Visualizzazione post con etichetta lingua punica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua punica. Mostra tutti i post

sabato 25 giugno 2016

IL MAGONE: UNA FALSA ETIMOLOGIA DA UNA STORIELLA SCOLASTICA

Girando nella Rete, che tanto ha contribuito a diffondere una forma contagiosa di ignoranza, mi sono imbattuto in un'assurda narrazione. Secondo non poche persone, la locuzione "avere il magone", che significa "essere triste", deriverebbe dal nome del generale cartaginese Magone. Per giustificare quest'insana fantasticheria, costoro citano fatti storici estratti a viva forza da qualche manuale scolastico, dando spiegazioni cervellotiche quanto vane. 

Sia ben chiaro, il magone non ha nulla a che spartire col nome del condottiero di Cartagine, fratello di Annibale. Si tratta di una mera assonanza o coincidenza fortuita, cosa non infrequente quando le parole hanno una struttura fonetica abbastanza semplice. 

Il termine magon /ma'gun/ indica nel Nord Italia il ventriglio degli uccelli, ossia il loro stomaco. La locuzione avegh el magon (milanese) ed equivalenti nei vari dialetti galloitalici significa alla lettera "avere il gozzo", quindi "avere un groppo in gola", da cui "essere triste". L'origine germanica del vocabolo è ben chiara. Il termine di partenza deve essere stato il longobardo *mago, gen. *magon, *magun "stomaco, ventriglio". Tuttora vi sono corrispondenze precise in lingue germaniche viventi. Tedesco Magen "stomaco". Inglese maw "ventriglio".

Eppure la vera etimologia è osteggiata in modo aperto e giudicata assurdamente un'etimologia popolare, mentre la paretimologia nata dall'assonanza è ritenuta autentica.

Questo è riportato da Sapere.it, che pure non è un sito di complottisti:


"Il modo di dire "avere il magone" è piuttosto antico e ci sono due possibili spiegazioni, una colta e l’altra popolare; la prima si riferisce a Magone Barca, che comandò la battaglia della Trebbia contro i Cartaginesi durante la II guerra Punica (218 a.C.). Petrarca narrò della morte di Magone, che avvenne durante il suo viaggio verso Cartagine dopo la distruzione di Genova, nel suo poema Africa. 
Ecco perché si è poi attribuito al sostantivo “magone” il significato di triste rimpianto, nodo alla gola che precede il pianto provocato da una brutta notizia."

Segue l'esposizione quasi rituale della spiegazione corretta del magone, giudicata invece come "popolare" e implicitamente come inaffidabile. Ma che affidabilità ha mai la spiegazione "dotta"? Per gli autori di Sapere.it, tutto sarebbe nato dalla poesia di Petrarca, Africa, talmente vivida che chi la lesse si immedesimò nelle genti di Cartagine sconvolte dal lutto per la perdita del loro condottiero. Come dire, quando Napoleone fu sconfitto a Waterloo, si diffuse tra le genti di Francia tale scoramento, che da allora per dire "essere triste" si diffuse una nuova locuzione: "avere il napoleone". Basterebbe il grottesco di una simile barzelletta per esporre la trovata al pubblico ludibrio. 

Assurdità dello stesso tenore, corredate da ulteriori dettagli e da una spiegazione un po' differente, si ritrovano in un articolo apparso sul sito Placidasignora.com


Anche in questo caso, la spiegazione genuina del magone è attaccata e giudicata "popolare", quindi frutto dell'ignoranza, mentre la fanfaluca del generale cartaginese viene osannata, difesa come "dotta" e le viene attribuita una specifica origine genovese. Al contempo, si condannano i dizionari della lingua italiana perché prendono per buona la spiegazione "popolare", per di più "senza dare spiegazioni". Secondo la Placida Signora, una vecchia conoscenza dei tumultuosi tempi di Splinder (ricordo ancora quel suo amico che mi soprannominava "Freikorps"), siccome Magone devastò Genova, avrebbe causato un indelebile trauma ai suoi abitanti, che avrebbero tramandato il suo nome come sinonimo di tutto ciò che è funesto. La logica è ancora una volta posticcia. Come dire, avendo le orde di Hulagu Khan raso al suolo Baghdad apportandovi una spaventosa distruzione, si diffuse tra i superstiti della città annientata un tale scoramento, che da allora per dire "essere triste" si diffuse una nuova locuzione: "avere l'Hulagu Khan". Ancora una volta un'assurdità patente.  

In realtà, eliminare la costruizione scolastica di un'origine da Magone e difendere il parallelismo con il tedesco Magen è una delle più semplici e sensate applicazioni del Rasoio di Occam. Anche se in non poche occasioni tale strumento logico si presta ad abusi, in questo caso la sua applicazione non presenta problema alcuno ed è del tutto legittima. Delle due spiegazioni, la più semplice tende ad essere quella giusta. Se poi si considera che l'origine del magone dalla storiella di Magone è difesa soprattutto da autori di Genova per motivi di fiero campanilismo, il resto segue: è stato un insegnante genovese a fabbricare la falsa etimologia e sono tuttora suoi concittadini a cercare di imporla, perché la sentono legata al patrimonio culturale della loro città. L'origine scolastica è ben chiara. Per essere eufemistici, è ben lecito nutrire seri dubbi sul fatto che i Genovesi ricordino sul serio per trasmissione diretta la distruzione della città ad opera di Magone. Genova non ricorda Magone più di quanto Milano ricordi il goto Uraia. Troppi secoli sono trascorsi, troppe cose sono cambiate. L'antica lingua ligure, di ceppo indoeuropeo e preceltica, che era parlata ancora all'epoca di Seneca, si è estinta ed è stata soppiantata dal latino volgare che si è evoluto in una varietà romanza nel corso dei secoli. 

Il nome del condottiero cartaginese, trascritto Mago /'ma:go:/ o Magon /'ma:go:n/ dai Romani e Μάγων dai Greci, viene chiaramente dal punico: magōn (scritto mgn) significava "scudo". La parola corrisponde in modo perfetto all'ebraico מגן māgēn "scudo". Spesso alla -e:- lunga ebraica il punico rispondeva con -o:- lunga. Così neopunico molchomor "sacrificio di un agnello" (creduto per errore una glossa di Agostino d'Ippona; attestato nelle iscrizioni di N'Gaous) - da pronunciarsi /molχo'mo:r/ - in cui omor /o'mo:r/ "agnello" corrisponde alla perfezione all'ebraico אמר immēr "agnello", accadico immeru "pecora"

giovedì 20 agosto 2015

RICOSTRUZIONE DELLA LINGUA PALEOSARDA

A partire dal lavori di Blasco Ferrer sul paleosardo e dalle nostre conoscenze sulla lingua protobasca ricostruita da Koldo Michelena e da Joseba Lakarra, possiamo procedere con un tentativo di ricostruzione della lingua paleosarda che sia qualcosa di più di una semplice lista di radici. Possiamo chiamare questa nostra ricostruzione conlang nuragica.

La fonotattica è molto simile a quella del protobasco, pur con qualche significativa differenza.
Questo è il sistema fonetico:

a e i o u

p t k
b d g
m n N (= nn) 
r R (= rr) l L (= ll) s ts

I nessi consonantici sono pochi, formati quasi sempre solo da due consonanti, di cui di solito la prima è una continuante /r/, /n/ o /s/ e la seconda un'occlusiva; /l/ davanti a consonante si muta in /r/ o in /u/. Questi nessi compaiono soltanto all'interno delle parole: ne è vietata la presenza all'inizio della parola. In alcune parole è possibile l'epentesi facoltativa di una /r/ dopo una consonante occlusiva, ma si tratta di una variante priva di valore contrastivo.
Le parole finiscono nella maggior parte dei casi con una vocale semplice o con un dittongo; l'unica consonante ammessa in finale di parola è -s. Quando una parola dovrebbe uscire in consonante diversa da -s, viene aggiunta una vocale per renderla pronunciabile. Alcuni dialetti hanno invece una -r finale al posto di -s.

Il lessico della lingua in questione presenta impressionanti somiglianze con il diretto antenato della lingua basca, su cui si sono stratificati vocabili di diversa origine, come conseguenza delle molte migrazioni che hanno contribuito a formare la popolazione della Sardegna preromana. Procediamo con un vocabolarietto basato su toponimi e termini di sostrato tuttora viventi nella lingua sarda, in cui di ogni parola vengono forniti gli eventuali equivalenti in basco, iberico, ligure, punico ed etrusco: 

ALA = pascolo
  basco: alha, ala 'pascolo'
ANUNTZA = capra
  basco: ahuntz 'capra'
ARANA, ARANI = valle
  basco: (h)aran 'valle'
 ARANAKE = valli
   basco: (h)aranak 'valli'
ARDI = pecora
  basco: ardi 'pecora'
ARDAULE, ARDULE, ARTILE = lana
  basco: artule, artile 'lana' 
ARITZO = quercia
  basco: haritz 'quercia'
ARSE, ASSE = fortezza
  basco: -
  iberico: aŕs 'fortezza'
ARTE = leccio
  basco: arte 'leccio'
ARTZA = roccia
  basco: hartze 'pietraia, ghiaione' (arc.)
AURRI = carpino
  basco: aurri 'pianta dalle grandi radici'  
BERRI, BIRRI = nuovo
  basco: berri 'nuovo'
BIDE = via
  basco: bide 'via'
DESE = burrone
  basco: leize, leze 'burrone'
DEU = bianco, chiaro (< ligure)
  basco: -
  ligure: *dewos 'splendente' < IE *dhew-
DOLE, DODOLE = sangue; rosso sangue
  basco: odol 'sangue'
DONI, TONI = luogo franoso 
  basco: -
  vedi LOKI
DURE, LURI = terra
  basco: lur 'terra' 
ENI < *AGINI = tasso (albero) 
  basco: hagin 'tasso (albero)'
ERTZE = bordo, margine
  basco: ertz 'bordo, margine'
GABA = ruscello (< ligure)
  basco: -
  ligure: *gawa-, *gaba- 'ruscello'
  (cfr. Gabellus)
GENI, -ENI < *GAINI = cima
  basco: gain 'cima, punta'
GOLOSTI, KOLOSTRI = agrifoglio
  basco: gorosti 'agrifoglio'
GONI, GON(N)OS = altura, montagna
  basco: goi 'colle', gora 'alto'
GORRU, GURRI = rosso
  basco: gorri 'rosso'
I = guado
  basco: hibi 'guado'
ILI = villaggio
  basco: hiri 'città'
  iberico: iltiŕ, ili- 'città' 
 ILIAKE = villaggi
   basco: hiriak 'città'
ILLOSTA, GILLOSTRE = erica
  basco: ilhar, gillar 'erica'
ILUNE = luogo scuro
  basco: ilun 'scuro'
IRI, -ERI = paese
  basco: herri 'paese'
 IRIAKE = paesi
   basco: herriak 'paesi'

ISKO = gelo, brina  
   basco: izotz 'ghiaccio' (1) 
  ISKOTZI = gelo, brina
    basco: izotz 'ghiaccio'
    vedi ITZO, OTZI 
ISTI
= fango, stagno, palude
  basco: istil 'fango, stagno'
ITZO = gelo, brina
  basco: izotz 'ghiaccio' (1)
 
ITZOTZI = gelo, brina
   basco: izotz 'ghiaccio'
KALU = cane
   basco: -
   etrusco: Calu 'Inferi; Lupo'

KAR(R)A
= roccia (< ligure)
  basco: harri 'pietra'
  ligure: carris, cararis 'sasso' (glosse)
KARTA = dirupo
  basco: -
  vedi KARRA
KERE = roccia (< iberico)
  basco: -
  iberico: keŕe 'pietra'
  (> catalano quer 'pietra')
KILI = letto roccioso di un fiume (< iberico)
  basco: -
  iberico: kelti-
KORE, KORO = giallo, rossiccio (2)
  basco: hori 'giallo'
  iberico: *koŕi 'giallo'
  (> catalano coriol 'finferli')
KOSTIKE = acero
  basco: gaztigar, azkar 'acero' 
KUKKU = luogo elevato
  basco: kukur 'cresta' 
  ligure: *kukko- 'cima, vetta'
LATZI = torrente
  basco: lats 'torrente'
 LATZAKE = torrenti
   basco: latsak 'torrenti'
LOKI = fango
  basco: lohi 'fango'
MAKU = luogo (< punico)
  basco: -
  punico: maqōm, maqūm 'luogo' 

MAM(M)U
 = fantasma; Inferi
  basco: mamu 'fantasma', mamur 'elfo' 
MANDO
= cavallo; asino
  basco: mando 'mulo'
MARA = palude
  basco: -
  ligure: *mara 'palude'
MASA, MASO, NASO, BASO = bosco
  basco: baso 'bosco' 
MELE, NELE = nero, scuro
  basco:  beltz 'nero'
  iberico: beleś, -meles 'nero' 
MINI = lingua
  basco: mihi 'lingua'
M
ÓKORO, MÚKURU = altura
  basco: mokor 'massa di terra compatta'; 'tronco' 
NABA = conca, valle aperta (< ligure)
  basco: naba (< ligure)
  ligure: *na:wa- 'conca'
NEU-, NEO- = superficie liscia (3)
  basco: leun 'liscio, soave'
NEULAKE, LEUNAKE = oleandro
  basco: leun 'liscio, soave'
NINI = rugiada, brina
  basco: ihintz < *(n)inin- 'rugiada'
NUR(R)A = pietra
  basco: ehorz-
< *e-nor-z- 'seppellire'
NURAKE = castello, casa di pietra
  basco: -
OBI = fossa; caverna
  basco: (h)obi 'caverna'
OLA = capanna
  basco: ol(h)a 'capanna'
ONA, UNA = collina
  basco: oin 'piede'
ONI, ONE = buono
  basco: on 'buono'
  aquitano: BON- 'buono'
ORGA = sorgente
  basco: -
ORRI = foglia, fogliame 
  basco: horri, orri 'foglia'
ORRU = ginepro
  basco: orrhe, orre 'ginepro'
ORTU = valle (< iberico)
  basco: -
  iberico: oŕtin, ordun-, ordu- 'valle'
OSA, USA < *AUSA = sorgente (< ligure)
  basco: -
  ligure: *ausa 'fonte'
  (cfr. Auser, Ausones, etc.)
OSPE,
ÓSPINI, GÚSPINI = crescione 
  basco: -
  punico: cusmin 'crescione' (glossa)
ÓSPILE = luogo ombroso
  basco: ospel 'luogo ombroso'

OSTO
 = foglie, frasche
  basco: hosto, osto 'foglia'
  vedi ORRI

OTZI
= freddo
  basco: hotz 'freddo'
 OTZITZO = gelo, brina
   basco: izotz 'ghiaccio'
   vedi ITZO, ISKO
PALA = letto roccioso di un fiume
  basco: - 
  ligure: *pala- 'pietra'
P
ÉNTUMA = burrone
  basco: -
  ligure: *pentuma- 'burrone'
  etrusco: penθna 'ceppo di pietra'
SALA = acqua ferma
  basco: -
  ligure: *sala- 'acqua ferma' 
SARA = ruscello, affluente
  basco: -
  ligure: *sara- 'ruscello'

SORO = terreno 
  basco: soro 'campo' (4)
SUNI, SUSUNE = pioppo
  basco: zuzun 'pioppo'
TALA, TALAE = ruscello montano
  basco: -
  origine sconosciuta
 TALAKE, TALAIKE = ruscelli montani
   basco: -
TÉBELE = debbio (< ligure)
  basco: -
  ligure: *debelos 'bruciato' < IE *dheghw-   
TELLURI, TELLURA = lastra di roccia
  basco: -
  origine sconosciuta
TURRI = fonte
  basco: iturri 'fonte'
 TURRIKE = fonti
   basco: iturriak 'fonti'
TZALAU = crusca
  basco: zalauts 'crusca'
TZIN(N)IKA = giunco 
  basco: zi < *zin(h)i 'canna'
TZURI = bianco
  basco: zuri 'bianco'
ULE, ILE = lana 
  basco: ule, ile 'lana'
  vedi ARDAULE
URA = acqua
  basco: ur 'acqua'
 URAKE = acque
   basco: urak 'acque'
ÚRBARA = valle fluviale 
  basco: ibar 'valle fluviale'

(1) Michelena e Trask fanno derivare izotz da ihintz "rugiada" < *(n)inin- + hotz "freddo", ma i dati del paleosardo rimettono la proposta in discussione. Blasco Ferrer definisce onerosa la derivazione da ihintz, e sono portato a concordare con la sua opinione.  
(2) A parer mio un lemma distinto da GORRU (-I), GURRI, che Blasco Ferrer pare invece confondere. Vedi anche la voce sarda kòroe "arbusto per tingere in giallo".
(3)  Blasco Ferrer non si pronuncia sul significato di questa radice, suggerendo la possibilità che si tratti di un allomorfo di -deo (vedi), cosa che tuttavia mi pare improbabile.
(4) Ritenuto a lungo un termine romanzo derivato dal latino solu(m), la sua estesa occorrenza nella toponomastica sarda rimette la proposta in discussione. Si notino toponimi come Sorabile (che corrisponde a Sorabil nel Paese Basco) e Soroeni (che corrisponde a Sorogain). La forma basca è da *sol(h)o, come mostrato dal vizcaino solo. Si deduce che paleosardo -r- è l'esito di una forma -
*l(h)- nella protolingua.  

Come mostrato in modo convincente dal Blasco Ferrer, forme composte anche complesse sono alla base di moltissimi toponimi preromani. In questi composti agiscono meccanismi di assimilazione e di dissimilazione che portano a mutamenti nell'aspetto fonetico delle radici coinvolte. Questi sono alcuni esempi:  

ARAU-NELE, ARAN-NULE = valle nera
ARTIL-AI = luogo della lana
BID-ONI = via buona
BIDU-NELE = via scura, difficile
DURU-NELE = terra nera
GONNO-ITZÉ = montagna ghiacciata
KERIN-DEU = roccia bianca
ISTI-R-ITZO = fango gelido
ISTIU-NELE = fango nero
MAKU-MELE = luogo nero
NUR-DOLE = roccia rossa
NUR-IL-AI = al villaggio della roccia
ORGO-DURI = terra della sorgente
ORG-OST-ORRO = fogliame della sorgente
ORRO-NELE = fogliame nero
OS-OL-AI = alla capanna della fonte
OTZI-ERI = paese freddo
TALA-ST-ORR-AI = al fogliame del ruscello
TALA-SUNI-AI = al pioppo del ruscello
TAL-ERTZE = riva del ruscello (1)
TURR-ONE = fonte buona
UN-ERTZE = margine della collina (2)

(1) Oggi Talerthe
(2) Oggi Unerthe

Con questa semplice procedura, toponimi finora oscurissimi diventano trasparenti e perfettamente analizzabili.

Aggiungiamo alcune voci desunte a partire dalle forme protobasche relative a parole del lessico di base:

ÁRDANO = vino
  basco ardo 'vino'
DAGUNE
= amico
  basco: lagun 'amico, compagno'
ÉSENE = latte
  basco: esne, ezne 'latte'
ESTI = miele
  basco: ezti 'miele'
ÉSTILE = ape
  basco: erle 'ape'
G
ÁSTANE = formaggio
  basco: gasna 'formaggio'
GÍBILE = fegato
  basco: gibel 'fegato'
NONOLE = tavola
  basco: ohol 'tavola'
S
ÁBILE = stomaco
  basco: sabel 'stomaco'
SESENE = toro
  basco: zezen 'toro'

Partendo da queste basi, possiamo persino azzardarci a ricostruire alcune coniugazioni di verbi intransitivi basandoci sulle forme protobasche ricostruite:

NIDÁBILE = io vado
IDÁBILE = tu vai
DÁBILE = egli va
GUDABIRTZÁ = noi andiamo
SUDABIRTZÁ = voi andate
DABIRTZÁ = essi vanno

NIDATORRE = io vengo
IDATORRE = tu vieni
DATORRE = egli viene
GUDATORTZÁ = noi veniamo
SUDATORTZÁ = voi venite
DATORTZÁ = essi vengono

NIDAU = io sto
IDAU = tu stai
DAU = egli sta
GUDAUTZÁ = noi stiamo
SUDAUTZÁ = voi state
DADAUTZÁ = essi stanno
 

DADUDA = io ho
DADUKA = tu (m.) hai
DADÚKANA = tu (f.) hai
DADÚ = egli ha
DADUGÚ = noi abbiamo
DADUSSÚ = voi avete
DADUTTÉ = essi hanno

DAKARDA = io lo porto
DAKARKA = tu (m.) lo porti
DAKÁRKANA = tu (f.) la porti
DAKARRE = egli lo porta
DAKARGÚ = noi lo portiamo
DAKARSÚ = voi lo portate
DAKARTÉ = essi lo portano

Sono convinto che moltissimi Sardi ascoltando queste forme sentirebbero muovere in sé qualcosa di ancestrale, come se grazie a una strana necromanzia riascoltassero qualcosa che giunge loro dalla notte dei tempi attraversando l'Oblio. Qualcosa che sonnecchia in loro e che ora viene risvegliato.

domenica 14 dicembre 2014

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: UNA FALSA ETIMOLOGIA DI CAESAR

Sull'etimologia del cognomen Caesar se ne son dette di tutti i colori, e questo già dall'antichità.

C'è chi voleva l'originario Caesar chiamato così perche nato da parto cesareo - e quindi il cognomen sarebbe derivato da caedere "tagliare", caesus "tagliato" (a caeso matris utero). Il suffisso -ar rimarrebbe però del tutto inspiegabile.

Altri invece proponevano come origine la parola dotta caesaries "chioma" (che trova una perfetto parallelismo nel sanscrito kesara- id.). Il fatto che Giulio Cesare fosse calvo non è d'ostacolo: come tutti sanno i cognomina erano ereditari.

Altra possibilità è il termine caesius "azzurro", con riferimento al colore degli occhi (a caesiis oculis). Anche in questo caso il suffisso -ar sarebbe inspiegabile. La parola, priva di etimologia indoerupea, è da ricondursi all'etrusco, dove è abbondantemente testimoniata dall'onomastica: Ceisna, Caisie, etc.

Come fa notare l'ottimo prof. Giulio Facchetti, l'origine più probabile di Caesar è dal nome etrusco di Cere, che suonava Caisri-, Ceisri-, Ceizra, Χaire-, Χe(i)ri- in lingua etrusca (in latino è Caere, indecl.). Se la forma Χeiritna (Χeritna), attestata come gentilizio, è più recente e continua nel latino Caeretanus, la forma più antica derivata dal nome di Cere è caisri-va-. Caesar significherebbe quindi "uomo di Cere". Le occorrenze etrusche di Cere erano già state individuate a suo tempo da Massimo Pallottino. Mi sento di difendere questa tesi del legame tra il cognomen Caesar e la città di Cere, che ha una sua logica e renderebbe conto anche della terminazione in -ar.

Esiste però un'altra etimologia possibile, per quanto inverosimile, che fu usata dallo stesso Giulio Cesare a scopi propagandistici e che ci interessa particolarmente per le sue implicazioni fonetiche. Per aumentare l'impressione di possanza, lo stesso Giulio Cesare sostenne che Caesar derivasse dalla parola usata dai Cartaginesi e dai Mauri per indicare l'elefante. Il primo denarius da lui coniato mostra la scritta CAESAR sopra la figura di un elefante.

L'interpretazione più verosimile di una simile derivazione si otterrebbe ammettendo che il primo a essere soprannominato Caesar avesse ucciso un elefante in battaglia. Il termine in questione, non semitico e di origine sconosciuta, ci è noto nella forma kaisar come glossa di Servio ed è attestato in alcune iscrizioni puniche (kysr). Aveva il suono velare iniziale - anzi, probabilmente addirittura uvulare come /q/ in arabo - visto che l'originaria /k/ è spesso trascritta in neopunico con ch in caratteri romani e con χ in caratteri greci. Se per assurdo Caesar avesse avuto all'epoca una pronuncia palatale, com'è insipiente e stoltissima opinione di qualcuno, non sarebbe mai stata proposta una paretimologia punica dell'antroponimo.

Notiamo infine che l'originario termine cananeo usato dai Fenici per indicare l'elefante doveva essere *fil /fi:l/ (cfr. arabo fīl, ebr. pīl). È possibile che kaisar fosse una parola dei Mauri presa a prestito dai Cartaginesi o indicante un particolare elefante (forse l'elefante africano in opposizione a quello asiatico usato dall'esercito?). Qual è l'origine di ultima di kaisar? Non è facile dare una risposta, ma non risulta che esista nulla di simile nelle lingue berbere documentate. 

sabato 9 agosto 2014

IL LESSICO DEL NEOLATINO DI GAFSA (RICOSTRUITO)

Nel lessico di base del neolatino di Gafsa si conservano numerosi arcaismi. Alcuni sono andati perduti al di fuori dell'Africa, altri si conservano tuttora in alcune aree della Romània. Si trovano anche vocaboli che conservano il loro significato primitivo, avendo subito slittamenti semantici altrove. In altri casi ancora è il tema della parola ad essere arcaico.

abe, uccello < lat. ave(m)
(cfr. spagnolo ave id.)
anniklu, vitello di un anno < lat. anniculu(m)
(cfr. romancio anugl, montone)
àssere, oca < lat. ansere(m)
bellu, guerra < lat. bellu(m)
bentre, pancia < lat. ventre(m)   

bespru, sera < lat. vespru(m) 
bìtriku, patrigno < lat. vitricu(m)
bubulku, bovaro < lat. bubulcu(m) (italiano bifolco < *bi:fulcu(m),

    di origine italica)
bukka, guancia < lat. bucca(m)
eka, giumenta < lat. equa(m)
   (cfr. spagnolo yegua id., sardo logudorese ebba
eku, cavallo < lat. equu(m)
ekullu, cavallino < lat. equuleu(m) 

ezòlu, capretto < lat. haediolu(m) (cfr. romancio anzöl id.) 
kèrebru, cervello < lat. cerebru(m)
kuna, culla < lat. cu:na(m)
mankìppiu, servo < lat. mancipiu(m)  

metu, paura < lat. metu(m) 
mure, topo < lat. mu:re(m)
muskerda, escrementi di topo < lat. mu:scerda(m)
noberka, matrigna < lat. noverca(m)
nuru, nuora < lat. nuru(m)
obikla, pecora < lat. ovicula(m)
   (cfr. spagnolo oveja id.) 
òkkiput, nuca < lat. occiput
os, bocca < lat. o:s
pèrpera, partoriente < lat. puerpera(m)
pribinna, figliastra < lat. pri:vigna(m)
pribinnu, figliastro < lat. pri:vignu(m)
subulku, porcaro < lat. subulcu(m)
sue, scrofa < lat. sue(m)
   (cfr. sardo logudorese sue id.)
suile, porcile < lat. sui:le
suillu
, porco < lat. suillu(m)

Numerosissimi vocaboli suonano in modo molto simile all'italiano:

balena, balena < lat. ballaena(m) 
berme, verme < lat. verme(m)
bespa, vespa < lat. vespa(m)
dente, dente < lat. dente(m)
fronte, fronte < lat. fronte(m)
kampu, campo < lat. campu(m)
kane, cane < lat. cane(m)
kapra
, capra < lat. capra(m)
kastu, casto < lat. castu(m)
kolle, colle < lat. colle(m)
kollu, collo < lat. collu(m)
krabrone
, calabrone < lat. crabro:ne(m) 

dannu, danno < lat. damnu(m)
iunku, giunco < lat. iuncu(m)
lamna
, lamina < lat. la:mina(m)
lumbrìku, lombrico < lat. lumbri:cu(m)
luna, luna < lat. lu:na(m)
lupu
, lupo < lat. lupu(m)
mare
, mare < lat. mare
mente, mente < lat. mente(m)
monte, montagna < lat. monte(m)
ossu, osso < lat. ossu(m), per os (1) 
pala, pala < lat. pa:la(m)
palu, palo < lat. pa:lu(m)
pede, piede < lat. pede(m)
ponte, ponte < lat. ponte(m)
sale, sale < lat. sale(m)
sekùre, scure < lat. secu:re(m)
skarafazu, scarafaggio < lat. *scarafa:iu(m) (2)
sole, sole < lat. so:le(m)
sorte, sorte < lat. sorte(m)
sonnu, sonno < lat. somnu(m) 
stella, stella < lat. ste:lla(m)
tèrmite, tarlo < lat. termite(m)
terra, terra < lat. terra(m)
umblìku, ombelico < lat. umbili:cu(m)

(1) Agostino usava ossum quando predicava, per paura che le folle confondessero os con la parola che significa bocca, perché "Afrae aures de correptione vocalium vel productione non iudicant" (De Doctrina Christiana, 4, 10, 24).
(2) Il termine è di origine osca e corrisponde regolarmente al nativo scarabaeu(m).

Sono eminentemente latini i termini relativi all'agricoltura:

abena, avena < lat. ave:na(m) 
aratiba, terra arabile < lat. ara:ti:va(m)
aratore, aratore < lat. ara:to:re(m)
aratre, aratore < lat. ara:tor
aratru, aratro < lat. ara:tru(m)
aratzo, aratura < lat. ara:tio:
bòmere, vomere < lat. vo:mere(m)
faba, fava < lat. faba(m)
fasòlu, fagiolo < lat. phaseolu(m)
frumentu, frumento < lat. fru:mentu(m)
granu, grano < lat. gra:nu(m) 
kentènu, segale < lat. cente:nu(m)
kombustu, campo bruciato < lat. combu:stu(m)
iugu, giogo < lat. iugu(m)
lentitta, lenticchia < lat. *lentitta(m), per lente(m)
millu, miglio < miliu(m)
orzu, orzo < lat. hordeu(m)
semnare, seminare < lat. se:mina:re
sulku, solco < lat. sulcu(m)
suzugare, fissare al giogo < lat. subiuga:re
sùzugu, fissato al giogo < lat. subiugu(m)
temone, timone del carro < lat. te:mo:ne(m)

Anche l'apicoltura ha tratto il suo lessico da Roma:

àlbiu, celletta < lat. alveu(m)
apikla, ape < lat. apicula(m)
appiaru, alveare < lat. apia:riu(m)
appiaru, apicultore < lat. apia:riu(m)
fabu, favo < lat. favu(m)
kera, cera < lat. ce:ra(m)
mulsu
, vino mielato < lat. mulsu(m)

Interessanti sono i vocaboli relativi alla viticoltura, tutti di origine latina:

aketu, aceto < lat. ace:tu(m)
àkina, uva < lat. acina
   (f. coll., cfr. sardo logudorese àghina, àniga id.)
binaru, venditore di vino < lat. vi:na:riu(m) 
binu, vino < lat. vi:nu(m)
binza, vigna < lat. vi:neam
   (sardo logudorese binza id.)
bite, vite < lat. vi:te(m)
kaupo, oste < lat. caupo:
kaupones, osti < lat. caupo:ne:s
kellaru, cantina < lat. cella:riu(m)
lora, vino annacquato < lat. lo:rea(m)
mustu, mosto < lat. mustu(m)
pàmpinu, pampino < lat. pampinu(m)
uba
, uva < lat. u:va(m) 
temètu, vino forte < lat. te:me:tu(m)
torklu, torchio < lat. torculu(m)
trazektoru, imbuto < lat. traiecto:riu(m) 

Si noti che il latino caupo, perduto altrove nella Romània, fu popolarissimo tra i Germani.

Questi sono alcuni termini relativi all'economia:

arghentzu, argenteo < lat. argenteu(m)
aru, aureo < lat. aureu(m)
assaru, moneta da un'unità < lat. assa:riu(m)
dinaru
, denaro < lat. de:na:riu(m)
dramma, dracma < lat. drachma(m)
eràmine, moneta di rame < lat. aera:men
kintu, moneta da un quinto, quintino < lat. quintu(m)
   (cfr. gotico kintus, centesimo < lat.)
kommertzu, commercio < lat. commerciu(m)
merkatore
, mercante < lat. merca:to:re(m)
merkatre, mercante < lat. merca:tor
moneta
, moneta < lat. mone:ta(m)
pondus, libbra < lat. pondus
soldu aru, zecchino d'oro < lat. solidu(m) aureu(m)
untza, oncia < lat. uncia(m)

Si noti che aru "aureo" si contrappone ad auru "oro": la semiconsonante -e- deve aver influito nel semplificare il dittongo.

Aggettivi di base:

altu, alto < lat. altu(m)
baldu, forte < lat. validu(m)
bassu, basso < lat. bassu(m)
beklu, vecchio < lat. *vetulu(m)
beru, vero < lat. ve:ru(m)
brebe, corto < lat. breve(m)
bonu, buono < lat. bonu(m)
essìgu, minuscolo < lat. exiguu(m)
falsu
, falso < lat. falsu(m)

formu
, tiepido < lat. formu(m) 
friktu
, freddo < lat. fri:gidu(m)
gheldu
, gelido < lat. gelidu(m)
grabe
, pesante < lat. grave(m)

iùbene
, giovane < lat. iuvene(m)
kaldu
, caldo < lat. calidu(m)
keku, cieco < lat. caecu(m)
largu, largo < lat. la:rgu(m)
lebe, leggero < lat. leve(m) 
letu, fecondo < lat. laetu(m)
longu
, lungo < lat. longu(m)
malu
, cattivo < lat. malu(m)
mannu, grande < lat. magnu(m)
mezòkre, piccolo < lat. mediocre(m)
mutu, muto < lat. mu:tu(m)
pusillu, piccolo < lat. pusillu(m)
sanu, intero < lat. sa:nu(m)
tene, minuscolo < lat. tenue(m)
turpe, brutto < lat. turpe(m)
surdu, sordo < lat. surdu(m)

Esistono alcuni comparativi sintetici, ma nella maggior parte dei casi si ottengono tramite perifrasi, preponendo maghis "più" o minus "meno":

altzore, più alto < altio:re(m)
minore, minore < lat. mino:re(m)
mazore, maggiore < lat. ma:io:re(m)
pezore, peggiore < lat. pe:io:re(m)
senzore, più vecchio < senio:re(m)

maghis largu, più largo
minus largu, meno largo
maghis longu
, più lungo
minus longu, meno lungo

Esistono anche alcuni superlativi antichi, che però non possono essere usati come meri accrescitivi:

màssimu, il più grande < lat. maximu(m) mìnimu, il più piccolo < lat. minimu(m)
òktimu, il più buono < lat. optimu(m) pèssimu, il più cattivo < lat. pessimu(m)

Questi sono i nomi dei colori:

albu, bianco < lat. albu(m) 
birde, verde  < lat. viride(m)
flabu, giallo < lat. fla:vu(m)
fulbu, giallo scuro  < lat. fulvu(m)
fusku, marrone  < lat. fuscu(m)
gàlbinu, giallo chiaro  < lat. galbinu(m)
glauku
, azzurro < lat. glaucu(m)
kerullu, azzurro  < lat. caeruleu(m)
kesu, blu < lat. caesiu(m)
kineratzu, grigio chiaro  < lat. cinera:ceu(m)
lutzu, giallo < lat. luteu(m)
nigru
, nero < lat. nigru(m)
pullu, rosso scuro  < lat. pullu(m)
purpùru, purpureo  < lat. purpureu(m) 
rubru, rosso  < lat. rubru(m)
rufu
, fulvo < lat. ru:fu(m)
rabu, grigio  < lat. ra:vu(m)

Questi sono i nomi dei giorni:

Zie Lunis, Zilunis, Lunedì
Zie Martis, Zimartis, Martedì
Zie Mèrkuris, Zimèrkuris, Mercoledì
Zie Iobis, Zizòbis, Giovedì
Zie Bèneris, Zibèneris, Venerdì
Sàbbatu, Sabato
Dominka, Domenica

Appare evidente che le uscite dei giorni da Lunedì a Venerdì, in origine genitivi, hanno subito sincretismo, facendo prevalere un'uscita in -is nata dall'influenza di lat. -is (Dies Martis, Dies Iovis, Dies Veneris) su lat. -ae (Dies Lunae) ed -i (Dies Mercurii).

Questi sono i nomi dei mesi:

Ianaru, Gennaio < lat. Ianua:riu(m)
Febraru, Febbraio < lat. Februa:riu(m)
Martzu, Marzo < lat. Ma:rtiu(m)
Aprile, Aprile < lat. Apri:le
Mazu, Maggio < lat. Ma:iu(m)  

Iunzu, Giugno < lat. Iu:niu(m)
Iullu, Luglio < lat. Iu:liu(m)
Agustu, Agosto < lat. Augustu(m)
Sektembre
, Settembre < lat. Septembre(m)
Oktombre, Ottobre < lat. Octo:bre(m)
Nobembre
, Novembre < lat. Novembre(m)
Dekembre, Dicembre < lat. Decembre(m)

Molte parole sono state ereditate dal latino dotto, che a sua volta le ha prese dal greco. Il suffisso -ia - che in greco portava l'accento - è diventato atono, a differenza di quanto è accaduto in italiano. Il dittongo eu presente soltanto in parole di questa origine, è stato ridotto a un semplice e

abbestu, amianto; salamandra < lat. *asbestu(m), per asbeston
   (acc.) 
aiògrafa
, agiografia < lat. hagiographa (pl.)
armonza, bellezza < lat. harmonia(m)
artzàtre, medico < lat. archia:ter 
asfaltu, bitume < lat. asphaltu(m)
baktizare, battezzare < lat. baptiza:re
baktismu, battesimo < lat. baptismu(m)
blasfèmu, bestemmiatore < lat. blasphe:mu(m)
butirru, burro < lat. bu:ty:ru(m)
demonzu, demonio < lat. daemonium
ekarìssa
, eucaristia < lat. eucharistia(m)
ènniku, pagano < lat. ethnicu(m)
enukizare, castrare < lat. eunu:chiza:re
enùku, eunuco < lat. eunu:chu(m)
erèsa, eresia < lat. *haeresia(m), per haeresi(m)
fantàsa, fantasia < lat. phantasia(m)
filosòfa, filosofia < lat. philosophia(m) 
filosfu, filosofo < lat. philosophu(m)
krismare, cresimare < lat. chrisma:re
krisma, cresima < lat. chrisma
poèma, poema < lat. poe:ma 
poèsa, poesia < lat. *poe:sia(m), per poe:si(m) 
sfera, sfera celeste < lat. sphaera(m) 
simonza, simonia < lat. *simo:nia(m) 
simonzàku, simoniaco < lat. simo:niacu(m)
sinfonza, zampogna < lat. symphonia(m)
sodonza
, sodomia < lat. *sodomia(m)
zalektu
, vernacolo < lat. dialectu(m)
zàlogu
, discorso < lat. dialogu(m)

Il latino gergale delle prime comunità cristiane ha anche lasciato il suo segno:

kaktibu, indemoniato < lat. crist. capti:vu(m) <Diaboli:> (ossia
   "prigioniero del Diavolo")
persona, persona, tipo < lat. crist. perso:na(m) 
   (ossia "maschera"

tartaruka, tartaruga < lat. crist. *tartaru:cha(m) (ossia "abitatrice
   degli Inferi"
)
zie natale, il giorno della morte < lat. crist. Die(m) Na:ta:le(m)
   (ossia "nascita nel Regno dei Cieli")

Da kaktibu deriva kaktibitate, che indica la possessione diabolica.

Il nesso sf in queste parole ha una consonante bilabiale, un po' diversa da f, e in alcune varietà della lingua è rimpiazato a sp: spera, blaspèmu, aspaltu.

Elementi di sostrato, adstrato e superstrato

Esistono nel neolatino di Gafsa interessanti vocaboli risalenti al sostrato neopunico. La cosa non deve stupire: ancora Agostino di Ippona ci dice che ai suoi tempi la lingua punica era ancora in uso e che proprio i territori in questione ne erano la culla ancora calda. Di questi lemmi, soltanto due o tre sono sopravvissuti anche in sardo.

abadiru, meteorite < pun. abaddir, abadir id. 
alma, ragazzina < pun. alma, vergine (glossa)
Baldiru, Satana < pun. Baladdir, Baladir, Baal 
Balu, Satana < pun. Bal, Baal
bibbàlu, tempio pagano < pun. *beth-bal, *bith-bal, casa di Baal
kesàru, elefante < pun. kaisar id. (glossa)
kurma, ruta d'Aleppo < pun. churma id. (glossa)
(sardo nuorese kurma, kùruma id.)
makumbàlu, luogo dei pagani < pun. *maqom-bal, luogo di Baal 
minkàdu, capotribù berbero < pun. mynkd /min'kad/, sovrano
mintziktu, sepolcro < pun. mynsyfth id.
molkomòru, rito satanico < pun. molchomor, sacrificio di un
   agnello (iscrizioni di N'Gaous)  
molku, rito satanico < pun. molch, fen. mlk /molk/, olocausto
sikkìra, aneto < pun. *sichiria id.
(cfr. sardo zikkiria, zikkidia id.)

zìbbire, rosmarino < pun. zibbir id. (glossa)
(cfr. sardo campidanese zìppiri id.) 

I plurali di questi nomi si formano quasi sempre in modo regolare, ma alcune voci come molkomòru e molku sono ascritti ai nomi della IV declinazione latina:

bibbàlos, templi pagani
kesàros, elefanti
makumbàlos, luoghi dei pagani
minkàdos, capitribù berberi
molkomòrus, riti satanici 
molkus, riti satanici.

Una parola di chiara origine latina trova corrispondenza nelle iscrizioni neopuniche:

kentenara, fattoria : neopunico centenaria id., < lat. cente:na:ria(m)

Il termine in orgine si riferiva a fattorie fortificate, chiamate così perché costruite per resistere agli assalti delle popolazioni numidiche (berbere), e quindi idealmente per durare cent'anni. Meno probabile la derivazione dal latino cente:num "segale", coltura che a quanto pare era molto diffusa nell'Africa Romana.

Alcuni celtismi già diffusi nel latino dell'Impero sono presenti:

benna, cesta < lat. benna(m) < celt. *benna:
bira, anello < lat. viria(m) < celt. *wiria:
dusu, folletto, jinn < lat. du:siu(m) < celt. *du:sio-
ghesu, giavellotto < lat. gaesu(m) < celt. *gaiso-
kamìsa, camicia < lat. camisia(m) < celt. *kamisia:
karpentu, carro coperto < lat. carpentu(m) < celt. *karbento-
karru, carro < lat. carru(m) < celt. *karro-
kerbìsa, birra < lat. cervi:sia(m) < celt. cis. *ker(e)wi:sia:
segùsu, segugio < lat. segu:siu(m) < celt. lig. *segu:sio-

Una delle maggiori differenze con il vocabolario della lingua italiana sta nell'assenza di quel rinnovamento che ha portato moltissime parole come "bianco", "guerra", etc. Si trovano ben pochi germanismi, che discendono quasi tutti dalla lingua germanica orientale dei Vandali, che era una varietà della lingua dei Goti. 

maunire, ammannire < got. manwjan, preparare 
(cfr. sardo logudorese maunire)
melka, latte acido < lat. volg. melca, latte speziato, cfr. got. miluks, latte
(cfr. sardo nuorese merka, miscuglio cotto di latte fresco ed acido)

Si notano infine numerosi prestiti dall'arabo, spesso relativi alla religione islamica e alle istituzioni:

balla, è così < ar. wallah
Emiru, Emiro < ar. 'ami:r
Islamu, Islam < ar. Isla:m
kafiru
, pagano < ar. ka:fir
Kalifu, Califfo < ar. Khali:f
Kuranu, Corano < ar. qur'a:n
Mammadu, Maometto < ar. Muḥammad
matzida, moschea < ar. masjid
Mezinu, muezzin < ar. mu'aḏḏin
muslimu, musulmano < ar. muslim
Sittanu, Satana < ar. Shaiṭa:n
Sultanu, Sultano < ar. Sulṭa:n
Ziadu, Jihad < ar. jiha:d

Alcuni termini di abuso di uso comune sono pure stati tratti da termini arabi:

allufu, porco < ar. nordafr. ḥallu:f
aramu, peccaminoso < ar. ḥara:m
kàbalu, effeminato, travestito < ar. khawal  
kiziru, porco < ar. khinzi:r
marramu, cosa vietata < ar. muḥarram
sarmuta, puttana < ar. sharmu:ṭa

Ascoltando i suoni di questa conlang si compie quasi un viaggio a ritroso nel tempo e si comprendono le osservazioni di coloro che viaggiando a Gafsa hanno riportato che la lingua parlata in quel luogo era una latinità quasi integra, virante alla lingua sarda, oppure che era una una varietà di italiano poi deviata a causa della vicinanza con popoli di lingua araba.

sabato 28 giugno 2014

TOPONOMASTICA DEL TERRITORIO DEI SETTE COMUNI: CONFUSIONE E FALSE ETIMOLOGIE

Sull'origine dei Cimbri, minoranza linguistica germanica stanziata nel territorio dei Sette Comuni (provincia di Vicenza), nei Tredici Comuni (provincia di Verona) e in altre piccole aree, sono fiorite numerose leggende nate dall'omonimia con l'antico popolo proveniente dalla Danimarca. Si è parlato addirittura di una presenza vichinga in Italia. Wikipedia riporta il seguente sunto relativo alla toponomastica dei Sette Comuni: 

"È il caso ad esempio della montagna più alta dei Sette Comuni (il Monte Ferozzo) e della Val Frenzela (italianizzazione di Freyentaal), località dedicate a Freya, come pure il Monte Ferac (da Frea-ac, dimora della dea Frea); vi sono poi siti dedicati alla dea Mara come la Martaal (cioè valle di Mara, la valle che separa Rotzo da Roana) e la sorgente Marghetele (orticello di Mara); località dedicate alla pitonessa Ganna (come la Valganna) o al dio Thor (come il monte Thor nei pressi dell'Ortigara). La dea sassone Ostera è ricordata nello scoglio che sovrasta Pedescala, detto Ostersteela, e in Foza nella contrada chiamata appunto Ostera.
Il ricordo di altre divinità menzionate nell'Edda islandese è rimasto anche sull'Altipiano: Balder (ricordato dal folletto od orco Baldrich); Höðr (a cui è dedicata la collinetta ai cui piedi si trova l'ex stazione ferroviaria di Asiago e che una volta era detta Hodegart, ossia orto di Höðr); Synia (ricordata dal monte Sunio). L'Edda, fra le altre divinità, nomina anche una certa Skada, figlia del gigante Thiasse: questa dea è ricordata dal nome del paese di Treschè Conca di Roana, che un tempo in cimbro era chiamato appunto Skada."
Cfr. Antonio Domenico Sartori. Storia della Federazione dei Sette Comuni vicentini, ed. L. Zola, Vicenza, 1956: "L'antichità delle origini religiose sull'altopiano dei Sette Comuni" 

A una prima lettura testi di questo genere sembrano di certo suggestivi. Peccato che non reggano a un'analisi approfondita, rivelandosi pieni di anacronismi e di altre assurdità. Non dico che siano del tutto inutili, dato che in genere riportano molte informazioni di un certo interesse, ma devono essere attentamente vagliati. 

Valganna e altri luoghi chiamati Ganna nel territorio dei Sette Comuni derivano il loro nome da un termine che indica la pietraia o il dirupo, attestato anche a Verona. La sua diffusione è estremamente ampia, tanto che lo si trova in Ossola (gana), e altrove con la variante ganda: nell'antica Liguria è attestato un fiume Gandobera "che porta pietre". L'origine di ganda / ganna è anteriore ai Celti e deriva dalle lingue affini all'etrusco che si parlavano in precedenza nelle regioni alpine, come ad esempio quella dei Reti. In etrusco esisteva la radice caθna-, da cui il latino ha tratto catinus, col senso di "vaso di pietra" e di "apertura della roccia, cavità". Tale radice, priva di origine indoeuropea, potrebbe essere attestata nel Liber Linteus (gen. caθna-l, loc. caθna-i), ma il contesto non è del tutto chiaro, ed esiste anche un omofono caθna- "unione", da cui latino catena. Assumiamo così che *kathna debba essere la protoforma da cui ganda e ganna sono derivati. I passaggi sono questi: *kathna > *gadna > ganda, ganna. Siccome la presenza di ganda e ganna nell'arco alpino è pervasiva, mentre non spiega nulla il ricorso alla profetessa Ganna vissuta tra i Semnoni nel I secolo d.C., la proposta di Sartori andrà rigettata. 

Per quanto riguarda Martaal, il ricorso a una dea Mara non è necessario. Più che un teonimo, mara è la parola norrena usata per indicare uno spirito maligno capace di possedere i viventi, da tradursi in latino con incubus. La sua radice, corrispondente germanico del celtico *mora:, riappare nel nome dei folletti della tradizione romanza, come il mazzamorello. L'amico Giacinto M. (R.I.P.) mi ha riportato che al suo paese in Friuli, vicino a Sacile, un simile demonietto è conosciuto come mathamoro. Quindi Martaal è la Valle dei Folletti, la Valle degli Incubi. È a mio avviso da scartarsi ogni connessione con il quasi-omonimo celtico *ma:ro- "grande", dato che Martaal è una valle piccola e stretta. Non si ravvisa in ogni caso alcuna necessità di postulare una corrispondenza diretta tra il toponimo e il materiale mitologico scandinavo, dato che credenze in spiriti immondi e malefici sono diffusissime in tutta la Romània e presso tutti i Germani.  

La gigantessa Skaði ha un nome di origine incerta. In norreno esiste un'omonima parola che significa "danno", che però è di genere maschile. Il paese di Treschè Conca di Romana ha più probabilmente tratto il suo nome da una forma affine al gotico *Skadwa, col senso di "Ombrosa"

L'orco Baldrich sarà da antico alto tedesco *Balde-rih, corrispondente al gotico *Balþareiks, "Re Audace" o "Re degli Audaci": la figura di Balder, attestata in Scandinavia (norreno Baldr) e in Germania (antico alto tedesco Balder) non si presta ad essere assimilata a quella di un folletto o orco, essendo un chiaro adattamento germanico della figura di Cristo. Il lemma norreno baldr significa "principe, signore", e corrisponde all'anglosassone bealdor, che era usato per designare Cristo. Theo Vennemann ha ipotizzato che l'origine ultima di questo epiteto sia il punico Baladdir, e pur non concordando con questo autore su altri argomenti, ritengo arguta e valida questa sua proposta. Bal Addir significa Signore Potente, essendo in punico bal non solo la parola generica per "signore" e "marito", ma anche il teonimo che conosciamo meglio come Baal. Il lemma addir si trova attestato anche da Agostino di Ippona e da altri autori nella parola abaddir (varianti abadir, abadier) ossia pietra (*aban) potente (addir), che indica un meteorite.  

Hodegart non è certo l'Orto di Höðr, perché il nome di tale divinità mostra una vocale che è il prodotto dell'Umlaut labiale. In altre parole, dove in norreno si trova la vocale trascritta con -ö-, ma più correttamente con -ǫ- (da pronunciarsi come o aperta), significa che un tempo vi era una vocale -a-, che è stata alterata a causa della presenza di una -u- o di -w- nella sillaba seguente. Così un tempo il teonimo sarà stato *Xaθuraz, che doveva significare "Uccisore": la radice ultima è la protoforma germanica *xaθuz "battaglia" (> norreno hǫð), di lontana origine celtica (cfr. gallico catu- "battaglia"). Il fenomeno della trasformazione di -a- in -ǫ- per influenza di una successiva -u- o -w- è tipico del norreno e non esiste in antico alto tedesco: Hode- non può in alcun modo corrispondere a Höðr.
Il nome di Freya, in norreno Freyja (pron. /frøyja/) non è un antenato plausibile dei toponimi citati dal Sartori. L'origine ultima risiede nella radice proto-germanica *frauja(n)-, che significa "signore": gotico frauja /frɔ:ja/ "signore", *fraujo /frɔ:j:o:/ "signora". L'equivalente tedesco di Freya è proprio la ben nota parola Frau: come si vede nulla che possa aver dato origine a Freyentaal. Mi azzarderei a ritenere Freyentaal una formazione recente e romantica, come tante altre sorte nell'ambito dei nazionalismi ottocenteschi, ma la scarsità delle informazioni in proposito mi suggerisce prudenza. Alcuni riportano le forme Frea-sele e Frea-taal in lingua cimbra (da non confondersi con la lingua degli antichi Cimbri), che sembrano più genuine. Non si tratterebbe quindi di un luogo dedicato alla dea Freya, ma alla dea Frigg, il cui nome longobardo era Frea (< proto-germanico *Frijjo:). Ferac e Ferozzo non hanno alcuna possibilità di derivare dalla radice di Freya o di Frigg per ragioni fonetiche. La formazione fantasiosa *Frea-ac riportata da Sartori non ha il minimo riscontro. 

Le contrade di Ostera e Ostersteela hanno sicuramente la stessa radice della dea Ostara, il cui nome viene dal germanico comune *Austro:. Non si può escludere a priori la presenza del culto della divinità in questione. Tuttavia si nota che la radice *austr- da cui è stato formato il teonimo significa "oriente", che pare un'accezione più plausibile quando si tratta di toponimi. Così i Longobardi e i Franchi chiamavano Austria la regione orientale dei rispettivi regni (tra i Franchi c'era anche la variante Austrasia). Per i Longobardi, l'Austria si estendeva dal corso dell'Adda al Friuli e corrispondeva grossomodo all'attuale Nord Est, mentre le terre ad occidente di quel fiume formavano la Neustria. Così Ostera potrebbe essere la naturale evoluzione di *Austria "Terra Orientale", e Ostersteela "Rupe Orientale", piuttosto che "Rupe di Ostara"

Il vero nome del monte Thor è Toro, che doveva essere noto come *Taurus in epoca romana, la cui radice riappare nel nome dei Taurini. La forma gotica per indicare il dio Thor era *Þunrs, quella antico alto tedesca Donar. In anglosassone era Þunor, e in longobardo il teonimo doveva suonare *Thonor. La forma d'origine era il proto-germanico *Θunraz. In norreno la nasale è scomparsa dopo aver mutato la u in una o lunga per compenso, dando Þórr. In antico irlandese il teonimo Þórr è stato preso a prestito come Toṁar, gen. Toṁair (pron. /tõ:r/), segno che all'epoca la vocale era ancora pronunciata nasale. Orbene, tutto questo ci mostra con la massima evidenza che per ragioni storiche il monte Toro non può trarre origine dal nome norreno della divinità dalla barba rossa, e che le altre forme germaniche per designarla non sono foneticamente adatte. 

Due fenomeni hanno contribuito a far proliferare nel Web materiale pieno zeppo di false etimologie e di fraintendimenti:  

1) L'assenza di interesse degli studiosi moderni verso le realtà locali;
2) I complessi meccanismi del copyright, che permettono la libera consultazione online di libri superati, in alcuni casi risalenti persino al XIX secolo, mentre rendono difficile il pieno accesso a materiale aggiornato. 

sabato 5 aprile 2014

L'ESTINZIONE DELLE LINGUE È UNA REALTÀ

Da un po' di tempo rifletto su un bizzarro argomento, che secondo me riveste il massimo interesse etnologico: l'originale lingua dei Pigmei. Pochi sanno infatti che le popolazioni africane conosciute come Pigmei non conservano una lingua loro propria, ma hanno appreso nel corso dei secoli le lingue delle popolazioni vicine con le quali hanno sviluppato rapporti di dipendenza. Così la grande maggioranza parte dei Pigmei parla lingue Bantu, mentre qualche gruppo ha adottato lingue di ceppo diverso. 

Secondo Cavalli-Sforza, due sarebbero i tipi genetici sprovvisti di una lingua propria nota: i Pigmei e i Sardi. I Sardi attuali infatti parlano una lingua derivata direttamente dal Latino. Anzi, il Sardo è una delle lingue neolatine meglio conservate. Prima di apprendere il Latino, i Sardi parlavano Punico e Nuragico. Il Punico era una linga affine all'Ebraico, mentre sul Nuragico si possono fare soltanto congetture, anche se con tutta probabilità era affine al Basco. 

Va detto che mentre i Pigmei dell'Africa non conservano una lingua loro propria, ci sono molti altri gruppi detti Khoi-San, ossia i Boscimani e gli Ottentotti, che hanno lingue peculiari e irriducibili a qualsiasi altro ceppo. Due popoli di cacciatori-raccoglitori della Tanzania, i Sandawe e gli Hadza, hanno lingue prive di parentele, né tra di loro né con altre lingue, salvo forse quelle di gruppo Khoi-San.

Se si guarda la situazione fuori dall'Africa, si scopre che anche in Asia esistono popolazioni di bassa statura, con capelli crespi e la pelle molto scura: sono quelli che gli Spagnoli chiamarono Negritos. I primi esploratori venuti dalla Spagna che si imbatterono in queste genti si dissero certi della loro origine africana. Tra questi popoli ci sono i Semang della Malesia, gli Aeta delle Filippine e altri gruppi sparsi per l'arcipelago dell'Indonesia. Nessuno di questi gruppi parla una lingua propria: la situazione è simile a quella dei Pigmei Africani. La massima parte di loro ha adottato una lingua del ceppo Austronesiano, come ad esempio il Malese. Ci sono anche altri popoli peculiari di origine certamente remota: i Vedda di Sri Lanka e le genti delle Isole Andamane. Gli Andamanesi hanno mantenuto lingue proprie, a differenza degli altri ceppi, che sono del tutto prive di qualsiasi somiglianza nel resto del mondo. Tale è l'arcaicità degli Andamanesi che ignoravano del tutto il modo di accendere il fuoco. Per colmo dell'ironia, un proverbio dei Pigmei dell'Africa suonerebbe irrispettoso se applicato agli Andamanesi: "La scimmia non è un uomo, solo perché non sa accendere il fuoco".

A dire il vero se si studiano bene le lingue dei Pigmei dell'Africa e quelle dei Negritos dell'Asia, si scopre che qualche parola antica è sopravvissuta. Nell'idioma dei Baka, ad esempio, il 30% del vocabolario è di origine sconosciuta. Tra i gruppi africani sono prive di relazioni esterne le parole relative alla vita nella foresta, alla raccolta del miele, oltre ai numerali. Anche tra i Semang (che parlano Malese) e i Vedda (che parlano Singalese) si trovano molti termini isolati. Presso i Vedda si segnalano ad esempio termini come GALREKKI 'ascia', RUHANG 'amico', KUKKA 'cane', OKMA 'bufalo', TOMBA 'lumaca' e via discorrendo. Così esisterebbe modo di approfondire gli studi fino a capire qualcosa di più. Cercando in Rete, ho trovato alcuni interessantissimi documenti, anche se il materiale che trattano è limitato. Purtroppo noto che non c'è molta apertura mentale. Mi sono infatti imbattuto in un post scritto da un anglofono, che usa il Rasoio di Occam, negando la possibilità che tutte quelle lingue siano andate perdute. Così, in nome di una semplicità dogmatica e compulsoria, questa persona è arrivata a sostenere che gli antenati dei Pigmei erano esseri del tutto privi di parola, e che a un certo punto hanno imparato a parlare dai loro vicini. "Cosa c'è da stupirsi?" - si domanda addirittura in un passo - "In fondo le scimmie antropomorfe non hanno ancora imparato a parlare".

Non mi hanno mai convinto le teorie di Hannah Arendt sulla "banalità del Male". Il Male non è mai banale, proprio in virtù della sua esistenza come principio ontologico separato. Dopo aver letto il post insulso di questo sedicente studioso, sto però cominciando a capire che esistono anche realtà che sono ben al di sotto dello stesso concetto di banalità.