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mercoledì 6 ottobre 2021

UN RELITTO OSCO IN NAPOLETANO, SALERNITANO E LUCANO: ATTRUFE 'OTTOBRE'

Quando nel V secolo a.C. i Sanniti conquistarono la Campania, presero il nome degli Osci, detti anche Opici (trascritto in greco come ᾿Οπικοί), una precedente popolazione non sannitica che abitava da tempo immemorabile in quegli ameni luoghi. Da questa fusione etnica ebbe origine la sinonimia di osco e sannitico per indicare la lingua italica dei conquistatori, che prevalse su quella dei vinti. Tale lingua era ricca e complessa come quella di Roma e con essa strettamente imparentata - eppure diversa, più o meno come lo era il gallico. 

"Molte parole dialettali utilizzate nelle varie zone dell'Italia centro-meridionale presentano elementi di sostrato di derivazione osca" (Fonte: Wikipedia). 
Quanto riporta la famosa Enciplopedia corrisponde al vero. Tuttavia trovo che sia necessario approfondire l'argomento. Di affermazioni generiche è pieno il Web. Partiamo quindi da un esempio concreto e importante, di cui molti non avranno mai sentito parlare. Molti non sanno nemmeno che questa antica lingua italica sia mai esistita. Sono rimasto commosso leggendo il commento di una navigatrice che ammetteva di non aver mai sentito parlare della lingua osca. Memorie perdute. Occorre ripristinarle una per una e permettere a tutti l'accesso alle origini, che è stato per troppo tempo ostacolato e negato dal sistema scolastico. 
 
A Napoli la parola più genuina per dire "ottobre" è attrufe /at'trufə/ (varianti: attufre /at'tufrə/, ottrufe /ot'trufə/). Secondo alcuni si tratta di un vocabolo piuttosto antiquato, essendo la forma più comune uttombre /ut'tombrə/
A Salerno il mese di ottobre si chiama attrufe, pronunciato proprio come a Napoli. Alcuni lo trascrivono come attrufa o attrufo, ma il suono finale è lo stesso: una vocale indistinta /ə/, a cui i linguisti danno il nome di schwa
Si trova attrufë, attrufu "ottobre" anche in Basilicata, sempre con lo stesso suono finale indistinto.  
 
Si vede subito che il napoletano uttombre ha la stessa origine dell'italiano ottobre: deriva dal latino volgare octombre(m), una variante ben attestata di octobre(m), plasmata per analogia di septembre(m), novembre(m), decembre(m). Invece forme come attrufe non possono essere in alcun modo derivate dal latino. Proprio la presenza della consonante -f- le qualifica come pre-romane e giunte fino ai nostri tempi tramite una tradizione ininterrotta. 
La protoforma ricostruibile come antenato diretto di attrufe è il sannitico *ohtūfrim, al caso accusativo. Questa è la vera origine delle parole sopracitate degli attuali dialetti della Campania e della Basilicata. L'estensione del fenomeno non è certo casuale: gli antichi Lucani parlavano la stessa lingua dei Sanniti.
 
Il bello è che i romanisti non si sognano nemmeno di negare questi dati di fatto: li hanno riportati nelle loro opere da lungo tempo (esempi: Planta, 1897; Șăineanu, 1935; Lahti, 1935). Il problema è che non viene data alcuna risonanza a questa chiara sopravvivenza di una lingua pre-romana, indoeuropea e imparentata con il latino. Viene ritenuta un fatto marginale, a cui dedicare soltanto poche parole. Noi invece di importanza ne attribuiamo molta e ci spingiamo fino al punto di ricostruire l'intera declinazione della parola: 
 
Nominativo: *ohtūfer 
Genitivo: *ohtūfreis 
Dativo: *ohtūfrei 
Accusativo: *ohtūfrim 
Vocativo: *ohtūfer 
Ablativo: *ohtūfrīd  

Il tema indoeuropeo della protoforma di origine è chiaramente in -i-. Abbiamo poche attestazioni di sostantivi di questa classe nel materiale epigrafico. Uno di questi è senza dubbio *slāx, un vocabolo oscuro interpretabile come "confine", "territorio", attestato sul Cippo Abellano. Tecnicamente si tratta di un hapax. Trovo tale interpretazione ragionevole, anche se alcuni considerano questa parola "intraducibile" o "di significato sconosciuto". Queste sono le occorrenze su tale documento: 

sakaraklúm Herekleís [úp / slaagid púd íst ...
(linee 11-12, lato A)
"il tempio di Ercole che è sul confine ..."

pústin slagím / senateís suveís tangi-/núd tri/barakavúm lí/kítud
(linee 34-37, lato B)
"sia permesso costruire per decisione del senato di ogni (città) secondo il territorio'

avt anter slagím / A]bellanam íním Núvlanam
(linee 54-55, lato B)
"ma tra il territorio di Abellla e di Nola ..."  

í = e chiusa; i aperta
= dittongo ei chiuso
ú = o chiusa (breve); u (lunga)
av = dittongo au
úv = dittongo ou chiuso 
 
Questa è la declinazione ricostruita a partire dalle attestazioni: 

Nominativo: *slāx 
Genitivo: *slāgeis 
Dativo: *slāgei 
Accusativo: slāgim (scritto slagím
Vocativo: *slāx 
Ablativo: slāgīd (scritto slaagid

Per un'interessante trattazione di questo termine, completa di ipotesi su suoi paralleli in altre lingue indoeuropee, rimando senz'altro all'articolo di Brian D. Joseph (Università dell'Ohio, 1982), consultabile seguendo questo link: 

 
Sono convinto che potranno derivare abbondanti frutti dagli approfondimenti sulla morfologia e sul lessico delle lingue italiche. L'importante è non arrendersi all'Oblio e lavorare per riportare alla luce, frammento dopo frammento, ciò che ha fagocitato.  
 
