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mercoledì 15 settembre 2021

ETIMOLOGIA LONGOBARDA DI GUITTO E DELL'ANTROPONIMO GUITTONE

Negli anni della mia gioventù, ero convinto che la parola guitto fosse derivata dalla stessa radice germanica dell'inglese wit "detto sagace", "motto di spirito". Nonostante la sua grande bellezza, questa ipotesi si rivelò presto del tutto fallace. In estrema sintesi, i fatti sono questi:
 
1) Se ammettiamo l'etimo di cui sopra, la parola non può essere genuinamente longobarda, dato che manca della Seconda Rotazione Consonantica, che l'avrebbe resa *guizzo
2) Il termine "guitto" non aveva un tempo il suo significato attuale di "attorucolo": indicava piuttosto il vagabondo, inteso come "individuo inutile e sudicio". In toscano la parola è tuttora usata come aggettivo col significato di "meschino, misero, povero" e anche di "avaro, gretto", "squallido"
 
Vediamo ora di ingegnarci a chiarire l'origine della parola in esame, combattendo contro difficoltà di ogni genere pur di tirarla fuori dal pantano etimologico in cui sembra sprofondata. 
 
I guitti, cittadini di Guittalemme

Chi si ricorda di Erminio Macario? Certamente tra i Millennials, e ancor più tra la Z Generation, nessuno ha la benché minima idea dell'esistenza di questo personaggio, che iniziò la sua carriera come "comico grottesco". Ricordo che in un documentario, visto molti anni fa, si parlava della formazione giovanile di Macario a Guittalemme. Il toponimo Guittalemme stava a indicare una fantomatica città popolata dai guitti, forse addirittura il luogo d'origine di tutti i guitti. La formazione del toponimo immaginario è ben chiara: la radice è la parola guitto "attore vagabondo", mentre il suffissoide -lemme, interpretato popolarmente come "città", è stato estratto dai toponimi di origine ebraica Gerusalemme e Betlemme. Ovviamente si tratta di un procedimento abusivo e infondato, la cui causa è l'ignoranza della lingua ebraica. Infatti Gerusalemme è da יְרוּשָׁלַיִם Yerushalayim, tradizionalmente interpretato come "Fondazione di Pace", nonostante -ayim abbia l'aspetto di un suffisso duale fossilizzato; invece Betlemme è da בֵּית לֶחֶם Beth Lechem "Casa del Pane" (לֶחֶם lechem significa "pane"). Nel documentario su Macario si parlava delle "guittate", trovate da attorucoli privi di mezzi. Due esempi di guittate: salire sul palco con residui del trucco dello spettacolo precedente; simulare il passaggio dei soldati pestando ritmicamente dei manici di scopa sul pavimento dietro un tendone, da cui emergeva solo la paglia delle ramazze, che dovevano far venire in mente agli spettatori una fila di copricapi militari. Riporto a pubblica edificazione questi frammenti di memorie di un mondo perduto.
 
Alcune etimologie tradizionali 

Ipotesi catalana: 
Il Michaelis, citato nel Dizionario Etimologico Online, propone l'origine della parola guitto dall'aragonese e catalano guit, guito "cattivo, sfrenato, indocile", che a quanto pare sarebbe stato detto soprattutto dei muli - quegli equini caparbi, dotati di smisurato priapo e scorreggioni, che in preda a crisi convulsive tirano calci a destra e a manca. Così una mula guita significa "una mula recalcitrante". Il Diccionari de la llengua catalana glossa guit con "Que acostuma a tirar guitzes", ossia "che è solito tirare calci". In aragonese e in catanano, dalla stessa radice sarebbe derivato anche guiton "vagabondo, ozioso, mendico". Per quanto riguarda l'origine ultima, nel Dizionario Etimologico Online è indicato il basco gaitz "cattivo", cosa impossibile già soltanto per motivi di fonetica. Altre proposte etimologiche riportate in quella fonte sono ancora più stravaganti e implausibili (gallese gwid "vizio"; latino vietus "floscio, marcescente").   


Si nota che il catalano guit, guito, è pronunciato con un'occlusiva velare semplice e senza -u-, e tale era anche in epoca medievale, tanto che in italiano sarebbe stato adattato come *ghitto. In spagnolo esiste una variante güito "indocile" (detto di animale), pronunciato /'gwito/. Tuttavia proprio questa peculiarità fonetica della parola spagnola fa pensare che si tratti piuttosto di un prestito dall'italiano. Tutte le forme citate, aragonesi, spagnole e catalane, sono a parer mio prestiti dall'italiano guitto: il flusso è proprio l'inverso di quello descritto dai romanisti. 

Ipotesi olandese: 
Il Vocabolario Treccani sostiene l'origine della parola guitto dall'olandese guit "briccone, furfante". Com'è costume dei romanisti, nessuno sembra preoccuparsi minimamente di fornire una traccia etimologica in grado di spiegare la voce olandese.


Si deve ricorrere a fonti più aggiornate e decenti. Nel Wiktionary in inglese, si trova quanto segue: guit deriva dal medio olandese guyte, di origine incerta e probabilmente connesso con ghoiten "rimproverare" e con guiten, guten "prendere in giro, schernire". Possibili paralleli in altre lingue germaniche sono: norreno gauta "parlare molto" e antico alto tedesco gauzen "insultare con un nomignolo". Un problema di non poco conto è la pronuncia stessa della parola olandese, che ha un dittongo discendente /œy/, con l'accento sulla prima vocale: /γœyt/. Il dittongo era discendente anche in epoca medievale, per sua derivazione da un dittongo protogermanico. I romanisti hanno dato per scontato che la pronuncia fosse */gwit/, con un dittongo ascendente. In pratica, hanno ciccato! La parola del medio olandese non avrebbe mai potuto dare guitto in toscano. 


Per quanto riguarda la semantica, la somiglianza è abbastanza notevole, ma questo conta assai poco. Che una provenienza olandese della parola fosse abbastanza improbabile, è facile da capire.

L'antroponimo Guittone 
 
Nel XIII secolo esisteva in Toscana l'antroponimo Guittone, chiaramente derivato da guitto. Ci è ben noto Guittone d'Arezzo (Santa Firmina, 1230/1235 - Firenze, 1294). Aveva moglie e figli ed era libidinosissimo, poi ebbe una crisi religiosa e divenne un fratacchione... gaudente! Di lui si ricorderà certamente la poesia immortale "Stavasi un eremita in Poggibonsi"... 😀 Il nomen omen è una realtà!
 
La vera etimologia 
 
Si deve evitare il marasma, visto che in questo caso specifico esiste modo di farlo. Presento dunque la sorgente etimologica a cui bisogna fare riferimento. 
 
Proto-germanico:  *wiχtiz "essenza, essere; cosa, creatura" (genere: femminile). 

Singolare 

nominativo: *wiχtiz 
genitivo: *wiχtīz 
dativo: *wiχtī
accusativo: *wiχtin 
vocativo: *wiχti 
strumentale: *wiχtī
 
Plurale
 
nominativo: *wiχtīz
genitivo: *wiχtijōn
dativo: *wiχtimaz
accusativo: *wiχtinz 
vocativo: *wiχtīz
strumentale: *wiχtimiz

Discendenti (l'elenco non è esaustivo e non riporta tutte le varianti ortografiche): 

Gotico: waihts "cosa"
Norreno: véttr, vætr "creatura, specie di gnomo"
Antico inglese: wiht, uht "cosa" 
  Medio inglese: wight "creatura, cosa; persona; mostro; 
     piccola quantità" (pl. wightes
  Inglese moderno: wight "creatura, entità", whit "piccola 
    quantità" 
Antico olandese: wiht "creatura; bambino; ragazza"
  Medio olandese: wicht, wecht "creatura; bambino;
      ragazza"  
   Olandese moderno: wicht "creatura; bambino; ragazza"
Antico sassone: wiht (f.) "creatura, cosa; persona"
Antico alto tedesco: wiht "creatura; cosa"
  Medio alto tedesco: wicht "creatura; cosa" 
  Tedesco moderno: Wicht "piccola creatura; nano"
 
Esiste anche una variante i cui esiti non sono sempre facili da distinguere, specialmente nelle lingue moderne. Eccola: 
 
Proto-germanico *wiχtan "cosa; creatura" (genere: neutro).  

