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domenica 4 ottobre 2020

ETIMOLOGIA DI DAGON

Il dio Dagon è descritto dalla Bibbia come una divinità dei Filistei. Essendo questi un popolo di origine marinara, provenienti dalla lontana isola di Caphthor (con ogni probabilità da identificarsi con Creta), fino agli inizi del XX secolo prevaleva l'idea che Dagon fosse un Dio Pesce. Gli studiosi delle Scritture reputavano che tutto ciò fosse assolutamente naturale e scontato, fornendo al contempo una lineare etimologia ebraica del teonimo. Infatti nella lingua scritturale דָּג dāg significa "pesce" (plurale numerabile דָּגִים dāgīm "pesci"), così non è troppo difficile pensare che il teonimo דָּגוֹן Dāgōn significhi proprio "Dio Pesce". Dalla stessa radice derivano le parole דָּגָה dāgāh "pesce" (collettivo), דּוּגָה dūgāh "pesca; arpione da pesca; pescatore", דַּיִג dayig "pesca", דַּייָּג dayyāg "pescatore". 
 
In realtà le cose sono un po' più complesse. Se si indaga, si scopre che l'associazione tra Dagon e il pesce è una fabbricazione medievale. In ebraico esiste anche un'altra parola, che fornisce un'etimologia più plausibile: דָּגָן dāgān "grano, frumento".  Anche in ugaritico il nome comune del grano è dgn /da'ga:nu/. In fenicio questa parola doveva suonare /da'go:n/. Quindi Dagon non è una divinità delle acque, bensì della terra e della crescita dei cereali. Una divinità della fertilità. Non dobbiamo dimenticare una testimonianza giunta da un'epoca lontana: Filone di Biblo (circa 64 - 141 d.C.), basandosi sull'autorità del fenicio Sanchuniathon, scrive che Dagon significa proprio "grano", traducendo il teonimo con il greco σῖτον (sîton). Sempre secondo Filone, Dagon sarebbe stato il fratello di Crono. L'importanza di questa divinità era grande a Ugarit, nella cui lingua ricorre la locuzione bʽl bn dgn /'baʕlu binu da'ga:ni/ "Baal, figlio di Dagon". Gli Hurriti identificavano Dagon con Kumarbi, che era chiamato anche Halki. Orbene, nella lingua hurritica halki significa proprio "grano". 

Possiamo pensare che dal fenicio dgn /da'go:n/ "grano, frumento" sia derivato il teonimo, poi preso a prestito dagli Ebrei col vocalismo diverso da quello della parola comune per indicare il cereale. Casi simili non sono rari: il fenicio yd /jo:d/ "mano" è passato a indicare il nome della lettera yōd /jo:ð/, mentre la parola ebraica per "mano" è yād /ja:ð/. Tutto sarebbe risolto se il culto di Dagon si fosse sviluppato proprio in Fenicia. In realtà l'area in cui questa divinità era adorata era molto ampia e comprendeva la Mesopotamia; sulla costa le attestazioni del suo culto sono molto meno comuni e provengono per lo più da Ugarit. Gli studiosi si interrogano sulla verosimiglianza del racconto biblico, dato che i reperti archeologici con iscrizioni di dedica a Dagon sono scarsi proprio nella terra che fu abitata dai Filistei. In sumerico il teonimo è Dagan. La pronuncia in accadico doveva essere /da'ga:nu/, come in ugaritico. La variante Zagan, che pure si trova in sumerico, è notevole, perché punta a una protoforma con una consonante fricativa iniziale /ð/, che nelle lingue storiche sarebbe diventata per lo più un'occlusiva /d/, ma talvolta si sarebbe assibilata in /z/
 
Qualche biblista avrà sicuramente cercato di ricondurre dāgān "grano, frumento" a dāg "pesce" tramite un singolare artifizio etimologico. La muscolatura del pesce è simile nella sua struttura a una spiga: presenta muscoli incuneati in modo da sembrare proprio i chicchi di grano nella spiga. Così Adamo, volendo nominare il grano e il pesce, avrebbe usato parole simili proprio perché avrebbe notato una somiglianza strutturale. Questo perché i biblisti danno per scontato che l'ebraico fosse la Prima Lingua del genere umano, quando è dimostrato che è una lingua derivata come tutte le altre. I dati esterni alla lingua ebraica (ad es. parole afroasiatiche per indicare tipi di cereali, parole altaiche per indicare il pesce) dimostrano, se ce ne fosse davvero bisogno, che si tratta di un'etimologia popolare, ingegnosa ma vana. 
 
Com'è e quando è nata la leggenda del Dio Pesce? 
 
Tutto ha avuto origine dal testo biblico: 1 Samuele, 5:1-7.
Questa è la versione originale in lingua ebraica: 

בוַיִּקְח֚וּ פְלִשְׁתִּים֙ אֶת־אֲר֣וֹן הָאֱלֹהִ֔ים וַיָּבִ֥אוּ אֹת֖וֹ בֵּ֣ית דָּג֑וֹן וַיַּצִּ֥יגוּ אֹת֖וֹ אֵ֥צֶל דָּגֽוֹן:
גוַיַּשְׁכִּ֚מוּ אַשְׁדּוֹדִים֙ מִֽמָּחֳרָ֔ת וְהִנֵּ֣ה דָג֗וֹן נֹפֵ֚ל לְפָנָיו֙ אַ֔רְצָה לִפְנֵ֖י אֲר֣וֹן יְהֹוָ֑ה וַיִּקְחוּ֙ אֶת־דָּג֔וֹן וַיָּשִׁ֥בוּ אֹת֖וֹ לִמְקוֹמֽוֹ:
דוַיַּשְׁכִּ֣מוּ בַבֹּקֶר֘ מִֽמָּחֳרָת֒ וְהִנֵּ֣ה דָג֗וֹן נֹפֵ֚ל לְפָנָיו֙ אַ֔רְצָה לִפְנֵ֖י אֲר֣וֹן יְהֹוָ֑ה וְרֹ֨אשׁ דָּג֜וֹן וּשְׁתֵּ֣י | כַּפּ֣וֹת יָדָ֗יו כְּרֻתוֹת֙ אֶל־הַמִּפְתָּ֔ן רַ֥ק דָּג֖וֹן נִשְׁאַ֥ר עָלָֽיו:
העַל־כֵּ֡ן לֹֽא־יִדְרְכוּ֩ כֹהֲנֵ֨י דָג֜וֹן וְכָֽל־הַבָּאִ֧ים בֵּית־דָּג֛וֹן עַל־מִפְתַּ֥ן דָּג֖וֹן בְּאַשְׁדּ֑וֹד עַ֖ד הַיּ֥וֹם הַזֶּֽה:
 
Questa è la versione latina della Vulgata:

Philisthim autem tulerunt arcam Dei et asportaverunt eam a lapide Adiutorii in Azotum tulerunt Philisthim arcam Dei et intulerunt eam in templum Dagon et statuerunt eam iuxta Dagon cumque surrexissent diluculo Azotii altera die ecce Dagon iacebat pronus in terram ante arcam Domini et tulerunt Dagon et restituerunt eum in loco suo rursumque mane die alio consurgentes invenerunt Dagon iacentem super faciem suam in terram coram arca Domini caput autem Dagon et duae palmae manuum eius abscisae erant super limen porro Dagon truncus solus remanserat in loco suo propter hanc causam non calcant sacerdotes Dagon et omnes qui ingrediuntur templum eius super limen Dagon in Azoto usque in hodiernum diem.
 
Questa è la traduzione CEI 2008: 
 
5 I Filistei, catturata l'arca di Dio, la portarono da Eben-Ezer ad Asdod. 2 I Filistei poi presero l'arca di Dio e la introdussero nel tempio di Dagon. 3 Il giorno dopo i cittadini di Asdod si alzarono ed ecco Dagon giaceva con la faccia a terra davanti all'arca del Signore; essi presero Dagon e lo rimisero al suo posto. 4 Si alzarono il giorno dopo di buon mattino ed ecco Dagon con la faccia a terra davanti all'arca del Signore, mentre il capo di Dagon e le palme delle mani giacevano staccate sulla soglia; solo il tronco era rimasto a Dagon. 5 A ricordo di ciò i sacerdoti di Dagon e quanti entrano nel tempio di Dagon in Asdod non calpestano la soglia fino ad oggi.
 
Il versetto רַ֥ק דָּג֖וֹן נִשְׁאַ֥ר עָלָֽיו raq dāgōn nishʾar ʿālāyw è stato equivocato e mal tradotto. La Vulgata traduce, come la CEI 2008: "solo il tronco di Dagon era rimasto (a lui)". La parola raq significa "solo, soltanto, esclusivamente". Così la parola per "tronco" è sottintesa. David Kimhi (XIII secolo) interpretò quindi "il tronco di Dagon" come "la parte in forma di pesce del suo corpo", ritenendo che la forma corretta dovesse essere raq dāgō, "solo il suo pesce": omettendo la -n finale, il nome di Dagon veniva a essere la parola comune dāgō "il pesce di lui". Già Shlomo "Rashi" Yitzchaki (XI secolo) era giunto a conclusioni simili prima di Kimhi. Nel XIX secolo questa erronea convinzione, sostenuta da Julius Wellhausen, fu rafforzata dalle scoperte archeologiche mesopotamiche, che portarono alla luce numerose raffigurazioni di divinità con caratteri teriomorfi di pesce. Si trattava degli Abgal (Apkallu in accadico), esseri sapienti tra cui vi era Uanna (grecizzato in Oannes), emerso dal Golfo Persico ai primordi del genere umano per insegnare i rudimenti della civiltà alle genti della Mesopotamia. Questi Abgal nulla hanno a che vedere con Dagon. Una bella lezione per i fautori del primato dell'archeologia sulla linguistica! 
 
Il primo a dubitare del mito del Dio Pesce fu Hartmut Schmökel, che nel 1928 pubblicò il suo lavoro Der Gott Dagan; Ursprung, Verbreitung und Wesen seines Kultes. Oggi nessuno studioso serio sostiene più l'iconografia tradizionale dell'ibrido ittiomorfo, che tuttava continua ad essere presente nella cultura popolare. 
 
Esistono altre ipotesi, a mio avviso poco plausibili:
1) In arabo esiste la parola dajana "essere tenebroso, nuvoloso", che deriva da una protoforma *dagana, visto che in tale lingua il fonema protosemitico velare /g/ è diventato palatale, evolvendo in /dʒ/ in modo sistematico. Sempre in arabo si ha anche dajj "pioggia", forse in qualche modo connesso alla radice di dajana (forse, perché esiste anche la parola dujn "tenebra"). Secondo questa ipotesi, Dagon sarebbe addirittura una divinità uranica, paragonabile a Giove. 
2) Nella lingua degli Hittiti esiste la parola tekan "terra", che ha la variante dagan. Così dankuiš daganzipaš significa "Terra Nera", o meglio "Oscuro Genio della Terra": è un nome dell'Oltretomba. Daganzipa è poi il nome di una dea che corrisponde a Persefone, traducendo l'epiteto greco Khthonía "Sotterranea", e deriva anche dalla stessa radice. Secondo questa ipotesi, Dagon verrebbe ad essere nientemeno che una divinità ctonia, legata al sottosuolo e al mondo del Morti. 
 
Questi sono in sintesi i dubbi: 
 
i) Le caratteristiche di Dagon postulate da queste etimologie non corrispondono a quelle dimostrabili. 
ii) Le parole arabe dajana e dajj hanno origine incerta; non è nemmeno chiaro il rapporto che intercorre tra loro e non se ne trova traccia, a quanto ne so, nell'area in cui Dagon era venerato.
iii) Non mi risulta che il culto di Dagon fosse tipico dell'Asia Minore.
iv) Un tiranno di Purushanda, in Asia Minore, portava il nome di Nur-dagan. Visse all'epoca di Sargon, che lo vinse e lo spodestò. Esiste anche la variante Nur-daggal, che complica le cose. Potrebbe non avere connessione alcuna con Dagon. 
 
H. P. Lovecraft e Dagon 
 
Howard Phillips Lovecraft fu l'autore di un racconto breve intitolato Dagon. Lo scrisse nel luglio del 1917, riuscendo a farlo pubblicare su The Vagrant nel 1919. Dopo alcuni anni, nel 1923, Dagon apparve su Weird Tales. La storia fu ispirata in parte da un incubo che funestò il suo sonno in un'occasione. Così ebbe in seguito a descriverlo: "Ho sognato tutto quell'orribile strisciare, e riesco ancora a sentire la melma che mi risucchia!" ("I dreamed that whole hideous crawl, and can yet feel the ooze sucking me down!"). Bisogna stare attenti a non equivocare: la creatura che appare nel racconto non è denominata "Dagon". È un gigantesco mostro viscido che striscia verso un monolito alieno, abbracciandolo in adorazione. Un devoto quindi, più che il demone oggetto del culto. Il teonimo che dà il titolo all'opera del Solitario di Providence può così essere interpretato: il protagonista, conscio dell'esistenza e della terrificante natura del Signore degli Abissi, deve avergli dato un nome biblico che conosceva bene e che lo faceva tremare dall'orrore. La confutazione del mito del Dio Pesce ad opera di Schmökel sarebbe giunta soltanto pochi anni più tardi, ma questo è per noi irrilevante. Possiamo dire che Dagon e Nodens siano i soli nomi di divinità realmente adorate da popoli della Terra ad essere stati utilizzati da Lovecraft, che ha sempre preferito servirsi di spaventosi suoni di ben altra origine, non appartenenti al mondo che conosciamo.

martedì 2 aprile 2019

UN VOCABOLO NORRENO PER INDICARE LA DIVINITÀ PAGANA: FJARG

Approfondendo i miei studi di lessico norreno, la mia attenzione è caduta sulla seguente voce, estratta dal dizionario di Zoëga

fjarg (n.), divinità pagana
   pl. fjǫrg, divinità pagane


Derivati:
fjarg-hús (n.), tempio pagano 

La forma protogermanica ricostruibile è *fergwan "divinità, deità" (secondo un'altra metodologia si ottiene *firgwan, ma la sostanza non cambia). La mente va subito al gotico fairguni /'fεrguni/ "montagna", che ha un perfetto corrispondente nel norreno Fjǫrgyn (f.) "Madre Terra" (gen. Fjǫrgynjar). Se si volesse procedere a ritroso fino all'indoeuropeo, si arriverebbe alla radice *perkw- "quercia", che si trova nel teonimo lituano Perkūnas (lettone Pērkons, antico prussiano Perkūns, Perkunos, iatvingio Parkuns), che indicava un dio uranico rossochiomato in tutto e per tutto simile al tonante Thor. Tutto sembra così andare liscio e non presentare alcun problema. Ci sono tuttavia alcune difficoltà che reputo non proprio irrilevanti. La forma norrena fjarg implica un accento anomalo: per spiegarla occorre ricostruire un indoeuropeo *perkwóm. Perché tale accento e - soprattutto - perché il genere neutro? 

Che dire poi dello slavo Perun, teonimo che richiama immediatamente il baltico Perkūnas? Eppure c'è una difficoltà a prima vista insormontabile. Come mai nella forma slava manca la consonante velare? Come appare subito ovvio, non è possibile che un gruppo consonantico -rk- si sia semplificato in -r- per azione della magia. Si può immaginare che Perun e Perkūnas abbiano diverse etimologie? Direi di no. I casi sono due: 1) l'alternanza problematica -rk- / -r- era tipica di una lingua ignota e non indoeuropea; 2) la forma base ha -r-, mentre l'altra con -r-k- mostra l'aggiunta di un suffisso in velare -k-, e in ogni caso si tratterebbe di materiale non indoeuropeo. Secondo il mio modesto avviso, sarebbe meglio considerare fjarg un vocabolo di origine preindoeuropea. Sergei Nikolayev fa molta confusione, separando Perkūnas da Perun e accostando il secondo all'ittita piruna-, peruna- "pietra". Non è poi che un confronto con le lingue anatoliche risolva la questione, come se ogni radice documentata in esse fosse in automatico una prova inconfutabile di indoeuropeità. Dubbi e incertezze non mancano di certo!

Veniamo ora a un bizzarro caso di decostruzionismo che ho reperito nel Web. Si tratta di un caso notevole, perché mi sono accorto che predata di gran lunga l'opera di Jacques Derrida. In un dizionario online ho potuto assistere al tentativo di eliminare l'esistenza stessa del vocabolo fjarg "divinità pagana". Ho poi constatato che gli autori dell'opera sono proprio Cleasby e Vigfusson: la data di pubblicazione del loro dizionario Islandese - Inglese è il 1874. Gli autori partono dalla constatazione che la parola fjarg-vefjar "seta" (una kenning per silki), alla lettera "tele divine", sarebbe corrotta per *fjarg-vefjaz, *fjarg-vefjask, che dunque sarebbe un verbo riflessivo col significato di "gemere per un peso eccessivo". Una parola formata mala, dato che vefjask significa "essere avvolto; essere impigliato", da vefja "avvolgere". La parola da cui è partita la fabbricazione di Cleasby-Vigfusson deve essere stata fjarg-viðrask "gemere per un peso eccessivo" (elencata poco sotto nel dizionario). A questo punto, dato che il composto fjarg-hús esiste senz'ombra di dubbio, esso è stato spiegato come "case immense, case grandi" (in inglese "huge, big houses") anziché come "templi pagani", attribuendo al prefisso fjarg- il valore di "immenso, grande". Che questa sia un'assurdità si può facilmente dimostrarlo. Nell'islandese moderno - che è una forma attuale di norreno - esiste il composto fjargveður "tempesta" (glossa inglese "storm"). Nel norreno dell'epoca delle saghe si sarebbe detto *fjarg-veðr "tempesta", forma che non sono riuscito a reperire ma che deve essere per forza esistita. Deriva da veðr "tempo" (atmosferico), parola che ha la stessa origine dell'inglese weather, a tutti ben noto. Il significato originale della parola per dire "tempesta" deve essere stato "tempo divino", ossia "tempo di Thor", quindi "tempo diabolico", "tempo funesto", a seguito del mutamento del sentire fattosi strada con l'introduzione del Cristianesimo. Non "grande tempo" o "tempo immenso". Come Gianna Chiesa Isnardi ci ricorda nel suo fondamentale volume I miti nordici (1991), nei tempi tardi Thor era considerato un demone. Era degenerato da divinità uranica a diavolo. Per i Cristiani, Thor esisteva fisicamente e continuò a esistere per diversi secoli dopo che il Paganesimo era cessato come religione organizzata. Gli veniva attruibuito un essere personale e fisico, persino dai missionari. Rispetto ai tempi dell'idolatria, cambiava qualcosa di rilevante: il Dio Fulvo non era più oggetto di adorazione, bensì di esecrazione. È chiaro quindi quale sia il significato originale di fjarg-. Significava "divino", donde si è avuto lo slittamento in "funesto", "diabolico". Il significato di "immenso", "soverchiante" deve essere stato il frutto di uno sviluppo secondario: fjarg-viðrask è giunto a significare "gemere per un peso eccessivo" da un più antico "gemere per un peso sovrumano". Il "peso sovrumano" in questione è un "peso divino" o piuttosto un "peso diabolico", è ovvio.

Ricordo ancora uno squallidissimo film peplum visto in gioventù. C'erano alcuni gladiatori pronti ad andare nell'arena a combattere alla presenza dell'Imperatore. Uno di loro era un superbo trace fulvo con una bella barba. Un vecchio cristiano serviva il pasto ai combattenti, mettendo sulla tavola alcune pagnotte e una brocca di vino. Nel farlo, sperando di farsi riconoscere, tracciava il simbolo del pesce sulla polvere che ricopriva la mensa. Poi iniziava a predicare e invitava i gladiatori a rinunciare al culto di Marte per innalzare preghiere a Cristo. Questi temevano molto la bestemmia del vecchio: il trace, sudando freddo, dichiarava il proprio disagio, aveva paura che Marte si sarebbe adirato e avrebbe ritirato il suo sostegno all'imminente scontro armato. Allora il cristiano diceva: "E come potrebbe adirarsi, visto che non esiste?" Ecco, questo è un grave anacronismo. La domanda, assurda, un antico cristiano non avrebbe potuto farla. Sarebbe infatti tipica di un democristiano o di un adepto di Comunione e Liberazione, non di un cristiano dell'epoca imperiale. Per gli antichi Cristiani, gli Dei di Roma esistevano ma erano diavoli, erano malvagi. Lo stesso atteggiamento era tipico dei Cristiani dei secoli successivi, che ritenevano un demonio ogni divinità dei popoli scandinavi a cui portavano la nuova religione.

sabato 15 dicembre 2018

NOTE SUL LAVORO DI VERHASSELT

Gertjan Verhasselt (Ludwig-Maximilians-Universität München) è l'autore dell'articolo The Pre-Greek Linguistic Substratum - An Overview of Current Research, apparso su Les Études Classiques 77 (2009), pag. 211-239. L'articolo è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link:


Anche un altro articolo dello stesso autore, The Pre-Greek linguistic Substratum - A Critical Assessment of Recent Theories è presente nel sito Academia.edu, consultabile e scaricabile liberamente al seguente link:


Questo è l'abstract del primo articolo di Verhasselt, da me tradotto dal francese:

La questione della lingua pre-ellenica non ha smesso di attirare l'attenzione dei filologi e dei linguisti a partire dalla fine del XIX secolo. La ricerca attuale si focalizza sullo studio degli elementi del vocabolario greco il cui aspetto esteriore non si conforma alle leggi fonetiche riconosciute. Questo articolo ha per obiettivo passare in rivista le principali teorie linguistiche difese durante gli ultimi tre decenni. Cominciamo il nostro esame con i rappresentanti della vecchia teoria pelasgica, che ricostruiscono il pre-ellenico come una lingua indoeuropea dotata di fonetica particolare. Una seconda corrente di ricerca intende spiegare gli elementi stranieri del vocabolario greco come residui di un sostrato anatolico-luvio. Una terza teoria, che definiamo "egea", si rivela attualmente la più importante: secondo i suoi aderenti, il pre-ellenico è una lingua la cui origine non è indoeuropea né semitica. Infine, la teoria kartvelica è stata elaborata più recentemente delle altre; i suoi difensori identificano il pre-ellenico in larga parte come una lingua kartvelica o sud-caucasica. Questo ha aperto i termini per l'esame di alcuni problemi centrali che incontra la ricerca linguistica del sostrato pre-ellenico. 

Questo è l'abstract del secondo articolo di Verhasselt, sempre da me tradotto:  

Un precedente articolo apparso su Les Études Classiques, aveva presentato diverse teorie recenti sul pre-ellenico (teorie dette "pelasgica", "anatolica", "egea" e "kartvelica"); esse sono qui confrontate sulla base di una selezione di problemi etimologici (specialmente le etimologie di πέλεκυς, di τύμβος, di σῑγή / σῐωπή, di ἀγαθός e del suffisso -νθος). Sono le teorie "egea" e "kartvelica" ad essere le più produttive, anche se pongono ancora diversi problemi metodologici. Le parole più problematiche sono quelle che potrebbero essere state adottate da una lingua semitica e le glosse di Esichio. Inoltre, in qualche caso, una spiegazione all'interno del greco o un'interpretazione indoeuropea sembrano preferibili al postulato di un'origine pre-ellenica.    

Il pelasgico di Georgiev 

La teoria pelasgica fu fondata dal linguista bulgaro Vladimir Ivanov Georgiev (1908-1986) negli anni '40 del XX secolo. Nel suo libro Introduction to the History of Indo-European Languages (1981) egli dedicò un capitolo alla lingua pelasgica, concepita come sostrato indoeuropeo pre-ellenico, cosa che gli attirò feroci critiche. In tale trattato, analizzò diverse voci problematiche della lingua greca, riconducendole alle seguenti mutazioni fonetiche dall'indoeuropeo: 

1) IE *e si conserva, tranne che prima di *nt(h) atono, nel qual caso
    > i
2) IE *o > Pelasg. a
3) Sonanti IE:
   *ṛ, *ḷ, *ṇ, *ṃ > Pelasg. ur / ru, ul / lu, un / nu, um / mu
    rispettivamente
4) Rotazione delle occlusive IE:
   IE *p, *t, *k > Pelasg. ph, th, kh
   IE *b, *d, *g > Pelasg. p, t, k
   IE *bh, *dh, *gh > Pelasg. b, d, g
5) Assibilazione satəm delle palatali IE:
   IE *k' > Pelasg. s, θ
   IE *g', *g'h > Pelasg. z, ð (d)
6) Delabializzazione delle labiovelari IE:
   IE *kw, *gw > Pelasg. k, g
7) Conservazione di IE *s (in posizione iniziale e intervocalica)
8) Dissimilazione delle aspirate: 
    (es. IE *bh...gh... > *b...gh... > p...g...)
9) IE *s- > Pelasg. s- 

Alcune etimologie di Georgiev sono riportate da Francisco Villar nel suo volume Gli indoeuropei e le origini dell'Europa: lingua e storia (1991). Il linguista spagnolo non ha nascosto il fascino esercitato su di lui da questa ipotesi, arrivando a trovare alcune di queste etimologie "brillanti e irresistibili". A quanto sono riuscito a ricostruire, il glossario originale di Georgiev è quello riportato da Cyril Babaev in una sua pagina (con una grezza traslitterazione). Lo propongo in questa sede, con le parole in caratteri greci e aggiungendovi le radici indoeropee a cui sono state fatte risalire: 

ἀλείφω  "io ungo"
   IE *leip- "ungere"
ἀσάμινθος "vasca da bagno"
    IE *ak'men- "pietra", donde *ak'men-to- "fatto di pietra"
ἄστυ "città"
    IE *
astu- "costruzione; dimora"
ἀτέμβω "io offendo"
    IE *dhembh- "maltrattare"
ἄφνος "ricchezza, abbondanza"
    IE *op- < *h3ep- "frutto del lavoro" (cfr. lat. ops, opulentus)
βαλιός "pezzato, macchiato (di bianco)" (1) 
    IE *bhel- "bianco, splendente"
βρέτας "statua, immagine di legno"
    IE *bherdh- "tagliare, incidere" (2)
γαῖα, γῆ "terra, paese"
    IE *g'hdhom- "terra"
δεύω "io irrigo"
    IE *dheu- "correre, fluire"
δύναμαι "io posso"
    IE *dheu- "scuotere; muovere", sanscr. dhūnāti "egli scuote; egli
    fa marciare" (> "egli forza" > "egli è potente") (3)  
εἴκω "io mi ritraggo"
    IE *weig- "evitare, cedere" (cfr. sanscr. vijate "fugge")
ἔλαιον "olio"
    IE *lei- "versare; ungere", donde *loi-
o- "olio"
θεράπνη "dimora" (4)
    IE *treb- / *t
b- / *terəb- "abitazione"
ἴδη "foresta"
    IE *
idhu- "legno"
λάχη "pozzo"
    IE *laku- "corpo d'acqua"
νεώς "tempio"
    IE *nes- "vivere", donde
*nas-o- "dimora (degli Dei)" (5)
πύνδαξ "fondo di vaso"
    IE *bhundh-
< *bhudhn- / *bhudhm- "fondo"
πύργος "torre"
    IE *bh
g'h- "alto" (6)

(1) Tradotto con "bianco" da Babaev.
(2) Con ipotesi ad hoc di dissimilazione inversa *bherdh- > *bherd- > bret-.
(3) Si converrà che la forzatura semantica è assai poco convincente. Meglio collegare il verbo greco al latino bonus < lat. arc. duenos < *d
en- "buono; forte". 
(4) Significa anche "ancella".
(5) Il derivato in questione non è in realtà attestato in nessun'altra lingua IE: l'etimologia è a dir poco forzata
(6) Georgiev presuppone *bh
gh-, in contrasto con la postulata assibilazione di -g'h- in pelasgico.

In realtà le etimologie proposte dall'autore in questione sono più numerose. A titolo di esempio possiamo aggiungere le seguenti:

ἔτνος "zuppa di legumi"
    IE *ed- "mangiare"
ὄμβρος "tempesta di pioggia" 
    IE *bhro- "pioggia" (cfr. lat. imber
σέλας "luce, splendore" 
    IE *sel- "splendore"
σῖτος "grano"
   IE *k'
eid- "bianco" (cfr. got. ƕaiteis "frumento")
σς "scrofa"
    IE *su:- "maiale"
τερέβινθος "terebinto"
    IE *deru- "legno, albero", donde *der
-ent-
τύμβος "tomba"
    IE *dhṃbh- "tomba"
τύρσις "torre"
    IE *dherg'h- "essere forte" 
φιαρός "pingue"
    IE *pei̯ə-, *pi(:)- "grasso"
φύλαξ "guardiano"
   IE *pol-okw- "che guarda la porta" (*)
 
(*) La radice "IE" del primo membro del composto è stata desunta in modo abusivo dal greco πύλη "battente della porta", in realtà di origine ignota. A parer mio è parente dell'etrusco culs-cva "porte", Culsans "Giano", Culsu "Custode della Porta" (un demone femminile) < *kwVl- "porta".

Anche se Verhasselt non cita la questione, una delle teorie georgieviane più notevoli - tanto da sembrare ispirate da un daimon socratico - sembrava aver offerto una soluzione all'annoso problema dei termini pre-ellenici per indicare tipi di danza. 

ἴαμβος "giambo"
   IE *d
i- "due" + *angw- "passo di danza"
θρίαμβος "inno a Dioniso"

  IE *tri- "tre" +
*angw- "passo di danza"
δι
θύραμβος "ditirambo" 
  IE *kwetu̯or- "quattro" +
*angw- "passo di danza"

Per l'elemento *angw-, Georgiev era convinto di aver trovato un valido parallelo nel sanscrito aṅga- "passo di danza" (di etimologia sconosciuta) - anche se con più senno in successivi studi di altri autori l'elemento -amb- è stato ritenuto un mero suffisso pre-ellenico.  
 
Revisioni di Hamp e Witczak 

Eric P. Hamp, maggiore proponente della teoria pelasgica negli anni '80 e '90 dal XX secolo, ha revisionato il lavoro di Georgiev, accettandone molti postulati, ma ritenendo il pelasgico una lingua centum anziché una lingua satəm, forte dell'etimologia di vocaboli come πύργος "torre" (la forma IE è *bhg'h- con palatale, non semplicemente *bhgh-). Questo però farebbe perdere l'etimologia IE di ἀσάμινθος "vasca da bagno", a meno che non si pongano due diversi sostrati, uno centum e l'altro satəm. Krzystof T. Witczak si è cimentato nell'analisi delle glosse di Esichio, che contengono molto materiale pre-ellenico di estremo interesse, facendo i salti mortali per ridurre all'indoeuropeo lessemi come i seguenti: 

χνυλα "noci"
     ricondotto a IE *h2knud- "noce"
θρινία "vite" (Vitis vinifera)
     ricondotto a IE *(s)tṛn- "rigido" 
βήλα "vino"
     ricondotto a IE *gwhe:la: "vino"

Sulla natura indoeuropea di *gwhe:la: c'è molto da ridire, nonostante forme derivate si trovino sia in greco che in sanscrito. Si tratta evidentemente di un remoto prestito da una lingua sconosciuta, dato che sembra indoeuropeo come la parola mafia sembra inglese.

Revisioni di Van Windekens

Continuando sul cammino aperto da Georgev, Albert Joris Van Windekens (1915-1989) ha aggiunto numerose altre etimologie pelasgiche. Tra queste, alcune sono riportate dallo stesso Villar, che ne fa grandi lodi:

βαλανεῖον "stabilimento di bagni"
   IE *bhe:- "scaldare"
   (Villar ha *bhə2no- "bagno caldo")  
βασσάρα "volpe"
   IE *bhaghi-oro- "che mangia uccelli"
γαλλία "intestini"
   IE *ghol- "bile"
ταμί
ς "servo domestico"
   IE *dom- "casa" 

L'etimologia proposta per la parola indicante la volpe è cervellotica e non convince; probabilmente βασσάρα è una glossa di origine libica, che meriterebbe in ogni caso ulteriori ricerche. Invece è importantissima l'etimologia della parola indicante il servo domestico. Infatti la parola all'origine di ταμίας è attestata in etrusco nel testo parlante tesinθ tamia-θura-s "curatore dei servi domestici" (su un affresco etichetta un uomo collerico che sorveglia alcuni infelici cuochi). La radice spiega inoltre due importanti vocaboli etruschi: tamera "tomba, camera sepolcrale", tmia "tempio". Mi sembra chiaro l'iter dell'indoeuropeo *dom-, preso a prestito come *tam-, forse già in proto-tirrenico.

Verhasselt, che sembra poco interessato all'etrusco, cita un lavoro di Van Windekens, il Dictionnaire étymologique complementaire de la langue grecque, la cui prima pubblicazione risale al 1986, specificando che era inteso come un'integrazione ai lavori etimologici di P. Chantraine e di H. Frisk. A quanto riporta Verhasselt, Van Windekens con questo dizionaro etimologico ha iniziato a dissociarsi dall'idea stessa di sostrato pelasgico. Al termine del suo percorso, è giunto a considerare le parole oscure della lingua greca come oscurate nella loro genuina etimologia da complessi sviluppi fonetici come assimilazioni, dissimilazioni, aplologie, metatesi, aferesi e via discorrendo. Tuttavia Verhasselt nella sua discussone riporta un'interessante etimologia pelasgica di Van Windekens, rimasta nel Dictionnaire étyologique:

σοφός "sapiente, intelligente"
   IE *sup-, grado ridotto di *swep- / *swop- "dormire"

Questa trovata si fonda sull'idea della sapienza ottenuta come ispirazione tramite il sogno, assai comune nell'antichità. Ciò che rende questo etimo poco credibile è un fatto molto semplice: in greco si trova anche un altro elemento di sostrato collegato a σοφός, ossia σαφής "chiaro, facile, distinto" (donde l'avverbio σάφα "chiaramente, facilmente, in modo distinto"), che non può risalire alla radice indoeuropea citata, per motivi fonetici. Le possibilità di imbattersi in allucinazioni cognitive è elevatissima quando si gioca col rumore di fondo dell'Antichità defunta.

La teoria anatolica 

Nel 1980 Leonard R. Palmer ha trattato lo spinoso problema della preistoria della lingua greca nel suo lavoro The Greek Language. La sua idea portante era quella dell'identificazione del sostrato pre-greco con la lingua luvia. Il fondamento principale consisteva nell'identificazione dei suffissi -νθ-, -σσ- / -ττ- e -υννα con importanti suffissi anatolici: -anda / -wanda, -ašša e -unni- rispettivamente. Quest'ultimo suffisso deriva da una protoforma -*uwan-, contratta in -unni- in luvio, mentre in hittita si è evoluta in -uman-, -umana-, -umna-, -umma. Anche il suffisso -umn- è ben noto nella toponomastica ellenica, così Palmer ne dedusse che vari dialetti anatolici fossero parlati sul territorio. Potremmo aggiungere due toponimi di cui ci è comprensibile anche la radice: 

 1) Παρνασσός (Parnaso), che corrisponde alla perfezione al toponimo luvio Parnaššaš (derivato da parna- "casa");
  2) Πήδασος (Pedaso), che corrisponde alla perfezione al toponimo luvio Petaššaš (derivato da pata- "piede"). 

Non è difficile comporre una lista di parole greche che hanno corrispondenze anatoliche, ma risulta evidente che si tratta di prestiti, spesso risalenti a lingue della Mesopotamia. 

Ἀπόλλων "Apollo" : hittita Appaliunaš
δέπας "tazza; vaso" : luvio geroglifico tipaš "cielo; tazza"
     (cfr. hittita nēpiš "cielo; tazza") 
ἐλέφᾱς "elefante" : hittita lahpa- "elefante; avorio"
     (a sua volta da una lingua semitica)
κύανος "verderame" : hittita kuwanna- "rame", luvio kuwanza- id.
     (a sua volta dal sumerico)
κύμβαλον "cembalo" : hittita
huhupal- "strumento a percussione
     in legno"
κύμβαχος "elmo" : hittita kupahi- "coprcapo"
μόλυβδος "piombo" : lidio mariwda(ś)- "scuro"
ὄβρυζα "crogiolo" : hittita
huprušhi- "vaso"
τολύπη "gomitolo, palla di lana" : hittita taluppa- "zolla, gleba",
     luvio cuneiforme taluppa-, taluppi- id.

Le idee di Palmer sono state riprese agli inizi del nostro secolo da Margalit Finkelberg (Università di Tel Aviv), nel suo lavoro Greeks and Pre-Greeks (2005). L'autrice lamenta questo fatto: le lingue dell'Asia Minore, che erano inizialmente considerate non indoeuropee, sono state infine ricondotte all'indoeuropeo, mentre l'etrusco, il lemnio, il retico e il sostrato pre-greco continuano dal mondo accademico mainstream ad essere considerati non indoeuropei. Resta il fatto che la teoria anatolica non ha portato grandi frutti sul piano dell'intelligibilità del lessico pre-greco e della toponomastica, non andando molto oltre le identificazioni di pochi suffissi.

La teoria egea

La teoria egea ha il suo precursore nella teoria del sostrato mediterraneo. Il postulato fondante era che il pre-greco fosse una lingua non indoeuropea e non semitica, che si estendeva su larga parte del Mediterraneo. La tesi di dottorato di Eduard J. Furnée (Università di Leida), Die wichtigsten konsonantischen Erscheinungen de Vorgrieschischen (1972) è la pietra miliare: un volume ponderoso costato ben venti anni di lavoro, in cui sono analizzate 4.000 parole, tratte dal dizionario greco di H. G. Liddell e R. Scott, integrate con il lessico di Esichio.
Questi sono i criteri usati per l'attribuzione di un lemma al sostrato preindoeuropeo:
 
1) Occorrenza di certe variazioni fonetiche;
2) Mancanza di una buona etimologia indoeuropea;
3) Uso di certi suffissi e aree semantiche (es. parole tecniche o affettive). 

Queste sono le più importanti variazioni fonetiche riscontrate: 

1) Variazione tra occlusive sorde, sonore e aspirate;
2) Variazione tra occlusive labiali e μ, tra occlusive labiali (o μ) e ϝ, e tra occlusive dentali e σ(σ), ζ (assibilazione);
3) Inserimento di consonanti:
  - nasale secondaria davanti a occlusiva (nasalizzazione);
  -
σ secondaria prima di occlusiva velare o dentale (all'interno di
    parola);
  - inserimento di λ o ρ prima di consonante;
  - dentale secondaria dopo occlusiva labiale o velare;
  - inserimento di dentale prima di consoante velare o labiale;
  - s secondaria dopo di occlusiva labiale (π/β/φ ~ ψ);
  - inserimento di λ o ρ dopo occlusiva (all'interno di parola).

Nella prima appendice, l'autore analizza le variazioni vocaliche nelle voci pre-greche e i fenomeni di protesi vocalica, anaptissi, sincope.
Nella seconda appendice, sono menzionate le seguenti variazioni che non erano state discusse a fondo nel suo lavoro:

1) Variazione tra consonante singola e geminata;
2) Variazione tra liquide (
λ ~ ρ) e variazione tra dentali (inclusa ν) e liquide;
3) Variazione tra velari, labiali (inclusa
μ) e dentali; tra μ e ν;
4) Doppioni con e senza
σ iniziale prima di occlusive e μ (s mobile)
5) Doppioni con e senza κ/γ, τ/θ/δ, ν o λ prima di vocale;
6) Metatesi.

Oltre a connettere tra loro le parole elleniche prive di etimologia indoeuropea, Furnée ha tentato di trovare loro paralleli in altre lingue problematiche (basco, proto-hattico, hurritico, urartaico, lingue caucasiche, burushaski, etc.), pur astenendosi dal prendere posizione sulla precisa parentela genetica del pre-greco. Importanti contnuatori dell'opera di questo pioniere sono stati Raymond A. Brown (Evidence for Pre-Greek Speech on Crete from Greek Alphabetic Sources, 1985),  Robert S. P. Beekes e Frans B. J. Kuiper.

Per un approfondimento della fonologia del sostrato pre-greco rimando al mio articolo: 

NOTE SUL LAVORO DI BEEKES 

La teoria kartvelica

Si tratta di un filone di ricerca completamente nuovo, che connette il pre-greco alle lingue kartveliche, ossia sud-caucasiche (es. georgiano). Somiglianze tra il kartvelico e l'indoeuropeo sono state notate da lungo tempo: molti linguisti le considerano le isoglosse lessicali come presiti dall'indoeuropeo al kartvelico. Per contro, i propolenti della teoria kartvelica sono dell'idea che il flusso sia nella direzione inversa. Tutto è partito da un articolo del 1969 di Rismag Gordeziani, da cui E. J. Furnée ha preso ispirazione, divenendo il fondatore di questa teoria. Le critiche sono fondate soprattutto sulla nostra limitata conoscenza della diacronia delle lingue kartveliche. Furnée non si è scoraggiato e ha elaborato una ricostruzione innovativa della lingua proto-kartvelica, rinvenedo corrispondenze fonetiche regolari col materiale preindoeuropeo presente in greco. Si può a titolo di esempio segnalare la connessione tra il greco δαύω "io dormo" e il georgiano dev-, dv-, d- "giacere". Non si deve per questo credere che Furnée abbia rinnegato i suoi importanti lavori sul sostrato egeo: egli è infatti giunto a supporre l'esistenza di due diversi sostrati, di cui uno mediterraneo (chiamato anche tirrenico) e l'altro kartvelico. Importante è anche la considerazione dell'esistenza di rami occidentali del sostrato tirrenico, non kartvelico, che emergono come sostrati nelle lingue romanze e nelle lingue germaniche. Conto di approfondire gli studi di Furnée, di farne una review e di pubblicarne approfondimenti, pur consapevole di tutte le criticità presentate dalle lingue kartveliche.

Punti che rimangono aperti

Questo è un elenco di problemi tuttora sub iudice, alle quali urge una soluzione non ambigua: 

1) parole pre-greche che mostrano parallelismi in IE;
2) fonologia del pre-greco;
3) morfologia del pre-greco;
4) interpretazione delle variazioni fonetiche descritte da Furnée; 
5) unità del pre-greco. 

Sono incline a ritenere che alcune parole con parallelismi indoeuropei siano davvero prestiti remoti da qualche lingua scomparsa, integrati nel sostrato egeo, mentre altre saranno invece affette da false etimologie. Ad esempio, l'etimologia proposta da Georgiev per ἀσάμινθος "vasca da bagno" ha l'aria di essere il prodotto di un'allucinazione cognitiva. L'analisi della supposta protoforma IE *ak'men-to-s è certamente errata, dato che il suffisso -ινθο- - che si ritrova in moltissime altre parole - prova che la segmentazione corretta è ἀσάμ-ινθ-ος e non *ἀσάμιν-θ-ος. Inoltre il significato antico e centrale del presente vocabolo non è affatto detto che abbia a che fare con la pietra: potrebbe invece essere connesso al concetto di lavare o simili, il che invaliderebbe all'istante ogni speculazione brugmanniana. Insistendo con la ricerca di un'origine indoeuropea delle parole del sostrato pre-greco, si arriva ad inoltrarsi in una palude: per quanto si possano fissare regole fonologiche, si scopre che non possono essere generali, né è possibile risolvere ogni difficoltà invocando variazioni regionali. Basti considerare l'esempio di πύργος "torre", di cui esiste la variante φύρκος, ovviamente non considerata da Georgiev. Come Verhasselt fa notare, solo raramente gli studiosi hanno considerato la possibilità della contemporanea presenza di elementi indoeuropei e non indoeuropei nel materiale pre-ellenico: mi sento di dire che una simile partigianeria sia lontana dal vero spirito della Scienza e causata dalla deleteria impostazione di certi neogrammatici, che reputano le lingue indoeuropee come "moralmente superiori" alle altre e prive per necessità ontologica di qualsiasi commisitione con elementi estranei.

NOTE SUL LAVORO DI DELLA ROSA

Luigi Della Rosa (ldr47@libero.it) è l'autore del lavoro Relativity of linguistic isolation: the Etrucan case, ossia "Relatività dell'isolamento linguistico: il caso dell'etrusco", che può essere consultato e scaricato al seguente link: 


Non sono riuscito a trovare alcuna notizia sull'affiliazione universitaria dell'autore, così posso presumere che sia un ricercatore indipendente. L'articolo, a dispetto del titolo, è in lingua italiana, con un abstract in inglese, che ritengo sommamente utile riportare tradotto:

   A. La lingua etrusca è geneticamente nostratica, come possiamo vedere facilmente considerando la sua grammatica;

   B. In ogni caso l'etrusco non è indoeuropeo;  

  C. Possiamo soltanto pensare a una relativa vicinanza al ramo anatolico dell'indoeuropeo; 

   D. Il lessico dell'etrusco è per la maggior parte non nostratico, a causa dell'influenza di lingue non nostratiche; 

   E. Queste lingue sono il Dené-caucasico, l'afro-asiatico e l'antico europeo (o mediterraneo, per usare una terminologia più vetusta). 

   F. La semplicità della grammatica etrusca (per quanto possiamo dire di conoscerla) e la molteplice origine del suo lessico ci permettono di dire (anche se può sembrare un po' risibile) che l'etrusco è nato come un pidgin ante litteram, sviluppandosi in seguito come creolo. 

Nel corpo dell'articolo i punti sopra riportati sono riportati in forma più estesa. Questo è l'enunciato completo del punto F., che è di estrema importanza: 

   F. l'Etrusco deve essersi dunque formato dalla commistione di lingue diverse ed appartenenti a famiglie diverse; l'apporto esterno che si è riversato su di una base nostratica è stato talmente elevato (come si deduce dalla impossibilità di ricondurre al Nostratico la maggior parte del lessico) che in tal senso possiamo considerare l'Etrusco come formatosi inizialmente come pidgin, per divenire poi una lingua creola ante litteram, benché entrambi i termini appaiano inevitabilmente risibili in quanto per noi anacronistici. 

Queste affermazioni sono interessanti e in gran parte condivisibili, anche se sono convinto che in etrusco la base lessicale riconducibile alle lingue sino-caucasiche sia più antica degli strati di vocaboli somiglianti all'indoeuropeo e ad altre lingue nostratiche. In aggiunta a questo, segnalo che numerosi elementi grammaticali presenti in etrusco possono essere sufficientemente ambigui. 

Non posso fare a meno di evidenziare un annoso quanto misconosciuto problema: come i neogrammatici brugmanniani, anche i nostratisti partono dall'idea che tutto ciò che è attestato in una lingua indoeuropea debba essere necessariamente indoeuropeo. Così commettono gravi errori nella ricostruzione del nostratico, proiettando all'indietro come connaturati elementi che sono penetrati nelle lingue in analisi per influenza di lingue di altri ceppi.

Esempi di criticità morfologiche:

1) Il genitivo etrusco in -(a)l corrisponde al genitivo anatolico in -l, documentato nei pronomi (es. hittita ammel "di me", anzel "di noi", etc.). Questo genitivo anatolico in liquida è un elemento che si trova del tutto isolato nell'indoeuropeo, mentre presenta estese corrispondenze nelle lingue nord-caucasiche. Sono dell'avviso che l'anatolico lo abbia preso da una lingua nord-caucasica, forse proprio quella che dette tanti elementi lessicali al proto-tirrenico. 
  i) Forme come latino tālis, quālis e il ben noto suffisso aggettivale -
ālis, oltre ad alcune formazioni sostantivali in -al, gen. -ālis (animal, gen. animālis, da anima, tribūnal, tribūnālis, da tribūnus, a sua volta da tribus), saranno dovute con ogni probabilità all'influenza dell'etrusco. Non sembrano elementi costitutivi, bensì prestiti avvenuti in un'epoca in cui la lingua dei Rasna era molto influente e godeva di grande popolarità nell'Urbe. Non si devono quindi ritenere queste formazioni latine come eredità indoeuropee.
  ii) Il leponzio Ualaunal, attestato in un'iscrizione trovata a Mesocco, è evidentemente un patronimico da *Ualaunos (cfr. gallico e britannico Vellauno-) e non conta proprio: il suffisso è un palese prestito dal retico, lingua geneticamente imparentata all'etrusco tanto da poter essere definita etrusco alpino. Questo con buona pace di Alessandro Morandi, che a quanto pare reputa l'elemento genuinamente celtico - anche se non credo che possa essere definito un esperto di lingue celtiche antiche e moderne: ho avuto modo di riscontrare nella sua opera inconsistenze abbastanza rilevanti su svariate lingue indoeuropee. Basti citare l'assurdo confronto tra l'antico irlandese am "io sono" (che è da *es-mi, in cui -mi è suffisso verbale di I pers. sing.), e l'etrusco am- "essere" (in cui -m- è parte della radice). Simili cose amene saranno trattate in modo approfondito in un'altra occasione. 
  iii) Il greco τηλίκος "così vecchio; così giovane; così grande" comprende con ogni probabilità una radice indoeuropea *h2el- "crescere, nutrire" (cfr. lat. alere id.). In questo caso la liquida non sarebbe un mero suffisso: farebbe parte di un verbo il cui senso si sarebbe poi oscurato. Si noterà che la posizione dell'accento nell'aggettivo ha qualcosa di anomalo, ci saremmo aspettati una forma ossitona.
  iv) Il Pali tāriṣa- "un tale" ("such a"), citato dagli autori (cfr. Giacalone Ramat, Ramat, 1994, The Indo-european Languages, pag. 102; ed. it. pag. 129), non è in grado di cambiare le cose: il suo isolamento dal materiale latino e greco rende questa forma sospetta. Infatti vediamo che una spiegazione interna chiarissima. Dalla base pronominale eta- derivano le forme etādi
a, etāria, glossate da Allan R. Bomhard come ‘such as this or that; such’. È chiarissimo che dalla base pronominale ta-, la stessa che troviamo in latino, sia derivato questo tāriṣa- (seppur non citato espressamente da Bomhard), dove la rotica -r- non viene da una più antica forma -*l-, bensì da -d-! Così la morfologia di tāriṣa- è stata associata a quella del latino tālis per motivi ideologici, forzando i dati del Pali per trovare un parallelo indoario di un suffisso latino isolato. I comparativisti devono indagare ogni forma che citano, prima di poterla usare! 

2) Il locativo etrusco in -θi corrisponde al locativo greco arcaico in -θι (omerico). Questo elemento morfologico ellenico non trova chiare corrispondenze nelle altre lingue indoeuropee.
Con buona pace di Glen Gordon, -*dhi non è un suffisso indoeuropeo valido. La sua esistenza al di fuori del greco omerico si fonda sul preteso suffisso Pali -hi, fatto risalire a sua volta a un supposto proto-indoeuropeo -
*dhi. Il problema è che un simile suffisso non esiste affatto nella lingua dei canoni buddhisti. Si tratta di un grave equivoco, in quanto questo -hi è stato scorporato in modo abusivo dall'uscita del locativo -mhi (es. dhammamhi "nella dottrina"). Peccato che questo sia soltanto una variante di un più antico -smiṁ (es. dhammasmiṁ "nella dottrina"), tra l'altro ben documentato in Pali come forma più colta. Per chi non volesse crederci, rimando alla meritoria opera di Allan R. Bomhard Introduction to Pāḷi grammar
Non si può far conto sul latino ubi, alicubi, ibi, che possono essere formate con il suffisso "strumentale" -*bhi (cfr. lat. ambi-, am-, an-; greco ἀμφι-). Né si può far molto affidamento su forme sanscrite come iha "qui, in questo luogo" (Pali idha), adhi "sopra; inoltre", etc., i cui suffissi si presentano fossilizzati: non sono formazioni chiare e risalgono a una remotissima preistoria difficilmente esplorabile con i mezzi a nostra disposizione. 
Il problema si complica ulteriormente se consideriamo che il suffisso etrusco -θi (e varianti) non funziona esattamente come l'omonimo suffisso del greco antico. Se nella lingua di Omero -θι si aggiunge al nudo tema delle parole (es. τηλό-θι "a distanza, lontano da", νειό-θι "sotto, sul fondo", ἐγγύ-θι "vicino", ὑψό-θι "in alto", Ἰλιό-θι "a Troia", ὀικό-θι "a casa"), in etrusco si hanno formazioni più complicate. Se un nome termina in consonante o in -i, il suffisso è aggiunto direttamente: śuθi-θ, śuθi-ti "nella tomba", haθr-θi repin-θi-c "nella parte anterore e nella parte posteriore", raχ-θ "nel luogo del fuoco", spel-θi "nella cavità", fals-ti "sulla torre". Se un nome termina in -a, allora -θi in genere si aggiunge al locativo in -ai (neoetr. -e), dando -ai-θi (neoetr. -eθ, etc.): spure-θi "nella città" < *spura-i-θi; spelane-θi "nello spazio della cavità"; mlesiê-θi-c "e sull'altura". Il suffisso può anche essere aggiunto al genitivo in -(a)l o in -s, come in Uni-al-θi "nel (tempio) di Giunone", Tin-s-θ "nello (spazio) di Giove". Una simile formazione è molto comune con i pronomi: da eca, ca "questo" derivano le forme ec-l-θi, c-l-θi, c-l-θ, -c-le-θ , ca-l-ti "in questo". Da mutna "sarcofago" è attestato l'anomalo mutnia-θi "nel sarcofago", che potrebbe stare per *mutnai-θi o più probablmente per *mutnial-θi. Cfr. Facchetti per maggiori dettagli.

3) La copulativa enclitica etrusca -c "e", generalmente fatta risalire all'indoeuropeo -*kwe, nonostante in alcune iscrizioni sia ben attestata la sua forma antica -ca. A mio avviso esiste anche la concreta possibilità di una connessione con la forma anatolica (luvia) -ha, che sembra incompatibile con la forma indoeuropea ricostruita, ma che potrebbe avere paralleli in alcune lingue nord-caucasiche. Si noterà che l'esito diretto dell'enclitica luvia -ha in lidio è proprio -k (ad esempio in est mrud eśś-k vãnaś "questa stele e questa tomba). Chiaramente i neogrammatici, che vogliono ricondurre l'anatolico all'indoeuropeo di Brugmann, sostengono la derivazione del lidio -k proprio dall'indoeuropeo
-*kwe, nonostante non si riescano a trovare tracce di tale enclitica nel materiale hittita e luvio. In realtà è molto probabile che le lingue anatoliche e le lingue indoeuropee propriamente dette derivino da una protolingua comune, l'indo-hittita, e che numerose caratteristiche ricostruite dai neogrammatici siano innovazioni posteriori alla separazione dei due rami derivati. Detto questo, vediamo quanto sia ben più facile e diretto far derivare il lidio -k dal luvio -ha, tramite trasformazione del suono aspirato in un'occlusiva. Uno sviluppo fonetico che potrebbe essere avvenuto anche in etrusco e che in ogni caso ci invita alla prudenza.

4) La copulativa enclitica etrusca -(u)m "e" corrisponde alla copulativa enclitica anatolica -ma, che si trova sia in hittita che in luvio. Questa particella è attribuita all'indoeuropeo comune dai neogrammatici e dai loro eredi, nonostante appaia evidente che si trova soltanto in anatolico. Estenderla al proto-indoeuropeo senza motivazione appare una procedura altamente abusiva. Sono invece presenti interessanti paralleli in alcune interessanti lingue non indoeuropee e non semitiche, in genere considerate isolate ma in realtà imparentate col ceppo nord-caucasico: l'hurritico, l'urartaico e il proto-hattico. Così, a titolo di esempio, abbiamo in proto-hattico wašhap-ma "e gli Dei"; in hurritico na-akki-ma Pur-ra-an a-az-zi-i-ri ta-am-ra e-bi-ir-na za-a-zu-lu-u-uš-te-ri "e liberate Purra (il Servo), il prigioniero, che deve dare cibo a nove re". Quindi possiamo dedurre che -ma "e" era una caratteristica di una lingua scomparsa e ignota, che è penetrata - probabilmente per ragioni culturali e religiose - in diverse lingue dell'area, molto diverse tra loro, venendo così adottata anche dagli antenati degli Ittiti e dei Luvi. 


I problemi sono di certo numerosi, tanto che spesso una risposta trovata a fatica genera un'infinità di nuove domande. Tuttavia sono convinto che valga la pena di indagare a fondo l'origine della lingua etrusca, anche a costo di addentrarci in un ginepraio inestricabile. Sono e resterò sempre dell'idea che sia necessario un lavoro di ricostruzione delle protolingue che parta dalle lingue attestate per risalire con pazienza alle forme antiche: soltanto così si potranno ricostruire in modo sufficientemente affidabile protolingue ancora più remote. Diffido invece dei confronti troppo superficiali fatti tra lingue molto lontane senza il sostegno della ricostruzione protolinguistica. Per questo motivo il lavoro di Della Rosa, notevole per aver posto il problema delle origini composite dell'etrusco, tende a sfilacciarsi quando riporta confronti concreti tra il suo lessico e quello di svariate lingue nostratiche e non nostratiche. Alcune proposte sono decisamente audaci. Ad esempio quando egli riconduce l'etrusco zal "due" alla radice globale pal "due", presupponendo una palatalizzazione *pjal- seguita da palatalizzazione. Alessandro Morandi e Massimo Pittau per contro presuppongono che zal "due" sia riconducibile all'indoeuropeo *dwo-, sempre tramite alterazione della consonante iniziale. Prima di poter decidere verso che direzione bisogna andare, occorre sapere qualcosa di più sulla protolingua da cui l'etrusco si è evoluto. Sono pronto a difendere a spada tratta l'idea di Della Rosa sull'origine delle lingue tirreniche da un pidgin sviluppatosi in creolo, biasimando l'immobilismo del mondo accademico che reputa l'etrusco scaturito dal Nulla come una sfinge incomprensibile. Questo non risolve tuttavia in modo automatico i problemi, semmai li complica a dismisura. Ogni volta che ci si impegna in un'indagine etimologica, il rischio è quello di partire da un'ipotesi errata, finendo così su percorsi che non portano da nessuna parte. Il nostro nemico è il rumore di fondo, manifestazione somma dell'entropia cognitiva che dissolve ogni testimonianza del passato. Ci vorranno decenni per avere un'idea più chiara della questione, posto che l'ostruzionismo dei settari archeologi permetta alle acque torbide di sedimentare.