Visualizzazione post con etichetta recensioni libri. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta recensioni libri. Mostra tutti i post

mercoledì 24 febbraio 2021

 
ESTENSIONE DEL DOMINIO DELLA LOTTA 
 
Titolo originale: Extension du domaine de la lutte 
Autore: Michel Houellebecq 
Anno: 1994 
Lingua originale: Francese 
Tipologia narrativa: Romanzo  
Genere: Autobiografico, introspettivo 
Sottogenere: Depressivo, suicidario, ospedaliero, psichiatrico 
Ambientazione: Francia
I ed. italiana: 2000 
2 ed. italiana: 2019 
Editore (I ed.): Bompiani 
Editore (II ed.): La nave di Teseo 
Collana (I ed.): Romanzo Bompiani
Collana (II ed.): I delfini. Best seller
Traduttore: Sergio Claudio Perroni 
Pagine: 164 pagg.; 
    144 pagg. (copertina flessibile)  
Formato: Brossura 
Codice ISBN-10 (I ed.): 8845247708 
Codice ISBN-13 (I ed.): 978-8845247705  
Codice EAN (II ed.): 9788893448642 
Editore francese: Éditions Maurice Nadeau

Titoli in altre lingue: 
    Inglese: Whatever 
    Tedesco: Ausweitung der Kampfzone 
    Spagnolo: Ampliación del campo de batalla 
    Catalano: Ampliació del camp de batalla 
    Svedese: Konkurrens till döds  
    Norvegese (Bokmål): Utvidelse av kampsonen
    Russo: Расширение пространства борьбы 
    Polacco: Poszerzenie pola walki
    Rumeno: Extinderea domeniului luptei
 
Sinossi (da www.ibs.it)
"Trent'anni, analista programmatore in una società di servizi informatici, il protagonista di questo romanzo conduce un'esistenza indifferente. Il lavoro, i viaggi d'affari, le prigioni dell'amore e del sesso, l'assenza di qualsiasi sentimento che non sia di insofferenza verso se stesso, lo scivolare lento e inesorabile in uno stato di insensibilità dal quale sembra non esserci via d'uscita."

Trama:
Il protagonista è un giovane programmatore che lavora in un'azienda informatica di Parigi e si occupa in particolare di formazione. Nonostante la sua professione sia ben retribuita, conduce una vita squallida e priva di sostanza, assimilabile alla condizione di un'ombra murata in un cubicolo. Ignoriamo persino il suo nome. Il suo livello di istruzione è alto, in teoria dovrebbe avere molte possibilità, eppure il suo unico divertimento sembra essere la composizione di favole filosofiche i cui protagonisti sono animali. Sono narrazioni lunghissime, tediose, la cui lettura è defatigante. Il suo rapporto con il gentil sesso è stato caratterizzato da esperienze traumatiche, così da almeno due anni non ha avuto alcun contatto sessuale. I suoi superiori lo incaricano di andare in giro per la Francia a presentare un inutile e farraginoso programma ad alcuni enti della Pubblica Amministrazione, a cominciare dal Ministero dell'Agricoltura. Un compito snervante, annichilente, che lo porta ad avere contatti con numerosi esemplari della sottospecie Homo anaerobicus, tipica popolazione dei labirinti ministeriali. All'inizio della sua missione a Rouen tutto sembra andar bene. A un certo punto gli si presenta persino l'occasione di copulare con una funzionaria racchietta, ma lui scarta sul nascere l'idea di darle il proprio membro turgido. Nell'estenuante opera di formazione lo affianca un collega, Tisserand, che ha un aspetto fisico ripugnante e seri problemi sessuali; essendo incompetente spesso gli è più di ostacolo che di aiuto. Presto cominciano per il formatore problemi dovuti alla salute cardiovascolare, che lo portano a un ricovero in ospedale. La diagnosi è pericardite (all'inizio sembrava un grave infarto). Uscito dall'ospedale dopo un periodo di convalescenza, torna suo tour formativo, la cui seconda tappa è in Vandea. Qui si approfondisce il suo dialogo con Tisserand, che gli rivela i propri abissi interiori dovuti alla totale assenza di rapporti con l'altro sesso. In una discoteca, i due si trovano in uno stato di pesante ubriachezza e osservano una ragazza che si fa rimorchiare da un gigantesco mandingo. All'improvviso fa la sua irruzione un elemento insensato. Il protagonista parla al collega disperato, cercando di spingerlo a inseguire e a uccidere la coppietta; fallito miseramente il tentativo di fare di lui un Pacciani, ha un crollo psichico dopo aver appreso la notizia del suo suicidio. Come spesso accade ai personaggi dei romanzi di Houellebecq, finisce col farsi internare in una clinica psichiatrica, uscendone solo dopo alcuni anni. Una volta dimesso, decide di recarsi in una regione impervia dell'Ardèche, spinto da un'ispirazione insensata. Nemmeno tra quelle montagne riuscirà a dare un senso alla propria esperienza terrena.
 
Recensione:  
La prima volta che ho letto Estensione del dominio della lotta, che ha segnato l'esordio di Houellebecq come romanziere, mi sono reso conto di avere di fronte un lavoro eccellente. A distanza di anni ho sentito il bisogno di rileggere l'esile volume, ma con mia grande sorpresa non mi è piaciuto più così tanto, nonostante contenga alcuni concetti assolutamente geniali e sempre validi. Mi è parso che il costrutto fosse labile, addirittura sconclusionato, con quei racconti morali animaleschi che rovinano la continuità e sembrano blocchi di cemento abbandonati in una foresta. La trama si sfilaccia subito, si perde nei diverticoli dell'incessante ruminazione dell'autore, che a volte dà prova di un temperamento irritabile e cervellotico. Certe trovate narrative colpiscono per la loro completa assurdità, come il tentativo del protagonista di istigare il povero Tisserand a emulare il Mostro di Firenze. Forse non dovrei lamentarmi di una simile irruzione dell'insensatezza, del fatto che mi riesce incomprensibile. Se il comportamento di un individuo in quelle condizioni avesse un senso logico, non si potrebbe più attribuirgli l'etichetta di pazzia. Lo sfaldamento della personalità del programmatore procede senza sosta: possiamo dire che quando ha raggiunto l'Ardèche ogni suo processo mentale sia giunto alla dissoluzione. Il suo è uno stato crepuscolare. Questo è l'epilogo, che in qualche modo funge da epitaffio di un uomo annientato: 
 
"Sono al centro del baratro. Sento la mia pelle come una frontiera, e il mondo esterno come uno schiacciamento. L’impressione di scissione è totale; ormai sono prigioniero in me stesso. La fusione sublime non avverrà; lo scopo della vita è mancato. Sono le due del pomeriggio."  

È destabilizzante. Leggendo, si sentono le sinapsi che si sfaldano. É l'Essere che si disperde nell'Oblio.  
 
Una nuova teoria sociologica 
 
Da leggere, rileggere e incorniciare, perché sia sotto gli occhi ogni giorno e non sia mai dimenticato, è questo sublime brano che si trova nel capitolo 8 (Ritorno alle mucche):
 
"Decisamente, mi sono detto, nella nostra società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto spietato, se non di più. Tuttavia gli effetti di questi due sistemi sono strettamente equivalenti. Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l’amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che viene chiamato “legge del mercato”. In un sistema economico dove il licenziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l’adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Sul piano economico, Raphael Tisserand appartiene alla schiera dei vincitori; sul piano sessuale, a quella dei vinti. Taluni vincono su entrambi i fronti; altri perdono su entrambi i fronti. Le imprese si disputano alcuni giovani laureati; le femmine si disputano alcuni giovani maschi; i maschi si disputano alcune giovani femmine; lo scompiglio e la confusione sono considerevoli."
 
Un esempio di antiliberalismo economico, in cui il licenziamento era proibito e tutti avevano un posto: 
IL TERZO REICH. 
 
Un esempio di antiliberalismo sessuale, in cui tutti gli uomini avevano una moglie e chi non la trovava se ne vedeva assegnata una dal sovrano: 
L'IMPERO DELL'INCA. 
 
Due esperimenti sociali che si sono rivelati fallimentari. Sono stati entrambi annientati dal liberalismo, che non tollerava e non tollera tuttora alcuna vistosa eccezione al proprio dominio. E questo è quanto.  
 
Stanti le premesse sopra esposte, non ho motivo di nascondere la mia natura fallimentare. Sono un perdente che il mondo ha condannato alla solitudine e alla masturbazione. I miei pochi incontri col genere femminile mi hanno causato ferite che sanguinano ancora e che non potranno mai rimarginarsi. Le mie condizioni economiche non leniscono minimamente la mia condanna. Non c'è riscatto alla mia maledizione. Sono dannato. Rispetto alle dottrine di Marx, la teoria sociologica abbozzata da Houellebecq ha il merito di comprendere che liberalismo economico e liberalismo sessuale non sono affatto interdipendenti, come gli stolti potrebbero invece pensare: senza dubbio possiamo affermare che il secondo non è semplicemente il frutto del primo. Non solo. La stessa esistenza del liberalismo sessuale non è percepita quasi da nessuno e non è considerata un problema gravissimo da affrontare. La mia esperienza m'insegna che ci sono persone che si professano marxiste, di estrema sinistra, proletarie, rivoluzionarie, essendo però ultraliberiste in campo sessuale e senza la benché minima percezione dell'iniquità della propria condizione. In  Rete c'è persino chi è convinto che la teoria enunciata da Houellebecq non sia una novità, arrivando ad affermare che sia davvero stata applicata nel '68. Non bisogna crederci. Chi sostiene queste assurdità tira in ballo il femminismo radicale, che è un rigurgito di demenza convulsionaria i cui frutti sono aberranti. Chi sostiene queste assurdità non ha compreso affatto la portata rivoluzionaria della denuncia degli orrori dell'ultraliberismo sessuale! 
 
La sofferenza, fisica e mentale 

Houellebecq ha un'autentica fissazione per gli ospedali e soprattutto per i reparti psichiatrici. Lo attrae la macerazione nel dolore, adora descriverla, freme dalla bramosia quando comunica al lettore ogni istante di degradazione e di annichilimento dell'Essere di un individuo schiantato. Eppure sul maleficio chiamato "psicanalisi" ha le idee ben chiare fin dal principio, come mostrano questi passaggi del capitolo 8 (Ritorno alle mucche): 
 
"Con l’alibi della ricostruzione dell’io, in realtà gli psicanalisti procedono a una scandalosa demolizione dell’essere umano. Innocenza, generosità, purezza… tutto ciò viene rapidamente triturato dalle loro rozze mani. Gli psicanalisti, pinguemente rimunerati, supponenti e stupidi, annientano definitivamente nei loro cosiddetti pazienti qualunque attitudine all’amore, sia mentale sia fisico; in pratica si comportano da veri e propri nemici dell’umanità. Spietata scuola di egoismo, la psicanalisi sfrutta con agghiacciante cinismo le brave figliole un po’ smarrite e le trasforma in ignobili bagasce dall’egocentrismo delirante, incapaci di suscitare altro che un legittimo disgusto." 
 
Nonostante la sua lucidità e il suo scetticismo sulla malvagia scienza degli strizzacervelli - schifosa piaga suppurante che affligge il genere umano - il protagonista finirà stritolato in una clinica, col cervello raso al suolo da damigiane di psicofarmaci e da ogni sorta di trattamenti deleteri. Questo identico percorso infernale lo si vede nella maggior parte delle opere dell'autore francese, tanto è radicato nel suo sentire! 
 
Un clamoroso errore botanico 
 
All'inizio del capitolo 5 (Presa di contatti), è scritto quanto segue:
 
"L’applicazione di sistema si chiamava “Sicomoro”. Il sicomoro è un albero che cresce in certe regioni della zona temperata fredda, apprezzato per il legname che se ne ricava e che produce una linfa zuccherosa; il sicomoro è diffuso in particolare in Canada. L’applicazione Sicomoro è scritta in linguaggio Pascal, con taluni passaggi in C++. Pascal è uno scrittore francese del XVII secolo, autore dei celebri Pensieri. Pascal è altresì un linguaggio di programmazione notevolmente strutturato e particolarmente adatto all’elaborazione statistica, del quale avevo acquisito una notevole padronanza." 

Vediamo subito che lo scrittore francese ha fatto una marchiana confusione tra il sicomoro (nome scientifico: Ficus sycomorus) e l'acero da zucchero o acero del Canada (nome scientifico: Acer saccharum). Al sicomoro sono state attribuite le proprietà dell'acero del Canada. Una confusione non da poco. Si tratta di due alberi completamente dissimili! Com'è potuto accadere un simile errore? Si tratta di una distorsione, che ricorre quando si è soggetti a un sovraccarico cognitivo e ci si fida troppo dei concetti immagazzinati nei propri banchi di memoria stagnante, senza un costante processo di verifica. È un insidia molto subdola. Può colpire chiunque. Basta dimenticarsi di controllare ogni singolo bit di informazione e subito si insinuano contenuti distorti! E pensare che questo romanzo Houellebecq lo ha scritto nel 1994, quando il World Wide Web era ancora agli inizi e la Conoscenza la si doveva sudare!  

Curiosità 

Nel 1999 il romanzo è stato adattato in un film, Extension du domaine de la lutte, diretto da Philippe Harel. Il regista stesso è anche sceneggiatore assieme a Michel Houellebecq, oltre che attore nella pellicola, interpretando il ruolo del protagonista. Il film non è stato distribuito in Italia. Non mi risulta ne esistano versioni in lingue diverse dal francese.  

Secondo quanto riportato nella Wikipedia in inglese, il protagonista del romanzo di Houellebecq sarebbe chiamato "Nostro Eroe" ("Our Hero" in inglese, "Notre Héros" in francese). A quanto ho potuto constatare, non si la benché minima traccia di questa denominazione nella versione originale e nemmeno in quella in italiano. Ho poi potuto appurare che il wikipediano responsabile di questa informazione inesatta ha preso "Notre Héros" proprio dal film di Harel. La parola "héros" ricorre soltanto una volta, nel capitolo 3 (senza titolo):
 
"Les pages qui vont suivre constituent un roman ; j'entends, une succession d'anecdotes dont je suis le héros." 
 
Nella traduzione di Perroni, "héros" è reso con un meno poetico "protagonista"
 
"Le pagine che seguono costituiscono un romanzo; cioè, chiarisco: una successione di aneddoti di cui io sono il protagonista." 
 
Ecco un altro esempio di come le informazioni debbano essere validate, potendo contenere bachi. Purtroppo tale lavoro è molto pesante, non può essere automatizzato e non è detto che il suo esito sia sempre un successo.   
 
Possibili echi dickiani 

Durante la rilettura mi è saltato subito all'occhio il seguente brano, che appare verso la fine del romanzo: 
 
"In un altro 26 maggio, nel tardo pomeriggio di un altro 26 maggio, era avvenuto il mio concepimento. Il coito aveva avuto luogo in salotto, su un tappeto pseudo-pakistano. Mentre mio padre la prendeva da dietro, mia madre aveva avuto la malaugurata idea di allungare la mano per carezzargli i testicoli, con tanta sapienza da portarlo in breve all’eiaculazione. Mia madre aveva provato piacere, ma non un orgasmo vero e proprio. Poco più tardi, avevano mangiato del pollo freddo. Questo avveniva trentadue anni fa; a quei tempi si riusciva ancora a trovare dei polli veri." 
 
Ricordo nitidamente di essermi imbattuto in un passo del tutto simile in un romanzo di Philip K. Dick. Purtroppo non riesco più a trovare in quale. Ci sono diventato matto e ho cercato in diversi file pdf di opere dickiane, invano. Credo proprio che fosse uno dei cosiddetti romanzi "mainstream". Non era fantascienza. La descrizione era meno estesa e non vi compariva alcuna allusione a un tappeto pseudo-pakistano (che può essere solo il prodotto di manie tipicamente francesi). Vi compariva però la posizione sessuale more ferarum e la carezza sui testicoli, che produceva l'eruzione di fiotti di sperma nel canale procreativo. Era anche usata la stessa parola, "sapiente", per descrivere il massaggio gonadico. Ho avanzato l'ipotesi che la fonte dickiana fosse il romanzo "mainstream" Voci dalla strada (Voices from the Street). Tuttavia Cesare Buttaboni mi ha fatto notare che, pur essendo stato scritto nel 1952, è stato pubblicato soltanto nel 2007, anni dopo il romanzo di Houellebecq.  
 
Sottopongo la questione a chi è più esperto di me sull'opera omnia di Dick, affinché possa dirmi se quanto ho trovato è frutto di una mia memoria distorta oppure se è qualcosa di reale. In quest'ultimo caso, spero che sia possibile ritrovare l'esatto brano dickiano con la citazione completa, per poter trattare l'argomento in dettaglio in un apposito contributo.  
 
Origine del cognome Tisserand 
 
Nel capitolo 8 (L'Escale), Tisserand rivela le proprie origini ebraiche: 
 
"“A Natale non facciamo niente. Io sono ebreo,” mi informò con uno scatto di fierezza. “Cioè, i miei genitori sono ebrei,” precisò più pacatamente." 
 
In realtà Tisserand non è un cognome ebreo. Agli inizi del XIII secolo, il termine tisserand, ossia "tessitore", era sinonimo di "eretico", e più precisamente di "cataro", "dissidente dualista". Col passar del tempo questo soprannome è diventato un cognome, di cui sono note le varianti Tisserant e Tixerand. Il cognome Tisserand, particolarmente comune in Francia, si trova anche nelle Valli Valdesi del Piemonte. 
 
Dialoghi tra una mucca e una puledra 
 
Anche se le favole moraleggianti inserite da Houellebecq nel testo sono scritte davvero male, a volte vi si possono trovare contenuti molto interessanti e utili. Questo per esempio è il commento che il narratore appone a un proprio scritto, nel capitolo 2 (In mezzo ai Marcel): 
 
"Ovviamente l’allevatore simboleggiava Dio; spinto da una simpatia irrazionale per la puledra, nel capitolo successivo le avrebbe promesso la gioia eterna di numerosi stalloni, mentre la mucca, colpevole del peccato originale, a poco a poco sarebbe stata condannata ai mesti spassi della fecondazione artificiale. I pietosi muggiti del bovide si sarebbero dimostrati incapaci di mitigare la sentenza del Grande Architetto. Una delegazione di pecore mosse da spirito di solidarietà non avrebbe ottenuto risultato diverso. Il Dio messo in scena in quella novella non era, evidentemente, un Dio di misericordia."  
 
Ne condivido appieno i contenuto. Percepisco come miei fratelli tutti coloro che riescono a svelare la natura maligna del Creatore di questo Universo iniquo.

martedì 22 dicembre 2020

UNA TRADUZIONE IN GOTICO DELLE AVVENTURE DI ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE

 
Titolo originale: Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda 
Descrizione: Alice's Adventures in Wonderland in Gothic 
Lingua: Gotico
Autore del testo originale: Lewis Carroll 
Autore della traduzione: David Alexander Carlton 
Affiliazione del traduttore: University of Western Ontario 
Illustrazioni: Byron W. Sewell, John Tenniel
Prima edizione: 2015 
Formato: Paperback 
Codice ISBN: 978-1-78201-097-5
Codice EAN: 1782010971
Peso: ‎ 181 g
Dimensioni: ‎ 13,97 x 0,86 x 21,59 cm
Pagina Amazon per l'acquisto:


Questo è un estratto del testo in gotico: 
 
"Jaindre," qaþ Katta, biwagjands taihswon pauta seinana, “bauiþ Hattareis: jah aljaþ,” wagjands pauta anþara, “bauiþ Martjuhasa. Gaweisos hvaþar saei leikaiþ þus: bajoþs woþs.”     
"Ak ni gairnja ei gaggau in wodam manam," qaþ Aþalhaids.
"O, ni manna mag biwandjan þata," qaþ Katta: "weis sijum her woda in allamma. Ik im woþs. Þu is woda."     
"Ƕaiwa witeis þatei ik sijau woda?" qaþ Aþalhaids.     
"Þu skalt wisan," qaþ Katta, "aiþþau ni iddjedeis hidre."  
 
Questo è il testo originale in inglese: 
 
"In that direction," the Cat said, waving its right paw around, "lives a Hatter: and in that direction," waving the other paw, "lives a March Hare. Visit either you like: they're both mad."  
"But I don't want to go among mad people," Alice remarked.  
"Oh, you ca'n't help that," said the Cat: "we're all mad here. I'm mad. You're mad."  
"How do you know I'm mad?" said Alice.
"You must be," said the Cat, "or you wouldn't have come here."  
 
Questa è la traduzione in italiano:   
 
"In quella direzione", disse il Gatto, agitando la sua zampa destra, "vive un Cappellaio: e in quell'altra direzione", agitando l'altra zampa, "vive una Lepre Marzolina. Visita chi vuoi: sono entrambi matti". 
"Ma io non voglio andare tra i matti", commentò Alice.  
"Oh, non puoi farci niente", disse il Gatto: "siamo tutti matti qui. Io sono matto. Tu sei matta."  
"Come sai che sono matta?" disse Alice.
"Devi esserlo" disse il Gatto, "o non saresti giunta qui."  
 
Sinossi (originale): 
 
"Gothic (Gutiska razda or Gutrazda) was a continental Germanic language spoken by the Visigoths and Ostrogoths in many areas (most notably Spain and Italy) throughout antiquity and the early Middle Ages; while Gothic appears to have become functionally extinct sometime in the eighth century, some form of the language may have continued to be spoken in the Crimea until the sixteenth or seventeenth century. The Gothic Bible, translated from a lost Greek exemplar sometime ca. 360 CE by the Gothic bishop Wulfila, represents the earliest substantive text in any Germanic language. Gothic itself remains the only significant representation of the East Germanic branch of languages, which have since died off completely. Other extant works in Gothic include an exegesis of the Gospel of John known as Skeireins, a partial calendar, and some minor fragments. Unfortunately, all extant texts are incomplete, so it remains unknown to what extent the extant fragments are written in idiomatic Gothic, as well as exactly what dialect of Gothic they might represent.        
This translation of “Alice’s Adventures in Wonderland” seeks to transport Carroll’s seminal work into the fourth-century Germanic world by Gothicizing both the language and environment of the original text.        
Why translate “Alice’s Adventures in Wonderland” into such an ancient and idiosyncratic language? In part, because Alice—itself a textbook of idiosyncrasies—lends itself well to linguistic flights of fancy, and in part because the dearth of available Gothic reading material has occasioned the production of new literature in this important East Germanic language.
“Aþalhaids” is to date the longest text written in Gothic in more than a thousand years." 
 
Sinossi (traduzione italiana del sottoscritto): 
 
"La lingua gotica (Gutiska razda o Gutrazda) era una lingua germanica contineltale parlata dai Visigoti e dagli Ostrogoti in molte aree (soprattutto in Spagna e in Italia) per tutta l'antichità e l'Alto Medioevo; mentre la lingua gotica sembra essersi funzionalmente estinta nel corso dell'VIII secolo, una qualche sua forma potrebbe aver continuato ad essere parlata in Crimea fino al XVI-XVII secolo. La Bibbia Gotica, tradotta da un esemplare greco perduto circa nel 360 d.C. dal vescovo gotico Wulfila, rappresenta il primo testo sostanziale in una lingua germanica. Il gotico stesso rimane la sola rappresentazione significativa del ramo delle lingue germaniche orientali, che da allora si è completamente estinto. Altre opere esistenti in gotico includono un'esegesi del Vangelo di Giovanni nota come Skeireins, un calendario parziale e alcuni frammenti minori. Sfortunatamente, tutti i testi esistenti sono incompleti, quindi non si sa fino a che punto i frammenti esistenti siano scritti in gotico idiomatico, così come non si sa esattamente quale dialetto del gotico potrebbero rappresentare. Questa traduzione di "Alice nel Paese delle Meraviglie" cerca di trasportare l'opera fondamentale di Carroll nel mondo germanico del IV secolo, goticizzando sia la lingua che l'ambiente del testo originale. 
Perché tradurre "Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie" in un linguaggio così antico e idiosincratico? In parte perché Alice, esso stessa un libro di testo di idiosincrasie, si presta bene a voli di fantasia linguistica, e in parte perché la scarsità di materiale di lettura gotica disponibile ha provocato la produzione di nuova letteratura in questa importante lingua germanica orientale. 
“Aþalhaids” è ad oggi il testo più lungo scritto in gotico in più di mille anni."
 
Il professor David Alexander Carlton ha commentato le difficoltà riscontrate nella sua opera di traduzione nell'introduzione al testo. Queste interessanti considerazioni sono disponibili nel Web e liberamente consultabili. Ne ho trovato una copia in formato pdf sul sito russo Bookvoed.ru:     
 
 
Esiste anche un file simile in Academia.edu, che presenta qualche discrepanza rispetto all'introduzione e contiene alcune inconsistenze: 

 
L'autore della traduzione ammette di aver operato cambiamenti e persino tagli nel testo di Carroll per poter rendere la narrazione più credibile per un ipotetico lettore del VI secolo d.C. 

Alcune riflessioni  
 
La mia filosofia è questa: quando si traduce un testo moderno in una lingua antica, bisogna innanzitutto porsi una domanda cruciale. Un parlante di quella lingua riuscirebbe a comprendere il testo tradotto? Se non ci riuscisse appieno, la traduzione fatta sarebbe etichettabile con una sola parola: fallimento.  
 
Il problema è che la lingua dei Goti a un certo punto è uscita dal corso storico del genere umano, e da quel momento ha cessato di avere un'evoluzione, proprio come un corpo morto e immerso nell'azoto liquido. Quando è stata riscoperta, è stata reintrodotta nella Noosfera umana. Nulla potrà mai eliminare la discontinuità. L'evoluzione di questa lingua recuperata in modo parziale, che possiamo definire neogotica, è indipendente da quella verificatasi nella lingua d'origine fino al punto terminale della sua esistenza. Non è cosa di poco conto. Il punto è che nessuno dei traduttori moderni sembra averne piena consapevolezza.  

Nel seguito indicherò le forme neogotiche (ricostruite) in caratteri maiuscoli, senza usare l'asterisco delle forme non documentate. Questo è senza dubbio lecito, visto che la lingua neogotica, oltre a non essere comunque identica a quella usata da Wulfila, è una lingua a tutti gli effetti e in essa sono stati composti testi letterari. 

Il problema della sintassi gotica 
 
Una tradizione molto diffusa vuole che Wulfila abbia cercato in modo quasi maniacale di adattare la lingua gotica alla sintassi greca per assicurare una traduzione davvero letterale delle Scritture. Tutto ciò ha un certo fascino, ma sono piuttosto scettico a questo riguardo. 
 
1) Se Wulfila avesse usato una sintassi artefatta e diversa da quella della lingua viva, non avrebbe assicurato una buona comprensione dei testi e non sarebbe riuscito nell'opera di evangelizzazione;
2) La stessa sintassi usata da Wulfila nella traduzione dei Vangeli è usata anche nel testo teologico Skeireins "Chiarimenti" e nei commenti ai frammenti dei calendari, per fare qualche esempio.  

Vero è che esistono tracce di una sintassi più antica, come la parola baurgswaddjus "mura della città", in cui il genitivo del possessore precede la cosa posseduta. Anche a costo di essere impopolare, enuncerò quanto penso. A mio avviso non sembrano esserci dubbi sul fatto che a un certo punto la lingua dei Goti abbia subìto profonde trasformazioni sintattiche, le cui cause sono ancora sconosciute ma in ogni caso indipendenti dall'opera di Wulfila.  

Il problema dei composti

Non so se sia il caso di abusare dei composti, come tendono a fare anche altri autori moderni. Già per motivi di comprensibilità, anziché MARTJUHASA "Lepre Marzolina" avrei usato HASA MARTJAUS "Lepre di Marzo". Anziché ǶEITAHASA "Bianconiglio" avrei usato HASA SA ǶEITA "La Lepre Bianca". Anziché SILDALEIKALAND "Paese delle Meraviglie" avrei usato LAND SILDALEIKE. Dall'aggettivo sildaleiks "meraviglioso", attestato nella traduzione di Wulfila, si ha la forma sostantivata del neutro plurale, sildaleika, usata col senso di "meraviglie, miracoli". La scelta di Carlton è perfettamente grammaticale, tuttavia non so bene che immagine mentale avrebbe trasmesso ai Goti.   

Il problema degli errori marchiani 

In gotico la parola bajoþs "entrambi" è plurale, non singolare. Questa è la sua declinazione, che vale sia per il maschile che per il femminile: 

nominativo: bajoþs 
genitivo: bajoþe
dativo: bajoþum 
accusativo: bajoþs 
vocativo: bajoþs  

Carlton traduce "embrambi matti" in modo agrammaticale: BAJOÞS WOÞS, come se bajoþs concordasse con il nominativo singolare maschile WOÞS "matto". Questo è uno strafalcione sesquipedale. Bisogna dire BAJOÞS WODAI. Perché? Semplice: in gotico il Cappellaio e la Lepre Marzolina sono entrambi di genere grammaticale maschile. La forma plurale da usarsi è quindi quella maschile WODAI. Se si trattasse di due persone di sesso diverso, si dovrebbe usare la forma femminile WODOS. Anche se si parlasse del Re e della sua consorte. Detto questo, la società dei Goti non era affatto "inclusiva", "femminista" o "matriarcale". Una cosa è il genere grammaticale, un'altra è il sesso! 
 
