sabato 12 novembre 2016


MONDO CANDIDO

Paese di produzione: Italia
Lingua originale: Italiano
Anno: 1975
Durata: 110'
Colore: Colore
Audio: Mono
Genere: Grottesco, trash, black comedy, erotico
Regia: Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi
Soggetto: Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi,
     Claudio Quarantotto
Sceneggiatura: Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi,
     Claudio Quarantotto
Tratto da: Candido, o l'ottimismo, di Voltaire
Produttore: Camillo Teti
Casa di produzione: Perugia Cinematografica
Direttore di produzione: Averroè Stefani
Ispettore di produzione: Franco Coduti
Aiuto regista: Stefano Rolla
Fotografia:
Giuseppe Ruzzolini
Montaggio: Franco Letti
Effetti speciali: Giovanni Corridori
Musiche:
Riz Ortolani
Scenografia: Franco Vanorio
Costumi: Franco Carretti
Aiuto costumista: Tiziana Mancini
Operatore: Alessandro Ruzzolini
Maestro d'armi: Remo De Angelis
Interpreti e personaggi:  
    Christopher Brown: Candido
    Michelle Miller: Cunegonda
    Jacques Herlin: Dottor Pangloss
    José Quaglio: L'Inquisitore / il prete cornificato
         (amante di Cunegonda)
    Steffen Zacharias: Il Guru New Age
    Gianfranco D'Angelo: Il Barone
    Salvatore Baccaro: L'Orco necrofilo
    Alessandro Haber: Il giudeo Don Issacar 
         (amante di Cunegonda)
    Richard Domfe (Domphe): Cacambo
    Sonia Viviani: La servetta sifilitica
    Carla Mancini: Soldatessa israeliana
    Lorenzo Piani:  Soldato bulgaro biondo / soldato
         inglese biondo 
    Giancarlo Badessi: Il Governatore spagnolo
    Annick Berger: La Baronessa
    Giancarlo Cortesi:
Giovane vestito da angelo /
        fedayin palestinese
   
    Marcello Di Falco: Cavaliere effeminato /
         carrista inglese
    Mauro Perrucchetti: Attila, il cantante demoniaco
        (amante di Cunegonda)
    Valerio Ruggeri: Amerigo Vespucci 
    John Stacy: Capitano della nave
Personaggi senza attori identificati:
   Al Capone
   Boia portoghese 

   Carampana New Age
   Cristoforo Colombo
   Gli amanti nel globo 

   Marilyn Monroe
   Nobile portoghese panzone
       (amante di Cunegonda)
   Ragazza morta brutalizzata dall'orco 

    Soldatessa israeliana bionda e crespa
   Soldatessa israeliana mora
   Soldato bulgaro dalla barba corvina
   Soldato portoghese barbuto
   Soldato portoghese glabro
   Strega ingabbiata
   Streghe nude con la cuffia
   Vecchia fellatrice

Trama: 