Singolare 

nominativo: *wiχtan
genitivo: *wiχtas, *wiχtis  
dativo: *wiχtai
accusativo: *wiχtan
vocativo: *wiχtan  
strumentale: *wiχtō
 
Plurale
 
nominativo: *wiχtō
genitivo: *wiχtōn
dativo: *wiχtamaz
accusativo: *wiχtō 
vocativo: *wiχtō
strumentale: *wiχtamiz
 
Discendenti (l'elenco non è esaustivo e non riporta tutte le varianti ortografiche): 
 
Gotico: ni waiht "nulla" 
Antico inglese: wiht "creatura, cosa";
     āwiht "qualcosa";
     nāwiht, nōwiht "niente"
  Medio inglese: wight "creatura, cosa, persona; mostro; 
     piccola quantità" (pl. wighten);  
     ought "qualcosa";
     naht, noht, noght, naght, naught "niente"
  Inglese moderno: wight "creatura, entità";
     nought
, naught "niente", not "non"
Antico olandese: wiht "creatura; bambino; ragazza"; 
      niewiht, nuwieht, niuweht "niente" 
  Medio olandese: wicht, wecht "creatura; bambino;
      ragazza"; 
      niwet, nit, niet "niente"  
   Olandese moderno: wicht "creatura; bambino; ragazza";
      niet "non", "no"
Antico sassone: wiht (n.) "creatura, cosa, persona"; 
     neowiht, niowiht, nieht "niente"  
   Medio basso tedesco: wicht, wucht (n.) "cosa"
Antico alto tedesco: wiht (m., n.) "creatura; cosa";
      niowiht "non"
  Medio alto tedesco: wicht "creatura; cosa"; 
     niuweht, nieweht, niht, nit "niente, nessuno; non"
  Tedesco moderno: Wicht "piccola creatura; nano";
      nicht "non"
 
A questo punto è chiarissima l'origine longobarda di guitto e di Guittone
 
Longobardo ricostruito: 
  GUICT "creatura, cosa"; "buono a nulla, vagabondo"; 
  NIGUECT, NEIGUECT, NAIGUECT "niente".
Il pronome indefinito ha lasciato importanti esiti in alcuni dialetti gallo-italici della Lombardia: milanese nigòtt "niente", brianzolo nigòtt, nagòtt "niente"; in bergamasco ho sentito vergòt, ergòt "qualcosa". 
 
Non ho dubbi sul fatto che il catalano guit provenga da una forma germanica, la stessa che troviamo nell'antico alto tedesco wiht. Si potrebbe pensare che l'origine sia nella lingua dei Franchi. Tuttavia si nota che non risulta un esito di questa radice passato al francese o al provenzale. Potrei sbagliarmi, ma se esistesse, i romanisti lo avrebbero già usato come fonte etimologica. Non credo che i Franchi avessero potere in Catalogna. Non può trattarsi di una parola del germanico orientale a causa del vocalismo. Resta un'unica soluzione: è provenuta dall'Italia. 
 
Conclusioni 
 
Con questo contributo ho fatto chiarezza su alcuni punti controversi. 
 
1) Ho dimostrato che l'italiano guitto non deriva dall'olandese guit
2) Ho dimostrato che l'italiano guitto non deriva dal catalano guit, essendo vero il contrario. 
3)  Ho enunciato l'origine longobarda dell'italiano guitto e dell'antroponimo Guittone.

giovedì 9 settembre 2021

IL MARCHESE, NOME VOLGARE DEL MESTRUO: MITI E FALSE ETIMOLOGIE

Quando ero al liceo, mi capitò più volte di sentire una strana designazione del mestruo: il nome per indicarlo era marchese. Mi sono chiesto spesso quale ne fosse la vera etimologia. Non trovando alcuna risposta, salvo la possibile connessione col verbo marcare, la cosa è caduta nel dimenticatoio. Solo in epoca più recente mi sono di nuovo interessato alla questione e ho fatto qualche ricerca nel Web. Ovviamente ho constatato che impazzano le etimologie popolari e i miti infondati. Sull'oscenissimo social Quora mi sono imbattuto in alcuni vani tentativi di spiegazione di questa parola colloquiale. Ecco la fatidica domanda degli utenti, posta un paio di volte: "Perché al sud il ciclo mestruale veniva chiamato il marchese?", "Cosa significa “mi è venuto il marchese”? Cosa c’entra il marchese con le mestruazioni?"

 
 
Premesso che il marchese è detto così al Sud come al Nord, riporto in questa sede le più significative risposte alla domanda quorana. 
 
Questo è il commento di Domenico Bagnato (ho conservato refusi e spazi): 
 
L’ origine di questa espressione è molto semplice: i marchesi erano soliti indossare delle vestiti lunghi di colore rosso vivo per distinguersi dal popolo e sottolineare il loro rango nobiliare. C’è un rimando, dunque, al colore rosso. Oggi questo modo di dire è abbastanza inusuale, anche se ce ne sono tantissimi per denominare le mestruazioni: “ho le mie cose”, “sono in quei giorni”, “avere le regole”, “è arrivata la zia” e tante altre che cambiano anche da regione e regione.
 
Niki Hofer Chiavegato ha commentato così: 

Semplicemente perché era un modo di comunicare tra donne, madri nonne e figlie, per non farsi comprendere dai loro coetanei giovani.
 
"È arrivato il marchese? Si o no?"
 
I nobili dei secoli scorsi indossavano sottovesti di porpora, per distinguersi dai plebei in mutandoni e pezze. 
 
Dunque il colore rosso di tali ricche vesti veniva usato come parafrasi semplice ed elegante per indicare la prima mestruazione che "doveva arrivare"

Più stringato, Gabriele Calvillo ha scritto: 

Perche il sanguinamento e' anche detto marcatura. E popolarmente e' uscito il Marchese…

Alessandro Caccaviello insiste sul fantomatico rosso delle vesti dei marchesi: 
 
Effettivamente è un qualcosa di molto simpatico. Ti spiego, è un semplice richiamo al colore Rosso vivo degli abiti lunghi che i marchesi indossavano per distinguersi dalla popolazione comune (l'abito non fa il monaco ma in questo caso lo differenzia ).

Katia Balzano ripete la stessa versione: 

I marchesi indossavano delle palandrane (veste lunga e ampia da camera) di colore rosso vivo per distinguersi dal popolo e far capire chiaramente la loro nobilita rispetto alla plebe. Il nome deriva da questo

Paolo Memo elabora la leggenda, trovando parallelismi basati sul colore del sangue: 

Non solo a sud, anche al nord. È per via delle palandrane color rosso vivo che un tempo i marchesi indossavano. Altrove si parla de "gli inglesi" o "le giubbe rosse". Più catastrofiche le espressioni "Mar Rosso" o "profondo rosso". Tra le varie espressioni "le regole", "le mie cose", "quei giorni", "gli ospiti"… In questa pagina altre creative, divertenti od anche poetiche definizioni

Livio Felix sembra un po' più originale:

Perché quando il Marchese latifondista del Sud Borbonico, visitava le sue campagne per le quali metteva dei braccianti, visitava anche la moglie del contadino, che, ovviamente in quei giorni, non era disponibile per il marito.

Decisamente più dettagliato è quanto scritto da Carlo Coppola, che pure non si distacca nella sostanza dalla favola della palandrana rossa: 
 
Una domanda divertente.
 
L'uso di citare "il marchese" per dire che sono arrivate le mestruazioni deriva dal fatto che i marchesi un tempo, come molti altri nobili, usavano mantelle di colore rosso porpora per distinguersi dal popolo.
 
In altri Paesi del mondo si usano altre e divertenti frasi.
 
In Russia si usa dire
"красная армия атакует" per esempio e cioè "sta attaccando l'armata rossa". :-) .
 
