martedì 6 aprile 2021

IL CULTO DI NERONE: ELEMENTO DI CONTINUITÀ TRA L'IMPERO ROMANO E IL MEDIOEVO

Esiste una zona di Roma chiamata Tomba di Nerone. È la cinquantatreesima zona di Roma nell'Agro Romano, indicata con Z. LIII; è nota con lo stesso nome anche la zona urbanistica 20C del Municipio Roma XV. Il toponimo è davvero singolare, ne converrete tutti. Il toponimo Tomba di Nerone trae la sua origine dalla presenza di un grande monumento sepolcrale sulla via Cassia, che la tradizione popolare attribuisce all'Imperatore Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (Anzio, 15 dicembre 37 d.C. - Roma, 9 giugno 68 d.C.), nato Lucio Domizio Enobarbo, ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia. In realtà è la tomba di Publio Vibio Mariano, proconsole e preside della Sardegna e prefetto della Legio II Italica, vissuto nel III secolo d.C.; nel sarcofago è sepolta anche sua moglie Reginia Maxima. Il monumento fu fatto erigere dalla figlia della coppia, Vibia Mària Maxima.  

 
L'epitaffio
 
Questo è il testo dell'iscrizione sepolcrale in latino, tuttora visibile: 

D M S  
P. VIBI P.F. MARIANI E M V PROC
ET PRAESIDI PROV SARDINIAE PP BIS
TRIB COHH X PR XI VRB III VIG PRAEF LEG
II ITAL PP LEG III GALL FRVMENTARIO
ORIVNDO EX ITAL IVL DERTONA
PATRI DVLCISSIMO
ET REGINIAE MAXIMAE MATRI
KARISSIMAE
VIBIA MARIA MAXIMA C F ET HER 

Così può essere restaurato:
 
D(is) M(anibus) S(acrum) 
P. VIBI P.F. MARIANI E(gregiae) M(emoriae) V(iro) PROC(uratori)
ET PRAESIDI PROV(inciae) SARDINIAE P(rimo)P(ilo) BIS
TRIB(uno) COHH(ortis) X PR(aetoriae) XI VRB(anae) III VIG(ilum) PRAEF(ecto) LEG(ionis) 
II ITAL(icae) P(rimo)P(ilo) LEG(ionis) III GALL(icae) FRVMENTARIO 
ORIVNDO EX ITAL(ia) IVL(ia) DERTONA 
PATRI DVLCISSIMO 
ET REGINIAE MAXIMAE MATRI 
KARISSIMAE 
VIBIA MARIA MAXIMA C(larissima) F(emina) ET HER(es)  

Vediamo subito che il sepolto era un importante politico nativo di Tortona (all'epoca Iulia Dertona). L'abbondante uso di abbreviazioni ha contribuito a rendere l'iscrizione poco comprensibile anche alle poche persone tra il volgo dotate di qualche dimestichezza con le lettere dell'alfabeto.  
 
 
Veniamo al dunque. Da dove è nata e si è diffusa la credenza popolare che in questo monumento riposassero le spoglie dell'Imperatore Nerone, a dispetto dell'iscrizione che dimostra il contrario? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro nella Storia e proiettarci agli inizi del XII secolo. 
 
 
La tomba perduta 
 
La vera sepoltura di Nerone si trovava sul Colle degli Ortuli, dove oggi sorge la basilica di Santa Maria del Popolo, proprio a Piazza del Popolo. Questa tomba era denominata Mausoleo dei Domizi Enobarbi. Le ceneri dell'Imperatore, morto suicida il 9 giugno dell'anno 68 e cremato, vi erano conservate in un'urna di porfido sormontata da un altare di marmo di Luni. Il sepolcro era dominato da un immenso albero, un noce secolare tra le cui fronde si accalcavano corvi chiassosi in gran numero. Proprio questi sinistri volatili destarono terrore in Papa Pasquale II (regno: 1099 - 1118), che li riteneva esseri funesti e demoniaci. Il Pontefice, ossessionato da una rudimentale applicazione della scienza teologica ebraica conosciuta come Ghematriah, era convinto che Nerone fosse l'Anticristo e che sarebbe risorto presto dalla sua tomba, scatenando l'Apocalisse, portando il caos sulla Terra e riprendendosi il suo trono. Stando alla tradizione, tra il volgo correvano voci insistenti sulle streghe di Roma che si riunivano in quel luogo spettrale a mezzanotte ed evocavano gli spiriti maligni. Accadde così che nel primo anno del suo regno, Papa Pasquale ordinò di abbattere il noce e l'altare, facendo distruggere l'urna cineraria e disperdere nel Tevere i resti mortali dell'Imperatore (secondo un'altra versione ci sarebbero state ancora delle ossa, combuste insieme al noce). A consigliare il Pontefice sarebbe stata addirittura una supposta apparizione mariana avuta in sogno, in cui una figura che diceva di essere la Madre di Dio gli avrebbe chiesto di distruggere la tomba imperiale e di cancellare ogni traccia di Nerone da Roma. Questi resoconti, anche se in parte contraddittori, rendono l'idea del clima didelirio mistico e di terrore soprannaturale imperante! Come "riparazione", il Pontefice fece erigere sul luogo una cappella commemorativa dedicata alla Vergine, che secoli dopo si sarebbe sviluppata nella basilica di Santa Maria del Popolo. Secondo la narrazione ecclesiastica ufficiale, sarebbe stato lo stesso popolo romano a implorare Papa Pasquale di praticare il rito esorcistico e di demolire la tomba, versando contributi per la costruzione della cappella (che in realtà prende il nome da un albero: popolo = pioppo). C'è poi un problema di non poco conto. Per il popolo romano, Nerone era una figura molto riverita. Era ricordato come un sovrano il cui governo fu felice, illuminato e prospero: l'esatto contrario di quanto andavano sostenendo da molti secoli i Cristiani. In occasione dell'anniversario della sua morte, il 9 giugno, gli venivano portati fiori. Questo affetto per un passato imperiale tanto scomodo era considerato dal Papato uno scandalo insopportabile, da reprimere e di cui cancellare ogni memoria. La distruzione dei resti di Nerone ebbe le sue conseguenze immediate. Accadde che si scatenarono gravi tumulti. Per sedare gli insorti fu diffusa artatamente la falsa voce secondo cui le ceneri dell'Imperatore sarebbero state traslate nottetempo - per non meglio precisate ragioni di sicurezza - proprio nel sepolcro di Publio Vibio Mariano sulla via Cassia. Paradossalmente il luogo non era molto lontano da quello in cui Nerone si era suicidato. Comunque ci fu chi non credette alla voce e continuò a portare fiori nella cappella al Colle degli Ortuli. Altri intrapresero pellegrinaggi per visitare la nuova tomba del Divo, nonostante si trovasse ben al di fuori delle mura della città e non fosse agevole da raggiungere. In ogni caso il culto non si estinse e le speranze del Pontefice andarono deluse. Da questa usanza di recarsi una volta all'anno sulla via Cassia a portare fiori a Nerone nacque la famosa "gita fuori porta".  
 
Nerone e il Numero della Bestia  
 
Veniamo ora alla Ghematriah. Una delle ossessioni più potenti del Cristianesimo, associata al Libro della Rivelazione scritto da Giovanni di Patmos, è senza dubbio il cosiddetto Numero della Bestia, ossia 666 (seicentosessantasei). Ecco il passo (Apocalisse 13, 16-18): 
 
"Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia: infatti è numero d'uomo, e il suo numero è seicentosessantasei."
 
Questo è il testo in greco: 
 
"καὶ ποιεῖ πάντας, τοὺς μικροὺς καὶ τοὺς μεγάλους, καὶ τοὺς πλουσίους καὶ τοὺς πτωχούς, καὶ τοὺς ἐλευθέρους καὶ τοὺς δούλους, ἵνα ⸀δῶσιν αὐτοῖς ⸀χάραγμα ἐπὶ τῆς χειρὸς αὐτῶν τῆς δεξιᾶς ἢ ἐπὶ τὸ μέτωπον αὐτῶν, καὶ ἵνα μή τις ⸀δύνηται ἀγοράσαι ἢ πωλῆσαι εἰ μὴ ὁ ἔχων τὸ χάραγμα, τὸ ὄνομα τοῦ θηρίου ἢ τὸν ἀριθμὸν τοῦ ὀνόματος αὐτοῦ. ὧδε ἡ σοφία ἐστίν· ὁ ἔχων νοῦν ψηφισάτω τὸν ἀριθμὸν τοῦ θηρίου, ἀριθμὸς γὰρ ἀνθρώπου ἐστίν· καὶ ὁ ἀριθμὸς ⸀αὐτοῦ ⸂ἑξακόσιοι ἑξήκοντα ἕξ⸃."
 
Il latino Nero Caesar "Cesare Nerone" è stato adattato in greco come Νέρων Καίσαρ (Nerōn Kaisar). I nomi maschili latini in (III declinazione) sono adattati in come nomi maschili in -ων (-ōn). La trascrizione di Νέρων Καίσαρ in lettere ebraiche è נרון קסר. Ad ogni lettera dell'alfabeto ebraico (e allo stesso modo di quello aramaico) è associato un valore numerico, come accade anche per l'alfabeto greco. Ecco il calcolo che secondo Giovanni avrebbe dovuto fare chi ha intelligenza: 
 
נ  N (nun) = 50
ר  R (resh) = 200
ו  W (waw) = 6
ן  N (nun) = 50
ק  Q (qof) = 100
ס  S (samekh) = 60
ר  R (resh) = 200
 
Totale: 50 + 200 + 6 + 50 + 100 + 60 + 200 = 666 
 
Alcuni criticano la riportata trascrizione in lettere ebraiche, che è invece ineccepibile. La lettera samekh è la consonante adatta per trascrivere la sibilante di Caesar. La grafia קסר QSR (variante קיסר QYSR) è attestata e non è frutto di fantasia. La mater lectionis waw in נרון NRWN non deve essere omessa, mentre può essere omessa la mater lectionis yod, che è presente nella grafia קיסר QYSR.

Notiamo che alcuni codici antichi hanno 616 (seicentosedici) come Numero della Bestia. Ireneo riteneva che questa discrepanza fosse dovuta e errori di copiatura. Non è così. La dimostrazione è presto fornita. Trascrivendo la forma latina Nero Caesar in lettere ebraiche, senza passare attraverso la mediazione greca, otteniamo questo calcolo: 
 
נ  N (nun) = 50
ר  R (resh) = 200
ו  W (waw) = 6
ק  Q (qof) = 100
ס  S (samekh) = 60
ר  R (resh) = 200
 
Totale: 50 + 200 + 6 + 100 + 60 + 200 = 616

La differenza tra i due numeri è proprio il valore numerico della lettera nun finale nel nome dell'Imperatore, presente in un caso e assente nell'altro! Non c'è quindi alcuna contraddizione tra 666 e 616. Questo risultato è un fortissimo indizio a favore dell'interpretazione del Numero della Bestia come forma cifrata del nome di Nerone col suo epiteto Cesare (ossia "Imperatore"). 
 
Sono da rigettarsi tutte le infinite interpretazioni strampalate che si leggono nel Web. Non stiamo nemmeno a citarle tutte. Basterà riportare quella che vede nel numero 6 qualcosa di difettoso rispetto al numero 7, esprimente invece la perfezione; la ripetizione del 6 per tre volte indicherebbe un'imperfezione indefettibile, diabolica. Eppure Giovanni dice chiaramente che 666 è "numero d'uomo". Evidentemente molti fanatici biblici le Scritture nemmeno le leggono. Ancor più assurda è l'identificazione del 666 con i vaccini o con i chip sottocutanei: se anche Giovanni avesse visto tali cose, non avrebbe saputo interpretarle. Invece egli scrive che chi ha intelligenza sa come eseguire il calcolo. Si rivolgeva ai suoi correligionari, a cui bastava saper leggere, scrivere e far di conto. Nulla di trascendentale! 
 
Alcuni sostengono che il Libro della Rivelazione sarebbe stato composto all'epoca di Domiziano, quando Nerone era già defunto da tempo. Va detto questo: 
1) Secondo autori come Origene, Clemente di Alessandria e San Gerolamo, il Libro della Rivelazione fu invece composto all'epoca di Nerone; 
2) Esisteva l'idea secondo cui Domiziano sarebbe stato Nerone redivivo. In altre parole, Nerone era diventato per molti Cristiani (non per tutti) un epiteto dell'Anticristo.  
 
Si evidenzia uno dei gravissimi limiti della Ghematriah, che ora della fine ne dimostra l'intrinseca inconsistenza, è proprio questo: non riesce a distinguere le radici dei nomi (portatrici di significato) da elementi come suffissi e terminazioni dei casi; non riesce a tenere conto dei piccoli cambiamenti fonetici e morfologici dovuti all'adattamento di una parola da una lingua a un'altra.

Il terrore del Ritornante 

Questo afferma Agostino d'Ippona nel De Civitate Dei (20, 19, 3):

"Vi sono perciò persone che affermano che Nerone risorgerà e diventerà l’Anticristo, mentre altri suppongono che egli non sia morto, ma sia scomparso in modo da farlo credere ucciso, e sia ancora vivo e nascosto e nel pieno dell’età che aveva al tempo della sua presunta morte, finché «non venga rivelato al tempo giusto per lui» e rimesso sul suo trono. Quanto a me, sono assai stupito dalla grande presunzione di coloro che azzardano simili congetture."

Anche se l'Ipponate non approvava queste credenze, ne ha documentato l'esistenza e la diffusione ancora nella sua epoca. Sono le stesse che terrorizzavano Papa Pasquale II molti secoli dopo! 

Deduzioni su un culto di grande importanza 
 
Sono dell'idea che non si possa trascurare un fatto di per sé evidente: gli onori tributati alla memoria di Nerone dal popolo romano si sono trasmessi dall'Antichità imperiale al Medioevo in modo diretto e senza soluzione di continuità. La costumanza di portare fiori a Nerone comparve subito dopo la sua morte e la ritroviamo tal quale ai tempi di Pasquale II. La storiografia tradizionale si è affannata per lungo tempo a sostenere la discontinuità tra il Medioevo e l'Evo Antico, interpretati come due universi senza alcuna connessione, fatti di sostanze del tutto dissimili. A quanto possiamo dimostrare con questi studi, una simile concezione non è ben fondata, perché presenta almeno una grave falla.          

Alcuni siti utili 

Riporto alcuni link a interessanti siti del Web che trattano questi argomenti, purtroppo negletti dalla storiografia e non sufficientemente indagati dagli studiosi.
 
 
 
 
 
Le fonti menzionate nella Wikipedia in italiano sono le seguenti: 

1) Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1984;
2) Massimo Fini, Nerone. Duemila anni di calunnie, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993; 
3) Edward Champlin, Nerone, Editori Laterza, 2010. 
 
Ho potuto avere accesso agli ultimi due lavori. In particolare quello di Champlin è eccellente. Una vera e propria miniera di informazioni preziose. 

 
Il Belli e il ricordo di Nerone  

Giuseppe Gioachino Belli (1791 - 1863) scrisse nel 1831 un sonetto intitolato Un deposito, in cui fa menzione della tomba di Vibio Mariano e della sua attribuzione a Nerone.
 
"Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca. Questi idioti o nulla sanno o quasi nulla: e quel pochissimo che imparano per tradizione serve appunto a rilevare la ignoranza loro: in tanto buio di fallacie si ravvolge. Sterili pertanto d’idee, limitate ne sono le forme del dire e scarsi i vocaboli." 

Questo è il sonetto:
 
Un deposito 
 
Dove nasce la cassia, 
a mmanimanca, nò a ppontemollo, tre mmía piú llontano, 
ce sta ccome un casson de pietra bbianca
o nnera, cor P. P. der posa-piano.


Lí, a Rromavecchia, ha dditto l’artebbianca, 
ce sotterronno un certo sor Mariano, 
che mmorze de ’na palla in una scianca 
a la guerra indov’era capitano.

Duncue, o cqui er morto è stato sbarattato;
e allora me stordisco de raggione
ch’er governo nun ciabbi arimediato.


O cchi ha scritto er pitaffio era un cojjone:
perché, da sí cch’er monno s’è ccreato,
questa è la sepportura de Nerone. 

Si menziona una rudimentale conoscenza del latino da parte di un fornaio (denominato artebbianca, ossia "arte bianca"), che riesce a identificare il nome del personaggio sepolto, Mariano, pur attribuendogli gesta anacronistiche: sarebbe morto sul campo di battaglia per un proiettile in una gamba. Di fronte alla stridente incongruenza tra la tradizione e i dati raccoglibili tramite i sensi, il popolano trova soltanto due spiegazioni possibili: o hanno sgombrato i resti di Nerone mettendoci dentro quelli di un certo Mariano, oppure il lapicida era un idiota che ha scritto "Mariano" anziché "Nerone" per incompetenza.    
 
Gli idioti di Quora  

Nel triste e turpissimo social network denominato Quora mi sono imbattuto in una lunghissima serie di dementi fallocefali e stolitissimi, la cui cultura è essenzialmente cinobalanica, oltre che autoreferenziale. Il loro ragionamento è questo: se una cosa non è scritta sui libri di scuola su cui hanno studiato al liceo, allora non esiste. Sic et simpliciter. Quando qualcuno riporta loro qualcosa che non hanno mai sentito, reagiscono con stizza e lo aggrediscono, accusandolo di inventare di sana pianta. Così questi saputelli gnè gnè gnè, senza alcuna cognizione di causa, negavano l'esistenza stessa del culto di Nerone, pur essendone documentata la persistenza. Mi faccio una domanda. Perché non si calano in un crogiolo di fonderia per ricevere addosso una colata di ghisa? 
 
 
Il culto non muore!
 
Alla faccia di Pasquale II e degli stolti che hanno creduto alle sue boiate, in qualche modo il culto di Nerone è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Esistono prove inconfutabili di questo fatto. Ancora oggi qualcuno lascia fiori a Santa Maria del Popolo, per onorare il Benefattore la cui fama immensa ha sfidato i millenni, caso quasi unico in tutta la Storia. Nel 2010 è stato inaugurata ad Anzio una statua di bronzo dedicata a Nerone, opera dello scultore Claudio Valenti, con una targa commemorativa riportante la seguente iscrizione: 
 
"Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato ad Anzio il 15/12/37 d.C. con il nome di Lucio Domizio Enobarbo,  figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, sorella dell'imperatore Caligola. Nel 54 d.C. divenne imperatore per acclamazione dei pretoriani. Durante il suo principato l'impero conobbe un periodo di pace, di grande splendore e di importanti riforme. Morì il 9/06/68 d.C." 
 
Queste sono le parole di Luciano Bruschini, all'epoca sindaco di Anzio:

"Probabilmente è l'unico monumento al mondo dedicato all'Imperatore Nerone, nostro concittadino. Non a caso abbiamo posizionato la statua davanti all'antico porto neroniano e nelle immediate vicinanze del Parco Archeologico della Villa di Nerone. Infatti diverse vicende della vita dell'Imperatore Nerone sono legate al luogo natale, sede di una residenza imperiale che, nei secoli, ha assunto le dimensioni monumentali che tuttora ammiriamo nell'area tra il faro, il Porto Neroniano e l'Arco Muto".
 
E ancora: 
 
"A distanza di venti secoli finalmente gli storici seri stanno rivalutando la figura di Nerone: un grande Imperatore, amato dal suo popolo, per le sue coraggiose riforme sociali e per il lungo periodo di pace che ha caratterizzato il suo principato che con questo monumento contribuiamo a ricordare come merita, superando ridicole ricostruzioni storiche e cinematografiche."
 
Questo riporta Champlin nella nota 44 del suo utilissimo libro:
 
"Nel 1909 Lanciani osservò a proposito di Anzio, la città dove erano nati l’imperatore e la sua unica figlia: «Nerone è ancora l’eroe popolare di Anzio e il protagonista di molte leggende del suo folklore» (Lanciani 1909, 340). Si paragonino le storie sul bagno di latte di Poppea narrate ancora oggi nella zona del suicidio di Nerone a nord di Roma: Quilici e Quilici Gigli 1986, 102, n. 125."
 
Tutto ciò si contrappone all'irriverenza di Petrolini, che guittescamente schernì l'indimenticabile Cesare, ritraendolo nelle sue squallide macchiette come un decerebrato dall'aspetto oltremodo grottesco. Ancor più esecrabile è la rappresentazione fatta da Mel Brooks, che nel film demenziale La pazza storia del mondo (History of the World, Part I, 1981) ha ritratto Nerone come un odioso panzone calvo e sostanzialmente imbecille - cosa che non era affatto - e per giunta intento a spappolare pomodori che non potevano esistere! 

 
Meritoria opera di ricostruzione 
 
Uno studioso e artista spagnolo, Salva Ruano, ha prodotto una serie di statue iperrealistiche per il suo progetto Césares de Roma, dedicato ai grandi protagonisti storici dell'Urbe. La base su cui si fonda la sua opera immensa ed ingegnosa sono le raffigurazioni scultoree dell'epoca antica e le fonti letterarie, che permettono di ricreare il passato con una precisione che ha dell'incredibile. Riporto le sue commoventi parole: "Questo è il progetto artistico più importante della mia vita, unisce le mie grandi passioni: l’arte e la storia". Il volto di Nerone è stato ricostruito a grandezza naturale servendosi di silicone, acrilico e capelli naturali. Così riporta Gaio Svetonio Tranquillo: "La sua statura si avvicinava alla media, il suo corpo era coperto di macchie", aggiungendo "Gli occhi erano incavati e deboli alquanto, il collo grosso". Le macchie sul corpo erano efelidi. La chioma era di un bel colore rosso, gli occhi erano chiari.      

Conclusioni
 
Naturalmente sono un grandissimo fan dell'Imperatore Nerone e reputo che egli sia la soluzione ideale alle piaghe che affliggono Roma e l'Italia intera. Possa risorgere dall'Ade! 

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