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martedì 28 aprile 2020

 
LA JETÉE

Titolo originale: La jetée
Paese di produzione: Francia
Lingua:
Francese, tedesco  

Anno:
1962 

Durata:
28 min

Colore:
B/N 

Genere:
Fantascienza 

Sottogenere:
Distopia, mondo postatomico, viaggi nel tempo,
     ucronia 

Regia:
Chris Marker 

Soggetto:
Chris Marker 

Sceneggiatura:
Chris Marker 

Produttore:
Anatole Dauman 

Casa di produzione:
Argos Film 

Fotografia:
Chris Marker, Jean Chiabaut 

Montaggio:
Jean Ravel

Musiche:
Trevor Duncan 

Fonico:
Antoine Bonfanti 

Interpreti e personaggi: 

    Hélène Châtelain: La donna

    Davos Hanich: L'uomo 

    Jacques Ledoux: Lo sperimentatore 

    William Klein: Un uomo del futuro 

    Janine Klein: Una donna del futuro 

    Ligia Branice: Una donna del futuro 

    André Heinrich 

    Jacques Branchu

    Pierre Joffroy 

    Étienne Becker
    Philbert von Lifchitz

    Germano Faccetti
    Jean Négroni: Il narratore

Traduzioni del titolo:
    Inglese: The Jetty
    Tedesco: Am Rande des Rollfelds
    Spagnolo: La Terminal
 
 
Trama: 
Il protagonista, di cui non si conoscerà mai il nome, è marchiato da profondo trauma. Un'immagine lo perseguita, insopportabile come una cicatrice dolente. È una memoria di quando era bambino e si trovava all'aeroporto di Orly con i suoi genitori. Il flashback sembra un eterno presente. Un uomo viene abbattuto da colpi di arma da fuoco e stramazza sul cemento, proprio davanti ai suoi occhi, ma la sua attenzione si fissa su una donna. Subito dopo scoppia la Terza Guerra Mondiale. La Francia viene sconfitta, Parigi è rasa al suolo da un bombardamento termonucleare e invasa. La terra stessa viene contaminata dalla radioattività, così la popolazione per sopravvivere è costretta a rifugiarsi nel sottosuolo. I vincitori dominano su un regno di rovine e di ratti. La specie umana è condannata: si vanno esaurendo le risorse alimenari e le fonti di energia. La sola speranza è il viaggio nel tempo. Gli sperimentatori, che sono più sadici e spietati del dottor Mengele, scelgono il protagonista proprio per via del suo tenace attaccamento alla sua ricorrente visione del passato, dotata di un'intensità straordinaria. Trovarlo tra migliaia di prigionieri non è stato difficile: la polizia spia persino i sogni. Le precedenti cavie inviate nel passato sono morte all'istante oppure sono impazzite a causa dello shock di trovarsi in un tempo diverso dal loro. Il viaggio crononautico avviene con mezzi chimici: alla vittima viene iniettata negli occhi una specie di siero che causa la proiezione della mente nel passato. La transizione ha inizio. Mentre il corpo rimane inerte nel suo giaciglio simile a una amaca, la figura del viaggiatore compare altrove nello spaziotempo, come un fantasma che tuttavia è composto di carne e di ossa - e che dovrebbe essere in grado di interferire con gli eventi. Esauritosi l'effetto del siero, il crononauta ritorna nella miseria della propria pseudo-vita nel sotterranei, come se si fosse destato da un sogno. Così il protagonista giunge nel passato, prima che Parigi fosse annichilita. Incontra proprio quella donna che aveva colpito la sua immaginazione quando da bambino l'aveva vista all'aeroporto di Orly. La corteggia e nel corso di diversi viaggi temporali riesce a conquistarla. I due vivono una storia d'amore e visitano uno spettrale museo pieno di animali impagliati. Quando gli sperimentatori comprendono che l'uomo non è riuscito a trovare nessun mezzo in grado di permettere la sopravvivenza del genere umano e di ricostruire la civiltà crollata, decidono di inviarlo nel futuro. Il crononauta trova una Parigi riedificata, perfettamente funzionante e abitata da un'umanità nuova. Le persone sembrano prive di vita, come se fossero gelidi zombie. Simili a ombre dell'Ade, hanno uno sguardo fisso e comunicano senza muovere le labbra. Rivelano al visitatore giunto dal passato il modo di trovare una fonte di energia e di avviare la ricostruzione, permettendo così la propria stessa esistenza nel presente. Subito l'uomo fa ritorno dagli sperimentatori, rivelando loro il segreto che gli è stato comunicato. Gli abitanti del futuro, che sono a loro volta in grado di viaggiare nel tempo, lo raggiungono e gli propongono di vivere con loro. L'uomo però chiede di poter realizzare un desiderio diverso: quello di tornare per sempre a vivere nel passato, dalla donna che ama. Questo gli viene concesso. Si ritrova così proprio all'aeroporto di Orly. Vede la donna e corre verso di lei, ma a questo punto viene raggiunto da un sicario, che è stato inviato dagli sperimentatori per abbatterlo. Se l'uomo riuscisse a coronare il proprio sogno, farebbe venir meno la catena di causazione in grado di scongiurare l'annientamento dell'umanità. Così viene abbattuto a colpi di pistola e all'improvviso, in limine mortis, comprende l'atroce verità, vedendo di fronte a sé la figura di un bambino. Quel bambino è lui stesso da piccolo. Ecco svelato il mistero della visione che lo perseguitava: quella che aveva visto era la propria stessa morte!

 
Recensione: 
Questo vibrante capolavoro è unico nel suo genere. Non ricordo di essermi mai imbattuto in un filmato girato usando la stessa originalissima tecnica. È stato definito un fotoromanzo (photo-roman). Consiste infatti in una sequenza di fotografie in bianco e nero, cariche di un orrore assoluto, indicibile, interstiziale e subliminale, che pervade fino al midollo e comunica ad ogni istante il senso di Morte dell'Essere. Semplici ombre e sagome fungono da geroglifici dell'annientamento eterno, senza che a livello conscio si riesca a dare una spiegazione razionale del perché. Il finale dilania, infligge una ferita interiore simile a quella del protagonista. Tocca qualcosa di profondo come l'Abisso. Fa venire la pelle d'oca. Quello che il regista intendeva comunicare, lo si porta su di sé, lo si vive sulla propria pelle. Non è forse questo lo scopo ultimo del cinema? 
 
Per usare un linguaggio un po' tecnico, le fotografie sono stampate otticamente e si riproducono come un fotomontaggio di ritmo variabile. Sono state scattate con una Pentax Spotmatic. C'è soltanto una brevissima scena filmata da una cinepresa, una Arri 35mm. Tale ripresa non facile da distinguere, tanto è sfuggente: mostra la donna interpretata da Hélène Châtelain, che dorme e viene svegliata all'improvviso. La storia è narrata da una voce fuori campo. La musica, composta da Trevor Duncan, è sconvolgente e penetra in ogni fibra dell'anima.  

 
Il IV Reich 
 
Aerei simili a torpedini più neri dello spazio siderale, predatori i cui contorni hanno l'aspetto di buchi nel cielo. Inizia così la Nemesi della Francia. Bisogna aspettare un po' per avere un'idea più chiara sulle dinamiche belliche e sulle loro cause. Man mano che l'azione prosegue nei sotterranei, viene fornito qualche elemento importante. In sottofondo si sentono a lungo le parole mormorate che gli sperimentatori si scambiano nel corso delle loro sevizie. Lo spettatore attento capisce all'istante che stanno parlando in tedesco. Le foto del prigioniero torturato sono di un'intensità incredibile. Ho visto qualcosa di simile soltanto quando ho visitato Dachau. Non ci sono dubbi: la Germania è proprio la potenza vincitrice che ha ridotto in cenere la Francia. Possiamo così dire che il corso storico descritto nell'incipit del cortometraggio di Marker è a tutti gli effetti un'ucronia. Certamente la cosa è un po' problematica. Sembra che si disegni una strana continuità storica tra il defunto III Reich e un inimmaginabile IV Reich sorto nel corso del secondo dopoguerra, naturale preludio della Terza Guerra Mondiale. Si converrà che una simile trovata narrativa, per quanto dotata di un'immensa potenza, ha la stessa verosimiglianza di un ircocervo. Del resto, non si può pretendere che un film di 28 minuti sia un manuale di storia alternativa e che permetta di afferrare ogni minimo dettaglio dell'Apocalisse. 
 
 
Ontologia temporale 
 
L'ontologia temporale dell'opera di Marker è quella del loop, ossia del circuito crononautico chiuso e retrocausale, in cui chi viaggia nel passato per sfuggire alla maledizione del presente, scopre di essere proprio il fattore che provoca ciò che intendeva evitare. Così l'uomo, nel suo tentativo di raggiungere la donna che ama, causa proprio quell'immagine traumatica che è la causa prima della propria storia di orrori. Anche la salvezza offerta dalle genti del futuro può essere il frutto di una retrocausazione e genera paradossi a non finire. Il viaggio nel futuro non sarebbe di per sé un problema concettuale: lo diventa non appena si concepisce un ritorno da tale destinazione. Resta sempre il cruccio filosofico delle entità acausali, sempre insito in storie di questo genere. Le genti del futuro esistono perché qualcuno ha scoperto un ritrovato tecnologico che ha permesso alla Terra e alla specie umana di rigenerarsi. Orbene, sono le stesse genti del futuro a comunicare questa conoscenza al crononauta giunto dal passato. Lo stesso crononauta, ritornato al proprio cronotopo di partenza, rivela quanto appreso - e permette quindi proprio la rigenerazione della Terra e della specie umana. Senza il suo viaggio nel futuro, questo non sarebbe stato possibile. Ma non sarebbe nemmeno stato possibile avere un'umanità del futuro con la conoscenza salvifica in possesso. La domanda, senza risposta, è: "Da dove ha avuto origine tale conoscenza?"   
 
La Jetée e l'esercito delle 12 scimmie 
 
Proprio La Jetée ha ispirato a Terry Gilliam il concetto portante del suo film 12 Monkeys (L'esercito delle 12 scimmie, 1995). Non si tratta di un rifacimento, questo è abbastanza ovvio,  ma ci sono diversi punti in comune. Innanzitutto ritroviamo l'ambientazione claustrofobica in un futuro postcatastrofico, in cui i superstiti sopravvivono in sotterranei, in condizioni quasi impossibili. Molto simile è l'ontologia temporale e crononanutica, anche se nel film di Gilliam non si ha alcun tentativo di visitare il futuro per stabilire se l'umanità sia sopravvissuta e tentare di avere lumi su innovazioni tecnologiche salvifiche. Diversa è anche la motivazione che spinge gli sperimentatori a mettere a punto la tecnologia dei viaggi nel tempo e a mandare ricognitori nel passato. Trovare un rimedio tecnologico alla catastrofe, nell'opera di Marker. Trovare quale sia la stata la vera causa della catastrofe, nell'opera di Gilliam. Approfondiremo in altra sede l'analisi del confronto tra il cortometraggio di Marker e 12 Monkeys.
 
La Jetée e Vertigo 
 
Marker ha omaggiato Alfred Hitchcock incorporando sequenze che rimandano a Vertigo (La donna che visse due volte, 1958). Il crononauta si trova con la donna amata davanti a una sezione di sequoia con alcuni contrassegni posizionati su cerchi di crescita corrispondenti a importanti eventi storici. Le mostra il punto preciso della propria provenienza. La stessa cosa avveniva in una celeberrima scena faceva la protagonista di Vertigo, una donna conturbante ed enigmatica (interpretata dalla bellissima Kim Novak). Certo, una sequoia a Parigi non crescerebbe mai spontaneamente e l'elemento appare un po' incongruo, anche se è chiaro che l'esemplare sezionato della titanica conifera si trova in un giardino botanico.  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Segnalo alcuni interventi che mi paiono interessanti. Il primo è di un autore eccelso, a cui devo moltissimo. 
 
"Questo film strano e poetico, un misto di fantascienza, favola psicologica e fotomontaggio, crea nei suoi modi peculiari una serie di immagini bizzarre dei paesaggi interiori del tempo"
 
(La Jetée, recensione di James Graham Ballard su New Worlds, luglio 1966 - Traduzione su J.G. Ballard, Shake edizioni, 1994)
 
 
Certo, magari dal genio di Ballard mi sarei aspettato qualcosa di più. Ma forse lo scrittore inglese non ha mai stato Dachau. Notevole è una riflessione sull'ineluttabilità, pubblicata su un blog alla deriva nell'oceano dell'Oblio:   
 
"Quello che [il protagonista] scopre... è che il passato non è mai così semplice come vorremmo che fosse. Tornarci significa rendersi conto che non l'abbiamo mai capito. Inoltre scopre - e qui è impossibile dimenticare il messaggio di Marker per i suoi spettatori - che una persona non può comunque sfuggire al proprio tempo. Per quanto ci sforziamo di perdere noi stessi, saremo sempre trascinati indietro nel mondo, nel qui ed ora. In ultima analisi, non c'è scampo dal presente."
(Jake Hinkson, blogger di Tor Books) 
 
Cineforum Fantafilm 
 
Il cortrometraggio di Marker è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 14 dicembre 2009. Era un lunedì ed ero presente, come al solito pieno zeppo di whisky. Subito dopo, quella stessa sera, è stato proiettato il film di Gilliam, L'esercito delle 12 scimmie. È stata una doppia proiezione. Mentre ho seguito con grande attenzione La Jetée, la mente mi si è sfocata verso la metà di 12 Monkeys, vinta dai fumi del liquore scozzese: mi hanno svegliato quando mi sono messo a russare. Per fortuna avevo già visto al cinema il film interpretato dal simpatico Bruce Willis, all'epoca della sua uscita, e lo ricordavo abbastanza bene. In seguito ho avuto occasione di vedere e rivedere La Jetée, che costituisce per me una vera e propria ossessione; 12 Monkeys finora l'ho rivisto soltanto un'altra volta.

domenica 28 luglio 2019


CARNE

Titolo originale: Carne
Paese di produzione: Francia
Anno: 1991
Durata: 40 min
Rapporto: 2.35 : 1
Genere: Drammatico
Regia: Gaspar Noé
Soggetto: Gaspar Noé
Sceneggiatura: Gaspar Noé
Produttore: Les Cinémas de la Zone
Fotografia: Dominique Colin
Montaggio: Lucile Hadžihalilović
Musiche: Olivier Le Vacon
Interpreti e personaggi:
    Lucile Hadžihalilović: infermiera
    Blandine Lenoir: figlia del macellaio
    Philippe Nahon: macellaio
    Frankie Pain: padrona del locale
    Hélène Testud: cameriera
Sottotitoli in italiano: ZiaMarti & deadkennedys (TnTvillage)
Premi e riconoscimenti: 
    Prix George Sadoul 1991
    Prix des Rencontres Cinématographiques Franco-
         Américaines d'Avignon 1991


Sinossi:
Riporto in questa sede la didascalia che appare all'inizio, in caratteri gialli su uno sfondo scuro e opprimente: 

La viande de cheval, interdite dans la plus part des pays du monde, est pourtant très appréciée du peuple français. Des chevaux provenant des quatre coins du monde, sont quotidiannement dépecés puis commercialisés dans les deux milles boucheries chevalines de France. Cette chair, de nature douceâtre, a la réputation d'être la plus saine des viandes rouges.
Mais par préjugé, à cause de son prix modéré et de sa teinte violacée, certains l'appelent "CARNE".
 

Anche se il francese è soltanto un dialetto del latino volgare, proprio come l'italiano, e per questo dovrebbe essere ben comprensibile a tutti, riporto la traduzione a cura di ZiaMarti e dei deadkennedys: 

La carne di cavallo, proibita nella maggior parte dei paesi del mondo, è invece particolarmente apprezzata dal popolo francese. I cavalli provenienti dai quattro angoli del mondo sono quotidianamente fatti a pezzi e la loro carne messa in vendita nelle duemila macellerie cavalline della Francia. Questa carne di natura dolciastra ha la reputazione di essere tra le carni rosse più salutari in assoluto, ma per pregiudizio a causa del suo prezzo basso e del suo colore violaceo, alcuni la chiamano "CARNE".  


Trama:
È la tetra storia di un macellaio in cui non brilla neppure un barlume dello Spirito. Fatto senza il Verbo, egli è un puro e semplice golem, è come un ammasso di creta semovente mosso dai demoni. Questo essere brutale e osceno ingravida un'operaia, che fugge da lui lasciandogli il frutto della concupiscenza. Così il macellaio gestisce il suo negozio e cresce da solo la figlia, visibilmente ritardata e incapace persino di verstirsi. La lava e cerca di fare di tutto per trattenere la propria natura animalesca, che lo spingerebbe a consumare un rapporto incestuoso. Accade un giorno che la giovane, sconvolta dal suo primo menarca, raggiunge il padre in macelleria. Lui crede che lei sia stata stuprata da un garzone, un saraceno. Così lo raggiunge e gli assesta una pugnalata in corpo. Non riesce nel suo intento omicida, ma viene gettato in carcere. Perde la macelleria e la figlia, incapace di badare a se stessa, viene ricoverata in un manicomio. Scontata la pena, l'energumeno trova lavoro come cameriere in un bar gestito da una procace bionda di mezz'età, con cui finisce con l'avere una relazione. Qui viene la parte più tremenda... 


Recensione: 
Fin dal primo istante ci si trova immersi nell'angoscia e nell'incubo. Quella mostrata da Carne è una realtà degradata, un vero e proprio deserto ontologico. Non sembra nemmeno che sulla sua desolazione splenda lo stesso sole che l'abitudine ci spinge a considerare una preziosa fonte di luce. Persino i colori non sono normali, sembra che tutto viri verso un rosso fosco, quasi bruno, di certo allo scopo di imitare l'aspetto della carne equina sanguinolenta. La colonna sonora è inquietante, induce frenesia. Ho come una certezza in me, emersa dapprima in modo subliminale e poi sempre più esplicito, che in realtà l'intera vicenda non si svolga sul nostro stesso pianeta, bensì in qualche profondissimo recesso delle Tenebre Esteriori.

Alcune note etimologiche

Nel francese gergale, il vocabolo carne "carne equina" è chiaramente un prestito dall'italiano. Si tratta di un doppione di chair "carne", che invece si è evoluta come naturale esito dal latino carnem, forma accusativa di caro "carne". Nei sottotitoli in italiano questa opposizione si perde, dato che sia chair che carne vengono resi nella lingua di Dante con un'unica parola: carne

Una grande verità 

A un certo punto, in uno dei momenti più drammatici della pellicola, il brutale macellaio si protende verso la prosperosa donna bionda che ha davanti a sé. Si slaccia la patta. Prima che che la penetri, stantuffando dentro il suo canale procreativo e riempiendola di sperma, compare lo sfondo nero con una scritta che inchioda lo spettatore:  

LA PLUPART DES EMRYONS SONT CONÇUS PAR ACCIDENT.

La maggior parte  degli embrioni sono concepiti accidentalmente.

Un monito che andrebbe scolpito nel marmo e affisso ad ogni angolo di strada! Eppure l'uomo continua. Verso la fine della pellicola lo vediamo possedere more ferarum l'amante che ormai odia e disprezza - e lo fa con una certa violenza, sempre iniettandole il genetico nella matrice fertile. E pensare che la donna bionda avrebbe potuto soddisfare l'uomo usando la bocca, senza correre il pericolo di rimanere fecondata, senza immettere nel mondo un nuovo dannato! Evidentemente l'energumeno non apprezza neppure la sensuali voluttà della fellatio: in lui tutto è genoma fremente, teso come un argano di balestra da campo. Nessuna consapevolezza, nemmeno l'ombra di un pensiero. Soltanto il buio bestiale di un golem. Non è neppure la bramosia del piacere a muovere quel corpo immane, ma il comando del DNA e in ultima analisi la forza da cui ha origine: IL TERRORE DELLA MORTE! 

giovedì 25 luglio 2019


THE CHIMP

Anno: 1932
Regia:
James Parrott 
Produzione: Hal Roach 
Sceneggiatura: Harley M. Walker
Distribuzione: Metro-Goldwin-Mayer
Dialoghi: Harley M. Walker
Fonico: Elmer Raguse
Durata: 25 min 13 sec
Genere: Comico
Interpreti e personaggi:  
  Stan Laurel e Oliver Hardy, nei panni di sé stessi;
  Charles Gemora (la gorilla Ethel);
  Tiny Sandford (Destructo, il forzuto del circo);
  Jimmy Finlayson (presentatore dei numeri circensi);
  Billy Gilbert (proprietario della pensione);
  Dorothy Granger (Ethel, moglie del proprietario);
  Bobby Burns (pensionante).
Titolo in italiano: Il circo è fallito 

Comicità anarchica 

I copioni dei cortometraggi prodotti da Hal Roach, aventi per protagonisti Laurel e Hardy, subivano aggiustamenti e modifiche durante le riprese. Una cosa tutto sommato naturale e niente affatto rara nel mondo del cinema. Secondo quanto si legge in Laurel and Hardy: The Magic Behind the Movies, di Randy Skretvedt (Bonaventure Press, 2019), ciò accadeva spesso allorché si trattava di testi scritti da Harley M. Walker, accreditato come autore dei dialoghi di “The Chimp”.
L’espressione che meglio si presta a descrivere questo cortometraggio è “comicità anarchica”.
Non vi è traccia alcuna della melassa profusa a piene mani da Charlie Chaplin in “The Circus” (1928): a regnare è il gusto per la sovversione dei ruoli e delle regole, in barba a tutti i canoni.
Per questo “The Chimp”, a quasi novant’anni dalla sua realizzazione, conserva una sorprendente freschezza, cosa che non si può certo dire di opere coeve o posteriori.
Nel cast si segnalano alcuni straordinari caratteristi presenti in altri cortometraggi di Hal Roach. Mi riferisco anzitutto a James Finlayson, l’attore calvo coi baffoni ben noto ai fan di Laurel e Hardy.
Nel ruolo del proprietario della pensione troviamo il bravissimo Billy Gilbert, che molti di voi ricorderanno nei panni del medico ospedaliero in “County Hospital” (1932). Merita una menzione anche Stanley J. "Tiny" Sandford nella parte del forzuto del circo (nel 1933 lo ritroveremo sul set di “Busy Bodies”).
Straordinaria l’interpretazione della gorilla Ethel da parte di Carlos Cruz “Charles” Gemora. Era, questi, un immigrato filippino di piccola statura dalle spiccate doti artistiche. Trovò lavoro come scultore e truccatore a Hollywood e, in seguito, come attore, sempre indossando un costume da gorilla.
In questo ruolo ebbe modo di recitare accanto a Lon Chaney in “The Unholy Tree”, di Jack Conway (1930); Bela Lugosi in “Murders of the Rue Norgue”, di Robert Florey (1932); i Fratelli Marx in “At the Circus”, di Edward Buzzell (1939); Robert Mitchum in “White Witch Doctor”, di Henry Hathaway (1953). 

Pietro Ferrari


Trama: 
Stan e Oliver lavorano presso un circo equestre come inservienti. A causa della loro proverbiale inettitudine provocano il crollo del tendone, facendo fallire il circo. L’impresario, a corto di quattrini, annuncia ai dipendenti che non potendo pagarli in denaro suddividerà fra loro i beni del circo. A ciascuno verrà assegnato ciò che saprà disegnare su un foglio. Oliver si ritrova così proprietario di Ethel, una simpatica e intelligentissima femmina di gorilla; Stan del “circo delle pulci”, una scatoletta piena di insetti molesti. Mentre Oliver tenta di fabbricare con delle assi una gabbia per Ethel, si materializza un leone che prende a inseguire il bizzarro terzetto. Dopo una lunga corsa per le vie della città, i fuggitivi giungono nei pressi di una pensione il cui proprietario, proprio in quel mentre, è in preda a una crisi di gelosia furiosa poiché la moglie, che di nome fa Ethel proprio come la gorilla, è andata chissà dove e tarda a tornare. Mentre Oliver si accinge a firmare il registro degli ospiti, piombano nella hall Stan e Ethel, terrorizzati dal riapparire del leone. Il proprietario dà in escandescenze e intima loro di uscire. A questo punto non resta ai due che ingegnarsi. Oliver entra in una rimessa, si spoglia e fa vestire Ethel con i propri pantaloni, la giacca e il cappello. Lui, a sua volta, indossa la gonna di tulle di Ethel (che è una provetta ballerina). A vestizione conclusa, Stan e la scimmia riescono a farsi ammettere alla pensione. Mentre Oliver attende un segnale dell’amico, vede ricomparire il leone. Urlando per il terrore riesce, non si sa bene come, a chiudere il felino nella rimessa. Stan si affaccia alla finestra e Oliver gli fa segno di lanciargli i propri abiti: l’imbranatissimo Stan lancia i pantaloni dritti su un filo steso poco più sotto. Nel tentativo di recuperarli, Stan e Ethel cadono entrambi addosso al povero Oliver. Dopo aver abbandonato Ethel nei pressi di un cassonetto, i due amici tornano alla pensione. Arrampicandosi per la grondaia, Ethel raggiunge la finestra della loro stanza e vi si introduce, andandosi poi stendere nello stesso letto dove dorme Oliver, cui schiocca un bacio sul collo. Questi lancia un urlo e scaccia la scimmia, dicendole di andare a coricarsi nello sgabuzzino. Ethel obbedisce, ma non senza aver sottratto a Oliver la coperta. A questi non rimane che coricarsi accanto a Stan. Dopo pochi istanti i due cominciano a grattarsi: Stan ha lasciato inavvertitamente aperta la scatola del “circo delle pulci”! Nel frattempo, in una stanza vicina, un anziano pensionante mette in funzione un grammofono. Nell’udire il motivo musicale, Ethel si mette a ballare trascinando con sé Stan nella danza. Oliver esorta ripetutamente Ethel a tornare a letto. Il proprietario della pensione, che ancora rimugina sopra il ritratto della moglie fedifraga, nell’udire le parole di Oliver crede che siano rivolte alla “sua” Ethel e, impugnata una pistola, si precipita verso la stanza dei due amici, intimando loro di aprire la porta. I due fanno appena in tempo a nascondere Ethel nel letto della stanza accanto, quand’ecco che il proprietario fa saltare la serratura con una pistolettata e irrompe nella stanza gridando “Dov’è lei?”. “Lei chi?” replica basito Oliver. “La mia Ethel!” Stan indica senza esitazioni la stanza accanto. Il proprietario, scorgendo una figura nascosta sotto le coperte, attacca una vera e propria filippica – il cui effetto comico è moltiplicato dalle espressioni stupefatte di Stan e Oliver. “Pensa a quello che mi hai fatto, tu, che porti il mio nome, tu, la madre dei miei figli! Tu che io amo più della vita stessa!” In quel preciso istante la moglie del proprietario, rientrata a casa con l’aria trionfante della moglie infedele reduce da un appuntamento con l’amante, fa il suo ingresso nella stanza attirata dal vociare del marito. Questi nel vederla esclama: “Ethel!”. La gorilla, sentendo pronunciare il proprio nome, esce da sotto le coperte. La Ethel depilata scappa in preda al terrore e il marito, per lo spavento, lascia cadere a terra la pistola gridando a Stan e Oliver di portar via la scimmia. Ethel, stanca di tutto quel baccano, afferra la pistola e si mette sparare una gragnuola colpi sul pavimento, facendo fuggire tutti quanti.


Pietro Ferrari 


Alcune considerazioni

Ricordo di aver visto questo filmato quando ero ancora allo stadio larvale! Ne rammento anche un altro, in cui Oliver finiva immerso in una piscina piena di un elisir ringiovanente, emergendone come uno scimpanzé: una splendida satira al darwinismo! Peccato che queste comiche siano sempre state associate alla più estrema superficialità, quando in realtà contengono fulgidi tesori.  

Una constatazione lapalissiana 

Il titolo originale del corto cozza in modo stridente con il fatto che Ethel, la scimmia protagonista, non è affatto uno scimpanzé (genere Pan), bensì un gorilla (genere Gorilla). La forma abbreviata chimp, derivata da chimpanzee, è documentata per la prima volta nel 1877. Il nome esteso chimpanzee è documentato in inglese già nella prima metà del XVIII secolo (1738) e deriva da una lingua Bantu del Congo o dell'Angola (cfr. Kikongo chimpenzi "scimmia") - anche se attualmente non risulta che l'ominide sia presente sul territorio dell'ex colonia portoghese. Come mai il cortometraggio mostra una simile confusione tra grosse scimmie? La risposta è abbastanza semplice: non ci si può aspettare che una persona di cultura anche media avesse, nella prima metà del XX secolo, l'acume e le conoscenze di un tassonomo. Non è poi escluso che la scelta abbia avuto una sua componente estetica: The Gorilla non sarebbe suonato bene come The Chimp.

mercoledì 5 giugno 2019



CONTAMINATION 

Regia: Carl Stevenson
Paese: Regno Unito
Anno: 2004
Categoria: Animazione
Genere: Horror, fantascienza
Sottogenere: Distopia, fantabiologia, fantagenetica 
Durata: 6,23 min
Formato: DVCam

Sinossi
Uno sguardo su un futuro sconvolgente, in cui la contaminazione trasversale di materiale genetico sfugge ad ogni controllo. Utilizzando una combinazione di animazione in 2D e in 3D il film crea un’atmosfera surreale e disturbante, in cui ci si muove alla scoperta di nuove, ibride forme di vita: gatti con la testa di piccione, piccioni con la testa umana e uomini con le ali sono il frutto di una visione, fantastica e inquietante, dei possibili sbocchi di una sperimentazione genetica portata ai limiti estremi.

Recensione: 
Un universo abissale di tenebra profonda, più oleosa della morchia, in cui non attecchisce nemmeno una singola scintilla. Vi regna un solo sovrano assoluto e implacabile: la Disperazione. Non sembra una semplice visione del futuro, per quanto distopico, direi che si tratta piuttosto di uno sguardo nei recessi più bui dell'Ade. Carl Stevenson ci mostra le Tenebre Esteriori, la Valle di Hinnom. Mentre le foglie spettrali cadono dagli scheletri di alberi in cui non alberga traccia di vita, sibilando, sembra di sentire in sé formarsi queste parole: "lasciate ogni speranza, voi ch'intrate". L'Essere non può sussistere in quelle orride vastità delle Ombre, viene degradato, si disperde urlando e gemendo, senza però trovare pace nell'annientamento. Penso che non ci sia nulla di più adatto a descrivere la condizione di Dannazione Eterna. 

Stevenson non poteva sapere niente del Connettivismo, visto che quando produsse il cortometraggio il movimento era ancora in uno stato embrionale. Possiamo però dire che la sua opera è di un estremo interesse e che può essere ritenuta connettivista per via della sua stessa intima natura. 

La Notte dell'Essere

Fu con questa consapevolezza che concepii e realizzai un blog assieme al mio fraterno amico P., il cui nick è Nodens, negli ormai lontani giorni della piattaforma Splinder. Era il 2004. Il portale aveva come titolo La Notte dell'Essere (l'indirizzo era darkmans.splinder.com). Lo utilizzammo per postare immagini tratte da fotogrammi di film che mostravano strani effetti quantistici a causa di un disturbo nella masterizzazione. Le figure umane si sparpagliavano, si ibridavano tra loro e con l'ambiente circostante. Osservare quelle sequenze comunicava sensazioni molto disturbanti. Purtroppo non siamo riusciti a continuare con questo progetto, che non ha comunque riscosso grande plauso nel Web. Il blog esiste ancora, è stato importato prima sulla piattaforma Iobloggo, poi abbandonata a causa della sua decadenza, e infine su Blogspot, dove è consultabile: 


In Cant, un gergo furbesco inglese, darkmans significa "notte".     

Ibridismi verbali  

Ricordo quando io e Nodens, ci ponemmo una domanda per gioco, per sdrammatizzare: cosa succederebbe se provassimo a ibridare un piccione con un filantropo? Ecco il risultato a dir poco mostruoso, purtroppo soltanto a livello di linguaggio scherzoso e non di corpi fisici: 

antropiccionofilo
antropofilopiccione
filopiccionantropo
filantropiccione
picciofilantropo
piccioantropofilo 

Questa operazione, forse un po' infantile, ebbe su di noi l'effetto di una boccata di gas esilarante e ci recò non poco sollievo.

sabato 1 giugno 2019


CON GLI OCCHI DI DOMANI

Anno: 2006
Regia: Mario Gazzola, Walter L'Assainato
Sceneggiatura:
Mario Gazzola, Walter L'Assainato 
Montaggio: Walter L'Assainato
Soggetto: Walter L'Assainato, liberamente ispirato al
      romanzo L'occhio del Purgatorio, di Jacques Spiltz
Fotografia: Walter L'Assainato
Interprete: Vito Longo
Durata: 15,19 min
Genere: Fantascienza, horror
Sottogenere: Distopia, cyberpunk 


Sinossi (da Posthuman.it):
"Con gli occhi di domani" (Regia di Mario Gazzola, Walter L'Assainato - prodotto da posthuman 2006 - 15 minuti) è una storia difficilmente classificabile. Si potrebbe definire un horror metafisico, ambientato in un futuro di tecnologie utopiche e ossessioni. Il protagonista di questa storia è un restauratore. Disperatamente in cerca di modi per verificare se il suo restauro durerà nel tempo. Il B45 è il libro che sta cercando di restaurare... ma qualcosa turba il suo lavoro...

Trama:
Il protagonista del cortometraggio, il dottor Spitz, ha un solo scopo nella propria esistenza: restaurare libri ed essere sicuro della durata del suo lavoro nel tempo. Il problema è che accusa gravi disturbi percettivi. Quando si prepara da mangiare, non vede il cibo. Agisce come per automatismo, portandosi alla bocca "bocconi di niente" e meravigliandosi che abbiano "sempre lo stesso sapore". Presto si capisce il perché. Egli vede ogni cosa come sarà nel futuro. Si è rivolto a uno scienziato offrendosi come cavia di una perigliosa sperimentazione. Così gli è stato praticato un innesto cerebrale in grado di influenzare la sia visione delle cose. Il punto è che i suoi nervi ottici non gli mandano all'encefalo soltanto le immagini dei suoi volumi in restaurazione. Egli vede i bambini come vecchi decrepiti e malati di morbo di Alzheimer, vede gli edifici come ruderi. Il sovraccarico cognitivo lo annienta, costringendolo ad abusare di tranquillanti, fino a giungere al limite estremo della sopportazione. Come Edipo, Spitz si acceca. Si squarcia i globi oculari servendosi di un coltello arrugginito, rendendo un cielo rosso e tiepido di sangue il suo stesso campo visivo, che una volta aveva abbracciato il mondo intero oltre l'orizzonte del presente. Oltre il punto di annichilimento che costituisce il presente.

Recensione:
A causa dell'innesto di un microchip nel cranio, l'infelice restauratore acquista un potere inaudito, quello di scrutare nel crepitante mare di entropia che chiamiamo "futuro", riuscendo a fissare negli occhi il collasso della funzione d'onda ontologica che lo farà diventare presente. Egli sposta la definizione della propria esistenza e del mondo che lo circonda, proiettandola come uno spettro nel reame di ciò che non esiste. Una lacerazione nel tessuto della realtà, una falla nella nostra esperienza presentacea, che lascia irrompere ciò che normalmente non possiamo vedere. Le conseguenze sono destabilizzanti. Il rumore, il ronzio, le variabili fisiche sfocate, prive di definizione. L'Orrore. La mole di informazioni che ne deriva e la loro natura annichilente portano l'uomo alla follia - o forse a una consapevolezza così estrema da essere incompatibile con la sopravvivenza. "Con gli occhi di domani"... ma potremmo benissimo dire "con gli occhi dei Demoni". Ogni cervello contiene un interruttore. Normalmente è spento. Se viene attivato - e in questo caso a farlo è la tecnologia cibernetica - si entra in un universo di una vastità inconcepibile, il cui potere distruttivo è tale da ridurre l'Essere a un pugno di mosche morenti. Questo corto è un capolavoro del Connettivismo!

sabato 27 agosto 2016


 
BARBRA STREISAND ATTRICE PORNO

Titolo: Sconosciuto
Anno di produzione: Sconosciuto (anni '60) 
Regia: Sconosciuta
Colore: Bianco e nero
Sonoro: Muto
Durata: circa 11' 30''
Genere: Pornografia, hardcore
Interpreti: 

   La protagonista: Barbra Streisand
  Il suo amante: Sconosciuto
Presenza nel Web:
Reperibile su Xvideos.com (versione restaurata) o su Xhamster.com (senza alcune sequenze iniziali e con una breve introduzione), digitando "Barbra Streisand" nella finestra di ricerca.
Avviso:
Eventuali minori di 18 anni sono invitati a non proseguire nella lettura.

Trama:
La giovane donna, chiaramente riconoscibile, bacia in bocca il suo amante e lo masturba con grande abilità. Si capisce che è qualcosa che ha fatto a moltissimi uomini. Lui la palpa e la denuda, mentre lei continua a toccarlo. Il fallo è svettante e lei dopo qualche indugio lo accoglie in bocca, iniziando a succhiarlo con grande passione. A un certo punto l'uomo allunga una mano per prendere da un cassetto un condom dalla forma assai peculiare, provvisto di doppio serbatoio spermatico. È un guanto di gomma assai scomodo, che lui si infila con grande fatica: evidentemente a quell'epoca non stava bene che dell'operazione si occupasse la donna. Alla fine il fallo è di nuovo pronto. Barbra sorride divertita, quindi inizia di nuovo a praticare la fellatio, prendendo la gomma tra le labbra. Lei si eccita e sale a cavalcioni sul suo amante, che lentamente la penetra nella vagina. Per un po' si vedono i suoi lucidi testicoli prorio sotto le natiche dell'attrice, mentre l'asta si muove all'interno. Poi all'uomo viene qualche fastidio, così esce dal vaso procreativo e decide di togliersi lo scomodo profilattico. Lei si mette nella posizione detta reverse cowgirl, e lui le infila dentro il fallo, questa volta senza protezione alcuna. Anche in questa occasione l'atto gli riesce poco agevole, così la fa distendere a gambe all'aria e le entra dentro, stantuffandola a fondo. Le provoca un orgasmo, quindi si distende sulla compagna di giochi in un inconsueto sessantanove. Per Barbra la posizione deve essere un po' scomoda. Lui le lecca il cunnus a fondo, avidamente, mentre lei succhia il membro fino a provocare l'eruzione dello sperma, che tracima dalla bocca e resta a lungo visibile mentre le cola sulle guance e sul collo. Finita la performance erotica, ecco la Streisand mostrarsi in una posa da dea greca, con un sorriso a 360 gradi e il seno bene in vista, piena di sé e della sua capacità seduttiva.   

Recensione:
Ovviamente questo corto deve essere valutato tenendo conto dei mezzi che esistevano all'epoca, senza fare paragoni tecnici con materiale recente. Le immagini sono un po' sfocate: il filmato deve essere stato riversato dalla pellicola, ed è noto che la celluloide soffre gli effetti del tempo che passa. Interessante spunto di riflessione antropologica è il sessantanove con l'uomo sopra e la donna sotto, che nell'attuale pornografia è cosa del tutto inconsueta. Al giorno d'oggi è l'uomo a stendersi e la donna a mettersi sopra di lui, per avere maggiore libertà di movimenti e succhiare più facilmente. Si può immaginare che fellare il fallo di un partner disposto in modo tanto assurdo provocherebbe i crampi a qualsiasi donna. Anche se i costumi erano in una fase di rapido cambiamento, persistevano residui di comportamenti di un'epoca precedente, in cui era ritenuto poco dignitoso per un uomo stare sotto a una donna. Così l'attore del film, dopo aver malsopportato di copulare con la partner nella posizione della reverse cowgirl, affermava la sua dominanza distendendosi sul corpo di lei, anche a discapito del proprio piacere. All'epoca la donna non era ritenuta un essere semidivino come oggi. Di conseguenza il sesso era vincolato a giudizi e pregiudizi che ai moderni apparirebbero ridicoli e che non mancavano di contraddizioni. Leccare la vulva andava bene, ma era una cosa che andava fatta stando sopra la donna. Scavare in queste assurdità ai limiti del grottesco non è vanità come potrebbe sembrare a prima vista: è fare antropologia nel modo più serio. 

La strana reazione dell'attrice
e l'isterismo dei fan 

A quanto ho potuto leggere, quando il filmato è saltato fuori, la Streisand ha chiesto di visionarlo per "capire se quell'attrice fosse lei". Un'ammissione abbastanza esplicita del suo coinvolgimento nella produzione di materiale pornografico, oltre che del fatto che di simili stag dovevano essercene parecchi. Di fronte a quelle pruriginose sequenze se ne è stata zitta, come la moglie di Lot quando si è girata verso Sodoma. Non appena ha potuto biascicare qualche parola, ha proferito assurdità, dicendo che le dita dell'attrice non sarebbero state le sue, che il corpo sarebbe stato troppo pingue (chubby) per essere il suo, raccomandando di non sprecare soldi per acquistare il filmato. Tutte dichiarazioni che non hanno riscontro con la realtà dei fatti. Il problema risulta essere soprattutto dei fan della diva, che vengono ancor oggi scossi da convulsioni isteriche ogni volta che si menziona l'accaduto. Di certo è sorprendente che la Streisand faccia la serafica di fronte a questa sua testimonianza intima di tanti anni fa, mentre sappiamo che ha fatto il diavolo a quattro per la pubblicazione nel Web della foto di una sua villa, scatenando un esercito di avvocati per ottenerne la rimozione. Molti fan continuano a giurare a a spergiurare che la donna del film non sia Barbra, ma è chiaro che non hanno argomenti convincenti da proporre. Le fattezze dell'attrice sono talmente inconfondibili da non poter trarre in inganno. Stesso naso prominente, stessi occhi, stessa grande bocca, stesso sguardo, stesso sorriso, stessa gestualità, stesso modo di fare e di mettersi in mostra. Anche le dita sono le stesse! Assolutamente impossibile che si tratti di mere coincidenze. La teoria dei sosia, secondo cui ognuno di noi avrebbe almeno tre doppioni sul pianeta, è soltanto paccottiglia memetica. Molti sono convinti che sia vera, ma non lo è: i cosiddetti sosia non somigliano per nulla all'originale. Le genti ravvisano somiglianze soltanto per una diffusa prosopagnosia, ossia incapacità di riconoscere i lineamenti. Ad esempio, per moltissimi basta che due uomini abbiano una barba simile e dello stesso colore per far urlare al sosia. Ricordo che un mio amico fu per questo motivo considerato identico al protagonista di una telenovela che, se non vado errato, si intitolava "Nido di Rospi". Inutile dire che le somiglianze esistevano soltanto nella fantasia delle carampane isteriche che seguivano quel programma spazzatura. Gli unici sosia ben riusciti sono quelli dei potenti, resi somiglianti all'originale con decine di operazioni di chirurgia plastica. Dire che la pornodiva Tasha Voux e la Streisand sono come due gocce d'acqua - come è stato detto - è un marchiano nonsenso.

Una pellicola reale, non un meme

Gli inizi per Barbra Streisand nella suburra di New York non sono stati dei più facili. Prima che la fama cominciasse ad arriderle, il rischio di morire di fame sarebbe stato per lei più che concreto, se la sua morale fosse stata troppo vincolata al concetto di castità. Tuttavia lei si differenziava da tante prostitute che si vendevano nelle strade della metropoli: era infatti una giovane liberale. Così pensò di sfruttare un'arte che allora era all'avanguardia e di far filmare le sue performance in cambio di denaro - cosa che di certo le permise di essere un po' in carne, anziché magrissima (skinny), come in seguito avrebbe descritto se stessa in quegli anni, nel tentativo di sviare l'attenzione dalle sue attività. Durante gli anni '60 e '70 iniziarono a circolare voci insistenti (rumors) circa l'esistenza di stag interpretati da non poche celebrità hollywoodiane. La cosa destò un immenso scandalo, ma nessuna delle prove addotte risultò mai decisiva. Col passar del tempo queste voci subirono una metamorfosi che le trasformò in pacchetti collassati di informazioni degeneri, ossia in memi. Tuttavia questo non significa affatto che il materiale pornografico in questione sia inesistente.

venerdì 25 settembre 2015


LO SPECCHIO E LA PISTOLA

Regia e Sceneggiatura: Alberto Rizzi
Montaggio: Luigi Recanatese
Regista: Alberto Rizzi
Produttori: Seautòs Produzioni 
Sceneggiatore: Alberto Rizzi 
Fornitore: Alberto Rizzi
Interprete: Riccardo Braggion

Anno: 2009
Durata: circa 4 min.
Tratto dall'omonimo racconto di Alex Tonelli.


Trama e recensione: La spettrale narrazione post mortem di un suicida quantistico, che come l'ombra di una distribuzione probabilistica aleggia nella stanza e rivede continuamente quel colpo di pistola che perfora il cranio del suo corpo che fu - atto che ha reso possibile la transizione a qualcosa che non è cessazione dell'essere, ma non è neppure vita. A parer mio non si tratta una forma di rinascita o di una seconda possibilità, come potrebbe credere chi è legato a un'ottica materialistica, ma di qualcosa di gran lunga peggiore della pura e semplice scomparsa nel Nulla. Immaginate lo sfarfallio di un segnale audio disturbato da un fruscio di fondo, che riverbera senza fine parvenze di pensiero...    

Punti oscuri: L'autore del racconto è un carissimo amico, che colgo l'occasione di salutare. Ho assistito alla presentazione del corto a Stienta, nel 2010. Sono rimasto molto sorpreso quando ho appreso che secondo altri il racconto da cui è stato tratto sarebbe invece "Creature del buio e del silenzio" di Mauro Ferrari. Non sono mai riuscito ad appurare a cosa si debba questa singolare confusione. 

Una considerazione: La cosa che più mi ha innervosito quando ho visto il corto la prima volta è stata di certo quella bottiglia di whisky non finita.

lunedì 27 luglio 2015


LA TRENTUNESIMA ORA 

Sceneggiatura:
    Sandro Battisti
    Francesco Cortonesi
    Giovanni De Matteo
Basata su un soggetto di:    
    Sandro Battisti
    Giovanni De Matteo
    Marco Milani
Regia:
    Marco Cerilli
Interpreti:     
     Francesco Trani
     Giulia Tramentozzi
     Sandro Battisti
Durata: circa 30 min
Colore: colore 

Sinossi (da Hyperhouse):

Un matematico è prossimo alla morte, un cancro lo sta divorando così come un gusto per lo studio dei numeri primi sta divorando la sua creatività: egli è convinto che dietro ogni numero primo si celi un messaggio, un criptico esistere delle dottrine occulte che hanno attraversato le ere degli uomini. Feynman, il matematico, ha una storia con Ilaria, che è anche l’infermiera che segue i suoi frequenti soggiorni in ospedale; lei non sembra interessarsi ai numeri primi e non riesce a capire perché lui si ostini a rincorrere quelle bizzarre teorie, perdendoci il sonno e quel residuo di salute che gli è rimasta. Feynman è tormentato e fa fatica a discernere la realtà dai suoi pensieri, vede cose strane accadergli intorno che s’intrecciano, apparentemente, con i suoi deliri; tutto l’universo sembra parlargli e lui è ora certo di aver trovato la soluzione ai suoi supplizi cerebrali. Ma Feynman è davvero al sicuro quando ritiene la sua scoperta attinente soltanto al mondo sottile delle dottrine occulte e non, invece, passibile di applicazioni pratiche?

Recensioni:

Il primo cortometraggio connettivista (o mediometraggio, la definizione esatta appare un po' problematica). Un esperimento iniziato nel gennaio 2006, che ho seguito fin dall'inizio sul blog che descriveva ogni fase del suo sviluppo. I risultati si sono rivelati eccellenti, di estremo interesse. Segnalo la magistrale interpretazione di Sandro Battisti nel ruolo di Nephilim, l'agente alieno. Così scrivevo nel resoconto della Prima NextCon, svoltasi a Vimercate il 3 marzo 2007, sul blog splinderiano Supernova Express, purtroppo scomparso:

"Ho rivisto con estremo piacere La trentunesima ora, e mi sono immerso in complessi turbini di purissimi memi matematici. Intuizioni sui numeri primi mi hanno sfiorato come tentacoli, sfuggendomi sempre. Per un attimo mi è quasi parso di poter cogliere il segreto di Feynman, ma la musica delle quasar ancora una volta si è dissolta in me. Più consono alla mia natura, il personaggio di Nephilim rappresenta un'epifania dell'insondabile sempre viva in me."

Il blog di Paolo Marzola, oggi estinto, conteneva una notevole recensione del mediometraggio connettivista, ma purtroppo soltanto un breve frammento si è potuto salvare: il link al portale è attualmente soltanto una pagina piena zeppa di geroglifici informatici, e in tutto il Web non si trova null'altro. Riporto così quanto sono riuscito a recuperare dal mio vecchio blog Esilio a Mordor:

"La trentunesima ora è film di contenuti, poetico senza dubbio, con una storia che potrebbe vagamente ricordare Pi greco il teorema del delirio ma che in realtà cela al suo interno come scatole cinesi svariati argomenti, diciamo che può essere, come molte opere concettuali, analizzato e percepito secondo vari livelli di interpretazione. Personalmente, dopo averlo visto paio di volte per meglio coglierne tutti i riferimenti, sono riuscito ad apprezzare il lato indubbiamente nostalgico e onirico che circonda questa opera prima, l’andamento a spirale della storia che confonde finzione e realtà. I temi che la permeano sono importanti: il mistero della morte prima di tutto che si presenta in forma di visioni e allucinazioni da parte del protagonista, l’amore, il mistero dell’infinito, il dolore che ognuno di noi cela nei momenti di difficoltà o di malattia, per fluisce in un finale estremamente poetico e rivelatore."

Riporto anche la recensione trovata sul blog Neurone Proteso di Masque, a quanto pare ormai spento (l'ultimo post è del 2013):

"Il corto, mi ha ricordato un po’ PI di Darren Aronofsky (ma l’associazione, era abbastanza scontata, avendo entrambi dei matematici ossessionati e malati come protagonisti ;-) ).
Belle le inquadrature, ed anche i colori mi sono piaciuti molto, specie il contrasto fra i colori accesi delle scene nell’ostello ed il buio delle inquadrature esterne. Non so se l’effetto grana nelle inquadrature notturne fosse voluto, ad ogni modo, ci stava bene. :-)
È un film che, mentre lo guardi, al pari di PI, riesce a trasmetterti la paranoia e l’ossessione del protagonista. Capiterà di accorgersi di fare particolare attenzione ai numeri degli autobus che si vedono ed, in generale, a qualsiasi numero che appare sullo schermo. Verrà spontaneo cercare di trovare dei pattern nella grana delle inquadrature notturne. Gli eventi non seguono una cronologia lineare, quindi, è necessaria una seconda visione per cogliere certi particolari. Questo anche perché i dialoghi o, più comunemente, le didascalie (essendo un film quasi muto), sono molto ermetici. La trama sembra quasi funzionale all’atmosfera ed allo scopo dichiarato di coinvolgere lo spettatore nelle paranoie del protagonista."

Altre informazioni e link: 

Un tempo era possibile visualizzare il filmato in streaming, ed esiste tuttora una pagina di Fantascienza.com che ne reca testimonianza. Ho potuto constatare che tutte le pagine che lo permettevano sono sclerotizzate. In Youtube è presente il trailer: 



Per maggiori informazioni, per la storia del corto e per i dettagli sulla lavorazione si rimanda all'attuale blog di Sandro "Zoon" Battisti:


La sceneggiatura completa è consultabile seguendo questo link: 


Esiste tuttora una pagina con le informazioni necessarie per ordinare il cortometraggio. Non so se siano ancora valide, in ogni caso fornisco il link:   

domenica 13 aprile 2014



THE SILVER ROPE

Directors: Fabio Guaglione
Fabio Resinaro
 
Writers: Fabio Guaglione (written by)
Fabio Resinaro (written by)

Genre: Short | Drama | Mystery | Sci-Fi | Thriller more
Tagline: The End Comes Before Anything Can Make Sense.

Cast (Credited cast)
 Michele Cantù ...  Michael
 Eugenia Caruso ...  Anne
 Natsumi Chirico ...  McPhee - CSI Detective
 Enrico Ciotti ...  Ward
 Antonio Clema ...  Roper 1
 Giovanni De Giorgi ...  Victim
 Enzo Giraldo ...  Ropers' Chief
 Riccardo Marino ...  Roper 4
 Domagoj Mazuran ...  Roper 2
 Michael McDuff ...  Roper 3
 Alessandro Mucci ...  Ropers' Chief Assistant
 Simon Puccini ...  Doctor
 Anthony Smith ...  Ropers' Captain
 Sveta Sotnikova ...  Being
 Andrea Tibaldi ...  Vincent
 Fabrizio Vigano ...  Ben

Additional Details
Parents Guide: Add content advisory for parents
Runtime: 31 min (director's cut) | Italy: 33 min 
Country: Italy
Language: English
Color: Color (16 mm version) | Color
Sound Mix: Stereo
Filming Locations: Como, Lombardia, Italy
Company: FastAndForward

TRAMA:
"Le emozioni, i misteri e i conflitti personali di alcune persone si intrecciano in un mondo per sempre cambiato da un’incredibile scoperta scientifica: la localizzazione dell’anima, la nascita di un’ingegneria dello spirito, la morte concettuale di Dio". 
 
Struggente, spettrale, di un'infinita malinconia, ogni suo singolo istante è come il suono di un violino che tocca le più intime corde dell'anima. Comunica tutto un insieme di emozioni che fungono da anticipazione, da premonizione di quel fatale momento in cui una Scienza inumana annuncerà che l'Essere viene dal Nulla, è Nulla ed è diretto verso il Nulla. Quella sinfonia di tristezza che per anni è stata rinchiusa nello scrigno del mio cuore, è riemersa in modo prepotente durante la proiezione alla AstraCon. Quasi mi è sembrato di dover cadere in un baratro di annientamento. Eppure, nonostante le certezze dei gelidi scienziati meccanicisti, qualcosa non torna: la morte improvvisa di un numero sempre crescente di persone, da un momento all'altro private della loro struttura endospirituale, fa pensare a un contagio che non può essere spiegato in termini di materia...

Co-prodotto da Sky, Interactive Group e Metaxa Productions, "The Silver Rope" è la seconda creazione in pellicola dei due registi italiani Fabio & Fabio, già creatori di E:D:E:N, il cortometraggio che nel 2004 ha vinto come miglior corto a Manchester e come miglior Contributo Artistico e miglior Regia all’Arcipelago Film Festival di Roma.


Un fortissimo applauso!

E:D:E:N

Titolo originale: E:D:E:N
Paese: Italia
Anno: 2004
Durata: 14'
Colore: colore
Audio:  sonoro
Genere: fantascienza
Regia: Fabio Guaglione, Fabio Resinaro
Sceneggiatura: Fabio Guaglione, Fabio Resinaro
Interpreti e personaggi:
Fabrizio Viganò Semyaza
Camilla Frontini Requael
Angelo d'Agostino Armen
Domagoj Mazuran Rumyal

Fotografia: Paolo Bellan
Montaggio: Fabio Guaglione, Fabio Resinaro, Domagoj
    Mazuran
Effetti speciali: Fabio Resinaro
Musiche: Andrea Bonini, Fabio Resinaro
Scenografia: Max Cortellini
 

TRAMA:
L'umanità è sull'orlo dell'estinzione. Dopo una difficile esplorazione dello spazio circostante il suo mondo di origine, ormai consunto, finalmente viene trovato un pianeta abitabile. Il problema, non marginale, è che questo nuovo globo terracqueo è già abitato. L'equipaggio della nave di ricognizione si divide: Semyaza è un fautore intransigente dell'epurazione, e vuole annientare la vita autogena del pianeta per far spazio alla razza umana. Requael invece è contraria, e minacciandolo con una pistola gli intima ripetutamente di interrompere il lancio. Dopo qualche minuto di estrema tensione, i proiettili partono e gocce di sangue fluttuano in gravità zero. Il missile termonucleare raggiunge il pianeta, e a questo punto viene rivelato il vero senso di tutta la vicenda: sagome di carnosauri giganti si sfaldano nella luce della fusione. Pochi sanno che Semyaza, traducibile alla lettera come "Nome di Uzza", è un antico epiteto di Lucibello... 

Densissimo di significati esoterici, meritorio in sommo grado, la sua proiezione alla AstraCon mi ha fatto molto piacere. Noto con grande dispiacere che il sito ufficiale di questo suggestivo cortometraggio (www.edentheproject.com) non è più accessibile, e la mia mente paranoica sospetta l'azione del maglio censorio...