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mercoledì 4 agosto 2021

IL SALMO CANARIO O PADRE NOSTRO GUANCHE: UN FALSO STORICO

José Barrios García è l'autore dell'articolo Las seis vidas de una frase: el salmo canario o padrenuestro guanche, ossia "Le sei vite di una frase: il salmo canario o padrenostro guanche", pubblicato nel 2016 sulla rivista Tabona. Revista de prehistoria y de archeología (Universidad de la Laguna, vol. 21). Il lavoro, presente nel sito Academia.edu, è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link: 
 
 
Nel 1934, Emilio Hardisson y Pizarroso presentò all'Instituto de Estudios Canarios una frase che avrebbe dovuto essere la traduzione del Salmo 113 nella lingua preispanica delle Canarie. Questa frase, riportata in un manoscritto datato 1803, era la seguente: ATISA CAGNREN CHA ONDIKHUESATE ANTICHIAHA ONANDA ERARI. La presunta traduzione in spagnolo sarebbe questa: "Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor", ossia "Dall'Oriente all'Occidente è lodevole il Nome del Signore". La traduzione CEI del testo biblico è la seguente: "Dal sorgere del sole al suo tramonto sia venerato il nome del Signore". Sorvoliamo sulla discrepanza tra le varie traduzioni. Tutto molto suggestivo. Peccato che si tratti di un colossale imbroglio, come Barrios García ha potuto dimostrare con argomenti solidissimi. All'epoca, Dominik Josef Wölfel e altri studiosi non sono riusciti a concludere nulla sull'affidabilità di questo documento e sul suo significato reale, giungendo a fatica alla conclusione che potesse trattarsi della prima frase del Padre Nostro: da ciò è derivata la denominazione tradizionale di Padre Nostro Guanche. Penso che sia importante parlarne per vari motivi. Innanzitutto, nessuno in Italia a quanto pare si occupa delle lingue degli antichi Canari. Inoltre questa è la cronistoria di un falso storico particolarmente nocivo e persistente, dal momento che è persino stato utilizzato come simbolo da movimenti religiosi che possiamo soltanto definire posticci. Già è di estrema difficoltà far luce sul passato del genere umano, con tutte le lacune che minacciano la Conoscenza ad ogni passo. Se poi ci si mettono coloro che diffondono informazioni fittizie, non si può riuscire a ottenere alcun risultato utile, si viene costantemente intralciati e si rischiano conclusioni fuorvianti - come questo caso dimostra al di là di ogni dubbio.
 
L'autore dell'articolo parte dall'origine dell'equivoco che ha dato vita al falso storico del Padre Nostro Guanche, seguendone passo per passo lo sviluppo attraverso i secoli. Credo che sia più efficace compiere il percorso a ritroso. 

Nel 2011, Ignacio Reyes García, autore del famoso Diccionario Ínsuloamaziq, è partito dalla frase trasmessa dalla "tradizione orale", riportata da Fernando Hernández González nel suo libro Taucho, la memoria de los antiguos (2010), soltanto di poco diversa da quella pubblicata da Hardisson y Pizarroso:

Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari. 

Così Reyes García l'ha "trascritta", trasponendola in berbero, nella miglior tradizione dei traduttori magici

A ətti ččaš šagren ša ondi, Wassksaḍ anti išačča-ana, onan-da er ăr-i.

Quindi ne ha dato una "traduzione letterale": 

"Desde que el incremento el brillo duradero hacia el término, Dios el origen nos sustenta, el propio nominativo hasta mi objeto más preciado."
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Poiché accresce lo splendore duraturo del termine, Dio l'origine ci sostiene, il nominativo stesso al mio oggetto più prezioso."
 
Ha fatto seguito una traduzione figurata: 
 
"Desde el naciente del Sol hasta el ocaso, Dios es la causa que nos sustenta, incluso el nombre mismo [es] mi ser más querido." 
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Dal sorgere del Sole al tramonto, Dio è la causa che ci sostiene, anche il nome stesso [è] il mio essere più caro."
 
Veniamo ora alla "tradizione orale" di partenza. La frase fece la sua misteriosa comparsa verso il 1970 nel contesto dei movimenti religiosi canari fondati sul recupero della spiritualità e dei rituali degli antichi Guanche. La fonte ultima a cui Reyes García ha potuto risalire sarebbe stata un documento degli inizi del XIX secolo, che fu evidentemente consultato da un antenato dell'informatore. Credo che a questo punto sia opportuno riportare le testimonianze contenute nell'articolo di Barrios García, per necessità di conoscenza.
 
"[La frase] figura en un documento fechado en 1803 que recopila esta fórmula en diversos idiomas, aunque la versión que da entrada a este asiento fue recogida por Fernando Hernández González de su abuelo Isidro Hernández, quien la pronunciaba durante la celebración del ritual del Achún Magec."  
 
Traduzione: 
 
"[La frase] appare in un documento del 1803 che riporta questa formula in varie lingue, anche se la versione che dà accesso a questa voce è stata raccolta da Fernando Hernández González presso suo nonno Isidro Hernández, che la pronunciò durante la celebrazione del rito dell'Achún Magec." 
 
E ancora (il grassetto è mio): 

"Según el periodista y escritor Fernando Hernández González, su abuelo, Isidro Hernández, natural de Lomo Mena, en la comarca de Agache (sur de Tenerife), acudía con un grupo de amigos a las Piedras de Ayesa (Arafo) en la madrugada de cada 21 de junio para celebrar un pequeño ritual que denominaba «Achún Magec» [...]. Durante esta ceremonia solsticial, pronunciaba su propia versión del salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»..."  
 
Traduzione: 
 
"Secondo il giornalista e scrittore Fernando Hernández González, suo nonno, Isidro Hernández, originario di Lomo Mena, nella regione di Agache (a sud di Tenerife), si recò con un gruppo di amici alle Piedras de Ayesa (Arafo) nei primi anni mattina di ogni 21 giugno per celebrare un piccolo rito che chiamò «Achún Magec» [...] Durante questa cerimonia solstiziale, pronunciò la propria versione del Salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»...)" 

Ecco altre informazioni utili sulla linea esoterica fittizia:
 
"Sin embargo, no consta tampoco la línea de transmisión a través de la cual recibió esta sentencia [el abuelo de F. Hernández], aunque una fecunda tradición oral parece haber sido conocida por algún otro antepasado de su familia paterna (en particular, su abuelo, Agustín Hernández Izquierdo, cabrero en la zona de Anocheza)."  
 
Traduzione: 
 
"Tuttavia, non si conosce la linea di trasmissione attraverso la quale [il nonno di F. Hernández] ricevette questa frase, anche se sembra che una fruttuosa tradizione orale sia stata conosciuta da qualche altro antenato della sua famiglia paterna (in particolare, suo nonno, Agustín Hernández Izquierdo, capraio della zona di Anocheza)."
 
Orbene, credo che a questo punto anche un orango capirebbe che il documento del 1803 contenente la supposta frase canaria è proprio quello citato da Emilio Hardisson y Pizarroso nel 1934. A quanto pare, lo studioso non ha mai visto quel libro con i propri occhi, ne ha soltanto sentito parlare (il grassetto è mio): 
 
"En ese documento [...] descubrí la siguiente frase en canario: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari», que quiere decir en castellano: «Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor»" 
 
Traduzione: 

"In quel documento [...] Ho scoperto in canario la seguente frase: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari", che in spagnolo significa: "Dall'Oriente all'occidente è lodevole il nome del signore"."
 
L'interesse accademico per la frase riportata da Hardisson y Pizarroso e discussa da Wölfel si è estinto presto, dopo alcune sterili polemiche, ma dura tuttora la sua sopravvivenza nel panorama delle bizzarre credenze legate al ricordo degli antichi indigeni. 
 
L'inghippo 
 
Ecco che i nodi vengono al pettine! Proprio nel 1803, Francisco M.a de Ardanaz y Ormaechea (1780 - 1825), giovane custode della Biblioteca Reale che con tempo sarebbe diventato uno dei calligrafi più famosi del Regno di Spagna, preparò con la massima cura una pergamena con testi scritti nelle lettere in uso nelle nazioni delle quattro parti del mondo conosciuto. La pergamena in questione è dedicata al bibliotecario reale, don Pedro de Silva y Meneses, a Madrid, il giorno 23 dicembre 1803. Ardanaz y Ormaechea ha riprodotto liberamente un'incisione del gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602 - 1680), Horoscopium catholicum Societ. Iesu, includendovi le versioni del Salmo 113 in varie lingue. A questo punto è stato commesso un errore madornale: dove il testo di Kircher riporta come nome della lingua Canadicè, ossia "Canadese", il calligrafo spagnolo ha scritto con improvvido rotacismo Canaricè, ossia "Canario"
 
L'Horoscopium catholicum di Kircher, contenuto nella sua opera Ars magna lucis et umbrae, pubblicata a Roma nel 1646, mostra Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ai piedi di un olivo le cui ramificazioni rappresentano la divisione provinciale del suo ordine. I quattro angoli dell'incisione sono ornati con 34 frasi in altrettante lingue. Almeno dieci di queste frasi sono traduzioni del terzo versetto del Salmo 113 (112 secondo un'altra nomenclatura): "Dall'Oriente all'occidente è venerato il nome del Signore". L'angolo superiore destro dell'incisione mostra il versetto tradotto nelle seguenti lingue: Lusitanicé (Portoghese), Sardicè (Sardo), Siam (Thailandese), Chilichè (Mapudungun, un tempo detto Araucano), Canadicè (Wyandot, ossia Urone) e Mexicè (Nahuatl o Azteco). La frase contrassegnata con Canadicè è così scritta: "Atisacagnren cha ondikhucȣatè atichiahà onandaeraƨi". La si riconosce subito.
 
Il Salmo Canario è nella lingua di Magua!   
 
Qualcuno si ricorda L'ultimo dei Mohicani, il romanzo di James Fenimor Cooper? Un tempo il suo successo è stato considerevole e quasi tutti l'avranno letto quando erano bambini. Il "cattivo" del romanzo è Magua, della tribù degli Uroni. Ecco, la frase "Atisa cagnren cha ondikhuesate atichiaha onanda erari" è formulata nella lingua di Magua, non in lingua Guanche! 
 
Il testo originale si trova nell'opera del gesuita francese Jean de Brébeuf (1508 - 1649), Relation de ce qui s'est passé dans le pays des Hurons en l'année 1636 (ossia "Relazione di ciò che accadde nel paese degli Uroni nell'anno 1636"), pubblicata a Parigi nel 1637. Nelle pagine 48-49 del volume in questione, è contenuta una lunga orazione nella lingua degli Uroni (il cui endoetnico è Wyandot), con traduzione interlineare in francese. 
 
Barrios García si è limitato a riportare la fotografia di un estratto del testo originale di Brébeuf del 1637, una scelta che a me sembra poco felice, in quanto non permette di apprezzare appieno l'enorme portata della scoperta. Riporto quindi il testo integrale dell'orazione nella lingua degli Uroni (Wyandot), con evidenziate in grassetto e in rosso le parole interessate, che sono poi state utilizzate per fabbricare il falso Padre Nostro Guanche. Il carattere ȣ indica un'approssimante velare /w/, non diversamente dal carattere w dell'inglese want
 
IO SAKHRIHOTE DE SONDECHICHIAI, DINDE ESA D'OISTAN ICHIATSI, DINDE DE HOEN ICHIATSI, DINDE DE ESKEN D'OATATOECTI ICHIATSI; IO SAKHRIHOTE, ONEKINDÉ OERON D'ICȣAKERHA, ATISACAGNREN CHA ONDIKHUCȣATÉ ATICHIAHÀ, ONNE ATISATAȣAN ÀȣETI; AERHON ONATINDECȣAESTI. CAATI ONNE ȣÀTO ESÀTAANCȣAS ECHA ÀȣETI, ÀȣETI ESÀTONKHIENS, ONDAYEE ECHA ȣENDERHAY CHA ȣENDIKHUCȣATÉ OTINDEKHIEN, ȣENDERHAY AȣANDIO AȣATON EȣA TICHIAHA. IO ICHIEN NONHȣA ETSAON HATSACARATAI, ATSATANONSTAT. ENONCHE ȣATINONHȣAKÉ, ENONCHÉ ȣATIRIHȣANDERÂKÉ, AONHȣENTSANNENHAN, SERREȣA EȣA D'OTECHIENTI, DIN DE ONGNRATARRIÉ ETSESONACHIEN, SERREȣA ITONDI ; DIN DE ONRENDICH ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE ȣSKENRAETAC ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE OKI ESONIATOATA ONDAYEE D'OKIASTI. CHIA DAONONCȣAIESSA D'OKI ASAOIO, SERREȣA ITONDI. OCȣETACȣI SERREȣA EȣE D'OTECHIENTI. IESUS ONANDAERARI DIEU HOEN ONDAYEE ACHIEHETSARON DE HIAISTAN, ONEKÉ TEHIAMONSTAS, CHIA DESA ȣARIE IESUS ONDȣE DE CHIKHONCȣAN, ONDAYEE ITONDI CHIHON, TO HAYAȣAN.  

Riporto anche la traduzione in francese, che nel testo compare in forma interlineare in caratteri più piccoli rispetto a quelli usati per il testo nella lingua degli Uroni. Mantengo l'ortografia originale, che presenta alcune differenze rispetto a quella attualmente in uso (il carattere ſ variante di s; u al posto di v intervocalica e v al posto di u iniziale, etc.).
 
"Sus eſcoutez vous qui auez fait la terre, & vous qui Pere vous appellez, & vous ſon fils qui vous appellez, & vous Eſprit Sainct qui vous appellez, ſus eſcoutez car ce n’eſt pas choſe de peu d’importance que nous faiſons, regardez ces aſſemblez enfans, deſia ce ſont tes creatures tous ; parce que on les a baptiſez. Mais voicy que vne autrefois nous te les preſentons eux tous, nous te les abandonnons tous, c’eſt ce que penſent ce que voila aſſemblées femmes, elles penſent maiſtre qu’il ſoit de tous les enfans. Sus donc maintenant prenez courage gardez-les, defendez-les. Qu’ils ne deuiennent point malades, qu’ils ne pechent iamais, deſtournez tout ce qui eſt mal ; que ſi la contagion nous attaque derechef, deſtourne-là auſſi ; que ſi la famine nous attaque deſtourne-la auſſi ; que ſi la guerre nous aſſault deſtourne la auſſi ; que ſi le demon nous prouoque, c’eſt à dire le mauuais demô, & les meſchans qui par poiſon font mourir, deſtourne les auſſi. Finalement deſtourne tout ce qui eſt de mauuais. Ieſus noſtre Seigneur de Dieu Fils, c’eſt ce à quoy tu exhorteras ton Pere, car il ne te refuſe point. Et vous auſſi Marie de Ieſus la Mere qui eſtes Vierge, cela auſſi dis. Ainſi ſoit-il."  
 
Traduzione, il più possibile letterale:  

"Ascolta, tu che hai fatto la terra, e tu che voi chiamate Padre, e tu che voi chiamate suo Figlio, e tu che voi chiamate Spirito Santo, ascolta, perché non è cosa da poco quello che facciamo, guarda questi bambini riuniti, che già sono tutti tue creature; perché li abbiamo battezzati. Ma ecco, un'altra volta te li presentiamo tutti, li abbandoniamo tutte a te, questo pensano le donne riunite, esse pensano che tu sia il padrone di tutti i figli. Allora adesso prendete coraggio, conservateli, difendeteli. Che non si ammalino, che non pecchino mai, che si allontanino da tutto ciò che è male; che se il contagio ci attacca ancora, allontana anche quello; che se la carestia ci attacca, allontana anche quella; che se la guerra ci attacca, allontana anche quella; che se ci provoca il demonio, cioè il malvagio demonio, e gli empi che con il veleno causano la morte, allontana anche loro. Alla fine allontana tutto ciò che è male. Gesù, nostro Signore di Dio Figlio, per questo esorterai tuo Padre, perché non ti rifiuterà. E anche tu, Maria di Gesù Madre che sei Vergine, hai detto anche questo. Così sia." 
 
Ecco i link al testo di Brébeuf:   


 
Come fa notare Barrios García e come si può desumere da questi documenti, la corretta traduzione della frase fatidica è "Signore, guarda questi bambini riuniti". Non è la prima frase del Padre Nostro e neppure il terzo versetto del Salmo 113. Non va quindi chiamata Padre Nostro GuancheSalmo Canario. Mi si perdoni la provocazione: sarebbe più sensato chiamarla Preghiera di Magua.   
 
Conclusioni 
 
Cosa possiamo dedurre da quanto esposto? Diverse cose, tutte mortificanti, addirittura annichilenti. 
 
Le culture identitarie e i nazionalismi si nutrono spesso di mitologie fabbricate, prive di qualunque rispondenza con la realtà storica. Solo per fare un esempio, a un indipendentista canario non sembra importare molto il concreto recupero dell'autentica lingua Guanche - anche ammesso che sia possibile realizzarlo. Si crea quindi una pseudo-identità, in cui la sola cosa che conta è la contrapposizione al governo della Spagna (che a sua volta agisce come persecutore per distruggere ogni possibile resto della cultura nativa). Una triade perversa in qualche modo accomuna oppressori e oppressi: 
i) un mito fondante, 
ii) una bandiera,
iii) un nemico. 

Conseguenza: una "tradizione orale" va sottoposta a indagini rigorose. Barrios García ci ha mostrato come una "tradizione orale" sicuramente falsa possa durare molto tempo. Ha importanza il fatto che possa trattarsi di un errore fatto in buona fede? Direi di no. Essendo perdute le lingue un tempo parlate nell'Arcipelago, sono sempre possibili fraintendimenti e distorsioni. I Canari leggono libri sulla cultura e sulla storia dei Guanche, quindi accedono allo scibile anche nel campo linguistico (parole riportate, frasi documentate, tentativi di analisi). Ciascun lettore, spesso privo di basi, può dare autonomamente vita a una "tradizione orale". 
 
Come possiamo ben comprendere, non ha il benché minimo senso che una frase nella lingua di un popolo indiano d'America venga usata in cerimonie e rituali "Guanche" a Tenerife. Se questo è accaduto, e ci sono prove schiaccianti che sia così, significa che i metodi usati finora dagli studiosi sono inefficaci. Se un "traduttore magico" come Reyes García si impegnasse su un testo pornografico in giapponese, opportunamente traslitterato in caratteri rōmaji, potrebbe analizzarlo come berbero continentale, ottenendone frasi religiose ed esoteriche!

giovedì 8 luglio 2021

I MAESTRI COMACINI: PROBLEMI ETIMOLOGICI

I Maestri comacini traggono notoriamente il loro nome da Como, terra che ha dato loro origine. In latino la denominazione di questa antica corporazione di architetti lombardi è Magistri cumacini (varianti: comaceni, commacini). Eppure l'etimo è tuttora considerato incerto. Perché? Non è difficile tracciare l'accaduto. Agli inizi del XX secolo, un critico d'arte rispondente al nome di Ugo Monneret de Villard (1881 - 1954) scrisse un contributo deprecabile, in cui cercava con ogni mezzo di dimostrare la sua folle tesi: i Maestri comacini avrebbero tratto il loro nome dalla locuzione cum machinis o cum macinis, ossia "con le macchine", alludendo ai marchingegni che questi architetti utilizzavano nella loro opera muratoria. I critici d'arte potrebbero coltivare con successo le patate, occupandosi anche della concimazione della terra. Quello che non dovrebbero fare è cercare di imporre la loro opinione nel campo della linguistica. Il principale e futile argomento dell'autore citato, italiano nonostante dal nome sembri d'Oltralpe, sarebbe questo: l'aggettivo formato dal toponimo Como (latino Cōmum) è comasco o comense (latino cōmēnsis), così non potrebbe essere al contempo comacino. Che infelicissima baggianata! Soltanto uno studioso autoreferenziale, di poco senno e cerebro minuscolo, potrebbe avere l'ardire di scrivere una tale colossale inconsistenza. Purtroppo, in tempi recenti questa teoria insensata dei "Maestri con le macchine" viene rivalutata nel Web e promossa da Google, anche se è palesemente falsa, come posso dimostrare con argomenti solidissimi.    
 
Ebbene, l'aggettivo comacino "comasco, comense" esiste eccome. La sua pronuncia può essere piana (comacìno) oppure sdrucciola (comàcino). La forma sdrucciola parrebbe la più antica, quella piana ha l'aria di essere stata tratta da una pronuncia ortografica. La derivazione è dal latino tardo cōmacĭnus / cōmacīnus, con varianti come commacinus, cōmacenus, cūmacinus, etc.; la quantità della vocale -a- è incerta. L'uso di questo aggettivo è documentato fin dal IV secolo al posto del classico cōmēnsis; un altro sinonimo tardo è cūmānus. Un'attestazione antica e sporadica si ha in Varrone (116 a.C. - 27 a.C.), che chiama cōmacinae pernae i prosciutti comensi (Lazzati, 2008). Il Lago di Como è denominato Lacus Cōmacenus nell'Itinerarium Antonii del 300. Questo limnonimo, con la sua variante Lacus Commacinus è sinonimo del più antico Lacus Cōmēnsis. Come poteva Ugo Monneret de Villard ignorare questa evidenza? Forse scarabocchiava la sua cacata charta senza consultare alcuna fonte.
 
Le testimonianze dell'esistenza e della diffusione di questo aggettivo comacino sono numerose e sopravvivono tuttora nella toponomastica lombarda. Questi sono i suoi esiti: 
 
comasno < cōmacinus 
Comàsina < Cōmacina 
Comasìna < Cōmacīna 
 
1) Dal toponimo milanese Porta Comàsina o Porta Comasna ha avuto origine il nome del quartiere detto oggi Comasina (con l'accento sulla penultima sillaba, Comasìna). Il luogo è noto soprattutto perché da esso prese il nome la famigerata banda della Comasina, capeggiata da Renato "Bel René" Vallanzasca, che terrorizzò la Lombardia con la sua ferocia. Il bandito era nativo dell'infernale Giambellino, quello stesso che tanto piaceva a Giorgio Gaber, però la sua banda prese il nome dalla Comasina perché proprio là si trovava un bar utilizzato come ritrovo abituale.
 
2) Ca' del Comasno, ossia "Casa del Comasco", è una frazione di Lodi Vecchio, un tempo comune indipendente.
 
3) L'Isola Comacina (in latino tardo Insula Comacina) è un'isola del Lago di Como (Lario), tecnicamente definibile come "lembo di terra": è lunga 600 metri, larga 200 metri, con un perimetro di 2 chilometri e una superficie di 7,5 ettari. Se ne trovano diverse menzioni nell'Historia Langobardorum di Paolo Diacono. Questa menzione è riferita all'anno 588 circa:
 
Alii quoque Langobardi in insula Comacina Francionem Magistrum Militum, qui adhuc de Narsetis parte fuerat et iam se per viginti annos continuerat, obsidebant. Qui Francio post sex menses obsidionis suae Langobardis eandem insulam tradidit, ipse vero, ut obtaverat, dimissus a rege, cum sua uxore et supellectili Ravennam properavit. Inventae sunt in eadem insula diviciae multae, quae ibi de singulis fuerant civitatibus commendatae.
Historia Langobardorum, III, 27
 
Traduzione:
 
"Altri Longobardi assediavano nell’isola Comacina il magister militum Francione, che era del partito di Narsete e che si era asserragliato ormai da vent’anni. Questo Francione, dopo sei mesi che era stato assediato onsegnò quella stessa isola ai Longobardi; congedato dal re, si affrettò a raggiungere Ravenna con sua moglie e i suoi bagagli, come certamente lui stesso aveva chiesto. In quella stessa isola furono trovate molte ricchezze, che in quel luogo erano state messe al sicuro da parte di diverse città."
 
Secondo Fabio Carminati e Andra Mariani (2016), l'Insula Comacina di cui ha scritto Paolo Diacono nella sua Historia Longobardorum sarebbe da identificarsi con una porzione di terra situata in quello che oggi è il comune di Olginate. Questi autori sono convinti che l'aggettivo comacino sia sì derivato dal toponimo Como, ma che in origine fosse riferito soltanto alla parte orientale del Lario e del suo territorio, ossia al Lago di Lecco e al Lecchese. Credo che ciò sia poco plausibile: Sant'Ambrogio chiamava rūpēs cōmacinae i monti sopra Como (Epistola 55). In ogni caso, se anche le tesi di Carminati-Mariani dovessero risultare fondate, comacino resterebbe pur sempre connesso a Como.
 
I Comacini nell'Editto di Rotari 
 
I capitoli dell'Editto di Rotari che trattano dei Maestri comacini sono due: il 144 e il 145. Ne riporto il testo originale e la traduzione. 
 
144. 
De magistros commacinos. Si magister commacinus cum collegantes suos cuiuscumque domum ad restaurandam vel fabricandam super se, placitum finito de mercedes, susceperit et contigerit aliquem per ipsam domum aut materium elapsum aut lapidem mori, non requiratur a domino, cuius domus fuerit, nisi magister commacinus cum consortibus suis ipsum homicidium aut damnum conponat; quia, postquam fabulam firmam de mercedis pro suo lucro suscepit, non inmerito damnum sustinet. 
 
Traduzione: 

"Se un maestro comacino con i suoi consoci avrà accettato, dopo aver definito il patto sulla ricompensa, di restaurare una casa o di sopraelevarla, e sarà accaduto che qualcuno muoia a motivo della stessa costruzione o per la caduta d'una trave o per la caduta d'una pietra, allora non si richieda la composizione del danno al padrone della casa, qualora il maestro comacino in solido con i suoi consoci non faccia composizione dello stesso omicidio o del danno: infatti, poiché questi ha pattuito il suo guadagno, giustamente deve sostenere anche il rischio." 

145.
De rogatos aut conductos magistros. Si quis magistrum commacinum unum aut plures rogaverit aut conduxerit ad opera dictandum aut solatium diurnum prestandum inter servûs suos, domum aut casa sibi facienda, et contegerit per ipsam casam aliquem ex ipsis commacinis mori, non requiratur ab ipso, cuius casa est. Nam si cadens arbor aut lapis ex ipsa fabrigam occiderit aliquem extraneum, aut quodlebit damnum fecerit, non repotetur culpa magistris, sed ille, qui conduxit, ipse damnum susteneat. 

Traduzione: 

"Dei maestri chiamati o assunti. Se qualcuno invita o assume uno o più maestri comacini per dirigere i lavori o prestare aiuto quotidiano tra i suoi servi per la costruzione di una casa padronale o di un casale per sé, e accade che uno dei comacini muoia mentre lavorava in quel casale, non va fatta la querela nei confronti di colui al quale appartiene il casale. Ma se un pezzo di legno o una pietra, cadendo dall'edificio, uccide uno straniero o gli causa qualche danno, il padrone non sarà incolpato, ma accetterà il danno da parte di chi lo ha assunto." 

Bizzarre manipolazioni massoniche
 
Per qualche arcano e misterioso motivo, ai Frammassoni non è mai andata a genio la chiarezza etimologica. In genere fondano le loro etimologie su princìpi assolutamente irrazionali. Ricordo ancora l'amico G. (R.I.P.), che aderiva alla Libera Muratoria e se ne usciva ogni tanto con trovate che mi facevano infuriare. Una volta arrivò a sostenere che la parola dannato deriverebbe dal greco thánatos "morte". Rimase sconvolto quando gli dissi che dannato è soltanto il participio passato del verbo dannare, che deriva in modo del tutto naturale dal latino damnāre, da cui damnātiō "dannazione", vocabolo già usato da Sant'Agostino (massa damnātiōnis, etc.). I Frammassoni non analizzano le parole dividendo in modo sensato i suffissi e i prefissi dalla radice. Usano il principio dell'assonanza, l'anagramma, il calcolo numerico cabalistico delle lettere e altre manipolazioni ancor più stravaganti. L'etimologia di com(m)acinus è così ricondotta, con anagramma, a un fantomatico *co-monachus "confratello", inteso come "fratello Massone" (Knoop & Jones, 1978). Forme simili sono state ricostruite da romanisti col grembiule e il cappuccio, senza nessuna base scientifica, come ad esempio *commagister, *commachinātor e *commachiō (genitivo *commachiōnis, da *machiō "muratore", di origine germanica, vedi nel seguito per maggiori dettagli). 
 
Un'etimologia pseudogermanica
 
Non sono mancati tentativi di trovare un'origine germanica della denominazione dei Maestri comacini. Già nel 1883, Karl von Hoede ha postulato un fantomatico *gemachinus "costruttore", formato col prefisso collettivo ge- a partire dalla stessa radice del tedesco machen "fare", da cui in ultima analisi deriva anche il francese maçon (< *machiōnem, accusativo di *machiō). In tempi recenti è stato postulato un vocabolo assai simile, *ga-makin, attribuito al longobardo (Mastrelli, 2008). Tuttavia si capisce che, se davvero fosse esistita in longobardo una simile parola, questa non avrebbe subìto goffe e improbabili latinizzazioni: sarebbe stata presente nell'Editto di Rotari nella sua forma originale. Attendiamo la scoperta di nuovi documenti storici che possano aiutarci a fare maggior chiarezza. 

Consiglio senza dubbio la lettura di questo scritto interessantissimo di Marco Lazzati:

domenica 13 giugno 2021

 
LA LEGGENDA VICHINGA 
 
Titolo originale: The Saga of the Viking Women and Their 
     Voyage to the Waters of the Great Sea Serpent 
Aka: Viking Women and the Sea Serpent;
       Le donne vichinghe e il dio serpente
Lingua: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1957
Durata: 66 min
Colore: B/N
Rapporto: 1,85:1
Genere: Avventura, fantastico
Regia: Roger Corman
Soggetto: Irving Block
Sceneggiatura: Lawrence L. Goldman
Produttore: Roger Corman
Produttore esecutivo: Samuel Z. Arkoff, James H. Nicholson 
Casa di produzione: Malibu Productions 
Direttore artistico: Robert "Bob" Kinoshita
Fotografia: Monroe P. Askins
Effetti speciali: Irving Block, Louis DeWitt, Jack Rabin
Musiche: Albert Glasser
Costumi: Gwen Fitzer
Trucco: Harry Ross 
Fonico: Herman Lewis
Interpreti e personaggi:
    Abby Dalton: Desir
    Susan Cabot: Enger
    Bradford "Brad" Jackson: Vedric
    June Kenney: Asmild
    Richard Devon: Stark
    Betsy Jones-Moreland: Thyra
    Jonathan Haze: Ottar
    Jay Sayer: Senya
    Lynette "Lynn" Bernay: Dagda
    Sally Todd: Sanda
    Gary Conway: Jarl
    Michael "Mike" Forest: Zarko 
    Herman Hack: Cavaliere Grimault 
    Signe Hack: Donna Grimault
    Wilda Taylor: Danzatrice Grimault 
    Ross Sturlin: Guerriero Grimault 
Titoli in altre lingue: 
    Spagnolo (Spagna): Las mujeres vikingo y la serpiente del mar
    Spagnolo (Messico): La serpiente del averno 
    Spagnolo (Perù): Mujeres vikingos  
    Spagnolo (Venezuela): La leyenda de las vikingas y su viaje
         a las aguas del gran dios serpiente 
    Russo: Сага о женщинах-викингах и об их путешествии
         по водам Великого Змеиного Моря 
    Serbo: Saga o vikinškim ženama i njihovom putovanju
        do voda Velike morske zmije
Budget: 65.000 dollari US
 
Trama: 
In una fantomatica terra nordica chiamata Stannjold tumultua senza sosta un gruppo di donne guidate dalla splendida Desir. Sono autentiche virago. I loro uomini sono scomparsi e devono essere ritrovati ad ogni costo, giusto per essere randellati a dovere. Il clima di Stannjold è tropicale, vi splende perennemente il solleone e tutte vanno in giro mezze nude. Desir e le sue seguaci salpano su una lunga nave e in seguito a un vortice marino fanno naufragio in una terra sconosciuta, oltre il Mare Sconosciuto. Qui trovano i loro uomini imprigionati nelle miniere da guerrieri di un popolo crudele che somiglia per aspetto fisico e per costumi agli Unni. Sono i Grimault, crudeli e dai capelli corvini. Sono governati dal tiranno Stark. Dopo mille peripezie, le donne vichinghe riescono a liberare i loro uomini, il cui capo è Vedric, raggiungendo così la costa. Qui avviene un drammatico confronto con i Grimault. Il figlio effeminato del tiranno Stark viene colpito da Thor, che lo uccide con la folgore. Gli uomini e le donne di Stannjold riescono a impadronirsi di un'imbarcazione, prendendo il largo. Affrontano una gigantesca lucertola gommosa scaturita da un immane gorgo, piena di creste che paiono condilomi venerei acuminati, e la uccidono servendosi di una minuscola spada, la cui punta non è certo acuminata. Secondo l'idea del regista, anche un coltellino svizzero sarebbe bastato a squarciare quella massa gelatinosa! Prima di spirare per l'esigua puntura, il mostro marino distrugge con le sue convulsioni la barca dei Grimault lanciata all'inseguimento dei Vichinghi gloriosi. Evidentemente i Grimault erano un popolo piccolissimo: il potere di Stark è distrutto nell'incidente e non giungono altre minacce. Così gli eroici Vichinghi e le loro robuste compagne riescono a raggiungere la torrida patria.
 
Recensione:  
Questo film è un autentico escremento di celluloide, come a volte sono i prodotti di Corman (altri sono invece notevoli). Non penso che esista una sola ragione al mondo perché si debbano vedere simili porcherie. A spingermi deve essere il mio innato masochismo. Qui siamo addirittura a livelli di autolesionismo. Certo, la sensibilità era molto diversa all'epoca in cui la pellicola cormaniana fu distribuita. Senza dubbio lo era anche la mia: non ero ancora nato! 

