martedì 12 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI BOUTKAN-KOSSMANN

Dirk F. H. Boutkan e Maarten G. Kossmann (entrambi dell'Università di Leida) sono gli autori del lavoro Some Berber parallels of European Substratum Words, ossia Alcuni paralleli berberi delle parole di sostreato europee.

Il file in passato era consultabile sul sito dell'Università di Leida al seguente indirizzo: 


Attualmente compare un'inquietante dicitura, under embargo. Il file pdf è sclerotizzato: non è possibile aprirlo né tantomeno scaricarlo. Le mie ricerche nel Web sono state vane, non sono riuscito a trovare l'articolo in questione in altri siti. La speranza è che l'embargo finisca e che il pdf dell'Università di Leida ritorni accessibile. In ogni caso questi fastidiosi inconvenienti, dovuti alle leviataniche pretese di chi vuole monetizzare ciò che non è fatto di materia, non mi dissuadono dal pubblicare la mia recensione dell'opera di Boutkan-Kossmann. 

Questa è l'introduzione, da me tradotta:

"Negli anni recenti, le lingue di sostrato soggiacenti alle lingue indoeuropee dell'Europa hanno ricevuto nuova attenzione da parte di numerosi accademici. Molte parole di sostrato sono state identificate e numerose caratteristiche morfologiche delle parole di sostrato sono state definite (es. Polomé 1989, 1990, Kuiper 1995, Vennemann 1995, Beekes 1996, Boutkan 1998, Boutkan e Kossmann, 1998). Anche l'identificazione delle lingue di sostrato ha ricevuto attenzione. Specialmente il basco e il semitico sono i candidati favoriti (cfr. Vennemann 1995, Kortlandt 1997)."

La ricostruzione del protoberbero si trova ancora a uno stadio molto preliminare. Quindi le proposte per ogni ricostruzione devono essere allo stesso modo considerate preliminari. Valutando la versione proposta del proto-berbero, bisognerà notare i seguenti punti di partenza: 

1) Berbero /f/ e /γ/ sono ricostruiti come *p e *q (occlusiva uvulare sorda) rispettivamente. 
2) Tuareg /h/ (= Ghadames β) è ricostruita come . Siccome il proto-berbero *b è raro in molti contesti, si deve assumere che risalga a **b in uno stadio antecedente della protolingua. 
3) Le vocali brevi sono ricostruite sulla base delle forme del Tuareg meridionale e del Ghadames. Assumiamo che [ă] risalga ad *a breve e che e (ossia lo schwa ə) risalga a *i e *u brevi. 
4) Siccome le vocali lunghe del Tuareg-Ghadames, é e o, sono spesso, anche se non sempre, il risultato di sviluppi secondari, saranno ricostruite come e rispettivamente. 
5) Le vocali che non possono essere ricostruite, ossia la cui qualità è indeterminabile, o che variano secondo schemi di alternanza regolari, sono scritte come [V]

Elenco in questa sede i lemmi trattati dagli autori, riassumendo i dati e fornendo qualche commento a caldo.
Note: 
  i) Nel seguito ho sostituito le forme protogermaniche usate nell'articolo con ricostruzioni a parer mio più affidabili, usando una trascrizione diversa di alcuni fonemi ed esplicitando la desinenza del nominativo singolare.
  ii) Le parole delle lingue dei Guanche delle Canarie sono state aggiunte e commentate dal sottoscritto.
  iii) I confronti con parole etrusche, iberiche e liguri sono stati aggiunti e commentati dal sottoscritto.


1) Latino bāca (italiano bacca)
    Celtico: gallese bagad "grappolo" < *bakatu-  
Protoberbero ricostruito:
     *bqā "mirtillo; mora"
Forme attestate:
Berber del Sous (premoderno) ta-bγa, ta-fγa "mora", Medio Atlante ta-bγa "more di rovo", Rif ta-bγa "tipo d'erba", Chenoua ha-bγa "mora".
Commenti:
Si tratta di forme derivate senza dubbio da un'unica fonte, ma questa non è individuabile. Le forme berbere non sembrano prestiti dal latino, che aveva una vocale tonica lunga /a:/. Anche la la parola gallese presenta problemi simili: gli autori citano l'opinione di Schrijver, che considera dubbia la sua connessione con la parola latina.   


2) Protogermanico (occidentale) *ǣβandaz "sera": 
       antico alto tedesco âband, etc. 
   Protogermanico (nordico) *aftanaz "sera":   
        norreno aptann,
Protoberbero ricostruito:
      *βad "notte"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) éhoḍ, Tuareg (Iwellemmeden) éhăḍ, Ghadames ĕβăḍ, Cabilo, Sous, Medio Atlante, Mzab, Ouargla, Figuig iḍ.
Commenti:
Nelle lingue dei Guanche si trova un'altra radice: enac "notte; sera" (Lanzarote), enaguapa acha abezan "per illuminare la notte" (Tenerife, Tradizione di Güimar).
Potrebbe essere un prestito da una lingua indoeuropea sconosciuta, vista la somiglianza con la protoforma *nekw(t)- / *nokwt-. Prende sempre più corpo la mia ipotesi, a prima vista fantastica, di una spedizione marittima compiuta da Celtiberi e da Germani di Oretania in epoca imperiale, giunta fino a Tenerife.  

3) Latino haedus, sabino faedus < *ghaid- "capretto" 
    Protogermanico *gaitiz "capra":
       gotico gaits "capra", norreno geit, antico alto tedesco geiz, etc.
Protoberbero
ricostruito:
       *āqāḍ "capra femmina";
       *qayd "capretto"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) iγeyd "capretto", Tuareg (Iwellemmeden) éγăyd "capretto", Ghadames têʿaṭ "capra", aʿîḍ "capretto", Cabilo taγaṭ "capra", etc.
Commenti:
Le due radici protoberbere, per quanto foneticamente e semanticamente simili, sono da considerarsi formalmente distinte. Concordo senz'altro con questa opinione degli autori.


4) Protogermanico (occidentale) *krumbaz "curvo, piegato"
    Celtico: antico irlandese cromb, cromm; gallese crwm
       < *krumbos 

Protoberbero
ricostruito:
      *kurVnb- / *kirVnb- "essere curvo, piegato" 

Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) kerembi "essere curvo"; Tuareg (Iwellemmeden) kerenbew "essere curvo"; Rif krumbeš "essere ingarbugliato". 

Commenti:
Boutkan ipotizza che la forma protoceltica sia un prestito dal germanico; a me pare che sia piuttosto il contrario. Sono dell'avviso che la forma Rif krumbeš sia un prestito dal gallico *crumbos, con conservazione della sibilante finale del nominativo singolare. È dimostrato dall'onomastica di epoca imperiale che esisteva una folta comunità di lingua gallica in Africa - come avremo modo di mostrare in altra sede. 


5) Greco púrgos "fortificazione" (var. phúrkos)
    Protogermanico *burgz "città; castello":
        gotico baurgs, norreno borg, etc. 
    Urartaico: burgana "torre"
Protoberbero
ricostruito:
      *farāg "recinto"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) ăfarag' "barriera, recinzione", Tuareg (Iwellemmeden) afărag "barriera, recinzione; giardino", Cabilo afrag "barriera, recinzione", Rif afray "barriera, recinzione" (< *afrag), etc.
Commenti:
A complicare le cose sta l'interazione con la radice innegabilmente indoeuropea *bhṛg'h- "montagna". La parola urartaica è passata come prestito in aramaico (burgôn "torre") e in arabo (burj "torre"). Tutto molto complicato, difficile riuscire a districare la matassa. 

6) Protogermanico (occidentale) *krukjō "stampella": 
       antico inglese cryce "stampella", antico sassone krukka, antico
          alto tedesco krucka, etc.
    Protogermanico (settentrionale) *krōkaz "gancio", *krakǣn
           "bastone uncinato", *krǣkilaz "uncino": 
       norreno krókr "gancio", kraki "bastone uncinato", krækill
           "uncino" 
Protoberbero ricostruito:
      *qaru / *qariy "bastone"
Forme attestate:
Ghadames taγărit "bastone", Cabilo iγṛi "bastone" (arcaico), Medio Atlante taγriyt "bastone", etc.
Commenti: Le alternanze vocaliche decisamente anomale nelle forme germaniche sono un forte indizio di origine non indoeuropea. 

7) Protogermanico *χauβiðan, *χa(u)βuðan "testa, capo" : 
        gotico haubiþ "testa", norreno hǫfuð, antico inglese hēafod,
            antico alto tedesco haubit, etc. 
    Latino caput "testa" 
Protoberbero
ricostruito:
      *qap "testa, sommità"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) éγef "testa", Tuareg (Iwellemmeden) éγăf "testa, sommità", Ghadames éγăf "testa, estremità, sommità", Cabilo ixef "testa, sommità", Medio Atlante ixf "testa", Ouargla, Mzab ixf, iγef "testa", etc.
Guanche: -ife "picco, punta rocciosa"
Commenti:
Si noti che la forma canaria, presente ad esempio nel toponimo Arrecife, è senza dubbio simile alle forme Ouargla e Mzab, ma presenta una maggior evoluzione fonetica e una semantica peculiare.
Nota
:
Segnalo un'imprecisione nell'articolo di Boutkan-Kossmann, relativamente al norreno: è riportata la forma haufuþ, che è soltanto un'antica variante ortografica del corretto hǫfuð (non c'è dittongo).

8) Latino plumbum "piombo"
    Miceneo MO-RI-WO-DO (moliwdos) "piombo" 
    Greco molubdos, molibos, bolimos "piombo" (e varianti)
    Celtico: antico irlandese lúaiḋe "piombo" < *loudijon <
        *plobdjom
 
    Basco: berun "piombo" < pre-basco *belun (-uN)
    Iberico (ricostruito): *beltun "piombo"
    Ligure (ricostruito): *peltrom "lega di piombo e stagno"
Protoberbero
ricostruito:
      *βaldūn / *βāldūn / *būldūn / *βaldūm "piombo"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) ăhâllun "piombo; stagno", Tuareg (Iwellemmeden) aldom "stagno", Tuareg (Ghat) ahellum "piombo", Cabilo, Sous, Medio Atlante aldun "piombo", Mzab, Ouargla buldun "piombo".
Commenti:
Ritengo che la parola berbera sia un prestito diretto dall'iberico. I dati berberi permettono di ricostruire un gruppo consonantico mediano -lt-, che in iberico veniva scritto per ragioni storiche, finendo però per pronunciarsi come semplice -l- prima del passaggio della parola al pre-basco. Proprio come è accaduto all'iberico iltiŕ "città", passato in pre-basco come *(h)ili, da cui il basco attuale hiri, uri "città". Sulle legende monterarie in caratteri iberici si legge iltiŕta, nome della città in cui è avvenuto il conio, che corrisponde alla trascrizione latina ILERDA
Nota:
Ho provveduto a ricostruire la protoforma ligure *peltrom "lega di piombo e stagno" a partire da dati romanzi come l'italiano peltro, lo spagnolo peltre e il francese antico peautre, espeautre. Si comprende abbastanza facilmente che si tratta di un antico prestito dall'iberico, con ogni probabilità con mediazione etrusca.

9) Protogermanico (occidentale) *kraβitaz "granchio; aragosta":
      antico sassone krevit, antico alto tedesco krebiz, etc. 
   Protogermanico (nordico) *krabbǣn "granchio"
      norreno krabbi "granchio" (da cui l'inglese crab, che è un
         prestito) 
   Greco karābos "granchio" (con diverse varianti, tra cui
         grapsaîos)
   Latino cārabus "granchio" (prestito dal greco)
   Latino scarabaeus "scarabeo"
   Italico: osco *skarafaiis, da cui italiano scarafaggio, napoletano
        scarrafone
.  
Protoberbero ricostruito:
       *qirb / *qurb / *qirbī / *qurbī "scudo"
Forme attestate:
   Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden) aγer "scudo", Tuareg (Taneslemt) aγerh "scudo"; si trova una forma medievale isolata, attestata nel berbero del Marocco meridionale: aγri "scudo" (sembra il solo motivo per la ricostruzione di protoforme con ).  
Commenti:
Il confronto potrebbe essere valido, anche se a me pare un po' tirato per i capelli, sia sotto l'aspetto fonetico che sotto quello semantico. Gli autori citano un verbo berbero, la forma isolata Iwellemmeden γărăt "nascondersi dietro", chiedendosi se il termine per "scudo" ne sia una derivazione o se valga l'inverso. Potrebbe tuttavia non esistere alcun nesso.

10) Protogermanico (occidentale) *falisaz (, n) "pietra, roccia":
          antico alto tedesco felis(a), feliso, antico sassone felis, filis
      Protogermanico (nordico) *felzan "montagna":
          norreno fell, fjall "montagna"
     Celtico: antico irlandese all "roccia" (< *allos < *pḷsos); ail
           "roccia" (< *alek); toponimo gallico Alesia 
     Ligure (ricostruito) *palā "pietra, lapide" (preso a prestito dal
           leponzio, palā "lapide")
     Ligure (toponomastico) -pale (fiume Vindupale "Pietra Bianca",
           oggi Prealba)
     Macedone pélla "scoglio" 
     Greco: phelleús "terreno pietroso"
    Etrusco: falas "torre, colonna" (passato in latino come fala "torre di legno"), *falaθu "cielo" (trascritto in caratteri latini come falado "cielo" < "altezza; volta, soffitto di pietra"; il latino palātum "palato; volta del cielo" è esso stesso un prestito più antico dalla stessa fonte)
Protoberbero ricostruito:
      *pallā "altezza"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) afella "alto (superficie superiore, in alto)", Tuareg (Iwellemmeden) afălla "alto, parte superiore", Cabilo -fella "in cima, in alto", Sous aflla "sopra", Medio Atlante afella "ciò che è in alto, ciò che è sopra", Ouargla f-, fell- "su" (ridotto a preposizione).
Commenti:
Senza dubbio è sconcertante la consonanza tra l'etrusco e il protoberbero ricostruito. Purtroppo gli autori dello studio in analisi non hanno considerato raffronti con la lingua dei Rasna. 

11) Protogermanico *silχaz "foca": 
           norreno selr "foca", antico inglese seolh, etc.  
      Voci non indoeuropee attestate in latino: salmō (gen. salmōnis)
           "salmone"; salar "trota" (gen. salaris
      Greco: sélakhos "squalo" (prestito da una lingua pre-greca);
           salpa "tipo di pesce marino" (di origine non IE)        
Protoberbero ricostruito:
     *sūlmay / *slVm "pesce" 
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar) asûlmey "pesce", Cabilo, Medio Atlante, Figuig aslem "pesce", Rif asřem "pesce" (< *aslem); Sous aslm "pesce", Ghadames olisma "scinco", ossia "pesce (della sabbia)". 
Guanche: salema "salpa" (Tenerife)
Commenti:
Gli autori citano alcuni prestiti dal latino al germanico (antico alto tedesco salmo "salmone", etc.), parlando della loro concorrenza col termine nativo *laχsaz "salmone", ancor oggi ben vivo in vaste regioni. Non citano però alcuni dei raffronti qui riportati. Evidentemente la radice neolitica da cui sono derivate queste parole doveva suonare *sVl-, essendo gli altri elementi puri e semplici suffissi a noi ormai oscuri.

12) Protogermanico *skuldrō "spalla":
      antico alto tedesco skultarra, skultirra (moderno Schulter),
      antico inglese sculdor (moderno shoulder), etc.
Protoberbero ricostruito:
      *qrūḍ "spalla, scapola"
Forme attestate:
Tuareg (Iwellemmeden) iγerdén "parte del corpo situata sotto il collo e tra le scapole", Ghadames taγureṭ "spalla", Cabilo taγṛuṭ "scapola, spalla", etc.
Commenti:
Sembrano del tutto vani i tentativi di connettere le forme germaniche con la radice indoeuropea *(s)kel- "dividere". Forse un giorno si capirà che gli Antichi non cavillavano masturbando i verbi per dare il nome a cose elementari. Se qualcosa non ha un'agevole e facile spiegazione all'interno di un sistema linguistico, significa molto probabilmente che proviene da qualche altra parte. L'idea fissa di spiegare Omero con Omero, tanto popolare nel XIX secolo, ci priva della possibilità di indagare a fondo il passato.

13) Latino lēns "lenticchia" (gen. lentis)
     Germanico: antico alto tedesco linsī "lenticchia"; l'olandese linze
          può essere un prestito abbastanza recente dal tedesco
     Slavo e baltico: slavo ecclesiastico lęšta "lenticchia"; lituano
          lę̃šis (sono entrambi prestiti dal germanico)
    Basco: dilista "lenticchia"
Protoberbero ricostruito:
      *lintī "lenticchia"
Forme attestate:
Questa parola si trova, per quanto se ne sa, soltanto in Sous: tilintit, tiniltit "lenticchia".
Commenti:
Con ogni probabilità si è avuto un prestito dal latino volgare o dal protoromanzo al berbero. Non è affatto chiaro il rapporto tra la parola latina, che sembra ben radicata e di ottima tradizione, e il termine antico alto tedesco. Forse si tratta semplicemente di un prestito, cosicché questi raffronti parrebbero privi di forza argomentativa. Va però fatto notare che la forma basca ha un prefisso fossilizzato che è chiaramente lo stesso del berbero, oltre a una sibilante nel corpo della parola, il che crea non pochi problemi. Non si riesce a districare questo ginepraio.

14) Protogermanico *χriflingaz "scarpa":
          norreno hriflingr "scarpa", antico inglese hrifeling "scarpa"
     Greco: karbátinos "fatto di cuoio" 
     Celtico: antico irlandese cairem "calzolaio", antico gallese crydd
         "calzolaio" (< *kṛp-)
     Latino: carpisculum "tipo di scarpa" 
     Slavo: antico bulgaro kŭrpa "tessitura; straccio"
    Baltico: lituano kùrpė "scarpa" (è riportato che nel tedesco di
         Prussia si usava Kurp per dire "scarpa" anziché Schuh)
Protoberbero ricostruito:
    *VqrVp "coprire qualcosa con cuoio"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden) eγref "tendere una pelle", Medio Atlante γref "coprire con cuoio", etc.
Commenti:
Alcuni sostengono che l'italiano scarpa sia stato retroformato da scarpettina, e che questo falso diminutivo altro non sia che il greco karpatinē "calzatura di cuoio", variante di karbatinē, femminile dell'aggettivo karbátinos (vedi sopra). Altri - e sono tutti romanisti - fantasticano su un germanico *skarpa "tasca di cuoio", che a quanto mi consta non si è mai visto da nessuna parte. 

15) Protogermanico (occidentale) *gristilaz / *krustilō (-az) /
     *krustulō
(*g-) "cartilagine":
           antico inglese gristel, gristl 
           antico alto tedesco krustula, krustila, krostila, grustila,
                krustil, krustilīn  
      Protogermanico (occidentale) *kruspilaz "cartilagine":
           antico alto tedesco kruspil
      Protogermanico (occidentale) *grosVlō "cartilagine":
           antico alto tedesco krosila, krosla
           antico sassone krosla (glossa)
      Protogermanico (occidentale) *grostaz "cartilagine"
          antico inglese grost
Protoberbero ricostruito:
       *gVrgVr- "cartilagine
Forme attestate:
Tuareg (Iwellemmeden) égärgäwés "cartilagine", Cabilo igergir "cartilagine".
Commenti:
Il gran numero di varianti in germanico occidentale e le irregolarità che presentano, sono indizi chiari del fatto che si tratta di prestiti, forse nemmeno troppo remoti, da una lingua sconosciuta.
Si noti che le attestazioni riguardano quasi soltanto l'antico alto tedesco e l'antico inglese. 

16) Protogermanico *siluβran "argento":
      gotico silubr "argento", norreno silfr, antico inglese seolufr,
           siolufr
, silofr, antico alto tedesco silibar, silabar, antico
           sassone siluƀar, silƀar 
      Slavo: slavo ecclesiastico sĭrebro, sŭrebro "argento", russo
          serebro, etc.
      Baltico: lituano sidãbras "argento", lettone sidrabs 
      Celtico: celtiberico SILABUR (Iscrizione di Botorrita,
          trascritto anche
śilaPuŕ) < iberico *śilabuŕ
      Basco: zilhar "argento" (varianti dialettali: zilar, zidar, zildar)

Protoberbero ricostruito:
      *-zrĭp(i), *-zrŭp(i) "argento"
Forme attestate:
Tuareg (Ahaggar, Iwellemmeden), Sous (medievale), Chenoua aẓref "argento", Zenaga (Mauritania) aḍerfi
(trascritto anche azerfi, azerfu).
Commenti:
La forma celtiberica è evidentemente un prestito dall'iberico. La stessa parola ha dato origine alche al basco zilhar < *ziL(h)aR < *ziLabR-. L'origine ultima di questa parola migrante dovrebbe essere semitica, come già ipotizzato da Trombetti. Infatti in molte lingue semitice compare una radice verbale ṣrp col significato di "raffinare il metallo", usata specialmente con riferimento all'argento. In alcune di esse esistono testimonianze dell'uso di tale radice con il significato di "argento" (es. sabeo ṣrp "argento", arabo poetico ṣarīf "argento"). Boutkan è scettico su questa etimologia: egli afferma che non esiste alcuna parola dalla radice verbale ṣrp col significato di "argento" proprio nelle lingue parlate in epoca antica sulle rive del mediterraneo (es. punico, ebraico). L'obiezione non mi sembra comunque valida: potrebbero essere esistite lingue afroasiatiche che sono scomparse senza lasciare tracce.
Nota:
Questa radice non è inclusa nell'articolo di Boutkan-Kossmann; tuttavia gli autori hanno pubblicato un altro articolo con analisi approfondite, reperibile su Academia.edu:


Conclusioni
L'interpretazione più probabile delle evidenze mostrate dal materiale discusso è che sia esistita almeno una lingua neolitica, estinta senza lasciare altre tracce, donatrice di prestiti sia a un gran numero di lingue indoeuropee che al proto-berbero. Tutto ciò è meritevole di ulteriori indagini.

domenica 10 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI KAGAMI

Akikatsu Kagami (Aichi Gakuin University, Nagoya, Giappone) è l'autore dello studio Changes and Traces of Ainu Place Names in Contact with Japanese, ossia Cambiamenti e tracce dei nomi di luogo Ainu in contatto col giapponese, pubblicato nel 2009. Mi rendo conto che l'antroponimo nipponico in italiano fa un po' ridere, proprio come il famoso Urina Suimuri che compariva nelle barzellette sui Giapponesi, spesso assieme a Kagapoko Kifapokomoto. Immagino che i troll si faranno grasse risate, come se il nominativo dell'accademico di Nagoya fosse una trasposizione ironica di una frase italiana, "chi cazzo mi caga?" o qualcosa del genere. Ne sono consapevole e mi dispiace, ma non posso farci niente. Non l'ho inventato io, esiste davvero. Riporto la pagina con le opere dell'autore nel sito dell'editore De Gruyter:


Il lavoro di Kagami sui toponimi di origine Ainu è consultabile nel Web tramite questi link, che spero si manterranno a lungo funzionanti:



Questo è l'abstract, da me tradotto:

"Alla diciassettesima conferenza ICOS a Helsinki, ho rilasciato un articolo intitolato “Ainu Substratum in the Distribution of Japanese Microtoponyms” (Sostrato Ainu nella distribuzione dei microtoponimi giapponesi) e ora vorrei presentare i miei continui studi su questo argomento. A Tōhoku (Distretto del Giappone nordorientale), restano molti nomi di luogo che hanno la stessa struttura dei nomi di Hokkaidō, dove ancora sussistono aborigeni Ainu. Ma questi nomi di Tōhoku sono mutati attraverso il contatto con la lingua giapponese, ed è necessario interpretarli come se fossero cambiati dall'Ainu a parole nipponizzate."

Per chi non lo sapesse, gli Ainu sono una popolazione antichissima del Giappone, che vive nell'isola di Hokkaidō e nelle isole Curili (queste ultime appartenenti alla Federazione Russa). Sono molto diversi dai Giapponesi e caratterizzati da un somatismo più simile a quello europeo (manca la plica mongolica); gli uomini hanno folta barba e pelosità abbondante. La lingua tradizionale degli Ainu, ormai moribonda, non ha parentele note con alcun'altra lingua del mondo. 

Queste sono le radici di sostrato indagate da Kagami nel suo articolo:

1) PI-NAY "fiume dei ciottoli"
     Compare a Tōhoku come HI-NAI.
   Metanalisi: Questo elemento è stato interpretato erroneamente a partire dall'antico giapponese hi "cipresso giapponese", con la variante hinoki. Si noterà che questi toponimi si trovano nella maggior parte dei casi oltre l'estremo limite settentrionale della crescita spontanea del cipresso giapponese (Chamecyparis obtusa), cosa che dimostra in modo semplice e diretto la falsità di questa etimologia popolare.


2) KOTAN "villaggio"
     Compare a Tōhoku come KOTANI e KOTATE / KODATE.
     Metanalisi: L'elemento kotani è stato interpretato in giapponese come "piccola valle" o come "vecchia valle" (ko "vecchio"), a partire da tani "valle". Tuttavia in Tohoku la parola giapponese usata per indicare la valle è ya, non tani. Le forme kotate e kodate sono state interpretate a partire da tate "scudo"; con sostituzione criptica di ko "vecchio" con furu, altra pronuncia dello stesso ideogramma, si sono ottenute le forme furutate e furudate, ancor più fuorvianti.


3) PENKE "superiore, alto"
     Compare a Tōhoku come BENKE, BENKEI.
     Metanalisi: Questo elemento non è stato sottoposto a metanalisi, dato che la sua peculiare struttura non ha permesso l'accostamento a parole nipponiche. Nella maggior parte dei casi è stato quindi sostituito dal giapponese kami "superiore, in alto". La forma Ainu originale Penke compare nella toponomastica di Hokkaidō, ad esempio in Penke-to "Lago Superiore".


4) PANKE "inferiore, basso"
     Compare a Tōhoku come BANGE.
     Metanalisi: Questo elemento non è stato
sottoposto a metanalisi, dato che la sua peculiare struttura non ha permesso l'accostamento a parole nipponiche. Nella maggior parte dei casi è stato quindi sistituito dal giapponese shimo "inferiore, in basso". La forma Ainu originale Panke compare nella toponomastica di Hokkaidō, ad esempio in Panke-to "Lago Inferiore".

5) NUPRI "montagna"
    Compare a Tōhoku come -NO-MORI 
   Metanalisi: In questo elemento -no è stato interpretato come particella giapponese del genitivo, mentre -mori è stato interpretato come una parola giapponese antica che significa "montagna" (e anche "foresta"). Si noti che nei toponimi giapponesi di origine non Ainu il suffissoide -mori non compare preceduto dalla particella genitivale -no (es. Aomori "Foresta Blu"). La forma Ainu originale -nupuri compare molto frequentemente nella toponomastica di Hokkaidō per designare montagne: Atusa-nupuri, Nisey-ko-an-nupuri, etc.

A questo punto, dopo aver discusso gli elementi toponomastici sopra riportati (per ognuno è inclusa una mappa che ne illustra la distribuzione), Kagami si auspica che l'applicazione del suo ineccepibile metodo possa portare a scoprire un maggior numero di toponimi Ainu mascherati. Segue una ricca bibliografia di suoi lavori precedenti, che purtroppo non sono riuscito a recuperare nel Web. 

Gli Emishi 

Nel Nordest dell'isola di Honshū, proprio in quella che oggi è conosciuta come regione di Tōhoku, viveva un popolo molto bellicoso i cui uomini erano caratterizzati da una pelosità abbondante. Sono conosciuti con il nome di Emishi (蝦夷, nell'epoca Nara 毛人) e hanno resistito a lungo all'espansione dell'Impero. I primi contatti con i Giapponesi si ebbero nel 658 d.C., quando una spedizione navale raggiunse Akita (all'epoca chiamata Aguta, ho sentito che qualche anno fa vi avvenivano apparizioni mariane, è come se fosse la Medjugorje giapponese). Ebbe inizio una lunga serie di guerre: alcune tribù erano alleate con i Giapponesi, altre erano ostili. Gli ultimi focolai di resistenza furono domati nell'811 d.C.; da allora gli Emishi furono incorporati nella società feudale e dominati da una casta di meticci, finché si perse ogni loro caratteristica distintiva. Si suppone con ottime basi che parlassero una lingua imparentata con quella degli Ainu di Hokkaidō. Una prova molto convincente sono gli idronimi in -betsu, derivati dall'Ainu pet "fiume" tramite adattamento naturale alla fonetica giapponese. Molto più a meridione della grande isola di Honshū, questa radice pet è stata adattata nella forma abbreviata -be, ad esempio in Kurobe e Oyabe, nomi di fiumi della Prefettura di Toyama. Chiaramente il suffissoide -be "fiume" era tipico di un popolo che parlava una lingua imparentata con quella degli Emishi, seppur non identica. Per secoli si sono tentate etimologie dell'etnonimo Emishi utilizzando parole giapponesi, ottenendo così i risultati grotteschi e inverosimili tipici del più crasso paleocomparativismo, fenomeno tristemente noto nella nostra Penisola. In realtà è tutto semplicissimo: nella lingua degli Ainu la parola emchiu significa "uomo, persona" (scritto anche enju, enzyu). 

Sopravvivenze di elementi di sostrato 

Esiste a Tōhoku, nella parte settentrionale dell'isola di Honshū (prefetture di Akita, Aomori, Iwate ed altre), una società di cacciatori d'orsi, chiamati Matagi. Questi usano tra loro, esclusivamente durante la caccia, un gergo chiamato Yama-kotoba, ossia "Parole della Montagna" (in giapponese yama "montagna", kotoba "parole") o Matagi-kotoba. Accanto ad alcuni termini giapponesi usati in senso traslato (es. ossama "orso", alla lettera "uomo anziano"), vi sono numerose parole Ainu adattate alla fonetica nipponica. Questi sono alcuni esempi: 

sanpe "cuore" 
    (Ainu sanpe)

setta "cane"
    (Ainu sita)

hakke "testa"
    (Ainu pake)
hono "bambino piccolo"
     (Ainu ponpe)
horo "grande"
    (Ainu poro)
kappo "cuoio"
    (Ainu kapkapuhu)

wakka
"acqua"
    (Ainu wakka)

Per ulteriori informazioni si rimanda al lavoro di Catherine Knight:


Mentre si continua ad affermare nel Web che gli studiosi non sono riusciti a ricostruire la lingua degli Emishi, a dispetto della presenza di ricco materiale non soltanto toponomastico nella regione che hanno abitato, nessuno sembra collegare proprio agli Emishi il lessico di origine Ainu presente nello Yama-kotoba. In effetti si trova ben poco sullo Yama-kotoba e non ho avuto modo di approfondire l'affascinante argomento quanto avrei voluto. Oltre alle parole fornite dalla Knight, se ne possono riportare poche altre, riportate in un blog di Tumblr (dunque non esistono soltanto i porno-Tumblr!):


ege "fuoco"
kodataki "gatto"
nasashi "sake"
surube "fucile, pistola"
takase "cavallo"

Per questi vocabili non sono riuscito a trovare corrispondenze in Ainu; in particolare il termine ege "fuoco" mi pare enigmatico (ho trovato che in Ainu si ha invece ape, abe "fuoco", mentre il verbo corrispondente è ruy "bruciare"). Faccio notare al mondo accademico che il termine kodataki "gatto" non ha nulla a che vedere col giapponese neko "gatto": somiglia molto di più alla parola preistorica che ha dato il nostro vocabolo "gatto" (dal latino cattus, comune al celtico e al germanico). Potrebbe trattarsi di una falsa etimologia e potrei peccare fortemente di ingenuità, ne sono consapevole. Tuttavia potremmo anche essere di fronte a qualcosa di importante. Mi piacerebbe che il professor Guido Borghi si occupasse della questione. Che spiegazione dare a questi dati bizzarri? Faccio notare che le cronache giapponesi menzionano un popolo diverso dagli Emishi, che competeva con loro per il possesso di Tōhoku. Queste genti, la cui origine ignoriamo, sono note col nome di Mishihase. Non è chiaro se parlassero una lingua del ceppo Ainu. Posso soltanto notare che l'etnonimo contiene l'elemento mishi-, che potrebbe avere la stessa etimologia del nome degli Emishi. Forse invece l'origine è del tutto diverso e si trattava di un popolo anteriore agli stessi Ainu, un relitto di una preistoria ormai sprofondata nell'Oblio. La mia ipotesi, forse non del tutto peregrina, è che il gergo dei Matagi comprenda sia elementi lessicali della lingua degli Emishi che di quella dei Mishihase. Così ege "fuoco" sarebbe una parola del perduto idioma di questi ultimi! La ricostruzione che posso tentare è abbastanza verosimile: gli Emishi non assimilati, oppressi duramente dai meticci giapponesizzati, si sono ritirati in zone remotissime, dove vivevano anche i discendenti dei loro ancestrali nemici, i Mishihase. Sarebbero dunque avvenute unioni tra i due gruppi considerati reietti. 

Perché nessuno si occupa di tutto ciò? Perché non si trovano studi accessibili? Vorrei sbagliarmi, eppure ho il sospetto che la scienza ideologica non sia una peculiarità del solo Occidente. Evidentemente se ne trovano manifestazioni anche nel paese del Sol Levante. Non dimentichiamoci che gli stessi Ainu di Hokkaidō sono stati sottoposti a spaventose persecuzioni e a discriminazioni di ogni genere. Se nominassi poi gli intoccabili dell'Arcipelago, gli Eta, quale sarebbe la reazione degli accademici? 

venerdì 8 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI WITZEL

Michael Witzel (Harvard University, Department of Sanskrit and Indian Studies) è l'autore del lavoro Substrate Languages in Old Indo-Aryan (Ṛgvedic, Middle and Late Vedic), ossia Lingue di sostrato nell'antico indoario (ṛgvedico, medio e tardo vedico), pubblicato nel 1999 sull'Electronic Journal of Vedic Studies (EJVS) e attualmente consultabile in svariati siti del Web, ad esempio su Researchgate.net:


Anche il sito del professor Witzel contiene la risorsa in analisi, assieme a molte altre assai utili: invito i navigatori a consultare una biblioteca tanto ricca e mirabile.


Trovo che Substrate Languages in Old Indo-Aryan sia un'esaustiva e interessantissima trattazione delle lingue di sostrato del subcontinente indiano. Il saggio è ancor più meritorio se si considera che l'argomento è ignoto al grande pubblico. Anche moltissime persone che si sono avvicinate allo studio del sanscrito, credono tuttora in modo incrollabile al dogma dei Neogrammatici. Così attribuiscono all'intero lessico della lingua dell'India classica un'origine indoeuropea, senza sapere che moltissime parole sono state prese da lingue parlate alla popolazione stanziata sul territorio prima che vi arrivassero gli Indo-Arii. Basterebbe anche poco a capirlo. Ci si potrebbe arrivare già soltanto dando un'occhiata alla fonetica di un gran numero di parole, unita all'impossibilità di trovare paralleli credibili in altre lingue indoeuropee.

Questo è l'indice dell'opera:

§ 0. Definitions ... 2

§ 1. Greater Panjab ... 6
§ 1.1. Ṛgveda substrate words  ... 6
§ 1.2. Para-Munda loan words in the Ṛgveda ... 6
§ 1.3. Para-Munda and the Indus language ofthe Panjab ... 10
§ 1.4. Munda and Para-Munda names ... 11
§ 1.5. Other Panjab substrates ... 13
§ 1.6. Dravidian in the Middle and Late Ṛgveda ... 14
§ 1.7. Greater Sindh ... 21
§ 1.8. The languages of Sindh ... 22
§ 1.9. The Southern Indus language: Meluhhan ... 24
§ 1.10. Further dialect differences ... 30
§ 1.11. Dravidian immigration ... 32

§ 2. Eastern Panjab and Upper Gangetic Plains ... 33
§ 2.1. The Kuru realm ... 33
§ 2.2. The substrates of Kuru-Pañcāla Vedic ... 35
§ 2.3. The Para-Munda substrate ... 36
§ 2.4. Substrates ofthe Lower Gangetic Plains and “Language X” 
    ... 40
§ 2.5. Tibeto-Burmese ... 43
§ 2.6. Other Himalayan Languages ... 46

§ 3. Central and South India ... 49

§ 4. The Northwest ... 51

§ 5. Indo-Iranian substrates from Central Asia and Iran ... 54

§ 6. Conclusions ... 56

Gli stessi argomenti sono trattati e approfonditi in un'altra opera dello stesso autore: Early Sources for South Asian Substrate Languages, ossia Antiche fonti per le lingue di sostrato dell'Asia meridionale, pubblicato sempre nel lontano 1999, attualmente consultabile su Academia.edu e scaricabile a questo url:


Anche questo studio è eccellente: The Languages of Harappa, sempre dello stesso autore, pubblicato nel 2000:


I Veda furono composti oralmente in un periodo compreso all'incirca tra il 1700 a.C. e il 500 a.C., in ogni caso dopo il collasso della civiltà della valle dell'Indo (intorno al 1900 a.C.), in zone di quelle terre che oggi sono chiamate Afghanistan, Pakistan e India Settentrionale (Grande Panjab). I testi del gveda, una delle quattro suddivisioni canoniche dei Veda, sono stati classificati in funzione dell'età di composizione, stabilita sulla base di criteri interni di arrangiamento testuale:  

I - Periodo ṛgvedico antico (1700-1500 a.C.)
II - Periodo ṛgvedico medio (1500-1350 a.C.)
III - Periodo ṛgvedico tardo (1350-1200 a.C.)

Si tratta di materiale dell'Età del Bronzo indiana, anteriore all'introduzione dell'uso del ferro. Il geva è seguito da una varietà di altri testi vedici: Samaveda, Yajurveda, Atharvaveda (più antichi del 1100 a.C.), Brāhmana (1100-800 a.C.), Āraṇyaka (1100-800 a.C.) e Upaniṣad (800-500 a.C.). Ṛgveda, Sāmaveda, Yajurveda e Atharvaveda sono noti come le quattro Saṃhitā. Esistono poi testi ancora più recenti, composti dopo il 500 a.C.: i Sūtra e i Vedāṅga. Non va taciuto che la datazione dei testi più antichi è controversa; in India gli studi sono fortemente condizionati dalla religione e dall'ideologia politica, tanto che lo stesso Witzel ha dovuto lottare strenuamente contro un gran numero di fanatici.

L'idea più semplice che può venire in mente a chi affronta per la prima volta il problema delle parole di sostrato nei testi vedici, è quella di attribuire ogni termine non indoeuropeo trovato al dravidico. Questo perché le lingue dravidiche, tuttora fiorenti e dominanti nell'India meridionale, sono il più noto esempio di lingue preindoeuropee del subcontinente. Si potrebbe quindi pensare che un tempo il proto-dravidico fosse parlato in tutta l'India e fosse proprio la sorgente delle enigmatiche parole del sostrato. In realtà le cose non sono affatto così semplici. Oltre alle lingue dravidiche, esistono in India anche le lingue Munda, di origine austroasiatica. Non solo: dovettero esistere altre lingue del tutto diverse, ormai perdute e di classificazione assai difficile (per non dire impossibile). Riporto a questo punto un sintetico quadro cronologico del sostrati presenti nei testi ṛgvedici: 

1) Ṛgveda arcaico 
Si trova soltanto materiale di sostrato di origine centroasiatica, presente nel proto-indoario e portato in India dall'esterno.
2) Ṛgveda I 
Non si trovano tracce di parole dravidiche; si ha invece abbondante presenza di termini presi a prestito da una lingua ricca di prefissi, che è stata chiamata para-Munda o para-austroasiatica. Si trovano anche prestiti correlati all'agricoltura, da una lingua sconosciuta e diversa, soprannominata lingua X di Masica (dal nome del suo primo indagatore).  
3) Ṛgveda II e III 
Cominciano a comparire prestiti dravidici.
4) post-Ṛgveda 
Continua l'influenza lessicale dello stesso tipo di lingue non indoeuropee nel linguaggio vedico educato dei Brahmini. Si trova materiale onomastico proto-Munda nelle regioni del Nordest indiano.

Esistono poi altri sostrati in India, come il proto-Burushaski nel Nordovest, il tibeto-birmano nella regione himalayana e nel Kosala, oltre agli antenati di alcune lingue antiche ora residuali, parlate in sacche isolate nel subcontinente (Kusunda nel Nepal centrale, Nihali nell'India centrale e resti lessicali di lingue perdute, come quella originaria dei Tharu, dei Nilgiri e dei Vedda). Mi emerge un ricordo d'infanzia. Durante una trasmissione condotta da Mike Bongiorno, a un concorrente specializzato in cultura indiana, fu chiesto qual è la lingua parlata in quel paese, che non somiglia a nessun'altra lingua del mondo. Se la memoria non m'inganna, il concorrente rispose col nome della lingua Nihali (Nahali). In realtà il lessico del Nihali ha subìto imponenti influenze da parte dei vicini Munda e Dravida, eppure resistono importanti strati lessicali privi di parentele ovvie.

Il termine para-Munda è usato per indicare una lingua le cui uniche attestazioni sono le tracce lasciate nel lessico vedico e post-vedico. Deve il suo nome al fatto che le parole mostrano una notevole somiglianza tipologica con quelle delle lingue Munda, soprattutto nell'uso dei prefissi. Siccome moltissime parole iniziano con la stessa sillaba (ka-, ki-, ku-, etc.), si è potuto ipotizzare la natura originariamente morfologica di questo elemento. In alcuni casi abbiamo alternanze tra una parola con un simile elemento iniziale e una variante che ne è priva. Quando passiamo all'analisi delle radici, una volta che abbiamo separato i prefissi, non abbiamo tuttavia altrettanta fortuna: solo in alcuni casi l'etimologia concreta di questa parole è stata trovata. Proprio per questo si parla di sostrato para-Munda (ossia che ha caratteri simili al Munda) e non di sostrato proto-Munda o semplicemente sostrato Munda. Passiamo ora ad elencare un certo numero di parole di questo genere. 

Materiale di sostrato para-Munda in sanscrito (ṛgvedico e post-ṛgvedico):

1) Prefisso ka- 

kakardu "bacchetta di legno"
kapardin "con nodi nei capelli"
kabandhin, kavandha "barile"
kamaṇḍalu "vaso d'acqua" (cfr. maṇḍala "cerchio")
kapaṭu "fungo"
kapāla "teschio"
kapiñjala "pernice"
kapola "guancia"
kaphauḍa, kaphoḍa "clavicola; gomito"
kasarṇīla "tipo di serpente"
kastūpa "ciuffo di capelli" (cfr. stupa "ciuffo di capelli; cima")
kākambīra "un tipo di albero"

Con palatalizzazione:

śakuna "(grande) uccello"
śakuni "uccello augurale"
śakunta
, śakuntaka, śakunti, śakuntikā "uccello"
Śakuntalā, nome di una ninfa

2) Prefisso ki-

kimīdin "un demone"; nome di una classe di demoni
kiyāmbu "una pianta acquatica"
kilāsa "maculato; lebbroso"
kīkaṭa, nome di una tribù
kīkasā "vertebra; costola"
kīja "strumento"
kīnārā "due aratori"
kīnaśa "aratore"
kīlāla "colostro; una bevanda dolce"
kīsta "lodatore; poeta"

Con ulteriore prefisso su-:

sukiṃśuka, nome di un albero (Butea frondosa)

Con palatalizzazione:

śimida, śimidā "demone femminile" (cfr. kimīdin)
śiṃśumāra
"delfino gangetico"
śiśūla "delfino"

3) Prefisso ku-

kumāra "ragazzo, giovane uomo"
kurīra "acconciatura femminile di capelli"
kuruṅga, nome di un capitano dei Turvaśa
kuliśa "ascia"

4) Doppio prefisso *Cǝr- (con o senza palatalizzazione)

i) Prefisso kal- / kar- 

kalmalīkin "splendente"
kalmāṣa "variegato, maculato"
karañja, nome di un demone
karambha "farinata"
karbara "maculato"
kardama "sporcizia; fango"
karkandhu "tipo di albero" (Zizyphus Jujuba)
karkari "liuto"
karkaṭa "granchio"
karkoṭaka "demone serpente, Nāga"
kārotara "setaccio, filtro"
kārṣmarya "tipo di albero" (Gmelia arborea)

Variante gar-

garmut, gārmuta "fagioli selvatici"

ii) Prefisso kil- / kir-  

kilbiṣa "azione malvagia"
kirmira "variegato"


iii) Prefisso khar-

khargalā "gufo"
kharjūra "palma da datteri"
akharva "mutilato"


iv) Prefisso kṛ-

kṛpīṭa "cespuglio"
kṛśana "perla" 


v) Prefisso palatalizzato jar- 

jartila "sesamo selvatico" (cfr. tila "sesamo", tilvila "fertile",
     tilpiñja "sesamo infertile")


vi) Prefisso palatalizzato śal- / śar-  

śarkara "ciottolo, sassolino; sabbia"
śarkoṭa "demone serpente, Nāga" (cfr. karkoṭaka)
śarvarī "notte"
śalmali, nome di un albero (Salmalia malabarica)

v) Prefisso assibilato sar- / sṛ-

sardigṛdi "parte dell'organo sessuale femminile"
sṛbinda, nome di un demone
sṛdara "serpente"
sṛdāku "lucertola"

5) Doppio prefisso Cən- / Cəm- (con o senza palatalizzazione) 

kambala "coperta di lana; abiti"
kambūka "pula"
Kamboja, nome di un popolo dell'Afghanistan
kandhara "collo"
kaṅkūṣa "parte della testa"
kāmpila "tipo di abito, gonna"

Forme palatalizzate:

jāmbila "saliva"
śambūka "pula" (cfr. kambūka)

6) Altri prefissi (ba-, bal-, mar-, pa-, pal-, pra-, vi-, etc.)

balāsa "una malattia" (cfr. kilāsa "lebbroso")
balbaja, nome di un'erba (Eleusine indica) 
balkasa "sedimento, residuo"
barbara "dai capelli crespi"
barhiṇa "pavone"

markaṭa "scimmia"
markaṭaka "un tipo di grano"

palala "sesamo macinato"
palālī "paglia"
palāva "pula"
palāṇḍu
"cipolla"
palpūlana "liscivia, risciacquatura"
pālāgala "messaggero, corridore"

Pramaganda, nome di un capitano dei Kīkaṭa
Praskaṇva, nome di un re; nome di un saggio

Quando si riesce a individuare l'etimologia di una radice risaltente a questo sostrato, le deduzioni sono molto feconde. Facciamo un esempio. Il proto-Munda *ga(n)d- "fiume" permette di spiegare idronimi e altri nomi risalenti al sostrato para-Munda. Così abbiamo il fiume Gandhāra, che è anche il nome del famoso paese che attraversa, oltre al popolo Gandhāri. Con il suffisso pluralizzatore -ki (ben noto al Munda) abbiamo l'idronimo Gaṇḍakī, alla lettera "Fiumi". Con altro suffisso in velare abbiamo Gaṅgā, il famosissimo nome del Gange, che potrebbe ben significare "Grande Fiume". Un'antica popolazione stanziata sull'alto corso del Gange ha il nome Gandhina. L'antroponimo Pramaganda, nonostante il suo aspetto fonetico indoeuropeo, risulta impenetrabile finché si utilizzano gli strumenti dei Neogrammatici. Se confrontiamo la parola con le lingue Munda, apprendiamo subito che il prefisso pra- significa "figlio", che ma- è un prefisso possessivo, mentre -ganda risale alla radice sopra vista che significa "fiume". Così Pramaganda significa "Figlio del Fiume". Una formazione molto simile si trova in Magadha, nome di un antico regno gangetico, che significa "Appartenente al Fiume". Nelle parole indoeuropee ereditate non si hanno simili alternanze tra -d- e -dh-, solo per fare un esempio, ma nelle parole prese a prestito questo è frequente. Come spesso accade quando masse di parole di sostrato penetrano nella lingua dei nuovi dominatori, si hanno notevoli incertezze nel consonantismo. Tutti gli indizi stanno a dimostrare che il para-Munda è stata una lingua viva e vitale per tutto il periodo vedico. Non era un idioma morto e sclerotizzato, bensì una fonte attiva di prestiti ancora in epoca abbastanza tarda, post-vedica.

A partire dai più antichi materiali del Ṛgveda si riscontrano parole che non possono essere classificate come para-Munda, avendo esse una fonotattica incompatibile e mancando dei caratteristici prefissi. Non sono nemmeno parole dravidiche: devono essere i resti di una lingua parlata nelle pianure gangetiche e appartenuta a una civiltà molto avanzata. Colin P. Masica, che ha studiato l'argomento, ha pubblicato nel 1979 l'articolo Aryan and non-Aryan elements in North Indian Agriculture, purtroppo irreperibile nel Web. Witzel parla troppo poco di questa lingua perduta e ne riporta poche parole, facendo notare che vi abbondano le consonanti geminate (forse dovute ad antiche assimilazioni, ma senza dubbio anomale). Questi sono senza dubbio prestiti notevoli:

bhallūka "orso" (cfr. Nihali bologo "orso")
guggulu
"bdellio, gommoresina vegetale" (variante: gulgulu)
kakkaṭa "un tipo di uccello" (variante: katkaṭa)*
kapittha "un tipo di albero" (Feronia elephantum)
karella, karavella "un tipo di zucca" (Momordica charantia)
khalla "cuoio"
pippala "fico" (varianti: piṣpala, supiṣpala)** 
roṭika
"pane"

*Si noterà che in Pali kakkaṭa indica invece un grosso cervo, probabilmente l'origine della denominazione sta nel comune colore di questi animali.
**Questa parola è di notevole importanza e ben integrata nella lingua sanscrita, tanto da formare il derivato pippalāda "dedito ai piaceri sensuali" (alla lettera "mangiatore di fichi"), un composto formato con la ben nota radice indoeuropea *ed- "mangiare". Una dimostrazione che nell'India degli asceti è sempre esistito anche chi opponeva resistenza alle dottrine correnti.

Nella lingua Hindi è tuttora in uso una peculiare terminologia agricola, caratterizzata da un 30% di parole non indoeuropee, non dravidiche e non Munda. In alcuni casi è possibile ricostruire una protoforma che si trova nel lessico vedico, mentre in altri non si ha alcuna corrispondenza con alcunché di noto. Si tratta di materiale residuale proveniente proprio dalla lingua X delle pianure gangetiche. Così abbiamo in Hindi kaith "Feronia elephantum" come diretta derivazione di kapittha. Riconosciamo subito l'Hindi piplī, pīplā "albero di fico" come un diretto discendente del sanscrito pippala "fico" (vedi sopra). Ecco alcune protoforme ricostruite a partire dal materiale lessicale moderno:

*alla "un tipo di pianta" (Morinda citrifolia)
*balilla "bue"
*bājjara
"miglio" (cereale)
*carassa "cuoio non conciato"
*chācchi "fior di latte"
*maṭṭara "pisello"
*suppāra "noce di areca"
*sūjji / *sōjji "farina bianca grezza"
*uḍidda "un legume"

Praticamente ogni protoforma contiene una consonante geminata, cosa senza dubbio notevole, anche se il significato più profondo ci sfugge e forse ci sfuggirà sempre. Non si conserva alcun dettaglio grammaticale, nessun termine del lessico di base che possa aiutarci a capire che lingua potesse essere. Sono necessari studi molto più accurati.

Si noterà che in Nihali le geminate abbondano in termini senza etimologia nota:

aḍḍo "albero"
beṭṭo
"morire"
bijjok "aspettare in attesa della preda"
biṭṭhāwi "unione; orizzonte" (cfr. biḍum, biḍi "uno")
bokko "mano"
buddi "tramontare"
coggom "maiale"
cuṭṭi "battere, martellare"
joppo "acqua"
kaggo "bocca"
kāllen "uovo"
maikko "ape"
oṭṭi "estrarre; bruciare"
poyye "uccello"
unni "prendere"

Witzel parla delle poche parole dravidiche trovate nei testi rgvedici medi e tardi, elencandole e discutendole senza indagare troppo i dettagli. Questo è l'elenco dei lemmi trattati (in cui tra l'altro non mancano problemi e controversie):

bala "forza"
bila "buco; caverna"
daṇḍa "bastoncino"
kaṭu(ka) "acre, pungente"
kāṇa "guercio, monocolo"
kulpha "caviglia"
kuṇāru "impedito nel braccio" 
kuṇḍa "vaso"
kūṭa "martello"
mayūra "pavone
naḷa "canna"
piṇḍa "palla, gnocco"
phala "frutto"
phāla "vomere"
ulūkhala "mortaio"
vriś "dito (della mano)"

Esiste la possibilità che alcune di queste parole siano a loro volta prestiti dal proto-Munda, come è stato appurato per mayūra "pavone". Queste sono le forme corrispondenti nelle principali lingue dravidiche: 

Tamil: mayil
Irula: muyiru
Tulu: mairu
Konda: mrīlu, miril 
etc.

La sorgente ultima è il Munda mara' "pavone".

Il Burushaski è una lingua isolata parlata da circa 50.000 / 60.000 persone nelle impervie montagne del Pakistan settentrionale, nelle valli dell'Hunza, di Nagir, Yasin e Gilgit. Si tratta di quel bizzarro popolo oggetto di una stravagante fake news. Avete presente quella favola dei mitici Hunza tutti ultracentenari a causa della loro dieta a base di albicocche essiccate? Ebbene, sono proprio loro. L'etnonimo corretto è Burusho (antico *Mrūžo, attestato già in vedico come Mūjavant). La lingua Burushaski è ha caratteristiche uniche e stupisce la sua mancanza di parentele chiare. L'ipotesi più probabile è quella di una connessione con la lingua Ket dello Yenissei, oltre che con le lingue del Nord Caucaso e con il basco (vedi Bengston, Starostin et al.), sebbene non si sia ancora giunti a una ricostruzione universalmente accettata. Si trovano interessanti corrispondenze con elementi del sostrato più antico presenti in sanscrito, quello formatosi in Asia Centrale prima della migrazione in India e per questo comune con le lingue iraniche. 

Burushaski baluqa "pietra" (in giochi infantili); báltaṣ "pietra
   lanciata a qualcuno" : Sanscrito paraśu "ascia di pietra"
   (cfr. greco pélekus "scure")
Burushaski baṅ "resina di alberi" : Sanscrito bhaṅga "canapa"
Burushaski bras "riso" : Sanscrito vrīhi "riso"
Burushaski bus "covone" :
Sanscrito busa, bṛsī "pula"
Burushaski gur "frumento" :
Sanscrito godhūma "tipo di grano"
    (Triticum aestivum)
Burushaski γupas "cotone": Sanscrito karpāsa "cotone"
Burushaski ku(h)á "luna nuova": Sanscrito kuhū "deità della luna
    nuova"
Burushaski mēṣ "otre di pelle" :
Sanscrito meṣa "ariete"

Esistono anche alcune corrispondenze sorprendenti con il materiale lessicale para-Munda, con ogni probabilità dovute a prestiti remoti. 

Burushaski γarqas "lucertola" : Sanscrito karkoṭaka "demone
    serpente"
Burushaski γoro "pietre" : Sanscrito śarkara "ciottolo, sassolino;
    sabbia" (śar- è un prefisso para-Munda)
Burushaski kilāy "bevanda dolce" : Sanscrito kīlāla "colostro;
    bevanda dolce"

In un caso abbiamo addirittura una corrispondenza con un vocabolo sanscrito attribuito al dravidico:

Burushaski śon "cieco" : Sanscrito kāṇa "guercio, monocolo"

L'etimologia dravidica della parola sanscrita per "monocolo" non è delle più convincenti, a causa di difficoltà semantiche (è confrontata con il Tamil kaṇ "occhio", kāṇ "vedere"), cosicché potremmo in realtà essere di fronte a un altro termine para-Munda, passato in Burushaski come prestito in epoca assai remota.

Quanto esposto è soltanto un riassunto sintetico della questione dei sostrati nel sanscrito vedico e post-vedico. Ci sono molti argomenti che non possiamo trattare in questa sede per mancanza di spazio e la cui trattazione siamo costretti a rimandare. Una cosa è certa: orientarsi in un simile ginepraio è tutto fuorché facile.