Visualizzazione post con etichetta lingua giapponese. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua giapponese. Mostra tutti i post

domenica 10 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI KAGAMI

Akikatsu Kagami (Aichi Gakuin University, Nagoya, Giappone) è l'autore dello studio Changes and Traces of Ainu Place Names in Contact with Japanese, ossia Cambiamenti e tracce dei nomi di luogo Ainu in contatto col giapponese, pubblicato nel 2009. Mi rendo conto che l'antroponimo nipponico in italiano fa un po' ridere, proprio come il famoso Urina Suimuri che compariva nelle barzellette sui Giapponesi, spesso assieme a Kagapoko Kifapokomoto. Immagino che i troll si faranno grasse risate, come se il nominativo dell'accademico di Nagoya fosse una trasposizione ironica di una frase italiana, "chi cazzo mi caga?" o qualcosa del genere. Ne sono consapevole e mi dispiace, ma non posso farci niente. Non l'ho inventato io, esiste davvero. Riporto la pagina con le opere dell'autore nel sito dell'editore De Gruyter:


Il lavoro di Kagami sui toponimi di origine Ainu è consultabile nel Web tramite questi link, che spero si manterranno a lungo funzionanti:



Questo è l'abstract, da me tradotto:

"Alla diciassettesima conferenza ICOS a Helsinki, ho rilasciato un articolo intitolato “Ainu Substratum in the Distribution of Japanese Microtoponyms” (Sostrato Ainu nella distribuzione dei microtoponimi giapponesi) e ora vorrei presentare i miei continui studi su questo argomento. A Tōhoku (Distretto del Giappone nordorientale), restano molti nomi di luogo che hanno la stessa struttura dei nomi di Hokkaidō, dove ancora sussistono aborigeni Ainu. Ma questi nomi di Tōhoku sono mutati attraverso il contatto con la lingua giapponese, ed è necessario interpretarli come se fossero cambiati dall'Ainu a parole nipponizzate."

Per chi non lo sapesse, gli Ainu sono una popolazione antichissima del Giappone, che vive nell'isola di Hokkaidō e nelle isole Curili (queste ultime appartenenti alla Federazione Russa). Sono molto diversi dai Giapponesi e caratterizzati da un somatismo più simile a quello europeo (manca la plica mongolica); gli uomini hanno folta barba e pelosità abbondante. La lingua tradizionale degli Ainu, ormai moribonda, non ha parentele note con alcun'altra lingua del mondo. 

Queste sono le radici di sostrato indagate da Kagami nel suo articolo:

1) PI-NAY "fiume dei ciottoli"
     Compare a Tōhoku come HI-NAI.
   Metanalisi: Questo elemento è stato interpretato erroneamente a partire dall'antico giapponese hi "cipresso giapponese", con la variante hinoki. Si noterà che questi toponimi si trovano nella maggior parte dei casi oltre l'estremo limite settentrionale della crescita spontanea del cipresso giapponese (Chamecyparis obtusa), cosa che dimostra in modo semplice e diretto la falsità di questa etimologia popolare.


2) KOTAN "villaggio"
     Compare a Tōhoku come KOTANI e KOTATE / KODATE.
     Metanalisi: L'elemento kotani è stato interpretato in giapponese come "piccola valle" o come "vecchia valle" (ko "vecchio"), a partire da tani "valle". Tuttavia in Tohoku la parola giapponese usata per indicare la valle è ya, non tani. Le forme kotate e kodate sono state interpretate a partire da tate "scudo"; con sostituzione criptica di ko "vecchio" con furu, altra pronuncia dello stesso ideogramma, si sono ottenute le forme furutate e furudate, ancor più fuorvianti.


3) PENKE "superiore, alto"
     Compare a Tōhoku come BENKE, BENKEI.
     Metanalisi: Questo elemento non è stato sottoposto a metanalisi, dato che la sua peculiare struttura non ha permesso l'accostamento a parole nipponiche. Nella maggior parte dei casi è stato quindi sostituito dal giapponese kami "superiore, in alto". La forma Ainu originale Penke compare nella toponomastica di Hokkaidō, ad esempio in Penke-to "Lago Superiore".


4) PANKE "inferiore, basso"
     Compare a Tōhoku come BANGE.
     Metanalisi: Questo elemento non è stato
sottoposto a metanalisi, dato che la sua peculiare struttura non ha permesso l'accostamento a parole nipponiche. Nella maggior parte dei casi è stato quindi sistituito dal giapponese shimo "inferiore, in basso". La forma Ainu originale Panke compare nella toponomastica di Hokkaidō, ad esempio in Panke-to "Lago Inferiore".

5) NUPRI "montagna"
    Compare a Tōhoku come -NO-MORI 
   Metanalisi: In questo elemento -no è stato interpretato come particella giapponese del genitivo, mentre -mori è stato interpretato come una parola giapponese antica che significa "montagna" (e anche "foresta"). Si noti che nei toponimi giapponesi di origine non Ainu il suffissoide -mori non compare preceduto dalla particella genitivale -no (es. Aomori "Foresta Blu"). La forma Ainu originale -nupuri compare molto frequentemente nella toponomastica di Hokkaidō per designare montagne: Atusa-nupuri, Nisey-ko-an-nupuri, etc.

A questo punto, dopo aver discusso gli elementi toponomastici sopra riportati (per ognuno è inclusa una mappa che ne illustra la distribuzione), Kagami si auspica che l'applicazione del suo ineccepibile metodo possa portare a scoprire un maggior numero di toponimi Ainu mascherati. Segue una ricca bibliografia di suoi lavori precedenti, che purtroppo non sono riuscito a recuperare nel Web. 

Gli Emishi 

Nel Nordest dell'isola di Honshū, proprio in quella che oggi è conosciuta come regione di Tōhoku, viveva un popolo molto bellicoso i cui uomini erano caratterizzati da una pelosità abbondante. Sono conosciuti con il nome di Emishi (蝦夷, nell'epoca Nara 毛人) e hanno resistito a lungo all'espansione dell'Impero. I primi contatti con i Giapponesi si ebbero nel 658 d.C., quando una spedizione navale raggiunse Akita (all'epoca chiamata Aguta, ho sentito che qualche anno fa vi avvenivano apparizioni mariane, è come se fosse la Medjugorje giapponese). Ebbe inizio una lunga serie di guerre: alcune tribù erano alleate con i Giapponesi, altre erano ostili. Gli ultimi focolai di resistenza furono domati nell'811 d.C.; da allora gli Emishi furono incorporati nella società feudale e dominati da una casta di meticci, finché si perse ogni loro caratteristica distintiva. Si suppone con ottime basi che parlassero una lingua imparentata con quella degli Ainu di Hokkaidō. Una prova molto convincente sono gli idronimi in -betsu, derivati dall'Ainu pet "fiume" tramite adattamento naturale alla fonetica giapponese. Molto più a meridione della grande isola di Honshū, questa radice pet è stata adattata nella forma abbreviata -be, ad esempio in Kurobe e Oyabe, nomi di fiumi della Prefettura di Toyama. Chiaramente il suffissoide -be "fiume" era tipico di un popolo che parlava una lingua imparentata con quella degli Emishi, seppur non identica. Per secoli si sono tentate etimologie dell'etnonimo Emishi utilizzando parole giapponesi, ottenendo così i risultati grotteschi e inverosimili tipici del più crasso paleocomparativismo, fenomeno tristemente noto nella nostra Penisola. In realtà è tutto semplicissimo: nella lingua degli Ainu la parola emchiu significa "uomo, persona" (scritto anche enju, enzyu). 

Sopravvivenze di elementi di sostrato 

Esiste a Tōhoku, nella parte settentrionale dell'isola di Honshū (prefetture di Akita, Aomori, Iwate ed altre), una società di cacciatori d'orsi, chiamati Matagi. Questi usano tra loro, esclusivamente durante la caccia, un gergo chiamato Yama-kotoba, ossia "Parole della Montagna" (in giapponese yama "montagna", kotoba "parole") o Matagi-kotoba. Accanto ad alcuni termini giapponesi usati in senso traslato (es. ossama "orso", alla lettera "uomo anziano"), vi sono numerose parole Ainu adattate alla fonetica nipponica. Questi sono alcuni esempi: 

sanpe "cuore" 
    (Ainu sanpe)

setta "cane"
    (Ainu sita)

hakke "testa"
    (Ainu pake)
hono "bambino piccolo"
     (Ainu ponpe)
horo "grande"
    (Ainu poro)
kappo "cuoio"
    (Ainu kapkapuhu)

wakka
"acqua"
    (Ainu wakka)

Per ulteriori informazioni si rimanda al lavoro di Catherine Knight:


Mentre si continua ad affermare nel Web che gli studiosi non sono riusciti a ricostruire la lingua degli Emishi, a dispetto della presenza di ricco materiale non soltanto toponomastico nella regione che hanno abitato, nessuno sembra collegare proprio agli Emishi il lessico di origine Ainu presente nello Yama-kotoba. In effetti si trova ben poco sullo Yama-kotoba e non ho avuto modo di approfondire l'affascinante argomento quanto avrei voluto. Oltre alle parole fornite dalla Knight, se ne possono riportare poche altre, riportate in un blog di Tumblr (dunque non esistono soltanto i porno-Tumblr!):


ege "fuoco"
kodataki "gatto"
nasashi "sake"
surube "fucile, pistola"
takase "cavallo"

Per questi vocabili non sono riuscito a trovare corrispondenze in Ainu; in particolare il termine ege "fuoco" mi pare enigmatico (ho trovato che in Ainu si ha invece ape, abe "fuoco", mentre il verbo corrispondente è ruy "bruciare"). Faccio notare al mondo accademico che il termine kodataki "gatto" non ha nulla a che vedere col giapponese neko "gatto": somiglia molto di più alla parola preistorica che ha dato il nostro vocabolo "gatto" (dal latino cattus, comune al celtico e al germanico). Potrebbe trattarsi di una falsa etimologia e potrei peccare fortemente di ingenuità, ne sono consapevole. Tuttavia potremmo anche essere di fronte a qualcosa di importante. Mi piacerebbe che il professor Guido Borghi si occupasse della questione. Che spiegazione dare a questi dati bizzarri? Faccio notare che le cronache giapponesi menzionano un popolo diverso dagli Emishi, che competeva con loro per il possesso di Tōhoku. Queste genti, la cui origine ignoriamo, sono note col nome di Mishihase. Non è chiaro se parlassero una lingua del ceppo Ainu. Posso soltanto notare che l'etnonimo contiene l'elemento mishi-, che potrebbe avere la stessa etimologia del nome degli Emishi. Forse invece l'origine è del tutto diverso e si trattava di un popolo anteriore agli stessi Ainu, un relitto di una preistoria ormai sprofondata nell'Oblio. La mia ipotesi, forse non del tutto peregrina, è che il gergo dei Matagi comprenda sia elementi lessicali della lingua degli Emishi che di quella dei Mishihase. Così ege "fuoco" sarebbe una parola del perduto idioma di questi ultimi! La ricostruzione che posso tentare è abbastanza verosimile: gli Emishi non assimilati, oppressi duramente dai meticci giapponesizzati, si sono ritirati in zone remotissime, dove vivevano anche i discendenti dei loro ancestrali nemici, i Mishihase. Sarebbero dunque avvenute unioni tra i due gruppi considerati reietti. 

Perché nessuno si occupa di tutto ciò? Perché non si trovano studi accessibili? Vorrei sbagliarmi, eppure ho il sospetto che la scienza ideologica non sia una peculiarità del solo Occidente. Evidentemente se ne trovano manifestazioni anche nel paese del Sol Levante. Non dimentichiamoci che gli stessi Ainu di Hokkaidō sono stati sottoposti a spaventose persecuzioni e a discriminazioni di ogni genere. Se nominassi poi gli intoccabili dell'Arcipelago, gli Eta, quale sarebbe la reazione degli accademici? 

martedì 3 settembre 2019


AMAKUSA SHIRO TOKISADA -
THE REBEL 

Titolo originale: Amakusa Shirō Tokisada
AKA:
The Revolutionary; The Christian Revolt 

Anno: 1962
Lingua: Giapponese
Paese: Giappone
Regia:
Nagisa Ō
shima
Genere: Drammatico, storico
Durata: 100 min
Colore: B/N
Formato: Scope
Produzione: Hiroshi
Ōkawa per la Toei di Kyoto
Produttori associati: Yoshino Mori, Yurin Nakamura,
     Kimiharu Tsujino  
Distribuzione: Toei Kyoto 
Sceneggiatura: Nagisa
Ōshima, Toshirō Ishidō
Fotografia: Shintar
ō Kawasaki
Montaggio: Shintarō Miyamoto
Musiche: Riichir
ō Manabe
Trucco: Masanobu Hayashi
Interpreti e personaggi: 

    Hashizō Ōkawa: Amakusa Shirō Tokisada
    Ryûtar
ō Ōtomo: Shinbei Oka
   
Tetsuo Ashida:
Zanemon Yama 
    Minoru Chiaki: Sō
ho Tanaka 
    Tokue Hanazawa: Yozaemon 
    Ch
ōichirō Kawarasaki: Tamezō 
    Yoshi Katō
: Il nonno di Zanemon Yama 
    Mikijir
ō Hira: Katsuie Matsukura 
    Rentarō Mikuni: Uemonsaku 
    Sue Mitobe: Maki 
   
Kikue Mōri: Maruta 
    Takamaru Sasaki: Jinbei 
    Satomi Oka: Sakura (moglie di Shinbei)
    Kei Sat
ō: Taga Mondo 
    Rokk
ō Toura: Rōnin (samurai senza padrone)
   
Junko Matsukawa: Okiku (accreditata come Sayuri
          Tachikawa)
   
    Takao Yoshizawa
   
Mieko Kiuchi 


Trama: 
Siamo nel Giappone dell'epoca Edo, sotto il dominio dei Tokugawa, nella prima metà del XVII secolo. I fatti si svolgono dal dicembre 1637 all'aprile 1638. La penisola di Shimabara, proprio come la popolosa città di Nagasaki, era abitata da una popolazione in prevalenza cristiana. Per questo motivo c'erano gravi attriti sociali. I feudatari erano ferocemente anticristiani e opprimevano il volgo in modo crudele, tassandolo fino a ridurlo in condizioni di povertà estrema. La rapacità del fisco era insostenibile, al punto che il governo Monti sarebbe stato considerato una manna! Gli esattori pretendevano una tassa in riso, lasciando ai sudditi soltanto poche patate. Gli armigeri dello Shogunato compiono irruzioni nei villaggi e catturano i cristiani, gettandoli nelle segrete, scorticandoli a forza di frustate e torturandoli fino a rendere loro la vita impossibile. Coloro che si rifiutano di abiurare vengono messi a morte con supplizi atrocissimi. Il popolo giapponese è indomito e fiero, quale che sia la sua religione. Così quando l'estremo limite della sopportazione viene superato, la rivolta ha inizio. A guidare la ribellione è il giovane Amakusa Shirō Tokisada (nato Masuda Shirō, figlio di Masuda Jinbei). Gli insorti assediano ed espugnano un castello dopo l'altro e il loro numero cresce giorno dopo giorno fino a raggiungere le proporzioni di un esercito. La sorte sembra arridere loro, ma segni luttuosi di morte violenta e di sterminio iniziano a manifestarsi...


Recensione: 
Il film mi è piaciuto, anche se devo rilevare spaventose sproporzioni nella narrazione. Troppo spazio dedicato a conversazioni serrate, che il regista deve aver ritenuto più importanti della stessa rivolta e della sua repressione. Va detto che ho potuto visionare la pellicola soltanto nella versione originale in giapponese, senza alcun doppiaggio né sottotitoli in inglese. Del resto sono dell'idea che un film giapponese debba essere visto in lingua originale, anche a costo di capire poco o nulla dei dialoghi! Poi si scopre che spesso le parole degli attori sono superflue, visto che nella maggior parte dei casi l'unica cosa che conta è l'azione. Quando questo non accade, è divertente cercare di riempire i buchi narrativi con qualche inadeguata costruzione mentale.  Quello che ho più apprezzato è l'ambientazione cupissima, claustrofobica, tanto che nelle scene notturne la storia sembra ambientata su un pianeta nel cui cielo un sole nero irradia una tenebra aggressiva. A un certo punto, alla piena luce del sole, vengono bruciati vivi alcuni cristiani e tra questi ci sono anche bambini. I loro corpi vengono avvolti in quelli che sembrano tappeti fatti di sottili canne e di paglia, a cui i carnefici danno fuoco. La maestria del regista è sublime nel rendere l'orrore che stravolge il volto di un vecchio fedele, nascosto nella vegetazione, che assiste alla lenta agonia dei suoi correligionari. 


Un vivido ma fugace affresco dei costumi 

Il signore feudale era un pederasta e aveva un harem di fanciulli vestiti da geisha, su cui sfogava le proprie bramosie sodomitiche penetrandoli selvaggiamente nell'intestino. Il regista allude a questo in poche brevi ma chiare sequenze. Non si trovano molti film, giapponesi o prodotti in altri paesi, che riportino in modo esplicito e approfondito questa realtà, di cui pochi sembrano essere al corrente. Lo stesso Tokugawa Ieyasu e altri daimyō dell'epoca Edo erano dediti alla pederastia e avevano i loro harem di effeminati. Secondo il mio parere, questo punto dolente, che poneva la cultura giapponese in rotta di collisione con la religione cristiana predicata dai missionari, spiega gli sviluppi repressivi dell'epoca Edo. Anche il famoso inquisitore anticristiano Inoue Masashige era un notorio pederasta. Non soltanto: aveva avuto un'educazione cristiana e da giovane per poco non si era fatto prete. Ecco una prova del conflitto stridente tra una dottrina straniera e le inclinazioni sessuali di un uomo che ne poteva capire soltanto la forma. Una lotta i cui risultati hanno avuto portata storica. 


Olandesi volanti 

Gli Olandesi fanno la loro irruzione nel film come folletti infarinati, forse interpretati da attori nipponici truccati e impettiti, tanto che di primo acchito mi sono sembrate quasi caricature di occidentali. Guardando con attenzione i fotogrammi, mi sono poi accorto che non si tratta di un lavoro approssimativo: quelle facce sembrano proprio avere lineamenti batavici! I figli dei Paesi Bassi si manifestano per pochi secondi assieme a un grande cannone che spara una specie di fuoco artificiale. La scena è estemporanea, non integrata nella trama. Sembra quasi che i messaggeri di un mondo alieno invadano la Terra da un buco nel cielo, rompendo l'ordine cosmico come una lancia che dilania le viscere; invece si ritraggono quasi subito e scompaiono senza lasciare traccia alcuna nel tessuto narrativo. Il riferimento è alla nave da guerra olandese Rijp, che cannoneggiò il castello di Hara in cui i rivoltosi si erano asserragliati. Nella pellicola di Ōshima vediamo invece gli Olandesi sugli spalti di un castello. Tutto ciò che è estraneo al Giappone desta stupore misto a scandalo e in qualche modo deve essere isolato, neutralizzato. Sembra di essere di fronte alla reazione di un sistema immunitario vigoroso che aggredisce i patogeni giunti da un'oscena fonte di una sconosciuta infezione. 


Il pittore folle (e profetico)  

Alla corte del signore feudale dedito alla pederastia con i travestiti, viveva un pittore. Il suo incarico ufficiale consisteva nel dipingere elaborati ritratti del suo mecenate. La sua figura era ben singolare per essere un nipponico, al punto che a prima vista lo scambiai per un occidentale, forse uno spagnolo o un portoghese. Invece si trattava proprio di un nativo del glorioso paese di Yamato. Nessuna traccia di plica mongolica, i suoi occhi erano enormi e fissi come quelli di un cuculo. La pelosità abbondante indicava la discendenza da popolazioni aborigene pre-nipponiche, Ainu o Emishi. Quando viene scoperto che è un cristiano, viene sottoposto a una devastante bastonatura continua. Già in passato aveva avuto problemi per la sua religione: come il suo dorso viene messo a nudo, spicca un vistoso marchio a forma di croce, testimonianza dell'opera di un precedente carnefice che lo aveva lavorato col ferro rovente. Liberato dalla prigionia, lo stravagante pittore vaga nella notte in preda alla follia, come Re Lear nella tempesta. L'ultimo suo dipinto mostra un paesaggio annientato e pieno di gente crocefissa in mezzo alle fiamme, con colombe bianche che salvono verso il cielo nero. Un luogotenente dell'armata cristiana vede l'opera e capisce all'istante che è una funesta profezia di rovina, così in preda alla furia la fa a pezzi con la katana e uccide l'artista. Lo colpisce prima alla schiena, poi gli infligge profondi tagli al petto. Il sangue, simile a denso fango, esce copioso dalla bocca della vittima, che si accascia al suolo.


Un finale precipitoso  

Amakusa Shiro impugna la katana e il Crocefisso. Intorno a lui garriscono vessilli cristiani, simili a rozze bandiere spagnole o portoghesi con una croce in campo bianco. Vessilli crociati. Schegge di Occidente incastonate in Oriente. Molti dei contadini insorti hanno una massiccia croce di legno legata al cranio: a quanto pare consideravano quel manufatto una protezione soprannaturale. Pregano incessantemente. Quando l'esercito si incammina verso il suo destino, ecco che lo schermo grigio si pietrifica e compare un quadro di fitti ideogrammi. Senza dubbio è un riassunto del finale, che non vedremo mai: i rivoltosi di Shimabara, una volta espugnato il castello di Hara, sono stati tutti decapitati. Per secoli è rimasta impressa nell'eroico popolo nipponico l'immagine di quella montagna di teste recise. E io che mi pregustavo lo scontro finale e la carneficina! Niente da fare. La gestione del tempo e dell'azione da parte dei registi e degli sceneggiatori giapponesi non è affatto simile a quanto ci aspetteremmo. Non segue la stessa nostra logica. Non è euclidea, non è lineare. 

Curiosità varie 

Una donna cristiana sconvolta dal rogo di uomini, donne e bambini, esibisce vistose otturazioni d'oro agli incisivi - cosa impossibile nel Giappone del XVII secolo. Siamo di fronte a un anacronismo.

Amakusa Shirō è considerato un santo da molti cattolici giapponesi, ma non è mai stato canonizzato. Già quando era in vita gli venivano attribuiti miracoli. La Chiesa Romana non ha mai usato i fatti di Shimabara per la sua propaganda, adducendo una sconcertante ragione: gli insorti avrebbero avuto soprattutto motivazioni "materialistiche", come la protesta contro la tassazione. 

Amakusa Shirō è mostrato nel film come un uomo adulto, mentre aveva solo 17 anni quando è stato giustiziato dai carnefici dello Shogunato. La sua testa, spiccata dal busto, è stata esibita al pubblico come monito. L'impatto del personaggio nel mondo dei manga è stato notevole.

Viene mostrato il ruolo primario del riso nel Paese del Sol Levante. L'insurrezione cristiana ha inizio proprio con un atto di spreco in apparenza incoprensibile: viene scagiato a terra il vaso che contiene il riso raccolto come tributo per il feudatario. Ovvio. Quel riso appartiene al Demonio e quindi non può essere usato per l'alimentazione. Quando una dimora feudale viene espugnata, le donne cucinano il riso delle riserve signorili. Viene cotto fino a divenire una massa collosa, che i bambini stremati dalla fame divorano con avidità.  

Il film ci mostra il duello tra Amakusa e un suo luogotenente traditore, Yamada Emosaku. Nella realtà storica le cose sono andate diversamente: il traditore è stato l'unico superstite di quasi 40.000 ribelli. 

Note sulla pronuncia del giapponese  

Quando ero giovane ci si cullava in un'illusione puffesca: si credeva che la lingua giapponese avesse una fonetica elementare e che fosse facilissima da pronunciarsi. La vulgata corrente si fondava su un principio quasi banale per pronunciare le sillabe traslitterate in caratteri romani (romaji): vocali all'italiana e consonanti all'inglese. Per quanto riguarda l'accento, veniva collocato sulla penultima sillaba, a meno che la parola non finisse con un dittongo o con una vocale lunga, nel qual caso l'accento cadeva sull'ultima sillaba (con poche eccezioni per lo più dovute all'errata trascrizione di una vocale lunga come breve). 

I manuali suggerivano di pronunciare il verbo ausiliare onorifico gozaimashìta "è stato" come /gozaima'ʃita/, con l'accento sulla penultima sillaba. Con grande stupore, con gli anni, mi sono accorto che quei manuali erano stati scritti da incompetenti, che non solo inventavano una sillaba inesistente, ma collocavano anche su di essa l'accento. In realtà si deve pronunciare /go'zaimaʃta/, con l'accento sul dittongo. C'è un bel gruppo consonantico, tanto che dovremmo trascrivere la parola in caratteri romani come gozaimashta. Poi ho scoperto l'arcano. Quando una vocale breve i o u è compresa tra due consonanti sorde, o finale di parola preceduta da una consonante sorda, allora non si pronuncia affatto. In qualche trattato si dice che le vocali in questione sono sorde ma in grado di fungere da nuclei sillabici. Non ne sono affatto convinto: mi paiono semplicemente inesistenti. 

Il verbo desu "è" non si pronuncia /'desu/, bensì /des/. La vocale finale non si percepisce nemmeno, per quanti sforzi si facciano.
Il verbo ausiliare onorifico gozaimasu "è" non si pronuncia /gozai'masu/, bensì /go'zaimas/. L'accento è sul dittongo e il suono finale è una sibilante /s/

Allo stesso modo, il nome Amakusa non è affatto /ama'kusa/ con l'accento su una vocale u. Invece si deve dire /a'maksa/. Piaccia o no, nella parola c'è un bel gruppo consonantico /ks/.

Non posso nascondere un fatto scabroso. Esisteva anche un'altra scuola di pronuncia italianizzata del giapponese, che affermava la seguente aberrazione: non c'è una sillaba che ha un accento deciso e prevalente, perché ogni sillaba porta un accento proprio. Ricordo che in uno squallido programma domenicale, Pippo Baudo presentò alcuni giapponesi di Osaka e affermò che il nome della città avrebbe avuto tre accenti. Si sarebbe dovuto pronunciare Ò! SÀ! KÀ! Quando però il presentatore interrogò il nipponico sulla reale pronuncia del toponimo, incontrò non poche difficoltà. Quando gli chiese se si dovesse pronunciare Osakà (ovviamente con la sonora /z/), l'uomo del Sol Levante recisamente gli disse di no. Segnaliamo quindi l'abitudine tipicamente italiana di realizzare la /z/ fonemica giapponese, traslitterata in caratteri romani con z, come un'affricata sonora /dz/, ad esempio nella parola kamikaze. Infine c'è il mitico Luca Giurato, quello del Mudo li Merlino, che usa addirittura un'affricata sorda /tts/: nella sua pronuncia i kamikaze diventano KAMIKAZZI!  

lunedì 15 luglio 2019


SEROTONINA

Autore: Michel Houellebecq
Titolo originale: Sérotonine
Anno: 2019
Lingua: Francese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Distopico, esistenziale 
Editore: La nave di Teseo
Collana: Oceani
Traduzione (in italiano): Vincenzo Vega
Traduzione (in inglese): Shaun Whiteside
Codice EAN: 9788893447393 

Sinossi (da Googlebooks):
Florent-Claude Labrouste è un quarantaseienne funzionario del ministero dell'Agricoltura, vive una relazione oramai al tramonto con una torbida donna giapponese, più giovane di lui, con la quale condivide un appartamento in un anonimo grattacielo alla periferia di Parigi. L'incalzante depressione induce Florent-Claude all'assunzione in dosi sempre più intense di Captorix, grazie al quale affronta la vita, un amore perduto che vorrebbe ritrovare, la crisi della industria agricola francese che non resiste alla globalizzazione, la deriva della classe media. Una vitalità rinnovata ogni volta grazie al Captorix, che chiede tuttavia un sacrificio, uno solo, che pochi uomini sarebbero disposti ad accettare.


Recensione: 
Il sacrificio a cui Florent-Claude Labrouste si sottopone è lo stesso che Giulio Cesare, magistralmente interpretato da John Wayne, in un vecchio film storico rinfaccia a un astronomo egiziano. In poche parole, si tratta della castrazione. Una castrazione chirurgica, nel caso dell'uomo di Scienza della corte di Cleopatra. Una castrazione chimica, ma non meno efficace, nel caso del dipendente del Ministero dell'Agricoltura. Impotenza assoluta indotta dal farmaco. Il Captorix, per l'appunto. Quando una cantante bionda e prosperosa si inginocchia davanti al protagonista nel corso di un incontro dopo tanti anni di separazione - e gli prende in bocca l'uccello - ecco che lo spermodepositore flaccidissimo non mostra segni di vita. Dopo qualche minuto d'insistenza, la fellatrice smette di lavorare il glande con le labbra e con la lingua: capisce che non c'è più niente da fare. Gli ex amanti si lasciano quindi come se tra di loro ci fosse sempre stato soltanto il più mortificante tra i possibili rapporti tra maschio e femmina: ciò che con infame eufemismo è denominato "amicizia". Com'è risaputo, l'animale che le donne più odiano è il camoscio: se si imbattono in un esemplare, serbano rancore per tutta la vita. Il teatrino mi è parso davvero buffo. Nella mia fantasia mi sono immaginato la donna con tratti simili a quelli di una melomane e grandissima cornificatrice, che ha ornato il cranio del marito di palchi colossali, da fare invidia a un cervo gigante della megafauna pleistocenica. Labrouste non è soltanto quello che il Necchi chiamava "un non trombante". Il Captorix, inutile girarci intorno, è uno strumento di lobotomia chimica. Dovrebbe limitarsi a stimolare la produzione di serotonina (l'ormone della felicità). Il sospetto è che in pratica lesioni il lobo frontale. Ecco perché impedisce di sentirsi avvolti dal nero e oleoso tocco della depressione. Così Houellebecq definisce la pillola magica partorita dal suo ingegno:      

«È una piccola compressa bianca, ovale, divisibile. Non crea né trasforma; interpreta. Ciò che era definitivo, lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile, lo rende contingente.»

E ancora:
«non dà alcuna forma di felicità, e neppure di vero sollievo, ma trasformando la vita in una serie di formalità aiuta gli uomini a vivere, o almeno a non morire, per qualche tempo.» 

L'impotenza assoluta è un effetto collaterale che nessuno a quanto pare sa spiegarsi, un'ironia del Diavolo. Lo scrittore francese tenta persino un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica o, meglio, di pseudospiegazione scientifica. Lo stravagante dottor Azote, il cui cognome significa "Senza Vita", rivolge queste parole al suo paziente: 

«Comunque vorrei che facesse un prelievo di sangue, per controllare il tasso di testosterone. Di norma dovrebbe essere bassissimo, la serotonina prodotta per mezzo del Captorix inibisce la sintesi del testosterone, contrariamente alla serotonina naturale, non mi chieda come mai perché non se ne sa niente.» 

Eppure, anche seguendo questa terapia, il misero travet è ben lungi dall'essere diventato un puffo! Continua a vedere il mondo come l'ammasso escrementizio che è.

«In Occidente nessuno sarà più felice, pensava ancora, mai più, oggi dobbiamo considerare la felicità come un’antica chimera, non se ne sono più presentate le condizioni storiche.» 

Una lucida quanto annichilente disamina della nostra condizione. Apparteniamo a una civiltà moribonda, il cui exitus non è lontano. Crolleremo sotto il peso di infinite criticità. Senza contare una cosa che forse potrà apparire banale ma non lo è. Chi ha detto che abbiamo il diritto di essere felici?    

Una nipponica antropofaga e genocida    

Il protagonista ha un crollo esistenziale quando scopre la verità sulla sua compagna, la giapponesina di nome Yuzu. La donna d'Oriente ha lasciato traccia delle sue imprese erotiche in alcuni densi filmati in formato mp3, che inviava alle sue amiche. Praticava le gangbang spermatiche: decine di uomini si masturbavano intorno a lei nuda e inginocchiata, per poi scaricarsi a turno nella sua bocca e sulla sua faccia. Lei ingurgitava il liquame seminale, uccidendo milioni di spermatozoi nell'acido del suo stomachino, per poi avviarli con la peristalsi alle fetide caverne del suo ventre serico, finendo col trasformarli tutti in merda! Prendeva l'essenza stessa di ogni uomo, ciò che contiene tutte le istruzioni per replicarne una copia, un clone, quindi con un'operazione di Magia Nera degradava tale codice genetico, riducendolo a scoria, a schifosissima abominazione. Quando un amante si accingeva a leccare l'ano di Yuzu, sul roseo sfintere c'erano particelle microscopiche che recavano traccia della degradazione stercorale degli homunculi inghiottiti! Questi esserini agonizzanti, destinati a morire asfissiati già al loro scaturire nella bocca della donna, dopo qualche ora fuoriuscivano come terriccio pastoso dall'orifizio tanto desiderato da altri uomini ansiosi di sburrare, rinnovando il ciclo del sacrificio a Moloch! Non basta. La giapponesina non si limitava ad amanti umani. Si faceva possedere carnalmente da grossi cani! Mentre ciucciava la rubizza virilità di un esemplare robusto, credo un pitbull, un altro animale nerboruto, se non erro un alano, faceva scivolare i suoi corpi cavernosi nella vagina accogliente della ninfomane nipponica. Alla fine usciva il materiale genetico canino. Anche in questo caso gli spermatozoi eiettati nel cavo orale venivano trangugiati a boccate e condotti nel loro luogo di digestione, verso la nemesi dell'assimilazione e del rifiuto. I caldi girini che inondavano il vaso procreativo, nell'impossibilità di fecondare un ovulo, morivano tutti soffocati, lentamente, in un'agonia estenuante. E pensare che Labrouste è sempre stato perplesso dalla complessità e dalla stranezza della vulva della sua compagna. Per questo motivo preferiva consumare la sua vita di coppia intrudendo il fallo nel retto femminile ben lubrificato. Le papule sul glande subivano lo sfregamento con le aspre superfici degli stronzi formati nell'ultimo tratto intestinale e già pronti all'evacuazione. Scavando nell'anfratto merdoso, ecco che il miracolo si ripeteva ogni volta: una marea di seme invadeva la spelonca stercoraria, tingendosi di bruno da candida che era, contaminandosi e consumandosi in un'ecatombe inenarrabile di creature uccise. Crema di aborti mista a bruttura fecale! Ovviamente mi faccio beffe della dottrina dell'homunculus, professata dai tristi fetolatri di Verona: reputo il seme un po' di muco che esce da un budellino. Ho però dimostrato che è possibile utilizzare la morte degli spermatozzi (sic) per produrre bizzarre creazioni letterarie, che dovrebbero far meditare sulla nullità della natura umana. Tra i pochi lettori capitati qui per caso, spero che qualcuno abbia avuto un'erezione leggendo queste righe morbose.

Etimologia di Captorix 

Trovo davvero bizzarro l'aspetto fonetico del nome del farmaco houellebecquiano, che ricorda i famosi antroponimi celtici in -rīx "Re". Possiamo ricostruire un antroponimo gallico *Caχtorīx "Re dei Prigionieri" (-χ- trascrive una forte aspirazione): la cosa è ancor più sorprendente dal momento che *caχtos "prigioniero; schiavo" (antico irlandese cacht, gallese caeth) è proprio la naturale evoluzione di un precedente *captos, che troviamo anche nel latino captus "preso" e captīvus "prigioniero". L'antroponimo gallico trascritto come Moenicaptus dimostra che il gruppo -pt- era conservato in qualche variante della lingua: ecco che *Captorīx diventa un nome del tutto credibile! Sarà un purissimo caso? Non mi si dica che Houellebecq conosce il gallico! Come mai anche in autori che non sembrano avere conoscenze di lingue antiche, paiono emergere frammenti di nozioni occulte che hanno tutta l'aria di provenire da mondi perduti? Caso? Coincidenze? Sincronicità junghiana? Entanglement quantistico? Oppure queste cose accadono perché la vita che viviamo non è altro che un incubo delirante? Ne sono sempre più convinto: quest'ultima è la spiegazione giusta. Forse un giorno mi sveglierò e capirò tutto!

L'istinto del leone 

A un certo punto, allo scopo di riconquistare una sua vecchia fiamma, Labrouste è preso da una forza irresistibile quanto aberrante. Vuole uccidere il figlio piccolo della donna, un'affascinante morettina, sperando assurdamente di poter indurre in lei il calore e di poterla così fare nuovamente sua. Studia tutto nei minimi particolari: si reca in un albergo abbandonato che si trova non lontano dalla casa in cui la sua amata vive col figlio, per poter colpire il giovanissimo con un fucile di precisione e stroncare la sua vita. Proprio quando l'orrido piano sembra scattare e andare in porto, subentra un tremore della mano che lo fa fallire. L'uomo è preso da una subitanea onda d'orrore e si ritrae. La forza inumana che lo aveva posseduto fino a pochi istanti prima si è ormai dileguata per sempre. È proprio quella stessa forza che spinge i maschi dei leoni a trucidare i cuccioli che la leonessa ha generato in precedenti relazioni! Cosa sperava di ottenere in realtà? Credeva davvero che tutto si sarebbe aggiustato se avesse compiuto l'infame delitto? Non si rendeva neanche più conto di essere impotente a causa del Captorix? In realtà lui voleva vendicarsi. Voleva punire la donna che lo aveva abbandonato per concepire un figlio con uno sconosciuto, agendo spinta dal Genio della Specie. Con questa scelta, lei aveva rifiutato il suo ex amante, dichiarandone il fallimento biologico. Lo aveva marchiato con un epiteto che brucia anche dopo decenni: SFIGATO.

L'estinzione del ceto medio 

Serotonina non è soltanto un affresco a tinte foschissime di questo malaugurato presente: è anche un geroglifico di un futuro ben più spaventoso che incombe su tutti noi. Descrive un fatto che può essere considerato un portento funesto per l'intero Occidente: il declino del ceto medio. Questa classe sociale di grande importanza langue sempre più in situazioni critiche e si avvia verso l'annientamento. Credo che la cosa sia sotto gli occhi di tutti. Molti anni fa lessi su un libro di storia romana qualcosa che mi colpì in modo profondo. Secondo l'autore, Carlo Bornate (1871 - 1959) uno dei segni del declino dell'Impero Romano fu la scomparsa dell'ordine equestre. Proprio gli Equites, ossia i Cavalieri, costituivano il ceto medio di Roma. Si collocavano a metà strada tra i plebei e i patrizi, costituendo una specie di cuscinetto che attutiva le frizioni sociali. Era proprio l'ordine equestre a permettere l'esistenza e la tenuta dell'ascensore sociale, quel mirabile meccanismo che evita la stagnazione con tutte le sue funeste conseguenze. Fame, tumulti, tirannia e peste! Possiamo ben capire che dal blocco dell'ascensore sociale scaturisce sempre la rovina: poveri sempre più poveri e senza garanzia alcuna di potersi sostentare, plutocrati sempre più ricchi e strapotenti. Piove sul bagnato e altrove imperversa la peggiore siccità. I Gilets jaunes non sono poi così diversi dai Bagaudae dell'epoca imperiale, dal momento che si sono formati dallo stesso ribollente calderone di insicurezza e di disperazione. Ora come allora la causa ultima del disastro è soltanto una: la globalizzazione.  

Un goffo predatore sessuale 

Tra le tante cose strane, Houellebecq descrive un esemplare di paedoraptor. Non si tratta di un rettile preistorico come il velociraptor che tutti abbiamo visto nella saga di Jurassic Park. A prima vista il predatore è in tutto e per tutto simile a un professore tedesco sulla quarantina, che fa sfoggio di un certo lusso. Labrouste si imbatte in lui nel corso di una vacanza nel Cotentin. Non fa la sua conoscenza di persona, certo, si limita a guardarlo da lontano col binocolo. Così scopre che ogni giorno il paedoraptor accoglie nel suo bungalow una bambina sui dieci anni. La giovinetta dà l'impressione di essere avvezza a questo tipo di rapporti. Evidentemente ha appreso come fare qualche soldo manipolando gli uccelli. Così Labrouste approfondisce le indagini, fino ad approfittare dell'uscita del predatore, penetrando così nel suo bungalow, che era stato lasciato aperto. Qui si mette alla tastiera del computer, ovviamente non protetto da password alcuna, accedendo così al materiale pedoporno come se nulla fosse. Il professore tedesco rientra in quel mentre e trova l'intruso, ma non può ovviamente far valere il proprio diritto alla privacy. Labrouste biascica che non parlerà, che non lo denuncerà, approfittando della sorpresa dell'altro per fuggire via a gambe levate. Di lì a poco il pedosauro balza sulla macchina e fugge via con addosso un terrore folle. Si converrà che tutto l'impianto narrativo è a dir poco implausibile.    

Un gravissimo errore 

Vantando la sua smisurata cultura musicale ed elargendola con generosità ai bibliofagi, il geniale Houellebecq scivola su un grosso pezzo di sterco. Per la precisione si tratta di una gigantesca torta di vacca. Certo, non sarà appetitosa come i grassi e unti dolciumi di Gianni M., ma comunque meglio non calpestarla. Unico in tutto il Web ad aver notato la marchiana incongruenza è l'amico C., ossia Cesare Buttaboni. In poche parole riassumo l'accaduto. Quando Labrouste incontra dopo tanti anni il suo compagno di sventure universitarie, il gagliardo normanno Aymeric Florent, i loro discorsi virano sulla musica. A un certo punto il protagonista descrive la passione del nobile per i Pink Floyd e menziona Ummagumma come "il disco della mucca". Cosa c'è di sbagliato? In fondo tutti noi ricordiamo un famoso disco dei Pink Floyd con una bella mucca pezzata in copertina. Il punto è che quel disco non si intitola Ummagumma. Come giustamente il Buttaboni mette in evidenza, è sulla copertina di Atom Heart Mother che compare il famigerato bovino dal manto bianco e nero, dotato di smisurate ghiandole lattifere! Ecco a voi la recensione buttaboniana, la cui lettura raccomando vivamente a tutti:


La domanda che mi pongo è questa: davvero un sapiente come Houellebecq ha potuto commettere un simile svarione? A parer mio, anche se non ne ho prova alcuna, lo ha fatto apposta. Ha ingannato volutamente i lettori. Il motivo non è difficile da comprendere. Noi viviamo ormai un'intera esistenza navigando nel Web ma non sappiamo davvero nulla. Sono passati da un pezzo i tempi in cui la conoscenza la si doveva sudare! Internet è diventato una protesi del nostro cervello, ma il suo funzionamento è fallace. Questo ci vuole insegnare Houellebecq: "Io posso inserire un'informazione falsa, ad esempio posso dire che I miserabili è un romanzo di Alexandre Dumas padre, perché tanto ciò che ho scritto se lo berranno tutti, come una fellatrice spermatofaga manda giù una boccata di sburra da uno sconosciuto in un glory hole!"  

Etimologia di Yuzu  

Mark Montagna di Zucchero, col suo solito paternalismo, ha provveduto a rendermi edotto sull'origine del nome della giapponesina spermatofaga e bestialista erotica. Mi è infatti apparsa, un giorno, la pagina di un sushi bar milanese che pubblicizzava un sake assai peculiare, il cui nome era proprio Yuzu. Si spiegava che yuzu in giapponese è il nome dato a un agrume simile al bergamotto e alla leggera bevanda alcolica che se ne ottiene. La parola in questione, scritta ユズ o 柚子, è un prestito dal coreano yuja (유자), che a sua volta proviene dal cinese yòuzi (柚子) "pomelo". Il peculiare agrume, il cui nome scientifico è Citrus junos, sarebbe originario della Cina centrale e del Tibet, dove cresce anche allo stato selvatico. Sarebbe un ibrido tra il mandarino (Citrus reticulata) e il limone di Ichang (Citrus ichangensis). Durante la dinastia Tang (618 - 907 d.C.) fu introdotto in Corea e quindi in Giappone. Proprio nel Paese del Sol Levante sono state selezionate alcune varietà della pianta, a fini ornamentali Una di queste varietà è chiamata yukô (日本語) e non si trova altrove; lo yuzu fiorito (hana yuzu, 花柚子) è coltivato per i suoi fiori, belli e profumati, mentre lo yuzu leone (shishi yuzu, 獅子柚子) ha frutti con una spessa scorza nodosa.

Microrecensioni e reazioni nel Web

Sul sito www.ibs.it numerosi lettori hanno espresso le loro opinioni. Ce ne sono davvero tante e sono piuttosto eterogenee, mi limito a riportarne alcune: 

Raffaele ha scritto: 

"Libro che divide. O si ama, o si odia."

Simone ha scritto: 

"Houellebecq ha perso mordente. Certo, la sua scrittura asciutta e dissacrante riesce ad evitare la noia, e tutto sommato si legge bene. Però non succede nulla. Ma veramente nulla, nonostante per tutto il tempo ci si attenda un qualcosa che sembra essere nell'aria. Evitabile, a meno che non si sia realmente suoi fan. Ed io lo sono."

Ruud ha scritto:

"La lettura di Houellebecq è sempre spiazzante e disturbante: al di là del continuo e costante indugiare sul sesso, le storie dello scrittore francese costituiscono una veritiera rappresentazione delle nevrosi dell'uomo occidentale moderno, anche ripetutamente profetica per certi versi." 

Antonio Iannone ha scritto: 

"La depressione deprime, per utilizzare una tautologia, ovvero: costringe gli uomini a osservare, non con il nichilismo divertito che tanti consensi brandisce, bensì con la crudezza di un “cuore messo a nudo” l’annientamento di qualsiasi prospettiva. Florent-Claude sopprime una-per-una tutte le possibilità della vita; quelle che non sopprime, sopprimono lui. Il lamento si fa ecolalico, diviene a tutti gli effetti allarme del male. «Non bisogna lasciar crescere la sofferenza oltre un certo livello», confida. Non resta che la fuga, geografica, psichica: romanzesca. "Serotonina" è forse l'opera più narrativa di Houellebecq." 

Carmine ha scritto: 

"Romanzo depresso e deprimente, senza trama nè struttura, una manciata di argomenti buttati dentro a caso (pedofilia, quote latte, psicofarmaci) ma che non hanno la forza di essere provocatori. Un protagonista sempre sull'orlo del suicidio che a un certo punto sarebbe auspicabile, soprattutto quando vorrebbe uccidere un bambino (cosa totalmente senza senso, anche all'interno di un contesto già abbastanza privo di senso). Serotonina è un capolavoro? No, semplicemente Houellebecq non ha più niente da dire, il suo pensiero era già tutto nei romanzi precedenti. Solo con dei contorsionismi intellettuali è possibile attribuire un significato a questo brutto romanzo."

Lorenzo ha scritto:

Sarà ormai ripetitivo, quello che volete, ma un libro di Houellebecq rimane un libro di Houellebecq: da leggere.

giovedì 26 aprile 2018


ULTIMO RIFUGIO: ANTARTIDE
(VIRUS)
 

Titolo originale: Fukkatsu no hi (復活の日
       "Il giorno della resurrezione")
Titolo internazionale: Virus
Paese di produzione: Giappone
Lingua: Giapponese, inglese, francese, tedesco 
Anno: 1980
Durata: 156 min
Genere: Drammatico, fantascienza
Sottogenere: Apocalittico, postapocalittico,
      fantapatologia  
Regia: Kinji Fukasaku
Soggetto: Kinji Fukasaku, Kōji Takada,
     Gregory Knapp, dal romanzo di Saky
ō
     Komatsu (Fukkatsu no hi)
Sceneggiatura:
 David Koepp, Robert Towne
Fotografia: Daisaku Kimura
Montaggio: Akira Suzuki Shore
Musiche: Teo Macero, Rogers St. Johns, Lalo
     Schifrin
Scenografia: Gregory Knapp, Rogers St. Johns
Altri titoli:    
    Germania: Overkill – Durch die Hölle zur
           Ewigkeit
    Norvegia: Dødelig virus

Interpreti e personaggi   
    Glenn Ford: Presidente Richardson
    Robert Vaughn: Senatore Barkley
    Henry Silva: Generale Garland
    Chuck Connors: Capitano McCloud del 
         sommergibile Nereide
    George Kennedy: Ammiraglio Conway
    Olivia Hussey: Marit
    Bo Svenson: Maggiore Carter
    Edward James Olmos: Capitano Lopez
    Masao Kusakari: Dottor Shûzô Yoshizumi
    Tsunehiko Watase: Yasuo Tatsuno
    Isao Natsuyagi: Comandante Nakanishi
    Sonny Chiba: Dottor Yamauchi
    Kensaku Morita: Ryûji Sanazawa
    Toshiyuki Nagashima: Akimasa Matsuo
Budget: 2 milioni di ¥

Trama: 

Un giapponese esausto e coperto di stracci vaga per la cordigliera andina, diretto verso sud. A Machu Picchu entra in una piccola chiesa e la trova piena zeppa di scheletri. Sfinito dalla marcia, comincia a dialogare con un cadavere (o forse con il crocefisso?). La meta di quel viaggio sovrumano è la Terra del Fuoco, dove il nipponico ha un appuntamento con la sua amata. Inizia così la rievocazione degli eventi che hanno portato il pianeta alla distruzione. Tutto ha inizio nel 1982, quando uno scienziato della Germania Est, il dottor Krause, incontra alcuni agenti segreti statunitensi, dando loro una fiala contenente un patogeno esiziale detto MM88. Si tratta di un virus capace di aumentare in modo esponenziale la virulenza di qualsiasi virus o batterio con cui venga in contatto. Durante un'irruzione degli agenti della Germania Est, Krause viene ucciso. Gli americani fuggono in aereo, volando a bassa quota per non farsi scoprire, ma hanno un incidente sulle Alpi. Il velivolo precipita, la fiala cade e si rompe. Poco tempo dopo, inizia a Milano una pandemia devastante, chiamata "influenza italica", che si diffonde nel mondo intero menando stragi inaudite. All'inizio, la gravità della situazione non viene compresa fino in fondo. Gli ospedali sono intasati da un crescente flusso di persone infette, i medici sono sottoposti a un superlavoro massacrante, impossibilitati a staccare anche solo un attimo, finendo essi stessi con l'ammalarsi e morire. Presto si rivela la realtà delle cose in tutta la sua tragedia: su decine, su centinaia di milioni di pazienti non c'è un solo superstite! Anche se chiuso nella sua torre d'avorio, il presidente degli Stati Uniti Richardson langue malato: il contaminante non risparmia neppurre il Faraone e i suoi cortigiani. I giorni della classe dirigente americana sono contati. Pur nel delirio della febbre, Richardson riesce a capire che il genere umano può contare soltanto sui circa 850 coloni stanziati in Antartide, dato che il virus si disattiva a temperature inferiori ai -10 °C. Trasmette quindi un estremo messaggio alle basi antartiche, annunciando che tutto è ormai perduto, che la sopravvivenza della specie grava interamente sugli uomini di quegli estremi, fragili avamposti. La popolazione dell'Antartide, composta da scienziati e da tecnici, si stringe intorno all'ammiraglio Conway, comandante in capo della Palmer Station, abbandonando ogni traccia di nazionalismo e di rivalità per dare origine al Consiglio Federale dell'Antartide. Questo organismo è formato da americani, russi, argentini, norvegesi, giapponesi e da tutte le altre nazioni presenti sul continente ghiacciato. Subito si presenta una situazione difficile: un sottomarino russo, il cui equipaggio è in preda al contagio e già mostra sintomi evidenti, chiede il permesso di attraccare a Palmer Station. Il permesso viene negato senza indugio. Il sottomarino britannico Nereide, che si trova nelle stesse acque, interviene prontamente. Il suo comandante McCloud dà ordine di intercettare il sottomarino russo, distruggendolo. Il Nereide, essendo in navigazione da prima dell'esplosione della pandemia, ne è immune. Così McCloud e il suo equipaggio possono unirsi agli uomini di Conway. Ha inizio una serie di viaggi, in cui il Nereide raggiunge diverse capitali ormai deserte, osservandole tramite una specie di drone e constatando la presenza del micidiale patogeno nell'aria: ogni esplorazione da parte di persone in carne ed ossa è precluso. In Antartide tutto sembra andare per il meglio, anche se a un certo punto si presentano problemi dovuti al fatto che ci sono pochissime donne e un numero soverchiante di uomini. Si registra un caso di stupro, che viene spiegato come un meccanismo biologico che si attiva per garantire la sopravvivenza della specie. Si capisce che non è possibile mantenere la monogamia, così si decide che ogni donna debba avere rapporti con più uomini. Presto da queste relazioni nascono bambini, la nuova generazione dei superstiti. Un giorno accade un evento portentoso e funesto. La costa orientale di quelli che furono gli Stati Uniti viene colpita da un terremoto apocalittico. Questa è una grande criticità. Il geologo giapponese Yoshizumi prevede che nuove scosse ancor più potenti colpiranno Washington. Accortosi della previsione, ecco che Carter, un ex agente della CIA, fa sapere all'ammiraglio Conway qualcosa di terribile. Il sisma, simulando un attacco nucleare, farà scattare in automatico il sistema missilistico americano, facendo partire l'intero arsenale nucleare. Come reazione, una volta che i missili colpiranno l'Unione Sovietica, partirà a sua volta l'intero arsenale nucleare russo, portando all'Armageddon. Il punto è che la base di Palmer Station, fa sapere Carter, è stata inclusa tra i bersagli dai sovietici, essendo creduta una base missilistica. Scatta l'allarme generale. L'unica speranza è che qualche volontario si imbarchi sul Nereide, vada a Washington e disinneschi il meccanismo di risposta automatica. Per la missione si offrono Carter e Yoshizumi, che partono subito. Dato che le possibilità di riuscita sono scarse, le donne e parte del personale di Palmer Station si imbarcano su una nave rompighiacci destinata a raggiungere la Terra del Fuoco. Mentre il sottomarino viaggia verso l'America, il medico di bordo fa un'eccezionale scoperta. Il virus MM88, sottoposto alle radiazioni del reattore nucleare, si inattiva e permette la sintesi di un vaccino. Il compito di Carter e di Yoshizumi è ancor più gravoso: dovranno iniettarsi il vaccino per sperimentarlo sulla propria pelle, senza alcuna garanzia. L'esperimento riesce. Arrivati nel bunker nucleare, i due uomini stanno per disattivare il meccanismo di difesa nucleare automatica, quando una formidabile scossa di terremoto distrugge la base. Carter muore sul colpo e i missili partono. A questo punto si capisce che Yoshizumi è il giapponese coperto di stracci che trova gli scheletri nella cappella di Machu Picchu, essendovi giunto da Washington, diretto verso la Terra del Fuoco!   

Recensione:

Purtroppo sembra che la pellicola di Fukasaku riesca a raccogliere soltanto recensioni negative. Assai numerose sono le persone che ne dicono peste e corna, al punto che si notano nel Web addirittura incitazioni al rogo. Questo linciaggio ha luogo in un'epoca in cui quasi nessuno ha idee originali, visto che una gran mole di lavori consiste in squallidi rifacimenti e in simile immondizia. Quando qualcuno un'idea originale ce l'ha, come Ridley Scott ad esempio, gli mettono la corona di spine, lo frustano, gli fanno portare la croce sul Golgotha e ve lo inchiodano. Il produttore Haruki Kadokawa, già fondatore della Kadokawa Production Company, non lesinò sforzi per contrastare lo strapotere del cinema americano, che minacciava di annichilire le produzioni asiatiche ed europee. A un certo punto ebbe una grande visione e si convinse che una sola cosa poteva unire il mondo intero: il terrore dell'annientamento dell'umanità. Così acquistò i diritti del romanzo di Sakyō Komatsu, Fukkatsu no hi, allo scopo di trasfonderlo in un film. Il budget del progetto fu colossale, in assoluto il più grande mai impiegato nell'Arcipelago fino a quell'epoca. Eppure, nonostante questi ottimi auspici e l'ingente quantità di mezzi impiegati, il film fu un totale fallimento. 

Le radici del catastrofismo nipponico

La tragica sconfitta nella seconda guerra mondiale segnò per sempre l'anima del popolo giapponese. Fu tutto un susseguirsi di eventi apocalittici: i bombardamenti incendiari su Tokyo, le esplosioni atomiche su Hiroshima e Nagasaki. Poi qualcosa di ancor più destabilizzante: l'Imperatore Hirohito rinunciò alla propria divinità, la bandiera imperiale col sole rosso perse i suoi raggi. Il periodo postbellico fu caratterizzato dalla necessità di ricostruire il paese devastato. Non soltanto di ricostruirlo, a dire il vero, bensì di fargli riacquistare il posto dovuto tra le potenze industriali mondiali. Fu richiesto a tutti di lavorare in modo forsennato, oltre le naturali possibilità di un essere umano. Noi guardavamo al Sol Levante e ci stupivamo dell'omologazione dei suoi lavoratori, degli alberghi le cui stanze erano cubicoli, delle aziende che procuravano persino la moglie ai dipendenti. Guardavamo, facevamo di tale realtà l'argomento di sketch grossolani, ma non capivamo la tragedia sottostante. Migliaia e migliaia di giovani morivano già allora di karoshi (ka "eccesso" + "lavoro" + shi "morte"), soltanto che la parola non la conosceva ancora nessuno. La vita era per quegli infelici come un dente cariato, come un cancro alle ossa. Insopportabile. Per il giapponese, l'Onore è tutto. La società è un insieme complesso di gerarchie rigidissime, in cui l'individuo soccombe davanti alla necessità e a convenzioni che noi non siamo nemmeno capaci di immaginare. Non è possibile alcuna via di fuga da questo peso spaventoso, se non il suicidio etico. Una via d'uscita che richiede eroismo e che non è da tutti. Così matura l'anelito a una soluzione che ponga termine allo strazio dell'esistenza annientando il mondo intero. Un deus ex machina che porti la Liberazione. Questo può essere un cataclisma geologico, come nel film Pianeta Terra: anno zero (di Shirō Moritani, 1973), che inizia a disgregare la spina dorsale del mondo, il Giappone, per poi condannare allo stesso fato tutti i continenti (non sarà poi un caso se il film di Moritani è stato tratto da un romanzo di Komatsu, proprio come Virus). Il deus ex machina può anche essere la contaminazione nucleare con tutte le sue inattese conseguenze: ecco così formarsi un mostro come Godzilla (in giapponese Gojira), che in inglese sembra quasi un "God Zilla". Se ci pensiamo, a salvare può essere qualsiasi cosa, purché non lasci speranza, almeno a lungo termine. Nel film di Fukasaku vediamo un insieme di cause della catastrofe finale. Un patogeno nato da tentativi di produrre un'arma biologica, che sintetizza lo strumento definitivo di morte. Il conflitto termonucleare, anche se scatenatosi in modo automatico, a causa della furia degli elementi. Infine, le scarse risorse genetiche della comunità superstite. 

Catastrofismo nipponico
e catastrofismo americano
 

Le genti del Giappone non credono nel Principio Antropico, proprio come non ci credo io. Non hanno alcun concetto di un Dio onnipotente e onnisciente, creatore di tutto ciò che esiste. Non hanno alcuna idea chiara e definita sull'oltretomba, anzi, non credono affatto che l'essere umano abbia in sé un principio in grado di sopravvivere alla morte. In poche parole, non esiste nulla in comune tra il Giappone e gli Stati Uniti d'America a livello di antropologia, di filosofia e di credenze religiose. Questo abissale divario si ripercuote, com'è ovvio, anche nel modo di intendere la catastrofe. Non nego affatto l'esistenza di menti eccelse tra le genti d'America, capaci di concepire cose che all'uomo comune sfuggono e di costruire scenari raggelanti senza via d'uscita. Né vado affermando che ogni film americano debba per forza avere lieto fine. Tuttavia, va detto che l'uomo medio americano ha un concetto piuttosto puerile: non può davvero concepire la fine del genere umano, perché l'unica cosa che può turbarlo è soltanto la minaccia dell'annientamento. L'immaginario dell'Homo americanus popola il pianeta di eroi in grado di rintuzzare ogni irrompere del Caos, restaurando la società normale composta da individui normali, che costituiscono famiglie normali facendo sesso in modo normale, cagando da vagine normali mocciosi normali destinati a diventare altri omiciattoli normali capaci soltanto di avere pensieri normali. Ecco quindi che sorge Capitan America, campione dei normali e affetto da proctofobia, quasi una versione imberbe e cristianizzata del Thor dei Vichinghi, sempre pronto a combattere per respingere i Giganti nei loro abissi, per far tornare sulla Terra il regno della torta di mele, del cane di nome Bill e della messa domenicale! Date queste premesse, si capisce facilmente come mai il pubblico americano non abbia affatto apprezzato un film come Virus, che è stato proiettato soltanto in un piccolo numero di cinema degli States, avendo suscitato reazioni furiose. La pellicola è quindi stata venduta alle televisioni via cavo, subendo pesantissimi tagli.    

La biologia della violenza sessuale

Fukasaku tratta un tema che non cessa di presentarsi a dir poco problematico, in Occidente quanto in Oriente: lo stupro. Solo parlare di questo argomento genera tuttora discussioni furibonde che non portano da nessuna parte, dato che imperano storture ideologiche di ogni tipo che impediscono la comprensione dell'origine del fenomeno. I settari psicologi non sono in grado di capire cos'è la violenza sessuale e quale sia il modo di porvi un freno. Eppure la spiegazione non è troppo difficile. Lo stupro non è un fatto socio-culturale, come continuano a ripetere le fanatiche femministe nei loro sproloqui. Sapete cos'è invece? È sistema limbico. È impulso rettiliano. Infatti le lucertole, che hanno solo il sistema limbico e sono sprovviste di neocorteccia, non possono trattenersi in alcun modo: ogni atto sessuale è per loro violento. Il maschio morde l'addome della femmina, la trattiene in questo modo mentre le inietta nella cloaca uno dei suoi due peni. Si capisce una cosa: gli stupratori sono individui in cui il sistema limbico azzera la neocorteccia e ne elude i meccanismi di controllo. Non esiste quindi alcuna misura politica, sociale o culturale che possa cancellare tale impulso. In un contesto come il nostro, l'unico sistema - seppur palliativo - sarebbe applicare supplizi atrocissimi, come quelli che si usavano nel medioevo, con finalità di deterrenza. Molto più difficile è pensare a una soluzione quando ci sono solo 8 donne su 855 uomini, a meno che non riesca a convertire all'omosessualità il maggior numero possibile di maschi. Fukasaku associa l'emergere dello stupro in condizioni estreme, quando la sopravvivenza della specie umana è a rischio, all'evoluzionismo di Darwin. Per quanto l'atto in sé sia ripugnante e abbia effetti devastanti, ha come fine la sola cosa che alla Natura interessa: la continuazione del genere umano. Se devo essere sincero, penso che un cicchetto di acido cianidrico a testa, col suo buon profumo di mandorla amara, sarebbe un rimedio molto più efficace a ogni sommovimento del genoma.

Progenie rachitica

Se a un'occhiata superficiale può apparire che il finale del film lasci qualche speranza, analizzando bene il problema si capisce che per i coloni antartici non c'è futuro di sorta, né in Terra del Fuoco o altrove. Immaginiamo anche che tutte le otto donne superstiti dell'umanità riescano ciascuna a sfornare una decina di macchinette urlanti e smerdanti. Immaginiamo che metà di questi mostriciattoli siano di sesso femminile. Sarebbero circa quaranta bambine, costrette a copulare con gli adulti appena giunta l'età del menarca, in un inferno di pedofilia e di incesto. In realtà, un conflitto termonucleare globale porterebbe contaminanti radioattivi dovunque, su tutto il globo, rendendo gli uteri delle sopravvissute ben poco fecondi. Se poi si considerano le mutazioni genetiche deleterie, si vede bene che la situazione, già drammatica con donne in salute e in grado di procreare bambini sani, sarebbe compromessa in modo irrimediabile. Si dimostra quindi, a partire dalla biologia e da quanto conosciamo, che l'epilogo descritto da Fukasaku è uno solo: l'Estinzione. Con ogni probabilità, il titolo Fukkatsu no hi, ossia "Il giorno della resurrezione", è da ritenersi ironico.