Se all'inizio il film mostra una qualche aderenza al Candide di Voltaire, presto comincia ad allontanarsene in modo irrimediabile, dando vita a una sequenza di eventi folli e deliranti. Il povero Candido si trova sbalzato da un'epoca all'altra. Cacciato dal castello del Barone dopo aver fatto godere la bella Cunegonda leccandola, Candido si ritrova in un campo militare. Nel libro di Voltaire questi soldati erano i Bulgari, versione satirica dei Prussiani. Nel film sembra piuttosto di essere in Francia all'epoca di Napoleone. A comandare l'esercito non è certo Federico il Grande ma un effeminato. Si capisce che qualcosa inizia a non andare, anche perché il sovrano sodomitico si fa piantare giganteschi chiodi nell'armatura senza risentirne. I soldati, che sono dotati di vistosi cappelli col simbolo massonico dell'Occhio Onniveggente, vengono sterminati da colpi di mitragliatrice di un esercito moderno. Candido finisce quindi in una distorsione spaziotemporale che lo porta nel Portogallo dell'Inquisizione, dove Pangloss viene impiccato. Ritrova Cunegonda e la lecca di nuovo tra le gambe. Quando arrivano gli amanti della bella nobildonna, l'Inquisitore, il ricco giudeo e un diabolico cantante rock, si scatena il putiferio. Segue un duello a colpi di chitarra tra Candido e il cantante, in cui il protagonista ha la peggio. Salvato dal mandingo Cacambo, il giovane viene imbarcato su una nava diretta in America. Soltanto che nel film di Jacopetti l'America è quella attuale. Per colmo dell'anacronismo, assieme a Candido e a Cacambo si imbarcano Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Al Capone, Marilyn Monroe e altri. La nave giunge a New York nel bel mezzo degli anni '70 del XX secolo e i suoi passeggeri sono accolti come eroi. Candido ritrova Pangloss, che è un cronista esperto nell'arte di imbambolare le masse dementi. Amerigo Vespucci è alle prese con una bottiglia di Ballantine's, Cristoforo Colombo si ritrova a fissare inebetito due lattine di Coca Cola che gli sono state messe in mano, mentre Cacambo, tirato a lucido, viene liberato dal collare di ferro dalle Pantere Nere e si fuma un grosso sigaro. A questo punto Candido viene a sapere che Cunegonda è diventata una pornodiva e una cantante, il cui spettacolo itinerante si chiama "The Best Possible Orgasm in the World". Il giovane è preso da una crisi di gelosia; Pangloss gli dice che la sua amata è andata in Irlanda a combattere e lui parte senza pensarci due volte assieme a Cacambo. Giunti nell'Ulster distrutto dalla guerra civile, i due trovano finalmente traccia della donna fatale: raggiungono una chiesa desolata in cui non ci sono più né Dio né i Santi. Un prete furibondo assesta al grande crocefisso formidabili martellate per abbatterlo. Candido si accorge che le vetrate della chiesa ritraggono Cunegonda in veste di Maria. Il prete afferma di essere stato reso becco da un giudeo, che si è perso la donna e l'ha condotta con sé. In preda alla furia il cornuto estrae un mitra e si mette a sparare raffiche. Senza soluzione di continuità, Candido e il suo fedele servitore giungono in Israele, dove è in corso un'esercitazione militare a cui partecipano numerose soldatesse ashkenazite, bellissime e angeliche quanto letali. Anche qui la ricerca di Cunegonda fallisce e si scatena una tremenda battaglia tra le israeliane e i fedayin palestinesi, che si combatte in un campo di papaveri. I fiori finiscono insanguinati. Le peripezie del protagonista continuano: arriva nel bel mezzo del deserto, dove vive una comune hippy dedita alle baggianate New Age e a faticose attività insensate. Dopo alcune significative conversazioni volte a svelare la vana essenza dell'Universo, si ha il gran finale. Candido ritrova Cunegonda consunta dagli stenti, viene abbandonato dall'irridente Cacambo e in riva al fiume viene catturato in una specie di loop temporale che lo riporta al punto di partenza.  

Recensione:

Se devo essere franco, la prima volta che ho visto questo film mi è sembrato una schifezza immondissima e per giunta senza né capo né coda. Rivedendo questo cult del trash, la mia opinione è stata un po' più mite e l'ho trovato tollerabile. Non nego che abbia qualche momento felice, ma nell'insieme rimane comunque davvero pesante.

Reazioni nel Web

Recensione lapidaria ma significativa su Mymovies.it:

"Jacopetti adatta il Candido di Voltaire alla misura dei suoi Mondo cane." 

Nulla di più vero: lo stesso titolo fa il verso a Mondo cane: è quasi Mondo can...dido.

Questo invece è il parere del commentatore samtam90 su Filmtv.it:

"Voltaire si starà rivoltando nella tomba, grazie alla nuova porcata di Jacopetti & Co. Voto: 4"

Oscenità varie e costumi grotteschi

Il regista si è preso non poche libertà, trasformando completamente l'opera dell'Illuminista e introducendo innumerevoli turpitudini. Così il bacio tra Candido e Cunegonda diventa qualcosa che ha dell'incredibile: il giovanotto infila la testa sotto la gonna della figlia del Barone e si mette a lapparle con infinita voluttà gli orifizi inferi. Anche se il lungo indumento femminile nasconde l'atto, si capisce benissimo cosa sta succedendo. Il volto della figlia del Barone di Vestfalia è illuminato dall'estasi mentre Candido la lavora con la lingua senza mai smettere, donandole una catena di orgasmi. Visti i costumi igienici dell'epoca, dubito molto che l'atto sarebbe stato godibile. Tanto più che Jacopetti non descrive la corte del Barone come il villaggio dei Puffi. La laida Baronessa si ingozza a tavola e ha il vaso da notte sotto il culo sempre smerdante, quello stesso pitale pieno di feci con cui le sarà poi spaccato il cranio. Devo dire che il personaggio di Pangloss è rappresentato alla perfezione. Certo, la sifilide gli fa cadere un orecchio anziché divorargli il naso, ma per il resto la corrispondenza è perfetta. Lo strabico e segaligno Jacques Herlin, quasi una versione smagrita di Marty Feldman, interpreta magistralmente il ruolo ed è una delle poche scelte felici. Pestilenziale, al punto che nulla più farlo deflettere dalla sua teodicea, Pangloss incarna l'ottimismo nel film come nel libro. Tanto gradito è all'Artefice, che nemmeno l'impiccagione riesce a ucciderlo. La sua cuffia nera con due appendici laterali che coprono le orecchie, simili a corna mozze, i ciuffi di capelli bisunti non contenuti dallo stravagante copricapo, tutto contribuisce a renderlo ancor più odioso. Non male il Barone, interpretato da un delirante e grottesco Gianfranco D'Angelo. Alessandro Haber si trova assai bene nei panni del sefardita Don Issacar col suo sembiante scuro e il suo abito nero con una gigantesca Stella di David per fibbia. In questi tempi le scene con quel personaggio non si sarebbero potute più girare senza guadagnare al regista accuse di antisemitismo. 

L'uso dell'anacronismo     

Il film di Jacopetti e di Prosperi è stato rovinato non tanto dalle licenze sessuali, quanto dall'introduzione di un elemento innovativo quanto irrazionale, demenziale e incontrollabile: l'ANACRONISMO. Fanno la loro irruzione nella Vestfalia e nel Portogallo del XVIII secolo personaggi del XX secolo come bikers e cantanti rock. Ad espugnare il castello del Barone non sono i Bulgari, ossia i Prussiani di Federico II, ma i Satanassi, una gang di motociclisti scatenati simili agli Hell's Angels, che portano con sé una montagna di vinili, giradischi e televisori. Provate a immaginarvi l'assurdità della cosa. L'effetto straniante è come un pugno nello stomaco. Il capo dei Satanassi trova Cunegonda in sottoveste e la possiede carnalmente, realizzando con lei tutte le posizioni del Kamasutra. La penetra un'infinità di volte e le fa fare anche un 69, con lei sopra a fellarlo mentre lui le lecca il cunnus - anche se non con la perizia con cui lo faceva Candido. Nelle intenzioni dei registi vorrebbe essere uno stupro, in realtà si vede benissimo che la nobildonna partecipa agli atti sessuali in modo gioioso. Il Grande Inquisitore a Lisbona è affiancato dallo stesso motociclista diabolico, armato ci chitarra elettrica. Una visione surreale che fa quasi dubitare di essere sani di mente. 

Sesso senile e necrofilia

L'ascensione di Candido vestito da angelo sulla cima di una montagna è l'inizio di una sequenza allucinante. Una vecchia vestita di nero mette la testa tra le gambe del giovane nudo, gli prende il pene in bocca e inizia a succhiarlo per poi ritrarsi disgustata, sputacchiando, perché ha trovato che sul glande c'era lo smegma, il cui sapore di formaggio rancido non è certo grato. Anche in questo caso Voltaire ha motivo di rivoltarsi nella tomba. Questa laida scena anticipa e profetizza l'epidemia di sesso senile che ha colpito il mondo occidentale agli inizi del XXI secolo, provocata dall'operato nocivo di un singolo uomo: Rocco Siffredi. Quella che all'epoca di Jacopetti era una surreale intuizione, ora è dura realtà: per capire la portata della rivoluzione antropologica del sesso senile basti pensare che le stesse quarantenni che soltanto vent'anni o trent'anni fa avevano schifo a praticare la fellatio, oggi sono carampane avidissime che passano il tempo a poppare bischeri - dopo essersi tolte la dentiera e averla messa in un bicchier d'acqua, è ovvio. Persino le ottantenni decrepite sono diventate appetibili per l'industria della pornografia. Tutto ciò non basta. Quando Candido si trova in mezzo alle rovine, tra mucchi di cadaveri, accade qualcosa di raggelante. Un gigante dai tratti incredibilmente grotteschi, interpretato dall'acromegalico Salvatore Baccaro, vede una giovinetta morta da poco, così si mette a denudarla e a palparle i seni. Estrae i genitali e fa per penetrarla, quando Candido è preso da una furia inaudita e lo colpisce ripetutamente al cranio con una grossa pietra fino a farlo cadere a terra esanime. Si sprofonda in un Caos in cui non è più possibile mettere un freno alla natura belluina degli esseri umani.

