mercoledì 18 agosto 2021

ORIGINE ED ETIMOLOGIA DI GAMBRINUS

 
Nella cultura popolare, l'invenzione della birra è attribuita a un leggendario Re delle Fiandre. Il suo nome è Gambrinus, con la variante meno comune Cambrinus. A lui sono stati intitolati innumerevoli locali in molte nazioni. Solo per fare un esempio, notissimo è il Caffè Gambrinus a Napoli. Esiste persino una famosa lega calcistica cèca, la Gambrinus liga. Nell'iconografia tradizionale, il sovrano è ritratto come un uomo robusto e biondiccio, incoronato, con barba e capelli intonsi come i Merovingi, seduto su un grande barile. In mano regge un capiente boccale pieno della bevanda spumeggiante. Alcuni lo chiamano anche il Bacco della birra. Sorge una domanda che esige una risposta. Chi era veramente Gambrinus? Qual è l'origine genuina del suo stranissimo nome?  
 
Bisognerà passare in rassegna le etimologie finora proposte. Alcune sono evidentemente false etimologie, partorite non soltanto dall'ignoranza popolare, ma anche dalle contorsioni mentali di parrucconi accademici privi di mezzi filologici, dediti al culto di assonanze peraltro vaghe. Altre possono contenere qualche elemento interessante, anche se non mi sembrano comunque convincenti. 
 
1) Dal latino cambarus "cellerario, addetto alle cantine";
2) Dal latino ganeae birrinus "colui che beve in una taverna"; 
3) Dal celtico camba "pentola per la preparazione della birra" 
4) Corruzione di Jan Primus "Giovanni Primo", con possibile allusione a due nobili: 
    i) Duca Giovanni I di Brabante; 
    ii) Duca Giovanni Senza Paura di Borgogna. 
5) Derivato da Gambrinus, nome del coppiere di Carlo Magno (o di uno dei coppieri), secondo un mito; 
6) Derivato dal nome pannonico della birra, tramandato in latino come camum
7) Distorsione di Gambrivius, nome di un antico sovrano delle Fiandre; 
8) Dal nome della città francese di Cambrai (latino Camaracum, di origine gallica), di cui sarebbe stato il fondatore; 
9) Dal nome della città sassone di Amburgo (tedesco Hamburg, antico sassone Hammaburg), di cui sarebbe stato il fondatore; 
10) Dall'antico alto tedesco gambra "germinazione del grano".

Discussione dell'etimologia 1) 

Non sono riuscito a reperire alcuna attestazione del vocabolo cambarus riportato da decine di siti Web con la glossa "cellerario, addetto alle cantine". Non è chiaramente una parola latina classica. Non se ne trova alcuna menzione nel ricchissimo Glossarium mediæ et infimæ latinitatis di Du Cange et alteri, che ha soltanto CAMBARIUS "brasiator, potifex, seu cerevisiæ confector" ("produttore di birra"): si rimanda quindi all'etimologia 3). Ovviamente si trova il quasi omofono GAMBARUS "cancer, astacus" (ossia "granchio, astice"), che non ha alcuna attinenza con l'oggetto della nostra ricerca. 
 

 
Discussione dell'etimologia 2) 
 
Il vocabolo ganea "taverna" è ben attestato già in epoca classica e nessuno può dubitare della sua reale esistenza. Per contro, il vocabolo birrinus, che dovrebbe significare "bevitore", presenta più di un problema. Non sembra attestato: centinaia di siti del Web riportano in modo acritico soltanto la glossa  di ganeae birrinus come "colui che beve in una taverna" o "bevitore di taverna" (in inglese "a drinker in a tavern" o "tavern drinker", in tedesco "einer Schenke Trinkende"), senza specificare l'eventuale fonte ultima della locuzione. Questo birrinus potrebbe essere una forma medievale derivata dalla contrazione di *biberinus, possibilmente da un aggettivo coniato a partire da bibere "bere" o da biber "bevanda". Esiste un santo di nome Birrino (latino Sanctus Birrinus), che però ha una chiara etimologia celtica (cfr. gallese byrr "corto") e non ha alcuna relazione con la birra o col ganeae birrinus: è ricordato principalmente par aver convertito Re Cynegisil dei Sassoni Occidentali.  

Discussione dell'etimologia 3)

Una parola celtica camba col significato di "pentola per la preparazione della birra" deve essere esistita, essendo attestata nel latino tardo delle Gallie come elemento di sostrato/adstrato. Abbiamo un'ulteriore glossa di camba: "Brassiatorum officina, seu locus, ubi cerevisia coquitur et conficitur, quem vulgo brasseriam, vel braxatoriam nuncupamus", da cui l'antico francese cambe "birrificio". Ancora oggi nella Francia settentrionale e nei Paesi Bassi è chiamato cam il sostegno del calderone in cui viene fatto bollire il mosto di birra. La parola camba in gallico aveva il significato primario di "curva" o "cosa curva", dall'aggettivo cambo- "curvo": per via di una semantica gergale, questo vocabolo deve essere stato usato per indicare un recipiente per la birrificazione, dalla forma caratteristica, quindi per estensione il luogo stesso della produzione di birra. Tutto ciò è molto logico. Quello che è meno logico è passare da camba a Gambrinus. Procediamo con ordine. Da camba, in latino volgare si formò il sostantivo cambarius "produttore di birra", con il tipico suffisso -ārius, che ha una vocale lunga. Da cambarius, evolutosi in camberius, nel francese settentrionale è derivato cambier "birraio". Si capisce subito che è una tipica forma settentrionale per via della mancata palatalizzazione della consonante iniziale. Per arrivare al nome del Re della Birra, servirebbero i seguenti passaggi: l'applicazione di un suffisso -in-, la caduta della vocale mediana, la produzione del nesso -mbr- e la sonorizzazione di /k/ iniziale in /g/. Tutto ciò pare abbastanza implausibile, anche se non impossibile. 
Trovo molto interessanti due derivati di camba attestati in latino volgare: 
1) cambagium "tributum quod dominis exsolvebant subditi pro coquenda cerevisia", ossia "tassa sulla produzione della birra", da cui è derivato in francese antico cambaige, cambage, gambage.
2) cambitor "cambarius, brasiator, confector cerevisiæ", ossia "produttore di birra", da cui è derivato in francese antico cambgeur, cangeour.  
 
 
 

Discussione dell'etimologia 4)

L'idea stessa che Gambrinus possa derivare da Jan Primus "Giovanni Primo" è ridicola. Non si può pensare che una consonante occlusiva /g/ si sia potuta formare in un simile contesto. Purtroppo questa deprecabile etimologia popolare è quella che ha riscosso più successo, a dispetto della sua palese assurdità. Gli stessi birrai moderni la vedono con particolare favore, sia in Germania che in Francia, pur essendo rivali.
 