 
L'onirostorico Paese di Stannjold 
 
All'inizio della pellicola viene mostrata una mappa con la geografia del Nord tropicale cormaniano. Si nota all'istante una cosa stravagante: quella che ora è la Danimarca è invece denominata "Stonjold", mentre "Land of the Danes" (ossia "Terra dei Danesi") indica la costa meridionale del Mar Baltico. Il regista immagina che in seguito quattro o cinque Danesi sarebbero migrati a nord, stanziandosi nella terra di Stannjold e imponendosi sui quattro o cinque nativi, cambiando il nome alla nazione. Secondo l'idea di Corman e di Goldman, tutti i popoli dell'antico Settentrione sarebbero stati talmente esigui come consistenza numerica da poter essere spazzati via da una semplice epidemia di raffreddore! Non ci si possono aspettare idee realistiche sulle antiche migrazioni da individui con una conoscenza tanto limitata. Non mancano gli anacronismi, che sono abbastanza gratuiti e insensati. Vediamo che i Grimault hanno un immenso castello dotato di merli, come se potessero servirsi di una tecnologia assai avanzata e di una grandissima abbondanza di manodopera, ma questo non risulta: sono quattro gatti! Il Re Harald Dente Azzurro non avrebbe potuto concepire nulla di simile, pur essendo la Danimarca tanto popolosa e potente da inviare spedizioni a devastare l'Inghilterra. Se la narrazione del film di Corman è un'ucronia, non siamo in grado di determinare il Punto di Divergenza. Non siamo in grado perché non c'è. Si tratta di un delirio onirostorico, quale può essere concepito in un sogno provocato dall'eccessiva quantità di formaggio ingerito prima di coricarsi.  

 
Una profonda ignoranza del norreno 

Chiaramente Corman non conosceva l'antico nordico. Nemmeno Goldman ne sapeva granché. Probabilmente non avevano la benché minima natura di che lingua fosse. Se qualcuno avesse detto loro che parole inglesissime come big, black, window, fellow, skipper, they, take, call, cast, get e molte altre sono in realtà prestiti dalla lingua dei Vichinghi, ne sarebbero rimasti sconvolti. In ogni caso, il regista e lo sceneggiatore sono riusciti a escogitare alcune cose notevoli, anche se a tratti grottesche. Forse ce l'hanno fatta per puro caso.     
L'antroponimo femminile Desir sembra semplicemente un prestito dall'antico francese desire, che significa "Desiderio". C'è anche un'altra possibilità. In norreno esiste la parola Dísir che indica alcune divinità femminili minori invocate soprattutto in occasione della morte. La forma singolare è dís, il suffisso -ir indica il plurale. In norreno non si hanno forme plurali usate come antroponimi, cosa che già di per sé rende questa etimologia implausibile. I problemi fonetici potrebbero risolversi facilmente se pensassimo che lo sceneggiatore abbia trascritto con una -e- la vocale lunga /i:/ del norreno. 
L'antroponimo femminile Dagda corrisponde al teonimo maschile irlandese Dagda. Come il nome della divinità Dagda è dal protoceltico *dago-dēwos "Buon Dio", Corman ha escogitato un femminile Dagda, la cui protoforma sarebbe *dago-dēwā "Buona Dea". Non sembra difficile né irrazionale, anche se questo nome non risulta attestato. Non credo che lo sceneggiatore conoscesse le lingue celtiche e la loro origine: è più facile pensare che abbia preso il nome a caso da qualche scritto sull'antica Irlanda, scegliendolo soltanto per via della sua sonorità.
L'antroponimo femminile Enger ha una terminazione tipica di un nome maschile. Dovrebbe derivare dal norreno engr "stretto", ma non ha alcuna corrispondenza nella reale antroponimia della Scandinavia: ha tutta l'aria di essere stato inventato di sana pianta. Non ha alcun senso pensare che possa essere derivato da engi "nessuno; nulla" (negazione di einn "uno" tramite il suffisso -gi). 
L'antroponimo femminile Thyra è una latinizzazione del nome della madre del Re Harald Dente Azzurro (Haraldr Blátǫnn), Thurvi (antico danese Þurvi). In islandese moderno è Þuri. Si nota che la vocale tonica è breve. L'etimologia è incerta. Gli accademici concordano nel considerare il nome un derivato del teonimo Thor (Þórr). In effetti si potrebbe ricostruire una protoforma *Þunra-wīχō "Consacrata a Thor" (cfr. gotico weihs "santo", weiha "prete"). La fonetica è altamente irregolare. 
L'antroponimo femminile Asmild viene dal norreno áss (ǫ́ss) "divinità della stirpe degli Asi" (pl. Æsir "gli Asi"), dal protogermanico *ansuz. Il secondo membro del composto viene dall'aggettivo mildr "mite" (femminile mild), che corrisponde all'inglese mild "mite". Non ho presenti attestazioni di questo nome nelle saghe, ma in Danimarca esistono famiglie il cui cognome è Asmild.  
L'antroponimo maschile Ottar (norreno Óttarr) è ben attestato e deriva regolarmente da una protoforma *Ōχti-χarjaz "Esercito del Terrore". La somiglianza di Ottar col norreno otr "lontra" è soltanto casuale. 
L'antroponimo maschile Jarl significa "Conte" ed è una parola norrena ben conosciuta, che deriva dalla protoforma *irilaz "nobiluomo". Più che altro è un titolo, anche se a rigor di logica potrebbe benissimo essere usato come nome proprio di uomo. 
L'antroponimo maschile Vedric pare più che altro di origine celtica. Lo faccio facilmente derivare dal protoceltico *Widu-rīks "Re dei Boschi", nonostante la leggera anomalia del vocalismo. In norreno ci aspetteremmo *Viðrekr, la cui trasposizione cormaniana attesa sarebbe stata *Vidric anziché Vedric. In Norvegia esiste una fattoria chiamata Vidringstad, il cui nome può essere derivato proprio dall'antroponimo *Viðrekr, che ha un perefetto corrispondente nell'antico alto tedesco Witrih
Il nome del tiranno Stark è trasparente e ben comprensibile: è derivato dal norreno sterkr "forte" (anche starkr), a sua volta dal protogermanico *starkuz / *starkjaz. Dalla stessa radice è stato formato il nome dell'eroe Starkaðr, che non temeva alcuna potenza soprannaturale eccetto il Dio Thor. 
Due nomi dei Grimault risultano assolutamente privi di connessioni col norreno: Zarko e Senya. Un verbo to zark, sinonimo di to fuck "fottere", è stato coniato dallo scrittore, sceneggiatore e umorista britannico Douglas Noel Adams, autore della famosa Guida galattica per autostoppisti (The Hichhicker's Guide to the Galaxy), romanzo del 1978 - molto dopo il film di Corman. L'imperativo zark off "fottiti" suona quasi come Zarko. Non so se Adams abbia preso l'idea dall'antroponimo goldmaniano; non si può escludere, anche se mi sembra piuttosto improbabile. Cosa curiosa, in armeno zark significa "colpire, battere" e potrebbe essere la fonte sia del neologismo di Adams che del nome del personaggio del film di Corman. Forse il tramite di queste bizzarre creazioni lessicali è stato un discendente di immigrati armeni, la cui identità ci sarà sconosciuta per sempre.  
Per il resto non ci sono dubbi: la lingua nativa dei Grimault non è il norreno. Il tiranno Stark afferma in un'occasione di aver imparato qualche parola dai prigionieri, anche se risulta che non ci siano difficoltà di comprensione tra lui e le donne vichinghe. Questa è una cosa ben stravagante. Da che mondo è mondo, sono i prigionieri ad imparare per necessità qualche parola della lingua dei loro carcerieri, non il contrario. Le comunicazioni sono spesso difficili quando i prigionieri non hanno alcuna conoscenza della lingua del paese in cui sono detenuti. Si riporta il caso di un danese che fu imprigionato dai Franchi di Carlomagno. Paolo Diacono fu incaricato dal Re di comunicare con questo vichingo, perché nessuno comprendeva le sue parole, nessuno riusciva a farsi capire. Non funzionavano né la lingua germanica del sovrano e della sua corte, né la lingua protofrancese dei sudditi. Paolo Diacono cercò di farsi capire usando il longobardo e il latino, senz'altro risultato che il riconoscimento dei nomi di due divinità adorate dal danese, riportati come Waten (ossia Odino) e Thonar (ossia Thor) - e solo perché erano simili alle corrispondenti forme longobarde. Per ulteriori dettagli di questa vicenda poco conosciuta si rimanda al datato ma interessantissimo Des Paulus Diaconus Leben und Schriften (Dahn, 1876). 
 
 
 
Etimologia di Stannjold 
 
Il fantatoponimo Stannjold (variante Stonjold) non ha alcuna etimologia credibile. Forse lo sceneggiatore voleva suggerire un'origine dall'inglese stone "pietra", anglosassone stān, il cui corrispondente in norreno è però steinn. In ultima analisi tutte le forme storiche provengono dal protogermanico *stainaz attraverso mutamenti molto facili da comprendere. All'origine delle elucubrazioni di Goldman doveva esserci l'idea di una lingua germanica settentrionale diversa dal norreno, poi perduta nel tumulto della Storia, che avesse *stánn, *stónn "pietra" anziché steinn. Anche senza considerate che la Danimarca non è un paese di rupi e scogliere (né lo era nemmeno in epoca antica), resta il fatto che l'elemento -jold sembra privo di qualsiasi parentela discernibile. Non è plausibile una sua connessione col norreno jól "metà inverno", dato che non si spiegherebbe la terminazione -d e non ne verrebbe fuori alcuna semantica credibile. La vera atrocità in questa creazione deforme è senz'altro la pronuncia: Stannjold suona /'stɔndʒold/, con un'orrida consonante postalveolare! 
 

Etimologia di Grimault
 
L'origine dell'etnonimo Grimault è dal norreno grimmr "crudele", a sua volta dal protogermanico *grimmaz "crudele, severo". Potrebbe essere in qualche modo l'equivalente dell'aggettivo grimm-úðigr "feroce". La terminazione richiama il tipico suffisso accrescitivo e peggiorativo -ault, tipico dell'antico francese, di origine germanica (*-waldaz, che in norreno ha dato origine all'elemento antroponimico -(v)aldr). Meno plausibile mi pare una proposta di derivazione da gríma "maschera, travestimento che nasconde il capo". La pronuncia di Grimault nella versione originale del film dovrebbe essere /'gɹɪmoʊlt/. Si registrano nel Web un paio di varianti ortografiche dell'etnonimo: Grimolt e Grimold.
 
Vino d'uva per i Grimault  

Nel corso dell'improbabile festa in onore delle donne vichinghe giunte dal Sud, una rozza serva dei Grimault porta loro una brocca piena di vino rosso. Si tratta certamente di succo d'uva fermentato, non possono esserci dubbi al riguardo. Si direbbe che la Terra immaginata da Corman e da Goldman si trovasse in un periodo interglaciale, caldissimo, in grado di far crescere l'uva anche nelle regioni polari più impervie.  
 

Thor e l'omosessualità
 
Verso il finale del film Thor fulmina un arga. Senya, il gracile e inetto figlio del Re dei Grimault, è evidentemente un omosessuale effeminato che assume ruoli passivi con i guerrieri, comportandosi come una giumenta con gli stalloni (era questo il modo di dire usato nella Scandinavia pagana per descrivere la situazione). Per questo motivo Senya è odiato dalla divinità uranica dei Vichinghi, che lo abbatte senza pietà scagliandogli contro i suoi strali. Qual è il motivo di questo odio, che al giorno d'oggi sarebbe definito "omofobia"? Semplice: Thor era adorato come divinità dei fenomeni celesti e della fertilità. Era diffusa tra le genti del Nord l'assurda convinzione che il sesso anale, anche tra uomini, potesse essere fecondo e portare alla nascita di sventurati. Si credeva nella reale esistenza del parto anale. Ovviamente Thor, che benediceva gli sposi e favoriva la procreazione, era offesissimo dalla generazione di bambini tramite l'intestino. La reazione era prevedibile: scagliava la folgore! Nella mitologia esiste il caso di Loki, che ha ingerito il cuore ancora caldo della gigantessa Angrboða appena bruciata sul rogo, rimanendo in un innaturale stato di gravidanza. I frutti di tale orrida fecondazione erano mostri: il lupo Fenrir, il Serpente del Mondo (Jǫrmungandr) e la Signora degli Inferi, Hel. Con un altro parto anale Loki ha dato alla luce il cavallo Sleipnir, dotato di otto zampe, che è diventato il destriero di Odino. Per concepirlo, l'ambiguo Loki si era trasformato in una giumenta, venendo montato da uno stallone eccitato. Quando aveva la forma di una cavalla, l'ambigua divinità era dotata di una fica. Ritornato nella sua forma naturale, questa fica era scomparsa e restava soltanto l'intestino retto come unica risorsa per far uscire la vita che era stata concepita nel ventre. A differenza delle molte inconsistenze mostrate nelle sequenze della pellicola di Corman, questa trovata di Thor che fulmina Senya sembra abbastanza verosimile e dotata di buone basi filologiche. 

 
Altre assurdità e incongruenze 
 
Il culto di Thor mostrato nel film è amministrato dalla bruna Enger, che ne è la sacerdotessa, cosa già di per sé abbastanza anomala. Inoltre è pieno zeppo di concetti cristiani, come ad esempio un'altisonante quanto vana menzione della rinuncia ai piaceri della carne. Ciò è di una palese assurdità, visto che nella mitologia nordica Thor è descritto come un formidabile mangiatore e bevitore! Un'altra assurdità è un'invocazione pronunciata da Vedric nell'atto di scagliare la sua spada dalla punta smussata contro il mostro marino: "Che Thor abbia pietà delle nostre anime!" C'è stata una fase di commistione tra il Cristianesimo e il culto degli antichi Dei, cosa che può essere ben documentata da molte fonti storiche attendibili, eppure sono certo che le cose non siano andate come le ha descritte Corman.  
 
 
Curiosità varie 

Il regista in un'occasione ebbe a dire: "Il titolo completo è The Saga of the Viking Women and Their Voyage to the Waters of the Great Sea Serpent. Non siamo riusciti a trovare un modo per mettere il titolo in due o tre parole, quindi ho detto "andiamo all'altro estremo e diamo loro il titolo più lungo che abbiano mai visto per poi usare il più grande cliché nelle immagini storiche dell'epoca, che è quello di aprire con un libro di pelle incisa, una mano che entra e apre la copertina del libro, e c'è il titolo del film." Avevo un vago sospetto che il geniale cineasta facesse uso di sostanze pregiate. Dopo aver letto queste sue considerazioni stravaganti, ne ho l'assoluta certezza. 
 
A quanto pare Senya, il principe arga, nella versione in inglese ha un fortissimo accento di Brooklyn, cosa grottesca che ha portato un commentatore a schernire il film ("I didnt' realize that the Grimolts originally hailed from Brooklyn"). Un'irrisione giustissima, ci tengo a precisare.  

Conclusioni 

In sostanza, l'unico aspetto positivo di quest'opera di Corman sono le sensualissime creature femminili!

giovedì 10 giugno 2021

 
EXCALIBUR 
 
Titolo originale: Excalibur
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Regno Unito
Anno: 1981 
Lingua: Inglese
Durata: 140 min
Rapporto: 1,85 : 1 
Specifiche tecniche: Panoramico Colore
Genere: Fantasy, epico, avventura, drammatico
Regia: Sir John Boorman
Soggetto: da Le Morte d'Arthur di Thomas Malory
Sceneggiatura: Rospo Pallenberg, Sir John Boorman
Produttore: Sir John Boorman
Produttore esecutivo: Robert A. Eisenstein, Edgar F. Gross 
Produttore associato: Michael Dryhurst
Casa di produzione: Orion Pictures Corporation
Fotografia: Alex Thomson
Montaggio: John Merritt
Effetti speciali: Wally Veevers (effetti ottici), Michael Doyle, Peter 
    Hutchinson, Alan Whibley, Gerry Johnston
Musiche: Trevor Jones
Scenografia: Anthony Pratt, Tim Hutchinson, Bryan Graves 
Coreografia: Anthony Van Laast
Costumi: Bob Ringwood
Trucco: Anna Dryhurst, Basil Newall
Interpreti e personaggi:
    Nigel Terry: Re Artù
    Helen Mirren: Morgana
    Nicholas Clay: Lancillotto
    Cherie Lunghi: Ginevra (Guinevere)
    Paul Geoffrey: Parsifal (Perceval)
    Nicol Williamson: Merlino
    Corin Redgrave: Gorlois, Duca di Cornovaglia (Cornwall)
    Patrick Stewart: Leodegrance (Leondegrance)
    Keith Buckley: Uryens
    Clive Swift: Sir Hector (Ector)
    Liam Neeson: Galvano (Gawain)
    Gabriel Byrne: Uther Pendragon
    Robert Addie: Mordred 
    Charley Boorman: Mordred da ragazzo
    Katrine Boorman: Igrayne  
    Ciarán Hinds: Lot
    Niall O'Brien: Kay
    Eamonn Kelly: Abate 
    Brid Brennan: Dama di compagnia 
    Gerard Mannix Flynn: Luogotenente di Mordred 
    Barbara Byrne: Morgana da giovane 
    Kay McLaren: Morgana da vecchia 
    Hilary Joyalle: Dama del Lago 
    Liam O'Callaghan: Sadok 
    Michael Muldoon: Astamor 
    Garret Keogh: Mador 
    Emmet Bergin: Ulfius 
    Patrick Steward: Signore di Camelyard 
Doppiatori italiani:
    Pino Colizzi: Re Artù
    Maria Pia Di Meo: Morgana
    Gianni Williams: Lancillotto
    Emanuela Rossi: Ginevra
    Romano Ghini: Parsifal
    Sergio Rossi: Merlino
    Gianni Marzocchi: Gorlois, Duca di Cornovaglia
    Renato Mori: Leodegrance
    Sandro Iovino: Uryens
    Sergio Fiorentini: Sir Hector
    Paolo Poiret: Galvano
    Romano Malaspina: Uther Pendragon
    Sandro Acerbo: Mordred
    Simona Izzo: Igrayne
    Luciano De Ambrosis: Kay
    Roberto Villa: Abate 

Citazioni: 

"Anni per costruire, attimi per distruggere, e tutto per lussuria!"
(Merlino) 

"Ricordate bene dunque questa notte, questa grande vittoria, così che negli anni a venire possiate dire: “Io ero lì quella notte, con Artù, il Re!” Poiché la maledizione degli uomini è che essi dimenticano."
(Merlino)  
 
"Adesso ascolta. Una volta restai esposto all'alito del Drago perché un uomo giacesse una notte con una donna. Nove lune mi ci sono volute per riavermi! E tutto per questa follia chiamata amore, questo pazzo turbamento che colpisce i mendicanti e i re. Non lo rifarò! Mai più." 
(Merlino) 

"Rinunzio ai miei castelli e alle mie terre, qui è il mio dominio, dentro questa pelle di metallo. E do in pegno tutto ciò che ancora ho: la mia carne, le mie ossa, il mio sangue e il cuore che lo pompa."
(Lancillotto) 

"Verità. Ecco, sì. Deve esserci verità, soprattutto. Quando un uomo mente, assassina una parte del mondo." 
(Merlino) 

"Ci sono altri mondi. Questo ha finito con me."
(Merlino) 
 
"Un sogno per alcuni... Un incubo per altri!"
(Merlino)

"Io mi sto consumando, non posso morire e non posso vivere." 
(Artù)

"Non sapevo quanto la mia anima fosse vuota finché non è stata riempita." 
(Artù)
 
Trama:   
Nella Britannia postromana imperversa il caos. Uther Pendragon è determinato a diventare il Re dei Britanni, combatte contro i suoi oppositori e contro i Sassoni, riuscendo ad ottenere la vittoria grazie a Merlino, che gli ha consegnato la Spada del Potere, Excalibur. Qui ha inizio l'esistenza di Artù, il Figlio dell'Incantesimo. A concepirlo è la bellissima Igrayne, posseduta con l'inganno da Uther Pendragon, infiammato dalla libidine fin dal primo momento in cui l'ha vista. La copula è resa possibile grazie al sortilegio di Merlino, che ha fatto assumere a Uther Pendragon le sembianze di Gorlois, fregandosene degli ipocriti concetti di Amore e di fedeltà coniugale. Così il marito della dama, il Duca di Cornovaglia Gorlois, si è ritrovato cornuto ed è stato ucciso in battaglia. In cambio della copula tanto desiderata, Uther Pendragon ha dovuto promettere a Merlino il figlio che ne sarebbe nato. Quando il bambino viene al mondo, il necromante si presenta a pretendere ciò che gli appartiene, portandolo via dalle braccia di Igrayne. Poco dopo, in seguito alle sue azioni proditorie, Uther Pendragon cade vittima di un'imboscata e prima di spirare l'ultimo respiro conficca la sua spada Excalibur in una roccia, profetizzando che solo un Re potrà estrarla. Passano gli anni e nessuno è mai riuscito nell'impresa. Artù, che nel frattempo è stato affidato da Merlino a Sir Hector, ormai è un diventato un giovane uomo, educato come scudiero. Ignora del tutto le proprie origini. Molte cose sono cambiate dai tempi di Uther. Il Cristianesimo è riuscito ad imporsi e c'è un monaco a benedire con un aspersorio chi cerca di estrarre Excalibur dalla roccia. Per puro caso ci riesce proprio Artù, che da allora conosce un rapidissimo successo. Merlino ricompare dopo una lunga assenza e guida il giovane. Artù vince un'importante battaglia, ma il signore sconfitto non accetta di sottomettersi a lui perché non è un cavaliere. Così il vincitore accetta di farsi nominare da lui cavaliere: una volta concluso il rito, la sua vittoria viene riconosciuta e la fedeltà del vinto è garantita. Merlino, che nel nuovo mondo è come un masso erratico, afferma di non aver mai visto in vita sua nulla di simile. Consolidata la sua autorità di Re dei Britanni in seguito a una grande vittoria sugli invasori Sassoni, Artù ha grandi piani per il futuro della sua nazione. Ottiene la fedeltà del cavaliere Lancillotto, fino ad allora imbattuto. Si sposa con la bellissima Ginevra, una ragazza dai capelli corvini e crespi di cui è follemente innamorato, figlia del suo suo fedele vassallo Leodegrance. Al contempo progetta la costruzione dell'immenso castello di Camelot, che sarà il centro di irradiazione del suo potere. Una volta edificata la reggia di Camelot, viene fondata la Tavola Rotonda: è l'apogeo di un'epoca di prosperità e di magnificenza. Qualcuno però trama nell'ombra. È Morgana, la sorellastra di Artù, nata da Igrayne e dal suo legittimo consorte, il Duca di Cornovaglia. Essendo pagana come Merlino, Morgana si avvicina a lui e ne diventa l'apprendista, pur utilizzando per cause malvagie gli insegnamenti acquisiti. La sua prima azione consiste nel corrompere il cavaliere Galvano, che in preda all'alterazione accusa Ginevra di avere una tresca con Lancillotto, insultandola pesantemente. Dato che le genti di Camelot credono nel Giudizio di Dio, viene organizzato un torneo in cui Lancillotto difende l'onore della Regina, riuscendo a sconfiggere Galvano. Qualcosa si incrina e da quel momento tutto va a rotoli. Morgana riesce a ingannare Merlino, che già si era congedato da Artù, inducendolo a rivelargli la Magia del Fare e usandola per intrappolarno in un cristallo di ghiaccio. Lancillotto e Ginevra cedono alla forza magmatica delle passioni, amandosi nel bosco, nudi e ardenti. Artù li sorprende mentre dormono, sfiniti dalle fatiche dell'Amore. Anziché ucciderli, pianta Excalibur nella terra in mezzo a loro e allontanandosi in preda alla disperazione. Quando gli amanti si svegliano, hanno una sorpresa tremenda. Lancillotto, in preda al terrore assoluto, urla: "Il Re senza la Spada! La Terra senza un Re!" Questa sciagura non è sufficiente: Morgana assume magicamente le sembianze di Ginevra e copula col suo fratellastro Artù. Dopo l'atto sessuale, sorridendo in modo languidissimo gli sussurra che ha concepito un figlio. A questo punto il sovrano si avvede dell'inganno. Troppo tardi. Il figlio dell'incesto nasce e Artù viene colpito dal fulmine. A causa di questa folgorazione, cade in uno stato crepuscolare di infermità, mentre Morgana si allontana col suo bambino mostruoso, Mordred. Il nuovo nato viene cresciuto magicamente, diventando ben presto un ragazzo pieno di ormoni e di crudeltà. Camelot decade come un cadavere, ovunque regnano carestia, malattia e morte. Ginevra si è ritirata in convento, mentre Lancillotto vaga sbandato tra torme di miserabili. A un certo punto Artù incarica i cavalieri superstiti di trovare il Graal, sola possibile fonte di Salvezza. Molti cavalieri partiti per la ricerca vengono uccisi tra atroci tormenti da Mordred e dai suoi uomini. Alla fine a riuscire nell'intento è Parsifal, che era stato scudiero di Lancillotto. Il segreto del Graal è sconvolgente. Il Graal coincide con lo stesso Artù e la Conoscenza che egli ha perduto è espressa da una frase lapidaria: "Tu e la Terra siete Uno". Parsifal torna dal suo Signore, portandogli la coppa che lo risana. Inizia la riscossa: Artù va da Ginevra in convento, recuperando Excalibur, che lei aveva custodito. Poi procede con le sue armate ricostituite, cavalcando verso il Regno di Mordred. Intanto Merlino riesce a liberarsi dalla sua prigione, apparendo a Morgana e privandola dell'incantesimo che la mantiene giovane: la maga invecchia a vista d'occhio e il figlio, avendo in abominio il suo aspetto, la uccide strangolandola. La battaglia è tremenda. Artù e Mordred si uccidono a vicenda, trafiggendosi con le lance. Prima di spirare, il Sovrano di Camelot incarica Parsifal di gettare Excalibur nella acque, dicendo che la spada sorgerà di nuovo quando verrà un Re. Poi muore e tre misteriose figure femminili vestite di bianco lo portano via su un'imbarcazione, verso le Terre Immortali.    
 
 
Recensione: 
La potenza è incredibile. Ogni singolo dettaglio è evocativo e perfetto. La colonna sonora è esaltante. Magnifiche e insuperabili sono le interpretazioni di Nicol Williamson nel ruolo di Merlino e di Helen Mirren nel ruolo di Morgana. In tutto e per tutto uno splendido film, che ha lasciato in me un segno profondo, avendolo visto durante l'adolescenza. Vidi una delle prime immagini sessuali che potei esperire nella mia sventurata e inutile vita, quando ancora non avevo facile accesso alla pornografia. A distanza di tanti anni penso che fosse una cosa molto grottesca e irrealistica, con quest'uomo brutale che penetrava una bionda bellissima senza nemmeno togliersi l'armatura. Anche l'incesto tra Morgana e Artù colpì molto la mia immaginazione ancora informe e la plasmò. La pellicola di Boorman ha meriti considerevoli e si caratterizza per la crudezza delle sequenze, costituendo qualcosa di unico nel panomama degli adattamenti del mito di Re Artù, che sono tutti incentrati sul tema della relazione adulterina tra Lancillotto e Ginevra, per giunta trattato in modo superficiale. Qui invece notiamo un grande approfondimento di tematiche religiose ed esoteriche, che disegnano un quadro più complesso. Più in generale, quest'opera si contrappone al fantasy esangue e asettico di ispirazione tolkieniana. Il fantasy che vorrei dovrebbe trarre la sua sostanza da Excalibur ed essere pieno di violenza, sangue, eccidi, morte e perversione! Questa è l'unica ricetta possibile in grado di salvare un genere (sia a livello di romanzo che cinematografico) che langue per mancanza di linfa vitale. Fate beccare ai corvi gli occhi dei moribondi impiccati e il fantasy vivrà la sua stagione di gloria! 
 
Adattamento 

La pellicola boormaniana è stata tratta da Le Morte d'Arthur (La Morte di Artù), voluminosa opera di Sir Thomas Mallory (circa 1400 - circa 1470) le cui fonti sono in massima parte francesi. Eletto due volte al Parlamento, questo autore fu anche condannato per una serie di reati gravi, tra cui aggressione, furto, stupro e tentato omicidio. Scrisse La Morte d'Arthur mentre era in prigione. 
Boorman e Pallenberg hanno avuto un'idea che reputo geniale. Hanno deciso di rendere più snella la trama facendo collassare alcuni personaggi ridondanti. Il Ciclo di Artù non è affatto un argomento facile. Comprende un numero incredibile di scritti di moltissimi autori, spesso in contraddizione tra loro, con infiniti personaggi, intrighi e vicende complicatissime che non è umanamente possibile tenere a mente nella loro interezza. Così sono state operate fusioni tra figure tra loro simili e tra differenti tematiche.
 
1) Igrayne aveva tre figlie: la Fata Morgana, Anna Morgause ed Elaine. Sono collassate in un'unica figura: Morgana.
2) Il Re Ferito, detto anche Re Pescatore (o Re Peccatore), è confluito in Re Artù. 
3) Il cavaliere Bedivere è confluito in Percival. 
4) Il cavaliere Galahad è confluito in Percival. 
 
Inoltre: 
 
i) La Spada nella Roccia in alcuni scritti è distinta da Excalibur: le due armi sono state unite. 
ii)  La spada conficcata tra i due amanti dormienti proviene dalla storia di Tristano e Isotta.
 
Il risultato di tutto ciò è incredibile! Il regista ha reso fruibile una massa gigantesca di dati spesso molto lontani dalla sensibilità moderna. Non ci sarebbe stato altro modo per riuscire in un'impresa tanto titanica. Approvo questa scelta, anche se sono sempre stato un fanatico del rigore filologico. 
 

 Etimologie varie 

L'etimologia del nome Uther (gallese Wthyr, Uthr, Uthyr, Ythyr) è abbastanza oscura. In medio gallese il vocabolo uthr significava "terribile", ma anche "magnifico". La protoforma ricostruibile è *OUTROS, derivato da *OUTUS "orrore".  Difficile spiegare le diverse varianti ortografiche. 
Il soprannome Pendragon significa "Testa di Drago". Non credo che sia difficile capire che -dragon altro non è che un prestito latino. In gallese medio, dreic è derivato direttamente dal latino dracō, mentre dragon è derivato in modo altrettanto regolare dal genitivo dracōnis. Il gallese medio pen "testa" deriva direttamente in modo regolare dal britannico *PENNON (< *KWENNOM). Ecco spiegato l'arcano. 
Il nome Gorlois compare per la prima volta nell'Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (1136). In gallese è Gwrlais, ma credo che questa forma sia stata presa a prestito da Gorlois anziché il contrario. Nella versione originale del film è chiamato Cornwall, ossia "Cornovaglia". Da questo mi è venuto in mente che Gorlois potrebbe essere semplicemente una forma volgare di Cornuallois "Cornovagliese" (moderno Cornouaillois). In lingua d'oïl si deve pronunciare /gor'lois/ e non /gor'lwa/, visto che la pronuncia /wa/ del dittongo oi è molto più recente. 
Il nome della spada Excalibur, latinizzato in Caliburnus da Goffredo di Monmouth, corrisponde al gallese Caldedfwlch e all'irlandese antico Caladbolg (variante Caladcholg), che indica la spada dell'eroe Fergus mac Roich nel Ciclo dell'Ulster. Si tratta di derivati del proto-celtico *KALETOS "duro": gallese caled "duro", irlandese antico calad "duro". In gallese fwlch significa "spaccatura". In irlandese antico bolg significa tra le altre cose "fulmine". Ricostruirei la protoforma *KALETO-BOLGOS "Duro Fulmine". Il prefisso ex- presente in Excalibur è con ogni probabilità derivato da una contrazione del latino ēnsis "spada". Diffusa è l'idea di una derivazione dal latino chalybs "acciaio" (dal greco χάλυψ), che però non rende conto delle forme celtiche, senza dubbio antiche.  
Il nome Igrayne (Igraine) è un adattamento del francese antico Ygraine: tuttavia notiamo che nei manoscritti sono attestate molte varianti come Igerne, Ygerne, Ugerne, Uguerne, etc. In tardo latino era Igerna (Hierna, etc.). In medio gallese era Eigyr. Il significato dell'antroponimo femminile non è al momento determinabile. Si potrebbe ricostruire una protoforma britannica *AIGRĀ. L'alternanza tra Igerne e Ygraine suggerisce che la prima forma avesse una consonante /g/ velare, anche se non va taciuto che sono documentate forme come Izerna e Izerla.
Il nome Morgana (inglese Morgan la Fay, francese Fée Morgane, gallese Morgên y Dylwythen Deg), corrisponde al teonimo irlandese Morrígan (Mórrígan, Mórrígu). Proprio le irregolarità fonetiche fanno pensare a un prestito dall'antico irlandese anziché a una forma ereditaria. La protoforma ricostruibile dovrebbe essere *MORO-RĪGANĪ "Regina dei Demoni". Meno probabile è che si tratti di un derivato di *MORI-GENĀ "Figlia del Mare".
Il nome del castello di Camelot è un derivato di *KAMULO-DŪNON "Città del Gigante", toponimo britannico che è ben attestato in latino come Camulodūnum (attuale Colchester, Essex). In lingua d'oïl sono attestate moltissime varianti come Camaalot, Camalot, Camaaloth, Caamalot, Chamalot, Camahaloth, Gamalaot, etc. La fonetica prova che la trafila non è passata attraverso lingue britanniche come il gallese o il bretone: sembra invece essere avvenuta attraverso una forma tarda di gallico.
Il nome Artù, in gallese Arthur, latinizzato in Artūrius, è ricostruibile come *ARTO-RĪIOS, a sua volta da *ARTO-RĪGIOS "del  Re Orso", formato da *ARTO-RĪX "Re Orso" (che in irlandese ha dato Artrí). Il passaggio da *ARTO-RĪIOS a un più recente *ARTŌRIOS è strano ma non impossibile: si tratterebbe di un allungamento compensativo della vocale -O-. Non si può ricostruire *ARTO-WIROS "Uomo Orso", come pure è stato fatto: l'esito gallese sarebbe *Arthwr. Esiste una teoria che riconduce il nome Artù al gentilizio Artōrius. La gens Artōria era una gens romana di rango equestre, la cui presenza è in effetti attestata in Britannia; il suo nome è di origine incerta e probabilmente etrusca.
 
Il problema degli anacronismi
 
Come è stato più volte fatto notare nel Web, i castelli mostrati nel film e tanto presenti nell'immaginario collettivo non potevano essere pensati e a maggior ragione costruiti nell'epoca del tardo Impero Romano, quando le legioni abbandonarono la Britannia e i suoi abitanti alle crescenti scorrerie di Angli, Sassoni e Iuti. Allo stesso modo, le armature sono abbastanza irrealistiche. Queste critiche mi paiono del tutto irrilevanti. Boorman non ha mai avuto la pretesca di fare un film storicamente verosimile. Egli ha immerso la narrazione nel mito, che ne costituisce il solo fondamento.  
La stessa Materia di Bretagna era piena zeppa di anacronismi, avendo trasfuso il mondo celtico nella lingua d'oïl, con rielaborazioni complicatissime. Nel sentire comune è diffusa l'assurda idea che Artù fosse Re degli Inglesi, altro anacronismo. Credono che a Camelot si parlasse un inglese anticato (il famigerato Olde Englishe, creato aggiungendo una -e finale alle parole che finiscono in consonante e usando una -y- al posto della -i-), oltre al francese - ovviamente nella sua forma moderna. Sia l'inglese che il francese applicati a quel contesto sono puri e semplici anacronismi. Questo immaginario collettivo non è una novità. Basti considerare i nomi dei Cavalieri della Tavola Rotonda scritti sulla Tavola Rotonda di Winchester (S sta per Sir) sono i seguenti 25: 
Re Artù (Kyng Arthur), Galahad (S Galahallt), Lancelot du Lac (S Launcelot Deulake), Gawain (S Gauen), Percivale (S Percyvale), Lionel (S Lyonell), Bors de Ganis (S Bors de Ganys), Kay (S Kay), Tristram de Lyones (S Trystram Delyens), Gareth (S Garethe), Bedivere (S Bedwere), Bleoberis (S Blubrys), La Cote Male Taile (S Lacotemale Tayle), Lucan (S Lucane), Palomedes (S Plomyde), Lamorak (S Lamorak), Safir (S Safer), Pelleas (S Pelleus), Hector de Maris (S Ectorde Maris), Dagonet (S Dagonet), Degore (S Degore), Brunor le Noir (S Brumear), Le Bel Desconneu (S Lybyus Dyscony[us]), Alymere (S Alynore), Mordred (S Mordrede). 
Questa Tavola Rotonda, che potei vedere con i miei occhi, fu in realtà costruita per una festa a tema per ordine del Re Edoardo I Plantageneto (1239 - 1307), il tiranno contro cui lottò strenuamente William Wallace (1270 - 1305). Nessuno alla corte del Plantageneto avrebbe creduto che la lingua di Re Artù fosse quella da cui è derivato il gallese.

 
L'Incantesimo del Fare 
 
Una formula che è penetrata in ogni fibra del mio essere! Mai si era vista una simile potenza!  
 
Anaal nathrakh,
Urth vas bethud,
Dokhjel djenve. 
 
Questa è la pronuncia nella versione in italiano nel film: 
 
/a'na:l na'trak, 
ut 'vas be'tot, 
do'kjel djen've/ 
 
Questa invece è la pronuncia nella versione originale: 
 
/a'na:l na'θraχ, 
u:rθ 'va:s be'θʌd, 
do'xje:l djen've:/

Si vede che nell'adattare il testo in italiano è stata adottata una certa semplificazione fonetica.
 
Questi sono i versi originali in irlandese medio:
 
Anál nathrach,
orth' bháis's bethad, 
do chél dénmha. 

Traduzione in italiano: 

"Alito del Drago,
magia di vita e di morte,
portento di realizzazione." 
 
Glossario: 
 
anál "alito, respiro" 
nathrach "del drago" (sta per na draice
ortha "incantesimo"
bháis's bethad "della morte e della vita": 
   bháis "della morte" (genitivo di bás "morte")
   's "e" (contrazione di is "e") 
   bethad "della vita" (genitivo di betha "vita") 
do chél "il tuo presagio" 
dénmha "dell'atto di fare" (genitivo di dénamh)
 
A parte l'anacronismo della lingua, troppo consunta per l'epoca e resa male nella pronuncia, non ci aspetteremmo che Merlino la usasse, a meno che non provenisse dall'Irlanda. Detto questo, Merlino avrebbe dovuto usare l'antenato dell'antico gallese, non una forma di antico irlandese. A un genio come Boorman perdoniamo questo ed altro. Non sono riuscito ad accertare quale sia l'esatta fonte della formula, che non compare affatto nel libro di Mallory. Secondo il linguista Michael Everson, il canto magico è una mera invenzione. Va detto comunque che esiste una tradizione secondo cui Merlino sarebbe da identificarsi con un caledone di nome Lailoken, che viveva allo stato selvaggio nei boschi e aveva il dono della profezia.  
 
Alcune note sull'etimologia di Merlino 
 
Il nome originale di Merlino era Myrddin, che indicava provenienza dall'omonima città gallese: è l'antica Moridūnum, adattamento del celtico *MORI-DŪNON "Città del Mare", da MORI- "mare" e DŪNO- "città". Così il mago si sarebbe chiamato *MORI-DŪNOS. Fu Goffredo da Monmouth (circa 1100 - circa 1155) a latinizzare il gallese Myrddin in Merlinus, perché chiamare il mago col nome Merdinus avrebbe gettato grave discredito sull'Inghilterra in un periodo storico molto delicato. L'assonanda col francese merde è stata evitata da un provvidenziale lambdacismo. Il processo non è ignoto in Italia: Camerlata (comasco Camerlada) in origine doveva essere una Casa merdata, ma fu nobilitata in una Casa merlata, ossia provvista di merli, che sono tipici elementi architettonici medievali. Nessuno avrebbe voluto abitare in un paese che traeva il suo nome da un edificio sporco di escrementi! Il torrente Merlata (milanese Merlada) in origine doveva essere chiamato Merdata, perché raccoglieva parte delle acque reflue fecali di Milano. Questo corso d'acqua sporca e marrone ha dato il suo nome a una foresta piena di fontanili, conosciuta per l'appunto come Bosco della Merlata, da cui deriva anche il nome della Cascina della Merlata. Anche in questo caso l'origine del toponimo è proprio la merda. Piaccia o no, ci sono pochi dubbi: la Cascina della Merlata era in origine una Cascina della Merdata (doveva suonare all'incirca Cassina de la Merdada). Era tutto pieno di feci e puzzava! In cremasco lo stronzo è tuttora chiamato merlòt (da un precedente *merdòt) ed esiste la forma italianizzata merlotto
 
 
Altre etimologie arturiane  

Il nome Lancillotto (varianti italiane: Lancellotto, Lanzerotto, Lanciotto, francese e inglese Lancelot) sembra un diminutivo del nome germanico Lanzo, ipocoristico di nomi derivati dalla radice land- "terra" (es. Landeberto, Landefranco, etc.). Da Lanzo deriva l'antroponimo inglese Lance, che ha subìto etimologia popolare, essendo accostato all'omonima parola che significa "lancia".  In gallese Lancillotto è chiamato Lawnslod, che è un chiaro prestito dalla forma francese antica. 
Il nome Ginevra (inglese Guinevere, francese antico Genievre, francese moderno Guenièvre) proviene dal gallese Gwynhwyfar, la cui protoforma celtica ricostruibile è *WINDO-SĒBARIS "Fantasma Bianco", "Spirito Bianco". In cornico è Gwynnever, in bretone è Gwenivar. In irlandese antico il nome proprio femminile corrispondente è Finnabair (Findabair). Vari gli adattamenti in latino medievale, ad esempio Guennuvar, Guennimar, Guanhumara (XII sec.), Wennevereia (XIII sec.).  
Il nome Galvano (inglese Gawain) è un adattamento del gallese Gwalchfai, che alla lettera significa "Falcone di Maggio" - da gwalch "falcone" e da fai, forma lenita di mai "maggio", dal latino Māius. Potrebbe essere una falsa etimologia. Risalire all'originale è molto difficile. 
Il nome Percival è stato sottoposto a una falsa etimologia già in epoca medievale e inteso come un derivato dall'antico francese percier "bucare" e val "valle". Quindi sarebbe un "Buca-Valle". In realtà si tratta dell'adattamento del medio gallese Peredur, che probabilmente significa "Lancia di Acciaio" - da ber "lancia" (proto-celtico *BERU) e da dur "metallo duro, acciaio" (derivato dal latino dūrus "duro"). Le varianti Parzival e Parsifal si devono a Wolfram von Eschenbach (circa 1170 - circa 1220). In particolare, Parsifal è stato ripreso da Wagner. 
Il nome Mordred corrisponde al medio gallese Medrawt e all'antico gallese Medraut, che sembra essere un derivato regolare del latino Moderātus. L'alterazione di Medrawt in Mordred si deve forse all'associazione con lo stesso elemento mor- da cui sono formati i nomi di Morgana e Morgause. Secondo altri a influenzare l'aspetto fonetico del nome sarebbe invece stata la parola latina mors "morte". 

 
Merlino, Artù, i biscotti e le donne 

Merlino enuncia in poche parole la massima saggezza concepibile. Ginevra avanza verso il giovane Re tenendo in mano una tortina dall'invitante farcitura di petali di rose e gliela offre, quindi ritorna nel vivo della festa. Merlino allora rivolge ad Artù queste parole, alludendo alla bellissima Ginevra intenta a danzare: "Guardare quel biscotto è come guardare il futuro. Finché non l'hai assaggiato, cosa ne sai in realtà? E allora... allora è troppo tardi! Troppo tardi." Parole sacrosante! Mi sono sempre attenuto a questo Insegnamento. Un uomo concupisce una ragazza, ma di lei non sa assolutamente nulla. Come può avere la certezza che lei gli porterà la gioia? Come può essere sicuro che in lei potrà trovare la pace? Potrebbero anche emergere incompatibilità gravi e tutto si guasterebbe. Quando uno è andato troppo avanti nel dichiarare il proprio desiderio alla donzella, non può più tirarsi indietro. Sarebbe pavido e ci farebbe una figura fecale. Va quindi avanti, solo per scoprire che lei non è intenzionata a concedergli cosa che gli piaccia... o che gliela farà pagare carne salata! 
 
La castità di Merlino 
 
Pochi hanno fatto caso ad alcuni dettagli particolarmente significativi dell'atteggiamento di Merlino nei confronti del sesso e delle donne. Ebbene, Merlino vive in uno stato di castità assoluta e disprezza la sessualità. Rifugge le passioni, la sua condotta è molto simile a quella degli Stoici. A un certo punto rinfaccia a Uther Pendragon la sua follia, che ha portato a distruggere in pochi attimi ciò che era stato creato in anni, mandando tutto in rovina a causa della lussuria. La risposta di Uther è questa: "Non per lussuria, Merlino, ma per Igrayne. Ma tu non puoi capire, non sei un uomo!" Cosa significa? Semplice: per un duro guerriero come Uther, un individuo di sesso maschile che vive in stato di castità non è davvero un uomo, è una specie di eunuco. Va specificato che Uther non era cristiano. Quando ha compiuto le sue gesta, i Britanni adoravano ancora gli antichi Dei. Quindi è da escludere che il disprezzo nei confronti di Merlino potesse avere motivazioni religiose. Secondo alcuni critici, Merlino vagheggiava Morgana. Vero è però che non ha ceduto alla sua seduzione e l'ha combattuta con determinazione. Anche se molti non lo sanno, nel territorio della Gallia Transalpina è stato trovato vassellame con iscrizioni di carattere stoico, redatte in lingua celtica. Anche da questi dettagli estremamente curati si capisce il genio di Boorman e la grandezza della sua opera. Simili argomenti non erano mai stati affrontati prima nella Settima Arte.        

 
La triste fine di un mondo 
 
Artù fu crescuto nel Cristianesimo. Eppure rimasero sempre fortissimi i suoi legami con Merlino, ultimo rappresentante della religione dei Druidi. Quando ancora era un ragazzo, il figlio di Uther Pendragon apprese l'esoterismo degli Antichi e la rappresentazione dell'Universo come il corpo smisurato del Drago. Così gli parlava Merlino: "Il Drago è ovunque. Il Drago è in ogni cosa. Le sue squame brillano nella corteccia degli alberi. Il suo ruggire si sente nel vento. E la sua forcuta lingua colpisce come il fulmine." Un'ambiguità di non poco conto. Simulacri del Drago ornavano il castello di Camelot. Merlino fu sempre protetto. Quando il mago capì di essere in difficoltà, perché in caso di morte del suo regale patrono si sarebbe trovato in mezzo a cristiani ostili, pensò bene di allontanarsi senza dare troppo nell'occhio. Il legame tra due mondi, quello degli Dei e quello del nuovo Dio, continua fino alla fine: quando Artù muore, per lui c'è un destino ultraterreno pagano. Non il Paradiso di cui parlò Cristo, bensì le Tre Sorelle Fatali che lo trasportano nella Terra Immortale di Avalon. Merlino avrebbe potuto appoggiare Morgana e suo figlio Mordred nel tentativo di abbattere il Cristianesimo, ma non lo fece. Non poteva rinnegare il legame con Artù, nemmeno di fronte alla morte degli Dei e del loro culto. Ad animarlo è sempre stata una consapevolezza stoica, un'accettazione eroica dell'Annientamento.  
Fin da subito mi sono rimaste impresse le struggenti parole rivolte da Merlino a Morgana durante una bella passeggiata silvestre:
 
"Ormai i giorni dei pari nostri sono numerati. Il Dio Unico viene a cacciare via i molti Dei. Gli spiriti dei boschi e dei torrenti cominciano a tacere. È il destino delle cose, sì. È il tempo degli uomini e dei loro modi."  
 
Gli stessi concetti sono ribaditi nella scena del commiato di Merlino da Artù e da Camelot. Così parla il mago al Re, che gli aveva chiesto se fosse il caso di uccidere la moglie infedele e il suo amante Lancillotto: 
 
"Non posso dirti niente di più. I miei giorni sono finiti. Gli Dei di una volta sono andati per sempre. È il tempo degli uomini, ora. Il tuo tempo, Artù."
 
Tutto questo è lirismo assoluto! Ogni volta che ci penso rimango commosso. In me si staglia l'agonia dell'antichità pagana, davanti ai miei occhi si estendono boschi abbandonati e rovine. Ed ecco quella che Cioran chiamava "l'insania di ogni aurora". Ecco arrivare come un bulldozer quelle che di questi tempi sono chiamate "le radici cristiane dell'Europa".  

 
Morgana, l'incesto e il Graal  
 
Sono sempre stato affascinato dalle storie sull'incesto tra fratello e sorella. Boorman è stato uno dei pochissimi registi ad aver avuto il coraggio di trattare questo delicato argomento in una pellicola. 
"Dio ci salvi da Morgana! E ci salvi dal suo figlio sacrilego!", tuona il sacerdote dopo il travagliato parto della maga, elevando il calice eucaristico verso una finestra. Ecco che un fulmine si abbatte su Artù, bucandogli la corazza. Il Re ha assunto su di sé una colpa terribile, che i comuni mezzi non hanno il potere di redimere.
Si nota che il Graal non è assimilabile al Calice dell'Ultima Cena, preservato da Giuseppe di Arimatea, come vuole la leggenda a tutti nota. Qui siamo di fronte a un prototipo non ancora cristianizzato: il mitico Calderone dell'Abbondanza degli antichi Celti. Il Segreto che il Graal rivela è pagano, non cristiano. Consiste nel concetto celtico della regalità: il Sovrano coincide con la Terra. Se il Sovrano è in salute, la Terra è prospera e dà frutti rigogliosi. Se il Sovrano assume su di sé una grave colpa e per questo diventa malato, allora infrange la sua unità con la Terra. La conseguenza possibile è una sola: la Terra diventa sterile e desolata.   

 
La colonna sonora 
 
Il componimento numero 17 dei Carmina Burana, O Fortuna, è noto soprattutto per la musicazione che ne fece Carl Orff (1895 - 1982). Credo che questo brano si possa definire un elemento fondamentale della colonna sonora della pellicola di Boorman. La sua potenza è unica, assoluta! Ecco il testo, capolavoro dei Clerici vagantes, dai contenuti di una grande profondità filosofica:  

O FORTUNA
 
O fortuna
velut luna
statu variabilis
semper crescis
aut decrescis
vita detestabilis
nunc obdurat
et tunc curat
ludo mentis aciem
egestatem
potestatem
dissolvit ut glaciem. 
 
Sors inmanis
et inanis
rota tu volubilis
status malus
vana salus
semper dissolubilis
obumbrata[m]
et velata[m]
mihi quoque niteris
nunc per ludum
dorsum nudum
fero tui sceleris.

Sors salutis
et virtutis
mihi nunc contraria
est affectus
et defectus
semper in angaria
hac in hora
sine mora
cordis pulsum tangite
quod per sortem
sternit fortem
mecum omnes plangite. 

Ecco una traduzione:

O Fortuna,
come la luna
(sei) variabile nel (tuo) stato,
sempre cresci
o decresci,
vita detestabile!
(La Fortuna) ora indurisce
ed ora cura,
per giuoco, l'acutezza della mente;
miseria,
potenza,
dissolve come ghiaccio.

Sorte immane
ed inane,
tu ruota volubile,
stato incerto,
vano benessere
sempre dissolubile,
obumbrata
e velata
pure me sovrasti.
Ora per giuoco
il dorso nudo
reco del tuo scempio.

Sorte di salute
e di virtù
ora a me contraria,
(ogni uomo) è (da te) colpito
e prostrato,
sempre in schiavitù.
In questo momento,
senza indugio,
alle corde il polso percotete!
Poiché per sorte
(la Fortuna) prostra un forte,
con me tutti piangete! 

Proprio il film di Boorman ha contribuito a diffondere a livello internazionale la fama dei Carmina Burana e della musica di Carl Orff. Importanti nella colonna sonora sono anche alcuni suggestivi brani di Wagner (Tristano e Isotta, Parsifal e la Marcia funebre di Sigfrido) e le bellissime musiche da ballo in stile medievale.       
 
Rospo Pallenberg 
 
Sono stato subito colpito da un antroponimo tanto bizzarro e inusuale: Rospo. In effetti il vero nome dello sceneggiatore e regista britannico è Richard. Nato nel 1939 a Croydon, rione della zona sud di Londra, è figlio dello scrittore e giornalista italiano Corrado Pallenberg, che era romano e figlio di un pittore tedesco. Così dichiarò Boorman: "Rospo è un nomignolo che gli ha dato la madre quando era piccolo perché aveva il naso con le narici molto larghe ed era fondamentalmente brutto da vedere". Immenso è il numero di anglosassoni che ignorano l'italiano, così ben pochi arrivano a identificare il nomignolo Rospo con l'inglese Toad, eppure credo che la madre non gli abbia comunque fatto un gran regalo chiamandolo in questo modo. 
 

Curiosità varie 

Sono state girate più di tre ore di film. Molte delle sequenze non incluse nella versione distribuita sono andate perdute. A quanto pare ne è sopravvissuta una in un trailer, in cui si vede Lancillotto nell'atto di difendere l'amata Ginevra dall'assalto di un bandito in una foresta. Sembra che nel mondo del cinema sia piuttosto comune il problema delle sequenze extra andate smarrite.
 
Helen Mirren (Morgana) aveva problemi a lavorare con Nicol Williamson (Merlino): i due non si parlavano per via dei loro burrascosi trascorsi in una disasastrosa produzione del Macbeth. Boorman pensò bene di metterli assieme per via della loro naturale animosità. 
 
Inizialmente il regista aveva in mente di fare un film tratto da Il Signore degli Anelli. Non avendo però acquistato i diritti per farlo, cambiò progetto all'improvviso,  quanto pare per via dei costi ritenuti troppo elevati. Qualche spunto dell'originale matrice tolkieniana confluò poi nel progetto arturiano.  Il titolo originale doveva essere Merlin: non fu possibile utilizzarlo per via di un canale televisivo che deteneva i diritti su uno show intitolato Mr. Merlin. La successiva opzione contemplata dal regista fu Knights (ossia "Cavalieri"). Nemmeno questa andò in porto per via di un altro film che aveva un titolo troppo simile. A questo punto giunse un'ispirazione improvvisa: Excalibur.    

Katrine Boorman (Igrayne) e Cherie Lunghi (Ginevra) girarono le loro scene di nudo senza alcuna controfigura. Il parto di Morgana fu simulato con uno stratagemma ingegnoso: una vera donna incinta giaveva su un tavolo e aveva la testa nascosta da un panno nero, mentre la testa della Mirren sporgeva da un buco. 
 
Nelle prime fasi del progetto, si pensò a Sean Connery per il ruolo di Artù - che poi interpretò nel film Il primo cavaliere (First Kight, 1995), diretto da Jerry Zucker. Max von Sydow avrebbe dovuto interpretare Merlino nella pellicola di Boorman: di certo non sarebbe stato da meno di Williamson. 
 
Gli errori rilevati nel film sono dovuti soprattutto a figure della troupe riflesse nelle armature di Artù e dei cavalieri, oltre che nella bizzarra calotta metallica e lucidissima indossata da Merlino sul cranio. 
 
Cineforum Fantafilm 
 
Il film di Boorman è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro la sera dell'8 gennaio 2007. Purtroppo non sono stato presente alla proiezione e non ho potuto partecipare al dibattito, i cui contenuti non sono stati documentati, finendo col disperdersi nel Nulla.