L'enigma dello spagnolo octubre 
 
È stato ipotizzato che lo spagnolo octubre "ottobre" sia un prestito dall'italico, per via della decisa anomalia della vocale tonica -u-, in luogo dell'attesa -o-: in tale lingua normalmente il latino -ō- non dà -u- (Corominas-Pascual). Anche se l'idea pare a prima vista suggestiva, i problemi non mancano. Riporto qui una lista di esiti delle protoforme secondo diverse trafile ipotizzabili o realmente attestate. 
 
forma attesa dal latino volgare octōbre(m), octombre(m)
   ochobre (asturiano), *ochombre 
forma attesa dal latino dotto octōbrem
   *octobre 
forma attesa dall'osco *ohtūfrim
   *ochufre, *otufre 
   con sonorizzazione di -f-
   ochubre (antico spagnolo), otubre (aragonese) 
 
In tutti i casi siamo lontani dalla forma reale, octubre, che comprende in sé, in modo paradossale e inspiegabile, due caratteristiche contraddittorie: la vocale anomala -u- e il gruppo consonantico -ct-, tipico di un crudo latinismo. Tecnicamente parlando, si potrebbe dire che octubre è una forma semidotta. Si noterà che la stessa parola si trova anche in catalano, mentre in antico catalano era vuitubri, uitubri. Anche il portoghese e il galiziano hanno un esito con vocale -u-: outubro. Non sono riuscito a trovare una soluzione al problema e le lingue pre-romane dell'Iberia non sono di alcun aiuto.  

lunedì 4 ottobre 2021

UN RELITTO PALEOSARDO IN SARDO CAMPIDANESE: NEA 'AURORA'

Tra le più strane e interessanti parole sarde che mi sia capitato di incontrare, posso annoverare sicuramente il campidanese nea "aurora, alba". Come c'era da aspettarsi, il tentativo di spiegare questo vocabolo erratico ha fatto impazzire gli studiosi. 
 
Così il Salvioni: 
 
 
CAMPID. néa AURORA   
 
Non vedo altra via per dichiarar la voce, che di invocare ēōs, riconoscendo nel n un resto della preposizione in concresciuta, e nell' -a, un facile metaplasma.  
 
Una simile invocazione è più stupida degli escrementi di una mosca su uno specchio di un postribolo d'infimo ordine. 
 
Salvioni invoca addirittura il greco epico ἠώς (ēṓs) "aurora", nemmeno il greco attico ἕως (héōs). E come diavolo avrebbe fatto una forma antiquata e dotta come quella ad arrivare tra i pastori del Campidano? 
Questo è l'elenco degli esiti del proto-indoeuropeo *h₂éwsōs "aurora" negli antichi dialetti della lingua dell'Ellade.
 
Epico: ἠώς (ēṓs) 
    trascrizione IPA: /e:'o:s/
Attico: ἕως (héōs)
    trascrizione IPA: /'heo:s/
Eolico: αὔως (áuōs), ᾱ̓́ϝως ´wōs)
    trascrizione IPA: /'auo:s/, /'a:wo:s/
Dorico: ᾱ̓ώς (āṓs)
    trascrizione IPA: /a:'o:s/
Beotico: ᾱ̓́ας
´as)
    trascrizione IPA: /'a:as/
Laconico: ᾱ̓ϝώρ (āwṓr), αβώρ (abṓr)
    trascrizione IPA: /a:'wo:r/, /a:'bo:r/
 
Possiamo essere sicuri che nessuna di queste varianti avrebbe trovato la sua via nell'impervia Sardegna. I romanisti, quando si trovano davanti una voce che non deriva da una trafila di una protoforma latina, vanno in marasma, perché gli schemi che hanno appreso non riescono a sorreggerli. In queste condizioni critiche, troppo spesso proferiscono scemenze! 
 
Tra l'altro, all'epoca in cui le genti di Bisanzio avevano contatti con la Sardegna, l'antico nome dell'aurora era stato sostituito da un'altra parola, αὐγή (augḗ). 
 
αὐγή (augḗ) f. (genitivo αὐγῆς); prima declinazione 

 1. luce del sole
 2. raggi del sole (plurale)
 3. aurora, alba  
 4. luce splendente (come quella del fuoco)
 5. riflesso sulla superficie di oggetti splendenti 
 
In greco antico la pronuncia era /au'ge:/, mentre in greco bizantino si era già evoluta in /avˈʝi/
 
I Neogrammatici sostengono che questo nome dell'aurora derivi dalla ben nota e produttiva radice indoeuropea *h₂ewg- "crescere, accrescere", da cui sono discese anche le parole latine augēre "crescere" (augeō "io cresco", augēs "tu cresci", auxī "io crebbi", auctum "essendo cresciuto"), augmen "aumento, crescita" e augustus "maestoso, venerabile". 
Non sono convinto dell'esattezza di questa ipotesi, nata da una grossolana applicazione del Rasoio di Occam. A parer mio ci sono le basi per postulare una radice indoeuropea omofona di *h₂ewg- "crescere, accrescere", ma indipendente: *h₂ewg- "raggio di sole", "splendore", con paralleli anche extra-indoeuropei (vedi nel seguito). 
 
Altri esiti indoeuropei di *h₂ewg- "raggio di sole": 
Albanese: ag "aurora" 
     < proto-albanese *(h)aug-
  agòj "albeggiare, fare giorno"  
Proto-slavo: *ju:gu "sud", "vento del sud"
     Slavo ecclesiastico: *jugŭ "meridione, sud",
          "vento del sud"  
     Russo: юг (jug) "sud" 
     Ucraino: юга (juhá) "vento caldo del sud"  
     Serbo: ју̏г (jȕg) "sud" 
     Croato: jȕg "sud" 
     Sloveno: jȕg "sud" 
     Polacco: jug "disgelo" (dialettale)
     Ceco: jih "sud" 
     Slovacco: juh "sud" 

Nemmeno il greco αὐγή può essere l'origine della parola campidanese.

Le opinioni di Pittau

Pittau sosteneva che il sardo campidanese nea "aurora" fosse un grecismo, ma non lo identificava con l'antico nome della Dea Eos: lo confrontava invece con il greco νέα ἡμέρα (néa hēméra) "nuovo giorno". La pronuncia in greco moderno è /'nea i'mera/
 
Ben noto è il quotidiano Νέα Ημέρα Τεργέστης (Néa Iméra Tergestis), ossia "Nuovo Giorno di Trieste" (fine XIX secolo - inizi XX secolo).  

Ancora una volta, riesce difficile comprendere tutti i passaggi. Ci saremmo aspettati che dalla locuzione greca derivasse in campidanese *neamera, *neimera o *nemera anziché semplicemente nea

Un possibile prestito dal ligure 

La soluzione più ovvia e razionale, quella di un termine proveniente dal sostrato pre-romano, a quanto pare non è stata mai nemmeno considerata. Lo reputo un grave errore, nato dal pregiudizio che offusca la visione e impedisce di conoscere. Procediamo per gradi.   
 
Il greco νέος (néos) "nuovo" e il latino novus "nuovo" hanno la stessa origine, come anche il gallico novio- "nuovo" (attestato ad esempio in Noviomagus "Campo Nuovo", etc.). Queste parole risalgono tutte alla stessa radice: 
 
Proto-indoeuropeo: *newos, *newyos "nuovo" 

La lingua degli antichi Liguri era indoeuropea, anche se con un sostrato lessicale più antico. Il concetto di "nuovo" era espresso dall'aggettivo *nevios, come provato da importanti documenti. 
L'idronimo ligure Neviasca è attestato nella Tavola bronzea di Polcevera, scritta in latino arcaico e risalente al 117 avanti Cristo, che ci conserva toponimi notevolissimi. Riporto in questa sede il brano che ci interessa (i grassetti sono miei): 

Langatium fineis agri privati: ab rivo infimo, qui oritur ab fontei in Mannicelo ad flovium / Edem: ibi terminus stat; inde flovio suso vorsum in flovium Lemurim; inde flovio Lemuri susum usque ad rivom Comberane(am); / inde rivo Comberanea susum usque ad comvalem Caeptiemam: ibi termina duo stant circum viam Postumiam; ex eis terminis recta / regione in rivo Vendupale; ex rivo Vindupale in flovium Neviascam; inde dorsum flovio Neviasca in flovium Procoberam; inde / flovio Procoberam deorsum usque ad rivom Vinelascam infumum: ibei terminus stat; inde sursum rivo recto Vinelesca: / ibei terminus stat propter viam Postumiam, inde alter trans viam Postumiam terminus stat; ex eo termino, quei stat / trans viam Postumiam, recta regione in fontem in Manicelum; inde deorsum rivo, quei oritur ab fonte en Manicelo, / ad terminum, quei stat ad flovium Edem.

Traduzione (di Agostino Giustiniani): 
 
"I confini dell'agro privato dei Langati: presso il fiume Ede, dove finisce il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo, qui sta un termine. Quindi si va su per il fiume Lemuri fino al rivo Comberanea. Di qui su per il rivo Comberanea fino alla Convalle Ceptiema. Qui sono eretti due termini presso la via Postumia. Da questi termini, in direzione retta, al rivo Vindupale. Dal rivo Vindupale al fiume Neviasca. Poi di qui già per il fiume Neviasca fino al fiume Procobera. Quindi già per il Procobera fino al punto ove finisce il rivo Vinelasca; qui vi è un termine. Di qui direttamente su per il rivo Vinelasca; qui è un termine presso la via Postumia e poi un altro termine esiste al di là della via. Dal termine che sta al di là della via Postumia, in linea retta alla fonte in Manicelo. Quindi già per il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo sino al termine che sta presso il fiume Ede."

L'idronimo Neviasca significa qualcosa come "quella del (luogo) nuovo".

La radice ligure in questione, ha formato almeno un toponimo oltre al nome di fiume sopra considerato. Nell'entroterra genovese, in Val Graveglia, si trova il piccolo borgo di Ne (pronuncia /nɛ/, con la vocale aperta). I romanisti hanno tentato di ricondurlo all'antroponimo Nevius, da loro considerato "romano" - e confuso col gentilizio Naevius. Molto peggio dei romanisti hanno fatto i latinisti d'accatto pullulanti nelle parrocchie ottocentesce e novecentesche. Alcuni di loro hanno preso il latino nāvis "nave" e lo hanno fatto diventare Ne, incuranti del fatto che in genovese ha dato nae. Altri hanno preso il latino nemus "bosco sacro" e lo hanno fatto diventare Ne, incuranti del fatto che la consonante -m- intervocalica non può dileguarsi nel latino volgare che ha dato il genovese. Questi escrementi concettuali, che dovrebbero stare sepolti in una fossa settica, sono stati esumati da Google e messi sotto il naso degli utenti. 
 
Ne deriva direttamente dal ligure *Neviom "(Luogo) Nuovo" (pronuncia /'newiom/). 
Propongo così la ricostruzione *nevia /'newia:/ "cosa nuova", che tra i vari significati doveva avere anche "inizio del giorno". 
Sappiamo che alcuni elementi indoeuropei di provenienza ligure si sono insinuati nel paleosardo (Blasco Ferrer, 2011). Ad esempio il sardo tevele "debbio", elemento di sostrato, è derivato in ultima analisi dal ligure *debelo- (Debelus fundus) < protoindoeuropeo *dheghw- "bruciare". Così è plausibile che si sia verificata questa trafila: 
 
ligure /'newia:/ > paleosardo /'neia/ > /'nea/.  

Decisamente meglio delle storture dei romanisti!
 
Altra proposta etimologica per nea "aurora"
 
Quando sono venuto a conoscenza della parola campidanese nea "aurora", la mente mi è andata subito al basco egun "giorno", derivato dal verbo proto-basco *e-gun-i "splendere" (detto del sole). La protoforma ricostruibile sarebbe dunque n-egu-a. Tuttavia mi è sembrata troppo contorta e insoddisfacente la derivazione, carente soprattutto dal punto di vista morfologico: trovavo difficoltà a spiegare l'iniziale n- e la terminazione -a (considerato che questa non può essere l'articolo basco -a, il cui antenato suonava diversamente). Così ho abbandonato questa etimologia.
 
Conclusioni 
 
Un annoso problema è stato finalmente risolto. Peccato che al mondo accademico non importerà mai nulla di tutto questo: basta che una cosa sia scritta su un blog e la considerano automaticamente immondizia, senza nemmeno leggerla.   

sabato 2 ottobre 2021

UN RELITTO RETICO IN ROMANCIO: NUORSA 'PECORA'

Tra le parole di sostrato presenti nella lingua romancia, ne ho notata una che senza dubbio è un resto dell'antica lingua retica. Mi sembra molto importante, anche perché non è la solita parola tecnica: appartiene a una parte fondamentale del lessico alpino. È il nome della pecora: nuorsa. Questi sono i dati: 
 
Sursilvano: nuorsa "pecora" 
   traduzione inglese: sheep 
Sursilvano, Puter, Vallader: nuorsa "pecora femmina"  
   traduzione inglese: ewe 
Rumancio grigionese: nursa "pecora", "pecora femmina"
   traduzione inglese: sheep, ewe  
Sottosilvano: nursa "pecora", "pecora femmina"
   traduzione inglese: sheep, ewe  
Surmirano: nursa "pecora", "pecora femmina" 
   traduzione inglese: sheep, ewe  
 
Forme plurali: 
nuorsas, nursas "pecore", "pecore femmine"
 
Derivati: 
nurser "pecoraio"  

Protoforma retica ricostruita: 
*nurza
Nota: 
Il suffisso tirrenico -za, in origine un diminutivo, è molto comune e produttivo in etrusco; si trova inoltre fossilizzato in almeno un nome di animale: marza "maiale" (cfr. Facchetti, 2000).
 
Chiaramente i romanisti si sono sempre trovati in grande difficoltà con una parola tanto bizzarra. Hanno cercato in tutti i modi di ricondurla al latino, evocando una derivazione da nūtrīx (genitivo nūtrīcis) "nutrice", o di una sua variante con vocale breve, nŭtrīx - cosa che è foneticamente impossibile, oltre che semanticamente contortisimo, ben oltre i confini del ridicolo. Queste sono le mie obiezioni: 
 
i) Posizione dell'accento: 
 
La forma accusativa nūtrīce(m) porta l'accento sulla seconda sillaba, ovvero sulla vocale -ī- lunga: non è plausibile che l'accento si sia ritratto sulla prima sillaba. 
La forma nominativa nūtrīx porta l'accento sulla prima sillaba, ma non può aver dato nu(o)rsa
 
ii) Evoluzione della vocale finale: 
 
È implausibile che la finale -e(m) dell'accusativo nūtrīce(m) si sia evoluta in -a, anche visto che avrebbe dovuto produrre l'assibilazione della consonante -c-
La terminazione -īx del nominativo  non avrebbe potuto evolvere in -a.

iii) Evoluzione del gruppo consonantico -tr-:

Il gruppo consonantico -tr- non può aver dato -rs- in romancio: il suo esito è -dr-.
Così il verbo nūtrīre (nūtriō "io nutro", nūtrīs "tu nutri", nūtriī "io ho nutrito", nūtrītum "a nutrire") ha dato nudrir, non *nursir
 
iv) Semantica: 
 
È cosa sommamente implausibile che un animale tra i più comuni e utili non conservi il proprio nome e che al suo posto ne venga fabbricato uno nuovo derivato da un verbo. Questo processo di sostituzione non è di per sé impossibile, ma in genere si ravvisa in caso di tabù, per via di un timore superstizioso che in genere è connesso ai predatori o ad altri animali considerati pericolosi, nocivi, sinistri (ad esempio il lupo, l'orso, la volpe, etc.). 
 
Purtroppo, sembra che ormai questa derivazione da nutrīce(m) sia ormai ritenuta ufficiale, quasi una sorta di dogma della romanistica. Solo per fare un esempio, basti vedere il sito del progetto VerbaAlpina, diretto da Thomas Krefeld e Stephan Lücke, in cui il romancio nu(o)rsa è mostrato come esito del tipo latino nutrīcem. I dati possono essere visualizzati su mappa, in modo molto efficace: 
 
 
Eppure qualche dubbio talvolta emerge dalla crosta compatta della sicumera e della disonestà intellettuale, come un baco che rode la coscienza. Così il Salvioni menziona nuorsa nel trattare la voce francese nourrice (priva di qualsiasi connessione), in Romania, volume 43, N° 171 (1914): 


