lunedì 18 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI ATKINS

L. Patrick Atkins è l'autore della tesi Phonetic Descriptions of Glossolalia (Descrizioni fonetiche della glossolalia), consultabile e scaricabile al seguente link:


Titolo della tesi:
Phonetic Descriptions of Glossolalia
Studente: L. Patrick Atkins, M.A.
Università: George Mason University, Fairfax (VA)
Anno: 2014
Relatore della tesi: Dr. Steven H. Weinberger
Lingua originale: Inglese


Questo è l'indice della tesi di Atkins:

TABLE OF CONTENTS

List of Tables ... v
List of Figures ... vi
Abstract ... vii
1. Introduction ... 1
2. Review of the Literature ... 10
3. Methodology ... 17
4. Data & Analysis ... 23
5. Discussion ... 35
Appendix A ... 42
Appendix B ... 44
References ... 47


LIST OF TABLES

1. Universals from Maddieson, 1986 ... 8
2. Observations from Goodman, 1972 ... 13
3. The Subjects at a glance ... 22
4. Phonetic Category Frequencies (% of Consonants) in
    Glossolalia Data ... 37


LIST OF FIGURES

1. IPA Consonant Chart for English ... 24
2. IPA Vowel Chart for English ... 24
3. Charlie’s Consonants ... 25
4. Charlie’s Vowels ... 26
5. Jill’s Consonants ... 27
6. Jill’s Vowels ... 27
7. Karen’s Consonants ... 28
8. Karen’s Vowels ... 29
9. Vowels: Glossolalia v. Maddieson ... 34
10. English Consonant Frequency Ranking from Mines, et al., 1978
    ... 36


DESCRIZIONI FONETICHE DELLA GLOSSOLALIA

"Questo articolo descrive foneticamente la parlata glossolalica di tre parlanti di madrelingua inglese. I soggetti sono stati intervistati per informazioni biografiche e glossolalie registrate. Dopo aver trascritto i discorsi coi simboli dell'alfabeto fonetico internazionale, gli inventari dei segmenti sono stati generati per ognuno dei campioni dei soggetti, e i segmenti di glossolalia asono stati descritti alla luce di universali fonologici. Questo studio conclude che gli universali linguistici influenzano la glossolalia e che i segmenti del discorso di un glossolalico sono un sottoinsieme dei segmenti della sua lingua nativa. Queste conclusioni hanno particolari implicazioni per la potenza degli universali fonologici come anche per ulteriori studi sulla glossolalia."

"Ogni parlante glossolalico è un'isola, con una propria lingua divina, nota soltanto a lui e priva di relazioni con tutte le altre lingue divine che sono state rivelate al mondo fin dall'inizio dei tempi. Questo è il dogma fondante degli studiosi dei fenomeni glossolalici. Un dogma che io sento di dover sfidare. Non esistono lingue davvero isolate. Non esistono lingue monadiche, fatte per descrivere un mondo privo di qualsiasi contatto con l'esterno." 
 
Innanzitutto l'autore fa alcune importanti precisazioni sulla parola glossolalia, sul suo uso e sulla sua storia. Non si tratta di un termine troppo antico, com'è facile immaginare: il suo conio risale alla seconda metà del XIX secolo ed è opera dell'ecclesiastico anglicano Frederic Farrar. Nella sua opera Life and Work of St. Paul (1879), egli ha descritto come glossolalia "quei soliloqui di emozione estatica spirituale" ("those soliloquies of ecstatic spiritual emotion"). Immagino che il testo non sia mai stato tradotto in italiano e non ho la benché minima idea di quante edizioni abbia avuto, in ogni caso sappiamo che la frase citata sui soliloqui spirituali si trova a pagina 52 dell'originale. A partire da Farrar, si è fatto un gran parlare di glossolalia e il mondo accademico ha usato tale termine per descrivere il fenomeno delle pronunce dirette dallo Spirito e prive di qualsiasi corrispondenza con lingue usate dal genere umano. Dal punto di vista fonologico, la glossolalia condivide con il linguaggio ordinario alcune caratteristiche di base, mancando tuttavia di parametri chiari e definibili di sintassi, semantica e proprietà comunicative. In realtà questo Farrar sembra aver avuto conoscenze scritturali abbastanza tenui. La locuzione "parlare in lingue" si trova negli Atti degli Apostoli (Atti 2, 1-13). I dodici Apostoli, riuniti dopo l'Ascensione di Cristo, udirono un improvviso suono dal cielo, simile a quello di un forte vento, che riempì la casa ove erano seduti. Apparvero dunque lingue di fuoco che si posarono su ognuno degli Apostoli, che furono pieni dello Spirito Santo, così si misero a parlare in altre lingue, dato che lo Spirito aveva dato loro la pronuncia. Quindi cominciarono a predicare a una folla di genti, e ognuno li udì parlare nella propria lingua nativa, come si legge in Atti 2, 8-11: "Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio." Ne possiamo dedurre che gli Apostoli non operarono affatto un miracolo di glossolalia, semmai un miracolo di xenoglossia, dato che parlarono in lingue esistenti e utilizzate da popoli di gente dotata di un corpo di carne, sangue e ossa. Non credo che ci sia bisogno di un eccelso grecista per comprendere che glossolalia è una parola formata male, come molte parole tipiche della nostra epoca (alcuni esempi: pedofilia, omofobia, etc.).
 
Per trovare un riferimento al dono di parlare lingue sconosciute dobbiamo andare a 1 Corinzi 14. Va però fatto notare una cosa estremamente importante: l'Apostolo reputa necessario che un discorso glossolalico proferito da qualcuno nell'Assemblea, sia tradotto prontamente da qualcun altro. Se non c'è traduzione possibile per le parole di qualcuno, la raccomandazione è che questi si astenga dal parlare nell'Assemblea, come scritto in 1 Corinzi 14, 29. Inoltre leggiamo in 1 Corinzi 14, 9 quanto segue: "Così anche voi, se con la lingua non proferite un discorso comprensibile, come si capirà quello che dite? Parlerete al vento." Tutto ciò è in assoluta contraddizione con la pratica glossolalica da parte dei Pentecostali e dei Carismatici, che insistono sull'assoluta intraducibilità dei loro interventi proferiti in lingue sconosciute. La cosa non deve stupire più di tanto. Sono sorte in numero immenso Chiese che sostengono dottrine e pratiche in contraddizione stridente con quanto si legge nelle Scritture. Se non ci sono confessioni cristiane che danno grande valore all'incesto, all'orgia e alla sodomia è soltanto perché nella competizione interreligiosa hanno perso la battaglia per la sopravvivenza, finendo annientate sul nascere da congregazioni più numerose, potenti e aggressive. Quando invece contenuti aberranti come l'adorazione di idoli e feticci riescono a passare per "devozione popolare", nessuno insorge, nesusno dice nulla: l'inveterata incorporazione dell'idolatria e del feticismo più crasso nella Chiesa Romana è un esempio lampante. 
 
Lo studio di Atkins si incentra su alcune domande essenziali:   
 
1) Gli universali fonologici che governano i segmenti del linguaggio umano ordinario limitano anche i segmenti e gli inventari fonemici delle parlate glossolaliche?
2) Esistono esempi in comune, relativamente ai segmenti, tra campioni distinti di glossolalia? 
3) Emerge qualche schema comune a campioni distinti di glossolalia?  

La mia risposta al primo degli interrogativi di Atkins è senz'altro negativa. Le limitazioni fonotattiche dei linguaggi glossolalici sono in genere profondamente diverse da quelle della maggior parte dei linguaggi reali. Si notano sproporzioni impressionanti negli inventari dei fonemi (o meglio delle unità fonetiche, visto che non sappiamo nulla sul significato delle parole e su eventuali coppie minime). Sia la seconda che la terza domanda dell'autore sembrano invece avere risposta positiva, anche se sono necessari studi più approfonditi per comprendere le ragioni di ciò che mi capita di rilevare. Osservando con attenzione varie produzioni glossolaliche di persone diverse, come quelle esposte nella presente tesi, ho la netta impressione che si tratti di lingue simili tra loro e con caratteristiche fonotattiche quasi identiche. Anche se a quanto pare sono pochi, esistono poi glossolalici anomali come il sottoscritto, le cui produzioni sono ben diverse da quelle dei Pentecostali e dei Carismatici.  

L'autore ha selezionato il suo gruppo di partecipanti allo studio in base ai seguenti requisiti: 
 
i) Madrelingua inglese; 
ii) Età minima 18 anni; 
iii) Consenso all'audioregistrazione di episodi glossolalici. 
 
Per ognuno è stato registrato un saggio di glossolalia della durata di tre minuti primi. Tutti gli intervistati hanno dichiarato di possedere il controllo della loro capacità, essendo in grado di iniziare e di interrompere a piacimento una preghiera espressa col "dono delle lingue". Da ciascun saggio di glossolalia è stato raccolto il testo contenuto in un minuto primo di registrazione, in genere nel mezzo; non è chiaro se le restanti porzioni dei testi documentati siano state conservate oppure cancellate. Questo testo così ottenuto è stato poi diviso in sequenze articolate in una singola esalazione (i cosiddetti breath groups, alla lettera "gruppi di respiro") e quindi trascritto in caratteri fonetici IPA. La metodologia di segmentazione in breath groups è stata usata anche da Motley e da Samarin (non Samarian, come spesso è riporta erroneamente nella tesi).

Questa modalità di raccolta dei testi glossolalici mi lascia piuttosto perplesso e mi sembra francamente poco scientifica. Volendo indagare il fenomeno, sarebbe stato dovere di uno studioso accurato raccogliere testi più estesi e studiarli in dettaglio con la massima attenzione. Forse alla base di questa scelta c'è una considerazione pragmatica: dato che i testi glossolalici raccolti non hanno traduzione possibile, ogni loro segmento vale quanto qualsiasi altro e in buona sostanza si può selezionarne qualcuno a caso, gettando il resto. 

I soggetti intervistati sono stati ora della fine soltanto tre. I loro veri nomi sono stati cambiati dallo stesso Atkins per via della normativa sulla privacy. Un campione modesto, non ci sono dubbi. Questi sono alcuni dati salienti: 
a) Il primo soggetto è una donna denominata Jill, nata nel 1942 a Blue Ridge nella Virginia sudoccidentale. 
b) Il secondo soggetto è un uomo denominato Charlie, marito di Jill, nato nel 1940 a Roanoke, in Virginia. 
c) Il terzo soggetto è una donna denominata Karen, nata nel 1972 a Danville, in Pennsylvania, ma residente in Virginia settentrionale all'epoca dello studio. Non sembra avere alcun legame di parentela o di conoscenza con i primi due soggetti, sempre che la cosa non sia stata omessa. 
 
Sono state aggiunte informazioni abbastanza dettagliate sulle insignificanti vite di questi tre individui (circostanze delle loro sventurate nascite, matrimoni e altre fonti di afflizione). Ritengo tuttavia importante far notare che l'autore della tesi afferma queste cose: i soggetti denominati Jill e Charlie non sono mai stati esposti ad alcuna lingua diversa dal loro nativo inglese d'America. Non sanno nulla di altri idiomi, non sospettano nemmeno che esistano suoni diversi da quelli articolati dalle loro gole. Pensano che in tutto l'Universo si parli solo e soltanto l'inglese d'America. Non sono nemmeno informati della stessa esistenza della lingua latina e della lingua greca. La loro ignoranza sul mondo e sulla storia sembra essere abissale, in fondo sono tipici campagnoli americani vissuti sempre in un contesto impregnato di religiosità biblica. Per contro, Karen ha passato la sua vita a praticare lingue diverse dalla propria. Ha appreso a scuola lo spagnolo e si è dilettata con un gran numero di altre lingue: italiano, cinese mandarino, tedesco, greco antico, ebraico biblico e moderno. Atkins non ci dice quale sia stato il profitto degli studi di Karen, se abbia poi imparato davvero qualcosa o se la sua massima capacità sia quella di farfugliare qualche sillaba dalla fonetica americanizzata. Gli anni di pratica glossolalica sono più di 30 sia per Jill che per Charlie, soltanto 16 per Karen. Ognuno di questi tre soggetti considera le proprie produzioni glossolaliche come una lingua personale usata nella preghiera per una maggior vicinanza allo Spirito di Dio.        

Si converrà che includere due membri della stessa famiglia come Jill e Charlie non sia una scelta molto logica: se un uomo ha intimità con una donna nel matrimonio, condividerà con lei non soltanto lo sperma ma anche i pensieri. Non siamo certi che le glossolalie di un uomo e di una donna tra loro sposati possano definirsi davvero tra loro indipendenti. Se Jill e Charlie sono così gumpescamente ingenui da credere che si parlasse l'inglese americano persino alla corte del Re Sole, Karen non è certo linguisticamente vergine. In ogni caso, non si può dire che il campione di intervistati sia significativo e sufficientemente esteso. 
 
Atkins ha studiato nel dettaglio la fonologia delle tre glossolalie raccolte, confrontandole innanzitutto con gli universali fonologici rintracciati nelle lingue ordinarie. Si definisce universale fonologico una tendenza comune presente nei sistemi fonologici di molte lingue. Molti universali fonologici si fondano su princìpi di simmetria fonologica. Una definizione abbastanza sfumata, come si può constatare, che lascia ampio spazio ad eccezioni: proprio per questo l'uso stesso della parola "universale" in un simile contesto potrebbe essere considerato ingannevole. Così si afferma che sistemi fonologici che non rispettano gli universali sono possibili, anche se improbabili. Evidentemente nessun linguista pieno di fede in questo concetto fallace ha mai studiato la storia della lingua basca. L'ipotesi di Atkins si fonda sulla possibilità di estendere certi universali fonologici alla glossolalia. Il suo ragionamento è molto semplice, lo capirebbe anche Forrest Gump. Così come è stato possibile tracciare gli universali linguistici in realtà sfumate come le lingue creole, deve essere possibile farlo anche con le glossolalie. Forse sfugge una cosa: le lingue creole non vengono dal nulla, è naturale che si sviluppino a partire dalle lingue che hanno loro dato origine. Il riferimento agli universali fonologici considerati per il confronto con le tre glossolalie è lo studio di Maddieson (1986), con notifiche del numero di eccezioni riscontrate nel database UPSID (UCLA Phonological Segment Inventory Database) dell'Institut für Phonetik dell'Università di Francoforte. Questi sono tali universali, mostrati in Tabella 1 (pag. 8):   

1) /k/ non ricorre senza /t/ (un'eccezione nel db UPSID);
2) /p/ non ricorre senza /k/ (quattro eccezioni nel db UPSID);
3) le consonanti nasali non ricorrono se mancano le occlusive con lo stesso punto di articolazione (cinque eccezioni nel db UPSID); 
4) le vocali medie non ricorrono se mancano le vocali alte e quelle basse (due eccezioni nel db UPSID);
5) le vocali anteriori arrotondate non ricorrono se mancano vocali anteriori non arrotondate della stessa altezza (due eccezioni nel db UPSID).
 
Rimando alla tesi di Atkins per una dettagliata analisi degli inventari fonologici delle tre glossolalie considerate. Come fatto notare dallo stesso Maddieson, le glossolalie in genere favoriscono la semplicità anziché la complessità. Già avevo notato che mancano le consonanti finali, mancano i gruppi consonantici complessi in tutte le posizioni, le sillabe chiuse sono poche e semplici. Maddieson e Atkins confermano tutto ciò: è estremamente improbabile che l'inventario fonologico di una glossolalia contenga abbastanza consonanti da potersi definire complesso. In tutti i casi le consonanti più ricorrenti sono le occlusive, com'è illustrato nella Tabella 4 (pag. 37). 
 
Questa è la situazione del sistema consonantico dell'inglese, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 17
Nasali: 11
Fricative: 15

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Charlie, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 54
Nasali: 25
Fricative: 7

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Jill, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 51
Nasali: 18
Fricative: 14 

Questa è la situazione del sistema consonantico della glossolalia di Karen, data in categorie di frequenza fonetica (% di consonanti):  
Occlusive: 35
Nasali: 18
Fricative: 26 
 
Riporto alcuni estratti delle glossolalie (pagg. 44-46). Immagino che negli States ci siano numerosi individui convinti che le glossolalie siano coperte dai diritti d'autore e che non possano essere nemmeno citate per motivi di conoscenza. Visto che sono un gentiluomo, posso soltanto suggerire loro di parlarne direttamente con Dio. 
 
Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Charlie: 
 
Segmento 1:
   [pɑmɑnioʊkoʊtʌmlɑmᵇosikədada]
Segmento 2:
   [kɑmədioʊkoʊtʌnᵐlɑmᵇəsikədodoʊ]

Segmento 3:
   [ɹɑməsiːtoʊdiataʰitəmənononiɑndəlakita]

Segmento 4:
   [tɑmədioʊkoʊtʌmlɑmᵇəsikoʊtoʊdoʊdiɑndələkitatada]

Segmento 5:
   [jɑmədoʊdoʊdiɑndɑləkiːta]
Segmento 6:
   [vididioʊtoʊləoʊməsikaˈitɑdadada]
Segmento 7:
   [wɑmədoʊdoʊdiɑndələkiːta]

Segmento 8:
   [oʊkənoʊibɑdədadawɑmənoʊdoʊɾiɑndəlakjata]
Segmento 9:
   [zibədodoʊdəlẽjəkoʊtomjɑndadadadioʊndoʊlɑməsikəbɑɾoʊ]

Segmento 10:
   [jɑkətomlɑməsikədoʊdoʊdiɑndəlɑkiː]

Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Jill: 

Segmento 1:
   [hɑʃɑtəɾomɑʃiəndəɾəba]
Segmento 2:
   [hɑʃɑtədəməkədiətəɾoblesenekoɾeɑntaɪ]

Segmento 3:
   [oʊwəʃondəɾəɑŋɡiətəɾe]

Segmento 4:
   [tɛleotərənɑnebokodedeotərobatedɛkɔɹsətadəbə]
Segmento 5:
   [ɑŋkɔɹʃe-əkwɛʃiɑtəɾəmɑʃiɑndeɪ]
Segmento 6:
   [ɑʃɑtədəməkəʃiɛteɪdeɪkɛteɪɑtɑ]
Segmento 7:
   [ɑʃɑɾəkəmɑʃiɑtəɾəkoʊmədɪdijɛtɪdəkoʊmʊsədeɑteɪ]

Segmento 8:
   [eʃenənaməkɑdeɑtərokoleɪːbiɛndo]
Segmento 9:
   [hɑŋkiɑtəɾokleʃɛtɑdəmɑkədiɑndəɾobadada]

Segmento 10:
  [hɑⁿbiɛte-eɪkimiətəɾobɑziɛtəɾokoʊmədiɑntoʊ]

Questi sono i primi 10 segmenti glossolalici prodotti da Karen: 
 
Segmento 1:
  [ɑijəkətioʊsoʊʃəndatiəmɔsoʊʃənda]
Segmento 2:
  [ɑijəkotijəmɔsəʃəndadətijəməsəʃəndəteɔfʊʃəndo]
Segmento 3:
  [ɑijokoʊtəjuməsəʃəndədədeɪjɑjokʊʃətɑtədijɑsʊʃəndojomɑ]
Segmento 4:
  [ɑijəkɑtʃiosoʃəndadədijɑjosoʃəndɑfosombɑtiɑ]
Segmento 5:
  [ɑijəkətijosoʃəndɑdedijɑʃodʒujɑmovɑʃɪntɪdiː]
Segmento 6:
  [ɑijəkotʃijosəʃəndadədiɑjofəʃəndoʊjəmɑsəʃɑ]
Segmento 7:
  [ɑijokotʃijomɑtˢəʒəsəʃədədadiasoʊsoʊmɑtiːhɑː]
Segmento 8:
  [ɑijəfoʊʃəndədədiɑsoʃəndoijəmotiəmɑː]
Segmento 9:
  [ɑijokontjumɑː]
Segmento 10:
  [ɑijofoʃontiː]
 
Rilevo un'interessante contraddizione. Da una parte Atkins afferma che non di sono dittonghi nel campione raccolto da Charlie ("Furthermore, Charlie's sample contains no diphthongs", pag. 26). Quando passiamo ad analizzare le sequenze emesse da Charlie e riportate nell'Appendice B (pag.), scopriamo che vi ricorre in modo ossessivo il dittongo [oʊ]. 
 
Procedo all'analisi dei morfi, che a quanto mi consta non è stata fatta da Atkins. 

Si notano elementi comuni, che si ripetono ossessivamente in una stessa glossolalia e che a volte sembrano riecheggiare anche in glossolalie diverse. Non mi pare che finora si siano fatti avanti studiosi animati da questa consapevolezza. 
 
Nella glossolalia di Charlie si nota una certa libertà nelle sillabe iniziali dei segmenti, mentre le sillabe finali sono tra loro simili: ne ricorrono in sostanza due tipi soltanto. I morfi sono i seguenti: 

1) [-diɑndələkiːta] / [-niɑndələkita] / [-diɑndələkitatada] / [-ɾiɑndəlakjata] / [-diɑndəlɑki:]

Ne deduco che [-d-], [-n-] e [-ɾ-] sono allofoni di uno stesso fonema, almeno in alcuni contesti. Deduco anche l'esistenza di un possibile morfema [-ta] / [-da], la cui funzione ignoriamo. 

2) [-sikədada] / [-sikədodoʊ] / [-sikaˈitɑdadada] / [-sikəbɑɾoʊ]
 
Ne deduco che il dittongo [oʊ] potrebbe derivare da un ipotetico [*aʊ] o essere un allofono di [a], anche se non sono chiare le condizioni in cui ricorre. 
 
Nella glossolalia di Jill ricorre il seguente morfo complesso, che compare all'inizio di un segmento:  

[hɑʃɑtəɾomɑ-] / [hɑʃɑtədəmə-] / [ɑʃɑtədəmə-] / [ɑʃɑɾəkəmɑ-]  

Quasi certamente si tratta di un composto: un elemento [hɑʃɑ-] / [ɑʃɑ-] e un elemento [-təɾomɑ-] / [-tədəmə-] / [-ɾəkəmɑ-]. Studiare a fondo queste alternanze potrebbe permettere di distinguere i fonemi dagli allofono. Anche qui, come nella glossolalia di Charlie, sembra proprio che [-ɾ-] sia un allofono di [-t-] / [-d-]

Un morfo ricorrente all'interno dei segmenti è questo:

[-ʃiəndə-] / [-ʃondə-] / [-ʃiɑtə-] 
 
Credo che si tratti di qualcosa di molto importante, perché qualcosa di molto simile ricorre nella glossolalia di Karen (vedi nel seguito). Come già fatto notare, Charlie e Jill sono coniugi, mentre Karen non dovrebbe avere relazione con loro.
 
Nella glossolalia di Karen si nota che tutti i segmenti iniziano in modo molto simile, con un elemento [ɑijəkə-] / [ɑijəko-] / [ɑijokoʊ-] / [ɑijoko-] / [ɑijo-]. E se significasse proprio "Dio" o "Spirito"? Non ne abbiamo idea. Potrebbe essere invece un verbo, qualcosa come "Ti invoco" e via discorrendo. Ipotizzo che le forme ridotte (senza -k-), come [ɑijo-] e [ɑijə-] siano dovute alla presenza di una fricativa [-f-] nella sillaba seguente, come se si fosse prodotta una semplificazione automatica di un gruppo consonantico -*kf-. Si nota subito un elemento che ricorre con particolare insistenza: [-ʃənda]  / [-ʃənda-] / [-ʃəndɑ-] / [-ʃəndə-] / [-ʃəndo-] / [-ʃəndo]. Senza dubbio deve essere un morfo molto importante, peccato che non abbiamo idea del suo significato o della sua funzione: potrebbe benissimo essere un elemento grammaticale. La sua importanza è tale che ricorre anche nella glossolalia di Jill (vedi sopra). Prestiti tra glossolalie di persone che non dovrebbero conoscersi? Wanderwörter glossolaliche? Ci vuole ben altro che gli studi reperibili in letteratura per capirci qualcosa!  

Sono consapevole del fa[tto che la glossolalia è descritta come forma di linguaggio non comucativo (Goodman, 2969). A quanto è stato appurato dagli studiosi, non si tratta di un fenomeno relativo alla comunicazione. Resta tuttavia il fatto che se uno parla per ore di Dio, dovrà ben sapere qual è la parola usata per definire l'Essere oggetto di tanta adorazione. Invece niente. Non ne emerge nulla di utile, nulla che possa definirsi certo. Sfido i Pentecostali e i Carismatici di tutto il pianeta a fornirmi la pronuncia del nome di Dio nelle loro rispettive glossolalie. Sono certo che nessuno di loro sarà capace di farlo. Quindi a cosa varrebbe mai tutta la loro architettura pseudolinguistica? Non soltanto, come dice l'Apostolo, il loro parlare sarebbe fiato sprecato nel vento: conterrebbe un gravissimo vulnus. Se Dio parlasse per bocca di una persona e non le comunicasse in modo chiaro ed inequivocabile il senso di ogni parola ispirata, il suo stesso parlare sarebbe assolutamente vano. Questo contraddirebbe la definizione stessa di Cristianesimo. Se tu preghi e ti senti vicino allo Spirito di Dio, non puoi articolare sillabe di cui ignori il significato. Se dunque un folletto bizzarro si insinuasse in te e insufflasse nella tua bocca bestemmie atroci, non te ne accorgeresti nemmeno, crederesti di essere in comunione con lo Spirito di Dio, a meno che qualcun altro (ispirato da chi?) non si prendesse la briga di farti sapere (su quali basi?) che stai pronunciando parole blasfeme. Eppure la glossolalia religiosa è di un estremo interesse e continuerò a studiarla in modo approfondito. 
 
Un diverso tipo di glossolalia
 
Come diceva Bertrand Russell, ci sono due tipi di santi: i primi sono quelli che mangiano poco e vedono il Cielo, mentre i secondi sono quelli che bevono molto e vedono i serpenti. Sono fiero di appartenere ai secondi, per l'Eternità. Quelli che mangiano poco e vedono il Cielo balbettano così quando sono posseduti da quello che credono essere lo Spirito: "SHAKA-SHAKA-SHAKA BARA-BARA-BARA BAKA-BAKA-BAKA". E hanno anche il coraggio di definire i loro balbettamenti come "ineffabili". Io, che bevo molto e vedo i serpenti, articolo le mie glossolalie in un modo ben più complesso: "MRANGDAR NRELDZIMR DRAUGRMAAR MLENZHIRM STTAUR'M STTOREDALS MLANDRANZHIMZD R'BELLIR GDORDZEM STORBBOLD'MS BBARMAUDZIR STTORNR'M PPAMARAAMS NDORNBBOOM BDIIRM MANDARAUMABDAAUR'M NDAURU TTEERIMAH UNGDOH UNGDOH'S BBANDARANDAMS KHTOOLRDZD SSEBIR'M OGHDAMGD'S HURKHMU BDELRDZIROHT NUMENOMDZD STTEBOGAMST BBOMDZIROOMGH TTENEDZIRM MR'TOKKNA NDZEEMDARKKH AUMEDZORZH KKAMAHH". Ho inoltre qualche idea del significato di molte delle parole da me pronunciate (o meglio, scagliate): le sequenze esalate sono tutte maledizioni atroci contro l'Artefice di questo Universo abominevole! Coloro che mangiano poco e vedono il Cielo sono pecore lobotomizzate e belano, il mio invece è simile al ringhio di GMORK, in cui riverbera la Luce Nera dell'Odio Eterno. C'è solo un piccolo problema: quando si diventa consapevoli del significato di una glossolalia, qualunque sia la sua natura, questa diventa a tutti gli effetti una lingua vera e propria, una conlang glossolalica. Questo è quanto.

venerdì 15 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI VALQUI CULQUI

Reputo di estemo interesse la tesi di laurea di Jairo Valqui Culqui (Universidad Nacional Mayor de San Marco, Lima, Perú - Facultad de letras y ciencias humanas. E.A.P. de lingüística): Reconstrucción de la lengua Chacha mediante un estudio toponímico en el distrito de la Jalca Grande (Chachapoyas-Amazonas) - Lima, 2004. Il lavoro in questione, disponibile nel Web in formato digitale, è una sintesi degli sforzi di ricostruire la lingua degli antichi Chacha, un tempo parlata nel distretto di Chachapoyas. La tesi di Valqui Culqui è ospitata sul sito www.researchgate.net, ove si può consultare e scaricare in formato pdf tramite questo link:


Esiste poi una pagina dedicata all'opera in analisi su Cybertesis, un utile repositorio di tesi in formato digitale dell'università peruviana. Questo è il link: 


Questa è la sinossi tradotta in italiano: 
 
"Alla fine del XV secolo della nostra Era, più o meno nel 1 nel 1470, l'espansione dell'Impero Incaico giunse fino alle terre dei Chachapoya. Il gruppo culturale dei Chachapoua si sottometteva al comando di Tupac Inca Yupanqui a una nuova forma sociale, politica e culturale di interpretazione del mondo, e in questa stessa linea, sessant'anni più tardi, l'incursione di un'altra razionalità, quella "spagnola", segnava la sua fine culturale. Le vestigia di questo gruppo umano appaiono in modo evidente in numerosi resti archeologici sono perdurati nel tempo negli attuali dipartimenti di La Libertad, San Martín e Amazonas nel nordest peruviano: Cuelap, El Gran Pajatén e La Laguna de Las Momias sono tra i più conosciuti. In quantità minore, con il progresso della scienza, sono state trovate nuove vestigia che ampliano ciò che è noto finora sui Chacha: la bioarcheologia e la linguistica forniscono i rispettivi contributi. Quest'ultimo è l'approccio adottato dalla presente tesi, in cui viene prima messo in discussione il fenomeno linguistico stesso, sulla base dei dati che finora si avevano di questa lingua, di quali altri dati in più si potrebbero ottenere, di come ottenerli, etc. Per rispondere a queste domande, è stato realizzato un tracciamento storico e linguistico delle fonti scritte che hanno fornito supporto e struttura teorica a questa ricerca; successivamente uno studio toponomastico nel distretto di La Jalca Grande a Chachapoyas (Amazonas) ha fornito supporto all'analisi diacronica del fenomeno linguistico. Il nostro obiettivo: "Migliorare le informazioni linguistiche sulla lingua Chacha e ricostruire le caratteristiche grammaticali di questa lingua ”. Il metodo che è stato applicato è sia deduttivo che induttivo. La deduzione negli studi bibliografici, l'induzione nell'analisi e la sintesi di fonti orali. I risultati complessivi rivelano un panorama storico-linguistico del Chacha: i gruppi etnici Chacha hanno parlato lo stesso linguaggio e la sua improvvisa estinzione è stata principalmente il prodotto della sovrapposizione di altri popoli. I risultati specifici ci danno alcune caratteristiche della loro grammatica a livello morfologico, morfosintattico e fonologico. Un piccolo vocabolario di affiliazione Chacha è aggiunto come contributo linguistico e antropologico alla conoscenza dei Chachapoya." 
 
Questo è l'indice della tesi: 

RESUMEN

Capítulo I    
INTRODUCCIÓN

1.1 Los Chachapoya
1.2 La lengua chacha
1.3 Planteamiento del problema y los antecedentes
1.4 Justificación

Capítulo II    
MARCO TEÓRICO

2.1 La Toponimia
2.3 Clases de motivos para nombrar
2.4 Análisis lingüístico de los topónimos
2.5 Clasificación de los topónimos
2.6 Principios de denominación toponomástica
2.7 Definiciones

Capítulo III
DISEÑO METODOLÓGICO

3.1 Objetivos
3.2 Hipótesis
3.3 Delimitación de la investigación
3.4 Metodología de la recolección de datos
3.5 Metodología del análisis de los datos

Capítulo IV    
TOPONIMIA EN LA JALCA GRANDE

4.1 La Jalca Grande
4.2 División política
4.3 Informaciones lingüísticas
4.4 Corpus de los topónimos obtenidos
4.5 Mapa distrital

Capítulo V    
ANÁLISIS Y RESULTADOS

5.1 Análisis toponímico
5.2 Análisis lingüístico
5.3 El topónimo Suta
5.4 La terminación toponímica -ran
5.5 Topónimos híbridos chacha-castellano

Capítulo VI    
CONCLUSIONES Y RECOMENDACIONES

6.1 Reconstrucción de la lengua chacha
6.2 Historia lingüística de la toponimia chacha
6.3 Filiación lingüística
6.4 Recomendaciones

BIBLIOGRAFÍA

ANEXOS


La scomparsa della lingua dei Chacha 
 
Molte lingue peruviane preincaiche sono state documentate più o meno bene. Per esempio la lingua dei Mochica, che continuò a essere parlata in epoca coloniale, è descritta da una grammatica con annesso vocabolario. I cronisti e gli storici ci menzionano le lingue parlate in un dato territorio, talvolta fornendo qualche informazione. Per quanto riguarda le genti della regione di Chachapoyas, le fonti storiche non ci hanno lasciato alcuna informazione su una lingua peculiare, insistendo molto sul fatto che i nativi di quella regione parlavano la lingua dell'Inca, ossia il Quechua. Possiamo quindi dedurre che la lingua originale dei Chacha si sia estinta già prima dell'arrivo degli Spagnoli in Perù. Sulle dinamiche dei processi che hanno portato allo spegnimento tanto precoce di tale antico idioma non sappiano tuttavia alcunché. Potrebbero anche essere sopravvissute sacche di parlanti per molto tempo, per non parlare di semiparlanti più o meno isolati: non sarebbe un fenomeno nuovo in una terra di immensa molteplicità linguistica come il Sudamerica.  

Etimologia di Chachapoya 
 
Ammesso che davvero Chacha e Chachapoya siano denominazioni endoetniche, dirò subito che la loro origine è incerta. L'interpretazione per me più credibile è quella fornita da Padre Blas Valera Pérez, un meticcio nato nel 1545 a Levanto (secondo altri nel 1546), nel distretto di Chachapoyas. Secondo la sua traduzione, Chachapoya significa "luogo dei maschi forti". Non è incompatibile con quanto sostenuto da Ernst Wilhelm Middendorf, che ha ricondotto queste denominazioni all'Aymará chacha "uomo", pur spiegando assurdamente -poya come una parola Quechua per "nebbiolina". Purtroppo l'etimologia che ha acquisito più credito è sicuramente falsa già soltanto per motivi fonetici, oltre che inverosimile per motivi semantici, partendo dall'assurda idea che Chacha sia una corruzione della parola Quechua sacha "albero". Ne esce così che Chachapoya sarebbe una ridicola "nebbiolina di alberi". Oltre al fatto che sacha "albero" non diventa affatto *chacha, la parola Quechua per indicare la nebbia o la nuvola non è *puya, bensì phuyu (puyu nelle varietà che non hanno occlusive aspirate). In Quechua la vocale finale è distintiva: non esiste alcuna alternanza tra -u e -a.   
 
Il Quechua di Chachapoyas 
 
Tra gli attuali discendenti dei Chachapoya è parlata una forma particolare di Quechua, che non distingue tra occlusive semplici, glottalizzate e aspirate, e che ha perso l'occlusiva uvulare /q/ pronunciandola come velare /k/. Si rilevano altre anomalie: l'accento cade quasi invariabilmente sulla prima sillaba e si hanno massicce cadute di vocali atone, tanto che si creano gruppi consonantici molto complessi. I dittonghi sono monottongati. Questi sono alcuni esempi riportati da Valqui Culqui con un'ortografia semplificata, in ultima analisi tratti da Gérald Taylor, Diccionario normalizado y comparativo quechua: Chachapolyas-Lamas (L'Harmattan, 1982)
 
was "casa" (< wasi)
ñuk "io" (< ñuka)
kēb "qui" (< kaypi)
omch(sh) "facendolo sudare" (< umpi-chi-shpa)*
kōkshk "ha visto" (< kawa-ku-shka)*
apōmtixk "al tirarlo su" (< apu-mu-tiy-ki-ka)**
kamsa "camicia" (< spagnolo camisa)
sintra "cintura" (< spagnolo cintura

*Voce raccolta a La Jalca 
**Voce raccolta a Olleros, immagino che l'autore abbia scritto erroneamente *apomtixa per un refuso.

Posso aggiungere altri esempi, possedendo il volume cartaceo di Taylor, dalla bella copertina color smeraldo: 

korna "corona" (< spagnolo corona)
runakna "uomini" (< runakuna)
yōr "sangue" (< yawar)
warmk "la donna" (< warmi-ka

Questa peculiarità fonetica è attribuita all'azione del sostrato pre-Quechua dei Chachapoya. Va però detto che tale azione di usura e di caduta delle vocali atone non si è esaurita nel tempo: non soltanto si è esercitata su prestiti dallo spagnolo, ma si riscontra almeno un caso particolarmente moderno, citato da Taylor: 
 
anilna "anilina" (< spagnolo anilina

Possiamo davvero spiegarci la cosa come l'effetto di una lingua scomparsa da secoli? Forse un caso bizzarro come quello di anilna si può comprendere a partire dall'analogia con corrispondenze come quella tra il Quechua kamsa e lo spagnolo camisa in parlanti bilingui, cosa che permette di applicare schemi fonetici fissi anche a neologismi. Tra l'altro questa varietà locale della lingua incaica è in forte declino fin dagli anni '50 dello scorso secolo. A quanto pare soltanto nel distretto di Conila, che si trova nella provincia di Luya, i bambini lo apprendono tuttora.  
 
Elementi di sostrato lessicale 
 
Come evidenziato dall'autore della tesi e dallo stesso Taylor, nel Quechua di Chachapoyas si trovano diversi elementi di sostrato lessicale, che nella maggior parte dei casi riguardano la flora e la fauna. Eccone un elenco:  
 
chep, una pianta locale 
gulgul, un tipo di albero 
kepkin, tipo di uccello
lop(e), un albero e del suo frutto  
luilip(e), un albero dai fiori gialli
llep, una pianta dai fiori rossi
solpe, uno strumento per caricare
supalín, pianta le cui foglie servono per spazzare 
shashkibo, una pianta (chiamata anche chimchango)*
talakua, delakua, gufo
tola, tipo di albero locale  
tonsho, tipo di albero dal tronco largo; tipo di pane di mais  
wisul, una pianta locale 
yul, tipo di albero locale

*In Quechua locale la pronuncia è /'ʃaʃkip/

A questi termini se ne possono aggiungere altri due:
 
márasun "molto"
paltay "zecca" 
 
Esistono poi alcune onomatopee: 
 
llip llip "sbattendo le palpebre"
llot llot "impronta di fango" 
ñup ñup "morbido"
soclón soclón "movimentato"
shec shec "movimentato" (in modo più forte rispetto a soclón soclón)
wip wip "movimento rapido"
 
Devo a questo punto riportare un fatto curioso e di una certa importanza. Una donna di Salta, in Argentina, è giunta fino a La Jalca, nella terra dei Chachapoya, alla ricerca della lingua dei suoi avi. Il suo nome è Katia Gibaja. Dopo aver soggiornato tra i nativi della remota regione peruviana, è tornata nella sua terra di origine portando con sé una raccolta di parole del Quechua dei Chacha, pensando ingenuamente che fosse la stessa cosa del Kakán, la lingua dei gloriosi Diaghiti. Ecco tre di queste glosse, che sono riuscito a reperire nel Web: 
 
lliunso "pretenzioso"
suta "puma" 
shushuma "stoffa" 
 
Sono davvero parole Chacha? Direi di sì. Certamente non appartengono al Kakán. Valqui Culqui ci riporta che Suta (scritto anche Çuta e addirittura Cuta) era un nome portato da numerosi notabili dei Chacha. Adesso sappiamo anche qual è il suo significato: "Puma". Si trova anche come elemento toponomastico. Riporto il link al quotidiano da cui ho tratto queste informazioni: 
 
 
Certo è deplorevole che notizie così importanti vadano disperse in questo modo. Immagino che il Sudamerica pulluli tuttora di tesori linguistici nascosti, peccato che non ci sia alcuna volontà di scoprirli. 

Elementi toponomastici 

Alfredo Torero ha individuato tre terminazioni presenti nei toponimi della regione Chacha: 

-MAL
-LAP 
-LON 

Taylor ne ha individuate quattro e propone traduzioni sulla base della natura dei luoghi: 

-MAL "pianura, pampa"
-GAT "acqua, fiume"
-LAP "fortezza, villaggio fortificato"
-HUALA "altura" 

Esiste una cordigliera chiamata HUALA HUALA. Un colle è chiamato SHUKAHUALA, e nel Quechua locale shuka indica un uccello rapace (in spagnolo gallinazo). I luoghi il cui nome termina in -LAP sono caratterizzati da rovine (esempi: CONÍLAPE, YÁLAPE, CUÉLAP, TÓLAP, etc.). In alcuni casi si riesce a dedurre il significato del toponimo. Così YULMAL contiene chiaramente il nome dell'albero yul, di cui abbiamo parlato più sopra: deve essere proprio la "Pianura dello Yul". TÓLAP(E) deriva dal nome dell'albero tola, di cui abbiamo parlato più sopra, e sta per *TOLA-LAP con aplologia: deve essere proprio il "Villaggio del Tola". I luoghi il cui nome termina in GAT, con le varianti GATE, GACHE, CACHE, GOTE e simili, sono fiumi, altri corsi d'acqua, valli o addirittura pozzi (esempi: SHÍNGACHE, GACHE, JAMINGATE, TÓNGATE, GOLLONGATE, PÉNGOTE, PÍCHCACH, etc.). Per l'elemento -LON non si ha finora alcuna proposta di traduzione, né mi sento capace di rimediare a questa carenza di idee. 
 
Si evidenzia con facilità un ulteriore elemento -OC, con la variante -UC, il cui significato dovrebbe essere "roccia rossiccia" o "collina di arenaria", considerata l'analisi della natura dei luoghi. Si noterà la sua presenza in GACHOC, che contiene come primo elemento la parola "acqua, fiume, etc." vista poco sopra: il significato del toponimo sarà dunque "Roccia rossiccia dell'acqua".  

Valqui Culqui elenca questi toponimi aggiungendovi utili informazioni; purtroppo la tesi in formato pdf non riconosce alcuni caratteri fonetici, così si hanno trascrizioni a prima vista illeggibili. In particolare il carattere č ( in ortografia IPA) è sostituito malamente con è, mentre altri caratteri sono sostituiti da uno spazio vuoto. Così CHÍMAL è trascritto foneticamente come [èímal]. Il lettore attento non si lascerà fuorviare da queste grafie difettose.

I cognomi Chacha 

Da documenti di area Chacha risalenti al XVI secolo, Jorge Zevallos Quiñones ha ricavato una lista di ben 645 cognomi preispanici che non sono compatibili con la fonotattica Quechua. Alcuni sono formati da una sola sillaba: 
 
CAM
CUEM
CUYP
CHON
DET
DOP
MOL
MUCH
NUE
NUN
OC
PUL
SUP
XIP
XUC
ZAC
YUS
YULL 

Come notato da Taylor, i cognomi con più di una sillaba sono formati dalla composizione di due o tre elementi monosillabici. In alcuni casi si ha reduplicazione di uno stesso elemento: 

ACAC
HUCHUC / HOCHOC
PISPIS
SAMSAM
SOLSOL / ZOLZOL

 
Non disponiamo di informazioni sul significato della maggior parte di questi cognomi; in un caso tuttavia siamo fortunati. Sappiamo infatti che OC (varianti OCC, HOC) è tradotto con "puma; orso"; la pronuncia è /oχ/. La tradizione vuole che coloro che portano il cognome in questione siano discendenti del puma, animale che è confuso con l'orso nonostante la grande diversità nell'aspetto. Dal momento che abbiamo acclarato la traduzione del nome SUTA con "puma", potrebbero esistere due spiegazioni di questa sinonimia: 
1) Il termine monosillabico OC potrebbe essere quello originale, mentre SUTA potrebbe essere un prestito;
2) Il termine monosillabico OC potrebbe essere un sostituto tabuistico di SUTA.
Le due ipotesi non si escludono affatto a vicenda. A sostegno dell'origine tabuistica di OC sta il fatto che lo stesso elemento è presente in molti toponimi col probabile senso di "roccia rossiccia". Se è così, si sarebbe avuto questo slittamento semantico: 
 
OC "rossiccio" => "roccia rossiccia"; "animale rossiccio" => "puma"
 
La confusione con l'orso potrebbe essere sopraggiunta in un secondo tempo, dopo l'estinzione della lingua Chacha, forse anche per assonanza col Quechua ukuku "orso". 
 
In molti casi i cognomi mostrano una struttura tipica dei toponimi, con le terminazioni -GAT, -MAL, -LAP, -OC. La loro natura è locativa: indicano provenienza da un dato luogo. Eccone alcuni esempi: 
 
COLLACOT 
GAMGACHE
GOCHEGAT
HUCHGAT
MUAGATE
MUCHAGACHE
POCHCATE
YANCOT 
 
CITIMAL
OLMAL
PAYMAL
PUYMAL
PUYMALLAP
SANACMAL
SICHMAL 
XAZMAL
 
CUELAP
CHIALAP
CHOCMALLAP
LIMMALLAP
SUALLAP
XUALLAP 

CATPUC
COPIOC
COPUC
CHUQUIPUC
GALOC
GALUC
GOPIOC
GUPIOC
GUPIUC
TÓNGOC
TOPIOC
ZALOC 

Si nota un cumulo di suffissi che ricorre in più casi: -MAL-LAP "villaggio fortificato della pianura". Noto che COLLACOT è formato a partire dal Quechua qolla "meridionale" (in genere riferito alle genti Aymará): deve significare "Acqua del meridionale". Decisamente anomalo è GOCHEGAT, in quanto contiene due varianti della stessa radice, come se fosse "Acqua del fiume". 
 
Un microcosmo linguistico perduto 
 
Credo che sia estremamente difficile per una persona della nostra epoca avere anche soltanto un'idea vaga di quale fosse la varietà delle lingue parlate nel Bacino del Marañón in epoca incaica e nel primo periodo coloniale. 

La lingua Copallin (Copallén)

Ci sono state tramandate soltanto quattro parole: 
 
quiet "acqua" (pron. /kjet/)
chumac "mais"
olaman "legna da ardere"
ismare "casa" 

Il nome dell'acqua mostra un'indubbia somiglianza con il termine Chacha -GAT.

La lingua Tabancale 

Ci sono state tramandate soltanto cinque parole: 

yema "acqua"
moa "mais"
oyme "legna da ardere"
lalaque "fuoco" (pron. /lalake/)
tie "casa" 

Questo materiale non corrisponde a nessuna lingua o famiglia linguistica nota: con ogni probabilità si tratta di una lingua isolata. Purtroppo esiste la possibilità concreta che non si riuscirà mai ad ottenere ulteriori informazioni. Noto in ogni caso che in Yanomami ayoman significa "acqua", mentre moa "mais" mostra una certa assonanza col nome che diamo al cereale e che deriva dal Taino (Arawak) mahís.  

La lingua Chirino 
 
Ci sono state tramandate soltanto quattro parole: 
 
yungo "acqua"
yugato "mais"
xumás "legna da ardere" (pron. /ʃu'mas/)
paxquiro "erba" (pron. /paʃ'kiro/

Secondo Alfredo Torero e Wilhelm Adelaar, il Chirino potrebbe essere imparentato col Candoshi (Shapra), una lingua isolata tuttora parlata. Altri studiosi sono scettici. Ritengo Adelaar molto valido e sono incline ad accettare le sue conclusioni, anche se mi riservo di approfondire l'argomento in altra sede.

La lingua Sácata 

Ci sono state tramandate soltanto tre parole: 

unga "acqua"
umague "mais" (pron. /umage/)
chichache "fuoco" (pron. /tʃitʃatʃe/

Potrebbe essere una lingua imparentata col Candoshi (la parola per dire "acqua" somiglia a quella del Chirino), ma sono state ipotizzate somiglianze con le lingue Arawak. Le evidenze sono insufficienti e tutto è molto confuso.
 
La lingua Bagua 

Ci sono state tramandate soltanto tre parole: 

tuna "acqua"
lancho "mais"
nacxé /nak'ʃe/ "vieni qui" 

La parola tuna "acqua" è sorprendente, dato che è tipica delle lingue Caribe. Sono ben poche le lingue non Caribe che l'hanno presa a prestito: 

Aguaruna: tuna "flusso d'acqua"
Huambisa: tuna "cascata"
Movima: toni "acqua" 

Le lingue Aguaruna (Akwajun) e Huambisa (Wampis) appartengono al ceppo Jívaro. La lingua Movima, parlata in Bolivia, è isolata e per giunta lontana da ogni possibile donatore Caribe conosciuto (ovviamente è possibile che ce ne siano di estinti e ignoti). 
 
Purtroppo non è possibile classificare il Bagua come una lingua Caribe, dato che le altre due glosse non collimano. La cosa più probabile è che tuna "acqua" sia un prestito da una lingua Caribe, come avvenuto in Jívaro e in Movima.  
 
Il nome Bagua del mais, che non è affatto ascrivibile al Caribe, presenta vaghe somiglianze in altre lingue: 

Bagua: lancho "mais"
Sechura: llumash "mais"
Copallín: chumac "mais"
Sácata: umague "mais" 

A partire da questi dati, si evince che la protoforma ricostruibile dovrebbe essere *CVmVkjV "mais", dove C- è una consonante laterale, con ogni probabilità una laterale sorda.  

Perdo Cieza de León (1512 - 1554) riporta in una sua cronaca un fatto assai curioso: le truppe ausiliarie Chachapoya in un'occasione avrebbero comunicato senza problemi con i Bagua, parlando fraternamente nello stesso idioma. Questo ha portato alcuni studiosi a credere che la lingua Chacha fosse identica alla lingua Bagua. In realtà sappiamo che i Chacha parlavano già la lingua dell'Inca. Così si danno solo due casi: i Bagua avevano usato il Quechua per comunicare coi loro vicini, oppure questi per loro motivi personali erano in grado di parlare la lingua dei Bagua.

La lingua dei Patagones 

Ci sono state tramandate soltanto quattro parole della lingua dei Patagones, anche detta Patagón de Perico (da non confondere con quella dei Tehuelche della Patagonia!): 

tuná "acqua" 
anás "mais" 
viue "legna da ardere" 
coará "pecora" 

Questi vocabili sono sufficienti a classificare il Patagón de Perico come Caribe. Il Patagón de Perico è verosimilmente il donatore caribe del vocabolo tuna "acqua" nella lingua dei Bagua. Si noti che le pecore erano ignote in epoca precolombiana: il termine coará in origine indicava il bradipo arboricolo, animale che veniva ingrassato e usato come fonte di sostentamento dai nativi. Il significato della parola è alla lettera "pigro, lento". Quando i Patagones videro per la prima volta un ovino e fu loro insegnato l'allevamento di tali animali, fu necessaria l'attribuzione di un nome. Anziché usare un prestito dallo spagnolo, semplicemente utilizzarono una parola nativa ampliandone il campo semantico. Non fu ritenuto opportuno assimilare la pecora al lama: il camelide andino dà prova di una vivacità sconosciuta all'ovino.

Conclusioni:
A parer mio le lingue Jívaro hanno preso tuna "acqua" dal Bagua e in ultima analisi il donatore della parola è stato il Patagón de Perico.
 

La lingua Xiroa 

Non abbiamo altro che il nome di questa lingua, di cui non sono state tramandate parole. Tuttavia possiamo dedurne la classificazione comunque. Infatti Xiroa /ʃíroa/ ha la stessa etimologia di Jívaro, che a sua volta è l'adattamento dell'endoetnico *Shiwara, da cui derivano le forme odierne Shuar e Achuar, con cui quei popoli fierissimi chiamano se stessi. Si potrebbe dire che gli Xiroa erano dei proto-Jívaro. Forse sarebbe però da adottare una maggior cautela, in quanto Xiroa presuppone un antico *Shirawa, con metatesi rispetto a *Shiwara. Questo potrebbe far pensare a una lingua particolarmente eccentrico, non necessariamente ricostruibile a partire dalle lingue Jívaro documentate. 

La lingua Cholón

Si comprende subito che la lingua Cholón (nome nativo Seeptsá) è molto diversa dalle altre considerate nel presente trattato. A titolo di esempio, riporto il seguente elenco di parole in ortografia normalizzata, non solo per dare un esempio dell'idioma, ma anche perché si possano effettuare semplici confronti: 
 
cot "acqua" 
cach "mais"
hayu nun "uomo"
hayu ila "donna"
ey "legna da ardere"
et "fuoco"
lla "andare"
lles "erba medica"
nan "venire"
pitz "venire"
tup "andare"
yip "casa"
xocot "fiume"
xot "fratello"
 
Vanno notate alcune cose della massima importanza: 
 
1) La parola per "acqua" è identica a quella dei Chacha;
2) Le parole della lingua Cholón sono in prevalenza monosillabiche, proprio come quelle della lingua Chacha;
3) La lingua Cholón non è semisconosciuta o interamente obliata, in quanto esiste una grammatica che la descrive, con annesso un sintetico vocabolario. L'opera è di Pedro de la Mata ed è stata pubblicata per la prima volta nel 1748. Il volume, di immenso valore, è disponibile nel Web, con una prefazione di Adelaar: 
 

Ho contribuito a diffondere la conoscenza di questa lingua compilandone un dizionario Cholón-Italiano in Glosbe.com, inclundendo anche forme grammaticali di ogni genere:
 
 
Purtroppo mancano ancora informazioni fondamentali: ad esempio non ci è giunta la parola per indicare la merda. Può sembrare una cosa di poco conto, eppure non è così. Se non si conosce come un popolo chiama la fine di tutte le cose, non si può dire di conoscere davvero la sua lingua! 
 
Comunemente si crede che la lingua Cholón si sia estinta nel corso del XIX secolo. In realtà sono stati trovati parlanti ancora nella seconda metà del XX secolo. Potrebbe sopravviverne ancora qualcuno. Risulta evidente che l'accidia e il disinteresse del mondo accademico sono complici dell'etnocidio e della morte dei popoli. 
 
La lingua Híbito  

Esisteva un'altra lingua con caratteristiche affini a quelle del Cholón: la lingua degli Hibito (varianti: Hívito, Chíbito, Ibito, Jívito, Xíbita, Zíbito e simili), parlata intorno al fiume Huano. Purtroppo è molto meno nota rispetto alla lingua Cholón, di cui abbiamo diffusamente trattato. Dovrebbe essersi estinta un po' prima (sono stati riportati circa 500 parlanti verso il 1850), ma anche in questo caso non esistono certezze assolute: forse un giorno si scoprirà qualche parlante ancora in vita e si capiranno molte cose oggi non comprensibili. Da quanto possiamo capire, sembra che gli Híbito avessero una notevole familiarita con la lingua Cholón, tanto che la meritoria grammatica di Pedro de la Mata potrebbe essere stata utile ai missionari anche nei villaggi del popolo in questione. Riportiamo alcuni raffronti dal materiale raccolto da Baltasar Jaime Martínez Compañón per lo Híbito e da Pedro de la Mata per il Cholón: 

Híbito: mixs "albero"
Cholón: mech "albero" 
 
Híbito: cachi "acqua"*
Cholón:  cot "acqua" 

Híbito: ñoo "figlia"
Cholón: -ñu "figlia" 

Híbito: pool "figlio"
Cholón: -pul "figlio" 
 
*Esiste anche una diversa parola otš "acqua", raccolta da Günther Tessman nel 1930.

Mi sembrano parole importanti, del lessico di base. Eventuali prestiti di lusso sarebbero da giustificarsi, a carico di chi nega la parentela di queste due lingue. Esistono anche differenze lessicali notevoli: 

Híbito: puxam "cielo"
Cholón: senta "cielo" 

Híbito: kiak "erba"
Cholón: pullo "erba" 

Híbito: ñim "sole"
Cholón: muxac, musac "sole" 

Híbito: čukčum "fiore"
Cholón: ñuñap "fiore" 

Híbito: koktom "vento"
Cholón: mam "vento" 

Híbito: lopkem "mangiare"
Cholón: amoc "mangiare" 

Híbito: amaá "carne"
Cholón: chep "carne"

Non sappiamo se Híbito fosse un endoetnico o un esoetnico di qualche popolo vicino. In ogni caso, sembra potersi ricostruire una protoforma *Shiwito, derivato dalla stessa radice di *Shiwara / *Shirawa. Solo il suffisso è diverso: -to anziché -ra. Si potrebbe credere che in origine gli Híbito avessero una lingua del ceppo Jívaro, per poi essere assorbiti dagli antentati dei Cholón. L'originale idioma pre-Cholón sarebbe affiorato in numerosi vocaboli che sembrano isolati, senza connessioni.  

L'ipotesi proto-Cholón-Híbito-Chacha
 
L'idea non certo peregrina e neppure derivata dal mio ingegno, è che l'originaria lingua dei Chacha fosse derivata dalla stessa sorgente del Cholón e dello Híbito. Sono ben consapevole del fatto che la glottocronologia è stata ampiamente screditata negli ultimi tempi, ma non posso fare a meno di riportare alcune stime sulla separazione cronologica tra il Cholón e lo Híbito, la cui origine comune potrebbe risalire a oltre 2000 anni fa. 
 
Questo è un elenco breve ma significativo di parole della lingua Chacha dedotte dalla toponomastica e dall'antroponimia, che sono comuni al Cholón: 

BUEL "figlio" : pul "figlio" 
COT, GOT(E), CACHE "acqua" : cot "acqua" 
LIMA "montagne" : liman "montagne"
MAL "pianura" : mol "pavimento, basamento di una casa" 
PUY "terra" : pey "terra" 
 
Possiamo così intendere toponimi Chacha come LIMMALLAP, che significa "Fortezza della Pianura delle Montagne". Non abbiamo più solo mummie mute collocate in caverne impervie: gli Antichi cominciano a parlare! Conto di dedicarmi intensamente a questi studi nel prossimo futuro.  

I toponimi in -MAL dei Chacha sono simili a toponimi pre-Maya della Mesoamerica come Uxmal, Itzamal, Chetumal, Ulumal, Cuzumal, etc. Possiamo pensare che sia ragionevole ipotizzare che -mal nella lingua pre-Maya significhi proprio "pianura, area". In Cholón, il corrispondente mol "pavimento" non sembra un elemento produttivo in grado di formare composti e toponimi, a differenza di quanto avviene in Chacha.