Il problema della semantica 

Esiste anche un piccolo problema semantico con l'uso della parola WOÞS per tradurre "matto". L'aggettivo gotico wods si traduce con "indemoniato, posseduto da uno spirito maligno" e ha un significato molto più forte di quanto possa avere in inglese la parola mad o in italiano la parola matto. Ormai questo aggettivo si è notevolmente indebolito: ai nostri giorni dare a qualcuno del matto non è poi una cosa tanto grave, può anche essere fatto in modo scherzoso (ad esempio in frasi come "sei proprio un mattacchione", etc). Riporto un un esempio dalla traduzione di Wulfila del Nuovo Testamento:

Marco 5: 15-18

jah atiddjedun du iesua jah gasaiƕand þana wodan sitandan jah gawasidana jah fraþjandan þana saei habaida laigaion, jah ohtedun. jah spillodedun im þaiei gaseƕun, ƕaiwa warþ bi þana wodan jah bi þo sweina. jah dugunnun bidjan ina galeiþan hindar markos seinos. jah inngaggandan ina in skip baþ ina, saei was wods, ei miþ imma wesi. 

"Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.  Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui." 

Il Cappellaio Matto trae la sua origine da un fatto molto curioso. Nel XIX secolo, i cappellai inglesi e di altre nazioni facevano uso di una soluzione dei sali arancioni del mercurio per infeltrire i tessuti e lavorarli facilmente. Le esalazioni tossiche inducevano qualche problema mentale in questi artigiani. I cappellai farfugliavano, erano tremebondi e depressi, soffrivano di perdite di memoria e di spasmi. Inoltre i loro capelli, saturi di veleno, assumevano spesso un'irreale colorazione arancione. Questa è la radice del nonsense del Paese delle Meraviglie, dove tutto è stravagante come poteva esserlo un cappellaio in preda ai fumi idrargirici. Resta il fatto che una cosa è l'indemoniamento, un'altra la stravaganza.
 
Il problema delle lacune lessicali 

Il pipistrello è da Carlton chiamato MUSTRIGGS. Può sembrare un'ottima soluzione, dato che la parola appare formata a partire da MUS /mu:s/ "topo" (inglese mouse, tedesco Maus, norreno mús, etc.) - anche se la formazione non è chiarissima. Ora, il traduttore afferma di aver coniato questo MUSTRIGGS a partire da un vocabolo diffuso nella Penisola Iberica: spagnolo mostrenco, portoghese mostrengo, catalano mostrenc, che crede avere il significato di "pipistrello". Il suo riferimento è a un dizionario Gotico - Tedesco preparato dal professor Gerhard Koebler (Università di Innsbruck):  


Ecco quanto riporta Koebler: 
 
*mūstriggs?, got., st. M. (a)?: nhd. Fledermaus; ne. bat (2) (N.); Q.: port. mostrengo, span. mostrenco, kat. mostrenc, umherstreichend, Gamillscheg, RFE. P 1932, 236; E.: s. mūs 

Spagnolo mostrenco, portoghese mostrengo e catalano mostrenc significano "vagabondo, senza proprietario noto" (tradotto da Koebler con l'aggettivo umherstreichend, alla lettera "vagante"). Non sono certo che l'etimologia proposta sia corretta, dato anche l'enorme discrepanza semantica. L'origine potrebbe benissimo essere gotica, anzi, ne sono convinto, ma il significato non sarebbe quello di "pipistrello". Avremmo MUSTRIGGS "vagabondo" (agg.). La pronuncia sarebbe probabilmente /'mustriŋgs/, con una vocale -u- breve, come suggerito dall'evoluzione romanza che ha -o- e non -u-. Potrebbe non derivare dal nome del topo. Se queste mie considerazioni fossero corrette, la forma sostantivata MUSTRIGGA fornirebbe una traduzione plausibile di "clochard", non di "pipistrello". I romanisti credono che lo spagnolo mostrenco e simili derivino da un precedente mestenco, il cui significato originale è quello di "animale senza padrone conosciuto" (da mesta "riunione di proprietari di bestiame", a sua volta dal latino mixta). Questa parola sarebbe stata alterata per via di una supposta espressione mostrar el mestenco, che a quanto pare era usata per descrivere l'atto di rivendicare la proprietà di un animale senza padrone. Non amo questi ragionamenti contorti e improbabili dei romanisti, ma non ho ancora abbastanza dati per giungere a una conclusione solida.

Il problema dei neologismi 
 
Interessanti sono alcuni neologismi utilizzati nel testo. Come sempre, formazioni di questo genere sono alquanto capricciose e non è affatto detto che si rivelino utili. Riporto e discuto brevemente alcuni esempi concreti nel seguito. 
 
Il termine HATTAREIS è utilizzato per indicare il Cappellaio. Possiamo infatti ricostruire con sicurezza i seguenti vocaboli gotici: 
 
HATTUS "cappello" < protogerm. *χattuz
HOÞS "cappuccio" (gen. HODIS) < protogerm. *χōðaz
 
La prima forma è l'equivalente dell'inglese hat "cappello", la seconda dell'inglese hood "cappuccio" e del tedesco Hut. Carlton ha preso HATTUS e gli ha applicato il tipico suffisso -areis, che indica tra le altre cose la professione (deriva dal latino -ārius). Come bokareis è lo scriba, da bokos "libro", boka "lettera", allo stesso modo nel gotico di Carlton abbiamo HATTAREIS "cappellaio" da HATTUS "cappello". Non è molto chiaro se la procedura, a prima vista ineccepibile, sia legittima. Non mi vengono in mente derivati in -areis da sostantivi nativi col tema in -u-. Inoltre non sono certo che esistesse ai tempi di Alarico la professione del cappellaio. C'era tra i Visigoti e gli Ostrogoti un professionista tanto specializzato da essere adibito unicamente alla produzione di copricapi? Oppure i copricapi erano opera di professionisti che producevano anche altri capi di vestiario? Non so dare una risposta, anche se la seconda alternativa mi sembra più plausibile. Mi chiedo se Alarico avrebbe compreso il termine carltoniano. 
 
L'astrolabio è detto STAIRNONIMA, alla lettera "prenditore di stelle". L'orologio è detto STUNDOSWAIHTS, alla lettera "cosa del tempo". A parer mio sarebbe stato meglio importare le parole direttamente dal latino, che a sua volta le ha prese dal greco. Avremmo così ASTRAULABJUM dal latino astrolabium (greco astrólabos) e HORAULAUGJUM dal latino hōrologium (greco hōrológion), in cui il dittongo grafico -au- trascrive la vocale -o- breve. Altri adattamenti sono comunque possibili. Aggeggi di questo genere esistevano già ai tempi del Re Alarico, che avrebbe anche potuto capire le parole per designarli. Ovviamente non esistevano i Rolex, ma le clessidre e le meridiane esistevano eccome. Non si vede perché dover introdurre neologismi ardui come STAIRNONIMA e STUNDOSWAIHTS, che sarebbero stati comprensibili dai Goti solo nel loro significato letterale, ma che non sarebbero riusciti in alcun modo a comunicare il concetto.    

Il problema delle parole macedonia 

Le parole macedonia sono a mio avviso da rigettare. In primis perché sono arbitrarie e legate a un contesto noto soltanto al narratore. In secundis perché i popoli antichi non avevano il concetto di formazioni di questo tipo e non avrebbero potuto comprenderle facilmente. Se qualcuno ha pensato bene di trasformare Claudius Tiberius Nero in Caldius Biberius Mero "Bevitore di vino caldo e puro", non ha dato vita a  parole macedonia: ha soltanto alterato a scopo satirico nomi esistenti per produrre altri nomi dotati di senso. Le parole macedonia invece oscurano l'etimologia e la possibilità di analisi a partire da elementi morfologici noti. Se  si prende la parola breakfast e la si unisce a lunch per ottenerne brunch, si ha un vocabolo paradossale che non può essere analizzato. Il problema è che questo tipo di formazioni costituisce il cardine della letteratura nonsense inglese, di cui Lewis Carroll fu un esponente d'importanza capitale. Oltre a coltivare un'insana passione per le bambine, il matematico di Daresbury si divertiva a riassemblare il lessico inglese ottenendone stravaganti collage per esprimere un umorismo paradossale. Come rendere nella lingua di Wulfila uno scritto pieno di nonsense? Sono convinto che non si possa.  
 
Il ghiro in inglese è chiamato dormouse. Si tratta del prodotto di una falsa etimologia a partire dal francese antico dormeus, alla lettera "dormiglione", associato popolarmente al nome del topo, mouse, di chiara origine germanica, con parenti in latino, in greco e in sanscrito. Carlton, volendo rendere il nome del Ghiro della storia di Carroll, ha fatto ricorso a un nome che sembra proprio una parola macedonia: SLEMUS. Questo SLEMUS nasce direttamente da slepan "dormire" e da MUS "topo" (ricostruito a partire dalla protoforma germanica, comune a tutte le lingue del ceppo). Meglio sarebbe stato chiamare il simpatico roditore SLEPMUS, con un composto più razionale, dal momento che un suo nome olandese è propio slaapmuis. Non si capisce il motivo della scomparsa della consonante -p- dalla radice slep- "dormire", visto che non ci sono motivazioni di pensare alla riduzione del gruppo consonantico -pm- a una semplice -m-. Carlton, credendo erroneamente che dormouse sia una parola macedonia, ha voluto replicare in gotico qualcosa di simile. Un altro vocabolo olandese per indicare il ghiro è zevenslaper, corrispondente al tedesco Siebenschläfer. L'autore della traduzione avrebbe potuto usarlo per ricostruire SIBUNSLEPANDS, alla lettera "che dorme sette volte". Il participio presente slepands "dormiente" è attestato; il suffisso -er, corrispondente al gotico -areis, ha sostituito largamente formazioni più antiche in -nd-. L'origine di questo strano composto è da ricercarsi nella leggenda dei Sette Dormienti di Efeso, che doveva essere ben nota ai Goti. Giordane ci testimonia che si era diffusa persino tra popolazioni pagane della Scandinavia. Tutte queste denominazioni sono di origine tabuistica. Non sappiamo se esistesse in gotico un nome specifico del ghiro, del tutto indipendente. Notiano che in bavarese il ghiro è chiamato Greil o Gleir: la parola è di chiara origine latina (glīs, gen. glīris). Il ghiro manca nelle terre in cui si parlava norreno. Verosimilmente vi mancava anche al tempo dei Vichinghi. Eppure in svedese troviamo sjusovare "ghiro", che traduce alla perfezione il tedesco Siebenschläfer e rimanda esso stesso alla leggenda dei Sette Dormienti di Efeso. Non possiamo valerci dell'antico islandese per cercare altri lumi in un'oscurità più profonda.

Il problema della comprensibilità storica 

Come tutti sappiamo, ai tempi dei Goti il tè era sconosciuto in Europa. Non poteva dunque esistere la cosidetta ora del tè. Non esisteva alcun tea party. Non era possibile nemmeno immaginarlo. Si può quindi comprendere le difficoltà di Carlton nel rendere i concetti correlati a questo rituale tipicamente inglese. In epoca precedente alla prima Rivoluzione Industriale, l'usanza prevedeva di bere birra nel pomeriggio. Siccome gli incidenti in fabbrica si moltiplicavano a causa della continua ingestione di una bevanda pur lievemente alcolica, questa fu infine sostituita con il tè. Non ci sarebbe modo di spiegare tutto questo a un Goto redivivo. Carlton ha adottato una soluzione che a prima vista può apparire geniale. Ha semplicemente trasformato il tè in idromele! MIDUS "idromele" rende la parola "tè". Abbiamo quindi i seguenti composti: 

MIDUÞIGG "riunione dell'idromele"
    (traduce "party del tè")
MIDUAURKEIS "brocca dell'idromele"
   (traduce "teiera")
 
Nell'articolo su Academia.edu si trovano due forme diverse, in cui il composto ha il primo membro al genitivo: 

MIDAUSÞIGG "riunione dell'idromele"
    (traduce "party del tè")
MIDAUSAURKEIS "brocca dell'idromele"
   (traduce "teiera")
 
Questo modo di formare composti genitivali non sembra che fosse più molto vitale ai tempi di Wulfila: le forme con MIDU- sono di gran lunga preferibili a quelle con MIDAUS-, come Carlton stesso a un certo punto si è accorto. Il problema è tuttavia un altro. Tra i tutti Germani l'idromele aveva un importante ruolo di bevanda del Re, dei nobili e degli eroi. La prima domanda che Alarico si sarebbe posto, riguarderebbe proprio la tavolata riunita attorno alla bevanda inebriante. Perché un cappellaio, per giunta matto, avrebbe dovuto presiedere il rito? Come mai in questo contesto non si parla invece di un sovrano, della sua corte, dei suoi guerrieri? 
 
Il problema dei fraintendimenti 

Non comprendo la scelta di sostituire l'inglese treacle "antidoto" (dal latino thēriaca, dal greco thēriákē) con miliþ "miele" (non *milþis, come erroneamente riportato nell'articolo su Academia.edu). Una simile "traduzione" è senza dubbio fuorviante. Carlton reputa che sarebbe stato anacronistico parlare di antidoto ai tempi dei Goti. Non sono affatto d'accordo. Mitridate e il suo antidoto universale erano parte del sapere comune nell'antica Roma, ben prima che Wulfila iniziasse a predicare. Il nostro eroico Alarico avrebbe benissimo potuto essere in grado di comprendere ÞERJAKE come "antidoto, contravveleno". 

Il Dodo si è trovato trasformato in una Fenice: FAINIKS. A rigor di logica la fenice dovrebbe essere FWNEIKS o FWNIKS, dove -w- trascrive regolarmente il dittongo -oi- del greco, all'epoca pronunciato come la vocale -y-. La vocale -i- lunga è trascritta in gotico con -ei-, ma anche con -i-. È attestato l'aggettivo fwnikisks "fenicio". Detto questo, trovo che la "traduzione" di Carlton sia in ogni caso insoddisfacente. La Fenice è un uccello aggraziato che somiglia al fuoco vivo, mentre il Dodo è un piccione obeso, inabile al volo, strabico, beccuto e dotato di ali atrofiche: una figura grottesca e distorta, che non si presta a un paragone con il simbolo della Rinascita. 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web  

Alcuni commenti significativi sono presenti nella pagina di Amazon usata per ordinare il libro di Carlton. Li riporto in questa sede perché li ritengo utili al fine di accrescere la Conoscenza.
 
 
Un anonimo "Cliente Amazon" ha scritto (in spagnolo): 
 
Es uno de los pocos textos escritos en godo fuera de la Biblia de Wulfila. El autor detalla las dificultades técnicas que ha tenido que afrontar para adaptar Alicia en el País de las Maravillas al godo siendo fiel a su sintaxis y lexico. La falta de vocablos modernos lo afronta introduciendo un número de neologismos mínimo. Prefiere derivar palabras empleando lexemas godos. Esperemos que más autores se animen a escribir en godo y se cree una comunidad de hablantes en godo 
 
Un anonimo "Amazon Customer", dal dente avvelenato, ha scritto (in inglese): 
 
Whoever takes Gothic seriously should not buy this book. Hardly anybody reads Gothic today, so a poor translation can easily slip under the radar, even for the translator himself. "Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda" is very poorly translated and is full of both minor and major grammatical errors on every page. I attempted to correct the first chapter alone myself, but the errors became so numerous that I gave up. I'm convinced that the translator has never studied Gothic grammar in depth and just used a dictionary. I can't blame the translator, after all no native speakers are alive to correct his work.
Possibly the most common mistake made in "Balþos Gadedeis Aþalhaidais in Sildaleikalanda" (aside from case usage and verb tenses) is the usage of the clitic "-uh". -uh can only be placed on verbs and some indefinite pronouns, yet the translator uses it similarly to Latin "-que". This usage is incorrect: -uh can only join two or more main clauses. Here's an example where the author uses -uh to join two nouns : "stiklabridam bokobridam-uh". The word "jah" must be used here. 

Quanto l'utente fa notare corrisponde al vero: l'enclitica -uh è usata soltanto in alcuni contesti, con i verbi e con alcuni pronomi, mentre non può avere un uso analogo a quelo del latino -que. Quando si devono unire due sostantivi bisogna usare la congiunzione jah "e". Cosi anziché STIKLABRIDAM BOKOBRIDAMUH bisogna dire STIKLABRIDAM JAH BOKOBRIDAM "alle mensole dei bicchieri e alle mensole dei libri". Sempre ammesso che la parola BRIÞ (genitivo BRIDIS, plurale BRIDA) "mensola, superficie" si usasse effettivamente. Dal punto di vista fonetico è ben costruita dal protogermanico *bridan, che ha dato origine al tedesco Brett e all'antico inglese bred "superficie"; poi non sappiamo se esistesse davvero in gotico. Ho seri dubbi sulla validità di questi composti. Per quanto riguarda BOKOBRIDA, ho dubbi anche sulla correttezza grammaticale. Il gotico bokos "libro" è un plurale tantum formato a partire da boka "lettera (dell'alfabeto)"; non sono affatto sicuro che potessero formarsi composti in BOKO- "libro", mentre i composti in BOKA- sarebbero ambigui. Sarebbe meglio dire BRIDA BOKO.

Trovo in ogni caso esagerato il finale dell'intervento di questo "Amazon Customer", che avrebbe ben potuto firmarsi almeno con un nick: 

I originally wanted to give this book one star, but the amount of effort that went into this book is worth another star. The illustrations and alterations to make the story fit into a historically accurate time period is also worth something. I can only recommend this book to collectors, but even then it's honestly not worth your money. 

Conclusioni 

Nonostante tutti i problemi e le perplessità che ho enumerato e discusso, l'opera di Carlton è di un'importanza capitale. Nel complesso ambito della letteratura in lingua neogotica, non si può prescindere da questa traduzione (o meglio riscrittura) delle Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie.

martedì 1 settembre 2020


APPUNTI PER LA DISTRUZIONE 

Anno: 2008
Lingua: Italiano 
Regia: Simone Scafidi
Genere: Documentario, biografia 
Produzione: La Via della Mano Sinistra, col contributo della
     Provincia di Milano
Sceneggiatura: Andrea Riva de Onestis, Simone Scafidi
Scenografia: Alice Cannavà
Sound Design: Francesco Gaudesi
Operatore: Angelo Albertini
Fotografia: Fabrizio Bracci
Montaggio: Paolo Boriani 
Fonico di presa diretta: Elena Maestroni
Attrezzista: Marco Moroni
Fotografi di scena: Simone Sturla, Andrea Busi, Daniela
    Ferretti
Interpreti: 
    Andrea Riva de Onestis: Il Distruttore 
    Irene Serini: ragazza bionda 
    Nicole Vignola: ragazza rossa
    Luca Zilovich: Hans 
    Marianna Mandirola: ragazza sulla sedia a rotelle
    Lorenzo Carrea: Peter
    Paolo Emiliani: uomo al bancone
    Erika Auletta: ragazza incinta
    Silvia Costa, Gloria Batocchi: ragazze nude
    Roberto Ariata, Alessandro Imelio, Ezio Angeleri, Marco
    Bettinardi, Massimo Barison, Antonio Calandrino:
        squadristi d'assalto
    Mara Cassani, Margherita Bini, Antonio Belli: ragazzi nel
        recinto
    Carlo Gatti: ragazzo rasato
    Alessio Tibaldi: ragazzo torturato
    Brigida Menegatti: ragazza vestita da Madonna
    Silvia Soncini, Carlo Bongiovanni: coppia intervista fake
Interventi di: 
    Ferruccio Parazzoli
          (scrittore, intellettuale cattolico diventato panteista)
    Antonio Franchini
          (editore Mondadori, scrittore, giornalista*)
    Marco Monina
          (fondatore di Pequod Edizioni, ex peQuod)
    Bruno Pischedda
          (saggista e narratore)
    Massimo Fini
         (giornalista, politologo, saggista e attivista)
    Marco Pannella
         (politico, attivista e giornalista, deceduto)
    Vito Mancuso
         (teologo panenteista e antimanicheo)
    David Peace
         (scrittore inglese)
    Giancarlo Simonetti
         (Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia)
    Maurizio Blondet
         (giornalista, saggista e blogger)
    Gabriele Mandel
         (psicologo, scrittore e artista di origine afghana)
    Salomone "Moni" Ovadia
         (attore, cantante e autore teatrale ashkenazita) 


*Qualcuno dirà che il giornalismo fu il lavoro dei suoi esordi. Parafrasando Aristotele, ribatto che giornalisti si è per tutta la vita. 

Sinossi (dal risvolto)
 
Dante Virgili (1928-1992), lo scrittore maledetto di cui non esiste nemmeno una fotografia, è lo spunto di partenza del film "APPUNTI PER LA DISTRUZIONE". Attraverso una serie di interviste a parsonalità di spicco del mondo editoriale, letterario, politico e religioso, viee ricostruita la vicenda umana e artistica dell'autore de "LA DISTRUZIONE", lo scandaloso romanzo nazista che, pubblicato nel 1979, anticipò di più di trenta anni l'attentato dell'11 Settembre 2001. La vicenda di Virgili, tornata d'attualità anche per l'uscita del romanzo inedito "METODO DELLA SOPRAVVIVENZA", diventa lo stimolo per un'indagine su cosa sia il Male. Il tutto inframmezzato da potenti ed evocative scene di fiction ispirate all'universo creativo di Virgili.
Un film destinato a far discutere, allegato ad un libro che ne racconta la genesi. 
 
Disclaimer all'inizio del film: 
 
Questo film si ispira all'opera, alla figura e al caso di Dante Virgili per diventare una riflessione sull'impossibilità di definire che cosa sia il Male.

Il film è cadenzato a inserti di fiction ispirati "dalla", e non "alla", lettura del romanzo "La Distruzione" di Virgili.

Quindi le vicende di finzione sono da intendersi come opera autonoma degli sceneggiatori, e non hanno assolutamente la pretesa di ricostruire la vita e l'universo di Virgili.
 
Presentazione: 

La Via della Mano Sinistra presenta: 
La vera storia di Dante Virgili,
lo scrittore nazista che previde
la caduta delle Torri Gemelle. 
 
Struttura: 
 
Appunto 1: dante e "la distruzione" 
Appunto 2: la leggenda del genio maledetto
Appunto 3: le donne di dante
Appunto 4: la casa borghese
Appunto 5: il romanzo nazista
Appunto 6: il silenzio
Appunto 7: dante che vide i grattacieli in fuoco
Appunto 8: la bomba inesplosa
Appunto 9: "metodo della sopravvivenza"
Appunto 10: la fessura del male
Appunto 11: il male dei papi
Appunto 12: caino e abele
Appunto 13: il male e la macchina
Appunto 14: del peccato originale
Appunto 15: la materia del male
Appunto 16: male dentro
Appunto 17: teoria e pratica del male
Appunto 18: la fine del film
Appunto 19: la morte del cigno
Appunto 20: poco male

Recensione: 
 
Innanzitutto ringrazio Gerardo De Stefano per avermi inviato questo prezioso materiale, in attesa di sdebitarmi. Già da tempo dovevo far visionare il film a Cesare Buttaboni, purtroppo l'occasione non si è materializzata. Mi piacerebbe molto avere la sua opinione in proposito. Per quanto la struttura narrativa del film di Scafidi sia abbastanza anomala, lo reputo un capolavoro. Certo il dibattito tra tanti intellettuali non riesce a risolvere il problema del Male, anzi, non è nemmeno in grado di definirlo. In ogni caso, ne scaturisce qualcosa di sommamente interessante. Passo ora a riassumere e a commentare ciascun intervento.   
 
Ferruccio Parazzoli 
 
Ha un colorito quasi rosaceo e un pizzetto canuto, gli occhi chiari mostrano segni di irritabilità. Porta occhiali di vetro violetto e sembra non sopportare la luce della lampada. Non ha un ricordo preciso della prima volta che vide Virgili, un "ometto piuttosto repellente, autore di questo romanzo altrettanto repellente". Il ritratto è impietoso: un piccolo uomo gonfio, una faccia che sembrava una maschera, capelli impomatati, sudati, appiccicati su uno strano cranio distorto, deturpato da un bitorzolo. Ogni documento sullo scrittore è scomparso, come per un destino di ombra e di buio: nessuna foto, nemmeno la carta d'identità. Inclinazioni sessuali virgiliane, da cui irradiava il fascino del Male e della crudeltà: non faceva differenza tra rapporti omosessuali ed eterosessuali, ma la loro ontologia comune era il sadismo, se un rapporto non era sadico non lo soddisfaceva. Idiosincrasie alimentari: mangiava quasi soltanto prosciutto cotto e carne tritata. La casa di Virgili destava una sorta di disgusto interiore. Era una normalissima piccola casa borghese. Un appartamentino anonimo con una stanza vuota. Era la "Stanza del Male". Non c'erano mobili. Mucchi di giornali stracciati a terra, assi vicino al muro, aggeggi di metallo. Quelli erano mezzi di costrizione. La definizione "nazista" del romanzo è arbitraria. L'autore stesso era nazista o era una vittima? Si tratteggia la sua infanzia a Berlino. Ne trasse una gloriosa immagine del Nazismo. Cosa muoveva questa sete di distruzione? Una forma di disperazione? Sì, non aveva speranza. Non c'era nulla, né vicino, né lontano, né immaginabile, che gli desse uno spiraglio di luce. Anelito di autodistruzione. L'unica reazione da parte della società letteraria è stata di silenzio. Il romanzo non suscitò né interesse né messa al bando, nemmeno da parte di intellettuali di sinistra come Pasolini e Moravia. Probabilmente non lo avevano neanche letto, o lo ritennero l'opera di un pazzo. La riedizione de La distruzione è capitata in un momento molto diverso dagli anni '70. La profezia delle Torri Gemelle, auspica la distruzione di New York e dell'intera umanità. Terrorismo in mano alle potenze delle Tenebre. C'è una morale ne La distruzione? Che fine fece ciò che c'era nell'appartamento quando Virgili morì? Probabilmente fu sgomberato tutto. A Parazzoli fu consegnato un manoscritto inedito, la seconda parte di un'ideale trilogia: Metodo della sopravvivenza. La terza parte doveva essere Il crollo, che però non è stato nemmeno iniziato. Franchini non volle pubblicare il Metodo. Il romanzo nasceva dall'attesa della partita dei mondiali, Italia-Germania. Virgili tifava Germania, era il Paese della Forza. Compare più volte nei romanzi parazzoliani (Ti vestirai del tuo vestito bianco; Piazza bella piazza). Paolo VI diceva che il male entra da una fessura nella quotidianità. Da Virgili emanava un rivolo di liquido infetto. Il mistero del Bene e del Male non ha soluzione. L'intellettuale cattolico giunge a una conclusione in netto contrasto con il Cristianesimo: non esiste né il Bene né il Male. La morte di Virgili gli fu annunciata dall'interruzione delle sue consuete telefonate domenicali. Preoccupato, andò a casa sua e la portiera gli disse che era morto. Vide così il corpo immane, gonfio, era per terra, con i capillari scoppiati in una pozza di sangue. Fu poi chiamato per l'identificazione e si occupò della sepoltura, facendo mettere sulla tomba una croce di marmo, dicendo che male non gli farà. 
 
Commenti:
La testimonianza parazzoliana pullula di contraddizioni ed è costellata di dubbi ("credo di ricordare", etc.).
Ci dice che quest'uomo affascinava le donne (in contraddizione col personaggio, caratterizzato da immense frustrazioni) e la cosa non combina: irretiva le casalingue e poi non scopava? 
 
Antonio Franchini 
 
Ha un'espressione sardonica. Capelli corvini, occhi piccoli e simili a feritoie, occhiali, pelle irregolare, a tratti butterata. Parla senza accento, cosa un po' insolita per un napoletano. Sembra quasi che voglia prendere in giro il mondo intero. A suo parere La distruzione era un romanzo concepito per essere scandaloso, ma che in realtà non fece lo scandalo che ci si aspettava facesse. Cita un curioso aneddoto: Virgili fu anche autore di un racconto ambientato sulla pensione al mare, in cui un uomo non sapeva approfittare della disponibilità di una cameriera, parlandole di argomenti astrusi. Fu Parazzoli ad alimentare la leggenda di Virgili come genio maledetto, con la voce chioccia, uomo di ripugnante bruttezza che esisteva solo nelle telefonate, come una voce che veniva da altrove una sorta di emanazione, di essenza. Non si può pensare alla sua immagine fisica, solo alla sua voce. L'unica donna che lo ha conosciuto lo descrive come un uomo di immensa sensibilità. Egli era il Male? Forse no. Infatti l'equazione Dante Virgili = Nazismo non l'aveva fatta nessuno, neanche all'epoca in cui fu pubblicato. Invece Parazzoli sostiene in modo pervicace che per Virgili il Nazismo fosse la medicina del mondo. Lo scrittore abnorme sapeva benissimo che tale medicina fosse un veleno, ma quello che voleva era avvelenare il mondo. Lo voleva annientare. Virgili ha anticipato un orrore simile a quello che viviamo oggi. Il Metodo non fu pubblicato perché riprendeva temi e moduli de La distruzione con meno energia, con meno forza. Un topos virgiliano era Saddam Hussein, da cui si aspettava il riscatto, la palingenesi. Forse Mondadori non era l'editore giusto per un simile autore, ossessionato da cose angoscianti come l'estate in città e la paura di morire da solo (cosa che poi è successa), tanto che il suo ricordo consiste in immagini e percorsi di città deserte. 
 
Commenti:
Possibile che nessuno lo capisca? Hitler non voleva certo annientare il mondo! Qualsiasi studioso riterrebbe ridicola la tesi di Hitler che voleva annientare il mondo, quando in realtà era convinto di risanarlo. Il fatto che io invece voglia davvero annientare il mondo mi rende agli occhi di alcuni peggiore dello stesso Uomo di Braunau!
 
Marco Monina 

Ha grandi occhi chiari dallo sguardo febbrile e contrae di continuo il volto, come se fosse inquieto. Ricorda il romanzo scritto a 6 mani da Giuseppe Genna, Michele Monina e Ferruccio Parazzoli: I Demoni (2002). Uno dei personaggi si chiama Dante Virgilio. Cita un aneddoto curioso: La distruzione ebbe solo due recensioni di cui una di Giancarlo Ferretti sull'Unità, che ne parlava bene. Rammenta poi le notevoli difficoltà di accesso all'opera: prima della ripubblicazione se ne trovavano 11 copie nelle biblioteche di tutta Italia. 

Commenti:
Mi sembra troppo frenetico. Direi che è stato traumatizzato da Virgili!
 
Bruno Pischedda  
 
Ha grandi occhi scuri e baffi prominenti, brizzolati. Pochi capelli, fronte ampia, guance paffute. Si lancia in una dettagliata cronistoria del complesso iter editoriale de La distruzione. Passa poi ad enunciare le proprie tesi. Le donne sono un problema, un punto critico nell'universo virgiliano. Virgili amava una donna e ne è stato tradito. Tortura, prigionia, possesso delle persone: questa è l'essenza delle SS. Il Male sarebbe nato nello scrittore dal rancore per aver perso le sue posizioni di privilegio. Così si è formato il suo universo apocalittico. Fu uno tra i primi ad immaginare un'Apocalisse vera. 
 
Commenti:
Pischedda non crede al Male, ma è inquieto. 

Massimo Fini 
 
Ha un volto grosso, massiccio e rotondo, occhi che sembrano feritoie, capelli foltissimi e grigiastri. Interessante, è il primo libro che mostra la II guerra mondiale dal punto di vista di un collaborazionista del Nazismo. Il Male Assoluto ci riguarda tutti. Virgili sogna la distruzione universale, vuole la gigantesca Götterdämmerung al di là di ogni questione politica. Il libro in sé non è nazista. A forza di sentire che il Nazismo è il Male Assoluto, sorge una reazione di segno opposto. Questo è il motivo per cui si prova una specie di empatia per il personaggio. L'uomo è stato azzerato in favore dell'economia e della tecnologia. Una volta morto Dio, come profetizzato da Nietzche, non può più essere recuperato. Non siamo più nelle condizioni di crederci. A questo punto non importa nemmeno che Dio esista o meno. Il vero Male, quello che provoca genocidio, è quello di chi si crede nel Bene Assoluto. Così il vero Male è il Bene. Il processo di Norimberga come diritto che coincide con la forza del vincitore. Comodo fare del Nazismo il Male Assoluto per poter giustificare tutto il resto.
 
Commenti: 
Trovo condivisibili questi interventi finiani.

Marco Pannella 
 
Faccione coronato da una rada chioma canuta, fronte bombata e prominente, gote cascanti, cute rosea ma non sottile. Accanto alla sua figura si scorge il vessillo del Partito dei Socialisti Radicali, come se l'intervento fosse in realtà un comizio. Il politico sostiene che il vero contenuto è la persona: una delle cose a cui bisogna stare attenti è che si prenda troppo sul serio il mondo, continuando a pensare che c'è il Demonio, il Male. "Si sa che l'infinitamente piccolo include tutta la vita e tutta la morte come l'infinitamente grande". In quest'ottica nascerebbe il Demonio come tentativo di nobilitare il male che ci colpisce.  

Commenti: 
A dire il vero il discorso pannelliano mi appare un po' esiguo. Mi sarei aspettato qualcosa di più.

Vito Mancuso 
 
Ha uno sguardo fisso che non si dimentica, come se gli occhi gli uscissero dalle orbite. Fisionomia pretesca e capelli corvini. Sopracciglia cespugliose. Esordisce parlando di "memoria e identità" di Wojtyła e continua a chiamare il pontefice polacco "il Papa". Pone la questione della teodicea. Wojtyła si rifà alla frase di Goethe messa in bocca a Mefistofele: "Sono una parte di quella forza che vuole sempre il Male ma faccio sempre il Bene". Sostiene l'idea del Diavolo controllato da una volontà superiore che gli fa sempre fare il Bene, così ecco l'idea folle del Male necessario e... benigno. C'è però un problema, visto che la frase di Goethe è negata da Ratzinger (che non è chiamato "il Papa", ma "l'immediato successore"). Si afferma così la difficoltà palese che ha il pensiero cattolico in ordine al problema del Male. Poi lancia in uno sproloquio contro l'idea di Male ontologico. Fa il paragone con la Morte e con la Vita. Sostiene che se la Morte può esserci è solamente perché c'è la Vita. Un paragone puerile, che è ritenuto la prova dell'inesistenza del Bene e del Male come categorie sostanziali e indipendenti. Afferma addirittura la natura parassitaria del Male, dicendo che la vita è puffesca, che non siamo poi così immersi nel Male. Si scaglia anche contro la dottrina del peccato originale e parla dell'idea della libertà umana. Afferma che il serpente essendo stato creato da Dio, debba essere positivo. Le sue argomentazioni si fanno contraddittorie, giungendo ad definire il governo di Dio come qualcosa di impersonale. Parla dei libri sapienziali, Giobbe, i Proverbi, Siracide e Sapienza, che mostrano il mondo come governato non direttamente da Dio, ma da un ordine impersonale, per l'appunto la Sapienza, che potrebbe essere anche chiamato Giustizia o Ordine (Dharma, direbbe un buddhista). L'essere vivente è una serie di relazioni ordinate (atomi, tessuti, etc.), con cui Dio governa il mondo. A questo punto tira in ballo la meccanica quantistica e la biologia per dimostrare la libertà. Egli afferma questo: le relazioni a volte sono irrazionali anziché ordinate e questa sarebbe la profonda radice del Male. 

Commenti: 
Mi domando il perché di questa polemica contro il Penesiero Manicheo a babbo morto da secoli. Nonostante vari tentativi di razionalizzare tutto ciò, una spiegazione convincente contina a sfuggirmi. La teodicea mancusiana è di una fragilità logica molto spinta. Si arrampica sui vetri nel tentativo di negare la realtà concreta, immanente e pervasiva del Male. 

David Peace 
 
Ha una pelle sottilissima e gonfia, dal colorito rosato, occhi ardenti e chiarissimi, con pupille molto dilatate. Il suo messaggio è della massima chiarezza: noi tutti siamo malvagi. Hitler era umano, tutti possiamo essere Hitler ogni giorno. Dobbiamo smetterla di pensarlo come un mostro. Dice che il Male non è in Dio perché Dio non esiste: Il Male è creato dall'uomo. Cita quindi due esempi concreti. Parla di un pestaggio mentre guidava per le vie di Parigi: non è intervenuto, è andato oltre. Subito dopo parla di un ragazzo di colore su un treno Parigi-Milano: non aveva la VISA corretta e non sapeva parlare inglese o francese, così la polizia alla frontiera lo ha condotto giù dal treno. Peace in queste due occasioni non ha fatto il Bene: non ha aiutato chi ne aveva bisogno, anche se avrebbe potuto. Così facendo, egli ha fatto il Male.  

Commenti:
Egli vede chiaramente l'esistenza del problema del Male, non cerca di negarlo e giunge a conclusioni notevoli.

Giancarlo Simonetti 
 
Ha un volto che mi pare sofferente. Una barba ispida e canuta, che spunta a cernecchi sulla pelle rugosa. Rivela alcune dottrine occulte della sua congrega. Per la Massoneria il Male va combattuto. In ogni fucina massonica c'è una scacchiera che ha sette per cinque = 35 piastrelle bianche e nere, in cui la piastrella dispari è nera (il Male). Questa scacchiera rappresenta il Bene e il Male e la sua disparità indica l'(attuale) prevalenza del Male. Adamo ed Eva generano due figli, Caino ed Abele. Sopravvive colui che uccide il Bene. Colui che dava il miglior sacrificio è stato ucciso. Siamo Figli del Male. A questo si contrappone l'idea che si deve operare per il Bene. "Fai agli altri tutto il bene che vorresti fosse fatto a te". Si afferma l'interdipendenza di Bene e Male. Nemmeno qui sono ritenuti davvero princìpi contrapposti e indipendenti: il credo massonico afferma che non vi è Bene se non vi è Male e viceversa. 

Commenti: 
Esiste un'ambiguità di fondo. Se Bene e Male sono interdipendenti, come si può pensare di affermare il primo e di combattere il secondo?

Maurizio Blondet 
 
Ha pochi capelli grigi e una barbetta canuta, fronte ampia, sorriso sardonico. Porta strani occhiali dalle lenti rotonde. Nella sua bocca spicca un dente incisivo inferiore più scuro degli altri. Parla di nichilismo suicida. Stigmatizza un mondo in cui l'essere è valutato solo per il suo valore di funzione. Cita Dostoevskij (se Dio non esiste, allora tutto è lecito - non menziona però l'antropofagia come conseguenza). Cerca di fare catechismo cattolico sul peccato originale, ma non convincerebbe nessuno. Ben più significativo è il discorso sul vincitore che fa quello che vuole del vinto (es. i crimini di Stalin, il giudizio sul Nazismo da parte di giudici che avevano compiuto azioni altrettanto atroci, lo sterminio dei Kulaki, etc.). 
 
Commenti: 
Pur non essendomi particolarmente simpatico, Blondet ha ragione da vendere quando parla dei vincitori e dei vinti. Immagino tuttavia che non gradirebbe molto se cominciassi a descrivere in dettaglio i crimini compiuti dalla Chiesa di Roma nel corso dei secoli. 

Gabriele Mandel 
 
Ha un volto massiccio, che sembra appena sbozzato nel granito. Una barbetta canuta e ispida sembra bucare la spessa cute del suo mento. Le sopracciglia invece sono nere. Inizia con una domanda: "Cos'è il male per il Sufismo?" Fornisce la risposta: "Il Male è Ignoranza". Afferma il monoteismo, l'unicità del Creatore. L'uomo non crea, rielabora cose già create. Dio crea col pensiero e con l'azione. Con l'azione crea energia, che non è materia. L'atomo non è materia (con buona pace di Einstein). Col pensiero crea le leggi divine che coordinano l'energia, che creano la materia. Il "negativo" della materia sarebbe il Male. Bene e Male inseparabili, assurdo separarli e dire "quello è un uomo buono" o "quello è un uomo malvagio". Questa è la sua sentenza finale: "L'uomo è sempre se stesso e non è mai se medesimo. È di volta in volta angelo e demone, divino e diabolico." 
 
Commenti:  
Il sufi usa un linguaggio pseudofisico. Ha moltissimi titoli, ma le sue argomentazioni mi paiono inconsistenti e insidiose. Si ricollega strettamente alle dottrine massoniche enunciate da Simonetti. 
 
Salomone "Moni" Ovadia 
 
Ha una faccia grande e tondeggiante, occhi piccoli e scurissimi, barba corta e candida. Porta una kippah nera con decorazioni bianche. Comincia con alcune affermazioni dottrinali. Il Talmud dice non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa è la sintesi di tutto l'Ebraismo. Il detto evangelico dice invece di fare agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te ed è considerato molto pericoloso: non è detto che ciò che è bene per te lo sia anche per gli altri. Parla della libertà religiosa come massima conquista del genere umano, con l'altrettanto sacrosanta libertà di non credere. Si schiera contro l'idea del Nazismo come Male Assoluto: è convinto che i Nazisti fossero omini piccolissimi, che non fossero affatto mostri, bensì nullità. Ricorda il caso di Mengele, che tolta la sua divisa nera andava a messa e coltivava le rose. Questo gli serve a dare la dimostrazione del fatto che Mengele non era un serial killer. Messi di fronte al tribunale di Norimberga, gli artefici del genocidio hanno cercato di occultare le prove. Non hanno detto: "Sì, l'ho fatto e lo rifarei!" Non erano titani. Questa è la dottrina della "Banalità del Male" esposta della Arendt. 

Commenti: 
Bene la tolleranza religiosa. E se qualcuno portasse il culto di Baal a Gerusalemme che succederebbe? Nella grande conquista della Libertà, per Ovadia sarebbero coinvolte tutte le religioni monoteiste. Ecco, mi piacerebbe sapere cosa direbbe di fronte ai Talebani e a Daesh. Per quanto riguarda da dottrina della Arendt, la reputo futile. Il Male non è mai banale. Senza contare il fatto che uomini come Eichmann e Heydrich non possono essere liquidati come "nullità" o "vermiciattoli". Essi non sono il prodotto della burocrazia, bensì della scuola e del bullismo! 

Una sostanza primigenia 

Con buona pace di Mancuso, si spiega ogni cosa ammettendo il carattere ontologico e increato del Male. Può essere definito come una natura delle cose che ha come fine ultimo la sofferenza dei viventi e la sua perpetuazione. La vita biologica non è altro che un macchinario stritolatore. Spezza e macina le sue vittime, dopo averle dannate. Fa in modo che ci siano sempre vittime: le fa riprodurre. Dante Virgili è davvero il Male? Certo che no. Volendo annientare questo Inferno e porre fine allo strazio dei viventi, si può dire che egli sia il Bene, che egli agisca per il Bene.
 
Schegge nel cervello 
 
Il regista cerca di unire i vari interventi con alcune ipotetiche scene della vita di Virgili, ricostruite con grande fantasia ma senza molti riscontri con quanto leggiamo nei romanzi La distruzione e Metodo della sopravvivenza. Del resto, nel disclaimer che compare all'inizio della pellicola è specificato che si tratta di prodotti dell'immaginazione, dell'ispirazione. Queste sequenze irrompono come potenti flash, come frammenti metallici che si conficcano nei nervi ottici. L'interpretazione di Andrea Riva de Onestis è superba. Vediamo lo scrittore come un baldo giovine, nerboruto e fiero, che avrebbe potuto ambire alle grazie delle più leggiadre fanciulle, senza riscontrare difficoltà alcuna. Non sembra certo un omino ripugnante, fisicamente repellente, una sorta di uomo-ratto rachitico, asfittico e cachettico, quale le fonti ce lo descrivono. Non ha alcun bitorzolo sul cranio. Certo, ha lo sguardo un po' allucinato, ma non credo che questo basti a fare di un ragazzo un mostro. Egli ci appare come un robusto squadrista d'assalto, in camicia nera. È ritratto come un bullo e violento, sempre pronto a infierire sui più deboli. Molesta una ragazza che si trascina su una sedia a rotelle, la immobilizza e la scalza dal suo sostegno, su cui viene dipinta una svastica. Poi si vedono due ragazze nude messe a ridosso di un muro. A una è stato messo un olisbo in bocca. Lui scorreggia sonoramente sulla loro faccia, costringendole a inalare i lezzi intestinali. Seguono scene di tortura inflitte a prigionieri di entrambi i sessi, degradati a porci e randellati selvaggiamente. Un'analisi superficiale di questo materiale può trarre in inganno e portare a scorgere nel personaggio una sorta di titanismo, di senso di onnipotenza. In fondo questo è proprio quanto molti si immaginano quando sentono parole come "fascista" e "nazista". La realtà è un tantino più complessa: le opere di Virgili descrivono un uomo ben diverso da questo postmoderno e sadiano stereotipo del Male. Egli odia il genere umano proprio perché ha dovuto subire le peggiori angherie sulla propria pelle, diventando un escluso, un paria, un dalit, trattato da tutti (e in particolare dal gentil sesso) come un rifiuto, come un escremento umanoide. Non un bullo, ma una vittima dei bulli. La sua misantropia estrema nasce e si sviluppa come feroce vendetta per essere stato sottoposto a bullismo e rifiutato dalle donne, schifate dal suo aspetto fisico e dalle sue perversioni. Proprio come è successo a me. Egli è sadico e anale. La sua crudeltà nei confronti del genere femminile ha proprio questa origine, è una manifestazione della Nemesi Cosmica. Il suo sentire non nasce da un senso di potenza, bensì da un senso di impotenza pervasivo e soverchiante, distillato in odio assoluto ed immortale. Solo contro l'Universo, Virgili ne desidera l'annientamento. In lui brilla la Luce Nera dell'Odio Eterno! Troppo spesso ci si dimentica la frase che accomuna Virgili a me: "Non dovevo nascere"
 
La soluzione a un problema definitorio  
 
Il film di Scafidi è certo molto interessante, ma non apporta alcuna prova della concreta esistenza fisica di Dante Virgili, che resta un problema per i filologi. Anche se potrà sembrare paradossale, l'esistenza stessa dello scrittore apocalittico è irrilevante, perché egli non è soltanto un personaggio, ma un'idea indistruttibile, un virus che vaga nella Noosfera, pronto a materializzarsi senza preavviso in qualunque punto dello spaziotempo. Magari l'idea di Dante Virgili si formerà proprio in un potente che detiene i codici per il lancio dell'arsenale nucleare della sua nazione. Vedete, quando in una specie senziente si manifesta anche soltanto un individuo di questo genere, il destino di quella specie è segnato. Spero che Parazzoli e Franchini leggano queste mie righe. L'ingegno che ha creato Dante Virgili non immagina neppure lontanamente che persone simili alla sua creazione esistono davvero. Proprio in Italia, in Lombardia, ne esistono almeno due! Posso dirmi virgiliano fin nel midollo, nonostante abbia molti dubbi sul fatto che Dante Virgili sia realmente nato dal grembo di una donna. Egli è molto più di un uomo partorito, fatto di carne e di ossa. Egli è immortale! Egli è eterno! 

 
Appunti per la distruzione.
Genesi di un film 


Il libro a cui si allude nella sinossi, distribuito assieme al film in DVD, è il seguente: 

Titolo: Appunti per la distruzione. Genesi di un film. Con
     DVD
Autore: Simone Scafidi
Editore: Pequod
Collana: Pequod
Anno edizione: 2008
In commercio dal: 1 febbraio 2008
Pagine: 32 p., ill. , Brossura
Codice EAN: 9788860680570 
 
Recensione (libro): 
 
Questi libretto contiene suggestive foto tratte dal film e dalla sua lavorazione (alcune infatti non corrispondono a scene viste). Riporta testi di Andrea Riva de Onestis e numerose informazioni su come il documentario è stato concepito e realizzato. Sono spiegate le sequenze e riportati alcuni dialoghi. Contiene anche sintetiche note biografiche su ciascuna delle personalità intervistate nel film. Dalla lettura appare chiaro che Scafidi ha compreso qualcosa di profondo. Qualcosa che ai vari autori degli interventi deve essere sfuggito. "L'idea di Virgili nasce dalla sofferenza. E si manifesa nella sofferenza e in un linguaggio sofferto." (cit.). Il documentario è nato essenzialmente per una difficoltà tecnica che sembra insormontabile: non si riesce a trarre un film dal romanzo La distruzione, la cui struttura è protoplasma del Caos. 

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Segnalo giusto un paio di recensioni trovate nella Rete: