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mercoledì 4 agosto 2021

IL SALMO CANARIO O PADRE NOSTRO GUANCHE: UN FALSO STORICO

José Barrios García è l'autore dell'articolo Las seis vidas de una frase: el salmo canario o padrenuestro guanche, ossia "Le sei vite di una frase: il salmo canario o padrenostro guanche", pubblicato nel 2016 sulla rivista Tabona. Revista de prehistoria y de archeología (Universidad de la Laguna, vol. 21). Il lavoro, presente nel sito Academia.edu, è liberamente consultabile e scaricabile al seguente link: 
 
 
Nel 1934, Emilio Hardisson y Pizarroso presentò all'Instituto de Estudios Canarios una frase che avrebbe dovuto essere la traduzione del Salmo 113 nella lingua preispanica delle Canarie. Questa frase, riportata in un manoscritto datato 1803, era la seguente: ATISA CAGNREN CHA ONDIKHUESATE ANTICHIAHA ONANDA ERARI. La presunta traduzione in spagnolo sarebbe questa: "Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor", ossia "Dall'Oriente all'Occidente è lodevole il Nome del Signore". La traduzione CEI del testo biblico è la seguente: "Dal sorgere del sole al suo tramonto sia venerato il nome del Signore". Sorvoliamo sulla discrepanza tra le varie traduzioni. Tutto molto suggestivo. Peccato che si tratti di un colossale imbroglio, come Barrios García ha potuto dimostrare con argomenti solidissimi. All'epoca, Dominik Josef Wölfel e altri studiosi non sono riusciti a concludere nulla sull'affidabilità di questo documento e sul suo significato reale, giungendo a fatica alla conclusione che potesse trattarsi della prima frase del Padre Nostro: da ciò è derivata la denominazione tradizionale di Padre Nostro Guanche. Penso che sia importante parlarne per vari motivi. Innanzitutto, nessuno in Italia a quanto pare si occupa delle lingue degli antichi Canari. Inoltre questa è la cronistoria di un falso storico particolarmente nocivo e persistente, dal momento che è persino stato utilizzato come simbolo da movimenti religiosi che possiamo soltanto definire posticci. Già è di estrema difficoltà far luce sul passato del genere umano, con tutte le lacune che minacciano la Conoscenza ad ogni passo. Se poi ci si mettono coloro che diffondono informazioni fittizie, non si può riuscire a ottenere alcun risultato utile, si viene costantemente intralciati e si rischiano conclusioni fuorvianti - come questo caso dimostra al di là di ogni dubbio.
 
L'autore dell'articolo parte dall'origine dell'equivoco che ha dato vita al falso storico del Padre Nostro Guanche, seguendone passo per passo lo sviluppo attraverso i secoli. Credo che sia più efficace compiere il percorso a ritroso. 

Nel 2011, Ignacio Reyes García, autore del famoso Diccionario Ínsuloamaziq, è partito dalla frase trasmessa dalla "tradizione orale", riportata da Fernando Hernández González nel suo libro Taucho, la memoria de los antiguos (2010), soltanto di poco diversa da quella pubblicata da Hardisson y Pizarroso:

Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari. 

Così Reyes García l'ha "trascritta", trasponendola in berbero, nella miglior tradizione dei traduttori magici

A ətti ččaš šagren ša ondi, Wassksaḍ anti išačča-ana, onan-da er ăr-i.

Quindi ne ha dato una "traduzione letterale": 

"Desde que el incremento el brillo duradero hacia el término, Dios el origen nos sustenta, el propio nominativo hasta mi objeto más preciado."
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Poiché accresce lo splendore duraturo del termine, Dio l'origine ci sostiene, il nominativo stesso al mio oggetto più prezioso."
 
Ha fatto seguito una traduzione figurata: 
 
"Desde el naciente del Sol hasta el ocaso, Dios es la causa que nos sustenta, incluso el nombre mismo [es] mi ser más querido." 
 
In italiano suonerebbe così: 
 
"Dal sorgere del Sole al tramonto, Dio è la causa che ci sostiene, anche il nome stesso [è] il mio essere più caro."
 
Veniamo ora alla "tradizione orale" di partenza. La frase fece la sua misteriosa comparsa verso il 1970 nel contesto dei movimenti religiosi canari fondati sul recupero della spiritualità e dei rituali degli antichi Guanche. La fonte ultima a cui Reyes García ha potuto risalire sarebbe stata un documento degli inizi del XIX secolo, che fu evidentemente consultato da un antenato dell'informatore. Credo che a questo punto sia opportuno riportare le testimonianze contenute nell'articolo di Barrios García, per necessità di conoscenza.
 
"[La frase] figura en un documento fechado en 1803 que recopila esta fórmula en diversos idiomas, aunque la versión que da entrada a este asiento fue recogida por Fernando Hernández González de su abuelo Isidro Hernández, quien la pronunciaba durante la celebración del ritual del Achún Magec."  
 
Traduzione: 
 
"[La frase] appare in un documento del 1803 che riporta questa formula in varie lingue, anche se la versione che dà accesso a questa voce è stata raccolta da Fernando Hernández González presso suo nonno Isidro Hernández, che la pronunciò durante la celebrazione del rito dell'Achún Magec." 
 
E ancora (il grassetto è mio): 

"Según el periodista y escritor Fernando Hernández González, su abuelo, Isidro Hernández, natural de Lomo Mena, en la comarca de Agache (sur de Tenerife), acudía con un grupo de amigos a las Piedras de Ayesa (Arafo) en la madrugada de cada 21 de junio para celebrar un pequeño ritual que denominaba «Achún Magec» [...]. Durante esta ceremonia solsticial, pronunciaba su propia versión del salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»..."  
 
Traduzione: 
 
"Secondo il giornalista e scrittore Fernando Hernández González, suo nonno, Isidro Hernández, originario di Lomo Mena, nella regione di Agache (a sud di Tenerife), si recò con un gruppo di amici alle Piedras de Ayesa (Arafo) nei primi anni mattina di ogni 21 giugno per celebrare un piccolo rito che chiamò «Achún Magec» [...] Durante questa cerimonia solstiziale, pronunciò la propria versione del Salmo 112: «Atixa chaeren chaondi xuexate anti chaxana onanda erari»...)" 

Ecco altre informazioni utili sulla linea esoterica fittizia:
 
"Sin embargo, no consta tampoco la línea de transmisión a través de la cual recibió esta sentencia [el abuelo de F. Hernández], aunque una fecunda tradición oral parece haber sido conocida por algún otro antepasado de su familia paterna (en particular, su abuelo, Agustín Hernández Izquierdo, cabrero en la zona de Anocheza)."  
 
Traduzione: 
 
"Tuttavia, non si conosce la linea di trasmissione attraverso la quale [il nonno di F. Hernández] ricevette questa frase, anche se sembra che una fruttuosa tradizione orale sia stata conosciuta da qualche altro antenato della sua famiglia paterna (in particolare, suo nonno, Agustín Hernández Izquierdo, capraio della zona di Anocheza)."
 
Orbene, credo che a questo punto anche un orango capirebbe che il documento del 1803 contenente la supposta frase canaria è proprio quello citato da Emilio Hardisson y Pizarroso nel 1934. A quanto pare, lo studioso non ha mai visto quel libro con i propri occhi, ne ha soltanto sentito parlare (il grassetto è mio): 
 
"En ese documento [...] descubrí la siguiente frase en canario: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari», que quiere decir en castellano: «Desde el Oriente hasta el ocaso es loable el nombre del Señor»" 
 
Traduzione: 

"In quel documento [...] Ho scoperto in canario la seguente frase: «Atisa cagnren cha ondikhuesate antichiaha onanda erari", che in spagnolo significa: "Dall'Oriente all'occidente è lodevole il nome del signore"."
 
L'interesse accademico per la frase riportata da Hardisson y Pizarroso e discussa da Wölfel si è estinto presto, dopo alcune sterili polemiche, ma dura tuttora la sua sopravvivenza nel panorama delle bizzarre credenze legate al ricordo degli antichi indigeni. 
 
L'inghippo 
 
Ecco che i nodi vengono al pettine! Proprio nel 1803, Francisco M.a de Ardanaz y Ormaechea (1780 - 1825), giovane custode della Biblioteca Reale che con tempo sarebbe diventato uno dei calligrafi più famosi del Regno di Spagna, preparò con la massima cura una pergamena con testi scritti nelle lettere in uso nelle nazioni delle quattro parti del mondo conosciuto. La pergamena in questione è dedicata al bibliotecario reale, don Pedro de Silva y Meneses, a Madrid, il giorno 23 dicembre 1803. Ardanaz y Ormaechea ha riprodotto liberamente un'incisione del gesuita tedesco Athanasius Kircher (1602 - 1680), Horoscopium catholicum Societ. Iesu, includendovi le versioni del Salmo 113 in varie lingue. A questo punto è stato commesso un errore madornale: dove il testo di Kircher riporta come nome della lingua Canadicè, ossia "Canadese", il calligrafo spagnolo ha scritto con improvvido rotacismo Canaricè, ossia "Canario"
 
L'Horoscopium catholicum di Kircher, contenuto nella sua opera Ars magna lucis et umbrae, pubblicata a Roma nel 1646, mostra Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, ai piedi di un olivo le cui ramificazioni rappresentano la divisione provinciale del suo ordine. I quattro angoli dell'incisione sono ornati con 34 frasi in altrettante lingue. Almeno dieci di queste frasi sono traduzioni del terzo versetto del Salmo 113 (112 secondo un'altra nomenclatura): "Dall'Oriente all'occidente è venerato il nome del Signore". L'angolo superiore destro dell'incisione mostra il versetto tradotto nelle seguenti lingue: Lusitanicé (Portoghese), Sardicè (Sardo), Siam (Thailandese), Chilichè (Mapudungun, un tempo detto Araucano), Canadicè (Wyandot, ossia Urone) e Mexicè (Nahuatl o Azteco). La frase contrassegnata con Canadicè è così scritta: "Atisacagnren cha ondikhucȣatè atichiahà onandaeraƨi". La si riconosce subito.
 
Il Salmo Canario è nella lingua di Magua!   
 
Qualcuno si ricorda L'ultimo dei Mohicani, il romanzo di James Fenimor Cooper? Un tempo il suo successo è stato considerevole e quasi tutti l'avranno letto quando erano bambini. Il "cattivo" del romanzo è Magua, della tribù degli Uroni. Ecco, la frase "Atisa cagnren cha ondikhuesate atichiaha onanda erari" è formulata nella lingua di Magua, non in lingua Guanche! 
 
Il testo originale si trova nell'opera del gesuita francese Jean de Brébeuf (1508 - 1649), Relation de ce qui s'est passé dans le pays des Hurons en l'année 1636 (ossia "Relazione di ciò che accadde nel paese degli Uroni nell'anno 1636"), pubblicata a Parigi nel 1637. Nelle pagine 48-49 del volume in questione, è contenuta una lunga orazione nella lingua degli Uroni (il cui endoetnico è Wyandot), con traduzione interlineare in francese. 
 
Barrios García si è limitato a riportare la fotografia di un estratto del testo originale di Brébeuf del 1637, una scelta che a me sembra poco felice, in quanto non permette di apprezzare appieno l'enorme portata della scoperta. Riporto quindi il testo integrale dell'orazione nella lingua degli Uroni (Wyandot), con evidenziate in grassetto e in rosso le parole interessate, che sono poi state utilizzate per fabbricare il falso Padre Nostro Guanche. Il carattere ȣ indica un'approssimante velare /w/, non diversamente dal carattere w dell'inglese want
 
IO SAKHRIHOTE DE SONDECHICHIAI, DINDE ESA D'OISTAN ICHIATSI, DINDE DE HOEN ICHIATSI, DINDE DE ESKEN D'OATATOECTI ICHIATSI; IO SAKHRIHOTE, ONEKINDÉ OERON D'ICȣAKERHA, ATISACAGNREN CHA ONDIKHUCȣATÉ ATICHIAHÀ, ONNE ATISATAȣAN ÀȣETI; AERHON ONATINDECȣAESTI. CAATI ONNE ȣÀTO ESÀTAANCȣAS ECHA ÀȣETI, ÀȣETI ESÀTONKHIENS, ONDAYEE ECHA ȣENDERHAY CHA ȣENDIKHUCȣATÉ OTINDEKHIEN, ȣENDERHAY AȣANDIO AȣATON EȣA TICHIAHA. IO ICHIEN NONHȣA ETSAON HATSACARATAI, ATSATANONSTAT. ENONCHE ȣATINONHȣAKÉ, ENONCHÉ ȣATIRIHȣANDERÂKÉ, AONHȣENTSANNENHAN, SERREȣA EȣA D'OTECHIENTI, DIN DE ONGNRATARRIÉ ETSESONACHIEN, SERREȣA ITONDI ; DIN DE ONRENDICH ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE ȣSKENRAETAC ESONACHIEN, SERREȣA ITONDI; DIN DE OKI ESONIATOATA ONDAYEE D'OKIASTI. CHIA DAONONCȣAIESSA D'OKI ASAOIO, SERREȣA ITONDI. OCȣETACȣI SERREȣA EȣE D'OTECHIENTI. IESUS ONANDAERARI DIEU HOEN ONDAYEE ACHIEHETSARON DE HIAISTAN, ONEKÉ TEHIAMONSTAS, CHIA DESA ȣARIE IESUS ONDȣE DE CHIKHONCȣAN, ONDAYEE ITONDI CHIHON, TO HAYAȣAN.  

Riporto anche la traduzione in francese, che nel testo compare in forma interlineare in caratteri più piccoli rispetto a quelli usati per il testo nella lingua degli Uroni. Mantengo l'ortografia originale, che presenta alcune differenze rispetto a quella attualmente in uso (il carattere ſ variante di s; u al posto di v intervocalica e v al posto di u iniziale, etc.).
 
"Sus eſcoutez vous qui auez fait la terre, & vous qui Pere vous appellez, & vous ſon fils qui vous appellez, & vous Eſprit Sainct qui vous appellez, ſus eſcoutez car ce n’eſt pas choſe de peu d’importance que nous faiſons, regardez ces aſſemblez enfans, deſia ce ſont tes creatures tous ; parce que on les a baptiſez. Mais voicy que vne autrefois nous te les preſentons eux tous, nous te les abandonnons tous, c’eſt ce que penſent ce que voila aſſemblées femmes, elles penſent maiſtre qu’il ſoit de tous les enfans. Sus donc maintenant prenez courage gardez-les, defendez-les. Qu’ils ne deuiennent point malades, qu’ils ne pechent iamais, deſtournez tout ce qui eſt mal ; que ſi la contagion nous attaque derechef, deſtourne-là auſſi ; que ſi la famine nous attaque deſtourne-la auſſi ; que ſi la guerre nous aſſault deſtourne la auſſi ; que ſi le demon nous prouoque, c’eſt à dire le mauuais demô, & les meſchans qui par poiſon font mourir, deſtourne les auſſi. Finalement deſtourne tout ce qui eſt de mauuais. Ieſus noſtre Seigneur de Dieu Fils, c’eſt ce à quoy tu exhorteras ton Pere, car il ne te refuſe point. Et vous auſſi Marie de Ieſus la Mere qui eſtes Vierge, cela auſſi dis. Ainſi ſoit-il."  
 
Traduzione, il più possibile letterale:  

"Ascolta, tu che hai fatto la terra, e tu che voi chiamate Padre, e tu che voi chiamate suo Figlio, e tu che voi chiamate Spirito Santo, ascolta, perché non è cosa da poco quello che facciamo, guarda questi bambini riuniti, che già sono tutti tue creature; perché li abbiamo battezzati. Ma ecco, un'altra volta te li presentiamo tutti, li abbandoniamo tutte a te, questo pensano le donne riunite, esse pensano che tu sia il padrone di tutti i figli. Allora adesso prendete coraggio, conservateli, difendeteli. Che non si ammalino, che non pecchino mai, che si allontanino da tutto ciò che è male; che se il contagio ci attacca ancora, allontana anche quello; che se la carestia ci attacca, allontana anche quella; che se la guerra ci attacca, allontana anche quella; che se ci provoca il demonio, cioè il malvagio demonio, e gli empi che con il veleno causano la morte, allontana anche loro. Alla fine allontana tutto ciò che è male. Gesù, nostro Signore di Dio Figlio, per questo esorterai tuo Padre, perché non ti rifiuterà. E anche tu, Maria di Gesù Madre che sei Vergine, hai detto anche questo. Così sia." 
 
Ecco i link al testo di Brébeuf:   


 
Come fa notare Barrios García e come si può desumere da questi documenti, la corretta traduzione della frase fatidica è "Signore, guarda questi bambini riuniti". Non è la prima frase del Padre Nostro e neppure il terzo versetto del Salmo 113. Non va quindi chiamata Padre Nostro GuancheSalmo Canario. Mi si perdoni la provocazione: sarebbe più sensato chiamarla Preghiera di Magua.   
 
Conclusioni 
 
Cosa possiamo dedurre da quanto esposto? Diverse cose, tutte mortificanti, addirittura annichilenti. 
 
Le culture identitarie e i nazionalismi si nutrono spesso di mitologie fabbricate, prive di qualunque rispondenza con la realtà storica. Solo per fare un esempio, a un indipendentista canario non sembra importare molto il concreto recupero dell'autentica lingua Guanche - anche ammesso che sia possibile realizzarlo. Si crea quindi una pseudo-identità, in cui la sola cosa che conta è la contrapposizione al governo della Spagna (che a sua volta agisce come persecutore per distruggere ogni possibile resto della cultura nativa). Una triade perversa in qualche modo accomuna oppressori e oppressi: 
i) un mito fondante, 
ii) una bandiera,
iii) un nemico. 

Conseguenza: una "tradizione orale" va sottoposta a indagini rigorose. Barrios García ci ha mostrato come una "tradizione orale" sicuramente falsa possa durare molto tempo. Ha importanza il fatto che possa trattarsi di un errore fatto in buona fede? Direi di no. Essendo perdute le lingue un tempo parlate nell'Arcipelago, sono sempre possibili fraintendimenti e distorsioni. I Canari leggono libri sulla cultura e sulla storia dei Guanche, quindi accedono allo scibile anche nel campo linguistico (parole riportate, frasi documentate, tentativi di analisi). Ciascun lettore, spesso privo di basi, può dare autonomamente vita a una "tradizione orale". 
 
Come possiamo ben comprendere, non ha il benché minimo senso che una frase nella lingua di un popolo indiano d'America venga usata in cerimonie e rituali "Guanche" a Tenerife. Se questo è accaduto, e ci sono prove schiaccianti che sia così, significa che i metodi usati finora dagli studiosi sono inefficaci. Se un "traduttore magico" come Reyes García si impegnasse su un testo pornografico in giapponese, opportunamente traslitterato in caratteri rōmaji, potrebbe analizzarlo come berbero continentale, ottenendone frasi religiose ed esoteriche!

domenica 1 agosto 2021

LE MISTERIOSE ISCRIZIONI SULLA STATUA DELLA VERGINE DELLA CANDELARIA

Già parlammo della singolare mitologia connessa con la Vergine della Candelaria e con il suo culto, popolarissimo nell'arcipelago canario e in molti altri luoghi. Secondo la leggenda, una statua della Vergine Maria col Bambinello in braccio e una candela in mano fu rinvenuta da due pastori Guanche sulla spiaggia di Chimisay a Güímar, nell'isola di Tenerife, quasi un secolo prima della conquista di quella terra ad opera degli Spagnoli. L'anno del rinvenimento secondo alcuni è il 1392. Dopo varie vicissitudini, il simulacro fu riconosciuto come un oggetto divino e venerato dalla popolazione indigena. La figura femminile fu dapprima identificata con la Madre degli Dei, Chaxiraxi, e il bambino con suo figlio Chijoraji. Questo finché un nativo dell'isola, che era stato rapito in gioventù ed era cresciuto in Spagna, riconobbe l'immagine della Vergine e convinse il sovrano a trasferirla in una grotta non condivisa con idoli di divinità pagane. Quest'uomo, noto come Antón Guanche, in seguito fece da traduttore per i missionari che catechizzarono le genti di Tenerife. Tracce dell'antico sincretismo persistono tuttavia fino ai nostri giorni.
 

Riporto la descrizione dell'originale simulacro mariano, fatta da un religioso dell'Ordine Domenicano
, Frate Alonso de Espinosa (1543 - 1616), poi ripresa da un personaggio conosciuto con lo pseudonimo di Frate Juan Abréu Galindo (1535 - ?), dell'Ordine dei Frati Minori. Questo è il testo in spagnolo: 
 
La imagen es de más o menos 5 palmos de altura (aproximadamente 1 metro), contando con la peana en que apoyaba los pies. Su posición era de pie, con la cabeza recta y mirando al frente, teniendo en el brazo derecho al Niño Dios, desnudo, las piernecitas dobladas y los brazos también. Aprisionaba por las alas un dorado pajarito de moñita o peineta, y por último, la Imagen del Niño tenía la cabeza ladeada a la derecha y miraba a algo que estaba a los pies de la Madre. El brazo izquierdo de la Virgen, en posición inverosímil, sostenía al Niño, y en la mano izquierda, que se presentaba en posición cerrada y muy natural, tenía un trozo de vela como un jeme de color verde, que daba a entender podía aumentarse con otro, a voluntad, y por último apoyaba las plantas de los pies sobre una tabla redonda o peana, como de cuatro centímetros de alto, pintada de color encarnado, descubriendose la parte externa del pie izquierdo que salía un poco del diámetro de la peana. La indumentaria constituíala una túnica dorada, imitando el color amarillo, desde el cuello hasta los pies, haciendo el talle un cinturón cerrado, azul, como de dos centímetros de altura. El manto, también azul obscuro, salpicado de flores de color de oro, calíale desde los hombros por uno y otro lado del cuerpo, sujetándolo sobre el pecho una traba cuerda encarnada. La parte del pie que se dejaba ver por los bajos de la túnica, presentaba calzado un chaplín cerrado, de color encarnado. La cabeza de la Santa Imagen adornába la hermosa cabellera partida a la mitad, cayendo sobre los hombros en seis ramales tendidos por la espalda. El rostro muy proporcionado a la estatura, era ligeramenmte ovalado, adornado por rasgados ojos, boca pequeña y bien plegada y con unas hermosas rosas en las mejillas. La Imagen esta adornada en el cuello del vestido, cinturón en los extremos de las mangas y al pie de la túnica con unas letras, que aún en la actualidad, no ha podido entenderse su significado. 
 
Traduzione in italiano: 
 
"L'immagine è alta più o meno 5 spanne (circa 1 metro), compresa la base su cui poggiava i piedi. La sua posizione era in piedi, con la testa dritta e lo sguardo davanti a sé, tenendo il Dio Bambino, nudo, sul braccio destro, le gambette piegate e anche le braccia. Imprigionava per le sue ali un uccellino d'oro con arco o pettine, e infine l'Immagine del Bambino aveva la testa inclinata a destra e guardava qualcosa che stava ai piedi della Madre. Il braccio sinistro della Vergine, in una posizione inverosimile, reggeva il Bambino, e nella mano sinistra, che si presentava in una posizione chiusa e molto naturale, aveva un pezzo di candela di circa una spanna, di colore verde, che lasciava intendere potesse essere aumentata con un altro, a piacere, ed infine poggiava la pianta dei piedi su una tavola o base rotonda, alta circa quattro centimetri, dipinta di rosso, lasciando intravedere la parte esterna del piede sinistro che fuoriusciva un po' dal diametro della base. L'abbigliamento costituiva una tunica dorata, imitante il colore giallo, dal collo ai piedi, formante una cintura azzurra chiusa intorno alla vita, alta circa due centimetri. Il mantello, anch'esso blu scuro, punteggiato di fiori color oro, scendeva dalle spalle ai lati del corpo, tenendolo sul petto con un cordone cremisi. La parte del piede che era visibile attraverso l'orlo della tunica, aveva una scarpetta chiusa, di colore rosso. La testa della Sacra Immagine ornava i bei capelli divisi nel mezzo, che ricadevano sulle spalle in sei ciocche tese lungo la schiena. Il viso era molto proporzionato all'altezza, era leggermente ovale, ornato da occhi a mandorla, bocca piccola e ben piegata e belle rose sulle guance. L'Immagine è ornata sul collo della veste, sulla cintura all'estremità delle maniche e ai piedi della tunica con alcune lettere, il cui significato non è stato ancora compreso."

Vergine della Candelaria, forse opera di Nicolás de Medina Villavencio
(XVIII sec.). Si notano in rosso le lettere misteriose.

 
Nel 1826 la statua scomparve in una tempesta. L'anno seguente fu realizzata allo scultore neoclassico Fernando Estévez una sua copia, che è quella che ancor oggi si può vedere nella grotta dietro la Basilica della Candelaria. La cosa che ha subito destato il mio interesse sono senza dubbio le lettere sulla tunica del manufatto originale, trascritte dallo stesso Frate Alonso de Espinosa e da altri autori. Non mi risulta che siano visibili sul manufatto attuale. 

Queste sono le enigmatiche iscrizioni: 
 
1) Sul bavero:

(E)TIEPESEPMERI
 
2) Sulla manica sinistra:

LPVRINENIPEPNEIFANT

3) In fondo alla veste:

EAFM IPNINI FMEAREI

4) Sulla cintura:

NARMPRLMOTARE

5) Sul mantello, sul braccio destro:

OLM INRANFR TAEBNPEM REVEN NVINAPIMLIFINIPI NIPIAN 

6) Sul bordo della mano sinistra: 
 
EVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVI MERI PIVNIAN NTRHN
 
7) Sul retro della tunica:

NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
 
Esiste qualche incertezza nella trascrizione di queste sequenze di lettere. Ad esempio, alcuni riportano ETIEPESEPMERI, con E- iniziale, molti altri invece hanno TIEPESEPMERI o TIEPFSEPMERI. Allo stesso modo c'è chi legge EVPMIRNA e chi legge FVPMIRNA. La perdita del manufatto originale rende molto difficile appurare quali siano le forme corrette.  
 
Dipinto del XVIII sec. che mostra l'apparizione della Vergine ai Guanche.
Anche qui si notano le lettere misteriose in rosso.

Non appena sono venuto a conoscenza di questo materiale, subito mi sono posto alcune domande. Che lingua è mai questa? Possibile che nessuno abbia mai studiato la questione? 
 
Tentativi infruttuosi 
 
In realtà le iscrizioni della Candelaria sono state studiate da diversi autori. Prima che qualcuno arrivasse a identificare la lingua misteriosa con una forma di Guanche, sono stati fatti numerosi tentativi di decrittazione a partire dal latino e da altre lingue estranee ai primi abitatori dell'Arcipelago. Tutti questi tentativi sono insipienti e noiosissimi. Sono stati elencati e descritti da Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila (2016, 2017, 2020). Li riporto, li riassumo e li commento brevemente in questa sede. 
 
1) Gonzalo Argote de Molina (1548–1596) interpretava le iscrizioni come acronimi di formule devozionali mariane in latino. Solo per fare un paio di esempi, forniva questa spiegazione allucinatoria della scritta TIEPFSEPMERI, risolvendola in "Illustrata Es Patri Filio Spíritu-santo Et Pia Mater Eiusdem Redemptoris Iesu", mentre NARMPRLMOTARE era interpretato addirittura come "Nostrum Altissimum Regem Maria Peperit Reddidit Libertatem Maria Omnibus Tortis A Rege Erebia". Fantasie a dir poco malate. Tra l'altro, il codice non si adatta bene: non è spiegata ad esempio l'iniziale T- della prima formula. (Abréu Galindo, 1676)

2) Athanasius Kircher (1602 - 1680), il famoso gesuita egittologo, se ne è uscito con altre inconsistenze criptiche dello stesso tenore: spiegava TIEPESEPMERI come "Insignes Matris / Tipus Matris", mentre NARMPRLOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Pro nobis ora, vel advocatio / Pro novis ora, vel advocate" - mutilando un certo numero di lettere. (de Andrade 1664; de Béthencourt Massieu 2004; Núñez de la Peña 1676; Vera, 2016)

3) Bartolomé García Ximénez (1622 - 1690) insisteva con queste assurde chiavi di lettura: spiegava ETIEPESEPMERI come "Eccleciae Triumfantis In Excelsis {Preposita/Praeposita} Electa Sanctorum Et Patrona Militantis Ecclesiae Romanae {Infal<l>ibilis / Indefectibilis}", mentre NARMPRLMOTARE è stato ridotto a viva forza a un grottesco "Non Ambio Regnorum Magna Palatia Requiro Litora Maris Oceani {Thenerifensis / Thenerifensia} Ad Rusticos Edocendos". (Moure, 1991; Vera, 2016)

4) John Campbell (1840 - 1904) ha applicato alle iscrizioni la metodologia dei cosiddetti traduttori magici, utilizzando come chiave di lettura una lingua che gli era praticamente ignota: il basco. TIEPFSEPMERI è stato ridotto a un implausibile "ko i en tu po no en tu me ne ra au", ossia "Koi entu pono entu Menera au", tradotto come "Fa sì che la (dea) Menera ascolti la preghiera, ascolti il dolore". NARMPRLMOTARE è stato ridotto a un implausibile "mi ra er mi to ri se me ma gu re er en", ossia "mira erimi etorri seme etna gure erren", tradotto come "Venendo a far allestire uno spettacolo, per dare al figlio la nostra compassione". (Campbell, 1901; Vera, 2016)

5) Antonio María Manrique (1837 - 1907) è partito dal presupposto che le iscrizioni nascondessero una non meglio specificata lingua semitica. I contenuti sarebbero passaggi biblici devozionali. In quest'ottica, TIEPFSEPMERI è stato interpretato come "Maria, piena di grazia", mentre NARMPRLMOTARE è stato interpretato come "Dio Unico e Padre per tutti". Di certo sono "traduzioni" più sobrie di quelle di Campbell, il che non basta a garantirne la plausibilità. (Manrique, 1898; Vera, 2016)

6) Alonso Ascanio y Negrín (1855–1936) ha proposto una combinazione sincretica di spagnolo, portoghese e italiano. Così (E)TIEPFSEPMERI è stato chissà come ridotto a ME SOBRA O GAJE, mentre NARMPRLMOTARE è stato manipolato fino a diventare EVIIOJ DE NOVIA. Addirittura ci sarebbe la datazione dell'opera: NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE ha dato per misteriosa distorsione LA FIXE SINESIVJ ZEA MCCXLIX. Mi domando come qualcuno abbia potuto sprecare del tempo a leggere simile spazzatura concettuale. (Negrín, 1899; Vera, 2016)

7) Fidel Fita Colomé (1845–1918) ipotizza una trasposizione di caratteri di un latino molto modificato in senso biblico. Va detto che egli ha proposto una spiegazione soltanto per la prima stringa ETIEPFSEPMERI, considerata un anagramma di SEPI ET ERIPE ME ("proteggimi e liberami"). Fornisce alcuni riferimenti biblici, scelti perché si parla di una torre, da lui identificata con la protezione soprannaturale: Cantico dei Cantici, 4, 4 e Isaia, 5, 2. Quindi connette questa simbologia della torre con l'epiteto Turris eburnea, ossia Torre d'Avorio, attribuito alla Vergine nelle Litanie Lauretane. Tutto ciò è molto labile. (Moure, 1991; Tveedale, 2005)

8) José Hernández Morán (1922 - vivente) continua imperterrito la tradizione degli pseudo-acronimi multipli ottenuti in modo ingegnoso quanto vano da frasi latine e spagnole. Prende spunto dal gesuita Kircher (Morán, 1957; Vera, 2016), giungendo ad interpretare TIEPFSEPMERI in due modi diversi quanto incompatibili: il primo, TI-E-PE-SEP-MERI "Tú eres por siempre María" (ossia "Tu sei per sempre Maria"), il secondo TI-ERES-EP-MERI "Tú eres espejo de madre" (ossia "Tu sei specchio di madre"). Non so dare indicazioni su quanta bamba abbia inalato per concepire assurdità sesquipedali come queste, ma sembra verosimile che abbia rielaborato le interpretazioni di Kircher.  

Mi sono imbattuto, navigando nel Web, in un ulteriore tentativo di spiegare le iscrizioni misteriose, questa volta ricorrendo al catalano parlato nelle Baleari. Non sono più riuscito a ritrovare il documento e non ricordo il nome dell'autore. Il suo argomento portante era di questo tenore: siccome l'originale statua della Vergine della Candelaria somigliava a quella della Vergine di Montserrat, la sua provenienza doveva essere balearica e le iscrizioni dovevano essere derivate da una serie di abbreviazioni di parole catalane (es.: dove ricorreva l'arduo gruppo consonantico FM, leggeva femella "donna", o qualcosa del genere). Forse spinto dalla vergogna, questo autore ha in seguito fatto scomparire ogni traccia della sua opera dilettantesca. Non c'è alcuna logica in queste illazioni. Se un uomo delle Baleari avesse voluto scrivere qualcosa, non avrebbe fatto ricorso a una forma di scrittura così smozzicata, soltanto per risultare incomprensibile a tutti! 
 
La crittografia non funziona    
 
La dimostrazione dell'assurdità delle interpretazioni criptiche è abbastanza lineare. 
i) Se fosse esistita una tradizione criptica nella Chiesa Cattolica, in grado di formare complessi codici a partire da frasi devozionali in latino, ne saremmo al corrente: ce ne sarebbero moltissime testimonianze in tutto il mondo. Invece è riconosciuto che le iscrizioni della Candelaria sono uniche
ii) Gli ecclesiastici stessi dicono chiaramente che le lettere sulla tunica mariana sono sconosciute nel loro significato e avanzano soltanto ipotesi tenui a questo proposito. 
iii) Nessuno avrebbe usato un linguaggio criptico, che non sarebbe stato compreso neppure dai religiosi. A chi sarebbe stato rivolto? A pochi iniziati? Conosciamo bene l'avversione mostrata dalla Chiesa Romana per ogni forma di conoscenza esoterica, fin dal suo inizio. 
 
Si nota la volontà di annientare la cultura nativa dei Guanche negando alla radice la stessa esistenza della loro lingua. In altre parole, l'idea di interpretare in modo criptico le iscrizioni sarebbe in tutto e per tutto un atto politico, volto a far cadere nell'oblio persino il vago ricordo dell'esistenza di qualunque cosa non fosse ispanica. 
 
Il lavoro di Reyes García 

Il primo ad effettuare una comparazione tra le iscrizioni della Candelaria, le lingue Guanche e le lingue berbere continentali è stato Ignacio Reyes García (2010. La Madre del Cielo: Estudio de Filología Ínsuloamazighe; 2011. Diccionario Ínsuloamaziq. Islas Canarias: Fondo de Cultura Ínsuloamaziq).
 
 
Ecco in breve i risultati ottenuti dallo studioso:  

TIEPFSEPMERI
<Ti yebb f sab Meri> 
"Il Padre sotto la protezione della Vergine Maria."
 
NARMPRLMOTARE
<Narəm əbər ghər muttar>
"Condividere (il cibo) è un dovere verso i poveri."

LPVRINENIPEPNEIFANT
<Lbu rinni bab nə afa ənt> 
"Sii misericordioso nella vittoria, Signore della Luce Eterna."  

OLM INRANFR IAEBNPFM RFVEN NVINAPIMLIFINVIPI NIPIAN 
<Ul-m yən ǎr anfər Iaeb ənubi f-m ǎr fwen. Nwi-ina bib am əliffi n wibbib. Ni bi-an> 
"Il tuo cuore ospita i più importanti tesori, il Bambino Yahveh su di te, tesoro splendente. Un peso sulla nostra coscienza è come una catasta sulle nostre spalle. Controlla quel peso."  

FVPMIRNA ENVPMTI EPNMPIR VRVIVINRN APVIMFRI PIVNIAN NTRHN 
<Ffu b-mirna. Nubi am ti ewen am bir ur wiwi-n rn, abu i mǝfri. Bib-wǝn ǝyyan nut ǝrγ un>
"Albeggia, grande potere. Il figlio, come il padre e la via della perfezione, evitano la malattia, sono un balsamo per la persona che soffre. Il tuo unico peso deve essere una candela luminosa."

EAFM IRENINI FMEAREI 
<Ê af-m irenni f-əme arey>
"Oh, la tua scoperta aumenta la protezione contro la superstizione"
 
NBIMEI ANNEIPERFMIVIFVE 
<Nəbbi y əməyyi. An-năy əberref mi əwif Uf>
"Diamo rifugio a colui che ignora. Perdoneremo l'offesa quando è causata dalla paura di Dio"

Da queste elucubrazioni è possibile comporre un esiguo glossario, che purtroppo sembra altamente ipotetico. Eccolo:  
 
ENVP "figlio" 
MERI "Maria"
MOTARE "poveri" 
NARM "condividere" 
OLM "il tuo cuore" (f.)
SEP "vergine"
TI "padre" 
 
Si segnala l'enorme divergenza nella fonologia tra la lingua di queste iscrizioni e le lingue dei Guanche documentate.  
 
Il lavoro di Jara Vera e Sánchez Ávila
 
Un altro tentativo di decrittazione basato sulle lingue berbere continentali è quello di Vicente Jara Vera e Carmen Sánchez Ávila dell'Università Politecnica di Madrid. Il loro articolo Linguistic Decipherment of the Lettering on the (Original) Carving of the Virgin of Candelaria from Tenerife (Canary Islands) (2017), è consultabile al seguente link: 


Ecco in breve i risultati ottenuti:
 
TIEPFSEPMERI
[T·Y]-[F·G]-[S·P]-[M·R]
/ti-effeg-ăsap-amər-i/
=> /ti-epef-sep-meri/
"Dio Padre ha trovato in me, la Vergine, la grazia"

NARMPRLMOTARE
[M]-[R]-[M]-[F·R]-[M·Ṭ]-[R]
/m-er-m-ffer-el-məṭṭuti-ar-e/
"Sei stata benedetta con unicità tra l'intero genere delle donne"

LPVRINENIPEPNEIFANT  
[L·F]-[R]-[N]-[N·F·(Y)]-[N·T]
/əlpu-ăr-in-inifif-ən-ăy-if-ent/

"Coloro che riempiono il cuore e la vita d'amore, sono in Me"

OLM
[H·L]-[M] 
/all-m/ 
"Ti preghiamo"

INRANFR
[M·R]-[F·R]
/imran-ffer/
 
     => /inranfr/
"Proteggi il territorio" 

IAEBNPFM 
[Y]-[B·B]-[N·B·Γ]-[G·M]
/i-ebb-ənbəγ-ğəm/
     => /i-eb-npγ-ğəm/ 
"Egli è l'Autore e il Signore che fa germogliare e crescere"
 
RFVEN 
[R]-[F]-[W·N]
/ere-af-wen/ 
    => /rfuen/
"Fortunato è chi la trova" 
 
NVINAPIMLIFINVIPI 
[N]-[NḌ]-[ML]-[FNWT]
/ănnu-inaḍ-imli-fənəwwət-i/ 
"Si propone di concedere autorità ai buoni piuttosto che essere eccessivamente orgogliosi"
 
NIPIAN 
[M]-[F]-[YN]
/mi-if-əyyăn/ 
"Chi è come il Signore?"
 
FVPMIRNA 
[F]-[W·F]-[R·N]
/f-ewef-mərna/ 
"Trionfo sul terrore e sulla paura"
 
ENVPMTI 
[N·B·(W)]-[N·T]-[T·Y]
/ənubi-ent-ti/ 
"Il Figlio è lo stesso del Padre"
 
EPNPMIR 
[B·D]-[N·N]-[T·Y]-[R]
/əbdəd-ənnun-tteyr/ 
"Egli esalta l'umile e abbassa il malvagio"
 
VRVIVINRN 
[R·W]-[Y]-[W·Y]-[N]-[RN]
/uru-i-iwi-n-renni/ 
"Questa ha generato Colui che ci guida verso la vittoria (i.e. verso la Salvezza)"
 
APVIMFRI 
[A]-[F]-[N·F·R]
/a-effu-anfər-i/ 
"Questa è colei che mi illumina completamente"
 
PIVNIAN 
[F·Y]-[W]-[N·Y]-[N]
/fi-iw-ənəy-ăn/ 
"Questo qui è il Figlio nato dall'Onnipotente"
 
NTRHN 
[N·T]-[R·H]-[H·N]
/ent-arəh-ehən/
"Casa fondata sulla roccia"
 
EAFM 
[H]-[F]-[M]
/əh-af-əm/ 
"Venga il tuo Regno"
 
IRENINI 
[Y·R]-[M·N·Y]
/ayur-emnəymənəy/ 
"Tu sei come la Luna splendente"
 
FMEAREI 
[F·N]-[R·Y]
/afna-arey/ 
"Liberaci dal Male"
 
NBIMEI 
[N·D]-[N·Y]
/əndu-ənəy/ 
"La tua saggezza è perfetta"
 
ANNEIPERFMIVIFVF  
[M]-[Y]-[FRG]-[F]-[GW]-[WF]
/anna-i-ferg-f-iməggiwa-əwəf/
"Tu sei la Madre che protegge dal fallimento e dalla paura"
 
Da queste elucubrazioni possiamo comporre un breve glossario di voci selezionate a colpo d'occhio. Questo glossario purtroppo sembra altamente ipotetico - e spesso in netto contrasto con quello ottenuto da Reyes García. 

AFM "il tuo regno" (f.)
ENINI "splendente" 
ENVP "figlio"
INRAN "territorio" 
IR "luna"
LPV "accumulare"
MERI "grazia"
MOT "donne"
OLM "ti chiediamo" 
SEP "vergine" 
TI "padre" 
 
Devo essere franco. Non possiamo farcene molto. 

Problemi e criticità 
 
A molti potrebbe anche sembrare che la difficile questione sia stata risolta. Non possiamo tuttavia fare a meno di esprimere alcune importanti considerazioni. 
 
1) Le lingue Guanche avevano un vocalismo pieno, con cinque vocali /a/, /e/, /i/, /o/, /u/. Le lingue berbere continentali hanno un vocalismo ridotto, quasi rudimentale. 
2) Le lingue Guanche avevano un sistema consonantico simile a quello delle lingue romanze, non particolarmente ricco. I viaggiatori e i cronisti concordavano col dire che il loro suono era melodioso. Le lingue berbere continentali hanno un consonantismo ricchissimo. Chi le ha udite concorda col dire che il loro suono è aspro
3) Le lingue berbere continentali sono il prodotto di un "collo di bottiglia": la protolingua ricostruita dovrebbe corrispondere a una lingua parlata all'epoca dell'Impero Romano. Questo protoberbero ha fatto scomparire una grande varietà di lingue preesistenti (Blench, 2018). Le lingue Guanche appartengono a questa varietà di lingue più antiche; si sono separate prima della formazione del protoberbero di cui sopra.  
4) Nel database compilato da Alexander Militarev e contenuto nel sito The Tower of Babel sono riportate 515 protoforme berbere ricostruite a partire da vocaboli documentati delle lingue documentate - tra cui prevalgono in modo netto quelle attualmente parlate. Ci sono soltanto 19 etimologie canarie (circa il 3,7% del totale) e 3 etimologie di parole dell'antico libico (circa lo 0,6% del totale). Peggio ancora, poche tra le 19 etimologie canarie hanno corrispondenze in altre lingue trattate nel database delle etimologie berbere. Alcune poi sono scarsamente consistenti. 
 
 
5) Esistono contraddizioni tra le ricostruzioni di García e di Vera-Sánchez Ávila e le parole realmente attestate nelle isole. Ho identificato subito un esempio. Nel lavoro di Jara Vera-Sánchez Ávila MOT significa "donne", ma nel Guanche di Tenerife la parola per dire "donna" era CHAMATO. Chiaramente la radice è la stessa, ma è assai improbabile che si tratti di testimonianze di un'unica lingua. Un altro esempio: il termine IR dovrebbe significare "luna" e corrispondere al berbero continentale ayur "luna". Tale parola non è tuttavia documentata nelle Canarie. A Tenerife la luna era chiamata cel, da tutt'altra radice.
6) Potrebbe essere un gravissimo errore ritenere le lingue berbere moderne come un punto fisso di riferimento in base a cui decrittare qualsiasi attestazione delle lingue Guanche. In altre parole, sia Reyes García che Jara Vera e Sánchez Ávila potrebbero essere caduti nel tranello delle traduzioni magiche.  

Una credenza ideologica 

Alla base degli errori alla base dei lavori sopra riportati sta un presupposto dettato da ragioni essenzialmente politiche: l'idea folle secondo cui lo strano aspetto fonetico delle parole e dei nomi Guanche di cui abbiamo documentazione sia dovuto all'incapacità dei conquistatori (Spagnoli, Genovesi, Normanni, etc.) di trascrivere i suoni della lingua nativa, che di per sé sarebbero stati identici a quelli delle lingue della Barberia. Finché non si farà piazza pulita di questo terribile malinteso, non si arriverà da nessuna parte.

Conclusioni 

La mia paura è che gli studi di Reyes García e di Jara Vera-Sánchez Ávila siano da buttar via. Credo che ci vorranno ancora molti anni di indagini per arrivare a qualcosa di sicuro, possibilmente con l'aiuto della scoperta di nuovo materiale. Non si potrà purtroppo fare molto finché durerà il funesto influsso della politica, che è interessata a far sì che le lingue canarie siano perdute per sempre. Che soluzione dare al mistero? La statua si è spiaggiata recando già le iscrizioni in caratteri rossi? E in questo caso, da dove proveniva? Oppure qualcuno ha eseguito le iscrizioni in seguito? Chi era costui? Qualche missionario animato dal nobile intento di insegnare ai Guanche di Tenerife a leggere e a scrivere nella loro lingua? Sono domande al momento destinate a rimanere senza risposta.  

mercoledì 30 dicembre 2020

CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE ESTINTE, MORTE E MORENTI

Esiste realmente una differenza tra lingua morta e lingua estinta? Si tratta sempre e comunque di sinonimi? Può sembrare una questione banale o di lana caprina, ma credo che così non sia. In Quora mi sono imbattuto in una singolare definizione, che reputo ragionevole. Anche se non mi sembra godere di plauso universale nella comunità accademica, trovo di pubblica utilità riportarla e discuterne. Eccone l'enunciato:    
 
1) La lingua morta ha metamorfosato, dando origine a lingue viventi.
Esempi:
anglosassone => inglese moderno; 
antico alto tedesco => tedesco moderno;  
latino volgare => lingue neolatine. 
In questi casi non si parla di morte linguistica, bensì di mutamento linguistico
 
2) La lingua estinta non ha dato origine a lingue viventi, ossia non ha eredi diretti.
Esempi: 
sumerico
hurritico
etrusco †  
gotico † 
Kakán  
In questi casi si parla di morte linguistica o di sostituzione linguistica
Sono da includere tra le lingue estinte anche quelle che hanno metamorfosato, dando però origine a lingue che poi si sono spente.
Esempi: 
antico egiziano => copto † 
fenicio => punico
 
Una lingua che tecnicamente è da classificarsi come morta o estinta, può godere di una sorta di vita postuma per finalità culturali, politiche, religiose o di altro genere (esistono persino i fumetti di Topolino in latino e in sanscrito, etc.). In questo caso si parla di lingua storica.  

 
Passiamo ora ad illustrare qualche importante concetto di tanatologia linguistica. Per dirla in parole povere, non tutte le lingue morenti, morte o estinte sono uguali. Esistono differenze sostanziali nel modo in cui le lingue agonizzano, si estinguono e durano nella memoria dopo la loro morte funzionale, fino al definitivo annientamento. 
 
L'Atlante UNESCO delle lingue del mondo in pericolo (UNESCO Atlas of World Languages in Danger) è una pubblicazione online che contiene una lista di lingue che corrono il pericolo di estinguersi. La classificazione adottata in questo documento è la seguente: 
 
(NE) Safe / Not Endangered (non minacciata) 
  La lingua è parlata da tutte le generazioni e la sua trasmissione intergenerazionale è ininterrotta. Queste lingue non sono incluse nell'Atlante UNESCO perché non in pericolo. 
(VU) Vulnerable (vulnerabile) 
  La maggior parte dei bambini parla la lingua, ma il suo ambito può essere ristretto (es. in casa).
(DE) Definitely Endangered (minacciata) 
  I bambini non apprendono più la lingua come lingua madre domestica.
(SE) Severely Endangered (gravemente minacciata) 
  La lingua è parlata dai nonni o dalle generazioni più anziane; mentre i genitori possono capirla, non la usano per parlare con i bambini o tra loro.
(CR) Critically Endangered (minacciata in modo critico) 
   I parlanti più giovani sono nonni o ancora più anziani, e parlano la lingua parzialmente e in modo infrequente.
(EX) Extinct (estinta) 
  Non rimangono più parlanti. L'Atlante UNESCO considera una lingua estinta se non sono più stati trovati parlanti dagli anni '50.  
 
Questo è un tentativo di classificare le lingue della categoria (EX): 
 
Lingua dormiente  
  Non esistono più parlanti attivi, si è arrivati a un avanzato stato di morte funzionale, ma possono ancora trovarsi parlanti terminali, semiparlanti isolati o ricordanti
Un parlante terminale è l'ultimo parlante della propria lingua. 
Un semiparlante è una persona che parla una lingua in modo limitato, mostrando un'incompleta conoscenza del patrimonio lessicale. 
Un ricordante è una persona che mostra conoscenze residuali di una lingua da tempo non più usata nella sua comunità. 
Spesso vengono scoperti semiparlanti e ricordanti in luoghi in cui nessuno si sarebbe aspettato la loro esistenza. In genere si tratta di locutori che non usano più frasi nella lingua anche da decenni, non avendo occasione di farlo. 
 
Lingua in coma storico  
  I discendenti dei parlanti non sanno più parlare la lingua ma ne ricordano ancora l'esistenza, potendo conservarne qualche resto (esempi: frasi telegrafiche, vocaboli di sostrato, formule, etc.). In tali condizioni si possono trovare recitatori formulaici.  
Un recitatore formulaico è una persona che è in grado di proferire testi, anche lunghi e articolati, pur avendo soltanto una vaga idea del loro contenuto e non essendo in grado di capirne che poche parole. 
 
Lingua in avanzato stato di oblio 
  I discendenti dei parlanti non conservano più alcun elemento riconoscibile del loro passato linguistico, ma sono ancora consapevoli della propria diversità culturale rispetto alle genti loro vicine.   
 
Lingua caduta in uno stato di oblio profondo 
  I discendenti dei parlanti non sanno nemmeno più che la loro antica lingua è esistita, non la riconoscerebbero come propria se la sentissero parlare da qualcuno. Non hanno alcuna consapevolezza etnica: da tempo immemorabile non si distinguono dalla popolazione del paese in cui vivono.
 
In tutti questi casi abbiamo a che fare con una lingua discontinuata o cessata: si è interrotta la catena di trasmissione. Tale interruzione è per sua stessa natura definitiva, proprio come la morte pone fine all'esistenza biologica. 
Il vocabolo "discontinuato" è un orrido neologismo, me ne rendo perefettamente conto. Mi sono imbattuto per la prima volta nel verbo "discontinuare" quando è stata annunciata la fine della piattaforma blogosferica di Splinder, nel 2011. Credo che parlare di lingue discontinuate abbia una certa ruvida efficacia, per questo adotto la locuzione: fa comprendere il dramma dell'irreversibilità. 
Il caso più eclatante di discontinuazione linguistica non è contemplata nella classificazione dell'UNESCO: è la morte radicale, che avviene quando una lingua scompare assieme a tutti suoi parlanti in seguito a una catastrofe o a un genocidio. 

Posso tentare di classificare una lingua estinta anche a seconda della sua origine. 
 
1) Lingua ricostruibile.
Appartiene a un famiglia linguistica ben nota, presentando somiglianze importanti con almeno una lingua ben nota, al punto da poter utilizzare il materiale disponibile per tentarne la ricostruzione.
2) Lingua parzialmente ricostruibile.
Appartiene a una una famiglia linguistica ben nota, ma presenta peculiarità che ostacolano in modo grave ogni tentativo di ricostruzione.
 
3) Lingua perduta. 
Non appartiene a nessuna famiglia linguistica nota e può essere conosciuta in modo molto incompleto: è una lingua isolata o quasi isolata (ossia simile a una o a poche lingue parimenti estinte e mal note). In queste condizioni può essere molto improbabile ottenere altro materiale utile in futuro.  
 
Le caratteristiche dell'oblio profondo 
 
Quando una lingua è caduta in uno stato di oblio profondo, le conseguenze sono drammatiche. Oltre a non avere alcuna nozione, anche vaga, della lingua ancestrale, i discendenti dei suoi antichi parlanti non hanno la benché minima idea del fatto che sia stata un tempo parlata. Possiamo dire che questo è l'ultimo stadio della morte e dell'oblio di una lingua, corrispondente alla dispersione dei resti di un cadavere, alla sua cancellazione. A volte l'esistenza di una lingua caduta in uno stato di oblio profondo può essere conosciuta dalla lettura di libri, dall'insegnamento scolastico o da altre testimonianze del passato, senza che essa possa comunque avere un qualsiasi valore identitario. Alcuni esempi concreti: 
 
1) Tutti sanno che sono esistiti i Longobardi, ma il disinteresse nei confronti della loro lingua germanica è immenso. Nell'odierna Lombardia nessuno le attribuisce qualsiasi valore di etichetta etnica, e altrettanto accade in altre regioni ove fu storicamente parlata. Eppure nella stessa toponomastica milanese ci si imbatte in nomi di origine longobarda: basti pensare a Brera e a Via degli Odescalchi.
2) Molti hanno appreso a scuola che prima dei Romani, Milano era la capitale dei Galli Insubri. Tuttavia il disinteresse nei confronti delle antiche lingue celtiche continuentali è immenso, al punto che la maggior parte delle persone ne ignorano persino l'esistenza. Nell'odierna Lombardia nessuno attribuisce al gallico o al leponzio qualsiasi valore di etichetta etichetta etnica, e altrettanto accade in altre regioni che ebbero nell'antichità un'importante presenza celtica.
3) Tutti sanno dell'esistenza della lingua etrusca, che è conosciuta in modo molto imperfetto dagli studiosi. Il popolino, disincantato e scettico, è invece convinto che non sia possibile conoscerne alcunché (estruscum est, non legitur). In ogni caso, nell'odierna Toscana nessuno attribuisce all'etrusco qualsiasi valore di etichetta etnica. 
 
Questa è la mia esperienza personale: in molti casi ho incontrato persone che si ritenevano di essere parlanti della lingua galloitalica della Brianza, anche se la utilizzavano soltanto mescolandola in modo pesante con l'italiano. Di fronte ai miei discorsi sulla lingua dei Longobardi e sulle lingue celtiche, alcuni reagivano con una frase stizzosa: "hemm semper parlà dialett", ossia "abbiamo sempre parlato dialetto". Il termine "dialett" è da loro considerato una specie di endoetnico: non comprendono che non si tratta di una parola locale. Essi proiettano la situazione attuale nel passato fino alla più lontana preistoria, essendo incapaci di capire l'idea stessa di mutamento linguistico e di sostituzione linguistica. Altri invece si mostravano molto interessati alla lingua dei Longobardi e alle lingue celtiche, credendo forse di farne un uso politico, ma quando capivano che i vocaboli non collimavano affatto con quelli del "dialett", perdevano all'istante ogni interesse.       
 
Oblio e politica 
 
Tale è la generale ignoranza del passato, che Umberto Bossi e i suoi collaboratori si fabbricarono costruzioni mitologiche posticce come la famosa ampolla portata dalle sorgenti del Monviso alle foci del Po e versata ritualmente in mare. Giova far notare che la Lega Lombarda (poi Lega Nord) non è mai stata in grado di proporre alcuna forma di ricostruzione sensata o di revival linguistico, né celtico né germanico. Anzi, non è stata nemmeno in grado di salvare le locali lingue galloitaliche dal tremendo declino in cui versano.   
 
Alcuni casi di parlanti terminali
e semiparlanti
 

1) Il caso del Chaná 
Don Blas Wilfredo Omar Jaime, un dipendente pubblico in pensione nato a Nogoyá, nella provincia di Entre Ríos in Argentina, era noto per la sua abitudine di parlare tra sé e sé in una lingua sconosciuta. Il linguista José Pedro Viegas Barros (CONICET, Universidad de Buenos Aires) si è recato da lui sul finire del 2004 e ha scoperto che era l'ultimo parlante della lingua Chaná, creduta estinta dagli inizi del XIX secolo. Riporto alcuni esempi di lessico raccolto, evidenziando qualche interessante formazione: 

beada "madre" 
-'ó "grande" 
beada-'ó "terra" (lett. "grande madre")
beada-'ó  noá "argilla" (lett. "terra bianca") 

velá "nero" 
-'é "piccolo" 
taé "cattivo"  
uticá "odore" 
velá-'é taé uticá "puzzola" (lett. "piccolo nero dal cattivo odore") 
 
agó "cane"
nsumí "ladro" 
timó "orecchio" 
-'ó "grande" 
agó nsumí "volpe" (lett. "cane ladro") 
agó timó-'ó "volpe" (lett. "cane orecchione")

Riporto anche un testo iniziatico trasmesso da Don Blas Jaime. Era usato per sancire il passaggio dall'infanzia allo stato adulto.  

Ote tato a'a tato'e:

Banati amit tato'e
Kaley angu uhe nantu ug baté tihwi
Welkaymar hili kaley baté nantú
Oyenden uhe okó ug dyoi opa bate ititi reta
Oyenden opa uga pite'e ug bate tihwi
Ita'i wa oté oblí baté nderé
Ngan amit aywa
Npen baté uga Tihwinem


Traduzione in italiano:  

Fare di un ometto un uomo 
 
Ricevi oggi l'ultimo castigo di tuo padre  
D'ora in avanti riceverai solo il tuo stesso castigo 
Ricorda questo castigo durante tutta la tua vita come uomo 
Per migliorare il tuo viaggio 
Tieni la mia benedizione 
Guadagnati tu quella del Padre-Spirito. 
 
Il testo è pubblicato e analizzato in questo articolo di Viegas Barros: 
 

2) Il caso del Vilela 
Verso la fine del 2003 l'antropologa Lucía Golluscio (Universidad Nacional de La Plata, Universidad de Buens Aires) trovò nella regione del Chaco argentino due anziani semiparlanti della lingua dei Vilela, che era creduta estinta da circa mezzo secolo. A quanto pare questi locutori erano già deceduti nel 2011, come riportato in alcuni siti, anche se mi è giunta voce che a un certo punto gli ultimi Vilela abbiano smesso di collaborare con la Golluscio, rifiutandosi di fornirle ulteriori dati.  
È chiaro che i Vilela sono i discendenti dei Tonocoté del Pilcomayo, migrati agli inizi dell'epoca coloniale per sfuggire al dominio spagnolo, poi ritrovati dai missionari nel XVIII secolo. Nei primi anni del XX secolo permaneva ancora tra i superstiti il ricordo della migrazione dalla terra d'origine dei Tonocoté, oggi conosciuta come Santiago del Estero:

waharop rupelet rupe nite tatekis nanekis wakambabelte ma umbap agilopa "molto tempo fa, in principio, alla radice del tempo, vennero nostro padre e nostra madre, che parlavano Vilela, dall'altro lato della Grande Acqua."  
(Llamas, 1910)

waharop umbom umbap wakambabelte "il racconto antico e grande di coloro che parlavano Vilela." 
(Llamas, 1910)  
 


3) Il caso del Tinigua 
Don Sixto Muñoz è l'ultimo parlante della lingua dei Tinigua e vive nella foresta della Serranía de la Macarena, in Colombia. Esistono ancora discendenti dei Tinigua, che però hanno perso completamente la loro lingua e i loro costumi, essendosi assimilati ai Guayabero. Lo stesso Sixto Muñoz ha commesso il gravissimo errore di non insegnare la lingua ancestrale ai propri figli e ai propri nipoti, che si considerano parte del popolo Guayebero. Nel 2019 era ancora in vita, ma si stimava che avesse 90-95 anni. Nel 2000 aveva perso il fratello maggiore, Criterio, e da allora non aveva avuto più nessuno con cui parlare il Tinigua, a parte le proprie galline e Dio. Secondo altri, Sixto avrebbe perso il fratello maggiore quando aveva soltanto 14 anni, e non avrebbe parlato Tinigua da molti decenni: non mancano nel Web informazioni contraddittorie. Anche sulla vera età di questo parlante terminale sussistono non pochi dubbi. Per quanto mi sia sforzato, non sono riuscito a trovare testi nella lingua dei Tinigua. Ho a disposizione soltanto un vocabolario esiguo, pubblicato da Marcelino de Castellví (1940).      

 
 
Mi sembra incredibile che non siano stati resi pubblici i testi raccolti dall'ultimo parlante. Chi rende inaccessibile un patrimonio dell'intero genere umano dovrebbe essere condannato alla culla di Giuda.
 
Alcuni casi di recitatori formulaici 
 
1) Il caso dell'Atacameño (Kunza) 
La lingua di Atacama, detta anche Kunza ("nostro") o Licanantai (dall'endoetnico: "abitanti del villaggio"), era creduta estinta già agli inizi del XX secolo, ma nel 1949 la ricercatrice Grete Mostny Glaser è riuscita a trovarne alcuni parlanti, raccogliendone parole e frasi. Anche se nessuno tra i discendenti degli Atacameños usa più il Kunza nella vita di tutti i giorni, esistono testi cerimoniali che sono tuttora recitati a memoria, mancando la comprensione del significato delle parole. Un testo recitato in occasione della pulizia dei canali è il Talátur. Si invoca l'addensamento delle nubi e la caduta della pioggia, affinché il deserto sia fertilizzato e i pascoli diventino verdi. Questo è il testo del Talátur raccolto nel villaggio di Peine dalla stessa Mostny e poi pubblicato nel 1954, qualche anno dopo la spedizione di cui sopra: 
 
Wilti puri yuyo sai
quepe puri pachata
awai awai awai

Solar puri yuyo talu sai
tami puri pachata
awai awai awai


Echar sacta cheresner  
saque acta colcoina colcoina
awai awai awai 

Yuro tucor nace coicoinar  
sake tucor nace coicoinar  
awai awai awai 

Laus saisa carar monte colcoinar  
chile saisa carau saire y sairina
saire sairina y yentes lulayne yentes
carar y yentes illauca saflu islilla 

Tumi saisa monte colcoina
chile sisa carau sare sairina
saire sairina y yentes lulayne y yentes
carar y yentes iyauca saflu islilla 

Quimal sisa carar monte colcoina
Chile saira y yentes lulayne y yentes
carar y yentes iyauca saflu islilla 

Calal tanti sayno
islamas tanti sayno
isay pani y ques capana
isay Sanantonio 

Ayil tanti sayno
katur tanti sayno
isay pani y caspana
isay Sanantonio

Tarar chusli sayno
pauma chusli sayno
isay kone islujlina
isay Sanantonio

Lipis chusli isayno
koiway chusli sayno
y say kone y esluslina
y sai Sanantonio

Uway leyer licau simainuna
y pauna licau simanuna
y kaper licausimainuna
y eya techaynita
y eya katalur ya qui
y yai y yale y yai iyawe
y yawe yolasquita. 
 
Glossario: 
 
awai, uway "che scorra" 
ayil "mais rosa" 
calal "valle stretta"  
capana "patata tagliata a metà" 
carar "tuono; nuvola" 
carau "fianco" 
Caspana, nome di un villaggio (significa "Figlio del Burrone") 
coicinar, cattiva trascrizine di colcina(r)
colcoina, colcoinar "che rotoli"
cheresner "sorgente d'acqua" 
chusli "patata" 
Echar, nome di un monte (significa "sozzura")   
eya "quello" 
illauca, iyauca "erba che cresce sui monti dopo la pioggia"
isay "suo"  
islilla "clavicola" (glossa incerta)
islujlina, esluslina "che calpestino"
iyawe, yawe "dammi in abbondanza" 
kaper "mais giallo e tenero" 
katalur "signore" (non è da cata "foglia")  
katur "orto, terreno coltivato" (omofono di katur "cuoio") 
koiwai "patata screziata" 
kone "corona di piume di nandù"
Laus, nome di un monte 
leyer "lontano"
licau "donna" 
Lipis, la terra ancestrale degli Atacameños 
lulayne "che tuoni" 
monte "nuvole" (variante di molte "nuvola")
nace "nascere" (glossa incerta)* 
pachata "della Terra" (dal Quechua pacha "Terra") 
pani "figlio"  
pauma "pannocchia più piccola di una pianta di mais" 
pauna "bambino" 
puri "acqua" 
qui "molto" 
Quimal, nome di un monte  
sacta "che vada"
saflu "spiga di mais" 
saira "piovere" 
saire "pioggia"  
sairina "piogge, pioggerelle" 
sai "che stia; che diventi" 
saisa "che stia; che diventi" 
saque, sake "che vada" 
saque acta "che vada" (= sacta)
sayno "calpestate"
sima(i)nuna "uomo solitario"**  
sisa "che stia; che diventi" (= saisa
Sanantonio "Sant'Antonio" (patrono di Camar)
Solar, nome di un monte (significa "Macchia") 
Talu, nome di un lag
Tami, nome di un monte
tanti "chicco di mais"
tarar "bianco" 
tarar chusli "patata bianca" 
techaynita "una bevanda fermentata" (glossa incerta)
tucor "vicino" (omofono di tucur "gufo")
Tumi, nome di un monte (significa "Coltello di rame")
Wilti, nome di un monte (significa "Aquila")  
ya "il" (specie di articolo)
yai "carrubo" (la forma originaria è yali)
yale "specie di uccello nero" (glossa incerta) 
yentes "tipo di erba commenstibile" (glossa incerta)
yolasquita "cibo abbondante" (glossa incerta) 
yuyo "erba" (dal Quechua) 
 
*Prestito dallo spagnolo nacimiento "nascita".
**Nel testo raccolto a Socaire abbiamo invece semaino "si uniscano".
 
Questa versione del Talátur è stata riportata da Roberto Lehnert Santander nella sua raccolta di testi in Kunza. In qualche caso non sono d'accordo con le sue analisi, che possono anche essere molto grossolane. Questo è il link al suo lavoro: 

 
2) Il caso dell'Alabanza in chiapaneco 
La lingua chiapaneca, un tempo parlata nel Chiapas (Messico), è ascritta al gruppo Oto-Mangue, anche se un tempo era considerata isolata. Si pensava che l'ultimo parlante conosciuto si fosse spento negli anni '50 dello scorso secolo, ma in seguito si sono trovati acuni locutori e a data di estinzione è stata spostata al 2000 circa. Il linguista Lyle Campbell ha riportato che in un ambiente compattamente ispanofono erano rimasti solo due uomini in grado di recitare un testo in lingua nativa, chiamato Alabanza, che in spagnolo significa "lode". In occasione della festa del Corpus Domini veniva recitato, anche se chi pronunciava le parole non le comprendeva bene, anche se il pubblico non capiva nulla. Era una memoria tradizionale. Poi a un certo punto uno dei due recitatori morì e l'Alabanza non poté più essere proposta.   
 
Il testo dell'Alabanza in chiapaneco, che sono riuscito a recuperare a fatica, è lunghissimo. Per puro spirito di conoscenza mi limito a riportarne due piccole porzioni, estratte dalla tesi di Claudia Nayeli Rodríguez Pérez (Universidad de Ciencias y Artes de Chiapas). 
 
1) Cahlalau... 

Nyheme yatuhuá, yatuhuá
Simoña nyheme nanyhiñohimo
Tipacaaa nyheme nanyhipipa
Nyhemeca nanyhimbasia.
Cahi cate naatohmó icola,
Tehu nimbo ipa isapamemo,
Nurii isopememe moho ni
nacopaho
Cahiña itacame isitame
ipahome
Camo ndiché nio ngohoui
Moho naatohmó ni niticohui.
Tichelo sino nyheme
nanyhiñohimo
Nyhemeca nanyhimbasia
Ticheloimo sino nyheme
Ipahomihi yaa ipaohmimo
Cahi cateña ngohoi
Ta icopatipocame ngosei.
Tari mindamo nyhee nihña
Nyhila yacaaamoña.
Nyhee ni moña niposamo
Itacamihi ni nacopaho
nombomeo
Nyheme yatuhuá, yatuhuá.
Oahemihi nihi nila yaripo
Olehimoca cane nbanombubi
Nalahamo na ́mandi
Mahoo nyhilaimo ndoo
Pane ngao ipohotemehue
Camo ñumburee ni yacaamo
Ni nbouamo nyhila.
Nyhe yatuhuá, yahutuá.  

Traduzione in italiano: 

Il cervo celestiale... 

Signore nero, nero 
tu sei il signore della notte e 
anche il signore delle ombre e 
dei misteri. Così come il tempo
trascorre, 
le nuvole passano galleggiando,
gli uccelli volano nel cielo 
Così nessuno può tornare 
al suo luogo d'origine 
nel tempo passato. 
Solo tu signore della notte e 
signore dei misteri.
Solo tu signore 
torni di nuovo adesso 
così come se non fosse nulla  
o non fosse successo nulla,
sempre per te stesso.
Sentiero che è sacro, 
lo stesso tramite cui
ritornerai al cielo volando.
Signore nero, nero. 
Prendi la tua vera strada
E lasciati accompagnare dallo spirito del
cervo della foresta
Con la sua frusta di cuoio
Con colui che guida i giaguari sacri
che indicano la tua strada.

2) Chima chia apaame María...
 
Chiima chia apaame María,
Ñanyheme ni nayhiñoohimo,
Ni nahamo namadica.
Mañangonomeimi ni ñumburé
yacaamo.
Nárima te ipombotauahui
nouimo
Motoña ahlilé mañarindaimoca
Cateña tane ngohoi icopatilime
Sehe ni aricamé ñahtii
Seheca ni namboui chiima
Te ipocahiomo nio nbaña
nbotehmmi
Oparipame nihí nárima
mañarindaimo
Opombotauahuima nihi
nambami
Tarihmi, camo ndipochiaa
Camoca ni niyame,
Poca icopapaame naca
Napahmeca cate sino.
Ambi ipa noue ipaaca nouimo,
Posá tai icotala simo,
Copuapó camo ipaiohi,
Lohoiohi natacuse,
Nárima ca ni aricahmihi ñahtii,
Tatamo isheli sihmicame,
Tacopoho ipopoiohi
nbanasimahmi
Nihi nambami,
tarihmica
Ndipochiaam
niyameca,
Iporioime iteilepoca,
Shuhi ilopocca.
¡Nachimeilo chia apaame
María!,
Tasilo isitihmime noue
simocame.
 
Traduzione in italiano: 
 
Madre luna alta Maria...

Madre luna alta María
Signora della notte,
dei campi e delle montagne. 
Compagna del giaguaro sacro
la luce che a noi mandi
è cosi bianca e brillante,
come se una tale cosa
germoglierà dai tuoi begli occhi
e dal tuo cuore di madre
chi si prende cura dei suoi figli umili.
Spandi la tua luce brillante
e mandaci le tue bontà
a tutti noi, agli animali e alle piante,
perché crescano grandi e
forti come te.
Non andartene e non lasciarci
perché quando sei già
prossima ad andare,
ti fai piccola
e la luce dei tuoi bei occhi
ci raggiunge già
ecco perché finisce la forza 
delle tue bontà e tutti noi,
animali e piante,
nasciamo deboli, gracili e matti. 
Oh madre Luna alta Maria!
Quanto contiamo su di te. 


Questo testo, del tutto simile a quelli contenuti nell'Alabanza, è riportato nel manuale confessionalle in lingua chiapaneca di Fray Luis Barrientos e risale alla fine del XVII secolo:

Copanombubi ti iporicame
ambica ipaohme noho panyho.
Samoloña ndipahomo ni iporicame
mongao nyhinomosiho cane nbomohi,
moho nyhahacao nyhacumbuimoca.
Mane Copanombubi moña
moho ni tari naatohmó
ngarolica nbaatihá,
nitaneca ni ndishé icopangohome, camei tique… 
 
Traduzione in italiano: 

Il nostro Dio non cambia
né si fa altro.
È soltanto la gente che cambia 
col suo modo di pensare, 
nelle sue idee e nelle sue credenze. 
Ma il nostro Dio è se stesso 
in tutti i tempi  
e anche oltre,
e in qualunque luogo sia, è uno…  
 
Si noti la profondità teologica e l'originalità dei contenuti, molto diversi da ciò che ci si aspetta da un ecclesiastico. Nell'Alabanza sono presenti notevoli segni di elaborazione del Cristianesimo da parte di queste genti native, con diverse reminiscenze preispaniche (il Signore nero, i giaguari, etc.). Questi testi potrebbero essere la base di un tentativo di reimmissione della lingua chiapaneca nell'uso corrente.   
 
3) Il caso del Guanche di Tenerife  
A Güímar, cittadina nell'isola di Tenerife, tuttora si celebra ogni anno una sacra rappresentazione nella festività della Vergine della Candelaria. Questa recita consiste nella rievocazione dell'arrivo del Cristianesimo tra i Guanches, avvenuto novantacinque anni prima della conquista dell'isola da parte degli Spagnoli. Una datazione plausibile è compresa tra il 1392 e il 1401. Propendo per la seconda ipotesi: solo nel 1496, in seguito alla repressione di una rivolta, Tenerife passò in modo definitivo sotto il dominio della Corona di Spagna. Riporto la leggenda della Vergine della Candelaria, descritta da Fray Alonso de Espinosa (1594). Due pastori stavano cercando di rinchiudere nelle grotte il bestiame, che opponeva loro resistenza. Cercando di capire perché, notarono su una roccia la figura di una donna, proprio sullo sbocco del precipizio di Chimisay. Subito credettero di avere a che fare con un essere animato e furono invasi dal terrore. A causa di un tabù neolitico, gli uomini non potevano rivolgere la parola a una donna sola. Così i pastori cercarono di convincere a gesti la figura femminile a spostarsi per lasciar passare gli animali. Come uno degli uomini alzò un braccio, se lo ritrovò paralizzato. L'altro fu invaso dall'ira e cercò di sperrare una coltellata, ma fallì il colpo e fu invece ferito. I due fuggirono a Chinguaro, che era la sede del Mencey di Güímar, Acaymo, e gli riferirono gli eventi portentosi di cui erano stati testimoni. Il Mencey si recò sul luogo del prodigio con i suoi consiglieri. Nessuno di loro ebbe il coraggio di toccare la statua. L'incarico di spostarla fu dato ai due pastori, che guarirono all'istante come la toccarono e riuscirono a condurla fino a una grotta vicina alla reggia. Un giovane che era stato catturato dagli Spagnoli e battezzato, riuscendo poi a fuggire alla schiavitù e a fare ritorno nella sua terra natale, riconobbe nel simulacro l'immagine della Vergine Maria. Descrisse così al Mencey la religione che aveva ricevuto in Spagna e definì la Vergine Maria "Madre del Sostenitore del Cielo e della Terra". La statua fu trasferita nella grotta di Achbinico e fatta oggetto di culto.     
 
Non è ben chiaro quando la lingua Guanche di Tenerife sia scomparsa. È opinione comune nel mondo accademico che sia durata per circa un secolo dopo la conquista spagnola. Esiste però una testimonianza poco nota. Il nobile inglese Sir Edmond Scory trovò che la lingua Guanche era ancora in uso nella zona di Candelaria-Güímar nel 1626. Alcune frasi in Guanche sono pronunciate tuttora nel corso della festività della Vergine della Candelaria. Ecco il materiale raccolto: 

¡Uh! Magné Mastáy
Achen tumba Manéy
 
"Oh! Madre del Cielo! Madre della Terra!"

Axmayex Guayaxerax, Achoron Achaman o Chaxiraxi 
"Madre del Sostenitore del Cielo e della Terra" 

Questa preghiera è stata raccolta a Güímar e a Guía de Isora: 
 
Tanemir uhana gec Magec 
Enehana benijime harba 
Enaguapa acha abezan.
"Grazie, o poderoso Sole,
per far sorgere un giorno nuovo, 
per illuminare la notte."
 
Il testo è stato raccolto da Sita Chico, figlia di Don Domingo Chico, proprio a Güímar. Secondo alcune fonti, il testo è stato raccolto nel villaggio di Chirche, Guía de Isora, da un pastore di nome Pedro Hernández "Viterio", che era ancora in vita nel 2017. Secondo altre fonti ancora, il testo è stato raccolto nel villaggio di Chío, Guía de Isora, da un pastore di nome Don Francisco Chico. Credo che si tratti di tre attestazioni diverse. 

A partire da questi frammenti sono riuscito a ricostruire almeno in parte un antico testo preispanico, a cui ho potuto dare il nome di Tradizione di Güímar. Questo è il testo ricostruito, ottenuto saldando le precedenti testimonianze in un insieme coerente: 

¡Uh! Magné Mastáy
Achen tumba Manéy. 
Axmayex Guayaxerax, 
Achoron Achaman o Chaxiraxi.  
Tanemir uhana gec Magec 
Enehana benijime harba 
Enaguapa acha abezan.  
 
A un certo punto la religione delle genti di Tenerife è stata incorporata al culto mariano e alla tradizione cattolica importata dalla Castiglia. Anche se è noto il significato di queste frasi tuttora pronunciate, manca nei nativi di Tenerife la capacità di riconoscere le singole parole e di farne un'analisi accurata. Si tratta quindi di una recitazione formulaica. Purtroppo questi luminosi gioielli linguistici e antropologici non sono apprezzati dalle autorità accademiche della Spagna, che cercano con ogni mezzo di far scomparire ogni traccia del passato delle Canarie. Esistono pochi siti nel Web su questo argomento. Riporto quanto di meglio ho trovato, anche se sono scettico sull'analisi dei testi che viene proposta:    
 
 
 
 
Uno dei pochi vocaboli etimologizzati con certezza è tanemir, che corrisponde alla perfezione al berbero tanemmirt "grazie".
 
4) Il caso del Kaurna 
La lingua dei Kaurna, della famiglia Pama-Nyungan, era parlata in Australia meridionale, nel territorio noto come Adelaide Plains. L'ultimo parlante noto, un certo Ivaritji, è morto nel 1929. La lingua è sopravvissuta soltanto tramite i recitatori formulaici, che hanno preservato pochi semplici testi senza saperli analizzare. Col tempo la conoscenza della lingua è cresciuta tra i discendenti dei Kaurna e nuovi testi sono stati composti. Sembra un esperimento di rivitalizzazione linguistica che sta avendo buon esito. Ecco alcune parole e semplici frasi: 

nii "sì" 
yaku "no" 
ku "OK" 
wuintyi "forse" 
madlana "nessuno, niente"
marni "buono" 
muinmu "di più, ancora" 
ngana "chi?" 
ngaintya "che cosa?" 
nganaitya "perché?" 
wamina "che succede?" 
waa "dove" 
wanti "verso dove"
wathangku "da dove" 
tika! "siediti!" 
karribarri! "alzati!" 
parni kawai! "vieni qui!" 
nurnti padni! "vattene!"
ngai kuma "anch'io" 
wanti niina? "dove stai andando"
ngai kudnawardli-ana padninthi "sto andando al gabinetto" 
nala-alati ngadlu padninthi "quando andiamo?"

 
5) La lingua degli antichi Weyto  
Gli Weyto (Wohito, Woyto, Uoito, Wayto etc.) sono un piccolo gruppo etnico stanziato della regione del lago Tana in Etiopia. Fino agli anni '60 dello scorso secolo la loro occupazione tradizionale era la caccia agli ippopotami. Per via della loro alimentazione basata sulla carne di tali animali, gli Weyto erano considerati immondi e intoccabili dai loro vicini; sono trattati così ancora oggi, anche se la loro dieta è cambiata. Per questo alcuni definiscono gli Weyto una casta anziché un popolo. La loro lingua attuale è l'amarico, che appartiene al gruppo delle lingue semitiche; tuttavia esistono testimonianze sul fatto che un tempo parlassero una lingua del tutto dissimile, che non è possibile classificare a causa della scarsità di dati. Nel 1770 l'esploratore scozzese James Bruce, che conosceva l'amarico e il Ge'ez, passò nelle terre degli Weyto e scrisse che parlavano una lingua radicalmente dissimile da tutte quelle parlate in Abissinia. Non poté però raccogliere informazioni concrete, dal momento che i due uomini Weyto inviati a lui dal Re non erano molto collaborativi: rifiutavano di rispondere alle domande anche se minacciati di morte per impiccagione. Passò molto tempo e gli etnologi fecero cadere gli Weyto nel dimenticatoio. Nel 1907 Eugen Mittwoch, il fondatore degli studi islamici in Germania, giunse tra gli Weyto e poté constatare che l'unica lingua da loro conosciuta era l'amarico. Quando Marcel Griaule passò nella regione nel 1928, confermò quanto detto da Mittwoch. Un giorno un suo interlocutore si mise a cantare una canzone incomprensibile. Quando gli chiese cosa fosse, l'uomo gli rispose che era una canzone nell'antica lingua degli Weyto. Lui stesso non ne capiva il testo, a parte alcune parole indicanti parti del corpo dell'ippopotamo, che erano ancora in uso. Griaule aveva trovato un recitatore formulaico! Incapace di cogliere la fortuna che gli era capitata, Griaule non registrò il canto e neppure ne trascrisse le parole. Il dialetto amarico degli Weyto fu descritto da Marcel Cohen nel 1939, che ne analizzò il lessico. Vi trovò un gran numero di parole amariche distorte nella fonetica e nel significato, come se appartenessero a una specie di gergo. Notò un piccolo numero di parole kushitiche e molti prestiti arabi pertinenti alla religione islamica. Evidenziò sei parole nel lessico raccolto da Griaule, la cui origine era sconosciuta. Non ci sono dubbi sul fatto che siano resti dell'antica lingua degli Weyto. Sono queste:  
 
annessa "spalla" 
čəgəmbit "zanzara" 
ənkies "coscia di ippopotamo" 
qəntat "ala"  
šəlkərít "squama di pesce"
wazəməs "spina dorsale di ippopotamo" 
 
Chloé Darmon (2010) ne riporta qualche altra: 
 
ammabay "cinghia che lega il giogo alla barra di traino del
    rimorchio"  
gumámənna "tipo di pianta usata per nutrire i cavalli"
loča "giunco usato per fare i nodi"
qwambät "timone della barca"  
šangwa "prua della barca" 

Si sono dimostrati fallimentari i tentativi di classificare la lingua perduta a partire da questo vocabolario residuale. Qualcuno pensa che gli Weyto parlassero una lingua kushitica della famiglia Agaw, ma non sono riuscito a trovare nulla di convincente.
 
Nel 1965 ci fu la spedizione di Frederick Gamst, che poté constatare la totale assenza di parole di sostrato nell'amarico degli Weyto, nemmeno nel campo della caccia e della pesca. Nel 2010 Chloé Darmon testimonia di aver parlato con alcuni Weyto nel corso di un lavoro sul campo: le dissero che il loro popolo aveva sempre avuto come unica lingua madre l'amarico. L'Oblio era ormai totale.