FRANC. nourrice

Pare strano che il REW ponga al num. 6008, e cioè tra le rispondenze di nŭtrix, questa voce (ch'egli scrive nourrisse) e il prov. noirissa. Già il Dict. gén., e chissà quanti prima di esso, avevano esposto che vi si tratti di nŭtrīcia. Questa forma è ben confermata dal nap. notriccia nutrice e meglio ancora dal sic. nurrizza ch'è appunto (questo non quello) un gallicismo e che ha figliato un nurrizzu balio, che ha allato a se un nutrizziu ampliato da *nutrizzu, che presuppone un indigeno *nutrizza. Mi pare invece che sbagli il Dict. gén. e con lui il REW, 6007, nel muovere dall'astratto nŭtrītio per ispiegare nourrison, ecc. che sarà il diminutivo di quel positivo ch'è nel prov. noiritz, che anche il REW colloca erroneamente al num. 60031. Io avrei accolto l'articolo nŭtrīcius "poppante". - E mi si lasci dire che mi par ben problematica la spettanza allo stesso num. del REW, di grig. nuorsa pecora. A me almeno non riesce in nessun modo di venirne foneticamente a capo. 

1. Starà a nŭtricia come poupon a poupe. (nota dell'autore)
 
Rileggete tutti le conclusioni del Salvioni: "A me almeno non riesce in nessun modo di venirne foneticamente a capo". A lui e a nessun altro può essere riuscita una simile impresa, perché siamo di fronte a una falsa etimologia fabbricata ad hoc.
 
Una citazione interessante del termine nuorsa si trova nell'Almanacco dei Grigioni (2016), nell'articolo Di come la Val Orsera divenne italiana, di Fabrizio Lardi:
 
 
"La storia del contenzioso sulla Val Orsera ha inizio nella notte dei tempi, da quando cioè le prime mandrie di armenti salite brucando dai pascoli della Vall’Agoné vennero a incontrarsi con quelle bormine che estivavano nell’ampia conca di Livigno. Erano quelli tempi grami, in cui la pastorizia, soprattutto di bestiame minuto, pecore e capre, faceva la ricchezza delle comunità. Così si saranno incontrati anche i primi pastori. Probabile è che Ursera, più che da orso, come vuole un* romantica toponomastica, venga dal romancio «nuorsa», pecora.2 Troppo importanti quegli animali, che fornivano tutto il necessario per vivere: carne, latticini, lana. La valle delle pecore per antonomasia, insomma. Tuttavia le vaste e selvagge vallate e i remoti altipiani di questa parte dell’Arco alpino sembravano in quei tempi garantire sufficiente disponibilità di pascoli a tutti. Sotto la spinta della crescita demografica la situazione andò però pian piano inasprendosi. Il mercato di prodotti ovini, soprattutto dell’affamata pianura lombarda in forte espansione, spinse a uno sfruttamento sempre più intensivo delle risorse alpine."

* Sic! (nota mia)
2) Sul modello di Alp Nursera, sopra Andeer. (nota dell'autore) 
 
Queste osservazioni del Lardi sono molto interessanti. Già da tempo mi ero imbattuto nella menzione dell'esistenza di toponimi in Urs-, presenti lungo l'arco alpino e non connessi con il nome latino dell'orso. Prima di poter stabilire con sicurezza che questa radice sia una variante di quella che ricorre nel romancio nu(o)rsa, occorrerebbero ulteriori studi e dati che molto probabilmente sono andati perduti.
 
Gli Aruspici e il fegato di pecora 
 
In etrusco la Dea della Fortuna era chiamata *Nurθia. Il teonimo in latino era trascritto come Nortia, con numerose varianti: Nurtia, Norcia, Norsia, Nursia, Nercia, Nyrtia. Questo nome doveva significare per l'appunto "Destino", "Fortuna", anche se dobbiamo dire che finora non si è trovato il modo di chiarirne l'etimologia. Queste sono le attestazioni di gentilizi derivati dal teonimo:  

Nurziu 
 genitivo: Nurziuś    
    femminile: Nurziunia  
    genitivo femminile: Nurziunias
Nurtine 
Nota: 
Cfr. Bezzembergher, 1877; D'Aversa, 1984; Morandi Tarabella, 2004.
 
Ora si spiega finalmente perché gli Aruspici usassero il fegato della pecora per scrutare i segni divini. La pecora doveva essere chiamata *nurza, proprio come in retico. Si capisce come l'assonanza con il teonimo *Nurθia fosse motivo sufficiente per giustificare e fondare una tradizione. Ovviamente si tratta di una somiglianza accidentale: il nome della divinità non è connesso a quello dell'ovino. 
 
Consideriamo ora alcuni altri antroponimi etruschi che potrebbero avere a che fare col teonimo *Nurθia. Il primo è un gentilizio:
 
Nufrzna  
 genitivo: Nufurznas 
    femminile: Nufrznei  
    genitivo femminile: Nufrznal 
Cfr. Benelli, 2015; Pittau, 2012, 2018. 

Il secondo è attestato come cognomen e come praenomen (es.: CIE 196, Tabula Cortonensis) ed è senza dubbio la base da cui è stato formato il gentilizio sopracitato:
 
Nufre   
  genitivo: Nufreś 
  genitivo patronimico: Nufresa
Cfr. Alberghina, 2013 
 
Il gentilizio Nufrzna, tipico di Perugia, è reso in latino con Noborsinius, Noforsinius o Nufronius (femminile Noborsinia, Noforsinia, Nufronia). Potrebbe anche essere che *Nurθia sia derivato da un precedente *Nufrθia. Se così fosse, sarebbe utile notare la somiglianza di queste forme con la ben nota parola egiziana nfr "buono, bello", femminile nfr.t "buona, bella". La pronuncia nel Medio regno doveva essere questa: maschile /'na:fa/; femminile /'nafra/. In epoca ellenistica, la pronuncia era ormai simile a quella del copto: maschile /'nu:fə/; femminile /'nɔfrə/. In copto il maschile è ⲛⲟⲩϥⲉ, il femminile ⲛⲟϥⲣⲉ (Sahidico), ⲛⲟϥⲣⲓ (Bohairico). Si fosse avvenuto un prestito dall'egiziano all'etrusco, molte cose si spiegherebbero. Non posso esserne sicuro al cento per cento, ma la trovo un'ipotesi affascinante. Certo è che sono documentati rapporti culturali tra l'Etruria e l'Egitto.   

mercoledì 29 settembre 2021

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI SUBURRA... E SULLA SBURRA!

Come tutti ben sanno, la suburra è un quartiere sordido, un luogo equivoco che evoca nell'immaginazione un brulicare di puttane e di delinquenti. Resta come al solito una domanda pressante: qual è l'origine di questa denominazione tanto bizzarra? 
Questo riporta il Vocabolario Treccani: 
 
 
"Suburra, lat. Subura o Suburra, di etimo ignoto."
 
E ancora, in "Sinonimi e Contrari": 
 
 
"suburra s. f. [dal lat. Subura o Suburra, nome di una zona popolare e malfamata di Roma antica], lett. - [insieme dei quartieri più malfamati di qualsiasi grande città] ≈ angiporto, bassifondi, quartieri bassi."  
 
Questa è la descrizione del vocabolo latino in questione, data nel Wiktionary: 
 

Subūra f. sing. (genitivo Subūrae); prima declinazione
     "Un quartiere di Roma situato tra l'Esquilino, il Viminale e il Quirinale, dove abitavano molte prostitute" 
 
Aggettivo derivato: Subūrānus 
 
II Dizionario Latino Olivetti invece riporta questa definizione: 
 
Sŭbūra 
[Subură], Suburae
sostantivo femminile I declinazione 

"Suburra, quartiere di Roma, tra il Celio e l'Esquilino, pieno di negozi e di ritrovi notturni anche malfamati"

Google dà nuova vita ad assurdità popolari come la derivazione di Subūr(r)a da sub "sotto" e da urbs "città", come se fosse una *Suburba, ossia un quartiere "che sta sotto la città". Alla base c'è la confusione con suburbium "sobborgo", pl. suburbia, che è una parola ben distinta: oltre alla diversa morfologia, non si passa da -rb- a -rr-, -r-.
Poi ci sono i romanisti, che hanno la brutta tendenza ad esibire una certa sicumera pedantesca. Se una cosa sfugge alla loro analisi, la relegano nell'Oblio. Trovo inconcepibile che considerino il toponimo Subūr(r)a come "di origine ignota", al pari di infinite altre voci, bloccando ogni ulteriore indagine. Per loro tutto ciò che non è il vocabolario di latino che usavano a scuola, o al massimo quello di greco, è un libro chiuso e lo deve essere per forza, per assioma. Non sono convinto che si tratti di pura e semplice ingnoranza: sembra prevalere una dottrina che vota i suoi seguaci alla negazione radicale e ostinata di tutto ciò che non abbia le sue origini ultime in Roma o nell'Ellenismo, ritenute a loro volta cose inanalizzabili. Le origini di questo atteggiamento deleterio sono con ogni probabilità di natura ideologica.
 
Eppure è ben nota la parola etrusca che ha dato origine al toponimo latino Subūr(r)a: è semplicemente spur(a) "città". Un vocabolo ben attestato e sul cui significato non ci sono dubbi di sorta. I romanisti sono ostilissimi alla conoscenza della lingua dei Rasna e cercano con ogni mezzo di cancellarla, anche a costo di ricorrere a invereconde manipolazioni. 
 
Ecco le attestazioni:   

Genitivo in -al:
spural, śpural "della città", "pubblico"
tular śpural "confine della città" 
cilθl śpural meθlumeśc enaś "del santuario della città e del popolo nostro" (Liber Linteus)  

Ablativo in -es
spures "dalla città"
Nota: 
Deriva dalla contrazione di una protoforma *spura-is, a sua volta da *spura-s-is. Non è un genitivo sigmatico in -s, -ś, come si potrebbe pensare. Resta il fatto che non è tuttora chiara la ragione ultima della coesistenza del genitivo sigmatico con quello in liquida (-l). Per ulteriori dettagli si rimanda a Facchetti. 

Dativo di comodo in -eri
śpureri meθlumeric enaś "per la città e per il popolo nostro" (Liber linteus)  

Locativo in -θi
spureθi "nella città" 
apasi spureθi "nella città del padre" 

Ablativo del suffisso -tra "eccetto, fuori da": 
śpurestreś "del luogo fuori della città" (Liber linteus) 
Nota: 
Questo è un cumulo di suffissi. 

Aggettivo in -na
spurana, śpurana "pubblico"
marunuc spurana "magistratura pubblica"

Antroponimi 
 
Prenome maschile da sostantivo in -ie
Spurie, Śpurie
   genitivo: Spuries
   pertinentivo: Spurieisi
=> Latino: Spurius 
Trascrizione greca: Σπόριος (Spórios)
Nota: 
In etrusco, Spurie, Śpurie è attestato come prenome soltanto nella lingua arcaica, dal VII al V secolo a.C.; in neoetrusco questo prenome sembra scomparso. 
Senza dubbio Spurius è uno dei più antichi prenomi romani: uno Spurius Cassius Vecellinus fu console nel 502 a.C. Oltre al prenome, si segnala anche l'esistenza di un omonimo gentilizio. Per quanto riguarda la trascrizione greca, cfr. Καλπόρνιος (Kalpórnios) per Calpurnius (Watmough, 2017).
 
Gentilizio maschile da aggettivo in -na
Spurana, Śpurana 
Spuriana, Spuriena, Spurina 
   genitivo: Spurianas, Spurienas
   femminile (neoetrusco): Spurinei
Nota:
Il gentilizio è attestato in latino con le seguenti varianti: Spurēnius, Spurennius, oltre a Spurina e Spurinna (vedi Pittau). Si hanno inoltre i cognomina Spurīnus e Spuriānus, che sembrano però formazioni latine a partire dal prenome Spurius
L'aruspice che predisse la morte a Caio Giulio Cesare, non venendo ascoltato, si chiamava Spurinna
 
Prenome maschile da diminutivo in -za
Spuriaza
   genitivo: Spuriiazas, Spuria[z]es 
Nota:
Questo è un semplice diminutivo di Spurie, Śpurie, la cui vocale finale -e doveva avere un suono indistinto /ə/. L'aggiunta del suffisso -za ha portato a un'assimilazione in -a-.
 
Un'attestazione in retico 
 
In retico è attestata la parola sφura "città", in un'iscrizione rinvenuta a Pergine Valsugana. Chiaramente la parola retica e quella etrusca derivano dalla stessa radice prototirrenica (Marchesini, 2019). Si nota che in retico si trovano spesso consonanti aspirate che corrispondono a occlusive semplici in etrusco.  

Possibili paralleli esterni 

Si trova una somiglianza notevole tra il nome etrusco della città, spur(a), e il ben noto toponimo ellenico Sparta. Con ogni probabilità si tratta di un residuo di un sostrato tirrenico.

Greco: Σπάρτη (Spártē) "Sparta" 
 
L'etimologia sostenuta dalla tradizione, secondo cui la roccaforte dei Lacedemoni trarrebbe la sua origine dal vocabolo σπάρτον (spárton) "fune, corda", ha tutta l'aria di essere una paretimologia, che si è diffusa in relazione a un mito relativo alla fondazione dell'eroica città. 
Si trovano alcuni importanti parole microasiatiche che mostrano somiglianze con l'etrusco spur(a). Sono le seguenti:

Licio: sbirte "monumento"
Lidio: sfard "città" 

Il vocabolo lidio è anche l'origine del nome della città di Sardi, greco Σάρδεις (Sárdeis). Il gruppo consonantico sf- è stato semplificato dagli Elleni nella sibilante semplice /s/, dato che all'epoca del prestito non esisteva in greco una fricativa /f/. I Persiani invece hanno adattato il nome lidio come Sparda. Mi sembra evidente che le voci anatoliche sopra riportate condividano la loro origine con il toponimo Sparta e con l'etrusco spur(a). Con buona pace di Pittau, non si ha connessione con l'etnonimo Shardana, la cui somiglianza è soltanto esteriore, essendo del tutto diversa la radice d'origine. 
 
Derivati di spur(a) in latino
 
Oltre che il toponimo Subūr(r)a, abbiamo altri due derivati importanti della radice etrusca passati in latino: 
 
spurius "illegittimo", "bastardo"; 
     in senso figurato: "cattivo" (detto di poeta)  
spurcus "sporco, sudicio, sozzo";
     in senso figurato: "cattivo, brutto" (detto di tempo)
     in senso morale: "contaminato, ignobile, infame,
         abietto, spregevole"


Entrambe le parole hanno la vocale tonica breve:

spŭrius
spŭrcus

Le ragioni dell'irregolarità sono evidenti: l'etrusco era una lingua dalla fonetica molto diversa da quella del latino. Una parola etrusca poteva essere adattata in modo diverso a seconda dell'epoca e del contesto in cui era penetrata nella lingua di Roma. Mentre spurius e spurcus appaiono conformi alla radice dell'originale etrusco spur(a), l'adattamento in Subūr(r)a è stato abbastanza anomalo.
A quanto ricordo, Facchetti suggerisce la presenza di un suffisso -ra, molto comune come formante in etrusco. In questo caso, data la difficoltà dell'ortografia etrusca con le consonanti doppie, la formazione non apparirebbe evidente.

Etrusco *spur-ra > Latino Subūr(r)a 

Sono incline a ritenere questa ipotesi ragionevole e plausibile.

Una glossa molto interessante

Alle due parole spurius e spurcus ne possiamo aggiungere una terza, documentata come glossa in Isidoro di Siviglia (Etymologiarum sive Originum, 9.5.24):

spurium "pudenda muliebra" 

In altri termini, è un nome della fica. La stessa parola è trascritta da Plutarco come σπόριον (spórion) e attribuita ai Sabini (Watmough, 2017). Chiaramente il popolo italico ha preso questo termine dagli Etruschi. La trafila semantica è abbastanza ovvia: 
 
"luogo impuro" => "vulva (promiscua)"  
 
Gli autori antichi, ad eccezione di Plutarco, interpretavano spurium - σπόριον "vulva" e spurius "figlio illegittimo" come derivazioni della radice greca di σπέρμα (spérma) "seme", "liquido seminale" e di σπορά (spora) "seme", "semina", dal verbo σπείρω (spéirō) "io semino", "io genero", "io spargo". In particolare godeva di largo credito la parola σποράδην (sporádēn) "sparsamente", "qua e là", la stessa che ha dato l'aggettivo sporadico. Per i testi in latino e in greco che trattano questa etimologia, si rimanda a Watmough (2017). In epoca recente, ci sono stati tentativi di ricondurre spurius al latino spernō "io divido, separo" (infinito: spernere; perfetto: sprēvī), ad esempio Bonfante (1985). Sono tutti futili tentativi di spiegare Omero con Omero (non rendono conto della fonologia né della morfologia). 

Lo spurio 
 
Forma etrusca ricostruita: *spurie 
Significato originale: "figlio di padre ignoto" (n.), lett.
    "figlio della città"; "illegittimo, bastardo" (agg.)

In italiano la parola spurio è dotta, come dimostra il suo aspetto fonetico: è stata introdotta dai letterati a partire dal latino, per dare maggior chiarezza di pensiero. Non è giunta attraverso una genuina trafila volgare, o avremmo avuto *spóio, *spóro.
 
Lo sporco 
 
Forma etrusca ricostruita: *spurχ 
Significato originale: "pubblico", "di uso comune",
     "promiscuo", "toccato da tutti"
 
Il suffisso aggettivale -c / -χ è ben noto in etrusco. Si veda come esempio di una simile formazione θaurχ "sepolcrale", derivato da θaura "sepolcro", "tumulo".
In italiano la parola sporco è giunta tramite la genuina usura del volgo, come dimostra il suo aspetto fonetico. Un dottismo suonerebbe *spurco
Devoto sosteneva con pervicacia che la pronuncia toscana della parola, spòrco, con la vocale /ɔ/ aperta, derivasse da un "incrocio" con porco: nell'immaginario popolare toscano lo sporco avrebbe avuto origine da un porco con una s- prefissa. 
Francamente non avverto alcuna necessità dei grotteschi "incroci" del Devoto, creazioni che mi suonano assurde e folli come il gorgogliare di Azathoth nel centro dell'Universo. Nell'italiano corrente, la pronuncia diffusa ovunque è spórco, con la vocale /o/ chiusa, perfettamente spiegabile con una trafila regolare dalla parola latina. L'irregolarità del toscano spòrco si spiega piuttosto con un'antica variante *spŏrcus dovuta a un diverso adattamento dell'etrusco in latino volgare. 
 
La sburra!  
 
Anni fa l'amico Sandro "Zoon" Battisti mi chiese, avendo appreso le mie disquisizioni sull'etimologia di suburra, se la parola volgare sburra "sperma, eiaculato" (variante del più comune sborra) avesse la stessa origine - vista l'indubitabile somiglianza fonetica. Fui sorpreso dalla domanda e lì per lì gli risposi che non esiste alcuna connessione. A distanza di tanto tempo, mi sono chiesto se non avesse ragione Sandro "Zoon" a sospettare un collegamento, convincendomi infine che aveva piena ragione. 
 
I romanisti ritengono che sborra (donde sburra) sia un derivato della parola greca βόθρος (bóthros), glossato come "torrente", "voragine", da cui proverrebbe anche burrone. In altre parole, secondo loro l'eiaculato sarebbe un torrente, in quanto è qualcosa che sgorga. Quindi sborrare proverrebbe da un ipotetico *exbothrare, che per retroformazione avrebbe dato il sostantivo *exbothra, cioè sborra. Invece è ben possibile che sborra, sburra siano semplici evoluzioni fonetice di una forma aggettivale sostantivata, un neutro plurale spuria col senso di "cose impure", che sarebbe poi passato a significare "liquido seminale". Credo che sia abbastanza verosimile - anche perché la traduzione di bóthros con "torrente" sembra piuttosto fallace. Nella semantica ellenica non sembra esserci traccia alcuna di un flusso, dello scorrere di un liquido: la parola indica una cavità, un vuoto. A quanto risulta, il flusso è un'invenzione pura e semplice dei romanisti.  
 
Queste sono le definizioni riportate sul dizionario online Perseus di greco antico (Henry George Liddell, Robert Scott, A Greek-English Lexicon, 1940): 
 
 
βόθρ-ος , ὁ, 

A.hole, trench, or pit dug in the ground, “βόθρον ὀρύξαι” Od. 10.517; βόθρου τ᾽ ἐξέστρεψε [τὴν ἐλαίαν] Il.17.58; trough, Od.6.92: generally, hollow, X.An.4.5.6; grave, IG14.238 (Aerae); ritual pit for offerings to “ὑποχθόνιοι θεοί, β. καὶ μέγαρα” Porph.Antr.6.
 
1) buco, trincea o fossa scavata nel terreno 
2) trogolo 
3) cavità 
4) tomba 
5) fossa rituale per le offerte. 
 
Menzioniamo infine la falsa etimologia, assolutamente infondata, di un commentatore privo di qualsiasi base, che separava sburrare da sborrare ritenendole due parole diverse; considerava quindi il sostantivo sburro (variante di sburra) un semplice derivato di burro. Secondo costui, lo sperma sarebbe una sostanza caratterizzata dal colore e dalla consistenza del burro sciolto. Ha confuso sburrare, variante di sborrare, con l'omofono sburrare "togliere al latte la parte grassa" (ormai desueto).
 
Un inganno: portoghese porra, esporra 
 
Girando a lungo nel sito XHamster, mi sono imbattuto spesso in video porno brasiliani, da cui risulta che in portoghese porra o esporra traduce l'italiano sborra. Esempi: "Minha esposa puta adora chupar um pau grande e engolir uma boca cheia de porra", "Milf recebe porra na boca", "Esporra dentro da cona tuga" e via discorrendo. Appurato che esporrar significa proprio "sborrare", ho subito pensato che l'etimologia dovesse essere identica a quella del verbo italiano. Mi sono dovuto ricredere. Mi sono bastate brevi ricerche per capire che siamo di fronte a una somiglianza ingannevole. 

porrum "porro" 
   neutro plurale (con significato collettivo): 
   porra "porri"
 
Lo slittamento semantico è stato questo: 
 
porri => mazza => pene =>
=> eiaculazione => sperma, sborra

La pronuncia del portoghese brasiliano porra è /'poha/. Allo stato attuale delle cose, la somiglianza con l'italiano sborra è soltanto grafica.