In Inghilterra si usa "arrivano le Giubbe Rosse" in riferimento alla tenuta rossa dell'esercito britannico imperiale.
 
In America "arriva la zia Rosy".
 
Anche se molto interessanti, le espressioni idiomatiche usate in Russia, Inghilterra e Stati Uniti non sono davvero una prova della veridicità dell'inveterata storiella del marchese dalla veste purpurea.

Capisaldi di una pseudoscienza

In sostanza, questo è il processo con cui si producono e si affermano le etimologie popolari: 

1) Si trova una curiosa parola sfugge all'analisi; 
2) Non si cerca alcun lavoro sull'argomento; 
3) Si costruisce ad hoc un racconto infondato atto a dare una spiegazione, prendendo spunto da un'assonanza;
4) Si conclude di aver trovato la vera etimologia; 
5) Si sostiene questa versione con furore fanatico; 
6) Si cerca con ogni mezzo, ingiuria inclusa, di mettere a tecere chiunque osi sostenere il contrario.

Il punto 2) è fondamentale, è la chiave di volta di tutte le fabbricazioni di questo genere: se ci fosse una ricerca, unita alle basi per comprendere i risultati, l'etimologia popolare non si formerebbe nemmeno. Quello che mi stupisce è proprio l'autoreferenzialità degli etimologi popolari. Non attingono allo scibile nella sua interezza. Attingono in modo esclusivo soltanto alle proprie conoscenze, limitate e distorte, come se fossero l'Universo. Spesso si tratta di un mucchietto di stronzate apprese a scuola da una maestrina con un cervello microscopico, mera ripetitrice pappagallesca di stronzate udite da altri.

La vera etimologia

Nel furbesco italiano, robusto e creativo gergo dei furfanti attestato già nel XVI secolo, la parola marchese significava semplicemente "mese" e non aveva speciali associazioni al mestruo. Nasceva dalla semplice alterazione della parola mese intercalando una sillaba. Questo era il calendario furbesco:

Marchese del lenzore "Gennaio"
Marchese del scaglioso "Febbraio"
Marchese del cervante "Marzo"
Marchese del cornuto "Aprile"
Marchese dei carnosi "Maggio"
Marchese del roverso "Giugno"
Marchese del possente "Luglio"
Marchese del cerchioso "Agosto"
Marchese della giusta "Settembre"
Marchese del tossegoso "Ottobre"
Marchese del frizzante "Novembre"
Marchese del ben nassuto "Dicembre"
Coda di drago "Dicembre"

L'Ouroboros rappresenta l'anno, definito anche serpente e bero (ossia "vipera").

Il furbesco, nato col preciso intento di rendere incomprensibili ai profani le conversazioni dei malavitosi, iniziò la sua decadenza agli inizi del XX secolo e finì con l'estinguersi. Tuttavia ha lasciato traccie indelebili nella lingua italiana colloquiale, come l'esempio del marchese dimostra in modo eloquente. Se il furbesco fosse conosciuto al di fuori di una ristrettissima cerchia di studiosi, non sarebbe stato necessario inventare il racconto grottesco dei nobiluomini vestiti di rosso che sarebbero andati in giro a ispezionare le donne, annusando ciò che trovavano tra le loro gambe. In conclusione, le etimologie popolari non appartengono davvero al dominio della linguistica, essendo puri e semplici pacchetti memetici in grado di autopropagarsi come i virus. 

venerdì 3 settembre 2021

IL MISTERO DELLA SCOMPARSA DEI CANI AMERICANI PRECOLOMBIANI

Quando è giunto il cane nelle Americhe? Non essendo un animale autoctono, il problema della comparsa di Canis lupus familiaris è strettamente collegato con quello dell'arrivo di Homo sapiens. Esistono inveterate controversie cronologiche a proposito del popolamento umano dalla Siberia all'Alaska attraverso la Beringia, un istmo sullo stretto di Bering che collegava la Siberia all'Alaska durante i periodi glaciali del Pleistocene: per tutto il XX secolo prevaleva la teoria che lo collocava a circa 14.000 anni fa, mentre in seguito si è cominciata a far strada l'idea che la comparsa degli umani moderni si debba retrodatare notevolmente, a 20.000 o addirittura a 60.000 anni fa. Il punto è che l'introduzione dei cani sembra essere molto più recente. I più antichi resti canini finora ritrovati nello Utah, nel sito di Danger Cave, sono stati datati tra il 9.000 e il 10.000 a.C.; si è potuto dimostrare che questi cani erano discendenti del lupo grigio eurasiatico (Canis lupus lupus). Le testimonianze archeologiche, storiche ed etnografiche dimostrano l'uso estensivo del cane per le più svariate funzioni, per la caccia e la difesa, per compagnia e trasporto. Protagonista di rituali religiosi e talvolta divinizzato, molto spesso ha soddisfatto le necessità alimentari delle genti, diventando prezioso cibo. 

 
Nella prefazione al seminale lavoro An Amerind Etymologycal Dictionary di Joseph H. Greenberg e Merritt Ruhlen (2007, versione 12), è riportato quanto segue:  

The archaeological record shows that between 13,000 BP and 11,000 BP there was suddenly a rapid extinction of numerous species of large animals, an extinction that is often attributed to the first appearance of humans in the Americas. These animals had never seen humans before and thus had no fear of them, to their detriment.
In addition, it is now believed that dogs were first domesticated in East Asia around 15,000 years ago (Wade 2006). Since the first Americans brought domesticated dogs with them they could not have left Asia before 15,000 BP or they would have had no dogs. It thus appears that the first entry into North America took place not long after the domestication of dogs. For unknown reasons all of these Asian dogs brought to America have gone extinct, replaced by European dogs who arrived much later. 
 
Come di consueto, riporto la traduzione per gli anglofobi non anglofoni: 

"La documentazione archeologica mostra che tra 13.000 e 11.000 anni fa si verificò improvvisamente una rapida estinzione di numerose specie di grandi animali, un'estinzione che viene spesso attribuita alla prima comparsa dell'uomo nelle Americhe. Questi animali non avevano mai visto gli esseri umani prima e quindi non ne avevano paura, a loro discapito.
Inoltre, si ritiene ora che i cani siano stati addomesticati per la prima volta nell’Asia orientale circa 15.000 anni fa (Wade 2006). Poiché i primi americani portarono con sé cani domestici, non avrebbero potuto lasciare l'Asia prima di 15.000 anni fa altrimenti non avrebbero avuto cani. Sembra quindi che il primo ingresso nel Nordamerica ebbe luogo non molto tempo dopo l'addomesticamento dei cani. Per ragioni sconosciute tutti questi cani asiatici portati in America si sono estinti, sostituiti dai cani europei arrivati ​​molto più tardi." 

Certe affermazioni contenute nel testo riportato lasciano un po' perplessi: è molto difficile credere che le tigri dai denti a sciabola fossero inoffensive come i Puffi soltanto perché non avevano mai visto un essere umano! Mi sembra ingenuo dire che i primi Americani non avrebbero avuto cani se fossero migrati dall'Asia in epoca antecedente a 15.000 anni fa. Il miglior amico dell'uomo sarebbe giunto in un secondo momento e il suo allevamento si sarebbe diffuso come qualsiasi innovazione tecnologica! Non c'è in questo nessuna contraddizione e la soluzione al problema rimarcato da Ruhlen è abbastanza ovvia, anche se i dettagli rimangono molto difficili da indagare. Evidentemente non c'è stata un'unica ondata migratoria dei primi Americani. Il cane domesticato è stato portato con sé da popolazioni che non furono le prime a mettere piede in tali masse continentali. Qualcosa di simile è accaduto in Australia, dove i primi abitanti dovettero affrontare una terribile megafauna di marsupiali (circa 65.000-50.000 anni fa), mentre i dingo furono importati molto tempo dopo come animali semidomestici, nel corso di un più recente movimento demico dall'India (circa 3.500 anni fa). 
 

Il cane nelle lingue del Nordamerica  
 
Greenberg e Ruhlen riconoscono tre diverse ondate di popolamento: una più antica, quella dei primi Americani, che avrebbero portato con sé l'antenato delle lingue amerindiane vere e proprie; una più recente, quella dei popoli Na-Dené, tra cui Navajo e Apache; una ancora più recente, quella connessa alla Cultura di Thule, che ha portato gli Inuit fino alla Groenlandia, restando limitata alle regioni artiche. Tutti i popoli della Mesoamerica e del Sudamerica sono discendenti della prima ondata. Tuttavia, se analizziamo le parole per indicare il cane in varie lingue nelle lingue risalenti all'ondata più antica, non emerge una protoforma comune. Molte protoforme di singole famiglie linguistiche potrebbero essere derivate da remote onomatopee. Altre denominazioni potrebbero provenire da linguaggi arbitrari creati dagli sciamani nel corso dei millenni, per la necessità di sostituire parole diventate tabù. Consapevole di non poter riportare in questa sede dati esaustivi, fornisco alcune informazioni significative sulle parole per indicare il cane in un certo numero di lingue del Nordamerica. 
 
1) I fase: si formano le lingue Amerindiane
 
Lingue Algonchine 
Proto-Algonchino: *aθemwa "cane" 
Abenaki: alemos "cane"
Arapaho: heʔ "cane"
Blackfoot: immitta, imitááwa "cane" 
Cheyenne: hotame, oeškeso "cane"
Cree: atim "cane" 
Fox: anemôha "cane"  
Gros Ventre: ot "cane" 
Massachusett: anùm "cane"
Miami: alemwa "cane" 
Micmac: lmu'j "cane"  
Ojibwe: animosh "cane" 
Ottawa: nim "cane" 
Potawatomi: numosh "cane"
Powhatan: atemos "cane"
Shawnee: wii'ši "cane"
 
Lingue Irochesi  
Proto-Irochese: *ki:ɹ "cane" 
Cayuga: so:wa:s "cane"
Cherokee: gitli "cane" 
Mohawk: é:rhar "cane"
Oneida: é:lhal "cane" 
Onondaga: ji:hah "cane"
Seneca: ji:yäh "cane" 
Tuscarora: chír, gís "cane" 
Wyandot: agnienon, yunyeno "cane" 
 
Lingue Muskogee   
Alabama: ifa "cane"
Chickasaw: ofi' "cane" 
Choctaw: ofi "cane" 
Creek: efv (pron. /'ɪfə/) "cane"
Koasati: ifa "cane" 

Lingue Caddo 
Arikara: xaátš "cane"
Caddo: dìitsi' "cane"
Pawnee: asakis "cane"
Wichita: kitsiya "cane"
 
Lingue Penuti (classificazione incerta)  
Chinook: kamuks "cane" 
Maidu: söm "cane" 
Miwok (Centrale): chuku "cane"
Miwok (Costa): hayuusa "cane"
Miwok (Sierra del Sud): haju "cane" 
Nez Percé: cíq'a·mqal "cane"
Wintu: suku "cane"
Yokuts (Choinimni): teejej "cane"
Yokuts (Chukchansi): teexa "cane" 
Yokuts (Yawelmani): huue "cane"     
 
Lingue Sioux
Proto-Sioux: *wašųke "cane" 
Crow: bishká "cane" 
Hidatsa: mashúga "cane" 
Assiniboine: šųga "cane" 
Dakota: šųka (shunka) "cane"
Lakota: šuŋka (shunka) "cane"; "cavallo"
Omaha: šąge "cane"
Osage: šǫke "cane" 
Chiwere (Iowa): šúnkeñi, shunkéñe "cane" 
Winnebago: šųųk "cane" 
Biloxi: acǫki, cǫki "cane" 
Ofo: atchûñki "cane"
Catawba: tansi "cane"
 
Lingue Hoka 
Achumawi: cahómaka "cane" 
Atsugewi: ho'ma "cane"
Chimariko: sitcela "cane" 
Chumash: huču "cane" 
Cochimi: ethat "cane" 
Esselen: canaco "cane" 
Karok: čišiih "cane" 
Kiliwa: that "cane"
Kumiai: hut "cane"
Maricopa: xatk "cane" 
Mohave: hatchoq "cane"  
Pomo: hayu "cane" 
Salinan: xutc "cane"
Seri: haxz "cane"
Shasta: 'á·psu "cane"
Yana: suusu "cane"  

Lingue Uto-Azteche del Nordamerica 
Comanche: sarii "cane"  
Soshone: sadee' "cane" 
Hopi: pòoko "cane" 
Paiute: toku "cane" (1) 
Cahuilla: 'áwal  "cane" 
Gabrielino: wushii' "cane"

(1) Sembra un prestito dall'inglese dog.
 
Lingue isolate del Nordamerica  
Beothuk: mammasamit "cane" 
Kutenai: halchin "cane"
Natchez: washkup "cane"
Timucua: efa "cane" (2)
Tonkawa: 'ekwan "cane"  
Tunica: sa "cane"
Zuni (Zuñi): watsida "cane" 
 
(2) Evidente prestito da una lingua Muskogee.

2) II fase: lingue Na-Dené 
Apache (Occidentale): góshé "cane"; łichánee "cane" 
Apache (Jicarilla): chííní "cane" 
Apache (Mescalero): chúúné "cane" 
Navajo: łééchąą'í (lha-cha-eh) "cane" 
Koyukon: łeek "cane" 
Tolowa: hlen "cane"
Tulutni: łi "cane" 
Wailaki: naat'i "cane"
Eyak: x̣ewa· "cane" 
Haida: xa "cane" (forma definita: xáay)
Tlingit: kyetl, keitl "cane" 
 
3) III fase: lingue Eschimo-Aleutine 
Proto-Eskimo: *qikmi- "cane"
Inuktituk: qimmiq "cane" 
Inupiaq: qipmiq "cane"; puŋŋūq "cane" (parola del
     linguaggio degli sciamani)
Yupik Siberiano: qikmik "cane"  
Yup'ik: qimugta "cane"
Sirenik: qepeneẋ "cane" 
Alutiiq: qiqmiq, piugta "cane" 
Inuinnaqtun: qinmiq "cane"  
Nunaviq: qimmiq "cane" 
Groenlandia Settentrionale: qimmiq "cane"
Groenlandia Occidentale: qimmeq "cane"
Groenlandia Orientale: qimmiq "cane"

La lingua aleuta ha sabaakaẋ "cane", un evidente prestito dal russo собака (sobaka) "cane". Non sono riuscito a reperire la parola nativa, che spero non sia andata perduta. 


 
La protolingua amerindiana ricostruita da Greenberg-Ruhlen è stata criticata in modo pesante, ma non è questa la sede per approfondire la questione. Il problema più grave e pressante è un altro. Lo sintetizzo in tre domande: 
1) Perché i cani americani precolombiani sarebbero scomparsi? 
2) Hanno lasciato qualche traccia genetica o sono stati completamente cancellati? 
3) Siamo poi così sicuri che tutti i loro lignaggi si siano estinti? 
 
Controversie sulla genetica
 
Un articolo molto interessante (Van Asch et al., 2013), presente nella National Library of Medicine, giunge a conclusioni in netto contrasto con l'idea della completa scomparsa degli antichi cani enunciata da Greenberg-Ruhlen. Si intitola Pre-Columbian origins of Native American dog breeds, with only limited replacement by European dogs, confirmed by mtDNA analysis, ossia "Le origini pre-colombiane delle razze canine dei Nativi americani, con solo una limitata sostituzioni da parte di cani europei, confermata dall'analisi del DNA mitocondriale". Questo  è il link:
 
 
Sono portato a dare grande credito al lavoro di Van Asch et alteri. Va detto che si ravvisano contraddizioni insanabili tra questo studio ed altri successivi. In particolare, l'articolo The evolutionary history of dogs in Americas, ossia "La storia evolutiva dei cani nelle Americhe" (Ní Leathlobhair et al., 2018), afferma che i cani precolombiani, con la sola eccezione di quelli della Cultura di Thule, sarebbero stati completamente sostituiti dai cani europei. Non solo: l'eredità principale lasciata dai cani scomparsi si ridurrebbe in buona sostanza a un tipo di tumore venereo trasmissibile. Gli autori giungono alla conclusione che i cani precolombiani avessero un marcatore genetico oggi completamente scomparso, il cui parente più prossimo si trova nelle razze di cani artici introdotti dagli Inuit - antenati dell'Alaskan Malamute, dell'Alaskan Husky e del Groenlandese. Questo è il link: 
 
 
Converrete che tutto questo alimenta una grande confusione. Va da sé che il lavoro di Van Asch e quello di Ní Leathlobhair appaiono incompatibili. Più si indaga, più cresce la nettissima impressione di non riuscire ad arrivare da nessuna parte. Tutti dicono di aver scansionato il genoma di cani attuali e di resti di cani antichi, confrontandone le sequenze cromosomiche. Tutti dicono di aver eseguito le analisi più approfondite e rigorose. Mi pare evidente che il problema non sia nei dati, che per loro natura sono quello che sono, bensì nella capacità di interpretarli. Non si è trovato finora un modello concettuale capace di rendere conto delle incongruenze emerse. Potrebbe anche esserci il sospetto che siano presenti dei bias cognitivi dovuti a contaminazioni ideologiche di qualche tipo. 
 
 
Lo strano caso del cane della Carolina
 
Particolarmente studiato è il caso del cane della Carolina (Carolina dog, detto anche yellow dog, yaller dog, American dingo, Dixie dingo). È un cane di media grandezza che somiglia molto a un dingo giallastro. Si trova talvolta allo stato selvatico nel Sud est degli Stati Uniti. Le prime documentazioni risalgono agli inizi del XX secolo: nel 1920 il naturalista americano Glover Morill Allen ha descritto l'animale, ipotizzandone l'origine antica dal cane asiatico primitivo. Un'origine almeno in parte precolombiana è stata ipotizzata anche in seguito (Brisbin, 1997). Sono state fatte analisi del DNA mitocondriale (Arora et al., 2013), i cui risultati sono i seguenti: 
 
1) 58% del mtDNA ha aplotipi in comune con tutti i cani (aplotipi universali);  
2) 5% del mtDNA ha aplotipi in comune con cani della Corea e del Giappone;
3) 37% del mtDNA ha un aplotipo unico, mai registrato prima.
 
Il cane della Carolina è stato analizzato anche nel già citato lavoro di Van Asch et alteri del 2013 e in un altro lavoro dello stesso anno: l'articolo di Jack Kitt, D.N.A. backs lore on pre-columbian dogs
Anche Ní Leothobhair et alteri hanno analizzato materiale genetico del cane della Carolina, trovando il 33% di lignaggio precolombiano. Avendo assunto come dogma l'estinzione completa dei cani precolombiani, questi autori sono giunti a un'incredibile conclusione: il cane della Carolina potrebbe derivare da incroci moderni con cani artici. A tanto può giungere la pervicacia estrema dell'ideologia, a negare l'evidenza stessa dei fatti, anche a rischio di contraddirsi! 
 
Il cruciale problema degli ibridi

Un'idea a mio avviso molto proficua riconduce la peculiarità del genoma dei cani precolombiani ad antichissime pratiche di ibridazioni del cane di origine asiatica con i lupi americani (diverse sottospecie) e con il coyote (Canis latrans). Nel sito di Arroyo Hondo Pueblo, in Nuovo Messico, sono stati trovati resti che provano l'uso di coyote addomesticati, risalenti al XIV secolo d.C. (Monagle et al., 2018). Presso gli Hare del Canada era allevato un cane peculiare, che era con ogni probabilità un ibrido col coyote o addirittura un coyote addomesticato. Il suo manto era bianco e bruno. Era utilizzato come cane da caccia. Incroci di questo genere non sono sconosciuti nemmeno nel mondo contemporaneo: nell'inglese d'America li si indica con la parola coydog (un portmanteau di coyote e dog). Gli ibridi così ottenuti, di entrambi i sessi, sono fertili e possono essere allevati con successo per quattro generazioni (Young, 1978). Nel Messico precolombiano si hanno prove archeologiche dell'allevamento di canidi ibridi col coyote e col lupo messicano, Canis lupus baileyi (Valadez et al., 2006). Per qualche motivo, nel mondo accademico esiste una grande riluttanza ad ammettere la possibilità stessa dell'esistenza di contributi al genoma canino non provenienti da Canis lupus lupus, come se fosse una specie di dogma scientista anziché il risultato di una ricerca scientifica intellettualmente onesta. Qualsiasi studio che tocca questo tema è de facto scoraggiato e boicottato.
 
I cani in Mesoamerica e in Sudamerica 
 
Rispetto al Nordamerica, le cose si fanno ancora più complicate nella Mesoamerica e in Sudamerica. Il cane ha avuto un ruolo importante in tutte le grandi civiltà precolombiane sorte in quella che oggi è conosciuta come America latina. L'introduzione dei cani in Sudamerica dovette avvenire tra 7.500 e 4.500 anni fa (5.500 - 3.500 a.C.) nelle aree agricole delle Ande, irradiandosi in seguito anche in Amazzonia e nelle Pampas dell'Argentina. Il più antico reperto trovato finora in Brasile è stato datato al radiocarbonio e dovrebbe risalire a 1.700 - 1.500 anni fa. Non conosco nemmeno un caso di un popolo amerindiano delle più impervie regioni, che fosse talmente isolato da ignorare l'esistenza e l'uso dei cani. Passiamo in rassegna alcuni casi a mio avviso molto interessanti.  
 

I cani glabri degli Aztechi 

In Nāhuatl esistono due parole per indicare il cane. La prima è chichi (plurale chichimeh). La seconda è itzcuintli (plurale itzcuintin) Non sono differenziate per genere: il cane non è distinto dalla cagna. La glossa spagnola per queste parole è "perro o perra" (Alonso de Molina, 1555, 1571). Forse sarebbe meglio tradurre itzcuintli con "segugio", perché indicava soprattutto un cane da caccia e da guardia, mentre il cane chiamato chichi era ingrassato e usato unicamente come cibo. Il tipo più comune di cane glabro da carne era il tlālchichi, il cui nome è derivato da tlālli "terra", chichi "cane", perché aveva le zampe molto corte. La carne più consumata dagli Aztechi era proprio quella di cane, considerata meno pregiata di quella di tacchino. Il segugio per eccellenza era chiamato xōloitzcuintli (xōlōitzcuintli). Il composto deriva dal teonimo Xōlotl, alla lettera "Servo", che indicava un dio creatore gemello di Quetzalcōātl. Connesso con la Stella del Mattino, Xōlotl era una sorta di psicopompo che aiutava le anime dei morti a discendere verso Mictlān, ossia l'Ade. 
Ancora oggi esiste in Messico una razza di cani glabri o a pelo corto chiamati in questo modo: la forma parzialmente ispanizzata del nome è xoloitzcuintle; una comune abbreviazione è xolo. In spagnolo si chiama anche perro pelón mexicano.
Il primo europeo a essere colpito dai cani messicani pingui e senza pelo fu proprio Hernán Cortés (1485 - 1547). Alcuni archeologi rimbecilliti mettono in dubbio le parole dell'avventuriero, senza tener conto che sono confermate da molti documenti in lingua Nāhuatl composti in epoca coloniale. Gli stessi Conquistadores furono grandissimi divoratori di cani glabri, tanto che li avviarono verso l'estinzione. Sempre sobrio nei suoi giudizi, Jacques Soustelle ci dice che a causa dell'introduzione del Cristianesimo, a un certo punto in Messico si perse l'abitudine di mangiare i cani. Sono più propenso a credere che il motivo sia stato la carenza di materia prima, dato che gli stessi Spagnoli non erano particolarmente schifiltosi a questo proposito.  

Lingue Uto-Azteche del Messico 
Cora: tzeuk "cane" 
Huichol: chɨ "cane" 
Opata: chúchi "cane" 
Papago (O'odham): gogs "cane" (pl. gogogs)
Pima: gogs "cane" (pl. gogogs)
Tarahumara: kochí "cane" 
Yaqui (Cáhita): chuu'u "cane" 
Nāhuatl classico: chichi, itzcuintli "cane" 
Pipil: pelu "cane" (3) 

(3) Evidente prestito dallo spagnolo perro
 
Non è facile ricostruire una protoforma plausibile. Potremmo ipotizzare qualcosa come *kjɨkji "cane", in ultima istanza di origine onomatopeica, sulla base del Nāhuatl, dell'Opata, dello Huichol e del Tarahumara, forse anche del Cora e dello Yaqui. A dir poco enigmatica è l'origine ultima di itzcuintli, che non sembra avere paralleli esterni. Una cosa davvero curiosa è il passaggio di questa parola allo spagnolo del Messico, dove escuincle è giunto a significare "bambino" e soprattutto "bambino di strada".   
 
I cani dei Maya 
 
Nelle lingue della famiglia Maya, che nulla hanno a che fare con quelle Uto-Azteche, la situazione è ancora più intricata: sembrano esserci radici diverse per sottogruppo. Sembra quasi che i cani domestici siano stati acquisiti dopo la divisione del proto-Maya in diversi rami. Come spesso accade, i dati archeologici non collimano con quelli linguistici. 
 
Lingue Maya 
Proto-Maya (Yucateco): *peek' "cane"
Proto-Maya (Centrale): *tz’iʔ "cane" 
Yucateco: peek' "cane" 
Maya Itza': pek' "cane"  
Lacandon: pek' "cane"  
Maya di Mopan: pek' "cane"
Tzeltal: tsit "cane"  
Tzotzil: tz'i' "cane" 
Achi: 'ij "cane"
Cakchiquel: tz'i' "cane" 
Quiché: tz'i' "cane" 
Chuj: tz'i' "cane"
Tojolabal: ts'i' "cane"  
Acateco: tx'i' "cane"
Mocho: ch'i' "cane" 
Aguacateco: tx'i' "cane"
Mam: tx'ya'n "cane" 
Ixil: tx'i' "cane"
Kekchí: tz'i' "cane"  
Pokomam: tz'i' "cane" 
Pocomchi: tz'i' "cane" 
Sacapulteco: tz'e' "cane"
Ch'ol: ts'i' "cane"
Ch'orti: tz'i' "cane"
Chontal di Tabasco: wichu' "cane"
Huasteco: pic'o' "cane"
Chicomucelteco: sul "cane"

Il nome del cane in Chicomucelteco è un prestito da una lingua Misumalpa: Sumu sulu "cane", Ulua solo "cane", Matagalpa sulo "cane", Rama sula, suli "animale".

 
Analisi genetica del chihuahua
e dello xoloitzcuintli: 
siamo a un punto morto? 

Ricordo che un navigatore su Quora aveva posto una domanda interessante sulle origini genetiche del chihuahua. Subito l'Idiozia Artificiale di quell'orrido social network ha assemblato una risposta dogmatica che non ammetteva repliche. Mostrava addirittura un grafico a torta con le componenti genetiche dell'infernale cagnolino grottesco, da cui emergeva la totale assenza di materiale precolombiano. L'autore arrivava addirittura a ipotizzare un'origine cinese del simpatico animaletto. Chiunque abbia un minimo di buonsenso noterà che il chihuahua somiglia molto al cane senza pelo che i gloriosi Aztechi chiamavano techichi. Il nome, alla lettera "cane di pietra", sembra un composto di tetl "pietra" e chichi "cane" - ma potrebbe anche trattarsi di un'etimologia popolare, visto che la semantica è tutt'altro che soddisfacente. Si potrebbe interpretare così: il techichi aveva una pelle tanto lucida e tesa da sembrare fatto di pietra liscia. Ci sono poi alcuni dettagli che non quadrano alla perfezione. Il techichi non aveva pelo, mentre il chihuahua, per quanto sia in genere a pelo corto, non può essere definito glabro. Inoltre il techichi era un cagnolino muto, mentre il chihuahua non lo è. I cihuahua fanno un baccano incredibile e sono molto aggressivi, tanto che affrontano con estremo coraggio cani di dimensioni molto maggiori alle loro. Ho visto chihuahua scagliarsi contro pastori tedeschi, senza provare il benché minimo cedimento. "Anche il più piccolo chihuahua ha il cuore di un lupo" (cit.).
Lo studio genetico di Von Asch ha invece confermato la presenza di una percentuale non trascurabile (circa il 3%) di materiale genetico precolombiano nel chihuahua. Le analisi fatte sullo xoloitzcuintli hanno confermato una percentuale simile (circa il 4%) di materiale genetico precolombiano. Si tratta di geni esclusivi dei cani anteriori all'arrivo di genti dall'Europa. In realtà la percentuale di materiale precolombiano sarà molto maggiore, visto che molte sequenze sono comuni a tutti i discendenti del lupo grigio europeo. Perché queste ovvietà quasi lapalissiane non vengono proclamate pubblicamente dal mondo accademico? 
 

Il cane e il giaguaro 
 
A quanto ne sappiamo, le genti Caribe non avevano un vocabolo specifico per indicare il cane: davano all'animale il nome del giaguaro. L'opinione di molti accademici è che il cane in origine fosse sconosciuto e che, essendoci bisogno di una parola per indicarlo, sia stata usata quella che designava un predatore ben più temibile. A mio avviso è più probabile che si trattasse di un tabù linguistico. Per qualche ragione superstiziosa, il cane non poteva essere nominato, quindi fu persa la memoria del suo nome originale. Questi sono i nomi del cane/giaguaro nei principali gruppi di lingue Caribe:   
 
Lingue Caribe 
Protoforme ricostruibili: 
   Proto-Caribe: *akôro "cane; giaguaro"
   Proto-Caribe: *kaikuti "cane; giaguaro" 
Gruppo Xingú: 
   Bakairí: aká "giaguaro" 
   Nahukwá: ikere "giaguaro" 
   Kuikutl: tonuriñe "giaguaro" 
   Kalapalo: turúgitiñe "giaguaro"
Gruppo Arára: 
  Arára: okoró "giaguaro" 
  Pariri: hogró "giaguaro" 
  Apingi: okori "giaguaro"  
Gruppo Carijona:  
  Guaque: kaikuchi "giaguaro"
  Carijona: kaikusi "giaguaro"
  Umáua: kaikudzyi "giaguaro" 
Gruppo Motilon: 
  Yupe: isóʔo "giaguaro"  
  Chaque: isó "giaguaro" 
  Macoa: ísho "giaguaro" 
  Maraca: e:sho "giaguaro"
  Iroca: esho "giaguaro"
Gruppo Tamanaco: 
  Tamanaco: akére "giaguaro"  
  Chayma: kocheiku "giaguaro" 
  Cumanagota: kozeiko "giaguaro" 
  Palenque: ekere "giaguaro"  
Gruppo Maquiritaré: 
  Decuána: máedo "giaguaro" 
  Yecuaná: maro "giaguaro" 
Gruppo Mapoyo: 
  Mapoyo: ékire "giaguaro" 
  Yauarána: hékele "giaguaro"
Gruppo Taurepán:
  Taurepán: kaikusé "giaguaro" 
  Arecuna: kaikusi "giaguaro" 
  Camaracoto: kakutse "giaguaro"
  Ingarico: kaikushi "giaguaro" 
  Acawai: kaikushi "giaguaro"  
Gruppo Macusi: 
  Purucoto: kaikudzé "giaguaro" 
  Wayumara: kaikushi "giaguaro" 
  Paraviyana: ekölé "giaguaro" 
  Zapará: ekelé "giaguaro" 
Gruppo Yauapery:  
  Yauapery: kokoshí "giaguaro" 
  Uaimiri: kúkúboi "giaguaro"
  Orixaná: ekeré "giaguaro"
Gruppo Waiwai: 
  Waiwai: yaypí "giaguaro"
  Parucoto: akeré "giaguaro"
Gruppo Chiquena: 
  Pauxi: uau "giaguaro" 
  Uayeué: maipuri "giaguaro" 
  Cachuena: kaikesú "giaguaro" 
  Mutuan: zyairú "giaguaro"
Gruppo Trio: 
   Trio: maipuri "giaguaro"
   Urucuyena: maipurí "giaguaro"
   Tliometesen: mashibuli "giaguaro"  
   Pianocoto: maipuri "giaguaro"
Gruppo Orientale: 
  Waiana: yauéri "giaguaro" (4)
  Urupui: yaueri "giaguaro" (4)
  Rucuyene: maipuri "giaguaro"
  Apalai: machipuri "giaguaro" 
Gruppo Occidentale: 
  Caraib: kahikushi "giaguaro" 
  Galibi: kaikusi "giaguaro" 
  Carif: gáigusi "giaguaro"  

(4) Prestito da una lingua Tupí.

Col passare del tempo, alcuni popoli di stirpe Caribe hanno cominciato a sentire l'esigenza di distinguere in modo chiaro il cane dal giaguaro, giungendo così a utilizzare nuovi vocaboli o locuzioni. Questi sono pochi esempi significativi: 
 
Carijona (Guaque): kaikuchi ekunu "cane"; kaikuchi
    anotona "giaguaro" 
Bakairí: ukodo "cane"; aká "giaguaro" 
Carib: pero "cane" (3); kaikusi "giaguaro"  

(3) Evidente prestito dallo spagnolo perro

 
I cani degli Incas

Il cane era ben noto agli Incas, che ne allevavano diverse razze, tra le quali una varietà senza pelo e un cane da pastore usato nell'allevamento dei due camelidi andini domestici, il lama e l'alpaca. Esistevano cani a muso lungo e a muso corto. Esisteva persino una razza simile al bassotto tedesco (Dachshund), oltre a una che ricordava il bulldog. Ovviamente si tratta di "convergenze evolutive". Ad occuparsi di questi antichi cani peruviani sono stati i seguenti studiosi: Tschudi (1844-1846), Nehring (1884), Reiss e Stubel (1880-1887), Gilmore (1950), Gallardo (1965). In epoca coloniale, il cronista di stirpe incaica Guamán Poma de Ayala (1534 - 1615) descrisse queste razze nelle sue opere.     

Varietà della lingua Quechua 
Proto-Quechua: *aʎqu "cane" 
Quechua classico: allqu "cane" 
  Cuzco: alqo, allqo "cane" 
  Ancash: allqo "cane" 
  Ayacucho: allqo "cane"  
  Cajamarca: allqo "cane"  
  Huanca:
  Huánuco: allqu "cane" 
  Imbabura: allku "cane"
  Incahuasi: allqu "cane" 
  Lamista: allku "cane" 
  Laraos: alqu "cane" 
  Quillcay: achcu, ashcu "cane"
  Santiago del Estero: allqo, ashqo "cane" 
 
Derivati 
  allqucha "cagnolino" 
  allquchay "burlarsi di qualcuno" 
  allqu china "cagna" (lett. "cane femmina")
  allqu isma "merda di cane" 
  allqu ispa "piscia di cane" 
  allqu kuru "verme di cane" 
  allquqa aychata achun "il cane porta via la carne" 
  hatun sach'a allqu "cane selvatico" 
 
Altre parole Quechua per indicare cani
Proto-Quechua: *ch'uli "cane da pastore"  
  Cuzco: ch'uli "cane da pastore"
  Ayacucho: chuli "cane da pastore"  
  Cochabamba: ch'uli "cane da pastore" 
Proto-Quechua: *phichu "cane" 
  Cuzco: phichu "cane" 
  Cochabamba: phichu "cane" 
  Santiago del Estero: pichu "cane"

Parole di sostrato 
  Ancash: chuschu "cagnolino" 
  Huanca: ashuti "cane"; pichi "cagnolino" 
  Lamista: kishki "cane"; kishichu "cagnolino"
      (parole amazzoniche)
  Santiago del Estero: kakchi, kaschi, kusku "cagnolino"
       (parole Kakán) 

Altre lingue parlate nell'Impero Inca 
Aymara: anu, anuqara "cane" 
Puquina: qomse "cane" 
Mochica: fanu "cane", biringo "cane senza pelo" 
Sechura: tono "cane"

Il cane pervuviano senza pelo è allevato ancora ai nostri giorni e si trova raffigurato su ceramiche di diverse culture preincaiche come Vicús, Mochica, Chancay, Chimú e Sicán. I nomi di questa razza in spagnolo sono i seguenti: perro calato, perro chimo, perro chimoc, perro chimú, perro de orquídea peruano, perro inca, perro peruano, perro peruano sin pelo, perro pila, perro sin pelo del Perú, perro sin pelo peruano, viringo. Il nome viringo, usato anche col senso di "nudo", è di origine Mochica. 
Il cane peruviano da pastore, denominato Chiribaya o perro pastor peruano (si ignora il suo vero nome), è attualmente estinto. A quanto pare aveva il pelo corto e giallastro. Sono stati trovati resti mummificati risalenti a circa 1.000 anni fa, che dimostrano l'esistenza di un suo culto.
Il cholo (Quechua: chulu) è descritto dal cronista Garcilaso de la Vega (1539 - 1616) come un cane non di razza, bensì bastardo e mordace. La parola è stata applicata anche ad esseri umani, per indicare i meticci nati da genitori europei e indigeni. Per ironia della sorte, proprio Garcilaso del la Vega fu uno dei primi meticci del Sudamerica. 
Attualmente la parola cholo (femminile chola) è usata nello spagnolo di diversi paesi dell'America latina, col significato di "meticcio", ma anche di "persona con tratti somatici degli indigeni". Infine esiste anche il senso di "gangster", particolarmente diffuso in Messico. Questo vocabolo si è diffuso dal Messico anche nell'inglese gergale degli Stati Uniti. La parola Quechua chulu "ibrido, bastardo", che prima della Conquista era applicata ad animali, non aveva distinzione di genere. Nella lingua dell'Inca non esisteva il concetto di genere grammaticale espresso tramite particolari desinenze: se proprio si vuone specificare che si tratta di una cagna, è necessario dire allqu china, alla lettera "cane femmina". Nelle attuali varità di Quechua si trovano forme femminili come chula, chola "meticcia", prese dallo spagnolo. 

 
Il caso dei cani della Terra del Fuoco
 
Nella Terra del Fuoco abitavano quattro notevolissime etnie: 
1) gli Shelk'nam, più noti come Ona; 
2) gli Haush, che chiamavano se stessi Manekenkn; 
2) gli Yámana, impropriamente chiamati anche Yahgan; 
3) gli Alakaluf, che chiamavano se stessi Kawesqar. 
Questi erano a quanto pare gli unici popoli della Terra i cui cani derivavano dal culpeo (Lycalopex culpaeus) e non dal lupo grigio euroasiatico (Canis lupus lupus).  
Questo tipo di cane, noto come cane fuegino (spagnolo perro fueguino o perro yagán), era chiamato wuisn (visne) /wisnʔ/ o šàhlki nella lingua degli Shelk'nam e yachala nella lingua degli Yamana. I Kawesqar settentrionali lo chiamavano kiurro (qyoro), mentre i Kawesqar centrali lo chiamavano chalki (salqhe). Per i Kawesqar meridionali è attestata la forma seloqhe. Ci è nota un'altra denominazione Kawesqar del cane, tshikouelé, la cui esatta attribuzione non è certa. 
Purtroppo non possiamo più accertare la verità. Gli Shelk'nam, trattati come immondizia dai coloni, soprattutto da quelli di origine scozzese, furono sterminati nel modo più aberrante e brutale. Cacciati come animali, avvelenati, distrutti dalle malattie importate, come il morbillo, finirono con l'estinguersi. Si nota che l'ostilità feroce nei confronti di questo popolo non risparmiava neppure i cani. Quando la popolazione di un villaggio veniva distrutta, anche i suoi cani venivano abbattuti senza pietà, in quanto considerati "brutti", "deformi", "innaturali". Erano tutti indegni pregiudizi: l'animale era di bell'aspetto, col manto bianco chiazzato di bruno. Sappiamo tuttavia per certo che esistono esemplari impagliati di cani fuegini; non è escluso che in futuro il loro materiale genetico possa essere estratto e studiato a fondo. 
La lingua degli Shelk'nam e quella degli Haush appartenevano alla famiglia Chon, tipica della Patagonia.   
 
Lingue Chon
Proto-Chon: *weʔačena "cane"
Tehuelche: wa(ʔ)čen "cane" 
   varianti attestate: uachen, vuachn, waachn, vuins 
   altre radici: kamhl "cane", shamehuen "cane" 
Teushen: wašna "cane" 
   varianti ortografiche: washna "cane"
   altre radici: jéljenoe "cane"
Shelk'nam: wisnʔ "cane" 
   varianti ortografiche: wuisn, visne, whiist, uéshn, etc.
   altre radici: hokrnó "segugio, cane corridore" 
   diminutivo: ská "cagnolino"  
Haush: wisna "cane" 
   varianti attestate: ishna "cane" 

Per approfondimenti, vedi Viegas-Barros (2006, 2015). In tutte le lingue della Terra del Fuoco, il nome del cane era ben distinto da quello del culpeo:  
 
Shelk'nam: wàhṣ "culpeo"
Kawesqar: kyúnčar "culpeo" 
Yamana: chiloe "culpeo"
 
 
Etimologia di culpeo  

Il nome culpeo ha la sua origine nella lingua Mapudungun, parlata dal fierissimo popolo cileno dei Mapuche, che un tempo erano conosciuti come Araucani. Questa è la forma originale della parola, trascritta nell'ortografia standard: 

külpew "culpeo" 
 
Probabilmente l'origine di questo zoonimo è da ricondursi a un vocabolo foneticamente simile: 
 
külpem "pazzo" 

Tradizionalmente i Mapuche considerano che il culpeo debba il suo nome alla parola che significa "pazzo", perché è un animale privo di paura, che non fugge dai cacciatori. Allo stato attuale delle mie conoscenze prendo per buona questa spiegazione, anche se potrebbe essere una semplice etimologia popolare. Moltissime parole Mapudungun sembrano derivate, tuttavia non si hanno elementi per ulteriori analisi. Un'altra possibilità è che sia piuttosto la parola che significa "pazzo" a derivare da quella che indica il culpeo. 
I Mapuche hanno sempre distinto in modo chiaro il culpeo dai loro cani, che erano tipicamente a pelo lungo. La parola Mapudungun per indicare il cane è trewa (thewa). Il cagnolino è invece chiamato kiltro.
Il culpeo è diffuso lungo tutta la cordigliera andina, arrivando fino in Colombia. In Quechua è chiamato atuq (atoq), parola tradotta comunemente con "volpe" (spagnolo zorro). In Aymara è chiamato qamaqi, atuqa o tiwula.

Una domanda angosciante:
il culpeo è coprofago? 

Si presenta un problema di non poco conto. Gli Shelk'nam avevano in sommo orrore la coprofagia, al punto che evitavano di mangiare la carne di animali mangiatori di escrementi umani. Quando i missionari cattolici portarono polli e maiali, dapprima gli Shelk'nam si rifiutavano di consumarne le carni, perché avevano visto tali bestie nell'atto di ingurgitare le feci delle persone. Quindi i casi sono due: 
1) Gli Shelk'nam non mangiavano la carne dei loro cani; 
2) I cani degli Shelk'nam, derivati dal culpeo, non erano coprofagi. 
Sappiamo che il culpeo è un carognaro, proprio come la volpe comune (Vulpes vulpes), con cui condivide numerose abitudini. Nel corso di una campagna di campionamenti sul campo, è stato scoperto che le volpi delle Highlands si cibano regolarmente delle feci dei cani (Lambin et al., 2018, 2019). Questo mi porta ad ipotizzare che anche il culpeo possa ingerire materia fecale. Sarebbe interessante poter disporre di maggiori informazioni.

Altri cani arcaici 

Esiste la concreta possibilità che prima dell'introduzione del cane derivato dal lupo grigio asiatico, esistessero nel meridione del Sudamerica cani di diversa origine, ottenuti dalla domesticazione di Dusicyon avus, un canide cerdocionino estinto in epoca abbastanza recente, circa 500 o 400 anni fa, secondo le stime più recenti (Prevosti et al., 2015). Quando furono esplorate le isole Falkland, vi fu trovata una specie endemica di canide che nell'aspetto ricordava un lupo. Questo animale, conosciuto come lupo delle Falkland, lupo antartico, lupo-volpe, volpe delle Falkland o volpe warrah, è stato studiato da Charles Darwin nel 1833, quando visitò le isole. Si è estinto qualche decennio dopo per via di una spietata persecuzione da parte dei Gauchos e dei pastori. È stato appurato che era proprio una sottospecie di Dusicyon avus. Gli è stato dato il nome scientifico di Dusicyon australis (Kerr 1792). Subito è sorto un problema: tale animale non sarebbe mai stato in grado di raggiungere e colonizzare le Falkland nuotando o giungendovi tramite tronchi flottanti. È stato ipotizzato che abbia utilizzato dei ponti di ghiaccio tra le Falkland e la terraferma, formatisi durante l'ultimo massimo glaciale (Austin et al. 2013). Questa è un'assurdità: l'animale non sarebbe riuscito a sopravvivere sull'arcipelago in condizioni tanto rigide. Doveva esservi stato portato più recentemente dagli esseri umani. Sono state poi trovate evidenze archeologiche dell'esistenza di una passata popolazione umana, estinta prima dell'arrivo degli europei; queste tracce sarebbero compatibili con la cultura degli Yámana (Hamley et al., 2021). Esiste quindi la probabilità che i lupi delle Falkland fossero semplicemente i discendenti dei cani di queste genti. Questo è il link all'interessantissimo articolo: 
 
 
 
I cani lanosi dei Chono  

I Chono, stanziati a nord delle isole dei Kawesqar fino all'isola di Chiloé, vivevano in condizioni di miseria estrema. Si cibavano di pesce, crostacei, molluschi e carne di mammiferi marini. Nonostante le temperature molto rigide, giravano quasi nudi. Le donne dovevano tuffarsi nelle acque per raccogliere il cibo. L'aspetto dei Chono era abbastanza inconsueto: avevano la pelle chiara ed erano comuni i capelli biondicci. Agli inizi del XVII secolo, nel corso di un loro viaggio, i due missionari gesuiti Melchor Venegas e Juan Bautista Ferrofino furono accolti dal cacique Talcapillán, che era un vero e proprio progressista. Aveva portato al suo popolo numerose innovazioni neolitiche. Praticava l'agricoltura: faceva crescere poche patate in un piccolo appezzamento. Queste patate venivano cucinate alla brace. Era riuscito a seminare anche del mais, che faceva molta fatica a crescere. Aveva poche pecora e alcuni grossi cani, che si distinguevano per una caratteristica: erano dotati di un pelo molto lungo, che serviva da lana per fare vestiti. Il cacique Talcapillán era un fautore della lingua dei Mapuche, che voleva far adottare alla sua gente: il suo stesso nome era Mapudungun e significava "Spirito del Tuono". Era anche un acceso sostenitore del Cristianesimo e non vedeva di buon occhio l'uso della droga: credeva che il Demonio operasse nelle cerimonie tradizionali e nella masticazione di foglie di coca importate. Patate, cereali, cani lanosi, una nuova lingua, una religione straniera, erano invece cose che lo entusiasmavano, proprio perché le percepiva come utili e moderne. Il problema è che la modernità porta con sé l'Oblio. Purtroppo non conosciamo il nome che i Chono davano al cane. Per approfondimenti si rimanda a Cárdenas (1991), Trivero Rivera (2005), Urbina Burgos (2007).   

Altre letture utili: