine libica, che meriterebbe in ogni caso ulteriori ricerche. Invece è importantissima l'etimologia della parola indicante il servo domestico. Infatti la parola all'origine di ταμίας è attestata in etrusco nel testo parlante tesinθ tamia-θura-s "curatore dei servi domestici" (su un affresco etichetta un uomo collerico che sorveglia alcuni infelici cuochi). La radice spiega inoltre due importanti vocaboli etruschi: tamera "tomba, camera sepolcrale", tmia "tempio". Mi sembra chiaro l'iter dell'indoeuropeo *dom-, preso a prestito come *tam-, forse già in proto-tirrenico.

Verhasselt, che sembra poco interessato all'etrusco, cita un lavoro di Van Windekens, il Dictionnaire étymologique complementaire de la langue grecque, la cui prima pubblicazione risale al 1986, specificando che era inteso come un'integrazione ai lavori etimologici di P. Chantraine e di H. Frisk. A quanto riporta Verhasselt, Van Windekens con questo dizionaro etimologico ha iniziato a dissociarsi dall'idea stessa di sostrato pelasgico. Al termine del suo percorso, è giunto a considerare le parole oscure della lingua greca come oscurate nella loro genuina etimologia da complessi sviluppi fonetici come assimilazioni, dissimilazioni, aplologie, metatesi, aferesi e via discorrendo. Tuttavia Verhasselt nella sua discussone riporta un'interessante etimologia pelasgica di Van Windekens, rimasta nel Dictionnaire étyologique:

σοφός "sapiente, intelligente"
   IE *sup-, grado ridotto di *swep- / *swop- "dormire"

Questa trovata si fonda sull'idea della sapienza ottenuta come ispirazione tramite il sogno, assai comune nell'antichità. Ciò che rende questo etimo poco credibile è un fatto molto semplice: in greco si trova anche un altro elemento di sostrato collegato a σοφός, ossia σαφής "chiaro, facile, distinto" (donde l'avverbio σάφα "chiaramente, facilmente, in modo distinto"), che non può risalire alla radice indoeuropea citata, per motivi fonetici. Le possibilità di imbattersi in allucinazioni cognitive è elevatissima quando si gioca col rumore di fondo dell'Antichità defunta.

La teoria anatolica 

Nel 1980 Leonard R. Palmer ha trattato lo spinoso problema della preistoria della lingua greca nel suo lavoro The Greek Language. La sua idea portante era quella dell'identificazione del sostrato pre-greco con la lingua luvia. Il fondamento principale consisteva nell'identificazione dei suffissi -νθ-, -σσ- / -ττ- e -υννα con importanti suffissi anatolici: -anda / -wanda, -ašša e -unni- rispettivamente. Quest'ultimo suffisso deriva da una protoforma -*uwan-, contratta in -unni- in luvio, mentre in hittita si è evoluta in -uman-, -umana-, -umna-, -umma. Anche il suffisso -umn- è ben noto nella toponomastica ellenica, così Palmer ne dedusse che vari dialetti anatolici fossero parlati sul territorio. Potremmo aggiungere due toponimi di cui ci è comprensibile anche la radice: 

 1) Παρνασσός (Parnaso), che corrisponde alla perfezione al toponimo luvio Parnaššaš (derivato da parna- "casa");
  2) Πήδασος (Pedaso), che corrisponde alla perfezione al toponimo luvio Petaššaš (derivato da pata- "piede"). 

Non è difficile comporre una lista di parole greche che hanno corrispondenze anatoliche, ma risulta evidente che si tratta di prestiti, spesso risalenti a lingue della Mesopotamia. 

Ἀπόλλων "Apollo" : hittita Appaliunaš
δέπας "tazza; vaso" : luvio geroglifico tipaš "cielo; tazza"
     (cfr. hittita nēpiš "cielo; tazza") 
ἐλέφᾱς "elefante" : hittita lahpa- "elefante; avorio"
     (a sua volta da una lingua semitica)
κύανος "verderame" : hittita kuwanna- "rame", luvio kuwanza- id.
     (a sua volta dal sumerico)
κύμβαλον "cembalo" : hittita
huhupal- "strumento a percussione
     in legno"
κύμβαχος "elmo" : hittita kupahi- "coprcapo"
μόλυβδος "piombo" : lidio mariwda(ś)- "scuro"
ὄβρυζα "crogiolo" : hittita
huprušhi- "vaso"
τολύπη "gomitolo, palla di lana" : hittita taluppa- "zolla, gleba",
     luvio cuneiforme taluppa-, taluppi- id.

Le idee di Palmer sono state riprese agli inizi del nostro secolo da Margalit Finkelberg (Università di Tel Aviv), nel suo lavoro Greeks and Pre-Greeks (2005). L'autrice lamenta questo fatto: le lingue dell'Asia Minore, che erano inizialmente considerate non indoeuropee, sono state infine ricondotte all'indoeuropeo, mentre l'etrusco, il lemnio, il retico e il sostrato pre-greco continuano dal mondo accademico mainstream ad essere considerati non indoeuropei. Resta il fatto che la teoria anatolica non ha portato grandi frutti sul piano dell'intelligibilità del lessico pre-greco e della toponomastica, non andando molto oltre le identificazioni di pochi suffissi.

La teoria egea

La teoria egea ha il suo precursore nella teoria del sostrato mediterraneo. Il postulato fondante era che il pre-greco fosse una lingua non indoeuropea e non semitica, che si estendeva su larga parte del Mediterraneo. La tesi di dottorato di Eduard J. Furnée (Università di Leida), Die wichtigsten konsonantischen Erscheinungen de Vorgrieschischen (1972) è la pietra miliare: un volume ponderoso costato ben venti anni di lavoro, in cui sono analizzate 4.000 parole, tratte dal dizionario greco di H. G. Liddell e R. Scott, integrate con il lessico di Esichio.
Questi sono i criteri usati per l'attribuzione di un lemma al sostrato preindoeuropeo:
 
1) Occorrenza di certe variazioni fonetiche;
2) Mancanza di una buona etimologia indoeuropea;
3) Uso di certi suffissi e aree semantiche (es. parole tecniche o affettive). 

Queste sono le più importanti variazioni fonetiche riscontrate: 

1) Variazione tra occlusive sorde, sonore e aspirate;
2) Variazione tra occlusive labiali e μ, tra occlusive labiali (o μ) e ϝ, e tra occlusive dentali e σ(σ), ζ (assibilazione);
3) Inserimento di consonanti:
  - nasale secondaria davanti a occlusiva (nasalizzazione);
  -
σ secondaria prima di occlusiva velare o dentale (all'interno di
    parola);
  - inserimento di λ o ρ prima di consonante;
  - dentale secondaria dopo occlusiva labiale o velare;
  - inserimento di dentale prima di consoante velare o labiale;
  - s secondaria dopo di occlusiva labiale (π/β/φ ~ ψ);
  - inserimento di λ o ρ dopo occlusiva (all'interno di parola).

Nella prima appendice, l'autore analizza le variazioni vocaliche nelle voci pre-greche e i fenomeni di protesi vocalica, anaptissi, sincope.
Nella seconda appendice, sono menzionate le seguenti variazioni che non erano state discusse a fondo nel suo lavoro:

1) Variazione tra consonante singola e geminata;
2) Variazione tra liquide (
λ ~ ρ) e variazione tra dentali (inclusa ν) e liquide;
3) Variazione tra velari, labiali (inclusa
μ) e dentali; tra μ e ν;
4) Doppioni con e senza
σ iniziale prima di occlusive e μ (s mobile)
5) Doppioni con e senza κ/γ, τ/θ/δ, ν o λ prima di vocale;
6) Metatesi.

Oltre a connettere tra loro le parole elleniche prive di etimologia indoeuropea, Furnée ha tentato di trovare loro paralleli in altre lingue problematiche (basco, proto-hattico, hurritico, urartaico, lingue caucasiche, burushaski, etc.), pur astenendosi dal prendere posizione sulla precisa parentela genetica del pre-greco. Importanti contnuatori dell'opera di questo pioniere sono stati Raymond A. Brown (Evidence for Pre-Greek Speech on Crete from Greek Alphabetic Sources, 1985),  Robert S. P. Beekes e Frans B. J. Kuiper.

Per un approfondimento della fonologia del sostrato pre-greco rimando al mio articolo: 

NOTE SUL LAVORO DI BEEKES 

La teoria kartvelica

Si tratta di un filone di ricerca completamente nuovo, che connette il pre-greco alle lingue kartveliche, ossia sud-caucasiche (es. georgiano). Somiglianze tra il kartvelico e l'indoeuropeo sono state notate da lungo tempo: molti linguisti le considerano le isoglosse lessicali come presiti dall'indoeuropeo al kartvelico. Per contro, i propolenti della teoria kartvelica sono dell'idea che il flusso sia nella direzione inversa. Tutto è partito da un articolo del 1969 di Rismag Gordeziani, da cui E. J. Furnée ha preso ispirazione, divenendo il fondatore di questa teoria. Le critiche sono fondate soprattutto sulla nostra limitata conoscenza della diacronia delle lingue kartveliche. Furnée non si è scoraggiato e ha elaborato una ricostruzione innovativa della lingua proto-kartvelica, rinvenedo corrispondenze fonetiche regolari col materiale preindoeuropeo presente in greco. Si può a titolo di esempio segnalare la connessione tra il greco δαύω "io dormo" e il georgiano dev-, dv-, d- "giacere". Non si deve per questo credere che Furnée abbia rinnegato i suoi importanti lavori sul sostrato egeo: egli è infatti giunto a supporre l'esistenza di due diversi sostrati, di cui uno mediterraneo (chiamato anche tirrenico) e l'altro kartvelico. Importante è anche la considerazione dell'esistenza di rami occidentali del sostrato tirrenico, non kartvelico, che emergono come sostrati nelle lingue romanze e nelle lingue germaniche. Conto di approfondire gli studi di Furnée, di farne una review e di pubblicarne approfondimenti, pur consapevole di tutte le criticità presentate dalle lingue kartveliche.

Punti che rimangono aperti

Questo è un elenco di problemi tuttora sub iudice, alle quali urge una soluzione non ambigua: 

1) parole pre-greche che mostrano parallelismi in IE;
2) fonologia del pre-greco;
3) morfologia del pre-greco;
4) interpretazione delle variazioni fonetiche descritte da Furnée; 
5) unità del pre-greco. 

Sono incline a ritenere che alcune parole con parallelismi indoeuropei siano davvero prestiti remoti da qualche lingua scomparsa, integrati nel sostrato egeo, mentre altre saranno invece affette da false etimologie. Ad esempio, l'etimologia proposta da Georgiev per ἀσάμινθος "vasca da bagno" ha l'aria di essere il prodotto di un'allucinazione cognitiva. L'analisi della supposta protoforma IE *ak'men-to-s è certamente errata, dato che il suffisso -ινθο- - che si ritrova in moltissime altre parole - prova che la segmentazione corretta è ἀσάμ-ινθ-ος e non *ἀσάμιν-θ-ος. Inoltre il significato antico e centrale del presente vocabolo non è affatto detto che abbia a che fare con la pietra: potrebbe invece essere connesso al concetto di lavare o simili, il che invaliderebbe all'istante ogni speculazione brugmanniana. Insistendo con la ricerca di un'origine indoeuropea delle parole del sostrato pre-greco, si arriva ad inoltrarsi in una palude: per quanto si possano fissare regole fonologiche, si scopre che non possono essere generali, né è possibile risolvere ogni difficoltà invocando variazioni regionali. Basti considerare l'esempio di πύργος "torre", di cui esiste la variante φύρκος, ovviamente non considerata da Georgiev. Come Verhasselt fa notare, solo raramente gli studiosi hanno considerato la possibilità della contemporanea presenza di elementi indoeuropei e non indoeuropei nel materiale pre-ellenico: mi sento di dire che una simile partigianeria sia lontana dal vero spirito della Scienza e causata dalla deleteria impostazione di certi neogrammatici, che reputano le lingue indoeuropee come "moralmente superiori" alle altre e prive per necessità ontologica di qualsiasi commisitione con elementi estranei.

NOTE SUL LAVORO DI DELLA ROSA

Luigi Della Rosa (ldr47@libero.it) è l'autore del lavoro Relativity of linguistic isolation: the Etrucan case, ossia "Relatività dell'isolamento linguistico: il caso dell'etrusco", che può essere consultato e scaricato al seguente link: 


Non sono riuscito a trovare alcuna notizia sull'affiliazione universitaria dell'autore, così posso presumere che sia un ricercatore indipendente. L'articolo, a dispetto del titolo, è in lingua italiana, con un abstract in inglese, che ritengo sommamente utile riportare tradotto:

   A. La lingua etrusca è geneticamente nostratica, come possiamo vedere facilmente considerando la sua grammatica;

   B. In ogni caso l'etrusco non è indoeuropeo;  

  C. Possiamo soltanto pensare a una relativa vicinanza al ramo anatolico dell'indoeuropeo; 

   D. Il lessico dell'etrusco è per la maggior parte non nostratico, a causa dell'influenza di lingue non nostratiche; 

   E. Queste lingue sono il Dené-caucasico, l'afro-asiatico e l'antico europeo (o mediterraneo, per usare una terminologia più vetusta). 

   F. La semplicità della grammatica etrusca (per quanto possiamo dire di conoscerla) e la molteplice origine del suo lessico ci permettono di dire (anche se può sembrare un po' risibile) che l'etrusco è nato come un pidgin ante litteram, sviluppandosi in seguito come creolo. 

Nel corpo dell'articolo i punti sopra riportati sono riportati in forma più estesa. Questo è l'enunciato completo del punto F., che è di estrema importanza: 

   F. l'Etrusco deve essersi dunque formato dalla commistione di lingue diverse ed appartenenti a famiglie diverse; l'apporto esterno che si è riversato su di una base nostratica è stato talmente elevato (come si deduce dalla impossibilità di ricondurre al Nostratico la maggior parte del lessico) che in tal senso possiamo considerare l'Etrusco come formatosi inizialmente come pidgin, per divenire poi una lingua creola ante litteram, benché entrambi i termini appaiano inevitabilmente risibili in quanto per noi anacronistici. 

Queste affermazioni sono interessanti e in gran parte condivisibili, anche se sono convinto che in etrusco la base lessicale riconducibile alle lingue sino-caucasiche sia più antica degli strati di vocaboli somiglianti all'indoeuropeo e ad altre lingue nostratiche. In aggiunta a questo, segnalo che numerosi elementi grammaticali presenti in etrusco possono essere sufficientemente ambigui. 

Non posso fare a meno di evidenziare un annoso quanto misconosciuto problema: come i neogrammatici brugmanniani, anche i nostratisti partono dall'idea che tutto ciò che è attestato in una lingua indoeuropea debba essere necessariamente indoeuropeo. Così commettono gravi errori nella ricostruzione del nostratico, proiettando all'indietro come connaturati elementi che sono penetrati nelle lingue in analisi per influenza di lingue di altri ceppi.

Esempi di criticità morfologiche:

1) Il genitivo etrusco in -(a)l corrisponde al genitivo anatolico in -l, documentato nei pronomi (es. hittita ammel "di me", anzel "di noi", etc.). Questo genitivo anatolico in liquida è un elemento che si trova del tutto isolato nell'indoeuropeo, mentre presenta estese corrispondenze nelle lingue nord-caucasiche. Sono dell'avviso che l'anatolico lo abbia preso da una lingua nord-caucasica, forse proprio quella che dette tanti elementi lessicali al proto-tirrenico. 
  i) Forme come latino tālis, quālis e il ben noto suffisso aggettivale -
ālis, oltre ad alcune formazioni sostantivali in -al, gen. -ālis (animal, gen. animālis, da anima, tribūnal, tribūnālis, da tribūnus, a sua volta da tribus), saranno dovute con ogni probabilità all'influenza dell'etrusco. Non sembrano elementi costitutivi, bensì prestiti avvenuti in un'epoca in cui la lingua dei Rasna era molto influente e godeva di grande popolarità nell'Urbe. Non si devono quindi ritenere queste formazioni latine come eredità indoeuropee.
  ii) Il leponzio Ualaunal, attestato in un'iscrizione trovata a Mesocco, è evidentemente un patronimico da *Ualaunos (cfr. gallico e britannico Vellauno-) e non conta proprio: il suffisso è un palese prestito dal retico, lingua geneticamente imparentata all'etrusco tanto da poter essere definita etrusco alpino. Questo con buona pace di Alessandro Morandi, che a quanto pare reputa l'elemento genuinamente celtico - anche se non credo che possa essere definito un esperto di lingue celtiche antiche e moderne: ho avuto modo di riscontrare nella sua opera inconsistenze abbastanza rilevanti su svariate lingue indoeuropee. Basti citare l'assurdo confronto tra l'antico irlandese am "io sono" (che è da *es-mi, in cui -mi è suffisso verbale di I pers. sing.), e l'etrusco am- "essere" (in cui -m- è parte della radice). Simili cose amene saranno trattate in modo approfondito in un'altra occasione. 
  iii) Il greco τηλίκος "così vecchio; così giovane; così grande" comprende con ogni probabilità una radice indoeuropea *h2el- "crescere, nutrire" (cfr. lat. alere id.). In questo caso la liquida non sarebbe un mero suffisso: farebbe parte di un verbo il cui senso si sarebbe poi oscurato. Si noterà che la posizione dell'accento nell'aggettivo ha qualcosa di anomalo, ci saremmo aspettati una forma ossitona.
  iv) Il Pali tāriṣa- "un tale" ("such a"), citato dagli autori (cfr. Giacalone Ramat, Ramat, 1994, The Indo-european Languages, pag. 102; ed. it. pag. 129), non è in grado di cambiare le cose: il suo isolamento dal materiale latino e greco rende questa forma sospetta. Infatti vediamo che una spiegazione interna chiarissima. Dalla base pronominale eta- derivano le forme etādi
a, etāria, glossate da Allan R. Bomhard come ‘such as this or that; such’. È chiarissimo che dalla base pronominale ta-, la stessa che troviamo in latino, sia derivato questo tāriṣa- (seppur non citato espressamente da Bomhard), dove la rotica -r- non viene da una più antica forma -*l-, bensì da -d-! Così la morfologia di tāriṣa- è stata associata a quella del latino tālis per motivi ideologici, forzando i dati del Pali per trovare un parallelo indoario di un suffisso latino isolato. I comparativisti devono indagare ogni forma che citano, prima di poterla usare! 

2) Il locativo etrusco in -θi corrisponde al locativo greco arcaico in -θι (omerico). Questo elemento morfologico ellenico non trova chiare corrispondenze nelle altre lingue indoeuropee.
Con buona pace di Glen Gordon, -*dhi non è un suffisso indoeuropeo valido. La sua esistenza al di fuori del greco omerico si fonda sul preteso suffisso Pali -hi, fatto risalire a sua volta a un supposto proto-indoeuropeo -
*dhi. Il problema è che un simile suffisso non esiste affatto nella lingua dei canoni buddhisti. Si tratta di un grave equivoco, in quanto questo -hi è stato scorporato in modo abusivo dall'uscita del locativo -mhi (es. dhammamhi "nella dottrina"). Peccato che questo sia soltanto una variante di un più antico -smiṁ (es. dhammasmiṁ "nella dottrina"), tra l'altro ben documentato in Pali come forma più colta. Per chi non volesse crederci, rimando alla meritoria opera di Allan R. Bomhard Introduction to Pāḷi grammar
Non si può far conto sul latino ubi, alicubi, ibi, che possono essere formate con il suffisso "strumentale" -*bhi (cfr. lat. ambi-, am-, an-; greco ἀμφι-). Né si può far molto affidamento su forme sanscrite come iha "qui, in questo luogo" (Pali idha), adhi "sopra; inoltre", etc., i cui suffissi si presentano fossilizzati: non sono formazioni chiare e risalgono a una remotissima preistoria difficilmente esplorabile con i mezzi a nostra disposizione. 
Il problema si complica ulteriormente se consideriamo che il suffisso etrusco -θi (e varianti) non funziona esattamente come l'omonimo suffisso del greco antico. Se nella lingua di Omero -θι si aggiunge al nudo tema delle parole (es. τηλό-θι "a distanza, lontano da", νειό-θι "sotto, sul fondo", ἐγγύ-θι "vicino", ὑψό-θι "in alto", Ἰλιό-θι "a Troia", ὀικό-θι "a casa"), in etrusco si hanno formazioni più complicate. Se un nome termina in consonante o in -i, il suffisso è aggiunto direttamente: śuθi-θ, śuθi-ti "nella tomba", haθr-θi repin-θi-c "nella parte anterore e nella parte posteriore", raχ-θ "nel luogo del fuoco", spel-θi "nella cavità", fals-ti "sulla torre". Se un nome termina in -a, allora -θi in genere si aggiunge al locativo in -ai (neoetr. -e), dando -ai-θi (neoetr. -eθ, etc.): spure-θi "nella città" < *spura-i-θi; spelane-θi "nello spazio della cavità"; mlesiê-θi-c "e sull'altura". Il suffisso può anche essere aggiunto al genitivo in -(a)l o in -s, come in Uni-al-θi "nel (tempio) di Giunone", Tin-s-θ "nello (spazio) di Giove". Una simile formazione è molto comune con i pronomi: da eca, ca "questo" derivano le forme ec-l-θi, c-l-θi, c-l-θ, -c-le-θ , ca-l-ti "in questo". Da mutna "sarcofago" è attestato l'anomalo mutnia-θi "nel sarcofago", che potrebbe stare per *mutnai-θi o più probablmente per *mutnial-θi. Cfr. Facchetti per maggiori dettagli.

3) La copulativa enclitica etrusca -c "e", generalmente fatta risalire all'indoeuropeo -*kwe, nonostante in alcune iscrizioni sia ben attestata la sua forma antica -ca. A mio avviso esiste anche la concreta possibilità di una connessione con la forma anatolica (luvia) -ha, che sembra incompatibile con la forma indoeuropea ricostruita, ma che potrebbe avere paralleli in alcune lingue nord-caucasiche. Si noterà che l'esito diretto dell'enclitica luvia -ha in lidio è proprio -k (ad esempio in est mrud eśś-k vãnaś "questa stele e questa tomba). Chiaramente i neogrammatici, che vogliono ricondurre l'anatolico all'indoeuropeo di Brugmann, sostengono la derivazione del lidio -k proprio dall'indoeuropeo
-*kwe, nonostante non si riescano a trovare tracce di tale enclitica nel materiale hittita e luvio. In realtà è molto probabile che le lingue anatoliche e le lingue indoeuropee propriamente dette derivino da una protolingua comune, l'indo-hittita, e che numerose caratteristiche ricostruite dai neogrammatici siano innovazioni posteriori alla separazione dei due rami derivati. Detto questo, vediamo quanto sia ben più facile e diretto far derivare il lidio -k dal luvio -ha, tramite trasformazione del suono aspirato in un'occlusiva. Uno sviluppo fonetico che potrebbe essere avvenuto anche in etrusco e che in ogni caso ci invita alla prudenza.

4) La copulativa enclitica etrusca -(u)m "e" corrisponde alla copulativa enclitica anatolica -ma, che si trova sia in hittita che in luvio. Questa particella è attribuita all'indoeuropeo comune dai neogrammatici e dai loro eredi, nonostante appaia evidente che si trova soltanto in anatolico. Estenderla al proto-indoeuropeo senza motivazione appare una procedura altamente abusiva. Sono invece presenti interessanti paralleli in alcune interessanti lingue non indoeuropee e non semitiche, in genere considerate isolate ma in realtà imparentate col ceppo nord-caucasico: l'hurritico, l'urartaico e il proto-hattico. Così, a titolo di esempio, abbiamo in proto-hattico wašhap-ma "e gli Dei"; in hurritico na-akki-ma Pur-ra-an a-az-zi-i-ri ta-am-ra e-bi-ir-na za-a-zu-lu-u-uš-te-ri "e liberate Purra (il Servo), il prigioniero, che deve dare cibo a nove re". Quindi possiamo dedurre che -ma "e" era una caratteristica di una lingua scomparsa e ignota, che è penetrata - probabilmente per ragioni culturali e religiose - in diverse lingue dell'area, molto diverse tra loro, venendo così adottata anche dagli antenati degli Ittiti e dei Luvi. 


I problemi sono di certo numerosi, tanto che spesso una risposta trovata a fatica genera un'infinità di nuove domande. Tuttavia sono convinto che valga la pena di indagare a fondo l'origine della lingua etrusca, anche a costo di addentrarci in un ginepraio inestricabile. Sono e resterò sempre dell'idea che sia necessario un lavoro di ricostruzione delle protolingue che parta dalle lingue attestate per risalire con pazienza alle forme antiche: soltanto così si potranno ricostruire in modo sufficientemente affidabile protolingue ancora più remote. Diffido invece dei confronti troppo superficiali fatti tra lingue molto lontane senza il sostegno della ricostruzione protolinguistica. Per questo motivo il lavoro di Della Rosa, notevole per aver posto il problema delle origini composite dell'etrusco, tende a sfilacciarsi quando riporta confronti concreti tra il suo lessico e quello di svariate lingue nostratiche e non nostratiche. Alcune proposte sono decisamente audaci. Ad esempio quando egli riconduce l'etrusco zal "due" alla radice globale pal "due", presupponendo una palatalizzazione *pjal- seguita da palatalizzazione. Alessandro Morandi e Massimo Pittau per contro presuppongono che zal "due" sia riconducibile all'indoeuropeo *dwo-, sempre tramite alterazione della consonante iniziale. Prima di poter decidere verso che direzione bisogna andare, occorre sapere qualcosa di più sulla protolingua da cui l'etrusco si è evoluto. Sono pronto a difendere a spada tratta l'idea di Della Rosa sull'origine delle lingue tirreniche da un pidgin sviluppatosi in creolo, biasimando l'immobilismo del mondo accademico che reputa l'etrusco scaturito dal Nulla come una sfinge incomprensibile. Questo non risolve tuttavia in modo automatico i problemi, semmai li complica a dismisura. Ogni volta che ci si impegna in un'indagine etimologica, il rischio è quello di partire da un'ipotesi errata, finendo così su percorsi che non portano da nessuna parte. Il nostro nemico è il rumore di fondo, manifestazione somma dell'entropia cognitiva che dissolve ogni testimonianza del passato. Ci vorranno decenni per avere un'idea più chiara della questione, posto che l'ostruzionismo dei settari archeologi permetta alle acque torbide di sedimentare.

mercoledì 12 dicembre 2018

UN CICLO DI TRASMISSIONI DEDICATE AL MANICHEISMO NEL 2005

Spesso ci si accorge di qualche perla di grande splendore soltanto quando del suo brillare rimane una fievole traccia. Eppure anche così ci si rende conto che il barlume luminoso può servire a indicare la Via ai Navigatori.
Nel 2005 su Radio 3 andò in onda una serie di interessantissime letture sul Manicheismo. Tale meritoria trasmissione è stata una delle rarissime occasioni in cui i media hanno parlato delle religioni appartenenti al ceppo del Dualismo Anticosmico, e tra l'altro con parole di elogio. La cosa è senza dubbio sorprendente e dimostra che, seppur molto raramente, qualche raggio di Luce riesce ad arrivare in questa Estrema Palude.
Queste letture sono state in tutto quattro, e hanno approfondito l'Insegnamento di Mani, dicendo qualcosa anche sul rapporto tra il Manicheismo e le Chiese Dualiste del Medioevo: Bogomili, Pauliciani e Catari. Molto interessanti anche le considerazioni su Zoroastrismo e Buddhismo. 


Riporto in questa sede ciò che resta nel Web a documentare le trasmissioni in questione. Della quarta ed ultima puntata rimaneva ancora nel 2012 il podcast scaricabile e ascoltabile liberamente, per poter ottenere il file bastava cliccare su questo link:  


Ora il link è rotto e purtroppo non è più possibile scaricare il file.
Queste sono le sintesi delle letture, un tempo riportate nelle pagine del sito web di Rai 3 e ora presenti in quello di Rainews: 


13-03-2005  Letture. 'Mani. L'apostolo della luce'. con Gherardo Gnoli. 1a puntata 

'Scaturito dalla terra di Babilonia'

Quante sono le parole che si sono perse nei grandi fiumi della storia? Di quanti esseri umani non vi è più traccia né memoria. E quante tradizioni sono scomparse, quante civiltà, quante religioni? Perché una sopravvive e l'altra no? Le ragioni storiche sono ricostruibili, certamente. Ma sempre qualcosa di misterioso rimane, di ingiustificato, di oscuro. Da oggi guarderemo alla storia di Mani, e al movimento che da lui è nato, di cui pare essere rimasta solo questa parola "manicheo", usata per lo più con una certa imprecisione. Mani, vissuto nell'impero persiano nel III secolo e.v., come ci spiega Gherardo Gnoli, presidente dell'Isiao, con una consapevolezza profonda del male patito dalle creature e dall'intera creazione, tenta una soluzione che in parte è debitrice di dottrina al buddhismo, allo zoroastrismo, al cristianesimo, in parte è di grandissima originalità. Inviso al potere per il suo universalismo e per lo spirito di missione, fu ucciso dopo supplizi atroci. In questa prima puntata ne ripercorriamo la vita. 

Segnalazioni: 

Gherardo Gnoli (a cura di), Il Manicheismo vol I. Mani e il manicheismo, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori editore

Aldo Magris (a cura di), Il Manicheismo. Antologia dei testi, Morcelliana, 2000

Amin Maalouf, Giardini di luce, Bompiani

Giuseppe Vadalà, SYZYGOS. Il Doppio, da Compagno Divino a Immagine del Sé, Moretti e Vitali 

Dei libri di Mani, oggetti d'arte e di fervore, della sua fede generosa, della ricerca appassionata del suo messaggio d'armonia tra gli uomini non resta nulla.
D
ella sua religione della bellezza, della sua sottile religione del chiaroscuro, abbiamo conservato soltanto le parole "manicheo", "manicheismo" che nella nostra bocca sono diventate un insulto. Infatti, tutti gli inquisitori di Roma e della Persia si sono coalizzati per sfigurare Mani, per spegnerlo. In cosa era tanto pericoloso da rendere necessario scacciarlo persino nella nostra memoria? "Sono giunto dal paese di Babele", diceva, "per far risuonare un grido attraverso il mondo".
Il suo grido fu udito per mille anni. In Egitto lo chiamavano "l'apostolo di Gesu`",
in Cina lo soprannominavano "il Buddha di Luce"; la sua speranza fiorì sulle rive dei tre oceani. Ma ben presto si cambiò in odio e accanimento. I principi del mondo lo maledirono; per loro egli divenne "il demone mentitore", "il recipiente ricolmo di Male " e, nella loro rabbia, "il maniaco"; la sua voce "il perfido incantesimo"; il suo messaggio "ignobile superstizione", "eresia pestilenziale", Poi i roghi compirono la loro opera, consumando nello stesso fuoco tenebroso i suoi scritti, le sue icone, i suoi discepoli migliori, e quelle donne altere che rifiutarono di sputare sul suo nome.
(da Amin Malouf, Giardini di luce)  
 

20-03-2005  'Mani. L'apostolo della luce' con Gherardo Gnoli. 2a puntata 

'Lo spirito e la materia'

Tante volte, parlando delle diverse fedi, ci siamo affaticati sul problema del male, della inconciliabilità tra il Dio che ci viene incontro dalle sacre Scritture e il male che continua a sussistere nel mondo. E tante volte abbiamo detto che ammettere due principi, forse, uno del Bene e uno del Male, risolverebbe tanti problemi, almeno dottrinali. Il manicheismo, in fondo, lo si può leggere come un tentativo di trovare soluzione al bene e al male, che sulla terra e nelle vite individuali sono mischiati, ma all'origine, e nel tempo definitivo, sono ben distinti. Scopo della vita umana è quello di sconfiggere le tenebre attraverso una vita di luce, e Mani, l'"illuminatore", il "medico dell'anima", è venuto a mostrare la via. 

Con l'orientalista Gerardo Gnoli e con lo storico del Cristianesimo Alberto Camplani parleremo anche delle fonti che ci hanno permesso di ricostruire la complessa dottrina manichea. 

Segnalazioni:

Gherardo Gnoli (a cura di), Il Manicheismo vol I. Mani e il manicheismo, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori editore 

Aldo Magris (a cura di), Il Manicheismo. Antologia dei testi, Morcelliana, 2000

Amin Maalouf, Giardini di luce, Bompiani

Epoca dopo epoca, gli inviati di Dio non hanno mai cessato di rivelare la saggezza e i comportamenti. Cosi, in una certa epoca un inviato di nome Buddha li ha portati in India, in un'altra epoca Zoroastro li ha portati in Persia e in un altra ancora Gesù li ha portati nelle terre d'Occidente; in quest'epoca ultima, quella rivelazione e quella profezia sono giunte a me, Mani, inviato del Dio di verità per la terra di Babilonia
(da G.Gnoli, Il Manicheismo vol I) 

  
27-03-2005  Letture. Mani. 'L'apostolo della luce' con Gherardo Gnoli. 3a puntata. 

'La chiesa della speranza: Eletti e Uditori'

Nel tentativo di liberare gli esseri umani dal peso della materia e dalle tenebre che offuscano la luce, Mani dà origine anche a una chiesa, chiamata anche la "chiesa della giustizia", in cui una sofisticata struttura vede gli Eletti (i religiosi) impegnati in una missione salvifica che prevede rigidissime regole di condotta, e gli Uditori (che sono i catecumeni, laici) che li accompagnano nella loro opera. Ne segue, com'è ovvio, una liturgia, un corpus di preghiere, di riti e di inni, di straordinaria ricchezza. Ma anche regole di condotta governate da cinque comandamenti fondamentali per gli eletti e da dieci per gli uditori, in una sorta di "doppia morale". 

Con Gherardo Gnoli esploriamo la struttura della vita e della liturgia manichea.
  
Segnalazioni:

H. C. Puech, "Sul manicheismo e altri saggi" Ed. Einaudi, 1995

Aldo Magris "Il manicheismo. Antologia dei testi" a cura di, Morcelliana

Ordunque, [e' un dato di fatto che] io tormento e maltratto continuamente i cinque Elementi e la Luce imprigionata che sta nella terra riarsa e nella terra umida: il corpo pesante, l'affliggente mia identità, della quale sono permanentemente rivestito, sale, scende, si muove veloce, lento, ora a piedi ora a cavallo, colpisce, fende la terra riarsa, battuta e spaccata, schiacciata e calpestata; scava, demolisce, costruisce, disfa, si immerge nelle acque , cammina nella melma, nella neve, nella pioggia o nella rugiada del sentiero; taglia, fa a pezzi, uccide, dilania le cinque specie di Esseri della flora e le cinque specie di Esseri della carne, umide o secche. Nel caso che sia stato io ad operare [in modo peccaminoso], ovvero che io abbia spinto altri a cio', nel caso che delle persone siano state percosse o incatenate, abbiano subito ingiurie e sofferenze per causa mia; nel caso che io abbia esercitato violenza su quadrupedi, nel montare e dismontare, con sferza, con sprone; nel caso che nei riguardi di animali selvatici, volatili, acquatici o di insetti striscianti per terra, io abbia malignamente pensato di togliere la vita; [...] nel caso che io abbia tratto piacere da uno scontro di eserciti, abbia goduto della morte e dell'eliminazione di peccatori e, per empietà, [abbia goduto] del danno altrui; nel caso che io [pur] avversando l'arte dello scrivere, e [non sopportando] la precisa attenzione [che quest'arte richiede] abbia preso in mano un calamo, una tavoletta [scrittoria], un pezzo di seta o carta, combinando [di conseguenza] danni e guasti in quantità, nel caso io da una caraffa d'acqua abbia versato seppure un goccio, si da mandarla persa inutilmente; per tutto questo: perdono!
(tratto da "Il manicheismo. Antologia dei testi" a cura di Aldo Magris, Morcelliana) 


31-03-2005  Letture. 'Mani. L'apostolo della luce'. con Gherardo Gnoli. 4a puntata. 

'Il destino del manicheismo'. 

Si chiude con oggi la serie di Letture dedicate ai testi manichei, unica sopravvivenza della storia di Mani e della sua chiesa. Che conobbe una diffusione vastissima - dall'Occidente, all'India, alla Cina - ma che ben presto si inabissò, sotto i colpi delle persecuzioni e della dimenticanza. Ma perché il manicheismo fu perseguitato? Che cosa disturbava, oltre al fatto che era, inevitabilmente, un movimento "antinomista" e cioè che non rispettava le leggi e l'ordine del mondo? Morto come chiesa, in quanto potente suscitatore di una lotta contro il male e la salvezza dell'umanità, il manicheismo sopravvisse però nel cristianesimo all'interno di alcune eresie (pauliciani, catari, bogomili), ma anche all'interno del buddhismo, con il quale si fuse in un singolare sincretismo.
E oggi? C'è ancora qualche elemento di questa "religione della luce" che sopravvive nel desiderio di salvezza dell'umanità? 

Ne parliamo con Gherardo Gnoli e con Aldo Magris.

[...]Il diciassettesimo giorno la fine parve imminente e le guardie lasciarono avvicinare i discepoli. Soprattutto una domanda doveva essere fatta, ma il cuore di Mani batteva sul labbro inferiore, e i suoi fedeli rinunciarono a farlo parlare per non farlo ansimare ancora di più . Quasi avesse sentito la loro angoscia inespressa, egli aprì gli occhi e mormorò, come se pronunciasse un'ovvietà: Dopo? Quello che in me era Tenebre ritornerà alle Tenebre, quello che in me era luce rimarrà Luce[...]
(da Amin Maalouf, Giardini di Luce, Bompiani)

Segnalazioni:

Gherardo Gnoli (a cura di), Il Manicheismo vol I. Mani e il manicheismo, Fondazione Lorenzo Valla/Arnoldo Mondadori editore 

H. C. Puech, "Sul manicheismo e altri saggi" Ed. Einaudi, 1995

Aldo Magris "Il manicheismo. Antologia dei testi" a cura di, Morcelliana

Amin Maalouf, Giardini di Luce, Bompiani, Milano 2001 (vedi la nostra piccola biblioteca)  

L'ultima puntata della serie è stata segnalata anche su Adnkronos: 

http://www.adnkronos.com/
Archivio/AdnAgenzia/2005/04/09/
Spettacolo/Televisione/RADIO


Il link, non più funzionante, rimanda all'homepage del sito della famosa agenzia.