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giovedì 8 luglio 2021

I MAESTRI COMACINI: PROBLEMI ETIMOLOGICI

I Maestri comacini traggono notoriamente il loro nome da Como, terra che ha dato loro origine. In latino la denominazione di questa antica corporazione di architetti lombardi è Magistri cumacini (varianti: comaceni, commacini). Eppure l'etimo è tuttora considerato incerto. Perché? Non è difficile tracciare l'accaduto. Agli inizi del XX secolo, un critico d'arte rispondente al nome di Ugo Monneret de Villard (1881 - 1954) scrisse un contributo deprecabile, in cui cercava con ogni mezzo di dimostrare la sua folle tesi: i Maestri comacini avrebbero tratto il loro nome dalla locuzione cum machinis o cum macinis, ossia "con le macchine", alludendo ai marchingegni che questi architetti utilizzavano nella loro opera muratoria. I critici d'arte potrebbero coltivare con successo le patate, occupandosi anche della concimazione della terra. Quello che non dovrebbero fare è cercare di imporre la loro opinione nel campo della linguistica. Il principale e futile argomento dell'autore citato, italiano nonostante dal nome sembri d'Oltralpe, sarebbe questo: l'aggettivo formato dal toponimo Como (latino Cōmum) è comasco o comense (latino cōmēnsis), così non potrebbe essere al contempo comacino. Che infelicissima baggianata! Soltanto uno studioso autoreferenziale, di poco senno e cerebro minuscolo, potrebbe avere l'ardire di scrivere una tale colossale inconsistenza. Purtroppo, in tempi recenti questa teoria insensata dei "Maestri con le macchine" viene rivalutata nel Web e promossa da Google, anche se è palesemente falsa, come posso dimostrare con argomenti solidissimi.    
 
Ebbene, l'aggettivo comacino "comasco, comense" esiste eccome. La sua pronuncia può essere piana (comacìno) oppure sdrucciola (comàcino). La forma sdrucciola parrebbe la più antica, quella piana ha l'aria di essere stata tratta da una pronuncia ortografica. La derivazione è dal latino tardo cōmacĭnus / cōmacīnus, con varianti come commacinus, cōmacenus, cūmacinus, etc.; la quantità della vocale -a- è incerta. L'uso di questo aggettivo è documentato fin dal IV secolo al posto del classico cōmēnsis; un altro sinonimo tardo è cūmānus. Un'attestazione antica e sporadica si ha in Varrone (116 a.C. - 27 a.C.), che chiama cōmacinae pernae i prosciutti comensi (Lazzati, 2008). Il Lago di Como è denominato Lacus Cōmacenus nell'Itinerarium Antonii del 300. Questo limnonimo, con la sua variante Lacus Commacinus è sinonimo del più antico Lacus Cōmēnsis. Come poteva Ugo Monneret de Villard ignorare questa evidenza? Forse scarabocchiava la sua cacata charta senza consultare alcuna fonte.
 
Le testimonianze dell'esistenza e della diffusione di questo aggettivo comacino sono numerose e sopravvivono tuttora nella toponomastica lombarda. Questi sono i suoi esiti: 
 
comasno < cōmacinus 
Comàsina < Cōmacina 
Comasìna < Cōmacīna 
 
1) Dal toponimo milanese Porta Comàsina o Porta Comasna ha avuto origine il nome del quartiere detto oggi Comasina (con l'accento sulla penultima sillaba, Comasìna). Il luogo è noto soprattutto perché da esso prese il nome la famigerata banda della Comasina, capeggiata da Renato "Bel René" Vallanzasca, che terrorizzò la Lombardia con la sua ferocia. Il bandito era nativo dell'infernale Giambellino, quello stesso che tanto piaceva a Giorgio Gaber, però la sua banda prese il nome dalla Comasina perché proprio là si trovava un bar utilizzato come ritrovo abituale.
 
2) Ca' del Comasno, ossia "Casa del Comasco", è una frazione di Lodi Vecchio, un tempo comune indipendente.
 
3) L'Isola Comacina (in latino tardo Insula Comacina) è un'isola del Lago di Como (Lario), tecnicamente definibile come "lembo di terra": è lunga 600 metri, larga 200 metri, con un perimetro di 2 chilometri e una superficie di 7,5 ettari. Se ne trovano diverse menzioni nell'Historia Langobardorum di Paolo Diacono. Questa menzione è riferita all'anno 588 circa:
 
Alii quoque Langobardi in insula Comacina Francionem Magistrum Militum, qui adhuc de Narsetis parte fuerat et iam se per viginti annos continuerat, obsidebant. Qui Francio post sex menses obsidionis suae Langobardis eandem insulam tradidit, ipse vero, ut obtaverat, dimissus a rege, cum sua uxore et supellectili Ravennam properavit. Inventae sunt in eadem insula diviciae multae, quae ibi de singulis fuerant civitatibus commendatae.
Historia Langobardorum, III, 27
 
Traduzione:
 
"Altri Longobardi assediavano nell’isola Comacina il magister militum Francione, che era del partito di Narsete e che si era asserragliato ormai da vent’anni. Questo Francione, dopo sei mesi che era stato assediato onsegnò quella stessa isola ai Longobardi; congedato dal re, si affrettò a raggiungere Ravenna con sua moglie e i suoi bagagli, come certamente lui stesso aveva chiesto. In quella stessa isola furono trovate molte ricchezze, che in quel luogo erano state messe al sicuro da parte di diverse città."
 
Secondo Fabio Carminati e Andra Mariani (2016), l'Insula Comacina di cui ha scritto Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum sarebbe da identificarsi con una porzione di terra situata in quello che oggi è il comune di Olginate. Questi autori sono convinti che l'aggettivo comacino sia sì derivato dal toponimo Como, ma che in origine fosse riferito soltanto alla parte orientale del Lario e del suo territorio, ossia al Lago di Lecco e al Lecchese. Credo che ciò sia poco plausibile: Sant'Ambrogio chiamava rūpēs cōmacinae i monti sopra Como (Epistola 55). In ogni caso, se anche le tesi di Carminati-Mariani dovessero risultare fondate, comacino resterebbe pur sempre connesso a Como.
 
I Comacini nell'Editto di Rotari 
 
I capitoli dell'Editto di Rotari che trattano dei Maestri comacini sono due: il 144 e il 145. Ne riporto il testo originale e la traduzione. 
 
144. 
De magistros commacinos. Si magister commacinus cum collegantes suos cuiuscumque domum ad restaurandam vel fabricandam super se, placitum finito de mercedes, susceperit et contigerit aliquem per ipsam domum aut materium elapsum aut lapidem mori, non requiratur a domino, cuius domus fuerit, nisi magister commacinus cum consortibus suis ipsum homicidium aut damnum conponat; quia, postquam fabulam firmam de mercedis pro suo lucro suscepit, non inmerito damnum sustinet. 
 
Traduzione: 

"Se un maestro comacino con i suoi consoci avrà accettato, dopo aver definito il patto sulla ricompensa, di restaurare una casa o di sopraelevarla, e sarà accaduto che qualcuno muoia a motivo della stessa costruzione o per la caduta d'una trave o per la caduta d'una pietra, allora non si richieda la composizione del danno al padrone della casa, qualora il maestro comacino in solido con i suoi consoci non faccia composizione dello stesso omicidio o del danno: infatti, poiché questi ha pattuito il suo guadagno, giustamente deve sostenere anche il rischio." 

145.
De rogatos aut conductos magistros. Si quis magistrum commacinum unum aut plures rogaverit aut conduxerit ad opera dictandum aut solatium diurnum prestandum inter servûs suos, domum aut casa sibi facienda, et contegerit per ipsam casam aliquem ex ipsis commacinis mori, non requiratur ab ipso, cuius casa est. Nam si cadens arbor aut lapis ex ipsa fabrigam occiderit aliquem extraneum, aut quodlebit damnum fecerit, non repotetur culpa magistris, sed ille, qui conduxit, ipse damnum susteneat. 

Traduzione: 

"Dei maestri chiamati o assunti. Se qualcuno invita o assume uno o più maestri comacini per dirigere i lavori o prestare aiuto quotidiano tra i suoi servi per la costruzione di una casa padronale o di un casale per sé, e accade che uno dei comacini muoia mentre lavorava in quel casale, non va fatta la querela nei confronti di colui al quale appartiene il casale. Ma se un pezzo di legno o una pietra, cadendo dall'edificio, uccide uno straniero o gli causa qualche danno, il padrone non sarà incolpato, ma accetterà il danno da parte di chi lo ha assunto." 

Bizzarre manipolazioni massoniche
 
Per qualche arcano e misterioso motivo, ai Frammassoni non è mai andata a genio la chiarezza etimologica. In genere fondano le loro etimologie su princìpi assolutamente irrazionali. Ricordo ancora l'amico G. (R.I.P.), che aderiva alla Libera Muratoria e se ne usciva ogni tanto con trovate che mi facevano infuriare. Una volta arrivò a sostenere che la parola dannato deriverebbe dal greco thánatos "morte". Rimase sconvolto quando gli dissi che dannato è soltanto il participio passato del verbo dannare, che deriva in modo del tutto naturale dal latino damnāre, da cui damnātiō "dannazione", vocabolo già usato da Sant'Agostino (massa damnātiōnis, etc.). I Frammassoni non analizzano le parole dividendo in modo sensato i suffissi e i prefissi dalla radice. Usano il principio dell'assonanza, l'anagramma, il calcolo numerico cabalistico delle lettere e altre manipolazioni ancor più stravaganti. L'etimologia di com(m)acinus è così ricondotta, con anagramma, a un fantomatico *co-monachus "confratello", inteso come "fratello Massone" (Knoop & Jones, 1978). Forme simili sono state ricostruite da romanisti col grembiule e il cappuccio, senza nessuna base scientifica, come ad esempio *commagister, *commachinātor e *commachiō (genitivo *commachiōnis, da *machiō "muratore", di origine germanica, vedi nel seguito per maggiori dettagli). 
 
Un'etimologia pseudogermanica
 
Non sono mancati tentativi di trovare un'origine germanica della denominazione dei Maestri comacini. Già nel 1883, Karl von Hoede ha postulato un fantomatico *gemachinus "costruttore", formato col prefisso collettivo ge- a partire dalla stessa radice del tedesco machen "fare", da cui in ultima analisi deriva anche il francese maçon (< *machiōnem, accusativo di *machiō). In tempi recenti è stato postulato un vocabolo assai simile, *ga-makin, attribuito al longobardo (Mastrelli, 2008). Tuttavia si capisce che, se davvero fosse esistita in longobardo una simile parola, questa non avrebbe subìto goffe e improbabili latinizzazioni: sarebbe stata presente nell'Editto di Rotari nella sua forma originale. Attendiamo la scoperta di nuovi documenti storici che possano aiutarci a fare maggior chiarezza. 

Consiglio senza dubbio la lettura di questo scritto interessantissimo di Marco Lazzati:

giovedì 10 giugno 2021

 
EXCALIBUR 
 
Titolo originale: Excalibur
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Regno Unito
Anno: 1981 
Lingua: Inglese
Durata: 140 min
Rapporto: 1,85 : 1 
Specifiche tecniche: Panoramico Colore
Genere: Fantasy, epico, avventura, drammatico
Regia: Sir John Boorman
Soggetto: da Le Morte d'Arthur di Thomas Malory
Sceneggiatura: Rospo Pallenberg, Sir John Boorman
Produttore: Sir John Boorman
Produttore esecutivo: Robert A. Eisenstein, Edgar F. Gross 
Produttore associato: Michael Dryhurst
Casa di produzione: Orion Pictures Corporation
Fotografia: Alex Thomson
Montaggio: John Merritt
Effetti speciali: Wally Veevers (effetti ottici), Michael Doyle, Peter 
    Hutchinson, Alan Whibley, Gerry Johnston
Musiche: Trevor Jones
Scenografia: Anthony Pratt, Tim Hutchinson, Bryan Graves 
Coreografia: Anthony Van Laast
Costumi: Bob Ringwood
Trucco: Anna Dryhurst, Basil Newall
Interpreti e personaggi:
    Nigel Terry: Re Artù
    Helen Mirren: Morgana
    Nicholas Clay: Lancillotto
    Cherie Lunghi: Ginevra (Guinevere)
    Paul Geoffrey: Parsifal (Perceval)
    Nicol Williamson: Merlino
    Corin Redgrave: Gorlois, Duca di Cornovaglia (Cornwall)
    Patrick Stewart: Leodegrance (Leondegrance)
    Keith Buckley: Uryens
    Clive Swift: Sir Hector (Ector)
    Liam Neeson: Galvano (Gawain)
    Gabriel Byrne: Uther Pendragon
    Robert Addie: Mordred 
    Charley Boorman: Mordred da ragazzo
    Katrine Boorman: Igrayne  
    Ciarán Hinds: Lot
    Niall O'Brien: Kay
    Eamonn Kelly: Abate 
    Brid Brennan: Dama di compagnia 
    Gerard Mannix Flynn: Luogotenente di Mordred 
    Barbara Byrne: Morgana da giovane 
    Kay McLaren: Morgana da vecchia 
    Hilary Joyalle: Dama del Lago 
    Liam O'Callaghan: Sadok 
    Michael Muldoon: Astamor 
    Garret Keogh: Mador 
    Emmet Bergin: Ulfius 
    Patrick Steward: Signore di Camelyard 
Doppiatori italiani:
    Pino Colizzi: Re Artù
    Maria Pia Di Meo: Morgana
    Gianni Williams: Lancillotto
    Emanuela Rossi: Ginevra
    Romano Ghini: Parsifal
    Sergio Rossi: Merlino
    Gianni Marzocchi: Gorlois, Duca di Cornovaglia
    Renato Mori: Leodegrance
    Sandro Iovino: Uryens
    Sergio Fiorentini: Sir Hector
    Paolo Poiret: Galvano
    Romano Malaspina: Uther Pendragon
    Sandro Acerbo: Mordred
    Simona Izzo: Igrayne
    Luciano De Ambrosis: Kay
    Roberto Villa: Abate 

Citazioni: 

"Anni per costruire, attimi per distruggere, e tutto per lussuria!"
(Merlino) 

"Ricordate bene dunque questa notte, questa grande vittoria, così che negli anni a venire possiate dire: “Io ero lì quella notte, con Artù, il Re!” Poiché la maledizione degli uomini è che essi dimenticano."
(Merlino)  
 
"Adesso ascolta. Una volta restai esposto all'alito del Drago perché un uomo giacesse una notte con una donna. Nove lune mi ci sono volute per riavermi! E tutto per questa follia chiamata amore, questo pazzo turbamento che colpisce i mendicanti e i re. Non lo rifarò! Mai più." 
(Merlino) 

"Rinunzio ai miei castelli e alle mie terre, qui è il mio dominio, dentro questa pelle di metallo. E do in pegno tutto ciò che ancora ho: la mia carne, le mie ossa, il mio sangue e il cuore che lo pompa."
(Lancillotto) 

"Verità. Ecco, sì. Deve esserci verità, soprattutto. Quando un uomo mente, assassina una parte del mondo." 
(Merlino) 

"Ci sono altri mondi. Questo ha finito con me."
(Merlino) 
 
"Un sogno per alcuni... Un incubo per altri!"
(Merlino)

"Io mi sto consumando, non posso morire e non posso vivere." 
(Artù)

"Non sapevo quanto la mia anima fosse vuota finché non è stata riempita." 
(Artù)
 
Trama:   
Nella Britannia postromana imperversa il caos. Uther Pendragon è determinato a diventare il Re dei Britanni, combatte contro i suoi oppositori e contro i Sassoni, riuscendo ad ottenere la vittoria grazie a Merlino, che gli ha consegnato la Spada del Potere, Excalibur. Qui ha inizio l'esistenza di Artù, il Figlio dell'Incantesimo. A concepirlo è la bellissima Igrayne, posseduta con l'inganno da Uther Pendragon, infiammato dalla libidine fin dal primo momento in cui l'ha vista. La copula è resa possibile grazie al sortilegio di Merlino, che ha fatto assumere a Uther Pendragon le sembianze di Gorlois, fregandosene degli ipocriti concetti di Amore e di fedeltà coniugale. Così il marito della dama, il Duca di Cornovaglia Gorlois, si è ritrovato cornuto ed è stato ucciso in battaglia. In cambio della copula tanto desiderata, Uther Pendragon ha dovuto promettere a Merlino il figlio che ne sarebbe nato. Quando il bambino viene al mondo, il necromante si presenta a pretendere ciò che gli appartiene, portandolo via dalle braccia di Igrayne. Poco dopo, in seguito alle sue azioni proditorie, Uther Pendragon cade vittima di un'imboscata e prima di spirare l'ultimo respiro conficca la sua spada Excalibur in una roccia, profetizzando che solo un Re potrà estrarla. Passano gli anni e nessuno è mai riuscito nell'impresa. Artù, che nel frattempo è stato affidato da Merlino a Sir Hector, ormai è un diventato un giovane uomo, educato come scudiero. Ignora del tutto le proprie origini. Molte cose sono cambiate dai tempi di Uther. Il Cristianesimo è riuscito ad imporsi e c'è un monaco a benedire con un aspersorio chi cerca di estrarre Excalibur dalla roccia. Per puro caso ci riesce proprio Artù, che da allora conosce un rapidissimo successo. Merlino ricompare dopo una lunga assenza e guida il giovane. Artù vince un'importante battaglia, ma il signore sconfitto non accetta di sottomettersi a lui perché non è un cavaliere. Così il vincitore accetta di farsi nominare da lui cavaliere: una volta concluso il rito, la sua vittoria viene riconosciuta e la fedeltà del vinto è garantita. Merlino, che nel nuovo mondo è come un masso erratico, afferma di non aver mai visto in vita sua nulla di simile. Consolidata la sua autorità di Re dei Britanni in seguito a una grande vittoria sugli invasori Sassoni, Artù ha grandi piani per il futuro della sua nazione. Ottiene la fedeltà del cavaliere Lancillotto, fino ad allora imbattuto. Si sposa con la bellissima Ginevra, una ragazza dai capelli corvini e crespi di cui è follemente innamorato, figlia del suo suo fedele vassallo Leodegrance. Al contempo progetta la costruzione dell'immenso castello di Camelot, che sarà il centro di irradiazione del suo potere. Una volta edificata la reggia di Camelot, viene fondata la Tavola Rotonda: è l'apogeo di un'epoca di prosperità e di magnificenza. Qualcuno però trama nell'ombra. È Morgana, la sorellastra di Artù, nata da Igrayne e dal suo legittimo consorte, il Duca di Cornovaglia. Essendo pagana come Merlino, Morgana si avvicina a lui e ne diventa l'apprendista, pur utilizzando per cause malvagie gli insegnamenti acquisiti. La sua prima azione consiste nel corrompere il cavaliere Galvano, che in preda all'alterazione accusa Ginevra di avere una tresca con Lancillotto, insultandola pesantemente. Dato che le genti di Camelot credono nel Giudizio di Dio, viene organizzato un torneo in cui Lancillotto difende l'onore della Regina, riuscendo a sconfiggere Galvano. Qualcosa si incrina e da quel momento tutto va a rotoli. Morgana riesce a ingannare Merlino, che già si era congedato da Artù, inducendolo a rivelargli la Magia del Fare e usandola per intrappolarno in un cristallo di ghiaccio. Lancillotto e Ginevra cedono alla forza magmatica delle passioni, amandosi nel bosco, nudi e ardenti. Artù li sorprende mentre dormono, sfiniti dalle fatiche dell'Amore. Anziché ucciderli, pianta Excalibur nella terra in mezzo a loro e allontanandosi in preda alla disperazione. Quando gli amanti si svegliano, hanno una sorpresa tremenda. Lancillotto, in preda al terrore assoluto, urla: "Il Re senza la Spada! La Terra senza un Re!" Questa sciagura non è sufficiente: Morgana assume magicamente le sembianze di Ginevra e copula col suo fratellastro Artù. Dopo l'atto sessuale, sorridendo in modo languidissimo gli sussurra che ha concepito un figlio. A questo punto il sovrano si avvede dell'inganno. Troppo tardi. Il figlio dell'incesto nasce e Artù viene colpito dal fulmine. A causa di questa folgorazione, cade in uno stato crepuscolare di infermità, mentre Morgana si allontana col suo bambino mostruoso, Mordred. Il nuovo nato viene cresciuto magicamente, diventando ben presto un ragazzo pieno di ormoni e di crudeltà. Camelot decade come un cadavere, ovunque regnano carestia, malattia e morte. Ginevra si è ritirata in convento, mentre Lancillotto vaga sbandato tra torme di miserabili. A un certo punto Artù incarica i cavalieri superstiti di trovare il Graal, sola possibile fonte di Salvezza. Molti cavalieri partiti per la ricerca vengono uccisi tra atroci tormenti da Mordred e dai suoi uomini. Alla fine a riuscire nell'intento è Parsifal, che era stato scudiero di Lancillotto. Il segreto del Graal è sconvolgente. Il Graal coincide con lo stesso Artù e la Conoscenza che egli ha perduto è espressa da una frase lapidaria: "Tu e la Terra siete Uno". Parsifal torna dal suo Signore, portandogli la coppa che lo risana. Inizia la riscossa: Artù va da Ginevra in convento, recuperando Excalibur, che lei aveva custodito. Poi procede con le sue armate ricostituite, cavalcando verso il Regno di Mordred. Intanto Merlino riesce a liberarsi dalla sua prigione, apparendo a Morgana e privandola dell'incantesimo che la mantiene giovane: la maga invecchia a vista d'occhio e il figlio, avendo in abominio il suo aspetto, la uccide strangolandola. La battaglia è tremenda. Artù e Mordred si uccidono a vicenda, trafiggendosi con le lance. Prima di spirare, il Sovrano di Camelot incarica Parsifal di gettare Excalibur nella acque, dicendo che la spada sorgerà di nuovo quando verrà un Re. Poi muore e tre misteriose figure femminili vestite di bianco lo portano via su un'imbarcazione, verso le Terre Immortali.    
 
 
Recensione: 
La potenza è incredibile. Ogni singolo dettaglio è evocativo e perfetto. La colonna sonora è esaltante. Magnifiche e insuperabili sono le interpretazioni di Nicol Williamson nel ruolo di Merlino e di Helen Mirren nel ruolo di Morgana. In tutto e per tutto uno splendido film, che ha lasciato in me un segno profondo, avendolo visto durante l'adolescenza. Vidi una delle prime immagini sessuali che potei esperire nella mia sventurata e inutile vita, quando ancora non avevo facile accesso alla pornografia. A distanza di tanti anni penso che fosse una cosa molto grottesca e irrealistica, con quest'uomo brutale che penetrava una bionda bellissima senza nemmeno togliersi l'armatura. Anche l'incesto tra Morgana e Artù colpì molto la mia immaginazione ancora informe e la plasmò. La pellicola di Boorman ha meriti considerevoli e si caratterizza per la crudezza delle sequenze, costituendo qualcosa di unico nel panomama degli adattamenti del mito di Re Artù, che sono tutti incentrati sul tema della relazione adulterina tra Lancillotto e Ginevra, per giunta trattato in modo superficiale. Qui invece notiamo un grande approfondimento di tematiche religiose ed esoteriche, che disegnano un quadro più complesso. Più in generale, quest'opera si contrappone al fantasy esangue e asettico di ispirazione tolkieniana. Il fantasy che vorrei dovrebbe trarre la sua sostanza da Excalibur ed essere pieno di violenza, sangue, eccidi, morte e perversione! Questa è l'unica ricetta possibile in grado di salvare un genere (sia a livello di romanzo che cinematografico) che langue per mancanza di linfa vitale. Fate beccare ai corvi gli occhi dei moribondi impiccati e il fantasy vivrà la sua stagione di gloria! 
 
Adattamento 

La pellicola boormaniana è stata tratta da Le Morte d'Arthur (La Morte di Artù), voluminosa opera di Sir Thomas Mallory (circa 1400 - circa 1470) le cui fonti sono in massima parte francesi. Eletto due volte al Parlamento, questo autore fu anche condannato per una serie di reati gravi, tra cui aggressione, furto, stupro e tentato omicidio. Scrisse La Morte d'Arthur mentre era in prigione. 
Boorman e Pallenberg hanno avuto un'idea che reputo geniale. Hanno deciso di rendere più snella la trama facendo collassare alcuni personaggi ridondanti. Il Ciclo di Artù non è affatto un argomento facile. Comprende un numero incredibile di scritti di moltissimi autori, spesso in contraddizione tra loro, con infiniti personaggi, intrighi e vicende complicatissime che non è umanamente possibile tenere a mente nella loro interezza. Così sono state operate fusioni tra figure tra loro simili e tra differenti tematiche.
 
1) Igrayne aveva tre figlie: la Fata Morgana, Anna Morgause ed Elaine. Sono collassate in un'unica figura: Morgana.
2) Il Re Ferito, detto anche Re Pescatore (o Re Peccatore), è confluito in Re Artù. 
3) Il cavaliere Bedivere è confluito in Percival. 
4) Il cavaliere Galahad è confluito in Percival. 
 
Inoltre: 
 
i) La Spada nella Roccia in alcuni scritti è distinta da Excalibur: le due armi sono state unite. 
ii)  La spada conficcata tra i due amanti dormienti proviene dalla storia di Tristano e Isotta.
 
Il risultato di tutto ciò è incredibile! Il regista ha reso fruibile una massa gigantesca di dati spesso molto lontani dalla sensibilità moderna. Non ci sarebbe stato altro modo per riuscire in un'impresa tanto titanica. Approvo questa scelta, anche se sono sempre stato un fanatico del rigore filologico. 
 

 Etimologie varie 

L'etimologia del nome Uther (gallese Wthyr, Uthr, Uthyr, Ythyr) è abbastanza oscura. In medio gallese il vocabolo uthr significava "terribile", ma anche "magnifico". La protoforma ricostruibile è *OUTROS, derivato da *OUTUS "orrore".  Difficile spiegare le diverse varianti ortografiche. 
Il soprannome Pendragon significa "Testa di Drago". Non credo che sia difficile capire che -dragon altro non è che un prestito latino. In gallese medio, dreic è derivato direttamente dal latino dracō, mentre dragon è derivato in modo altrettanto regolare dal genitivo dracōnis. Il gallese medio pen "testa" deriva direttamente in modo regolare dal britannico *PENNON (< *KWENNOM). Ecco spiegato l'arcano. 
Il nome Gorlois compare per la prima volta nell'Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (1136). In gallese è Gwrlais, ma credo che questa forma sia stata presa a prestito da Gorlois anziché il contrario. Nella versione originale del film è chiamato Cornwall, ossia "Cornovaglia". Da questo mi è venuto in mente che Gorlois potrebbe essere semplicemente una forma volgare di Cornuallois "Cornovagliese" (moderno Cornouaillois). In lingua d'oïl si deve pronunciare /gor'lois/ e non /gor'lwa/, visto che la pronuncia /wa/ del dittongo oi è molto più recente. 
Il nome della spada Excalibur, latinizzato in Caliburnus da Goffredo di Monmouth, corrisponde al gallese Caldedfwlch e all'irlandese antico Caladbolg (variante Caladcholg), che indica la spada dell'eroe Fergus mac Roich nel Ciclo dell'Ulster. Si tratta di derivati del proto-celtico *KALETOS "duro": gallese caled "duro", irlandese antico calad "duro". In gallese fwlch significa "spaccatura". In irlandese antico bolg significa tra le altre cose "fulmine". Ricostruirei la protoforma *KALETO-BOLGOS "Duro Fulmine". Il prefisso ex- presente in Excalibur è con ogni probabilità derivato da una contrazione del latino ēnsis "spada". Diffusa è l'idea di una derivazione dal latino chalybs "acciaio" (dal greco χάλυψ), che però non rende conto delle forme celtiche, senza dubbio antiche.  
Il nome Igrayne (Igraine) è un adattamento del francese antico Ygraine: tuttavia notiamo che nei manoscritti sono attestate molte varianti come Igerne, Ygerne, Ugerne, Uguerne, etc. In tardo latino era Igerna (Hierna, etc.). In medio gallese era Eigyr. Il significato dell'antroponimo femminile non è al momento determinabile. Si potrebbe ricostruire una protoforma britannica *AIGRĀ. L'alternanza tra Igerne e Ygraine suggerisce che la prima forma avesse una consonante /g/ velare, anche se non va taciuto che sono documentate forme come Izerna e Izerla.
Il nome Morgana (inglese Morgan la Fay, francese Fée Morgane, gallese Morgên y Dylwythen Deg), corrisponde al teonimo irlandese Morrígan (Mórrígan, Mórrígu). Proprio le irregolarità fonetiche fanno pensare a un prestito dall'antico irlandese anziché a una forma ereditaria. La protoforma ricostruibile dovrebbe essere *MORO-RĪGANĪ "Regina dei Demoni". Meno probabile è che si tratti di un derivato di *MORI-GENĀ "Figlia del Mare".
Il nome del castello di Camelot è un derivato di *KAMULO-DŪNON "Città del Gigante", toponimo britannico che è ben attestato in latino come Camulodūnum (attuale Colchester, Essex). In lingua d'oïl sono attestate moltissime varianti come Camaalot, Camalot, Camaaloth, Caamalot, Chamalot, Camahaloth, Gamalaot, etc. La fonetica prova che la trafila non è passata attraverso lingue britanniche come il gallese o il bretone: sembra invece essere avvenuta attraverso una forma tarda di gallico.
Il nome Artù, in gallese Arthur, latinizzato in Artūrius, è ricostruibile come *ARTO-RĪIOS, a sua volta da *ARTO-RĪGIOS "del  Re Orso", formato da *ARTO-RĪX "Re Orso" (che in irlandese ha dato Artrí). Il passaggio da *ARTO-RĪIOS a un più recente *ARTŌRIOS è strano ma non impossibile: si tratterebbe di un allungamento compensativo della vocale -O-. Non si può ricostruire *ARTO-WIROS "Uomo Orso", come pure è stato fatto: l'esito gallese sarebbe *Arthwr. Esiste una teoria che riconduce il nome Artù al gentilizio Artōrius. La gens Artōria era una gens romana di rango equestre, la cui presenza è in effetti attestata in Britannia; il suo nome è di origine incerta e probabilmente etrusca.
 
Il problema degli anacronismi
 
Come è stato più volte fatto notare nel Web, i castelli mostrati nel film e tanto presenti nell'immaginario collettivo non potevano essere pensati e a maggior ragione costruiti nell'epoca del tardo Impero Romano, quando le legioni abbandonarono la Britannia e i suoi abitanti alle crescenti scorrerie di Angli, Sassoni e Iuti. Allo stesso modo, le armature sono abbastanza irrealistiche. Queste critiche mi paiono del tutto irrilevanti. Boorman non ha mai avuto la pretesca di fare un film storicamente verosimile. Egli ha immerso la narrazione nel mito, che ne costituisce il solo fondamento.  
La stessa Materia di Bretagna era piena zeppa di anacronismi, avendo trasfuso il mondo celtico nella lingua d'oïl, con rielaborazioni complicatissime. Nel sentire comune è diffusa l'assurda idea che Artù fosse Re degli Inglesi, altro anacronismo. Credono che a Camelot si parlasse un inglese anticato (il famigerato Olde Englishe, creato aggiungendo una -e finale alle parole che finiscono in consonante e usando una -y- al posto della -i-), oltre al francese - ovviamente nella sua forma moderna. Sia l'inglese che il francese applicati a quel contesto sono puri e semplici anacronismi. Questo immaginario collettivo non è una novità. Basti considerare i nomi dei Cavalieri della Tavola Rotonda scritti sulla Tavola Rotonda di Winchester (S sta per Sir) sono i seguenti 25: 
Re Artù (Kyng Arthur), Galahad (S Galahallt), Lancelot du Lac (S Launcelot Deulake), Gawain (S Gauen), Percivale (S Percyvale), Lionel (S Lyonell), Bors de Ganis (S Bors de Ganys), Kay (S Kay), Tristram de Lyones (S Trystram Delyens), Gareth (S Garethe), Bedivere (S Bedwere), Bleoberis (S Blubrys), La Cote Male Taile (S Lacotemale Tayle), Lucan (S Lucane), Palomedes (S Plomyde), Lamorak (S Lamorak), Safir (S Safer), Pelleas (S Pelleus), Hector de Maris (S Ectorde Maris), Dagonet (S Dagonet), Degore (S Degore), Brunor le Noir (S Brumear), Le Bel Desconneu (S Lybyus Dyscony[us]), Alymere (S Alynore), Mordred (S Mordrede). 
Questa Tavola Rotonda, che potei vedere con i miei occhi, fu in realtà costruita per una festa a tema per ordine del Re Edoardo I Plantageneto (1239 - 1307), il tiranno contro cui lottò strenuamente William Wallace (1270 - 1305). Nessuno alla corte del Plantageneto avrebbe creduto che la lingua di Re Artù fosse quella da cui è derivato il gallese.

 
L'Incantesimo del Fare 
 
Una formula che è penetrata in ogni fibra del mio essere! Mai si era vista una simile potenza!  
 
Anaal nathrakh,
Urth vas bethud,
Dokhjel djenve. 
 
Questa è la pronuncia nella versione in italiano nel film: 
 
/a'na:l na'trak, 
ut 'vas be'tot, 
do'kjel djen've/ 
 
Questa invece è la pronuncia nella versione originale: 
 
/a'na:l na'θraχ, 
u:rθ 'va:s be'θʌd, 
do'xje:l djen've:/

Si vede che nell'adattare il testo in italiano è stata adottata una certa semplificazione fonetica.
 
Questi sono i versi originali in irlandese medio:
 
Anál nathrach,
orth' bháis's bethad, 
do chél dénmha. 

Traduzione in italiano: 

"Alito del Drago,
magia di vita e di morte,
portento di realizzazione." 
 
Glossario: 
 
anál "alito, respiro" 
nathrach "del drago" (sta per na draice
ortha "incantesimo"
bháis's bethad "della morte e della vita": 
   bháis "della morte" (genitivo di bás "morte")
   's "e" (contrazione di is "e") 
   bethad "della vita" (genitivo di betha "vita") 
do chél "il tuo presagio" 
dénmha "dell'atto di fare" (genitivo di dénamh)
 
A parte l'anacronismo della lingua, troppo consunta per l'epoca e resa male nella pronuncia, non ci aspetteremmo che Merlino la usasse, a meno che non provenisse dall'Irlanda. Detto questo, Merlino avrebbe dovuto usare l'antenato dell'antico gallese, non una forma di antico irlandese. A un genio come Boorman perdoniamo questo ed altro. Non sono riuscito ad accertare quale sia l'esatta fonte della formula, che non compare affatto nel libro di Mallory. Secondo il linguista Michael Everson, il canto magico è una mera invenzione. Va detto comunque che esiste una tradizione secondo cui Merlino sarebbe da identificarsi con un caledone di nome Lailoken, che viveva allo stato selvaggio nei boschi e aveva il dono della profezia.  
 
Alcune note sull'etimologia di Merlino 
 
Il nome originale di Merlino era Myrddin, che indicava provenienza dall'omonima città gallese: è l'antica Moridūnum, adattamento del celtico *MORI-DŪNON "Città del Mare", da MORI- "mare" e DŪNO- "città". Così il mago si sarebbe chiamato *MORI-DŪNOS. Fu Goffredo da Monmouth (circa 1100 - circa 1155) a latinizzare il gallese Myrddin in Merlinus, perché chiamare il mago col nome Merdinus avrebbe gettato grave discredito sull'Inghilterra in un periodo storico molto delicato. L'assonanda col francese merde è stata evitata da un provvidenziale lambdacismo. Il processo non è ignoto in Italia: Camerlata (comasco Camerlada) in origine doveva essere una Casa merdata, ma fu nobilitata in una Casa merlata, ossia provvista di merli, che sono tipici elementi architettonici medievali. Nessuno avrebbe voluto abitare in un paese che traeva il suo nome da un edificio sporco di escrementi! Il torrente Merlata (milanese Merlada) in origine doveva essere chiamato Merdata, perché raccoglieva parte delle acque reflue fecali di Milano. Questo corso d'acqua sporca e marrone ha dato il suo nome a una foresta piena di fontanili, conosciuta per l'appunto come Bosco della Merlata, da cui deriva anche il nome della Cascina della Merlata. Anche in questo caso l'origine del toponimo è proprio la merda. Piaccia o no, ci sono pochi dubbi: la Cascina della Merlata era in origine una Cascina della Merdata (doveva suonare all'incirca Cassina de la Merdada). Era tutto pieno di feci e puzzava! In cremasco lo stronzo è tuttora chiamato merlòt (da un precedente *merdòt) ed esiste la forma italianizzata merlotto
 
 
Altre etimologie arturiane  

Il nome Lancillotto (varianti italiane: Lancellotto, Lanzerotto, Lanciotto, francese e inglese Lancelot) sembra un diminutivo del nome germanico Lanzo, ipocoristico di nomi derivati dalla radice land- "terra" (es. Landeberto, Landefranco, etc.). Da Lanzo deriva l'antroponimo inglese Lance, che ha subìto etimologia popolare, essendo accostato all'omonima parola che significa "lancia".  In gallese Lancillotto è chiamato Lawnslod, che è un chiaro prestito dalla forma francese antica. 
Il nome Ginevra (inglese Guinevere, francese antico Genievre, francese moderno Guenièvre) proviene dal gallese Gwynhwyfar, la cui protoforma celtica ricostruibile è *WINDO-SĒBARIS "Fantasma Bianco", "Spirito Bianco". In cornico è Gwynnever, in bretone è Gwenivar. In irlandese antico il nome proprio femminile corrispondente è Finnabair (Findabair). Vari gli adattamenti in latino medievale, ad esempio Guennuvar, Guennimar, Guanhumara (XII sec.), Wennevereia (XIII sec.).  
Il nome Galvano (inglese Gawain) è un adattamento del gallese Gwalchfai, che alla lettera significa "Falcone di Maggio" - da gwalch "falcone" e da fai, forma lenita di mai "maggio", dal latino Māius. Potrebbe essere una falsa etimologia. Risalire all'originale è molto difficile. 
Il nome Percival è stato sottoposto a una falsa etimologia già in epoca medievale e inteso come un derivato dall'antico francese percier "bucare" e val "valle". Quindi sarebbe un "Buca-Valle". In realtà si tratta dell'adattamento del medio gallese Peredur, che probabilmente significa "Lancia di Acciaio" - da ber "lancia" (proto-celtico *BERU) e da dur "metallo duro, acciaio" (derivato dal latino dūrus "duro"). Le varianti Parzival e Parsifal si devono a Wolfram von Eschenbach (circa 1170 - circa 1220). In particolare, Parsifal è stato ripreso da Wagner. 
Il nome Mordred corrisponde al medio gallese Medrawt e all'antico gallese Medraut, che sembra essere un derivato regolare del latino Moderātus. L'alterazione di Medrawt in Mordred si deve forse all'associazione con lo stesso elemento mor- da cui sono formati i nomi di Morgana e Morgause. Secondo altri a influenzare l'aspetto fonetico del nome sarebbe invece stata la parola latina mors "morte". 

 
Merlino, Artù, i biscotti e le donne 

Merlino enuncia in poche parole la massima saggezza concepibile. Ginevra avanza verso il giovane Re tenendo in mano una tortina dall'invitante farcitura di petali di rose e gliela offre, quindi ritorna nel vivo della festa. Merlino allora rivolge ad Artù queste parole, alludendo alla bellissima Ginevra intenta a danzare: "Guardare quel biscotto è come guardare il futuro. Finché non l'hai assaggiato, cosa ne sai in realtà? E allora... allora è troppo tardi! Troppo tardi." Parole sacrosante! Mi sono sempre attenuto a questo Insegnamento. Un uomo concupisce una ragazza, ma di lei non sa assolutamente nulla. Come può avere la certezza che lei gli porterà la gioia? Come può essere sicuro che in lei potrà trovare la pace? Potrebbero anche emergere incompatibilità gravi e tutto si guasterebbe. Quando uno è andato troppo avanti nel dichiarare il proprio desiderio alla donzella, non può più tirarsi indietro. Sarebbe pavido e ci farebbe una figura fecale. Va quindi avanti, solo per scoprire che lei non è intenzionata a concedergli cosa che gli piaccia... o che gliela farà pagare carne salata! 
 
La castità di Merlino 
 
Pochi hanno fatto caso ad alcuni dettagli particolarmente significativi dell'atteggiamento di Merlino nei confronti del sesso e delle donne. Ebbene, Merlino vive in uno stato di castità assoluta e disprezza la sessualità. Rifugge le passioni, la sua condotta è molto simile a quella degli Stoici. A un certo punto rinfaccia a Uther Pendragon la sua follia, che ha portato a distruggere in pochi attimi ciò che era stato creato in anni, mandando tutto in rovina a causa della lussuria. La risposta di Uther è questa: "Non per lussuria, Merlino, ma per Igrayne. Ma tu non puoi capire, non sei un uomo!" Cosa significa? Semplice: per un duro guerriero come Uther, un individuo di sesso maschile che vive in stato di castità non è davvero un uomo, è una specie di eunuco. Va specificato che Uther non era cristiano. Quando ha compiuto le sue gesta, i Britanni adoravano ancora gli antichi Dei. Quindi è da escludere che il disprezzo nei confronti di Merlino potesse avere motivazioni religiose. Secondo alcuni critici, Merlino vagheggiava Morgana. Vero è però che non ha ceduto alla sua seduzione e l'ha combattuta con determinazione. Anche se molti non lo sanno, nel territorio della Gallia Transalpina è stato trovato vassellame con iscrizioni di carattere stoico, redatte in lingua celtica. Anche da questi dettagli estremamente curati si capisce il genio di Boorman e la grandezza della sua opera. Simili argomenti non erano mai stati affrontati prima nella Settima Arte.        

 
La triste fine di un mondo 
 
Artù fu crescuto nel Cristianesimo. Eppure rimasero sempre fortissimi i suoi legami con Merlino, ultimo rappresentante della religione dei Druidi. Quando ancora era un ragazzo, il figlio di Uther Pendragon apprese l'esoterismo degli Antichi e la rappresentazione dell'Universo come il corpo smisurato del Drago. Così gli parlava Merlino: "Il Drago è ovunque. Il Drago è in ogni cosa. Le sue squame brillano nella corteccia degli alberi. Il suo ruggire si sente nel vento. E la sua forcuta lingua colpisce come il fulmine." Un'ambiguità di non poco conto. Simulacri del Drago ornavano il castello di Camelot. Merlino fu sempre protetto. Quando il mago capì di essere in difficoltà, perché in caso di morte del suo regale patrono si sarebbe trovato in mezzo a cristiani ostili, pensò bene di allontanarsi senza dare troppo nell'occhio. Il legame tra due mondi, quello degli Dei e quello del nuovo Dio, continua fino alla fine: quando Artù muore, per lui c'è un destino ultraterreno pagano. Non il Paradiso di cui parlò Cristo, bensì le Tre Sorelle Fatali che lo trasportano nella Terra Immortale di Avalon. Merlino avrebbe potuto appoggiare Morgana e suo figlio Mordred nel tentativo di abbattere il Cristianesimo, ma non lo fece. Non poteva rinnegare il legame con Artù, nemmeno di fronte alla morte degli Dei e del loro culto. Ad animarlo è sempre stata una consapevolezza stoica, un'accettazione eroica dell'Annientamento.  
Fin da subito mi sono rimaste impresse le struggenti parole rivolte da Merlino a Morgana durante una bella passeggiata silvestre:
 
"Ormai i giorni dei pari nostri sono numerati. Il Dio Unico viene a cacciare via i molti Dei. Gli spiriti dei boschi e dei torrenti cominciano a tacere. È il destino delle cose, sì. È il tempo degli uomini e dei loro modi."  
 
Gli stessi concetti sono ribaditi nella scena del commiato di Merlino da Artù e da Camelot. Così parla il mago al Re, che gli aveva chiesto se fosse il caso di uccidere la moglie infedele e il suo amante Lancillotto: 
 
"Non posso dirti niente di più. I miei giorni sono finiti. Gli Dei di una volta sono andati per sempre. È il tempo degli uomini, ora. Il tuo tempo, Artù."
 
Tutto questo è lirismo assoluto! Ogni volta che ci penso rimango commosso. In me si staglia l'agonia dell'antichità pagana, davanti ai miei occhi si estendono boschi abbandonati e rovine. Ed ecco quella che Cioran chiamava "l'insania di ogni aurora". Ecco arrivare come un bulldozer quelle che di questi tempi sono chiamate "le radici cristiane dell'Europa".  

 
Morgana, l'incesto e il Graal  
 
Sono sempre stato affascinato dalle storie sull'incesto tra fratello e sorella. Boorman è stato uno dei pochissimi registi ad aver avuto il coraggio di trattare questo delicato argomento in una pellicola. 
"Dio ci salvi da Morgana! E ci salvi dal suo figlio sacrilego!", tuona il sacerdote dopo il travagliato parto della maga, elevando il calice eucaristico verso una finestra. Ecco che un fulmine si abbatte su Artù, bucandogli la corazza. Il Re ha assunto su di sé una colpa terribile, che i comuni mezzi non hanno il potere di redimere.
Si nota che il Graal non è assimilabile al Calice dell'Ultima Cena, preservato da Giuseppe di Arimatea, come vuole la leggenda a tutti nota. Qui siamo di fronte a un prototipo non ancora cristianizzato: il mitico Calderone dell'Abbondanza degli antichi Celti. Il Segreto che il Graal rivela è pagano, non cristiano. Consiste nel concetto celtico della regalità: il Sovrano coincide con la Terra. Se il Sovrano è in salute, la Terra è prospera e dà frutti rigogliosi. Se il Sovrano assume su di sé una grave colpa e per questo diventa malato, allora infrange la sua unità con la Terra. La conseguenza possibile è una sola: la Terra diventa sterile e desolata.   

 
La colonna sonora 
 
Il componimento numero 17 dei Carmina Burana, O Fortuna, è noto soprattutto per la musicazione che ne fece Carl Orff (1895 - 1982). Credo che questo brano si possa definire un elemento fondamentale della colonna sonora della pellicola di Boorman. La sua potenza è unica, assoluta! Ecco il testo, capolavoro dei Clerici vagantes, dai contenuti di una grande profondità filosofica:  

O FORTUNA
 
O fortuna
velut luna
statu variabilis
semper crescis
aut decrescis
vita detestabilis
nunc obdurat
et tunc curat
ludo mentis aciem
egestatem
potestatem
dissolvit ut glaciem. 
 
Sors inmanis
et inanis
rota tu volubilis
status malus
vana salus
semper dissolubilis
obumbrata[m]
et velata[m]
mihi quoque niteris
nunc per ludum
dorsum nudum
fero tui sceleris.

Sors salutis
et virtutis
mihi nunc contraria
est affectus
et defectus
semper in angaria
hac in hora
sine mora
cordis pulsum tangite
quod per sortem
sternit fortem
mecum omnes plangite. 

Ecco una traduzione:

O Fortuna,
come la luna
(sei) variabile nel (tuo) stato,
sempre cresci
o decresci,
vita detestabile!
(La Fortuna) ora indurisce
ed ora cura,
per giuoco, l'acutezza della mente;
miseria,
potenza,
dissolve come ghiaccio.

Sorte immane
ed inane,
tu ruota volubile,
stato incerto,
vano benessere
sempre dissolubile,
obumbrata
e velata
pure me sovrasti.
Ora per giuoco
il dorso nudo
reco del tuo scempio.

Sorte di salute
e di virtù
ora a me contraria,
(ogni uomo) è (da te) colpito
e prostrato,
sempre in schiavitù.
In questo momento,
senza indugio,
alle corde il polso percotete!
Poiché per sorte
(la Fortuna) prostra un forte,
con me tutti piangete! 

Proprio il film di Boorman ha contribuito a diffondere a livello internazionale la fama dei Carmina Burana e della musica di Carl Orff. Importanti nella colonna sonora sono anche alcuni suggestivi brani di Wagner (Tristano e Isotta, Parsifal e la Marcia funebre di Sigfrido) e le bellissime musiche da ballo in stile medievale.       
 
Rospo Pallenberg 
 
Sono stato subito colpito da un antroponimo tanto bizzarro e inusuale: Rospo. In effetti il vero nome dello sceneggiatore e regista britannico è Richard. Nato nel 1939 a Croydon, rione della zona sud di Londra, è figlio dello scrittore e giornalista italiano Corrado Pallenberg, che era romano e figlio di un pittore tedesco. Così dichiarò Boorman: "Rospo è un nomignolo che gli ha dato la madre quando era piccolo perché aveva il naso con le narici molto larghe ed era fondamentalmente brutto da vedere". Immenso è il numero di anglosassoni che ignorano l'italiano, così ben pochi arrivano a identificare il nomignolo Rospo con l'inglese Toad, eppure credo che la madre non gli abbia comunque fatto un gran regalo chiamandolo in questo modo. 
 

Curiosità varie 

Sono state girate più di tre ore di film. Molte delle sequenze non incluse nella versione distribuita sono andate perdute. A quanto pare ne è sopravvissuta una in un trailer, in cui si vede Lancillotto nell'atto di difendere l'amata Ginevra dall'assalto di un bandito in una foresta. Sembra che nel mondo del cinema sia piuttosto comune il problema delle sequenze extra andate smarrite.
 
Helen Mirren (Morgana) aveva problemi a lavorare con Nicol Williamson (Merlino): i due non si parlavano per via dei loro burrascosi trascorsi in una disasastrosa produzione del Macbeth. Boorman pensò bene di metterli assieme per via della loro naturale animosità. 
 
Inizialmente il regista aveva in mente di fare un film tratto da Il Signore degli Anelli. Non avendo però acquistato i diritti per farlo, cambiò progetto all'improvviso,  quanto pare per via dei costi ritenuti troppo elevati. Qualche spunto dell'originale matrice tolkieniana confluò poi nel progetto arturiano.  Il titolo originale doveva essere Merlin: non fu possibile utilizzarlo per via di un canale televisivo che deteneva i diritti su uno show intitolato Mr. Merlin. La successiva opzione contemplata dal regista fu Knights (ossia "Cavalieri"). Nemmeno questa andò in porto per via di un altro film che aveva un titolo troppo simile. A questo punto giunse un'ispirazione improvvisa: Excalibur.    

Katrine Boorman (Igrayne) e Cherie Lunghi (Ginevra) girarono le loro scene di nudo senza alcuna controfigura. Il parto di Morgana fu simulato con uno stratagemma ingegnoso: una vera donna incinta giaveva su un tavolo e aveva la testa nascosta da un panno nero, mentre la testa della Mirren sporgeva da un buco. 
 
Nelle prime fasi del progetto, si pensò a Sean Connery per il ruolo di Artù - che poi interpretò nel film Il primo cavaliere (First Kight, 1995), diretto da Jerry Zucker. Max von Sydow avrebbe dovuto interpretare Merlino nella pellicola di Boorman: di certo non sarebbe stato da meno di Williamson. 
 
Gli errori rilevati nel film sono dovuti soprattutto a figure della troupe riflesse nelle armature di Artù e dei cavalieri, oltre che nella bizzarra calotta metallica e lucidissima indossata da Merlino sul cranio. 
 
Cineforum Fantafilm 
 
Il film di Boorman è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro la sera dell'8 gennaio 2007. Purtroppo non sono stato presente alla proiezione e non ho potuto partecipare al dibattito, i cui contenuti non sono stati documentati, finendo col disperdersi nel Nulla. 

martedì 6 aprile 2021

IL CULTO DI NERONE: ELEMENTO DI CONTINUITÀ TRA L'IMPERO ROMANO E IL MEDIOEVO

Esiste una zona di Roma chiamata Tomba di Nerone. È la cinquantatreesima zona di Roma nell'Agro Romano, indicata con Z. LIII; è nota con lo stesso nome anche la zona urbanistica 20C del Municipio Roma XV. Il toponimo è davvero singolare, ne converrete tutti. Il toponimo Tomba di Nerone trae la sua origine dalla presenza di un grande monumento sepolcrale sulla via Cassia, che la tradizione popolare attribuisce all'Imperatore Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (Anzio, 15 dicembre 37 d.C. - Roma, 9 giugno 68 d.C.), nato Lucio Domizio Enobarbo, ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia. In realtà è la tomba di Publio Vibio Mariano, proconsole e preside della Sardegna e prefetto della Legio II Italica, vissuto nel III secolo d.C.; nel sarcofago è sepolta anche sua moglie Reginia Maxima. Il monumento fu fatto erigere dalla figlia della coppia, Vibia Mària Maxima.  

 
L'epitaffio
 
Questo è il testo dell'iscrizione sepolcrale in latino, tuttora visibile: 

D M S  
P. VIBI P.F. MARIANI E M V PROC
ET PRAESIDI PROV SARDINIAE PP BIS
TRIB COHH X PR XI VRB III VIG PRAEF LEG
II ITAL PP LEG III GALL FRVMENTARIO
ORIVNDO EX ITAL IVL DERTONA
PATRI DVLCISSIMO
ET REGINIAE MAXIMAE MATRI
KARISSIMAE
VIBIA MARIA MAXIMA C F ET HER 

Così può essere restaurato:
 
D(is) M(anibus) S(acrum) 
P. VIBI P.F. MARIANI E(gregiae) M(emoriae) V(iro) PROC(uratori)
ET PRAESIDI PROV(inciae) SARDINIAE P(rimo)P(ilo) BIS
TRIB(uno) COHH(ortis) X PR(aetoriae) XI VRB(anae) III VIG(ilum) PRAEF(ecto) LEG(ionis) 
II ITAL(icae) P(rimo)P(ilo) LEG(ionis) III GALL(icae) FRVMENTARIO 
ORIVNDO EX ITAL(ia) IVL(ia) DERTONA 
PATRI DVLCISSIMO 
ET REGINIAE MAXIMAE MATRI 
KARISSIMAE 
VIBIA MARIA MAXIMA C(larissima) F(emina) ET HER(es)  

Vediamo subito che il sepolto era un importante politico nativo di Tortona (all'epoca Iulia Dertona). L'abbondante uso di abbreviazioni ha contribuito a rendere l'iscrizione poco comprensibile anche alle poche persone tra il volgo dotate di qualche dimestichezza con le lettere dell'alfabeto.  
 
 
Veniamo al dunque. Da dove è nata e si è diffusa la credenza popolare che in questo monumento riposassero le spoglie dell'Imperatore Nerone, a dispetto dell'iscrizione che dimostra il contrario? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro nella Storia e proiettarci agli inizi del XII secolo. 
 
 
La tomba perduta 
 
La vera sepoltura di Nerone si trovava sul Colle degli Ortuli, dove oggi sorge la basilica di Santa Maria del Popolo, proprio a Piazza del Popolo. Questa tomba era denominata Mausoleo dei Domizi Enobarbi. Le ceneri dell'Imperatore, morto suicida il 9 giugno dell'anno 68 e cremato, vi erano conservate in un'urna di porfido sormontata da un altare di marmo di Luni. Il sepolcro era dominato da un immenso albero, un noce secolare tra le cui fronde si accalcavano corvi chiassosi in gran numero. Proprio questi sinistri volatili destarono terrore in Papa Pasquale II (regno: 1099 - 1118), che li riteneva esseri funesti e demoniaci. Il Pontefice, ossessionato da una rudimentale applicazione della scienza teologica ebraica conosciuta come Ghematriah, era convinto che Nerone fosse l'Anticristo e che sarebbe risorto presto dalla sua tomba, scatenando l'Apocalisse, portando il caos sulla Terra e riprendendosi il suo trono. Stando alla tradizione, tra il volgo correvano voci insistenti sulle streghe di Roma che si riunivano in quel luogo spettrale a mezzanotte ed evocavano gli spiriti maligni. Accadde così che nel primo anno del suo regno, Papa Pasquale ordinò di abbattere il noce e l'altare, facendo distruggere l'urna cineraria e disperdere nel Tevere i resti mortali dell'Imperatore (secondo un'altra versione ci sarebbero state ancora delle ossa, combuste insieme al noce). A consigliare il Pontefice sarebbe stata addirittura una supposta apparizione mariana avuta in sogno, in cui una figura che diceva di essere la Madre di Dio gli avrebbe chiesto di distruggere la tomba imperiale e di cancellare ogni traccia di Nerone da Roma. Questi resoconti, anche se in parte contraddittori, rendono l'idea del clima didelirio mistico e di terrore soprannaturale imperante! Come "riparazione", il Pontefice fece erigere sul luogo una cappella commemorativa dedicata alla Vergine, che secoli dopo si sarebbe sviluppata nella basilica di Santa Maria del Popolo. Secondo la narrazione ecclesiastica ufficiale, sarebbe stato lo stesso popolo romano a implorare Papa Pasquale di praticare il rito esorcistico e di demolire la tomba, versando contributi per la costruzione della cappella (che in realtà prende il nome da un albero: popolo = pioppo). C'è poi un problema di non poco conto. Per il popolo romano, Nerone era una figura molto riverita. Era ricordato come un sovrano il cui governo fu felice, illuminato e prospero: l'esatto contrario di quanto andavano sostenendo da molti secoli i Cristiani. In occasione dell'anniversario della sua morte, il 9 giugno, gli venivano portati fiori. Questo affetto per un passato imperiale tanto scomodo era considerato dal Papato uno scandalo insopportabile, da reprimere e di cui cancellare ogni memoria. La distruzione dei resti di Nerone ebbe le sue conseguenze immediate. Accadde che si scatenarono gravi tumulti. Per sedare gli insorti fu diffusa artatamente la falsa voce secondo cui le ceneri dell'Imperatore sarebbero state traslate nottetempo - per non meglio precisate ragioni di sicurezza - proprio nel sepolcro di Publio Vibio Mariano sulla via Cassia. Paradossalmente il luogo non era molto lontano da quello in cui Nerone si era suicidato. Comunque ci fu chi non credette alla voce e continuò a portare fiori nella cappella al Colle degli Ortuli. Altri intrapresero pellegrinaggi per visitare la nuova tomba del Divo, nonostante si trovasse ben al di fuori delle mura della città e non fosse agevole da raggiungere. In ogni caso il culto non si estinse e le speranze del Pontefice andarono deluse. Da questa usanza di recarsi una volta all'anno sulla via Cassia a portare fiori a Nerone nacque la famosa "gita fuori porta".  
 
Nerone e il Numero della Bestia  
 
Veniamo ora alla Ghematriah. Una delle ossessioni più potenti del Cristianesimo, associata al Libro della Rivelazione scritto da Giovanni di Patmos, è senza dubbio il cosiddetto Numero della Bestia, ossia 666 (seicentosessantasei). Ecco il passo (Apocalisse 13, 16-18): 
 
"Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia: infatti è numero d'uomo, e il suo numero è seicentosessantasei."
 
Questo è il testo in greco: 
 
"καὶ ποιεῖ πάντας, τοὺς μικροὺς καὶ τοὺς μεγάλους, καὶ τοὺς πλουσίους καὶ τοὺς πτωχούς, καὶ τοὺς ἐλευθέρους καὶ τοὺς δούλους, ἵνα ⸀δῶσιν αὐτοῖς ⸀χάραγμα ἐπὶ τῆς χειρὸς αὐτῶν τῆς δεξιᾶς ἢ ἐπὶ τὸ μέτωπον αὐτῶν, καὶ ἵνα μή τις ⸀δύνηται ἀγοράσαι ἢ πωλῆσαι εἰ μὴ ὁ ἔχων τὸ χάραγμα, τὸ ὄνομα τοῦ θηρίου ἢ τὸν ἀριθμὸν τοῦ ὀνόματος αὐτοῦ. ὧδε ἡ σοφία ἐστίν· ὁ ἔχων νοῦν ψηφισάτω τὸν ἀριθμὸν τοῦ θηρίου, ἀριθμὸς γὰρ ἀνθρώπου ἐστίν· καὶ ὁ ἀριθμὸς ⸀αὐτοῦ ⸂ἑξακόσιοι ἑξήκοντα ἕξ⸃."
 
Il latino Nero Caesar "Cesare Nerone" è stato adattato in greco come Νέρων Καίσαρ (Nerōn Kaisar). I nomi maschili latini in (III declinazione) sono adattati in come nomi maschili in -ων (-ōn). La trascrizione di Νέρων Καίσαρ in lettere ebraiche è נרון קסר. Ad ogni lettera dell'alfabeto ebraico (e allo stesso modo di quello aramaico) è associato un valore numerico, come accade anche per l'alfabeto greco. Ecco il calcolo che secondo Giovanni avrebbe dovuto fare chi ha intelligenza: 
 
נ  N (nun) = 50
ר  R (resh) = 200
ו  W (waw) = 6
ן  N (nun) = 50
ק  Q (qof) = 100
ס  S (samekh) = 60
ר  R (resh) = 200
 
Totale: 50 + 200 + 6 + 50 + 100 + 60 + 200 = 666 
 
Alcuni criticano la riportata trascrizione in lettere ebraiche, che è invece ineccepibile. La lettera samekh è la consonante adatta per trascrivere la sibilante di Caesar. La grafia קסר QSR (variante קיסר QYSR) è attestata e non è frutto di fantasia. La mater lectionis waw in נרון NRWN non deve essere omessa, mentre può essere omessa la mater lectionis yod, che è presente nella grafia קיסר QYSR.

Notiamo che alcuni codici antichi hanno 616 (seicentosedici) come Numero della Bestia. Ireneo riteneva che questa discrepanza fosse dovuta e errori di copiatura. Non è così. La dimostrazione è presto fornita. Trascrivendo la forma latina Nero Caesar in lettere ebraiche, senza passare attraverso la mediazione greca, otteniamo questo calcolo: 
 
נ  N (nun) = 50
ר  R (resh) = 200
ו  W (waw) = 6
ק  Q (qof) = 100
ס  S (samekh) = 60
ר  R (resh) = 200
 
Totale: 50 + 200 + 6 + 100 + 60 + 200 = 616

La differenza tra i due numeri è proprio il valore numerico della lettera nun finale nel nome dell'Imperatore, presente in un caso e assente nell'altro! Non c'è quindi alcuna contraddizione tra 666 e 616. Questo risultato è un fortissimo indizio a favore dell'interpretazione del Numero della Bestia come forma cifrata del nome di Nerone col suo epiteto Cesare (ossia "Imperatore"). 
 
Sono da rigettarsi tutte le infinite interpretazioni strampalate che si leggono nel Web. Non stiamo nemmeno a citarle tutte. Basterà riportare quella che vede nel numero 6 qualcosa di difettoso rispetto al numero 7, esprimente invece la perfezione; la ripetizione del 6 per tre volte indicherebbe un'imperfezione indefettibile, diabolica. Eppure Giovanni dice chiaramente che 666 è "numero d'uomo". Evidentemente molti fanatici biblici le Scritture nemmeno le leggono. Ancor più assurda è l'identificazione del 666 con i vaccini o con i chip sottocutanei: se anche Giovanni avesse visto tali cose, non avrebbe saputo interpretarle. Invece egli scrive che chi ha intelligenza sa come eseguire il calcolo. Si rivolgeva ai suoi correligionari, a cui bastava saper leggere, scrivere e far di conto. Nulla di trascendentale! 
 
Alcuni sostengono che il Libro della Rivelazione sarebbe stato composto all'epoca di Domiziano, quando Nerone era già defunto da tempo. Va detto questo: 
1) Secondo autori come Origene, Clemente di Alessandria e San Gerolamo, il Libro della Rivelazione fu invece composto all'epoca di Nerone; 
2) Esisteva l'idea secondo cui Domiziano sarebbe stato Nerone redivivo. In altre parole, Nerone era diventato per molti Cristiani (non per tutti) un epiteto dell'Anticristo.  
 
Si evidenzia uno dei gravissimi limiti della Ghematriah, che ora della fine ne dimostra l'intrinseca inconsistenza, è proprio questo: non riesce a distinguere le radici dei nomi (portatrici di significato) da elementi come suffissi e terminazioni dei casi; non riesce a tenere conto dei piccoli cambiamenti fonetici e morfologici dovuti all'adattamento di una parola da una lingua a un'altra.

Il terrore del Ritornante 

Questo afferma Agostino d'Ippona nel De Civitate Dei (20, 19, 3):

"Vi sono perciò persone che affermano che Nerone risorgerà e diventerà l’Anticristo, mentre altri suppongono che egli non sia morto, ma sia scomparso in modo da farlo credere ucciso, e sia ancora vivo e nascosto e nel pieno dell’età che aveva al tempo della sua presunta morte, finché «non venga rivelato al tempo giusto per lui» e rimesso sul suo trono. Quanto a me, sono assai stupito dalla grande presunzione di coloro che azzardano simili congetture."

Anche se l'Ipponate non approvava queste credenze, ne ha documentato l'esistenza e la diffusione ancora nella sua epoca. Sono le stesse che terrorizzavano Papa Pasquale II molti secoli dopo! 

Deduzioni su un culto di grande importanza 
 
Sono dell'idea che non si possa trascurare un fatto di per sé evidente: gli onori tributati alla memoria di Nerone dal popolo romano si sono trasmessi dall'Antichità imperiale al Medioevo in modo diretto e senza soluzione di continuità. La costumanza di portare fiori a Nerone comparve subito dopo la sua morte e la ritroviamo tal quale ai tempi di Pasquale II. La storiografia tradizionale si è affannata per lungo tempo a sostenere la discontinuità tra il Medioevo e l'Evo Antico, interpretati come due universi senza alcuna connessione, fatti di sostanze del tutto dissimili. A quanto possiamo dimostrare con questi studi, una simile concezione non è ben fondata, perché presenta almeno una grave falla.          

Alcuni siti utili 

Riporto alcuni link a interessanti siti del Web che trattano questi argomenti, purtroppo negletti dalla storiografia e non sufficientemente indagati dagli studiosi.
 
 
 
 
 
Le fonti menzionate nella Wikipedia in italiano sono le seguenti: 

1) Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1984;
2) Massimo Fini, Nerone. Duemila anni di calunnie, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993; 
3) Edward Champlin, Nerone, Editori Laterza, 2010. 
 
Ho potuto avere accesso agli ultimi due lavori. In particolare quello di Champlin è eccellente. Una vera e propria miniera di informazioni preziose. 

 
Il Belli e il ricordo di Nerone  

Giuseppe Gioachino Belli (1791 - 1863) scrisse nel 1831 un sonetto intitolato Un deposito, in cui fa menzione della tomba di Vibio Mariano e della sua attribuzione a Nerone.
 
"Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca. Questi idioti o nulla sanno o quasi nulla: e quel pochissimo che imparano per tradizione serve appunto a rilevare la ignoranza loro: in tanto buio di fallacie si ravvolge. Sterili pertanto d’idee, limitate ne sono le forme del dire e scarsi i vocaboli." 

Questo è il sonetto:
 
Un deposito 
 
Dove nasce la cassia, 
a mmanimanca, nò a ppontemollo, tre mmía piú llontano, 
ce sta ccome un casson de pietra bbianca
o nnera, cor P. P. der posa-piano.


Lí, a Rromavecchia, ha dditto l’artebbianca, 
ce sotterronno un certo sor Mariano, 
che mmorze de ’na palla in una scianca 
a la guerra indov’era capitano.

Duncue, o cqui er morto è stato sbarattato;
e allora me stordisco de raggione
ch’er governo nun ciabbi arimediato.


O cchi ha scritto er pitaffio era un cojjone:
perché, da sí cch’er monno s’è ccreato,
questa è la sepportura de Nerone. 

Si menziona una rudimentale conoscenza del latino da parte di un fornaio (denominato artebbianca, ossia "arte bianca"), che riesce a identificare il nome del personaggio sepolto, Mariano, pur attribuendogli gesta anacronistiche: sarebbe morto sul campo di battaglia per un proiettile in una gamba. Di fronte alla stridente incongruenza tra la tradizione e i dati raccoglibili tramite i sensi, il popolano trova soltanto due spiegazioni possibili: o hanno sgombrato i resti di Nerone mettendoci dentro quelli di un certo Mariano, oppure il lapicida era un idiota che ha scritto "Mariano" anziché "Nerone" per incompetenza.    
 
Gli idioti di Quora  

Nel triste e turpissimo social network denominato Quora mi sono imbattuto in una lunghissima serie di dementi fallocefali e stolitissimi, la cui cultura è essenzialmente cinobalanica, oltre che autoreferenziale. Il loro ragionamento è questo: se una cosa non è scritta sui libri di scuola su cui hanno studiato al liceo, allora non esiste. Sic et simpliciter. Quando qualcuno riporta loro qualcosa che non hanno mai sentito, reagiscono con stizza e lo aggrediscono, accusandolo di inventare di sana pianta. Così questi saputelli gnè gnè gnè, senza alcuna cognizione di causa, negavano l'esistenza stessa del culto di Nerone, pur essendone documentata la persistenza. Mi faccio una domanda. Perché non si calano in un crogiolo di fonderia per ricevere addosso una colata di ghisa? 
 
 
Il culto non muore!
 
Alla faccia di Pasquale II e degli stolti che hanno creduto alle sue boiate, in qualche modo il culto di Nerone è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Esistono prove inconfutabili di questo fatto. Ancora oggi qualcuno lascia fiori a Santa Maria del Popolo, per onorare il Benefattore la cui fama immensa ha sfidato i millenni, caso quasi unico in tutta la Storia. Nel 2010 è stato inaugurata ad Anzio una statua di bronzo dedicata a Nerone, opera dello scultore Claudio Valenti, con una targa commemorativa riportante la seguente iscrizione: 
 
"Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato ad Anzio il 15/12/37 d.C. con il nome di Lucio Domizio Enobarbo,  figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, sorella dell'imperatore Caligola. Nel 54 d.C. divenne imperatore per acclamazione dei pretoriani. Durante il suo principato l'impero conobbe un periodo di pace, di grande splendore e di importanti riforme. Morì il 9/06/68 d.C." 
 
Queste sono le parole di Luciano Bruschini, all'epoca sindaco di Anzio:

"Probabilmente è l'unico monumento al mondo dedicato all'Imperatore Nerone, nostro concittadino. Non a caso abbiamo posizionato la statua davanti all'antico porto neroniano e nelle immediate vicinanze del Parco Archeologico della Villa di Nerone. Infatti diverse vicende della vita dell'Imperatore Nerone sono legate al luogo natale, sede di una residenza imperiale che, nei secoli, ha assunto le dimensioni monumentali che tuttora ammiriamo nell'area tra il faro, il Porto Neroniano e l'Arco Muto".
 
E ancora: 
 
"A distanza di venti secoli finalmente gli storici seri stanno rivalutando la figura di Nerone: un grande Imperatore, amato dal suo popolo, per le sue coraggiose riforme sociali e per il lungo periodo di pace che ha caratterizzato il suo principato che con questo monumento contribuiamo a ricordare come merita, superando ridicole ricostruzioni storiche e cinematografiche."
 
Questo riporta Champlin nella nota 44 del suo utilissimo libro:
 
"Nel 1909 Lanciani osservò a proposito di Anzio, la città dove erano nati l’imperatore e la sua unica figlia: «Nerone è ancora l’eroe popolare di Anzio e il protagonista di molte leggende del suo folklore» (Lanciani 1909, 340). Si paragonino le storie sul bagno di latte di Poppea narrate ancora oggi nella zona del suicidio di Nerone a nord di Roma: Quilici e Quilici Gigli 1986, 102, n. 125."
 
Tutto ciò si contrappone all'irriverenza di Petrolini, che guittescamente schernì l'indimenticabile Cesare, ritraendolo nelle sue squallide macchiette come un decerebrato dall'aspetto oltremodo grottesco. Ancor più esecrabile è la rappresentazione fatta da Mel Brooks, che nel film demenziale La pazza storia del mondo (History of the World, Part I, 1981) ha ritratto Nerone come un odioso panzone calvo e sostanzialmente imbecille - cosa che non era affatto - e per giunta intento a spappolare pomodori che non potevano esistere! 

 
Meritoria opera di ricostruzione 
 
Uno studioso e artista spagnolo, Salva Ruano, ha prodotto una serie di statue iperrealistiche per il suo progetto Césares de Roma, dedicato ai grandi protagonisti storici dell'Urbe. La base su cui si fonda la sua opera immensa ed ingegnosa sono le raffigurazioni scultoree dell'epoca antica e le fonti letterarie, che permettono di ricreare il passato con una precisione che ha dell'incredibile. Riporto le sue commoventi parole: "Questo è il progetto artistico più importante della mia vita, unisce le mie grandi passioni: l’arte e la storia". Il volto di Nerone è stato ricostruito a grandezza naturale servendosi di silicone, acrilico e capelli naturali. Così riporta Gaio Svetonio Tranquillo: "La sua statura si avvicinava alla media, il suo corpo era coperto di macchie", aggiungendo "Gli occhi erano incavati e deboli alquanto, il collo grosso". Le macchie sul corpo erano efelidi. La chioma era di un bel colore rosso, gli occhi erano chiari.      

Conclusioni
 
Naturalmente sono un grandissimo fan dell'Imperatore Nerone e reputo che egli sia la soluzione ideale alle piaghe che affliggono Roma e l'Italia intera. Possa risorgere dall'Ade!