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mercoledì 8 gennaio 2020

UN ITALIANO UCRONICO

Nostra grande curiosità è sempre stata l'allostoria linguistica dell'italiano. Come si parlerebbe nella nostra Penisola se l'evoluzione del latino volgare nella Toscana antica fosse stata diversa e i poeti avessero elaborato una lingua colta molto diversa da quella a cui siamo abituati? Cercherò di fare alcune ipotesi e di produrre qualche risultato, disegnando per sommi capi un corso storico ucronico, da prendersi ovviamente come un semplice esperimento concettuale. 
 
Notando che nella realtà in cui viviamo non si sono prodotte forme pur ineccepibili come *netticchia "nipotina" (< lat. nepticula) e *anocchia "vecchietta" (< lat. anucula), ne approfittiamo per plasmare una nuova conlang (ossia constructed language "lingua costruita"), una forma di italiano ucronico che non ha subìto rilevanti infusioni di latino letterario e di greco, ma che continua meglio certe forme latine. Ecco, per il vostro piacere filosofico, una lista di vocaboli di questo peculiare idioma:

albo "bianco"
annicchio "capretto di un anno"
anócchia
"vecchietta"
appolcrare "abbellire"
articchiare "articolare"
articchio "articolo" 
ave "uccello"
bello "guerra"
capicchio "capitolo"
gerre "portare"
magno "grande"
màssomo "massimo"
ménomo "minimo"
merchie! "accidenti!" < lat. mehercle
miracchio "miracolo"
netticchia "nipotina"
noverca "matrigna" 
òle "un tempo"
pólcro "bello"
presézzo "presidio"
privigno "figliastro"
puèro "bambino"
rufo "rosso"
sue "maiale"
suéllo "maialino"
tasto "silenzioso" < lat. tacitus
vasto "vuoto" < lat. vacitus 
vétrico "patrigno"
 
Non si sono prodotti dittonghi dalle vocali /e/ e /o/ brevi toniche del latino: 
 
èri "ieri"
mètere "mietere"
mèto "paura"
òmo
"uomo"
fòra
"fuori"
òve
"pecora" 
scòla "scuola"
tòrlo
"tuorlo" 

Si conservano arcaismi come óvo "uovo" e óva "uova", dalla parola latina con vocale tonica lunga /o:/. Così si hanno esiti regolari di parole che hanno invece esiti irregolari nell'italiano del nostro corso storico: 
 
lópo "lupo"
óscio "uscio" 
 
Ai romanisti sarà saltata subito all'occhio l'irregolarità dell'italiano lupo, dato che il latino lupus ha una -u- tonica breve, che non si sarebbe dovuta conservare immutata. Alcuni hanno spiegato il vocalismo di lupo ipotizzando l'influsso dei dialetti umbri, altri lo hanno visto invece come un dottismo causato da tabù linguistico. Ecco, assumiamo che nell'italiano ucronico queste interferenze non ci siano state.

Altri arcaismi: 

meco "con me"
teco "con te"
novésco "con noi"
vovésco "con voi" 

Le prime due forme pronominali, meco e teco, esistevano nell'italiano letterario. Le altre due sono notevoli, dato che già nell'Appendix Probi si stigmatizzava noscum per nobiscum "con noi" e voscum per vobiscum "con voi". Si tratta quindi di esiti in qualche misura dotti, a dispetto della regolare evoluzione fonetica. In italiano letterario sono note le forme nosco e vosco.  

Mancano le lenizioni delle consonanti sorde, che tanto sono diffuse nel nostro italiano: 

aco "ago", "aghi"
laco "lago", "laghi"
péscopo "ispettore" 

Quest'ultimo vocabolo non ha mai avuto significato religioso, mantenendo la sua origine militare; si ipotizza che il Punto di Divergenza tra l'ucronia in questione e il nostro corso storico risalga all'epoca di Diocleziano.   
 
Restano sostantivi che distinguono il nominativo da una forma obliqua (usata come accusativo, dativo, ecc.): 
 
frate "fratello" (obliquo fratre)
latro "ladro" (obliquo latrone)
mate "madre" (obliquo matre)
òmo "uomo" (obliquo òmine)
pate "padre" (obliquo patre)
sòro "sorella" (obliquo soróre

Al posto di antichi neutri possono trovarsi occasionalmente forme maschili rifatte per analogia: 

còre "cuore" (obliquo corde, ma plurale/collettivo corda, di genere neutro)

Si hanno femminili in -o, come fico (che nel nostro italiano è passato al maschile) e querco "quercia (che nel nostro italiano è passato al femminile): ella fico "il fico" (albero e frutto), ella querco "la quercia".

Alcune parole dell'italiano ucronico sopra illustrato esistono nella nostra lingua italiana soltanto come reliquie: menomo è ben noto ed usato dallo stesso Leopardi, ormai nessuno lo usa, ma ha dato origine a parole tuttora correnti come menomare, menomato, menomazione. Questa è la dimostrazione più eloquente di come sia possibile per il volgo dimenticare l'etimologia delle parole e non comprendere neppure le connessioni più elementari. Altre volte una parola dell'italiano ucronico da me proposto vive soltanto come toponimo. Questo è proprio il caso di presezzo, che esiste come nome di un paese lombardo, Presezzo (in provincia di Bergamo), che è derivato direttamente dal latino praesidium. La consonante -zz- è sonora come quella di mezzo.  
 
I verbi sono meno regolari di quelli del nostro italiano. 
 
Questa è la coniugazione del verbo esse "essere" al presente indicativo:

son "sono"
ei "sei" 
è "è" 
sómo "siamo"
este "siete"
son "sono" 
 
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

sén "sia"
sei "sia"
"sia"
sémo "siamo"
séte "siate"
sén "siano"

Questa è la coniugazione del verbo posse "potere" al presente indicativo: 
 
posso "posso"
pòte "puoi" 
pòte "può" 
pòssomo "possiamo"
potèste "potete"
posse "possono" 
 
Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

posse "possa"
posse "possa"
posse "possa"
pòssimo "possiamo"
pòste "possiate"
posse "possano"

 
Questà è la coniugazione del verbo avere "avere" al presente indicativo: 
 
abbio "ho" 
ave "hai"
ave "ha"
avémo "abbiamo"
avete "avete"
ave "hanno"

Il presente congiuntivo è quasi identico a quello da noi usato: 
 
abbia "abbia"
abbia "abbia"
abbia "abbia"
abbiamo "abbiamo"
abbiate "abbiate"
abbia "abbiano"
 
Questà è la coniugazione del verbo amare "amare" al presente indicativo:

amo "amo"
ama "ami"
ama "ama"
amàmo "amiamo"
amate "amate"
ama "amano" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

ame "ami"
ame "ami"
ame "ami"
amémo "amiamo"
améte "amiate"
ame "amino"
 
Questà è la coniugazione del verbo vedere "vedere" al presente indicativo:

vezzo "vedo"
vede "vedi"
vede "vede"
vedémo "vediamo"
vedete "vedete"
vede "vedono" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

vezza "veda"
vezza "veda"
vezza "veda"
vezzàmo "vediamo"
vezzàte "vediate"
vezza "vedano" 

Questà è la coniugazione del verbo dùcere "guidare" al presente indicativo:

duco "guido"
duce "guidi"
duce "guida"
dùcimo "guidiamo"
duste "guidate"
duco "guidano" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

duca "guidi"
duca "guidi"
duca "guidi"
ducàmo "guidiamo"
ducàte "guidiate"
duca "guidino"
 
Questà è la coniugazione del verbo odire "udire, sentire" al presente indicativo:

ozzo "odo, sento"
odi "odi, senti"
odi "ode, sente"
odìmo "udiamo, sentiamo"
odite "udite, sentite"
ozzo "odono, sentono" 

Le forme del presente congiuntivo sono le seguenti: 

ozza "oda, senta"
ozza "oda, senta"
ozza "oda, senta"
ozzàmo "udiamo, sentiamo"
ozzàte "udiamo, sentite"
ozza "odano, sentano"
 
Nell'Italia ucronica in cui si parla questa lingua non si è imposto il Cristianesimo, che è stato annientato da Diocleziano. Nemmeno il Neoplatonismo ha avuto fortuna: sono rimasti soltanto culti pagani vernacolari. Alcuni nomi di divinità sono identici o quasi a quelli a noi conosciuti: 

Giove "Giove"
Marte "Marte"
Vènere "Venere"
Bacco "Bacco"
Giano "Giano"

Altri hanno subìto evoluzioni fonetiche prevedibili: 

Erchie "Ercole"
Giana "Diana"
Mercóro "Mercurio"
Piuto "Plutone" (obliquo Piutone)
Satórno "Saturno" 

Altri elementi del vocabolario cultuale, scomparsi nel nostro corso storico, perdurano: 

ara "altare" 
fano "tempio"
èppia "banchetto sacro"
nèmo "bosco sacro" (obliquo nèmore, plurale nèmora)  
piàcchio "espiazione cruenta" 

L'ortografia adottata è praticamente identica a quella che usiamo quotidianamente, con l'uso gli accenti dove abbiamo ritenuto necessario chiarire la pronuncia ed evitare ambiguità. Si potrebbe quasi dire che questo italiano ucronico sia una sorta di livellatore che regolarizza l'evoluzione dal latino, più classico che volgare, restaurando una regolarità che nella nostra realtà è andata perduta. Sembra quasi un metro di paragone tra le condizioni ideali di evoluzione linguistica e quelle reale, di gran lunga più caotiche e imprevedibili. Se poi si vorrà dire che questa non è davvero "ucronia", bensì "onirostoria", si faccia pure.

sabato 4 gennaio 2020

UN INGLESE UCRONICO

Immaginiamo ora che non ci sia mai stata la battaglia di Hastings e che i Normanni non abbiano mai conquistato Albione. Immaginiamo di avere un arcipelago abitato da contadini dal carattere non dissimile da quello degli Hobbit descritti nelle immortali pagine di Tolkien. Immaginiano anche che non si sia prodotta l'enorme immissione di prestiti dal norreno dovuta all'influenza di dialetti formatisi nell'Inghilterra settentrionale, fenomeno che ha portato nella lingua del nostro corso storico parole come big "grande", black "nero", fellow "compagno", skipper "vogatore", they "essi, esse", to take "prendere", to call "chiamare", to cast "gettare", to get "ottenere", to give "dare", etc. Che lingua parlerebbero in questa singolare Ucronia? Mi inoltro in un esercizio concettuale da prendersi per quello che è, con sospensione dell'incredulità e per il puro piacere filosofico del lettore. Ovviamente non è possibile scorporare gli effetti di un mancato evento, non è possibile prevedere le conseguenze di qualcosa nemmeno a breve termine. Non mi azzardo a ipotizzare un Punto di Divergenza, posso soltanto immaginare che qualcosa di cruciale sia accaduto nell'epoca oscura dei tardi regni anglosassoni, durante il X secolo e la prima metà dell'XI.    
 
Molte parole dell'inglese ucronico da me costruito sono parole dell'inglese della nostra realtà, ma con significato più generale, mentre parole a noi assai familiari non vi esistono affatto. In altri casi si usano parole che nell'inglese della nostra realtà hanno cambiato profondamente significato. Esempi:
 
Non esiste bird: si usa solo fowl "uccello"
Non esiste blackbird: si usa solo oozle "merlo"
Non esiste dog: si usa solo hound "cane"
Non esiste eagle: si usa solo erne "aquila"
Non esiste flour: si usa solo meal "farina"
Non esiste flower: si usa solo blossom "fiore"
Non esistono hog, piglet, pigling: si usa solo farrow "porcello"
Non esiste pig: si usa solo swine "maiale" 
 
Spesso sussistono differenze semantiche: 
 
Inglese deer "cervo"
Inglese ucronico deer "animale, bestia"
 
Inglese fowl "pollame"
Inglese ucronico fowl "uccello"
Il significato di "uccello, volatile" ricorre però anche nel nostro corso storico, nell'inglese arcaico e poetico.
 
Inglese hound "segugio" 
Inglese ucronico hound "cane" 

Inglese meal "pasto"
Inglese ucronico meal "farina"
Nell'inglese del nostro corso storico il significato di "farina" è conservato soltanto in composti: oatmeal "farina di avena".
 
In moltissimi casi le parole sono diverse da quelle che noi usiamo, e risalgono direttamente all'anglosassone. I prestiti dal latino esistono, ma continuano direttamente quelli già presenti in anglosassone: non ne sono giunti dalla Francia né dal latino accademico. Questo è un piccolissimo campione di lessico peculiare:  
 
camp /kæmp/ = battle "battaglia"
car /ka:r/ = rock "roccia"
coaser /'koʊzər/ = emperor "imperatore"
coaserdom /'koʊzərdəm/ = empire "impero"
chester /'tʃestər/ = castle "castello"
chettle /'tʃetḷ/ = kettle "pentola"
Creeks /kri:ks/ = Greeks "Greci"
drake /dreɪk/ = dragon "drago"
dry /draɪ/ = wizard "mago"
engel /'end
ʒəl/ = angel "angelo"
etched /'etʃɪd/ = vinegar "aceto"
ey /aɪ/ = egg "uovo" 
eyren /'aɪr
ən/ = eggs "uova"
kemp /kemp/ = champion "campione"
leed /li:d/ = people "gente"
marmstone /'marmstoʊn/ = marble "marmo"
mise /maɪz/ = table "tavolo"
mitchel /'mɪtʃəl/ = big "grande"
moathom /moʊðəm/ = present "dono"
to nim /nɪm/ = to take "prendere"
orc /ɔ:rk/ = demon "demone"
orc /ɔ:rk/ = pitcher "bicchiere"
Roume /raʊm/ = Rome "Roma"
Roumewals /raʊmwɔlz/ = Romans "Romani"
swart /swɔrt/ = black "nero"
yigant /'jaɪgənt/ = giant "gigante"
yift /jɪft/ = gift "dono"
yim /jɪm/ = gem "gemma"
to yive /jɪv/ = to give "dare" 

Nel nostro corso storico il verbo to nim si trova soltanto in ristrette aree dialettali col significato di "rubare". Nell'inglese ucronico da me costruito, to nim è il verbo di base per dire "prendere".
 
La pronuncia di certe parole fondamentali è diversa: 
 
one /oʊn/ anziché /wʌn/ "uno" 
onse /oʊns/ anziché once /wʌns/ "una volta"
Non si ha l'ortografia in -ce in questa parola, essendo nata dall'imitazione del francese. 

Si hanno diversi casi di omofonia assai singolari: ey "uovo" suona identico a eye "occhio"; camp "battaglia" suona in modo abbastanza simile a kemp "campione". 

La grammatica presenta alcuni caratteri peculiari. 
 
I plurali sono molto più irregolari di quelli a cui siamo abituati. Sono molto più comuni formazioni come children "bambini" da child "bambino".
Il plurale di brother "fratello" è sempre brethren "fratelli". Nel nostro corso storico esiste brethren, ma è usato esclusivamente in contesti religioso col senso di "confratelli".
Il plurale di cow "vacca" è kine "vacche"
Il plurale di bee "ape" è been "api"
Il plurale di engel "angelo" è englen "angeli"
Il plurale di eye "occhio" è eyen "occhi"
Il plurale di hear "orecchio" è hearn "orecchi"
Il plurale di horse "cavallo" è horse "cavalli"
Il plurale di hose "calzone" è hosen "calzoni"
Il plurale di house "casa" è housen "case"
Il plurale di knee "ginocchio" è kneen "ginocchia"
Il plurale di shoe "scarpa" è shoon "scarpe"
Il plurale di thing "cosa" è thing "cose"
Il plurale di tree "albero" è treen "alberi"
Esempi simili sono assai numerosi.
I plurali in -s nell'inglese ucronico sono giusto quelli derivati dagli antichi maschili della declinazione forte anglosassone, come ad esempio stones "pietre" da stone "pietra". 

Anche il genitivo sassone non è come quello a noi familiare. Al plurale termina in -(e)n anziché in -s'; al singolare in molti nomi è in -es, ma scritto senza apostrofo, mentre in molti altri è in -(e)n.

Molti verbi hanno forme irregolari che da noi sono cadute in disuso nell'inglese moderno. Un esempio valga per tutti: 
 
to help "aiutare",
holp "aiutò"
holpen "aiutato"
 
Non si usa mai you come pronome singolare: esiste soltanto il pronome thou "tu" (accusativo e dativo thee "te, a te", possessivo thy, thine "tuo"), con il verbo col suffisso -st, -t
 
thou art = you are "tu sei" 
thou hast
= you have "tu hai" 
thou shalt = you shall "tu devi"
thou wilt = you will "tu vuoi"
thou nimest = you take "tu prendi"
thou seest = you see "tu vedi"  

Nel nostro corso storico queste forme sono usate soltanto dai credenti di alcune confessioni religiose, come quella dei Quaccheri.
 
Il pronome di seconda persona plurale è ye "voi" al nominativo, you "vi, a voi" all'accusativo e al dativo. Il genitivo è your "vostro" come nel nostro corso storico.
Il pronome di terza persona plurale è he "essi, esse", come il singolare maschile, con l'accusativo e dativo him "loro, a loro", genitivo her "loro". I pronomi di terza persona singolare sono identici a quelli del nostro corso storico: he "egli", she "ella", it "ciò". Il contesto permette di evitare ambiguità tra he "egli" e il plurale he "essi, esse".
 
Non si è prodotta la famosissima -s della terza persona singolare del presente indicativo: si sono mantenute le forme con la fricativa interdentale -th
 
he doeth = he does "egli fa" 
he goeth = he goes "egli va"
he nimeth = he takes "egli prende"
he cometh = he comes "egli viene" 
he seeth = he sees "egli vede" 
 
La nostra -s è derivata dalla totale assibilazione di -th: l'inglese ucronico ha giusto mantenuto una situazione più arcaica.  
 
Non si è prodotto l'uso generale del presente progressivo in -ing, e il suffisso è piuttosto -end
 
thou art comend = you are coming 

Alcuni esempi di frasi:

I yive thee a moathom = I give you a present
Thou art the Coaser of Roume = you are the Emperor of Rome
I nim some eyren = I take some eggs; I'm taking some eggs

In realtà c'è un inghippo. Per il nostro inglese ucronico abbiamo usato un'ortografia che è comunque molto simile a quella del nostro corso storico. Ci aspetteremmo ad esempio l'uso generale della lettera þ (thorn) per trascrivere il suono di th (sordo e sonoro): þe, þis, comeþ, etc. Inoltre sono comuni all'inglese del nostro corso storico alcuni processi che hanno portato alla trasformazione delle vocali e alla formazione di dittonghi. Questi cambiamenti, verificatisi nella prima fase dell'inglese moderno, avrebbero benissimo potuto non verificarsi in un corso storico diverso. Tuttavia notiano che alcune dittongazioni si sono avute in modo del tutto indipendente in diverse lingue. Così vediamo che le antiche vocali lunghe /i:/ e /u:/ hanno sviluppato si ha lo stesso dittongo in inglese e in tedesco:
 
Inglese house "casa"
Tedesco Haus "casa" 
 
Inglese mouse "topo"
Tedesco Maus "topo"
 
Inglese swine "porco"
Tedesco Schwein "maiale" 
 
Inglese wine "vino"
Tedesco Wein "vino"
 
Vero è che l'uso del dittongo ou per trascrivere la vocale lunga /u:/ nel medio inglese, prima della dittongazione, si è sviluppato a causa dell'influsso dell'antico francese portato dai Normanni. Potremmo invece pensare che nel corso storico alternativo tale consuetudine grafica si sia imposta per trascrivere proprio la dittongazione nelle sue prime fasi - anche se resterbbe oscuro perché non si sia imposto il dittongo grafico ei per trascrivere il dittongo sviluppatosi dalla vocale lunga /i:/.  
 
A questo punto possiamo ritenere accettabili le convergenze fonetiche e ortografiche tra l'inglese ucronico e quello del nostro corso storico, con qualche riserva, postulando che si siano sviluppate in modo indipendente anche in contesti abbastanza dissimili. Altrimenti basterà etichettare con l'aggettivo "onirostorico" questo bizzarro inglese da noi elaborato.

lunedì 18 febbraio 2019


LA CORONA DI FERRO

Titolo originale: La corona di ferro
Paese di produzione: Italia
Anno: 1941
Lingua: Italiano
Durata: 97 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1.37:1
Genere: epico, fantastico, avventura
Regia: Alessandro Blasetti
Soggetto: Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Sceneggiatura: Corrado Pavolini, Guglielmo Zorzi, Giuseppe
      Zucca, Alessandro Blasetti, Renato Castellani
Casa di produzione: E.N.I.C.
Distribuzione in italiano: E.N.I.C.
Fotografia: Václav Vích, Mario Craveri
Montaggio: Mario Serandrei
Musiche: Alessandro Cicognini (direzione orchestrale di
      Pietro Sassoli)
Scenografia: Virgilio Marchi
Costumi: Gino Carlo Sensani
Interpreti e personaggi
    Gino Cervi: Re Sedemondo di Kindaor, padre di Elsa
    Massimo Girotti: Arminio / Licinio, padre di Arminio
    Elisa Cegani: Elsa / madre di Elsa, regina di Kindaor
    Luisa Ferida: Tundra / Kavaora, madre di Tundra
    Rina Morelli: la vecchia del fuso
    Osvaldo Valenti: Eriberto
    Paolo Stoppa: Trifilli
    Primo Carnera: Klasa, il servo di Tundra
    Umberto Silvestri: Farkas
    Stelio Carnabuci: Re Artace
    Amedeo Trilli: un re al torneo
    Renato Navarrini: ministro del re della Rosa
    Giorgio Gentile: il re della Rosa
    Ugo Sasso: Artalo
    Piero Pastore: Sestio
    Vittoria Carpi: sposa di Artalo
    Satia Benni: la vedova
    Dina Perbellini: nutrice
    Maurizio Romitelli: Arminio da piccolo
    Rossana Rocchi: Elsa da piccola
    Pietro Germi: Cavaliere
    Mario Ersanilli
    Antonio Marietti
    Umberto Sacripante
    Ada Colangeli
    Jolanda Fantini
    Giovanni Stupin
    Adele Garavaglia
    Gemma D'Ambri
    Perla Martinelli
    Adriano Micantoni
    Alda Perosino
    Mario Mazza
    Giovanni Stupin
    Piero Carnabuci
    Renato Karninski
    Lino Bears
Doppiatori originali
    Augusto Marcacci: Licinio
    Gualtiero De Angelis: Arminio
    Lauro Gazzolo: Eriberto
    Giovanna Scotto: nutrice
Titoli tradotti:
    Inglese: The Iron Crown
    Francese: La Couronne de Fer
    Spagnolo: La Corona de Hierro
    Portoghese: A Coroa de Ferro
    Russo: Железная корона
    Norvegese: Sagnet om jernkorset
    Ungherese: Vaskorona
Premi: 
   Coppa Mussolini al miglior film italiamo (alla Mostra
   internazionale d'arte cinematografica di Venezia, 1941)

Trama:
Siamo in un'epoca di grande decadenza, in cui le tenebre avvolgono la terra dopo il crollo del potere imperiale di Roma. Volendo propizare la pace nell'Occidente devastato da incessanti conflitti, l'Imperatore di Bisanzio invia al Papa la Corona di Ferro, forgiata con un chiodo della crocefissione di Gesù. La spedizione giunge in Italia, nel regno di Kindaor, dove si è appena conclusa una terribile guerra che ha visto Licinio trionfare su Artace. Il vincitore vuole offrire allo sconfitto una pace onorevole, ma ecco che il proprio fratello Sedemondo, pieno d'odio e avido di potere, gli trafigge il cuore con un giavellotto, usurpandone prontamente il regno. Il popolo di Artace è condannato alla schiavitù. Non contento di questi crimini, Sedemondo intercetta la spedizione con la Corona di Ferro alle gole di Natersa, un luogo insidioso in cui l'arciere Farkas stermina la scorta bizantina. La reliquia però sprofonda nel terriccio e il sovrano non riesce a recuperarla. A questo punto Sedemondo, che attraversa una foresta, viene ammonito da una misteriosa vecchia filatrice, che gli profetizza la rovina a causa degli atti sacrileghi di cui si è macchiato. Così descrive la nemesi dell'usurpatore fratricida: gli sarebbe nata una figlia, che avrebbe amato alla follia il figlio maschio del fratello ucciso, fino a morirne. Nel frattempo la moglie di Sedemondo ha dato alla luce una femmina, Elsa, che viene scambiata con Arminio, il figlio della moglie del defunto Licinio. I due vengono cresciuti come fratello e sorella. Tutto fila liscio per un po', ma alla fine il re di Kindaor scopre l'inganno. Così Sedemondo colpisce con la sua vendetta: fa rapire Arminio da un servo, che ha l'ordine di abbandonare il bambino nella Valle dei Leoni, per poi passare dalle gole di Natersa. Tornato nel bosco dalla vecchia filatrice, il sovrano la sfida, millantando di aver vinto il Fato. La Norna gli cancella la memoria ed egli è incapace di ricordare cos'è accaduto ad Arminio. Per scongiurare ogni pericolo di inveramento della profezia dell'incesto, decide di condannare Elsa ad essere segregata nella reggia, che fa chiudere al mondo esterno con tre cancelli concentrici. Vent'anni dopo, Sedemondo bandisce un grande torneo, a cui parteciperanno principi di tutte le nazioni, il cui vincitore sposerà Elsa. A questo punto un terremoto apre un passaggio nell'isolata Valle dei Leoni. Arminio, che è cresciuto con le fiere, esce dal suo microcosmo durante l'inseguimento di un cervo. Ritrovatosi all'esterno, per la prima volta in vita sua vede altri esseri umani. Si imbatte in Tundra, la figlia di Artace, trovandola molto attraente. Questa comprende l'ingenuità del giovane, così lo incita a partecipare al torneo e a darle sostegno nella ribellione del suo popolo contro il tirannico Sedemondo. Appena Arminio giunge nella capitale del regno, le cose si complicano. Incontra Elsa, che si fa passare per la propria serva. Com'è ovvio, se ne innamora subito, mettendosi così in una situazione insostenibile con Tundra. Dopo una girandola di colpi di scena e di intrighi, ecco che tutto precipita verso il drammatico finale. Elsa, giunta alle gole di Natersa, si frappone tra l'esercito di Sedemondo e quello degli insorti. Colpita da una freccia scoccata dall'arco di Farkas, viene inghiottita da una voragine prodigiosa che spacca la terra separando i contendenti, mentre la Corona di Ferro ritorna alla luce. Accade così che la pace viene restaurata. Arminio e Tundra si sposano e regnano su Kindaor, in cui al contempo trionfa il Cristianesimo. 



Recensione:
Il film di Blasetti è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 18 dicembre 2006. Non ho potuto essere presente. Avevo visto questa pellicola quando ero un marmocchio e mi era rimasta impressa. Ho poi avuto occasione di rivederla a molti anni di distanza. Blasetti ha fuso in un immenso calderone ogni sorta di mitologema mediterraneo e nordico, aggiungendovi gli ingredienti più impensabili. Si trova proprio di tutto: Tarzan, Robin Hood, il Milione di Marco Polo, Edipo Re, le fiabe di Andersen e via discorrendo. Per impedire al racconto di andare alla deriva in un mondo di pura fantasia, sono stati fissati alcuni riferimenti storici: l'Imperatore di Bisanzio, il Papa, il Cristianesimo e per l'appunto la Corona di Ferro. Non si bada troppo all'anacronismo e all'inverosimiglianza, travalicando non di rado il confine del pacchiano e del grottesco. Il sovrano dei Tartari, con un tipico nome alto tedesco, Eriberto (Heribert), veste gli abiti più implausibili. I Burgundi sono presentati come nobiluomini della Francia medievale; per giunta il principe di tale nazione è un po' effeminato. Che dire poi della Valle dei Leoni? Si sa, sono ben celebri i leoni autoctoni nel Friuli e nel Trentino. Vero è che in epoca storica esistevano ancora leoni in Grecia e nei Balcani, ma l'idea di una colonia di grandi felini in Italia settentrionale mi sembra esilarante. Detto questo, La corona di ferro rimane un pilastro della filmografia fantasy del XX secolo. 



La furia di Goebbels 

Questo si tramanda, che Joseph Goebbels poté assistere alla proiezione del film mentre si trovava a Venezia nel 1941. Durante lo spettacolo il gerarca perse le staffe e tuonò contro il regista: "Con simili idee, in Germania sarebbe finito immediatamente al muro!" (devo recuperare l'originale in tedesco dell'invettiva). Tale fu l'influenza del giudizio del nazionalbolscevico di Rheydt, anche nella Germania postbellica, che il titolo del film di Blasetti non fu mai tradotto in tedesco!
Ora siamo costretti a porci un inquietante interrogativo. Cosa aveva davvero turbato il Diavolo Zoppo al punto di fargli perdere le staffe, facendo fare una ben misera figura al Reich Millenario? Era davvero un'astratta idea pacifista, a malapena percettibile nell'opera di Blasetti, a farlo imbestialire? Oppure la colpa è da attribuirsi a qualche personaggio ritratto in modo impietoso e lontanissimo dagli stereotipi fisici e morali dell'eroe germanico? Qualcosa che contrastava con le caratteristiche del perfetto membro della NSDAP? Forse non sapremo mai a quale minuto della proiezione scattarono le ire del Ministro della Propaganda. La mia supposizione - spero che non sia considerata una chiacchiera da enoteca - è questa: egli fu turbato dall'accostamento di un eroe di nome Arminio a Tarzan e a tutto l'immaginario scimmiesco che il nome burroughsiano si portava dietro. L'epopea germanica contaminata da suggestioni africane, negroidi! Blasetti mostrava le bizzarrie più impensabili e nemmeno un Sigfrido biondo. Però, se così fosse stato, l'uomo che arringava le folle a Norimberga avrebbe dovuto guardare se stesso, per prima cosa. Riporterò a questo punto un paio di versi composti dall'impavido Ernst Röhm, che non temeva nulla e che fu sempre franco con tutti. 


Lieber Gott mach mich blind, 
dass ich Goebbels arisch find! 

Mio Dio, rendimi cieco,
affinché possa credere che Goebbels sia ariano!
 


Peccato che nelle scuole italiane di queste cose alquanto interessanti non si faccia la benché minima menzione. 


Eriberto o la germanizzazione dei Tartari  

Eppure sono convinto che qualcosa di positivo Herr Goebbels nel film di Blasetti lo avrebbe facilmente trovato, se soltanto fosse stato più collaborativo. Forse gli rodeva ancora il fatto di essere stato costretto a lasciare l'amante. Fatto sta che il sovrano dei Tartari, come già accennato, porta un nome germanico. Il regno di Kindaor, chiaramente germanico, è menzionato come la più potente nazione dell'intero globo terracqueo. Ai tempi dei cosiddetti regni romano-barbarici l'etnonimo dei Tartari (in realtà Tatari) non era conosciuto nei territori che furono dell'Impero Romano d'Occidente: si sarebbe parlato semplicemente di Unni. Se il regista avesse etichettato Eriberto come Re degli Unni, la sua opera avrebbe avuto un punto di contatto in più con la realtà storica - per quanto labile. In fondo anche il glorioso nome di Attila proviene dalla lingua dei Goti e significa "Piccolo Padre". Proprio come il soprannome di Stalin.

Etimologia di Kindaor 

Il toponimo Kindaor non ha origini germaniche. Sembra invece derivare da una lingua celtica. La protoforma è ricostruibile come *Kuno-tauros, ossia "Montagna dei Cani", essendo *tauros un elemento del sostrato ligure che emerge ad esempio nel nome dei Taurini e della loro antica capitale, Taurasia. Si presuppone un'evoluzione tipica delle lingue celtiche della Britannia: *Kuno-tauros > *Kyn-dawr > Kindaor. In antico irlandese, nel linguaggio poetico, "cane" (gen. con; pl. coin) significa anche "lupo" e "guerriero". La stessa semantica la troviamo nell'antica Iberia, nel nome dei Conetes, che compare anche nel toponimo Conimbriga (oggi Coimbra).  Ho a questo punto una domanda. Poteva il regista del film spingersi a una simile comprensione del nome da lui inventato? Ho i miei dubbi. Tuttavia mi piace trovare un senso profondo anche nelle figure confuse delle piastrelle del bagno e del marmo dei pavimenti. Distillo conoscenza dalla pareidolia. Il bello è che ne escono spesso cose verosimili, compatibili con quanto possiamo dedurre dei tempi antichi.

Etimologia di Sedemondo 

Questo antroponimo maschile è schiettamente germanico. Deriva da una protoforma *Siðu-munduz e significa "Difensore del Costume". Si confronti ad esempio il norreno siðr "costume, tradizione", che ha la stessa radice. Nelle fonti in latino, se fosse documentato, il nome del Re di Kindaor sarebbe stato reso come Sidimundus o Sidimund. La forma Sedemondo presenta indizi di sviluppi romanzi, cosa che non deve stupire. Blasetti fu ispirato, non ci sono dubbi! Anche se la lingua di Wulfila era per lui un libro chiuso, creò come se la conoscesse.    

Etimologia di Tundra 

Questo antroponimo femminile ha una perfetta corrispondenza in norreno: Thóra. Deriva chiaramente dal teonimo protogermanico *Þunraz "Thor, Dio del Tuono", con l'applicazione di un suffisso femminile della declinazione debole:  *Þunro:n. Il significato soggiacente dovrebbe essere "Simile a Thor" o "Figlia di Thor". Il bello è che l'aspetto fonetico di Tundra è compatibile proprio con un tardo sviluppo della lingua dei Goti. Naturalmente il regista non avrà conosciuto la lingua di Wulfila o il norreno, non avrà avuto nozione alcuna di filologia germanica: a lui interessava più che altro suggerire l'immagine di una donna fredda e crudele, evocata dal nome dato alla steppa siberiana (di tutt'altra etimologia, è ovvio). 

Etimologia di Artace e di Artalo

Sappiamo che Artace è il nome di un eroe del popolo dei Dolioni. Viene menzionato soltanto nelle Argonautiche di Apollonio Rodio. L'etimologia non è poi così chiara, indizio a parer mio sufficiente ad attribuire l'antroponimo al sostrato pre-ellenico. Questo nome è stato utilizzato da Michael Ende nel suo capolavoro La Storia Infinita: tutti conoscono Artax, il cavallo del prode Atreyu. Nel contesto del film di Biasetti, Artace avrà invece un'origine diversa. Trovo suggestivo far derivare il nome del sovrano sconfitto da Licinio dalla radice protoceltica *arto- "orso" (gallico Arto-, antico irlandese art, gallese arth). Allo stesso modo anche Artalo avrà la stessa etimologia, che poi è la stessa del mitico Artù: cambiano soltanto i suffissi.  

Etimologia di Klasa 

Il servo di Tundra, interpretato dal possente Primo Carnera, ha un nome di chiara etimologia germanica, compatibile con la lingua dei Goti: Klasa. Significa "Splendente". La radice protogermanica è *glasan "ambra; vetro". La stessa che ha dato l'inglese glass e il tedesco Glas "vetro". La terminazione maschile in -a, tipica della declinazione debole, caratterizza questo antroponimo come gotico, senza possibilità di errore. Per quanto riguarda la consonante sorda iniziale di Klasa, non è poi un gran problema. Nel gotico di Crimea abbiamo attestato criten "piangere", che corrisponde al gotico di Wulfila gretan "piangere". La possibilità di un'incipiente rotazione consonantica è da considerarsi.

Etimologia di Kavaora 

Questo nome deriva da una elaborata kenning, a cui non è stato facile risalire. Nella lingua di Kindaor, il termine poetico kavaor deve significare "sangue", alla lettera "mare dei corvi". In un'iscrizione runica scandinava leggiamo nā-seu "mare dei cadaveri", ossia "sangue". Esiste anche hrafn-vín "vino dei corvi", ossia "sangue", formato sempre a partire dallo stesso concetto antichissimo. La voce protogermanica *kawo:, *kajo: indica un uccello augurale (antico inglese cēo "gracchio corallino"; antico alto tedesco kaha, kāa, "cornacchia"; medio olandese cauwe "taccola"), mentre *auraz significa "palude; mare" (antico inglese ēar "mare, oceano"; islandese aur "palude"). Ecco spiegato il kindaoriano kavaor, necessario presupposto di Kavaora "Sanguinaria".

Etimologia di Natersa 

Il fatale toponimo Natersa è soltanto in apparenza impenetrabile. In realtà ha un'etimologia chiarissima. Significa "Deserto dei Cadaveri". In gotico abbiamo naus "cadavere" e nawis "morto" (agg.). In norreno l'equivalente è nár "cadavere" (< *nawiz). La seconda parte del toponimo è chiaramente connessa col gotico þaursus "secco" (pron. /θɔrsus/) e col norreno þerra "seccare, essiccare" (< *þers-). La radice è di chiara origine indoeuropea e la troviamo anche nelle parole italiane terra, torrido e torrone. Resta però il fatto che questo composto mirabile non collima alla perfezione con quanto conosciamo delle lingue germaniche. Con ogni probabilità Natersa è un toponimo indeuropeo di sostrato, ma in ogni caso pregermanico, preromano e preceltico. 

Etimologia di Farkas 

L'antroponimo mi ha tormentato per giorni, dato che non riuscivo in alcun modo a trovare un'etimologia soddisfacente. In realtà la spiegazione è quasi lapalissiana. Non è altro che il gotico wulfiliano *farhs "porcello", dal protogermanico *farxaz. Da questa stessa radice abbiamo il tedesco Ferkel "maialino" e l'inglese farrow "cucciolata di maialini". Si tratta evidentemente di un soprannome infantile, poi conservato dal soggetto in età adulta. Secondo il mio parere, l'uscita -as del nome dell'arciere blasettiano è data dalla vocalizzazione di una vocale indistinta (Schwa) che doveva servire a rendere pronunciabili certi gruppi consonantici complessi. Possiamo immaginare che nel gotico di Kindaor -as sia l'esito del gotico Wulfiliano -s preceduto da consonante.  Per quanto riguarda la consonante -k-, è l'esito dell'indurimento della più antica aspirata -x-, dovuto alla rotica precedente (confronta la forma tedesca).

Elementi di gotico kindaoriano 

Così possiamo azzardarci a ricostruire alcune voci del gotico di Kindaor: 

alkas "tempio pagano"
markas "stallone"
ulfas "lupo"
urmas "serpente" 


Le forme accusative singolari saranno prive di uscita sigmatica: 

alk "tempio pagano"
mark "stallone"
ulf "lupo" 

urm "serpente"

L'uscita in -us nel gotico di Wulfila, in gotico di Kindaor è realizzata come -os:

medos "idromele"
sedos "costume, tradizione"


La forma accusativa perde il sigmatismo:

medo "idromele"
sedo "costume, tradizione"

Con un po' di buona volontà e di tempo, potremmo fornire la traduzione di numerosi testi. 



La Vecchia del Fuso 

Non possono sussistere dubbi. La Vecchia del Fuso, che annuncia al re Sedemondo di Kindaor la rovina, è senza dubbio una delle Norne. Anzi, sintetizza i caratteri di tutte e tre le Norne, che in norreno sono chiamate Urðr, Verðandi e Skuld. Infatti conosce le cose del passato e quelle del presente, oltre a predire il futuro. Una notevole figura del paganesimo nordico in un contesto come quello di Kindaor, in cui le antiche credenze si mescolano di continuo con la nuova religione di Cristo. Segnalo a questo punto un fatto assai curioso. Lessi su un sito nel Web, ora a quanto parre scomparso, che il nome della norna Verðandi sarebbe stato adattato in tedesco come Urgand, in modo tale da evitare la cacofonica forma *Urdand. La cosa mi pare ora assai strana. Nondimeno mi beai in questo errore, che pure attribuivo a una creazione artificiosa e romantica a partire dalla forma norrena: ero consapevole che non si trattasse di una genuina eredità del protogermanico. Arrivai al punto di attribuire a questo teonimo Urgand il nome degli Urgandisti, descritti da alcuni come una setta satanica, mentre altri li reputano un gruppo razzista legato a una tifoseria calcistica. Compreso che si trattava di un errore, faccio notare che il nome degli Urgandisti (che forse sono soltanto fantomatici) permane di origine ignota.  


Kindaor e il Cristianesimo 

Ambiguo e strano è il rapporto dei personaggi del film con il Cristianesimo. Arminio, che cresce tra i leoni senza mai aver contatto con altre persone per tutta la sua gioventù, ricorda il segno della croce dalla sua infanzia e lo fa ogni mattina al sorgere del sole. Non è consapevole del vero significato del gesto, che reputa una forma di saluto all'astro diurno al suo levarsi sui monti. Un significato pagano. Eppure Arminio ricorda dalla sua infanzia che tutti si segnano, perché evidentemente questo avveniva alla corte di Sedemondo già un ventennio prima. Tundra invece è puramente pagana, non battezzata e ignara della stessa esistenza del segno della croce, che ha visto compiere ad Arminio per la prima volta. Ne prova subito un certo disagio e una sorta di paura subliminale. Eppure alla fine, per diventare regina di Kindaor e sposarsi con Arminio, accetterà il battesimo.

Sadismo estremo

La cosa che più lasciò in me il segno quando vidi per la prima volta il film fu la ferocia inumana di Sedemondo, che istigava il fanciullo Arminio a bucare con uno spillo gli occhi degli uccellini per farli cantare. All'epoca non capivo nulla di incesto, profezie fosche e corna, così pensai che Sedemondo rinnegasse il bambino e lo condannasse alla Valle dei Leoni perché non aveva voluto torturare i volatili di nido. Pensai che quella fosse una sorta di mostruosa "prova di virilità", un rito di iniziazione, il cui fallimento condannava l'iniziando ad essere espulso dalla società. Poi appresi che l'aberrante costumanza di bucare gli occhi agli uccellini è tuttora molto diffusa in Veneto e altrove.  



Altre recensioni e reazioni nel Web 

Riporto nel seguito un interessante e notevole intervento, apparso sul sito Filmtv.it

Strullata fantasy di Blasetti, che continua ad essere sopravvalutata fino ai giorni nostri. Con una trama insulsa e quasi irraccontabile, Blasetti sembra voler fondare una mitologia pagana-italica-fascista, sulla scorta del film "I Nibelunghi" di Fritz Lang, che tanto era piaciuto a Hitler e Goebbels. La reazione del ministro tedesco per la propaganda si concretizzò nel dichiarare che se un regista tedesco avesse realizzato un'opera simile sarebbe stato messo al muro. Il film, cavallo di battaglia di intere generazioni di cinema parrocchiali, si regge sulle interpretazioni di bravi attori quali Gino Cervi, Luisa Ferida (bellissima), Elisa Cegani (allora legata al regista), e un Massimo Girotti atletico, che recita una parte a metà strada tra Sigfrido e Tarzan. Ma anche gli attori, tra i quali si notano il povero Osvaldo Valenti e il campione di pugilato Primo Carnera, possono fare ben poco per salvare un film citrullo come questo. È da notare, ancora una volta, che il regista ha la libertà di mostrare un personaggio femminile a seni nudi, possibilità che, nel dopoguerra cattocomunista, il cinema italiano si scorderà per almeno vent'anni.  
(sasso67) 

Il buon sasso67 non lo specifica, ma non è difficile immaginarlo: Blasetti ebbe notevole libertà nel mostrare seppur di sfuggita un bellissimo paio di morbide tette, che nel dopoguerra furono orrendamente censurate dai bacchettoni pinzocheri cattocomunisti. Tra i fautori della censura c'erano quegli stessi baciapile che pure continuarono a proporre La corona di ferro nei cinema delle parrocchie. Quelle ghiandole mammarie sublimi, tagliate come i seni di Santa Rosalia in ogni oratorio, per molti anni, con crudele lama di carnefice! Mentre questo avveniva, i preti abusavano senza freno alcuno di bambini e bambine, facendosi passare i giovanissimi sotto l'abito talare e convincendoli con turpe plagio che gli atti fellatori fossero una forma di eucarestia. Queste cose non devono essere dimenticate mai, fino al Giudizio.