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venerdì 20 novembre 2020

 
ENEMY

Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Canada, Spagna
Anno: 2013
Durata: 90 min
Rapporto: 2,39:1
Genere: Thriller, drammatico, grottesco
Regia: Denis Villeneuve
Soggetto: José Saramago (O Homem Duplicado, romanzo)
Sceneggiatura: Javier Gullón
Produttore: Niv Fichman, Miguel A. Faura
Produttore esecutivo: François Ivernel, Cameron
     McCracken, Mark Slone, Victor Loewy
Casa di produzione: Rhombus Media, Roxbury Pictures, 
     micro_scope, Mecanismo Films
Distribuzione in italiano: PFA Films, 102 Distribution
Fotografia: Nicolas Bolduc
Montaggio: Matthew Hannam
Musiche: Danny Bensi, Saunder Jurriaans
Scenografia: Patrice Vermette
Costumi: Renée April
Trucco: Catherine Viot
Interpreti e personaggi:
    Jake Gyllenhaal: Adam Bell / Anthony Claire
    Mélanie Laurent: Mary
    Sarah Gadon: Helen Claire
    Isabella Rossellini: La madre di Adam 
    Joshua Peace: Insegnante
    Tim Post: Concierge di Anthony
    Kedar Brown: Guardia di sicurezza
    Darryl Dinn: Impiegato della videoteca
    Misha Highstead: Signora nella dark room
    Megan Mane: Signora nella dark room
    Alexis Uiga: Signora nella dark room
    Paul Stephen: Gerente della dark room
    Stephen R. Hart: Buttafuori
    Kiran Friesen: Donna triste, distrutta
    Jane Moffat: Eve
    Loretta Yu: Addetta alla reception
Doppiatori italiani:
    Stefano Crescentini: Adam Bell / Anthony Claire
    Gemma Donati: Mary
    Valentina Favazza: Helen Claire
    Roberta Paladini: La madre di Adam 
Titolo in altre lingue: 
    Spagnolo (America latina): El hombre duplicado
 
Trama: 
Incipit erotico. In un club ctonio una donna si esibisce in un numero morboso e sta per schiacciare un grosso ragno dall'addome setoso. Uno squallido professore di storia, certo Adam Bell, si consuma in una spettrale esistenza da larva nella metropoli di Toronto, sotto un cielo di un grigio perenne. Un giorno accade qualcosa che scombina la sua routine: su istigazione di un collega noleggia una videocassetta di un film intitolato Volere è potere. Guardandolo si accorge che una comparsa gli somiglia a tal punto da poter essere un suo clone. Ha quindi inizio un'ossessione: trovare questo Doppelgänger e scoprirne la vera identità. Presto questa idea fissa s'impossessa di lui, al punto che gli diventa impossibile pensare ad altro. Comincia ad indagare, scoprendo che il suo doppione è conosciuto col nome d'arte di Daniel St. Claire, ma in realtà si chiama Anthony Claire e ha al suo attivo soltanto un paio di comparse sullo schermo. Quando Adam si reca all'agenzia per cui lavora Anthony, viene scambiato per lui. Riesce a ritirare una busta destinata all'attore, da cui ricava il suo indirizzo e il numero di telefono. Lo chiama ma non lo trova in casa. Risponde la moglie, Helen che si trova in un avanzato stato di gravidanza e rimane profondamente turbata dal tentativo farneticante del professore di instaurare una conversazione. Credendo di avere le corna, decide di pedinare il marito, scoprendo l'esistenza dell'uomo a lui identico al punto di sembrare un suo clone. La donna scopre l'università dove Adam insegna, ma lui non è consapevole di essere spiato. A un certo punto avviene l'incontro tra i due uomini identici, in una stanza d'albergo. Essi scoprono che non si tratta di una pura e semplice somiglianza: ogni singolo dettaglio dell'uno trova la sua perfetta corrispondenza nel corpo dell'altro, persino una cicatrice. Terrorizzato da questi accadimenti portentosi, Adam dichiara che l'incontro è stato un errore e fugge via. Forse come conseguenza dell'incontro, Adam ed Anthony hanno il sonno funestato dallo stesso incubo, in cui prima appare loro una donna nuda la cui testa è quella di un aracnide, poi vedono un ragno immenso delle dimensioni di un grattacielo che zampetta allegramente tra gli edifici della città. Anthony diventa uno stalker e punta la sua ragazza, Mary. Vuole possederla carnalmente, accusando Adam di essere stato a letto con la gravida Helen, per poi dichiarare di aver agito per vendetta, per mettere i conti in pari. Così contatta Adam e gli chiede di prestargli vestiti e chiavi della macchina per una notte, promettendo che dopo aver avuto questo favore scomparirà per sempre dalla sua vita. Adam accetta, quindi Anthony lo impersona, riesce a portare Mary in un albergo e ha con lei contatti sessuali. La reazione di Adam è semplice: si reca a casa di Anthony e dovo varie piagnucolose vicissitudini Helen accetta di fare l'amore con lui. Nel frattempo Mary, durante il sesso ha una crisi, perché nota che l'uomo ha un segno sulla fede nuziale. Capisce di essere stata ingannata da un uomo somigliante al marito; gli chiede di essere riportata a casa. Durante il viaggio i due litigano furiosamente, causando un terribile incidente in cui muoiono entrambi. Il giorno dopo, Adam si ritrova ad assumere l'identità di Anthony. Indossa i suoi abiti, apre una busta a lui destinata, con la chiave del club erotico ctonio in cui all'inizio del film una donna stava sensualmente schiacciando un pingue ragno. Avvisa che sta per uscire di casa. Helen non gli risponde, quindi lui entra nella sua stanza, vedendo al posto della donna un aracnide nero e peloso, che occupa l'intero spazio.
 
 
Recensione: 
Mentre lo vedevo per la prima volta, mi sembrava un ottimo thriller, pieno di suspense. La tensione era totalizzante, il senso di mistero era assoluto e densissimo. Cosa avrà mai prodotto la comparsa dell'inesplicabile Doppelgänger del protagonista? L'acme viene raggiunto quando, durante l'incontro tra i due uomini, si vede che sono identici a livello genetico e cellulare, avendo persino gli stessi nei! DNA che corrispondono base per base, molecola per molecola! Non solo: i corpi mostrano anche un identico segno non congenito, una cicatrice, che deve essere il prodotto di un identico trauma subìto a un certo punto delle loro esistenze! E com'è possibile una cosa simile? Non può essere una mera coincidenza! Questa è un'idea sorprendente, inquietante, che avrebbe potuto essere sfruttata meglio. Purtroppo Villeneuve è riuscito nella difficile impresa di rovinare tutto in pochi secondi non lontano dai titoli di coda. Ho digrignato i denti per lo sdegno. Non ho dubbio alcuno: quest'uomo benedetto è un regista che ha il tocco di Re Adim! Se il Re Mida trasformava in oro tutto ciò che toccava, vi lascio immaginare quali fossero invece le proprietà del tocco del Re Adim! Proprio quando si ha davanti una torta al cioccolato e si sta per gustarla, ecco che lo chef diabolico ci mette sopra una massa di gorgonzola graveolente e di salsa verde. Vi immaginate lo schifo? Ecco, ora avete una vaga idea di quello che ho provato. Sappiamo tutti che la Settima Arte è defunta. Non si hanno più idee originali. Tutto sta diventando un remake di un remake di un remake, ad infinitum, ad nauseam! Un simile contesto di merda è ciò che si chiama mainstream. Quando hai la fortuna di concepire un'idea innovativa e sconvolgente, non puoi banalizzarla e gettarla via! Se lo fai, è una cosa che urla vendetta al Cielo!    
 
 
Un finale smerdante 
 
Proprio quando il protagonista sta per trovare il bandolo della matassa, accade qualcosa di inaudito. Anziché la moglie trova nella stanza da letto l'orrenda, schifosa suocera che si manifesta a lui nella sua vera natura di titanica tarantola. La critica dice che quella è la moglie di Anthony, Helen, ma io non ci credo affatto. Quella è proprio la suocera. Un aracnide smisurato e peloso, che invade tutta la stanza, che invaderebbe lo stesso Universo, se non fosse confinato tra quattro mura. Un cielo in forma di tarantola, che avvolge ed opprime ogni cosa. L'uomo non sembra rendersi conto della situazione raccapricciante. Anzi, tira un sospiro di sollievo e ride. Sembra quasi che abbia una reminiscenza improvvisa di un pianeta alieno popolato da colossali aracnidi senzienti, di cui anche lui era parte. Questa interpretazione, lasciata allo spettatore, non viene però esplicitamente affermata dal regista. Non si dà un barlume di spiegazione. Si ha l'impressione di assistere al colpo di un'arma spuntata, che fallisce il bersaglio. Nello stesso istante in cui la rivelazione dovrebbe manifestarsi nella sua atrocità, parte invece una fastidiosissima musichetta da commediola. Un'aria futile che cosparge di escrementi l'intera opera, riducendone a nullità la trama e privandola di ogni residuo di significato! Proprio così. Il film di Villeneuve non significa nulla
 
Qual è il confine della Fantascienza?  
 
La domanda è a bruciapelo. Può questo film villeneuviano essere definito un'opera di fantascienza? Certo che sì! Mi rendo conto che la mia affermazione sembrerà blasfema a molti fantascientisti fanatici, ma le cose stanno in questi termini. Se un Doppelgänger di una persona si aggira per la città, non si può affatto escludere che sia un alieno sotto mentite spoglie o il prodotto di una tecnologia occulta, che potrebbe benissimo non essere del nostro pianeta. Certo, se dicessi che L'uomo duplicato di Saramago è un'opera di fantascienza fatta e finita rischierei il linciaggio. Infatti non è probabile che sia stata scritta con tale intento. L'aspetto fantascientifico è stato infuso proprio della trasposizione cinematografica: per come Villeneuve ha presentato le sequenze, la loro classificazione è inevitabile. Non ci sono molte altre spiegazioni possibili. L'idea che Adam ed Anthony siano gemelli omozigoti separati alla nascita si rivela una pura e semplice assurdità proprio a causa del fatto che entrambi hanno la stessa cicatrice. Fallisce la riduzione degli eventi al mondo della razionalità umana, della quotidianità. L'uomo duplicato di Saramago è più che altro attento alla dimensione psicologica. Incredibilmente prolisso, il romanzo è ambientato in un microcosmo portoghese di cui non si trova traccia nella trasposizione cinematografica. Potremmo dire che è una specie di esperimento concettuale, in cui lo scrittore lusitano indaga la reazione di un uomo alla comparsa di un altro essere umano identico a sé, senza che sia data la benché minima importanza all'origine ultima di un simile portento. 
 
Alcune note sul romanzo di Saramago 

Il protagonista porta un nome altisonante: Tertuliano Máximo Afonso. Non riesce ad accettare quel Tertuliano, perché tutti lo pigliano per il culo pronunciando "TERTULI ANO", con un bello stacco che non lascia adito a dubbi, facendo un'associazione immediata allo sfintere da cui sono espulse le feci. Lo stesso giochetto che ho fatto io quando ad Augusta ho visto su un dipinto di Carlo Magno questa imbarazzante dicitura: "NIHIL DEEST CHRISTI ANO" (doveva significare "Nulla manca al cristiano"). La morale era questa: Carlo Magno rispondeva con tali parole a un imperatore politeista, Alessandro Magno, che con un analogo "fumetto" affermava: "NIHIL SUFFICIT PAGANO" (ossia "Nulla basta al pagano"). Il problema è che "CHRISTI ANO" con lo stacco dovuto alla necessità di andare a capo, è passibile di interpretazione blasfema! Mi domano se non fosse una cosa voluta. In modo simile, quando fu chiesto al professor Gianfranco Miglio se fosse un craxiano, lui rispose: "Non sono l'ano di nessuno". L'aggettivo "craxiano" era da lui interpretato con lo stesso spirito del "CHRISTI ANO" evocato da Carlo Magno. Con meno fortuna, Umberto Bossi cercò di riciclare la battuta, dicendo di detestare tutte le parole che teminano per "ano". "Come padano?", ribatté l'intervistatore. Ecco, diciamo che il "TERTULI ANO" di Saramago è il corrispondente portoghese delle amenità da me riportate. E gli hanno anche dato il Nobel!     
 
Il dilemma della macchina duplicatrice 
 
Immaginiamo ora una macchina che funziona in questo modo: scansiona qualsiasi oggetto sia posto nell'apposito vano, riproducendolo atomo per atomo. Potremmo dire che si tratta di una forma molto avanzata di stampante tridimensionale. Non escludo che tra qualche anno qualcosa di simile possa davvero essere realizzabile. Le conseguenze ontologiche sono gravissime. Adesso pongo la fatidica domanda. Cosa accadrebbe se una simile macchina riproducesse un essere umano anziché un oggetto? Produrrebbe una copia perfetta, che non conterrebbe alcun errore genetico, alcuna distorsione di una singola base del DNA. Sarebbe una copia migliore di qualsiasi clone, persino migliore di un gemello omozigote. Il cuore batterebbe, pomperebbe il sangue al cervello, si accenderebbe l'autocoscienza nell'essere umano duplicato. Quale sarebbe la fonte di questa nuova autocoscienza, che prima della duplicazione non esisteva? Il cervello duplicato, come vorrebbero i pierangelisti? Cosa penserebbero i teologi delle varie religioni del mondo? Un teologo tomista crederebbe che tale macchina ha duplicato un'anima immortale che soltanto Dio dovrebbe poter creare? Che ne sarebbe della sostanza aristotelica e dell'ideologia che da essa è derivata? I Dottori della Chiesa ammutolirebbero. I filosofi direbbero che a tutti questi quesiti non c'è ancora una chiara risposta. Quello che invece si può dire per certo è dove sono andati a finire secoli di speculazione e di pensiero religioso del genere umano. Non cito esplicitamente il luogo in questione per non apparire troppo cinico. 
 

Due filosofemi 
 
Le citazioni che compaiono nell'introduzione dell'opera di Saramago sono queste: 

Il caos è un ordine da decifrare.
Libro dei Contrari

Credo sinceramente di avere intercettato molti pensieri che i cieli destinavano a un altro uomo.
Laurence Sterne 

La prima citazione compare all'inizio del film in una forma lievemente diversa proprio dopo la bella inquadratura di una donna nuda incinta: "Chaos is order yet undeciphered" (ossia "Il Caos è ordine non ancora decifrato"). La fonte della sentenza non è specificata e non si fa menzione della frase di Laurence Sterne, scrittore e religioso irlandese nato a Clonmel (Tipperary) nel 1713 e deceduto a Londra nel 1768. Ebbe un matrimonio infelicissimo con una pazza da catena e peggiorò ancor di più la situazione cornificandola accanitamente. Fu afflitto da una salute malferma e da continue difficoltà economiche. Invaghitosi di un'altra donna, viaggiò in Francia e in Italia, scrivendo le prorpie memorie e riuscendo infine a separarsi dalla moglie. Dopo una vita tanto incerta, lo colse la morte per tubercolosi. Non stupisce che si sia sentito attraversare da pensieri alieni, come una radio capace di captare i borborigmi di Azathoth!    

L'Ordine e il Caos 
 
La specie Homo sapiens è formata da due meccanismi: una macchina procreatice e un programma ricercatore di senso. La macchina procreatice ha come scopo l'estrazione del genetico e il suo utilizzo per la fabbricare di nuovi esemplari che portino sulle proprie spalle il gravame di una condizione maledetta. Il programma ricercatore di senso, che Luigi Pirandello definiva "macchinetta infernale", ha come scopo la decrittazione del Caos, la riduzione della sua insensatezza suprema a un ordine comprensibile. Quindi il processo è quello di trasformazione del Caos in Cosmo. Un'opera di Cosmogenesi. Il problema è che il programma ricercatore di senso è intrinsecamente fallimentare. Il senso non si trova, per quanto eroici possano essere gli sforzi. Alla fine Homo sapiens si ritrova nudo, balbuziente e demente di fronte all'Assurdo. Né si deve credere, come pure fanno alcuni, che il desolante tocco dell'Assurdo possa essere ciò che ci assicura la Libertà. Non esiste opinione più farneticante della loro. La Libertà si può trovare soltanto nell'Annientamento dell'Essere. Un vino in grado di estinguere l'Essere e di cancellare l'ombra della vita è la sola cosa che si possa desiderare. Alla Cosmogenesi è necessario opporre la Cosmonemesi.   

 
Un'esegesi ridicola 

La vulgata corrente è questa: il Doppelgänger incarnerebbe il concetto secondo cui l'individuo sarebbe il vero nemico di sé stesso. In questo modo, Anthony sarebbe stato materializzato dall'inconscio di Adam come suo doppione fisico e al contempo come suo opposto caratteriale. Se Adam è un professorucolo timido e schiavo delle convenzioni, Anthony cerca di evadere dalla monogamia, che percepisce come asfittica, contemplando in un club erotico splendide dominatrici che spappolano ragni sotto i piedi. Il finale, sempre a detta dei fan, starebbe a significare che tutto è vano e che nessun mutamento può avvenire a causa delle circostanze, se prima non cambia veramente qualcosa dall'interno. Di tutto questo mi faccio beffe, perché è soltanto un coacervo di stronzate. Nessuno dice che il ragno schiacciato dalla Domina rappresenta il fallo eretto che eiacula a contatto coi piedi femminili nel corso di una sessione di sadomasochismo! 
 
Curiosità  

Un refuso voluto. Il professore tiene una lezione parlando del filosofo tedesco Johann Gottlieb Fichte (1762 - 1814). Tuttavia sulla lavagna si vede che il cognome è scritto erroneamente Fitche. Questa è una tipica manifestazione di germanofobia. 
 
Una squallida trovata pubblicitaria. Il cast ha firmato un accordo di confidenzialità che vietava di parlare ai media del significato dei ragni nel film. Mi domando perché questo accordo sia stato imposto. Quale significato dei ragni nel film? Non c'è nessun significato!  

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Ho trovato nel Web un certo numero di recensioni tecniche, assai dettagliate, che trovo sommamente irritanti. Passerò oltre. Il Davinotti analizza il film di Villeneuve, riportando che risente dell'influenza di Cronenberg e di Lynch, più qualche altro dato lapalissiano. Gli interventi dei commentatori mi sembrano poco convincenti. mi limito a riportarne un paio.

 
Ira72 ha scritto:

"Pellicola pressoché mono-tono a esaltare la desolazione di una Toronto quasi spettrale, colonna sonora inquietante e incalzante. Buona performance di Gyllenhaal, che riesce a interpretare due persone fisicamente identiche ma caratterialmente oppost, attraverso sottili e impercettibili sfumature mimiche (compito mica facile!). Ma. Quando al subconscio e alla fantasia viene concesso troppo, in particolare da un grottesco finale aperto, il rischio è di restare perplessi, più che piacevolmente stupefatti. I ritmi dilatati, poi, non aiutano." 
 
Deepred89 ha scritto:

"Pellicola straniante e claustrofobica, forse debitrice del Lynch ultima fase. Il gioco che permette il dispiegarsi dell'ottima idea di partenza (l'avvistamento in un film di una comparsa... già vista) è di quelle che fanno scoccare il colpo di fulmine cinefilo. L'intreccio si sviluppa con intelligenza mentre i pesanti filtri della fotografia trasformano la fredda ambientazione in uno sfuggente inferno onirico. Peccato per quella chiusa ermetica: già trent'anni fa Fulci dimostrò che i ragni nelle città dei morti viventi rovinano i finali.
MEMORABILE: Il protagonista visionando un film si accorge di quella comparsa, in tenuta da maggiordomo; La creatura (?) che veglia sulla città." 

giovedì 12 novembre 2020

 
ASSASSINIO AL CIMITERO ETRUSCO 
 
Titolo originale: Assassinio al cimitero etrusco
Titolo in francese: Crime au cimetière étrusque
Titolo in inglese: The Scorpion with Two Tails
Paese di produzione: Italia, Francia
Lingua: Italiano, etrusco
Anno: 1982
Durata: 98 min
Genere: Orrore, thriller
Regia: Christian Plummer (Sergio Martino)
Soggetto: Ernesto Gastaldi, Dardano Sacchetti
Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi, Maria Chianetta, Jacques
     Leitienne
Produttore: Luciano Martino
Casa di produzione: Dania Film S.r.l. (Roma), Medusa Film 
    (Roma), Imp.Ex.Ci.Sa (Nizza), Les Filmes Jacques
    Leitienne (Parigi)
Distribuzione in italiano: Medusa Film
Fotografia: Giancarlo Ferrando
Montaggio: Eugenio Alabiso, Daniele Alabiso
Effetti speciali: Paolo Ricci
Musiche: Fabio Frizzi
Scenografia: Antonello Geleng
Costumi: Antonello Geleng
Trucco: Franco Rufini, Giovanni Rufini
Interpreti e personaggi:
    Elvire Audray: Joan Mulligan Barnard
    Paolo Malco: Mike Grant
    Claudio Cassinelli: Archeologo Paolo Dameli
    Marilù Tolo: Contessa Maria Volumna
    Wandisa Guida: Heather Hull
    Gianfranco Barra: Commissario
    Franco Garofalo: Fotografo Gianni Andrucci
    Maurizio Mattioli: Masaccio
    Carlo Monni: Senaldi
    Anita Sagnotti Laurenzi: Prof.ssa Sorensen
    Jacques Stany: Nick Forte
    Luigi Rossi: Vecchio suonatore di aulos
    John Saxon: Arthur Barnard
    Van Johnson: Mulligan, padre di Joan
    Nazzareno Cardinali: Guardia del corpo della Contessa
    Angela Doria: Hilda
    Antonino Maimone: Boss a New York
    Fulvio Mingozzi: Ufficiale doganale
    Lucia Monaco: Julie
    Mario Rovelli (Novelli): Guadia del corpo della Contessa
    Gennarino Pappagalli: Archeologo
    Bruno Alias 
    Giuseppe Marrocco
    Mario Cecchi
    Bruno Rosa
    Ettore Martini
    Anna Maria Perego
Doppiatori originali:
    Paila Pavese: Joan Barnard
    Pino Colizzi: Paolo Dameli
    Sandro Iovino: Arthur Barnard
    Luciano De Ambrosis: padre di Joan, Mulligan
    Vittorio Stagni: Gianni Andrucci
Location: Volterra, Cerveteri, Formello, New York, R.P.A.
     Elios Studios di Roma

Trama: 
Joan, la bionda moglie dell'archeologo americano Arthur Barnard, ha le notti sconvolte da incubi atroci in cui assiste a sacrifici umani officiati dagli Etruschi in un'orrida grotta. Le modalità dell'offerta agli Dei Inferi sono terribili: il sacrificatore afferra il cranio della vittima e lo gira a 180 gradi, facendo sì che la faccia venga trovarsi proprio sopra alla parte posteriore della spina dorsale. Joan è scossa da premonizioni e teme per la vita del flaccido marito, impegnato in importanti scavi. A un certo punto l'uomo le telefona, cercando di dirle qualcosa, ma nel corso della chiamata viene ucciso. L'assassino parla in etrusco nella cornetta: "Ecn turce Šarún". Joan, sconvolta, decide di mettersi in viaggio per l'Italia, determinata a far luce sul mistero. Giunge in una Toscana molto diversa da quella che conosciamo, caratterizzata da fenomeni di vulcanismo, abitata da un'accozzaglia di truci banditi intabarrati e tombaroli. Ne sono certo, non è un frutto di qualche distorsione percettiva: questi manigoldi hanno un aspetto rignanesco! L'aristocrazia ha cognomi di origine etrusca: una tipica nobildonna è la contessa Maria Volumna. Alcuni cognomi dei violenti popolani sono invece di origine longobarda, come ad esempio Senaldi. La statuaria Joan nel corso delle sue indagini si imbatte in diversi personaggi. Incontra l'affascinante contessa Volumna, ma non riesce a ottenere dalla sua conoscenza alcun risultato utile. In bosco trova un vecchio suonatore di flauto doppio, che sa molte cose sugli antichi abitanti di quelle terre, da lui chiamati Raséni. Pian piano emerge la verità, che ha un sapore spiritico. Joan conosce la lingua etrusca senza mai aver compiuto alcuno studio, proprio perché è la reincarnazione di una sacerdotessa. Colpo di scena, non è una vera bionda, in realtà ha i capelli castani! Grazie al potere della reminiscenza l'ardimentosa eroina riesce a ritrovare la grotta che ha visto nei suoi sogni. L'anziano auleta si rivela essere proprio il sacrificatore che all'epoca le ha girato la testa fino a spezzarle il collo. A queste arcane rivelazioni si intrecciano vicende più prosaiche: si scopre che l'ingenuo Arthur nel corso dei sui scavi archeologici è rimasto coinvolto in un brutto affare coi gangster rignaneschi, che depredavano le tombe per poi nascondervi colossali quantità di letale polvere bianca (non certo borotalco o zucchero a velo, è ovvio). Il culmine si ha quando la protagonista raggiunge un luogo occulto, il Sancta Sanctorum degli Etruschi, in cui le stesse leggi della fisica sono violate! 
 
 
 
Recensione: 
Mi si perdonino i francesismi, ma ogni volta che guardo film come questo mi sento immerso in pieno nella stagione degli escrementi di celluloide, veri e propri ammassi di scorie espulsi dall'ano della senescente Settima Arte. Un ano che non è certo sensuale e desiderabile come quello di Rita Hayworth! Credo che non sia poi un caso se lo stesso regista abbia in seguito rinnegato la sua opera, motivando la sua ardua scelta con le seguenti parole: "<Il film> non ha aggiunto nulla alla mia carriera, nemmeno dal punto di vista economico". Detto questo, la pellicola di Martino è uscita dieci anni dopo il capostipite del giallo italiano archeologico, L'etrusco uccide ancora (Armando Crispino, 1972). Sembra quasi che le due opere in questione segnino l'inizio e la fine di un'epoca. In origine Martino intendeva dirigere una serie televisiva in ben otto parti, il cui titolo doveva essere Il mistero degli Etruschi, o in alternativa Lo scorpione a due code. Negli archivi SIAE si trovano due diverse sceneggiature, una di Ernesto Gastaldi e l'altra di Dardano Sacchetti, entrambe risalenti al 1982. Il nome del produttore cinematografico francese, Jacques Leitienne, compare per ragioni legate a un'asfissiante burocrazia. Un dettaglio tecnico: nonostante l'opera martiniana sia stata concepita per essere trasmessa in televisione, è stata girata in 16mm e montata come se dovesse essere proiettata nei cinematografi. La fonte di queste informazioni è Roberto Curti, Italian Gothic Horror Films, 1980-1989, McFarland, 2019. Gli sviluppi successivi sono stati prettamente berlusconiani: il film, acquistato da Reteitalia, è stato trasformato in una miniserie TV per essere trasmesso in due puntate su Canale 5. Questo riarrangiamento, firmato da Claudio Lattanzi, non è tuttavia mai stato trasmesso, né sulle reti di Berlusconi né altrove. In buona sostanza, Assassinio al cimitero etrusco è un pastone acido che mescola elementi polizieschi e horror come se fosse stato vomitato da un gigante ingozzatosi di trash. Non ha affatto goduto dello stato di cult raggiunto dal film di Crispino, pur dando un contributo all'immagine degli Etruschi sepolcrali, lugubri, posseduti dall'ossessione del proprio annientamento nell'Ade. In realtà non tutto è da buttare, qualche trovata buona c'è: ad esempio il senso della putrefazione immanente connessa alla reminiscenza, un orrore ontologico che prende forma tramite i cagnotti. Molto bella la musica, composta da Fabio Frizzi, storico collaboratore di Lucio Fulci: a cui si deve la colonna sonora di film horror fulciani come Zombi 2 (1979) Paura nella città dei morti viventi (1980), ... e tu vivrai nel terrore! - L'aldilà (1981).
 
 
Il fantaetrusco di Gastaldi-Chianetta  

La caratteristica precipua della lingua etrusca ricostruita dagli sceneggiatori è la trasformazione delle consonanti velari in palatali davanti alle vocali anteriori -e-, -i-. Così turce "donò", che i Rasna pronunciavano /'turke/, suona invece /'turtʃe/, con la cosiddetta "c di cena". Allo stesso modo muluvanice "donò, diede in dono" viene pronunciato /mulu'vanitʃe/. Manca la benché minima nozione di grammatica. Locuzioni corrette come tular Rasnal "i confini dell'Etruria" sono ripetute durante il rito che si vede all'inizio del film, soltanto perché sono prese di peso dalle attestazioni reali e incorporate nella trama. Quando si tratta di costruire una frasettina, tutto è sbagliato: non viene nemmeno compreso il concetto di declinazione. Il capolavoro di Gastaldi-Chianetta è la frase "Ecn turce Šarún", che dovrebbe significare "Egli è stato dato a Šarún". Qualcosa non quadra: il verbo è attivo, il pronome ecn è chiaramente all'accusativo: Šarún non è il destinatario, bensì il soggetto. La frase dovrebbe quindi tradursi con "Šarun lo ha dato", che significa poco. Se ecn "lui" (complemento oggetto) e turce "ha dato" sono ineccepibili (a parte la pronuncia della forma verbale), dovremmo domandarci cosa possa essere Šarún, con quell'accento anomalo sull'ultima sillaba. Stando all'intenzione degli sceneggiatori, Šarún sarebbe una sorta di divinità ctonia dell'Etruria, che presiede ai fenomeni vulcanici. Non stupisce che non risultino corrispondenze né attestazioni, trattandosi di un'invenzione. Se gli sceneggiatori fossero stati furbi, avrebbero usato il nome estrusco di Efesto, Šeθlans, oppure avrebbero formato un teonimo dalla ben nota parola verse "fuoco", qualcosa come Versens (non attestato). Al pubblico le parole con troppe consonanti piacciono poco. Perché una parola sconosciuta che finisce con una o più consonanti possa colpire l'immaginazione, è preferibile che l'accento cada sull'ultima sillaba. Ecco com'è nato l'improbabile Šarún. Con tutti i nomi etruschi di donna che si conoscono, bellissimi e affascinanti, la sacerdotessa ne ha ricevuto uno tutto sommato banale e inverosimile: Cere. Com'è ovvio attendersi è pronunciato come in italiano. Si tratta chiaramente del nome dell'antica città di Cere, in latino Caere, attestato in etrusco come Caisra, Cisra, Ceizr-, Χaire-. Che altro dobbiamo dire? Considerato che la lingua etrusca non ha avuto un'immensa fortuna cinematografica, dovremmo accontentarci e non pretendere troppo. Magari in qualche spettatore incuriosito si sarà acceso il nobile interesse per l'etruscologia!

 
Il mito dei Criptoetruschi  
 
Pellicole di etruscheria spicciola come quella di Martino hanno contribuito a diffondere il mito dei Criptoetruschi, ossia l'idea che da qualche parte, nei distretti più impervi e selvosi della Toscana, sopravvivano ancora oggi in un segreto catacombale persone continuatrici della lingua e della religione etrusca. Ne avevo già parlato qualche anno fa in un mio brevissimo contributo pubblicato su questo stesso portale: 
 

In un paese, credo fosse nel Casentino, si era diffusa una favola. I suoi abitanti si reputavano genuini discendenti degli Etruschi, mantenutisi nei secoli senza senza alcuna contaminazione esterna. In un articolo su una rivista c'erano anche fotografie di queste persone, di cui ricordo le sembianze oltremodo grottesche - cosa che confermerebbe la presenza di una lunga tradizione endogamica. Lovecraft avrebbe di certo preso spunto da queste cose per uno sconvolgente racconto su qualche antichissimo orrore dalla Toscana. Il problema è che la rivista in questione era ben lungi dall'essere fidedigna; con ogni probabilità si trattava di una squallida trovata per attrarre turisti in un borgo remoto e non certo prospero. In ogni caso, non c'è stata alcuna rivendicazione di una pretesa conoscenza della lingua etrusca o della pratica di sacrifici pagani. Come ho già fatto notare nel 2014, si trovano alcuni individui col cognome Rasna in un'area montuosa a nord di Firenze. 
 
Elementi  di fantafisica etrusca 
 
L'accesso dantesco al Sancta Sanctorum degli Etruschi emerge a causa dei sommovimenti di Šarún. Joan vi si inoltra, arrivando a un luogo che potrebbe essere uscito dalla fantasia di H.R. Giger o di Ridley Scott, tanto ricorda il pianeta degli Ingegneri del film Alien: Covenant (2012). Si vedono alcune teste gigantesche scolpite nella nuda roccia, massi a cui sono state date sembianze umanoidi. Le loro proporzioni ciclopiche opprimono e schiacciano chiunque si trovi in quel tempio, illuminato da un enorme diamante appeso al soffitto come un sole artificiale. Arriva anche Paolo Dameli, l'archeologo, che si rivela corrotto e pericolosissimo. Anzi, è proprio l'assassino che ha ucciso Arthur, il marito di Joan. Ecco il surreale dialogo che si svolge nell'arcana cripta:
 
Joan: "L'ultimo grande potere: la Sfera Cosmica, l'Anti-Universo. La Spirale del Tempo."
Paolo: "Joan, dov'è il tesoro? Joan, Joan, il posto è questo, tu l'hai trovato. Il sacro tesoro della Dodecapoli. Dimmi dov'è il tesoro!"
Joan: "I ciechi non sanno che la luce esiste, mostrargliela sarebbe inutile, non la vedrebbero. Paolo, il tesoro è là. Là c'è la Fine e l'Inizio del Tempo e la materia ha il segno contrario e opposto."
Paolo: "Sembra un grosso diamante. Se lo fosse varrebbe più di mille Kon-ai-Noor (sic!). Se riesco..."
Joan: "Non lo toccare, Paolo! Non lo toccare! Antimateria! Antigravità! Se lo tocchi, Paolo, se tu lo tocchi!" 
(- Paolo rimane colpito da una forte scossa, accompagnata da un rumore simile a quello di un gigantesco flipper! -)
Joan: "Il cristallo è completamente avvolto dal vuoto, è protetto da una forza che è contraria alla forza di gravità e respinge via l'aria. Altrimenti non potrebbe esistere, si sarebbe dissolto all'inizio del Tempo. La materia e l'antimateria non potrebbero coesistere se non ci fossero anche la gravità e l'antigravità. Solo così l'Universo può essere."
Paolo: "Da quanto tempo sai tutto questo?"
Joan: "È come se voci antiche mi parlassero dentro. Andiamo via da qui! Qui tutto appartiene agli Immortali!" 
Paolo: "Allora sei tu l'ultima degli Immortali. Sei tu. Adesso mi dirai dov'è il tesoro! E mi dirai la verità questa volta! Altrimenti... ho già spezzato il collo a molta gente e potrei farlo anche a te!"
Joan: "Allora sei tu che hai ucciso Arthur e tutti gli altri!" 
Paolo: "Certo. A volte con l'aiuto di quelli che volevano la droga."
Joan: "E adesso tu vuoi uccidere anche me." 
Paolo: "Se tu sei veramente immortale, non dovresti avere nessuna paura, non credi?"
Joan: "Io sono la Guardiana del Sacro Tesoro!" 
Paolo: "E se non mi dici subito dove si trova, resterai qui per il resto dell'Eternità!"
Joan (esagitata): "L'ultima conoscenza è il Tesoro degli Dei!!"   
 
A questo punto arriva il Deus ex Machina, che salva una situazione catastrofica. Collega di Joan e agente segreto in incognito, Mike Grant fa la sua irruzione, vincendo il malvagio e riportando l'ordine. Direi che la lunga digressione fantafisica della sacerdotessa etrusca reincarnata non era proprio necessaria. 

Dameli o Domelli? 

L'archeologo corrotto si presenta come Paolo Dameli, ma in diversi siti del Web il suo nominativo è scritto Paolo Domelli. Probabilmente Domelli, pronunciato Dameli nella versione in inglese, è stato mantenuto anche nella versione in italiano con la pronuncia americanizzata.
 
Scene memorabili 
 
I cagnotti che escono dagli occhi di un'antica scultura raffigurante un auleta. Pullulano, spingono, trascinano con sé anche alcune ributtanti pupe rossicce, cadono in massa e si spargono dovunque, contorcendosi.
 
Mike Grant che emerge dagli Inferi, simile a uno zombie avvolto dai gas sulfurei del vulcanismo, procedendo in modo retrogrado come un gambero, guidato dalla testa girata sulla schiena.   
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Arrivati a questo punto, non resta che riportare alcuni significativi estratti davinottiani.  
 

Cotola ha scritto: 
 
"Desolante thriller di Martino (che si firma con uno pseudonimo) che non provoca il benché minimo spavento nello spettatore e non avvince per nulla. Che dire poi della pasticciatissima sceneggiatura che serve un finale a dir poco delirante e ridicolo? Meglio stendere un velo pietoso e passare avanti" 
 
Deepred89 ha scritto:  
 
"Mediocre film di Sergio Martino che combina con scarsi risultati thriller, horror e poliziesco. La regia è insolitamente rozza e la sceneggiatura arranca stancamente senza decidere che strada prendere, fino ad un finale con uno dei colpi di scena più ridicoli di tutto l'horror made in Italy. Cast interessante sfruttato nel peggiore dei modi e penalizzato da un doppiaggio indegno. Insufficiente." 
 
Puppigallo ha scritto:
 
"Pagliacciata horror poliziesca con attori dati in pasto a un copione ridicolo, che li trasforma inevitabilmente in macchiette viventi, credibili come l'esistenza di un politico onesto. Se non altro, si sorride quando subentrano le visioni della bionda e, soprattutto quando viene recitata la "raggelante" frase, o formula antica "Echen turce sciarù!". Da non dormire la notte...E non dimentichiamo le uccisioni tramite rottura del collo "Crac!" ed è tutto finito (gli etruschi erano per la rapidità). La colonna sonora è riciclata da vari zombimovie, mentre il resto è O.T. (Original Trash)."
 
Markus ha scritto:
 
"Tra le grotte degli etruschi con qualche rancore di troppo trascinato ai nostri giorni e la modernissima New York si consuma uno pseudo-horror con venature poliziesche. Sergio Martino dirige senza nerbo un film che ha la pecca maggiore nel non suscitare la benché minima paura. Resta però un certo desiderio di vedere come andrà a finire e un secondo tempo stranamente più avvincente del primo, quasi a voler tenere le scene "migliori" per il gran finale. Si nota una certa povertà di mezzi (statue di evidente cartongesso, attori perlopiù mediocri)."

martedì 10 novembre 2020

 
L'ETRUSCO UCCIDE ANCORA 
 
Paese di produzione: Italia, Germania, Jugoslavia
Anno: 1972
Durata: 105
Genere: Thriller, giallo, orrore
Regia: Armando Crispino
Soggetto: Lucio Battistrada, Armando Crispino, Bryan Edgar
     Wallace (storia breve), Lutz Eisholz
Sceneggiatura: Lucio Battistrada, Armando Crispino 
Produttore: Artur Brauner
Casa di produzione: Mondial Te.Fi, Inex Film, CCC
      Filmkunst
Distribuzione in italiano: Titanus
Fotografia: Erico Menczer
Montaggio: Alberto Gallitti
Effetti speciali: Armando Grilli
Musiche: Riz Ortolani
Scenografia: Giantito Burchiellaro
Costumi: Luca Sabatelli
Trucco: Nilo Jacoponi
Interpreti e personaggi
    Alex Cord: Jason Porter
    Samantha Eggar: Myra Shelton
    John Marley: Nikos Samarakis
    Enzo Tarascio: Commissario Giuranna
    Horst Frank: Stephen
    Enzo Cerusico: Alberto
    Carlo De Mejo: Igor Samarakis
    Nadja Tiller: Leni Schongauer Samarakis
    Daniela Surina: Irene
    Vladan Holec (Vladan Milasinovic): Otello, il custode
    Christiane von Blank: Velia
    Mario Maranzana: Brigadiere Vitanza
    Rodolfo Bigotti: Il motociclista
    Wendy D'Olive: Giselle
    Pier Luigi D'Orazio: Minelli
    Ivan Pavicevac: Poliziotto
    Cinzia Bruno: La ragazza del motociclista
    Carla Brait: Una danzatrice
    Carla Mancini
    Rosita Toros
    Alessandro Angeloni
    Pietro Fumelli
Doppiatori italiani
    Michele Kalamera: Jason Porter
    Lorenza Biella: Myra
    Roberto Villa: Nikos Samarakis
    Carlo Valli: Igor Samarakis
    Luciano Melani: Otello 
Traduzioni del titolo: 
    Tedesco: Das Geheimnis des Gelben Grabes
           (lett. Il segreto  della tomba gialla)
    Inglese: The Dead Are Alive (lett. I Morti sono vivi)
    Spagnolo: El dios de la muerte asesina otra vez
 
Trama: 
Jason Porter è un archeologo americano biondiccio ad alta gradazione alcolica, che quindi mi è naturalmente simpatico. Lavora agli scavi di una necropoli etrusca a Cerveteri, dove sono state scoperte da poco alcune tombe. Servendosi di una sonda, Porter riesce a fotografare l'interno di un grande ambiente sepolcrale, scoprendovi un affresco che raffigura il Demone della Morte, Tuchulcha, intento ad uccidere con una gigantesca mazza una coppia di giovani amanti. Presto lo studioso si rende conto di aver subìto un grave furto: la sua preziosa sonda gli è stata sottratta! Come se Tuchulcha si fosse materializzato in pieno XX secolo per un'insondabile maledizione, inizia una serie di uccisioni di coppiette in un'area che va dalla zona degli scavi a Spoleto. I corpi delle vittime sono ritrovati col cranio sfondato, disposti come per un sacrificio ai Demoni. Siccome l'arma del delitto è proprio la sonda sottratta, ecco che il corrotto e incompetente commissario Giuranna nutre il sospetto che proprio Porter possa essere l'autore dei delitti. Non sorprende che in una Toscana rignanesca e paccianesca, mostrata come un luogo più sudicio e turpe della fuliggine, qualsiasi forestiero un po' strano sia in automatico accusato delle peggiori scelleratezze, mentre le azioni dei banditi passano in cavalleria. La polizia di Giuranna, losca e brutale, sembra un'associazione di camorristi. In realtà si capisce presto che la situazione è più complessa di quanto non sembri a prima vista. Il proprietario dei terreni in cui sorge la necropoli è il famoso direttore di orchestra Nikos Samarakis, un vecchio coriaceo che con Porter ha qualcosa a che fare, avendo sposato la sua ex moglie Myra. La bellissima donna fulva aveva lasciato l'archeologo perché non ne sopportava la propensione ad alcolizzarsi e pretendeva di farlo cambiare, di renderlo un salutista. Dal canto suo, pur essendo il matrimonio finito, Porter non si rassegna, è ancora ossessionato da Myra e vorrebbe riconquistarla, arrivando in un'occasione persino a conati di violenza. Oggi, imperversando la narrazione ideologica boldrinesca, sarebbe considerato uno stalker per via della sua insistenza, quindi anche più deprecabile del serial killer. Prima che l'Ispettore Giuranna possa uscire dal buio in cui brancola, gli eventi precipitano e il moderno Tuchulcha si rivela essere qualcuno che è sempre stato vicino a Myra: il figlio pazzo di Nikos Samarakis, Igor. Scoperto e affrontato in un'epica tenzone dal coraggioso Porter, troverà la sua Nemesi, con lo stomaco perforato dall'acuminata scheggia di uno specchio infranto (e non di marmo, come pure si legge nel Web).  

 
Recensione:  
Questo film di Crispino è ricordato come un importante giallo all'italiana che dato origine del filone archeologico, fiorito negli anni '70. È stato anche tra i primi, forse addirittura il primo, ad aver tentato importanti contaminazioni con il genere horror. Senza dubbio potrebbe essere definito un capolavoro, ma del cinema grottesco, analogamente a perle radiose come Non si sevizia un paperino (Lucio Fulci, 1972), quello in cui la Bouchet interpretava il ruolo inquietante di una pedofila. Eppure c'è sempre qualcosa di interessante in questo genere di pellicole, che mi diverto a recuperare per immergermi in un mondo perduto. Qui l'antropologia criminale si fonde con una visione distorta e incubica di un'antica civiltà, da lungo tempo estinta. Non esistono realmente gli Etruschi, esistono i loro fantasmi, dotati di forza propria e in grado di schiacciare l'individuo, di annichilirlo.    

Così ebbe a dire lo stesso regista, oppresso e sconvolto dalla percezione nitida delle oscurissime forze soprannaturali emanate dai luoghi degli Etruschi: 

"Il film è nato da una visita occasionale alla necropoli di Cerveteri. Ho provato una sensazione di disagio, che di solito si prova di fronte a qualcosa che non si conosce."
(Armando Crispino) 
 
Certo, se guardiamo L'etrusco uccide ancora, a distanza di tanti anni ci appare stonato, irreale, a dir poco fragile, quasi senza traccia di coerenza interna. I personaggi non sempre sono convincenti. Talvolta sembrano appena abbozzati. Tra i più degni di attenzione c'è la figura del regista rossiccio e sodomita passivo, chiara allusione a un'importante personalità il cui nome mi astengo dal menzionare, anche se ormai da tempo appartiene ai Quondam. Non ci è difficile intuire quale sia la principale occupazione di questo bizzarro individuo: fellare gli energumeni di cui si circonda! In una sequenza lecca languidamente un gelato, pensando di dedicare le proprie attenzioni al solco balano-prepuziale di un fallo eretto. Vediamo poi Nikos Samarakis, ritratto come un turpe vecchio prostatico, che ha sposato Myra per farsi titillare con la lingua il perineo e lo sbocco naturale del "tristo sacco che merda fa di ciò che si trangugia" (cit.). Geloso e vendicativo, violento e sadiano, quest'uomo malvissuto fa una brutta fine: schiatta per un arresto cardiaco provocato ad arte, liberando l'infelice consorte dalla schiavitù e permettendole di ritornare assieme all'archeologo collerico. Poi c'è Leni Schongauer Samarakis, l'ex moglie del vetusto direttore d'orchestra. All'apparenza è una donna splendida e affascinante, di classe. Nessuno nota qualcosa di disgustoso in lei. Eppure i suoi capelli, nerissimi e pettinati a caschetto, altro non sono che una parrucca, indossata per nascondere le piaghe ripugnanti che le ricoprono il cuoio capelluto. La muove l'odio verso l'ex marito, colpevole di quelle oscene ustioni craniche che l'hanno rovinata per sempre. Questo microcosmo fosco e deforme è accompagnato da una bellissima colonna sonora, densa e penetrante, opera di Riz Ortolani. Alcune scene erotiche sono interessanti. 

Dario Argento sul film di Crispino 
 
Riporto queste parole di Dario Argento, che saranno certo notevoli e molto interessanti, per chi ha in alta stima questo genere di critica: 

"Il giallo italiano non si sa esattamente quando nacque. Uno dei primi film è quello di Camillo Mastrocinque realizzato nel 1948, L'uomo dal guanto grigio, un giallo tipicamente inglese. Nel 1959 Pietro Germi realizzò un giallo stupendo: Un maledetto imbroglio, tratto dal romanzo di Emilio Gadda. Segue La commare secca (1962) di Bernardo Bertolucci, quindi due film di Mario Bava, molto belli e interessanti: La ragazza che sapeva troppo e Sei donne per l'assassino. C'è stato un periodo di interregno, sinché sono usciti i miei film (L'uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code) e da allora c'è stato un uragano di imitazioni, sempre con gli animali nel titolo: la farfalla, la lucertola - e così via - che portarono il numero di gialli italiani a circa 200 in pochi anni. Poi, fortunatamente, questo uragano si fermò."
(Dario Argento) 

Mi rammarico di non avere una cultura cinematografica sufficiente ad apprezzare appieno questo torrente di citazioni. Ciò che so del cinema e della sua storia lo accumulo lentamente, film dopo film, recensione dopo recensione. In altre parole, non sono un adepto della religione dei Citazionisti Estremi. Comprendo però l'allusione alla cosiddetta "trilogia zoonomica" di Dario Argento, costituita oltre che da L'uccello dalle piume di cristallo (1970) e da Il gatto a nove code (1971) anche da 4 mosche di velluto grigio (1971). Crispino doveva essere consapevole del problema. Vediamo infatti Otello di Rignano, il custode della necropoli, che si diverte a bruciare animaletti come ragni e locuste, a quanto pare proprio come mezzo simbolico di insurrezione contro la dittatura della "trilogia zoonomica" e delle infinite imitazioni a cui diede origine (si parla addirittura di "generazione di un filone"). Il bellimbusto si accende una sigaretta e col fiammifero cerca di ustionare il pingue addome di esemplare di un ragno vespa (Argiope bruennichi), senza peraltro riuscire ad arrecargli gravi danni. Gode ad infliggere dolore, i suoi occhi sono illuminati dalla luce del sadismo. In realtà sembra essere stato proprio L'etrusco uccide ancora, un giallo di matrice argentiana, ad avere a sua volta influenzato lo stesso Argento, ispirandogli il motivo centrale di Profondo Rosso (1975), quello del trauma infantile di origine sessuale. Eppure pochi sembrano ricordare che proprio in Profondo Rosso c'è una scena di violenza estrema su una lucertola, che viene seviziata con uno spillo da una bambina dai capelli rossi come il fuoco, morbosa e sadica. Quindi, stando alla critica, cosa dovremmo dire? Che Dario Argento ha voluto protestare contro la sua stessa "trilogia zoonomica"? Queste tesi non mi paiono il prodotto di menti lucide.  
 

Trasmigrazioni spiritiche degli Etruschi 

Un bambino è rimasto sconvolto dall'attività sessuale della madre, che è stata scoperta dal cornuto e ha rimediato un'orrida ustione al cranio. Così il giovane cresce odiando ogni in modo viscerale ogni manifestazione della sessalità, finché la tensione insopportabile lo spinge ad uccidere coppiette il cui comportamento gli ricorda il trauma subito. Sviluppa una sua inquietante ritualità, che ha tutti i caratteri dell'ossessione. Come avviene questo passaggio? Cosa lo spinge a un certo punto a tradurre le sue fantasie in azione? Il cambiamento avviene tramite la visione dell'affresco etrusco in cui Tuchulcha ammazza a colpi di clava gli amanti. Ecco che ha luogo una trasmigrazione, a prima vista improbabile: Tuchulcha possiede il ragazzo e ne fa un omicida seriale. L'ossessione diviene azione acquisendo un carattere etrusco, pur mantenendo elementi moderni, come l'uso del Requiem di Verdi e delle scarpette rosse, riconducibili alle memorie dell'assassino. Non si ha quindi una trasmissione culturale di elementi etruschi sopravvissuti in qualche modo al trascorrere dei secoli, come in altri film, bensì un passaggio diretto, in cui la visione di un antico dipinto funge da catalizzatore. Questa trasmigrazione ha l'ontologia della possessione demoniaca: uno spirito che aleggia nell'aria entra nel corpo della vittima, utilizzandolo per muoversi ed operare nel mondo. L'annientamento di giovani vite lo sostenta e lo rafforza, proprio come il sangue offerto da Odisseo alle Ombre dell'Ade le rende dense, consapevoli, memori del proprio passato. Quando l'essenza di Tuchulcha abbandona il posseduto, su questi cade all'improvviso tutto l'immane peso delle atrocità compiute, lasciandogli come unica via di uscita il suicidio!  

Etimologia di Tuchulcha 

Raffigurato nella Tomba dell'Orco, Tuchulcha è ritratto con un aspetto ben più orribile di quello mostrato da Crispino: è un demone alato, con orecchie d'asino, becco da avvoltoio e vipere che gli escono dalle chiome; la sua pelle è giallastra e in mano tiene lunghi serpenti barbuti. Mi inoltro in alcune considerazioni sull'etimologia del nome. Nel Liber Linteus esiste la parola tuχlac, il cui significato è verosimilmente "mortale, funubre". La terminazione -c è un tipico suffisso aggettivale: la radice è tuχla- e doveva esprimere il significato di "morte", "lutto", distruzione". Con un suffisso -χa ecco formato il nome del Demone della Morte, Tuχulχa. Questo suffisso si trova anche in altri casi e doveva servire a formare sostantivi concreti. In un'iscrizione (REE 55 n91) abbiamo ali-χa con il significato di "dono", dal verbo al- "dare". Nel Liber Linteus abbiamo siml-χa, formato in modo simile a Tuχul-χa. Peccato che la radice siml- sia tuttora oscura e non si sia al momento in grado di specificarle il significato. Questo suffisso -χa deve essere nettamente distinto dal pronome ca "questo; egli": non è pensabile allo stato attuale delle conoscenze poter scambiare liberamente le consonanti occlusive con le aspirate, come tendeva a fare in modo ingenuo Pallottino. Nel film di Crispino gli attori pronunciano /tu'kulka/, con l'accento sulla seconda sillaba e la consonante /k/ non aspirata. Una chiara pronuncia ortografica. Si hanno prove del fatto che in etrusco l'accento cadeva sulla prima sillaba delle parole. La pronuncia doveva essere /'tukhulkha/, con l'accento sulla prima sillaba e la consonante /kh/ fortemente aspirata. Si capisce che la vera pronuncia etrusca sarebbe stata difficile, però immaginatevi l'effetto straniante che avrebbe avuto se fosse stata adottata in un giallo-horror italiano! 
 
Citazioni: 
 
"Figli di gran puttana, 'sti etruschi! Loro, sì, sapevano vivere, non si facevano mancare mai niente: mangiare come maiali, bere come cammelli e a letto come mandrilli!"
(Jason Porter) 
 
"Sembra un termitaio ma non lo è. Là sotto ci sono i miei amici etruschi, gli unici veri amici che ho al mondo. Non vedo l'ora di scendere laggiù tra quelle tombe per sentirmi un pò vivo. Sì, sono morti più di duemila anni fa secondo l'anagrafe della storia, ma per me sono più vivi di questa specie di robot che manovra questa trappola volante."
(Jason Porter)  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web  
 
Sul sito del Davinotti si leggono moltissimi interventi. Ne riporto alcuni particolarmente significativi. 

 
Rebis ha scritto:

"Melodramma borghese camuffato da thriller esoterico, o viceversa… Crispino è più interessato a fomentarne il volume che la sostanza e informa il narrato in un'architettura fatta di stacchi repentini al montaggio, flashback e flashforward, immagini subliminali: ma lo sprezzo per linearità crea più inverosimiglianza che disorientamento, e il linguaggio avanguardista si fa concretamente enfatico, isterico quando non proprio ridicolo. Samantha Eggar sfoggia in ogni inquadratura un'acconciatura diversa: poteva essere valorizzata con maggiore sottigliezza. Saccheggiato da Dario Argento. Bel finale." 
 
Homesick ha scritto:

"Personale contributo di Crispino al giallo italiano, che prende le distanze dagli imperanti paradigmi di Argento - anzi, arriva a dettarne coordinate future, quali la rappresentazione del trauma infantile accompagnato dalla musica come in Profondo rosso e legato ad un paio di scarpe femminili come in Tenebre - e ammanta del fascino arcano della civiltà etrusca e delle sue necropoli. Molto feroce e sanguinario il primo delitto; personaggi adeguatamente bifronti. Rilevante e insolito per il genere l'inseguimento in stile poliziesco tra le anguste vie.
MEMORABILE: Il primo omicidio con la sonda per fotografare; gli affreschi di Tuchulcha; il confronto finale nella chiesa."

Rufus ha scritto:

"L'ambientazione nella necropoli etrusca è suggestiva (anche il tutto si limita a una superficiale fascinazione), la storia ben congegnata e adeguatamente morbosa; e Crispino sa dirigere i propri attori (bravi Marley, Frank e Tarascio) con l'eccezione del buon Cord, costantemente sopra le righe. Alcuni spunti (l'ossessivo Requiem verdiano, le scarpette rosse) faranno scuola. Peccato per alcune (brevi, ma fastidiose) cadute nella melassa (la liaison Cord-Eggar)." 
 
Markus ha scritto:

"Il grandioso titolo e la bella locandina raffigurante un ipotetico demonio etrusco lasciavan presagire un thriller straordinario, in realtà Crispino non sa gestire l'occasione: il film (tolti pochissimi momenti di tensione che durano pochi secondi) è di una noia mortale e fatica a decollare per la mancanza di ritmo, di colpi di scena che dovrebbero esserci e invece tardano ad arrivare. Lo spettatore è costretto a sorbirsi dialoghi logorroici e passaggi privi di interesse. Resta la piacevole ambientazione nel centro Italia. Mediocre."

sabato 2 maggio 2020


DONNIE DARKO

Paese di produzione: Stati Uniti d'America 
Anno: 2001 
Lingua:
Inglese 

Durata:
113 min 

               133 min (director's cut)

Rapporto:
2,35:1

Genere:
Fantascienza, thriller, drammatico

Sottogenere:
Viaggi nel tempo, paradossi temporali 
Regia:
Richard Kelly 

Soggetto:
Richard Kelly 

Sceneggiatura:
Richard Kelly

Produttore:
Adam Fields, Thomas Hayslip, Nancy Juvonen, 

         Sean McKittrick 

Produttore esecutivo:
Chris J. Ball, Drew Barrymore, Casey 

         La Scala, Hunt Lowry, Aaron Ryder, William Tyrer

Distribuzione in italiano:
Moviemax

Fotografia:
Steven Poster
Montaggio: Sam Bauer, Eric Strand
Effetti speciali:
Lorraine Fadden, Scott Garcia

Musiche:
Michael Andrews

Scenografia:
Alec Hammond

Costumi:
April Ferry

Trucco:
Merribelle Anderson, Lynn Barber, Dorinda Carey, 

     Leslie Devlin, Kathleen Freeman-Smith, Kimberly 
     Greene,
Isabel Harkins, Cammy R. Langer, Lori McCoy-
     Bell,
Barbara Olvera, Thomas E. Surprenant, Dale Brady 
Interpreti e personaggi:

    Jake Gyllenhaal: Donnie Darko 

    Jena Malone: Gretchen Ross 

    Drew Barrymore: Karen Pomeroy 

    Mary McDonnell: Rose Darko 

    Maggie Gyllenhaal: Elizabeth Darko 

    Daveigh Chase: Samantha Darko 

    Holmes Osborne: Eddie Darko 

    Katharine Ross: Dott.ssa Lilian Thurman 

    Patrick Swayze: Jim Cunningham, il pedofilo 

    Noah Wyle: Prof. Kenneth Monnitoff 

    James Duval: Frank 

    Arthur Taxier: Dott. Fisher 

    David St. James: Bob Garland 

    Jazzie Mahannah: Joanie James 

    Jolene Purdy: Cherita Chen 

    Stuart Stone: Ronald Fisher 

    Gary Lundy: Sean Smith 

    Ashley Tisdale: Kim 

    Beth Grant: Kitty Farmer 

    Seth Rogen: Ricky Danforth

    Patience Cleveland: Roberta Sparrow ("Nonna Morte") 
Doppiatori italiani: 

    Stefano Crescentini: Donnie Darko 

    Alessia Amendola: Gretchen Ross 

    Chiara Colizzi: Karen Pomeroy 

    Angiola Baggi: Rose Darko 

    Domitilla D'Amico: Elizabeth Darko 

    Veronica Puccio: Samantha Darko 

    Stefano De Sando: Eddie Darko 

    Maria Pia Di Meo: Dott.ssa Lilian Thurman 

    Roberto Pedicini: Jim Cunningham 

    Fabio Boccanera: Prof. Kenneth Monnitoff
Budget: 4,5 milioni di dollari US
Box office (mondiale): 7,5 milioni di dollari US
 
La famiglia Darko
Appartenza sociale: middle-class americana di periferia
Componenti: 
   Eddie Darko: il padre
   Rose Darko: la madre
   Elizabeth Darko: la figlia primogenita 
   Donnie Darko: il figlio secondogenito   
   Samantha Darko: la figlia minore 
 

Trama (un gigantesco spoiler!): 
Anno del Signore 1988. Middlesex, Virginia (US). Accade un evento inesplicabile: il motore di un aereo precipita dal cielo e si schianta sulla villetta della famiglia Darko, distruggendo la camera del secondogenito, Donnie, che tuttavia si salva, non essendo rincasato al momento della collisione. Donnie Darko è un ragazzo problematico, affetto da autismo e da sonnambulismo. Ha una diagnosi di schizofrenia e precedenti da piromane. Per questo è assistito da una psichiatra, che lo ha messo sotto cura farmacologica. La notte dello schianto era impegnato in una delle sue passeggiate notturne. Ignorando l'accaduto, si imbatte in un enigmatico personaggio travestito da spettrale coniglio dal volto scheletrico. Questo essere gli rivela la data esatta della Fine dei Tempi, a cui mancano esattamente 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi. Il giovane si risveglia spaesato in un campo da golf e si rende conto di avere scritta sul braccio la sequenza numerica dell'Apocalisse: 28:06:42:12. Gli eventi si intrecciano in una ragnatela difficilissima da districare. I genitori di Donnie sono coinvolti in un'indagine, dato che non si riesce a capire la genesi del disastro aereo. I motori sono censiti con la massima precisione, e quello caduto sulla dimora dei Darko non risulta mancare a nessuna compagnia aerea. Stressato dalla maestrina gnè gnè e dai compagni bulli, Donnie si vendica cadendo in un pericoloso stato di trance violenta, una sorta di berserksgangr che lo porta a devastare la scuola durante un'incursione notturna, rompendo una tubatura e allagandola, non prima di aver sparso dovunque le proprie feci. Così accade che l'insopportabile insegnante di educazione fisica, sospettando di lui, lo punisce portandolo di forza da un predicatore religioso, il biondiccio e robusto Jim Cunningham. Questi è l'odioso capo di una telesetta molto nociva, che mescola i contenuti biblici più fanatici a ogni sorta di baggianate New Age. Donnie indentifica subito questo sinistro figuro con l'Anticristo - e ben a ragione. Quando per puro caso trova il suo portafoglio per strada, anziché riportarglielo si reca nottetempo alla sua dimora e la incendia. Un'azione eroica e meritoria! I pompieri, nel tentativo di spegnere le fiamme, scoprono uno stanzino erotico pieno zeppo di immagini pedoporno e di strumenti di tortura: il predicatore è un autentico predatore sessuale, proprio come Jimmy Savile. Subito arrivano i poliziotti, che lo conducono in carcere. Nel frattempo il ragazzo schizo-autistico è afflitto dalle continue visite del fantasma-coniglio, che dice di chiamarsi Frank. Turbato da queste apparizioni, descrive ogni dettaglio alla sua psichiatra, una milf libidinosa e volitiva. Mentre tutto questo succede, ha anche il tempo di corteggiare Gretchen, la sua nuova compagna di classe. All'inizio è molto timido, ma presto riesce a far breccia nel cuore di lei e ottiene anche un certo successo. Una signora ultracentenaria, soprannominata "Nonna Morte" dai bulli, per poco non finisce stesa sotto un'auto. Più tardi Donnie scopre che quell'anziana stravagante, Roberta Sparrow, è una studiosa di viaggi nel tempo. Così le scrive una lettera e la infila nella casella della posta, da lei visitata in modo ossessivo a ogni ora del giorno e della notte, come se si aspettasse di ricevere una missiva cruciale. Il destino pian piano si definisce, stagliandosi come un mostruoso Kraken all'orizzonte. La sorella maggiore di Donnie, Elizabeth, deve recarsi all'Università di Larvard, pardon, Harvard, perché è stata ammessa in quel sacrario esclusivo di snob puzzolenti: i genitori la accompagnano in aereo, portando anche la figlia piccola, quella che non vede l'ora di sfornare figli. Mentre i suoi sono via, Donnie ha la bella idea di organizzare una sfrenata festa di Halloween, invitando anche la bella Gretchen, che diventa la sua ragazza e gli si concede, finendo deflorata. Le cose precipitano. Pensando di aver trovato il bandolo della matassa, il ragazzo smarrona biecamente. Interpreta male la scritta CELLAR DOOR "porta della cantina", lasciata dall'insegnante sulla lavagna, credendo che sia il segno di un destino fausto. Si reca dunque nella cantina della Sparrow assieme a Gretchen, ma vi trova soltanto i bulli, che vogliono distruggere le proprietà dell'anziana donna, animati dall'odio assoluto. Ne nasce uno scontro. Arriva una macchina, guidata dal fidanzato della nerd Elizabeth, che è vestito proprio come Frank, il coniglio spettrale. Gretchen finisce investita e muore stritolata dagli pneumatici, la schiena spezzata. Donnie si vendica sparando al fidanzato-coniglio della sorella e lo colpisce in un occhio, mentre il Doppelgänger, il Frank fantasmatico, osserva la scena da un ripiano terroso. Si forma un mostruoso wormhole che divora l'aereo su cui viaggia la famiglia Darko, di ritorno da Larvard: il motore precipita proprio quando Donnie torna indietro nel passato e finisce nella propria camera, giusto in tempo per godersi la collisione, finendo ucciso sul colpo. La singolarità cosmica è cauterizzata, ma restano alcune incongruenze, tracce della linea temporale che si è appena chiusa. Così il predicatore pedopornografo Cunningham si sveglia nel cuore della notte in preda al terrore: ha sognato la scoperta dei suoi orrendi segreti. Donnie Darko è morto, la comunità è sconvolta dall'insondabile disastro aereo, ma Gretchen è viva e vegeta - oltre che vergine. Viaggia in bicicletta tra le villette borghesi, si chiede chi fosse il ragazzo perito nell'incidente, il cui sperma non conoscerà mai.
 
Citazioni:  

Rose: "Ma tu pensi che Dukakis proteggerà il Paese finché tu non sfornerai dei figli?"
Elizabeth: "Sì, certo!"
Samantha: "Io quando li sforno?"
Donnie: "Non prima delle mestruazioni!"

Donnie: "Perché indossi quello stupido costume da coniglio?
Frank: "Perché indossi quello stupido costume da uomo?" 

"Pensa se uno potesse tornare indietro nel tempo, prendere tutti i momenti neri e dolorosi e rimpiazzarli con qualcosa di meglio..."
(Gretchen Ross) 

 
Recensione:
Decisamente un film difficile, ma ricchissimo di spunti di riflessione sulla natura ultima delle cose. Quando lo vidi la prima volta, al cinema, mi piacque molto e ne fui affascinato. Alla seconda visione non resse, mi sembrò insopportabilmente noioso e a tratti quasi molesto. Non so spiegarmi il perché di questa dissonanza. Sono cambiato così tanto in così pochi anni? O forse il film che ho visto la prima volta nel frattempo è cambiato, come per uno strano paradosso temporale? Sono stato colpito da una moltitudine di dettagli che mi erano sfuggiti, a cui non avevo dato peso nel corso della prima visione. Nel Web si dice che tutti hanno la pretesa di aver capito la verità ultima su Donnie Darko; altri invece affermano che l'opera di Kelly va presa per quello che è. C'è poi chi stigmatizza le recensioni più lunghe di poche righe, bollandole come spoiler. Questa è una pretesa tirannica, che vuole far venir meno persino il diritto di discutere su un film, come se si fosse prigionieri di un campo di rieducazione nella Cina maoista. 
 
Distorsione e Oblio 
 
Oggi chi si ricorda di Michael Dukakis? Ogni volta che sento il suo nome, la mia mente richiama una stupida vignetta, credo fosse di Forattini, in cui George H.W. Bush si vantava di aver ottenuto la vittoria alle presidenziali facendo al suo avversario "du kakis così" (la battuta era accompagnata dal tipico gesto italico, quello testicolare). Dukakis, candidato democratico di origine greca, è già sprofondato nel mare entropico dell'Oblio, si è dissolto in pixel grigiastri. Anche il suo aspetto è cambiato. All'epoca somigliava un po' a Paul Atreides, ma quando ho visto una sua foto non l'ho riconosciuto. Passando attraverso una serie di percezioni distorte, la mia memoria lo ha quasi rimosso, riducendolo a un mucchietto di informazioni degenerate. Il povero Dukakis ha raggiunto la stessa destinazione in cui prima o poi finiscono tutti: basti pensare che i Centennials ignorano persino chi è Pippo Baudo.  
 
Un'ontologia temporale labirintica 
 
L'ontologia temporale descritta da Kelly è eternista tensionale e a futuri ramificati. La vicenda narrata può sembrare un loop temporale, ma non è precisamente così. Quando Donnie finisce indietro nel tempo, non torna affatto al proprio cronotopo di partenza. Il wormhole, probabilmente generato da un'immensa massa stellare collassata, da una specie di buco nero senza orizzonte degli eventi, fa perdere di senso alla linea temporale in cui si manifesta. Oppure potremmo pensare che la distorsione spaziotemporale sia una specie di moltiplicatore quantistico, che genera un'infinità di copie del motore dell'aereo collassato, spedendone uno in ognuna delle linee temporali derivate. C'è da diventare matti a pensarci. Se si vogliono evitare lancinanti emicranie, è meglio lasciar scorrere la pellicola e accettarla per quello che è.   
 
Il Signore del Tempo 

Il mostruoso essere dal travestimento di coniglio cadaverico sembra qualcosa di soprannaturale, un Signore del Tempo giunto da un'altra dimensione. In realtà è proprio il fidanzato di Elizabeth Darko, colpito in un occhio da una pallottola sparata da Donnie per vendicare la morte di Gretchen. Inghiottito dal wormhole, Frank è sottratto alla sua morte biologica e mandato indietro nel flusso temporale. Diventa una specie di paradosso vivente, qualcosa che può eruttare in qualunque punto della linea di esistenza del protagonista, per affliggerlo e ricordargli l'intrinseca nullità dell'Essere. Sembra che Frank si sia svincolato dai limiti che legano i viventi alla Freccia del Tempo, come se potesse accedere a un universo infinito-dimensionale, orrendamente più vasto del nostro, che gli permette di vedere dettagli a noi inaccessibili, di accedere a una pura conoscenza di ciò che per noi è celato dall'impenetrabile caligine dell'Entropia. 
 
Graham Greene e i Distruttori  

L'insegnante Karen Pomeroy fa leggere ai suoi alunni un orrido racconto dello scrittore inglese Graham Greene, intitolato I distruttori (The Destroyers). L'opera parla di una banda di teppisti che si accaniscono contro un anziano, soprannominato "Vecchio Miseria" (Old Misery): finiscono col riuscire a penetrare nella sua casa e la allagano, distruggendola. Trovano un vaso pieno zeppo di soldi e li bruciano. La giovane insegnante chiede come mai i bulli abbiano fatto una cosa così insensata. Nessuno sa rispondere, tranne Donnie Darko, che sostiene quest'idea: i distruttori sarebbero ribelli contro l'ordine del mondo, veri anarchici che vogliono cambiare le cose. Niente di più lontano dalla realtà. I distruttori di cui ha scritto Greene agiscono così perché sono antisemiti! Il Vecchio Miseria è un ebreo, descritto come molto ricco e avaro. I suoi persecutori sono spinti da una sola cosa: un mortale odio antisemita. L'atto di dare alle fiamme i soldi esprime qualcosa di inumano, mostruoso, mai visto. Nemmeno le squadre d'assalto naziste lo facevano. I gerarchi della NSDAP non esitavano a requisire le ville degli ebrei e a farne le proprie dimore. Requisivano tutto: patrimoni, opere d'arte, persino le bottiglie di vino. Il Nazionalsocialismo metteva in pratica un principio: pecunia non olet. I vandali di Greene invece agiscono in modo diverso. Per loro pecunia olet. In sostanza rappresentano una delle massime manifestazioni di antisemitismo nella storia del genere umano. L'oro dei denti strappati ai deportati lo avrebbero gettato nelle latrine per spregio. Domanda: chi era realmente Graham Greene? 
 
Il dilemma dell'istigazione 
 
Donnie Darko allaga la scuola e porta devastazioni immani proprio dopo aver letto il racconto di Greene. Così sorge un dubbio nella fastidiosa insegnante di educazione fisica: pensa che proprio l'opera letta abbia istigato il vandalo, ossia che sussista un nesso causale tra la lettura e il danno arrecato alla scuola. È davvero così? Il problema si pone e merita una riflessione. Tempo fa mi sono domandato se fosse innocua una famosa canzone di Lucio Battisti, quella che invitava a "guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire".  Come ho espresso questo dubbio in un social, per poco non mi hanno linciato. "Interessante come un'omelia in una discoteca", mi ha detto qualcuno. Eppure mi capitò di ascoltare una storia terribile in una trasmissione, quando ancora ogni tanto accendevo la TV. Notte fonda. Una coppia di sposini percorreva in auto una stradina mal illuminata. L'indomani si sarebbero dovuti imbarcare per il viaggio di nozze. Hanno fatto un frontale con un'auto giudata da due rom minorenni, che viaggiavano a fari spenti. Gli sposini sono morti sul colpo. E se i ragazzi rom avessero ascoltato proprio la canzone di Battisti? Sono contario a qualsiasi censura e ritengo che l'arte debba essere senza limiti. Tuttavia il dilemma resta, non si risolve la questione darkiana del nesso causale tra fruizione di un'opera d'arte e azione.

Seth il bullo 
 
Trovo significativo il fatto che l'odioso bullo si chiami Seth. Certo, Seth è il nome di un figlio di Adamo, come riportato nelle Scritture. Seth è però anche il nome della divinità egiziana della distruzione. Credo che Kelly intendesse dare al bullo proprio il nome del demone furioso, di cui incarna tutte le caratteristiche. A riprova di ciò, il cognome del bullo, Devlin, richiama all'istante Devil "Diavolo". Perché Seth il Diavolo vuone annientare le proprietà della Sparrow? Proprio per lo stesso motivo per cui i Distruttori di cui ha scritto Greene hanno dato alle fiamme il denaro dell'anziano contro cui si accanivano. Che dire della Sparrow? È descritta come ricchissima, avara, geniale, studiosa della natura del tempo (è autrice del libro Philosophy of Time Travel). Vi dice nulla tutto questo? Semplice. Il regista-sceneggiatore vuole suggerire che la Sparrow fosse ebrea, proprio come il "Vecchio Miseria". Ha quindi aggiunto che la scienziata era stata una suora da giovane, anche se in seguito si era smonacata. Forse lo ha fatto per sviare lo spettatore, ma questa trovata significa ben poco. "Nonna Morte" da giovane si era convertita al cattolicesimo, anche se poi aveva abbandonato ogni religione per dedicarsi alla Scienza. Scorgo un vago riferimento ad Edith Stein, la filosofa che divenne cattolica, si fece suora e morì ad Auschwitz nel 1942. 
 
Il significato della "mascotte"   

Ebbene, la statua bronzea di un immenso cane molossoide, danneggiata da Donnie Darko con una scure, piantata nel bel mezzo del cranio, altro non è che un simulacro raffigurante il Creatore di questo Universo. Le genti lo riterrebbero blasfemo. Non è difficile capire la semantica: Dog "cane" è semplicemente God "Dio" letto al contrario. Il vocabolo appartiene al Backslang, l'inglese inverso. Erigendo il manufatto teriomorfo, le autorità scolastiche hanno voluto offrire un sacrificio al Malvagio Artefice. Potenza devastatrice ed anarchica, il giovane protagonista ha pensato bene di colpire l'idolo, anche se non è stato in grado di abbatterlo. Anche in questo caso, vediamo che Kelly delinea complessi labirinti di simbolismi esoterici, destinati a restare incomprensibili alla maggior parte degli spettatori.     

I Puffi!  

Il film di Kelly è anche un trattato di puffologia teorica e applicata. Questo dialogo, incentrato proprio sulle creaturine azzurrognole, è particolarmente significativo: 
 
Sean: "Birra e figa, io non chiedo altro. Dobbiamo solo trovarci una Puffetta per uno."
Ronald: "Una Puffetta?"
Sean: "Sì, una che te la dia... Qui a Middlesex se la tengono stretta. Ci vuole una bella biondina che allarghi le gambe ai tuoi ordini... Come fa Puffetta!"
Donnie: "Puffetta non scopa."
Sean: "È una cazzata. Puffetta si scopa tutti i Puffi: il Grande Puffo l'ha creata apposta! Stavano sempre a canna dritta gli altri Puffi!"
Ronald: "Noo, tutti tranne Vanitoso, che è omosessuale."
Sean: "D'accordo, sai che ti dico? Lei se li scopa mentre Vanitoso guarda, contento?"
Ronald: "Mmh... Sì, ma Grande Puffo? Anche lui si butta nel mucchio, o...?"
Sean: "Noo, lui sai che fa? Riprende le ammucchiate, poi in privato le rivede e si ammazza di seghe."
Donnie: "Prima di tutto, a creare Puffetta non è stato Grande Puffo, ma Gargamella. L'ha mandata dai Puffi come sua spia perché aveva intenzione di distruggere il villaggio, ma la "contagiosa bontà" della loro vita l'ha trasformata per sempre! Quanto all'ammucchiata stratosferica tra loro è... È irrealizzabile! I Puffi sono asessuati, non hanno neanche un organo riproduttivo sotto quei pantaloncini bianchi! Per questo è così illogico essere uno dei Puffi, perché...Che cazzo vivi a fare, se non hai il pisello?!"
Ronald: "Che palle, Donnie, perché devi essere sempre il più intelligente?!" 

Proprio come ho sempre sostenuto, fin dai lontani tempi del liceo! I Puffi sono sprovvisti di genitali! Sono persino incapaci di concupire. Peyo ha creato i Puffi ispirandosi alla religione di Mithra. Come già Tertulliano riportava in epoca antica, anche i devoti del Dio Tauroctono avevano i loro continenti, i loro casti. Peccato che ben pochi scandaglino la Noosfera alla ricerca di collegamenti tra informazioni tra loro solo in apparenza isolate e frammentarie! 

Origine del cognome Darko

Il cognome Darko è di origine francese. Proprio in Francia è attestato come Darco. Ad esempio si ha testimonianza di un certo Jean Darco. I romanisti sono inclini a ritenere Darco una variante di Darci, a sua volta cattiva trascrizione di D'Arcy. Questo non mi pare possibile per via della differenza della consonante trascritta con -c-: /dar'ko/ rispetto a /dar'si/. La mia ipotesi, che non posso comunque provare, è che il cognome d'origine sia D'Arc, come quello della Pulzella di Orléans. Un uomo di nome D'Arc deve essere migrato in Italia, forse in Toscana o a Roma, adattando il suo cognome in Darco. Quindi un suo discendente sarà tornato in Francia. Ecco come mai Darco con una -o finale altrimenti inesplicabile - e non riconducibile a un suffisso -ot. Un percorso un po' tortuoso. Senza dubbio questo cognome è stato scelto per via della sua assonanza con dark "oscuro". Pochi sanno che Darko è un cognome diffusissimo... nel  Ghana! La sua origine è Ashanti e ha la variante ortografica Daako. Amma Darko è una scrittrice ghanese. George Darko è un musicista ghanese. John Martin Darko è un vescovo cattolico ghanese. Kwabena Darko è un imprenditore, religioso ed ex politico ghanese, soprannominato "Il Re dei Polli". Kwame Obeng Darko è un calciatore e rapper ghanese. Ovviamente si tratta di una somiglianza fortuita col cognome Darko presente in Inghilterra e in America.  
 
La Porta degli Inferi
 
L'insegnante Karen Pomeroy a un certo punto scrive col gesso sulla lavagna della classe le parole Cellar Door "Porta della Cantina". Quando Donnie le chiede cosa significhino, la donna risponde così: "Un famoso linguista una volta disse che di tutte le frasi della lingua inglese, di tutte le infinite combinazioni di parole in tutta la storia, Cellar Door è la più bella." Richard Kelly ha attribuito erroneamente la frase ad Edgar Allan Poe, ma in realtà va ascritta a J.R.R. Tolkien, che in un suo saggio del 1955, English and Welsh (Inglese e Gallese), disse che "molti parlanti inglesi ammetteranno che 'cellar door' è 'bella', specialmente se dissociata dal suo senso (e dalla sua ortografia). Più bella, diciamo, di 'sky', e molto più bella di 'beautiful'." Qualcuno vede delle assonanze nel Signore degli Anelli, dove c'è un toponimo Eriador e il nome di un nobile elfo, Celeborn: secondo costoro entrambe le parole ricorderebbero la sonorità di Cellar Door - cosa che a me pare opinabile. Peccato che a tanta bellezza corrisponda la Nemesi di Donnie Darko.
 
Cineforum Fantafilm 
 
Il film di Kelly è stato proiettato il 12 aprile 2010 al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro. Purtroppo non ero presente. O forse c'ero? Non ricordo bene. Se c'ero, ero così pieno di whisky che non so come posso aver fatto a tornare a casa. A volte i miei banchi di memoria stagnante mi giocano brutti scherzi.