Discussione dell'etimologia 5) 
 
Carlo Magno era un avidissimo divoratore di arrosti, tuttavia in fatto di bevande inebrianti era molto parco. Non era astemio, ma per l'epoca era particolamente moderato: non beveva più di tre calici di vino ad ogni banchetto. Aborriva l'ubriachezza e non amava vedere altri in quello stato, al punto che emanò leggi che vietavano la tipica costumanza franca di fare libagioni per la salute eterna dei morti. Un'altra legge, molto moderna nei concetti, si occupava di igiene nella produzione dei cibi e delle bevande, vietando ad esempio di pigiare l'uva coi piedi e di conservare il vino in otri di pelle. Non sembra che il sovrano amasse particolarmente la birra, anche se sotto il suo regno i birrifici furono incentivati. Certo, questo non implica che non avesse un coppiere che servisse anche la birra, tuttavia l'attribuzione di Gambrinus alla corte carolingia non ha alcun fondamento storico. Si tratta dell'associazione di elementi mitologici a un personaggio reale, come del resto è accaduto con il fabbro Weland (Galan). Conosciuto in norreno come Vǫlundr, è protagonista di narrazioni tipiche del mondo germanico. Proprio come Gambrinus, ha incrociato il suo destino con quello di Carlo Magno. Il punto è che questo processo mitopoietico, pur interessante, non chiarisce affatto l'etimologia dei nomi in questione.

Discussione dell'etimologia 6) 
 
Questa è la glossa di camum data da Du Cange: "Species potionis ex hordeo et aliis frugibus confectæ". Era una bevanda fatta con orzo e altri cereali, probabilmente a seconda della disponibilità del momento. Si potrebbe pensare a una derivazione di Gambrinus da questa radice cam- "birra" e dal protoceltico *ber- "portare", ma è a mio avviso poco plausibile. 
 

Discussione dell'etimologia 7) 
Gambrinus o Gambrivius?

La forma corretta dell'antroponimo potrebbe essere Gambrivius, nel qual caso Gambrinus sarebbe un errore di trascrizione: la lettera -n- avrebbe avuto origine dall'interpretazione fallace della legatura delle due lettere -v- e -i- ad opera di qualche copista. Posso dimostrare che non c'è bisogno di supporre un errore di questo genere: le due forme erano semplici varianti antiche dello stesso nome, di cui sussiste una documentazione inaspettata.  
 
 
Il mito di Re Gampar, figlio di Mers 
 
L'umanista bavarese Johann Georg Turmair, anche noto come Johannes Aventinus  (1477 - 1534). 
Nella sua opera Annales Boiorum, egli fornì un elenco di sovrani dei popoli germanici, che avrebbero regnato a partire dall'epoca appena successiva al Diluvio Universale, fino ad arrivare ai tempi di Giulio Cesare. La riportiamo con tanto di cronologia.  
 
Tuitsch (2214 a.C. - 2038 a.C.)
Mannus (1978 a.C. - 1906 a.C.)
Eingeb (1906 a.C. - 1870 a.C.)
Ausstaeb (1870 a.C. - 1820 a.C.)
Herman (1820 a.C. - 1757 a.C.)
Mers (1757 a.C. - 1711 a.C.)
Gampar (1711 a.C. - 1667 a.C.)
Schwab (1667 a.C. - 1621 a.C.)
Wandler (1621 a.C. - 1580 a.C.)
Deuto (1580 a.C. - 1553 a.C.)
Alman (1553 a.C. - 1489 a.C.)
Baier (1489 a.C. - 1429 a.C.)
Ingram (1429 a.C. - 1377 a.C.)
Adalger (1377 a.C. - 1328 a.C.)
Larein (1328 a.C. - 1277 a.C.)
Ylsing (1277 a.C. - 1224 a.C.)
Brenner I (1224 a.C. - 1186 a.C.)
Heccar (1186 a.C. - 1155 a.C.)
Frank (1155 a.C. - 1114 a.C.)
Wolfheim Siclinger (1114 a.C. - 1056 a.C.)
Kels I, Gal e Hillyr (1056 a.C. - 1006 a.C.)
Alber e altri 6 ignoti (1006 a.C. - 946 a.C.)
Walther, Panno e Schard (946 a.C. - 884 a.C.) 
Main, Öngel e Treibl (884 a.C. - 814 a.C.)
Myela, Laber e Penno (814 a.C. - 714 a.C.)
Venno e Helto (714 a.C. - 644 a.C.)
Mader (644 a.C. - 589 a.C.)
Brenner II e Koenman (589 a.C. - 479 a.C.)
Landein, Antör e Rögör (479 a.C. - 399 a.C.)
Brenner III (399 a.C. - 361 a.C.) 
Schirm e Brenner IV (361 a.C. - 263 a.C.) 
Thessel, Lauther e Euring
(279 a.C. - 194 a.C.)
Dieth I e Diethmer (194 a.C. - 172 a.C.)
Baermund e Synpol (172 a.C. - 127 a.C.)
Boiger, Kels II e Teutenbuecher (127 a.C. - 100 a.C.)
Scheirer (100 a.C. - 70 a.C.)
Ernst e Vocho (70 a.C. - 50 a.C.)
Pernpeist (50 a.C. - 40 a.C.)
Cotz, Dieth II e Creitschir (40 a.C. - 13 a.C.
 
Il Re Gampar (o Gambrivius), figlio di Mers (o Marsus), avrebbe regnato dal 1711 a.C. al 1667 a.C.: un regno lungo e prospero di oltre 40 anni. Cosa dire di questo materiale? Si capisce subito che è stato fabbricato. È però stato fabbricato con ingegno. Esiste qualche corrispondenza storica: Boiger è una distorsione di Boiorix, nome di un sovrano dei Cimbri; Teutenbuecher è una capricciosa distorsione di Teutobodo, nome di un capo dei Teutoni. Ariovisto è diventato Ernst. Molti nomi di sovrani sono eponimi: si riconosce all'istante in essi il nome di un popolo germanico. Così Mers è l'eponimo dei Marsi; Schwab è l'eponimo dei Suebi; Wendler è l'eponimo dei Vandali; Frank è l'eponimo dei Franchi; Baier è l'eponimo dei Baiuvari (Bavari). Sono integrate importanti informazioni fornite dagli Autori. In Tuitsch riconosciamo subito il capostipite Tuisto menzionato da Tacito. In Mannus riconosciamo subito il figlio di Tuisto. I tre capostipiti delle nazioni germaniche sono menzionati come Eingeb (Ingaevones), Ausstaeb (Istaevones) e Herman (Herminones). Anche il nome Gampar segue la logica sopra illustrata: è l'eponimo dei Gambrini o Gambrivii.   
 
I Gambrini o Gambrivii 
 
Tacito ci parla di un'enigmatica popolazione che abitava nella Germania settentrionale, proprio nel territorio delle attuali Fiandre: i Gambrini, anche detti Gamabrini. Evidentemente Gamabrini è una forma più antica, che ha poi subìto la perdita della vocale mediana -a-. Si riporta questo nome anche un'altra variante: Gambrivii. A questo punto tutto torna alla perfezione. Così come i gloriosi Tencteri erano a tutti noti per la loro abilità di allevare cavalli di razza, allo stesso modo i Gambrini dovevano essere a tutti noti per aver elaborato un'ottima birra di malto, tanto da passare per inventori della bevanda. 
 
"Celebrant carminibus antiquis, quod unum apud illos memoriae et annalium genus est, Tuistonem deum terra editum. Ei filium Mannum, originem gentis conditoremque, Manno tris filios adsignant, e quorum nominibus proximi Oceano Ingaevones, medii Herminones, ceteri Istaevones vocentur. Quidam, ut in licentia vetustatis, pluris deo ortos plurisque gentis appellationes, Marsos Gambrivios Suebos Vandilios adfirmant, eaque vera et antiqua nomina; ceterum Germaniae vocabulum recens et nuper additum, quoniam qui primi Rhenum transgressi Gallos expulerint ac nunc Tungri, tunc Germani vocati sint: ita nationis nomen, non gentis, evaluisse paulatim, ut omnes primum a victore ob metum, mox et a se ipsis invento nomine Germani vocarentur." 
(Tacito, De origine et situ Germanorum, II) 

Traduzione: 

"In antichi carmi, che presso di loro è l'unico genere di memorizzazione e di tradizione storica, celebrano il dio Tuistone nato dalla terra. A lui assegnano il figlio Manno, origine e fondatore della popolazione, a Manno tre figli, dai cui nomi i più vicini all'Oceano sono chiamati Ingevoni, quelli intermedi Ermioni, gli altri Istevoni. Alcuni, come capita nella libertà di chi racconta cose antiche, affermano che nacquero più figli al dio e più nomi, Marsi, Gambrivii, Suebi, Vandilii, e che quelli sono i nomi veri e antichi; per il resto il nome della Germania è recente e aggiunto da poco, poiché quelli che, avendo oltrepassato il Reno per primi, cacciarono i Galli e ora (sono chiamati) Tungri, allora furono chiamati Germani: così un po' alla volta prevalse il nome di una popolazione, non della stirpe; sicché tutti venivano chiamati Germani in un primo momento dal vincitore per paura, poi anche da loro stessi una volta trovato il nome."
 
Discussione delle etimologie 8) e 9) 

Accanto alla denominazione latina (di origine gallica) di Cambrai, Camaracum, ne è registrata anche un'altra: Gambrivium
Accanto alla denominazione alto tedesca di Amburgo, Hammaburg, ne è registrata anche un'altra: Gambrivium
Non ho reperito i dettagli di questo toponimo e delle sue attestazioni, ma è edivente che sia derivato dal nome dei Gambrivii di cui parla Tacito. 
 
Discussione dell'etimologia 10)  
 
Questa deve essere l'antica radice del nome di Gambrinus

Protogermanico: *gambraz / *gamaβraz 
Antico alto tedesco: gambar, kambar  
Longobardo: Gambara (n. pers. f.)
Glossa latina: strenuus; sagax 
Traduzione: forte; coraggioso; potente; sagace
 
Derivati: 
 
Protogermanico: *gambrīn 
Antico alto tedesco: gambarī, gambrī
Traduzione: forza, vigore; potere, virtù 
 
Protogermanico: *gambrō 
Antico alto tedesco: gambra 
Traduzione: "germinazione del grano" 
   Significato originario: "forza, potere, virtù" 
 
Quest'ultimo esito non va confuso con l'omofono seguente: 
 
    Protogermanico: *gamb(r)ō(n
    Antico inglese: gombe 
    Antico sassone: gambra 
    Traduzione: "tributo" 
    Note: Prestito dal celtico: gallico cambio- "tributo". 

Esistono alcuni notevoli esiti in norreno, che mostrano uno slittamento semantico peggiorativo: 

Protogermanico: *gambran 
Norreno: gambr 
Traduzione: "discorso sfrenato", "vanteria" 
   Significato originario: "esibizione di forza" 

Protogermanico: *gambrōnan 
Norreno: gambra 
Traduzione: "parlare in modo sfrenato", "vantarsi" 
   Significato originario: "esibire la propria forza" 

Protogermanico: *gambrisaz 
Norreno: gambrs 
Traduzione: "tipo di uccello" 
Note: Non sono riuscito ad identificare la specie precisa di volatile designato con questo strano appellativo.
 
L'etimologia ultima della radice protogermanica è sconosciuta: deve essere un relitto del sostrato preindoeuropeo. 
 
Conclusioni 
 
L'identità di Gambrinus è a questo punto evidente. Egli è Wotan, l'inventore di tutte le Arti.  

sabato 14 agosto 2021

ETIMOLOGIA DEL NOME TOTILA: LA SOLUZIONE DI UN ANNOSO PROBLEMA

Totila (forse 516 - 552) fu un grande condottiero e il penultimo sovrano degli Ostrogoti, che combatté eroicamente contro i Bizantini, finendo sconfitto e morendo in battaglia. Cosa significa esattamente il nome Totila? Secondo una tradizione inveterata quanto fallace, Totila (pronuncia Tòtila) significherebbe "L'Immortale". Questa informazione distorta, la cui origine ultima non mi è affatto chiara, è riportata dovunque, sia in libri cartacei che nei siti del Web. Lo storico Procopio di Cesarea (VI secolo) non ne fa menzione. Ho reperito una fonte del XIX secolo, l'Almanacco perpetuo martiro-etimologico di Raffaello Mazzoni (1839), che consiste in un elenco di "traduzioni" di moltissimi nomi propri di persona, accompagnate da un'abbreviazione descrivente la lingua d'origine (teut. sta per "teutonico", ossia "germanico"). Ecco cosa è scritto su Totila:

Totila , m. Liberato dalla morte, teut. 

Gli almanacchi perpetui erano per così dire la Wikipedia dei tempi andati.
 
La lingua dei Goti è ben conosciuta nella sua forma usata da Wulfila per la traduzione delle Scritture, di cui ci restano in massima parte i testi del Nuovo Testamento. Dovrebbe essere quindi chiaro che Totila non può significare "Immortale", né tantomeno "Liberato dalla morte": stupisce che praticamente nessuno abbia sollevato la questione. 
 
1) Nonostante l'assonanza tra Totila e il tedesco moderno Tot "morte", tod "morto", la radice dell'antroponimo non ha a che fare con la morte. Questi sono i corrispondenti in gotico delle parole tedesche in questione (il carattere þ indica il suono di th dell'inglese thing; il dittongo au ha il suono di una o aperta e lunga): 
 
dauþus "morte"
dauþs "morto"  

In gotico il risultato del protogermanico *d- è d-, mentre in tedesco è t-, essendosi avuta la seconda rotazione consonantica. Se questa fosse la radice, ci aspetteremmo trascrizioni come *Dothila, *Dodila o simili, cosa che però non sussiste.
2) Il suffisso -ila è un diminutivo maschile. Così il nome Wulfila significa "Piccolo Lupo" e deriva da wulfs "lupo". In nessun modo il suffisso -ila può essere considerato un privativo o una forma negativa. 
3) L'unica possibilità sarebbe ammettere che il nome Totila non sia gotico, bensì originato in un'area che aveva la seconda rotazione consonantica nel VI secolo, come ad esempio la Baviera: in tal caso significherebbe "Piccola Morte". Questa ipotesi è stata enunciata da Marja Erwin in un gruppo di Google (2014). In gotico "Piccola Morte" sarebbe *Dauþula.
 
Avvertiamo subito una certa ridondanza nelle informazioni. Totila era un nome di guerra: sappiamo infatti che il vero nome del Re degli Ostrogoti era Baduila (varianti: Baduela, Baduilla), che possiamo tradurre facilmente con "Piccola Battaglia" o con "Piccolo Guerriero". 
 
Questa è la declinazione di *badwa "battaglia" in gotico:  
 
Singolare  
 
nominativo: *badwa "battaglia"
genitivo: *badwos "della battaglia"
dativo: *badwai "alla battaglia"
accusativo: *badwa "battaglia"
 
Plurale  
 
nominativo: *badwos  "battaglie"
genitivo: *badwo "delle battaglie"
dativo: *badwom "alle battaglie"
accusativo: *badwos "battaglie"
 
Corrispondenze in altre lingue germaniche: 
 
Antico inglese: badu, beado, beadu "battaglia" 
Antico sassone: badu-, -bad(u) "battaglia"
     (solo in nomi propri) 
Antico alto tedesco: badu-, batu-, pato-; -bad(u), -batu
     -pato "battaglia" (solo in nomi propri) 
Norreno: bǫð "battaglia" (poet.)
 
Queste sono le forme ricostruibili per il protogermanico: 
 
Singolare 
 
nominativo: *baðwō "battaglia" 
genitivo: *baðwōz "della battaglia" 
dativo: *baðwōi "alla battaglia"
accusativo: *baðwōn "battaglia" 
strumentale: *baðwō "con la battaglia" 

Plurale 

nominativo: *baðwôz "battaglie"
genitivo: *baðwôn "delle battaglie"
dativo: *baðwōmaz "alle battaglie"
accusativo: *baðwôz "battaglie"
strumentale: *baðwōmiz "con le battaglie" 

Il vocabolo protogermanico era di genere femminile, ma si usava la forma maschile *baðwaz quando era il secondo elemento di antroponimi maschili composti e quando era un antroponimo maschile semplice. 
Ritengo quindi un errore ricostruire in gotico un maschile *badus o *badws "battaglia" come sostantivo del linguaggio comune: doveva però essere *-badus o *-badws quando ricorreva come secondo elemento in antroponimi maschili composti (cfr. antico alto tedesco Deodpato, Sigipato) e quando era un antroponimo maschile semplice (cfr. antico alto tedesco Bado, Pato, Patto). 

L'antroponimo Baduila (pronuncia Bàduila) poteva anche essere un diminutivo del gotico *badwja "guerriero", regolarmente derivato tramite un suffisso agentivo -ja, con la declinazione debole. Esempi di sostantivi con questo suffisso: baurgja "cittadino"; ferja "informatore, spia"; fiskja "pescatore"; gudja "sacerdote"; haurnja "trombettiere"; kasja "vasaio";  timrja "carpentiere", etc.

Singolare 

nominativo: *badwja "guerriero"
genitivo: *badwjins "del guerriero"
dativo: *badwjin "al guerriero"
accusativo: *badwjan "guerriero"

Plurale 

nominativo: *badwjans "guerrieri"
genitivo: *badwjane "dei guerrieri"
dativo: *badwjam "ai guerrieri"
accusativo: *badwjans "guerrieri" 
 
Ecco la declinazione dell'antroponimo: 
 
nominativo: BADWILA
genitivo: BADWILINS 
dativo: BADWILIN 
accusativo: BADWILAN  
 
Corrispondenze in altre lingue indoeuropee: 

Celtico: *bodw- "battaglia"
   Attestato in antroponimi gallici: 
      Ate-boduus, Boduo-gnatus
   Antico irlandese: Bodb "Dea della battaglia" (in forma di 
       corvo)

La ricostruzione di Bradley
 
È anche possibile che il nome originale di Totila fosse un composto TOTABADWS, come ricostruito da Henry Bradley (1845 - 1923), filologo e lessicografo britannico succeduto a James Murray come senior editor dell'Oxford English Dictionary (OED). C'è tuttavia qualcosa che manca nella sua ricostruzione. Sembra che lo studioso non abbia compreso completamente il significato del nome composto. Se è consapevole del significato di -BADWS, non riporta nulla a proposito di TOTA-
 
 
Questo è quanto Bradley riporta nel testo originale, The Story of Goths: From the Earliest Times To the End of Gothic Dominion in Spain (1888), a pag. 280: 
 
It shoud be mentioned here that Totila seems on becoming king to have changed his name to Baduila. Or possibly the latter may have been his real nale, and Totila only a nickname. At any rate he was known to his countryman by both names, though Baduila is the only one which appears on his coins. However, in history he is always calles Totila ; the other name would have been unknown to us but for the coins and a solitary mention in Jordanes.1

1 Perhaps the truth may be that his original name was Totabadws, and that Totila and Baduila are diminutive of this (see Appendix). 
 
Traduzione:

Va qui menzionato che Totila, divenuto re, sembra abbia cambiato il suo nome in Baduila. O forse quest'ultimo potrebbe essere stato il suo vero nome, e Totila solo un soprannome. In ogni caso il suo connazionale lo conosceva con entrambi i nomi, anche se Baduila è l'unico che compare sulle sue monete. Nella storia però viene sempre chiamato Totila; l'altro nome ci sarebbe stato sconosciuto se non fosse stato per le monete e per una menzione isolata in Giordane.1

1 Forse la verità è che il suo nome originale era Totabadws, e che Totila e Baduila ne sono diminutivi (vedi Appendice). 

Questo è riportato nell'Appendice a pag. 370:

Amongst the Goths, as among all other peoples, diminutives or "pet names" were formed from ordinary pet names by shortening them and adding an affix. This affix was usually -ila, but sometimes -ika. Thus such a name as Audamer-s might become Audila or Merila ; Wulfareiks might become Wulfila or Reikila. But just as in modern timies children are sometimes christened Harry or Lizzie, so these Gothic diminutives were often used as regular names, as in the case of Bishop Wulfila and King Badwila or Totila.

Traduzione:

Presso i Goti, come tra tutti gli altri popoli, i diminutivi o "nomi vezzeggiativi" venivano formati dai vezzeggiativi comuni, abbreviandoli e aggiungendo un suffisso. Questo suffisso era solitamente -ila, ma talvolta -ika. Quindi un nome come Audamers potrebbe diventare Audila o Merila; Wulfareiks potrebbe diventare Wulfila o Reikila. Ma proprio come nei tempi moderni i bambini vengono talvolta battezzati Harry o Lizzie, così questi diminutivi gotici erano spesso usati come nomi regolari, come nel caso del Vescovo Wulfila e del Re Badwila o Totila.
 
Una spiegazione innovativa 
 
Nella lingua gotica doveva esistere la preposizione *tota /'to:ta/ "verso", pur non essendo attestata in Wulfila. Corrisponde alla perfezione all'antico alto tedesco zuoza (variante: zuozi) "verso", "a"; "con". In protogermanico è ricostruibile come *tō-tō "verso", "fino a"; secondo altri sarebbe *tō-ta, ma a parer mio non è necessario. In pratica è una forma duplicata della preposizione *tō, la stessa che ha dato origine anche all'inglese to e al tedesco moderno zu. Guardate queste attestazioni: 
 
Antico sassone: tōtō, tōte "fino a" 
  Medio basso tedesco: tôte, tote, tôt, tot "fino a"  
Antico olandese: tuote "fino a", "verso" 
  Medio olandese: tote, tot, toete, toet "fino a", "verso" 
  Olandese moderno: tot "fino a"
Antico frisone: tote, tot "fino a"  
Antico alto tedesco: zuoza, zuozi "verso", "a"; "con" 
  Medio alto tedesco: zuoze "verso", "a"; "con"  
 
In tedesco moderno questa preposizione duplicata non esiste più. 

A questo punto direi che esiste una sola possibilità plausibile. Il nome Totila e il nome Baduila sono ipocoristici derivati rispettivamente dal primo e dal secondo membro del nome composto TOTABADWS, come sostenuto da Bradley. A sua volta questo nome sarebbe stato formato ispirandosi a una frase TOTA BADWAI "verso la battaglia", che doveva essere un sinonimo dell'attestato du wigana "alla battaglia". Quindi Totila corrisponde alla perfezione aun antroponimo maschile attestato in antico alto tedesco: Zuozo. Cercando di dare una concreta traduzione del nome Totila, opterei per "Piccolo Bellicoso", alla lettera: "(che si scaglia) verso", "(che si scaglia) contro (il nemico)". 

giovedì 12 agosto 2021

ETIMOLOGIA DEL NOME DAUFER, DAUFERIUS: LA SOLUZIONE DI UN ANNOSO PROBLEMA

L'ultimo Re dei Longobardi fu Desiderio (in latino Desiderius). Nacque a Brescia in data sconosciuta; deve essere morto dopo il 774 nel monastero di Corbie, in Francia. Regnò dal 757 al 774. Il figlio Adelchi (Adelchis, Adalgis) fu da lui associato al trono a partire dal 759, forse con l'intento di evitare problemi di successione. La guerra contro i Franchi iniziò nella primavera del 773 ed ebbe esito catastrofico. Nel giugno del 774, con la deposizione di Desiderio e la fuga di Adelchi a Costantinopoli, ebbe fine l'indipendenza dei Longobardi. Carlo Magno assunse il titolo di Rex Francorum et Langobardorum. La figura di Desiderio è ben nota in Italia per via dell'opera tragica di Manzoni, Adelchi, pubblicata nel 1822. 
 
Perché Desiderio avrebbe portato un nome latino? I romanisti ovviamente considerano questo fatto come un'evidenza della completa romanizzazione dei Longobardi. Tuttavia non tengono conto del fatto che l'antroponimia germanica era e continuò ad essere la norma, anche dopo la fine del Regno. Solo per fare un esempio, il figlio di Desiderio, il Principe Adelchi, aveva un tipico nome longobardo e mai pensò di adottarne uno latino. Fu invece proprio il Re Desidero a farsi conoscere con un nome latino, forse per il semplice e banale fatto che il suo nome originale non gli piaceva affatto. I libri di scuola tengono ben nascosto il vero nome di Desiderio, quello che ricevette quando fu battezzato. Il motivo di questa omissione è certamente ideologico. Per fortuna l'informazione non ci è sconosciuta. Egli si chiamava Daufer (a volte latinizzato in Dauferius).  

Roberto Rigoni, nel suo lavoro Note di toponomastica italiana, riporta quanto segue: "... ma gradatamente già prima della sconfitta del loro regno, nobili e arimanni, dai loro precedenti insediamenti rurali, avevano cominciato ad affluire nei centri urbani di saldo diritto latino e a fondersi con la sopravvivente aristocrazia latina, adottandone la lingua e costumi, costretti anche dal loro analfabetismo."
Quel "costretti dal loro analfabetismo" è una pura e semplice assurdità, proferita da chi sembra far fatica a capire che lingua parlata e lingua scritta sono due cose diverse. Nel corso dei secoli molte lingue sono state parlate senza sentire alcuna particolare necessità di una forma scritta. Può anche essere adottata una lingua scritta molto diversa da quella parlata. Peccato che queste ovvietà non siano considerate. In poche parole, siamo di fronte all'ennesimo caso di quello che potremmo chiamare razzismo scolastico antigermanico
Sempre Rigoni riporta questo a proposito del vero nome di Desiderio: "Alcuni di essi, come l'ultimo re Daufer, cominciarono ad adottare, accanto al loro nome germanico, un nome latino (Desiderius)."
 
A questo punto è necessario porsi una domanda, che nessuno sembra essersi mai posto, almeno a giudicare da quanto si trova nel vasto Web. Qual è il significato del nome Daufer
 
Ebbene, Desiderio non è la traduzione di  Daufer, il cui significato è del tutto dissimile. Daufer significa "Sopravvissuto al Coma" (letteralmente "che ha attraversato il coma"). Tale nome ha in sé qualcosa di macabro e si può facilmente pensare che causasse angoscia a chi lo portava. 
 
1) Primo elemento del composto: dau- 
 
In norreno significa "svenimento", "coma". Anche se con una pronuncia diversa, la stessa parola ha ancora il significato di "coma" in islandese moderno. Deriva in modo regolare dal protogermanico *dawan "perdita di sensi", "coma", con ogni probabilità connesso con il verbo *dawjanan "morire" (da cui il norreno deyja "morire", antico alto tedesco touwen "morire"). Questa è la declinazione del sostantivo norreno: 
 
nominativo: "coma"
genitivo: dás "del coma"
dativo: dái "al coma"
accusativo: "coma" 
 
Non sono presenti forme plurali per questo vocabolo. 
Questa è la declinazione ricostruibile per il protogermanico: 
 
nominativo: dawan "coma"
genitivo: dawasa "del coma"
dativo: dawai "al coma"
accusativo: dawan "coma"
 
2) Secondo elemento del composto: -fer(i) 
 
Il secondo membro dell'antroponimo Daufer proviene dal protogermanico *fēriz "che attraversa", "capace di attraversare", aggettivo derivato da un verbo *feranan "attraversare", "giungere in un luogo", che non ha tuttavia lasciato traccia. Questi sono gli esiti documentati della protoforma *fēriz nelle lingue storiche:
 
Antico inglese: 
      fǣre "che attraversa, capace di attraversare", 
      langfǣre, langfēre "durevole"
Antico alto tedesco:  
      fāri "che attraversa, capace di attraversare",  
      langfāri, lancfāri "durevole"  
 
3) La forma protogermanica del nome:  
 
*dawa-fḗriz "che ha attraversato il coma" 
 
L'aggettivo con la flessione forte può fungere da sostantivo quando è usato come nome proprio di persona composto. 
 
A questo punto è necessario notare alcune irregolarità fonologiche che sono alquanto interessanti, essendo in grado di guidarci a una più profonda comprensione della concreta genesi dell'antroponimo.
 
Possibile origine gotica del nome 
 
Siccome in longobardo il protogermanico *d- tende a dare origine a un'occlusiva sorda t- (es.: Tachipert, Tano, Tado, etc.), oltre al fatto che la vocale lunga *-ē- in genere diventa -ā- (es.: Aldemari, Filimari, Tado, etc.), dobbiamo dedurne che potrebbe trattarsi di un prestito dotto dal gotico. 
 
Questa doveva essere la declinazione dell'antroponimo in gotico: 
 
nominativo: *Daufers 
genitivo: *Dauferis 
dativo: *Dauferja 
accusativo: *Daufer  
 
La pronuncia avrebbe dovuto essere /'dɔ:fe:rs/ all'epoca di Wulfila (IV secolo), ma in epoca precedente era certamente /'daʊfe:rs/, con un dittongo. Se così fosse, il prestito dal gotico al longobardo dovrebbe essere avvenuto nel III secolo. Esiste però anche la possibilità che il dittongo si fosse conservato più a lungo in gotico, essendo l'antroponimo tratto da un vocabolo di formazione non certo popolare. In questo caso, sarebbe meglio forse scrivere *Dawfers. Si spera che un giorno si trovino attestazioni in grado di portare alla soluzione di queste incertezze. 
 
Sul vero nome di Papa Vittore III
 
Notiamo che esisteva nella tradizione onomastica dei Longobardi anche una variante più regolare dell'antroponimo, che aveva una -ā- lunga anziché -ē-: Daufari, latinizzato in Daufarius e sinonimo di Dauferius. Ben dopo la fine del Regno, ricordiamo che Papa Vittore III (Benevento, 1027 - Montecassino, 1087) aveva il nome di nascita Dauferio Epifani del Zotto, con le varianti Dauferi e Daufari. Era figlio di Landolfo del Zotto, della nobile stirpe longobarda dei Duchi di Benevento. Fu abate di Montecassimo dal 1058 fino alla morte. Quando divenne benedettino cambiò il suo nome in Desiderius ed è noto soprattutto come Desiderio da Montecassino. Richiamo l'attenzione su un dettaglio. Mi pare altamente significativo che anche questo Dauferio assunse il nome di Desiderio, proprio come aveva fatto l'ultimo sovrano dei Longobardi. Nel 1887, otto secoli dopo la sua morte, fu dichiarato beato.    

martedì 10 agosto 2021

ALCUNE NOTE SUI PETROGLIFI E SULLE ISCRIZIONI DELLA VAL CAMONICA

La Val Camonica, in provincia di Brescia, trae il suo nome dall'antica popolazione dei Camuni (latino Camunni, greco Καμοῦνοι), artefice della più vasta collezione di incisioni rupestri dell'intero pianeta. Sono state classificate dall'UNESCO ben 140.000 opere, ma ne vengono scoperte sempre di nuove. Il loro numero potrebbe arrivare alla sorprendente cifra di 300.000. Le più antiche manifestazioni artistiche risalgono alla fine del Paleolitico e si distinguono svariati periodi nel corso dei millenni. Si segnalano alcune raffigurazioni stupefacenti di soggetti che non ci si aspetterebbe, come ad esempio la lotta tra due "astronauti" e addirittura un "brontosauro", roba che farebbe impazzire i complottisti. Molti sarebbero sorpresi se venissero a sapere che la tradizione petroglifica dei Camuni non si è mai veramente interrotta fino a tempi abbastanza recenti. Le varie epoche storiche hanno comportato la sovrapposizione di molteplici strati: le istoriazioni più moderne venivano ad essere eseguite accanto a quelle precedenti, creando a volte anacronismi sbalorditivi. In alcuni periodi le incisioni rupestri sono scarse, come se l'arte fosse entrata in stato di quiescenza. Così è accaduto con la conquista da parte dei Romani (I secolo a.C.): soltanto con la decadenza dell'Impero si è avuta una graduale ripresa della produzione di petroglifi. Dopo un nuovo periodo di scarsa attività, si sono avute successive incisioni in epoca moderna, postmedievale. Con buona pace di chi dice che esiste soltanto ciò che si trova in Google con qualche pressione di un tasto, devo dire che non è sempre facile reperire informazioni valide. Ancor più arduo è ottenere fotografie di alcune iscrizioni recenti. 
 
 
Iscrizioni antiche in lingua camuna 
 
I primi tentativi di traslitterare le iscrizioni camune redatte nell'alfabeto encoriale sono stati abbastanza fuorvianti. Si vedano a questo proposito gli studi di Maria Grazia Tibiletti Bruno e di Alberto Mancini. All'epoca in cui mi interessai per la prima volta a questo argomento, si aveva l'impressione che il camuno fosse una lingua completamente isolata, senza somiglianza con qualsiasi altra lingua del pianeta e del tutto impenetrabile. In fondo la cosa poteva anche sembrare logica: un popolo simile, con una cultura tanto peculiare, residuo di una preistoria inconoscibile, avrebbe ben potuto parlare una lingua priva di parentele determinabili. Tuttavia, una volta decifrato correttamente l'alfabeto, numerose iscrizioni sono risultate redatte in una lingua affine all'etrusco, tanto che alcune possono essere comprese con un certo grado di sicurezza. Era bastata la lettura erronea di pochi caratteri per oscurare ogni cosa. Riporto nel seguito alcuni interessanti esempi di testi etruscoidi.  
 
asθ "colpisci" (1)  
enesau "del nostro" (2)  
mi ruas "io sono del fratello" (3)  
munθau "dell'ordinatore" (4) 
nuni "prega" (5) 
pueia is "rapisci la donna" (6) 
ren "con la mano" (7)
ril "età" (8)
seh manals "figlia dal ricordo" (9)  
sele useu "sole allo zenit" (10) 
tine "nel giorno" (11) 
tiu ulu "luna crescente" (12) 
θiu "dell'acqua" (13)
uahθ raseu "nella formula dell'uomo" (14) 
un "a te" (15)
unsθ "in voi" (16)
unu "voi" (17) 
unus "di voi" (18) 
zeriau "del rito" (19)

(1) Cimbergo, Roccia 49
(2) Berzo-Demo, Roccia 2 
(3) Piancogno, Roccia delle Spade
(4) Foppe di Nadro, Roccia 6  
(5) Berzo-Demo, Roccia 2  
(6) Bedolina 
(7) Zurla, Roccia 22 
(8) Berzo-Bemo, Roccia 2
(9) Piancogno, Roccia delle Spade 
(10) Foppe di Nadro 
(11) Crap di Luine, Roccia 6 
(12) Crap di Luine, Roccia 6  
(13) Foppe di Nadro, Verdi, Roccia 2 
(14) Piancogno, Roccia della Biscia 
(15) Foppe di Nadro, Roccia 27 
(16) Crap di Luine, Roccia 6
(17) Berzo-Demo, Roccia 3 
(18) Berzo-Demo, Roccia 2 
(19) Seradina

In camuno l'antica consonante liquida *-l finale di parola è spesso diventata -u, velarizzandosi completamente. L'idea è stata enunciata anni fa dal canadese Glen Gordon e mi sono reso conto che è molto produttiva. Questa velarizzazione non sembra invece essersi applicata all'interno delle parole, davanti a consonante ed esiste comunque qualche possibile eccezione anche in posizione finale. 

Elementi morfologici camuni ed etruschi: 
 
-au, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -al  
-als, uscita dell'ablativo, corrisponde all'etrusco -alas 
-s, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -s,  
, uscita del locativo, corrisponde all'etrusco , -θi  
-u, uscita del genitivo, corrisponde all'etrusco -l 

Lessico camuno ed etrusco: 
 
asθ "colpisci" corrisponde all'etrusco asθ "colpisci" 
      (scritto su una glans missilis
enesau "del nostro" corrisponde all'etrusco enas "di noi", 
      enesci "nel nostro"
manals "dal ricordo" corrisponde all'etrusco manim 
      "monumento; ricordo" 
mi "io" corrisponde all'etrusco mi "io"  
munθau "dell'ordinatore" corrisponde all'etrusco munθ 
      "ordinatore"
nuni "prega" corrisponde all'etrusco nuna "preghiera" 
pueia "donna" corrisponde all'etrusco puia "moglie" 
raseu "dell'uomo" ha la stessa radice dell'etrusco rasna 
      "etrusco"  
ren "con la mano" corrisponde all'etrusco rens "della
      mano", rinuś "delle mani", rinuθ "nelle mani"
ril "età" corrisponde all'etrusco ril "età"
ruas "del fratello" corrisponde all'etrusco ruva "fratello"
seh "figlia" corrisponde all'etrusco seχ, sec "figlia"
sele "allo zenit" corrisponde all'etrusco seleita-, seleta 
      "massimo" (*) 
tine "nel giorno" corrisponde all'etrusco tinśi "nel giorno" 
tiu "luna" corrisponde all'etrusco tiu, tiv "luna"  
θiu "dell'acqua" corrisponde all'etrusco θi "acqua"
uahθ "nella formula" corrisponde all'etrusco vacal, vacl 
      "formula, preghiera"  
un "a te" corrisponde all'etrusco un "te", une "a te" 
unsθ "in voi" corrisponde all'etrusco unuθ "in voi" 
unu "voi" corrisponde all'etrusco unu "voi", unum "voi, 
      vi" (acc.) 
unus "di voi" corrisponde all'etrusco unuse "a voi"
useu "sole" corrisponde all'etrusco usil "sole" 
zeriau "del rito" corrisponde all'etrusco zeri "rito" 

(*) La traduzione, opera di Giulio Mauro Facchetti, mi pare molto verosimile. Questa radice sel- potrebbe avere corrispondenze in anatolico: hittita šēr "sopra", lidio serli- "somma autorità". 

Si ha qualche notevole prestito indoeuropeo. In un petroglifo (Bedolina) si vedono chiaramente un lupo, un serpente e un cerchio. Come evidenziato da Adolfo Zavaroni, accanto al lupo compare la scritta ulk e accanto al serpente compare la scritta anki. Il cerchio riporta invece la scritta uka. Nonostante le interpretazioni di Zavaroni siano nella maggior parte dei casi fallaci, in quanto dettate da un'applicazione incongrua e aprioristica del metodo etimologico, in questo caso sono da considerarsi verosimili, perché abbiamo a che fare con figure parlanti - un fenomeno riscontrabile spesso anche tra gli Etruschi.

anki "serpente" (IE *ang(h)wi-, latino anguis "serpente") 
uka "unione (IE *jeug- / *jug- "unire")  
ulk "lupo" (IE *wḷkw- "lupo") 

Abbiamo poi un'importante radice indoeuropea documenta in un'iscrizione sinistrorsa i cui caratteri somigliano a quelli dell'alfabeto latino (Castelliere di Dos dell'Arca, Capo di Ponte):
 
DIEV  

Esiste anche un'altra attestazione più antica e assimilata alla fonologia dellingua nativa, derivata dalla stessa protoforma (Naquane, Roccia 60): 

ties "di Giove" 

Si tratta evidentemente di un genitivo sigmatico della stessa parola.

Gli autori antichi erano ben consapevoli dell'esistenza di un vero e proprio etrusco alpino. Fondandosi sull'autorità di Catone il Censore, Plinio il Vecchio riporta che gli Euganei si suddividevano nelle tre stirpi: Camuni, Triumpilini e Stoni. Era evidente la loro somiglianza con i Reti, oltre all'origine linguistica comune con gli Etruschi.

Raetos Tuscorum prolem arbitrantur a Gallis pulsos duce Raeto. Verso deinde in Italiam pectore Alpium Latini iuris Euganeae gentes, quarum oppida XXXIIII enumerat Cato. ex iis Trumplini, venalis cum agris suis populus, dein Camunni conpluresque similes finitimis adtributi municipis.  
(Plinio il Vecchio, Naturalisi Historia, Libro III, paragrafi 133-134)

"Si ritiene che i Reti siano di stirpe etrusca, scacciati dai Galli e guidati da Reto Voltandoci verso l'Italia, [incontriamo] i popoli euganei delle Alpi sotto la giurisdizione romana, dei quali Catone elenca trentaquattro insediamenti. Fra questi i Trumplini, resi schiavi e messi in vendita assieme ai loro campi e, di seguito, i Camunni molti dei quali [furono] assegnati ad una città vicina." 

Tito Livio ci trasmette un'importante opinione sulla lingua di queste genti.
 
Alpinis quoque ea gentibus haud dubie origo est, maxime Raetis, quos loca ipsa efferarunt ne quid ex antiquo praeter sonum linguae nec eum incorruptum retinerent. 
(Tito Livio, Ab Urbe Condita, Libro V, paragrafo 33

"Anche le popolazioni alpine hanno senza dubbio origine da questa gente [gli Etruschi], soprattutto i Reti, che i luoghi stessi hanno reso selvaggi, non conservando nulla del passato, salvo il suono della lingua e neppure questo incontaminato." 
 
Spesso si trova sonum linguae tradotto in modo fuorviante con "inflessione della parlata", come se si trattasse di un semplice accento. Non ci sono dubbi che Tito Livio alludesse invece alla concreta somiglianza dei vocaboli oltre che alla fonetica. L'allusione alla "contaminazione" è un indizio del fatto che si percepivano non sono somiglianze con l'etrusco, ma anche differenze, dovute anche a prestiti lessicali da altre lingue.  

 
Le iscrizioni in alfabeto latino 

Nonostante la scarsità sostanziale di petroglifi camuni di età romana, sono noti due alfabetari latini incisi sulle rocce a Piancogno e a Redondo. Si trovano anche alcune iscrizioni in latino. Interessante è il caso di un antroponimo bizzarro, leggibile a Crap di Luine (Boario), sulla Roccia 10:

MVCRO
 
In latino la parola mucro (genitivo mucrōnis) indicava una pietra liscia e appuntita o una punta di pietra. Si tratta di un vocabolo non indoeuropeo, molto probabilmente preso a prestito dagli Etruschi. 
 
A Foppe di Nadro, sulla Roccia 29, si trova un'iscrizione latina: 
 
SCAB(O) / LVCIVS  

La vocale (O) è in realtà non è visibile. Zavaroni fa notare che la A si SCAB(O) è di tipo falisco, simile a una R. Per questo motivo sono in passato state date interpretazioni fuorvianti, leggendo SCRB iupu o SCRB upui (Mancini, 1980). 

A Cimbergo, sulla Roccia 5, si trova un'iscrizione latina destrorsa: 
 
IOVIS 
 
Nonostante sia un chiarissimo genitivo del nome della divnità celeste ("di Giove"), alcuni autori hanno interpretato il testo come un'abbreviazione di IOVI S(ACRUM) "sacro a Giove" (Buonaparte, 1985; Valvo, 1992).
 
Un'iscrizione rupestre destrorsa trovata a Bedolina, su una roccia vicina a una baita, è redatta in lingua camuna ma in caratteri latini. La lunghezza complessiva è di 6,2 centimetri. Questo è il testo:

SILAV TOSSIAI ACILAV 

Si vede subito che ACILAV è corradicale dell'etrusco acil "opera". Possiamo tradurlo con "dell'opera", data la presenza della tipica desinenza camuna -au, corrispondente all'etrusco -al. La lettura di questa iscrizione ha una storia molto tormentata. Si pensi che Altheim nel 1937 aveva letto la sequenza come TITOSAN.QUUOS, cosa in apparenza sensata, se non fosse che la prima lettera T- era nata da un suo arbitrio, non sopportando egli la lettura IITOSAN.QUUOS. Prosdocimi per contro si contentò di una ricostruzione mutila, ?]TOS[x]NQ[xx]O[?, dove x indica un carattere illeggibile. La restaurazione della corretta lettura del testo si deve a Zavaroni, con l'aiuto di Priuli. 

 
Scene venatorie ed erotiche 
 
Nell'antichità preromana erano diffusissime raffigurazioni connesse con la caccia, ma anche con la zooerastia, ovvero col sesso con animali: questa pratica era diffusa tra i Camuni. A Còren del Valento si trova un notevole petroglifo, databile 10.000 anni fa (inizi del Neolitico), che illustra un guerriero intento a copulare con un equino infilandogli il mazzone gigantesco nell'ano, scavando morbosamente nell'intestino retto. 
 
 
La fantasia era sfrenata fin dall'inizio: in petroglifi del Mesolitico, in diversi casi si vede un cane intento a leccare lo sfintere anale di un cervo! Si noterà che il cane leccatore, il cervo leccato e il cacciatore hanno tutti e tre il fallo eretto fino a scoppiare. Mi accingo ad enunciare un'ipotesi assai ardita, che molti troveranno stupefacente. I Camuni devono aver selezionato una particolare varietà di segugi addestrati specificamente per infilare la lingua nel buco del culo ai cervi. Il cervo maschio, nel sentirsi lambire la parte più intima, con insistenza, doveva provare un grandissimo piacere. Così il fiero animale cadeva facile preda delle imboscate dei cacciatori, che prima lo trafiggevano con le lance e poi lo sodomizzavano, scaricando lo sperma nel budello, tra le feci ancora calde. Questi dovevano essere i segreti degli antichi Clan di cacciatori Camuni! Non so cosa darei per poter avere una macchina del tempo e studiare questo popolo così bizzarro. Senza dubbio dovevano imperare virus e parassiti molto inconsueti, a causa di costumanze sodomitiche così fantasiose! Pure nessun Dio ha mai mandato una pioggia di fuoco e di zolfo sulle fiere genti di quella valle e sfido qualunque cultore delle Scritture a provarmi il contrario.  

 
Petroglifi e iscrizioni dell'Età
Medievale e Moderna 

 
Alle Campanelle di Cimbergo ci sono opere petroglifiche molto interessanti, di epoca decisamente più tarda di quelle del periodo più glorioso della storia dei Camuni. L'opinione generale degli accademici vorrebbe queste testimonianze ispirate a uno spirito non religioso, "laico", mentre non gode più di grande credito l'idea che si siano avuto l'intento di risacralizzare tramite simboli cristiani i precedenti luoghi di culto pagani. Tale interpretazione semplicistica non tiene conto del fatto che i valligiani istoriavano ciò che vedevano nella loro vita di tutti i giorni e ciò che costituiva il loro immaginario. Non esiste "vandalismo", come certi neopagani si ostinano ad affermare con una certa dose di rabbia: tutto contribuisce alla sedimentazione dei fossili della Storia e ha il suo interesse. Abbondano incisioni che rappresentano impiccagioni con tanto di boia, a volte cancellate a colpi di scalpello, certo per paura superstiziosa. Altre opere petroglifiche rappresentano torri con vedette provviste di stendardo, aquile imperiali e soldati armati del cosiddetto spiedo friulano, una specie di alabarda usata dagli eserciti delle Venezie nei secoli XIV-XV (Sansoni, 1996). Troviamo anche numerose manifestazioni di religiosità (Cominelli, 2006), non soltanto ortodosse: oltre a raffigurazioni di chiavi, bare e monaci, si notano anche simboli esoterici come il Nodo di Salomone e persino quelle che sembrano prove dell'esistenza di una rudimentale forma di Satanismo. 
 
Questo testo è in apparenza un imperativo piissimo: 
 
Ambula in via D(omi)ni 
 
Ed ecco qualcosa che non ci si aspetterebbe: 
 
666 
 
Il Numero Satanico precede una scritta in lingua romanza, non completamente comprensibile, anche se è senza alcun dubbio un'allusione al fulmine, assai temuto dai montanari: 
 
Quan che il folgora se bussa [?] una […][…]che risa [?]  
 
Un'altra iscrizione romanza, poco sopra, allude al frumento: 

N[…] compr[…] c[]na formet vago del plan d[…] cimberc en sac […] 

Il vocabolo formet /for'met/ è proprio il frumento (latino frūmentum). Vicino si trova quella che dovrebbe essere la firma di uno scalpellino: 
 
 [.]DO DE FRANZO A SCHRITO IN QVESTO PREDO 

Ci vorrebbe un'enciclopedia per esporre in dettaglio tutto lo scibile sulla cultura e sulla storia della Val Camonica. Tanto per rendere l'idea dell'ambiente singolare, basterà citare un episodio grottesco risalente alla metà del XVIII secolo: i protagonisti sono dei fratacchioni che in una chiesa facevano crapule, ingurgitando quantità ingenti di vino e di ostie!
 
 
Il Diavolo con la mandragola 
 
Sempre a Cimbergo si trova una sorprendente raffigurazione del Demonio, ritratto come un umanoide paffuto. Si noti la caratteristica itifallica: l'organo sessuale del Diavolo è eretto ma penzolante, proprio come nei guerrieri antichi dipinti nell'atto di cacciare i cervi. Il cranio del Principe delle Tenebre è massiccio e sferico, l'espressione è grifagna e due piccolissime corna sporgono sull'ossatura parietale. Una coda non troppo pronunciata pare ravvisarsi su un fianco della figura diabolica. Nel complesso lo stile può sembrare molto involuto, addirittura rudimentale, eppure credo che questa raffigurazione meriti di essere ricordata e commentata. Vicino al Diavolo itifallico si vede uno stranissimo vegetale, un po' somigliante ad una rapa: è una mandragola, pianta dal notorio potere afrodisiaco, sicuramente associata all'atto sessuale. Molto interessante è l'articolo di Carlo Cominelli, Angelo Giorgi, Salvatore Lentini e Pier Paolo Merlin, Per una storia della mandragora nell'immaginario della Valcamonica (Italia settentrionale), pubblicato su Eleusis - Piante e composti psicoattivi (2004). Riporto il link: 

https://www.samorini.it/doc1/alt_aut/ad/
cominelli-storia-mandragora-immaginario-
valcamonica.pdf


L'uomo bisognoso e il pappone 
 
Non lontano dal luogo dove è incisa la figura del Diavolo con la mandragola, è presente un'altra sorprendente testimonianza di vita quotidiana della Valcamonica. Questo è il testo dell'iscrizione, in lingua romanza: 
 
Roro, dam una bella pula de foter che la tolirò ades ades de quelli de Cim[bergo] la più

L'interpretazione è chiarissima:

"Roro, dammi una bella ragazza da fottere che la prenderò or ora da quelli di Cimbergo di più"
 
Lo stravagante antroponimo Roro è verosimilmente un ipocoristico di Roberto o di Rodolfo
Il termine pula indica alla lettera una giovane gallina e potrebbe ben tradursi con "pollastra" o "pollastrella". Soltanto un ritardato avrebbe difficoltà a capire che la parola allude a una ragazza in un contesto sessuale.  
Il verbo foter /'foter/ "fottere" è notevole per la conservazione della terminazione -er dell'infinito, che nelle parlate attuali è scomparsa. Compare lo stesso verbo sessuale, inciso nella roccia, in altre due occasioni, segno dell'estremo interesse delle genti camune per la sessualità sfrenata.  

Pur di evitare di ammettere la scandalosa esistenza di uno stravagante pappone di nome Roro, i romanisti si sono inventati interpretazioni fantomatiche. Innanzitutto si sono concentrati sull'osceno verbo foter, facendolo passare a viva forza per un'improbabile contrazione del sostantivo forahter "forestiero", anche se il risultato non è grammaticalmente sensato! Questo caso grottesco mi richiama alla memoria l'interpretazione surreale che un archeologo ha dato di un bassorilievo sumerico in cui un uomo è raffigurato nell'atto di penetrare una donna more ferarum: secondo lui quella sarebbe stata la raffigurazione di un tentativo di salvataggio di una povera donzella dalle acque dell'Eufrate!  
 
 
L'epilogo 
 
L'ultima testimonianza nota dell'arte petroglifica camuna è a quanto pare una scritta novecentesca di argomento religioso: 
 
W IL S. PADRON   

Se il genere umano sopravvivrà, non è escluso che al libro dei petroglifi camuni possano aggiungersi nuove pagine.