Oblio per i Diaghiti

Cacambo da fiero discendente dei Diaghiti di Tucuman diventa un remissivo schiavo africano. Senza dubbio un Diaghita sembrava a Jacopetti e a Prosperi meno vendibile di un Mandingo. Anche perché chi li conosce i Diaghiti in Italia? Se si chiedesse in giro il significato del nome Diaghiti, la risposta più gettonata sarebbe che si tratta di una varietà di insetti: chi mai potrebbe sognarsi che fossero fierissime genti indigene dell'Argentina? La mossa dei registi non è tuttavia dovuta a un semplice calcolo commerciale. Il personaggio di uno schiavo africano ha permesso di impostare un discorso sociale che riusciva molto gradito agli spettatori. Non dimentichiamo che quelli erano i tempi in cui l'intero sistema educativo italiano andava plasmandosi sulla questione razziale negli Stati Uniti. Le maestrine costringevano gli alunni a intonare la marcia di John Brown, non si faceva che parlare di Martin Luther King e della lotta al segregazionismo americano. Il risultato di tutto ciò sarebbe stato negli anni seguenti un contagio buonista pervasivo in cui non si sarebbe più sostenuto il fragile concetto di uguaglianza di tutti gli esseri umani, ma la superiorità delle genti dell'Africa subsahariana. Chi ricorderà il sistematico etnocidio che ha colpito i Diaghiti? Nessuno, perché per questa società essi sono irrilevanti. Persino gli studiosi se ne disinteressano. Quando sarò morto, nessuno in Italia ne parlerà più.

Scomparsa di un Manicheo

Il personaggio di Martino il Manicheo è scomparso dalla trama sconnessa del film, si è perso durante l'adattamento del racconto di Voltaire. Questo perché le sue idee non erano gradite. Si poteva sostenere un certo discorso sull'insensatezza dell'esistenza, facendolo passare per il delirio di un derviscio fumato, ma non si poteva tollerare una trattazione sistematica sulla malvagità intrinseca dell'intero Universo. Le parole di Martino non sarebbero state capite dal pubblico. Lo avrebbero ritenuto un semplice sfigato o un pazzoide e non gli avrebbero dato alcun ascolto. Se Voltaire aveva trovato necessario riesumare i Manichei per combattere la teodicea di Leibniz, il discorso sfugge totalmente a Jacopetti e a Prosperi. Le finalità originarie del Candide nel film non si avvertono quasi più, così come è sparito ogni riferimento al Grande Terremoto di Lisbona del 1755. Cancellato Martino e ridimensionata la discussione su come mai il mondo possa essere malvagio se Dio è buono, non resta che una peregrinazione del protagonista su un pianeta di merda in cui non è possibile alcuna comprensione degli orrori a cui assiste. Tutta la discussione filosofica è ridotta a un fumoso Nulla, non a caso Candido e Cacambo finiscono in una comune hippy i cui membri rotolano istante dopo istante il loro macigno di Sisifo senza scopo alcuno, in un deserto dove i sogni vengono dalla droga e la massima saggessa consiste nel pulire con una scopa un gigantesco padiglione auricolare scolpito nella roccia per liberarlo dal cerume immaginario.

La profezia della Chiesa in rovina

La fine della Chiesa Romana è preconizzata in questo film. L'edificio religioso è in completa rovina, i muri sono cadenti e polverosi. Se in passato le genti erano convinte che Dio fosse presente in quel luogo santo, ora è evidente che non ve ne è alcuna traccia. È la Chiesa di Jorge Pompeo Bergoglio. Gettata alle ortiche la sua intera biblioteca, composta da un numero incredibile di volumi, un intero universo di proposizioni teologiche è stato sostituito da borborigmi bassoventrali. Frasi del tipo "la corruzione spuzza" dove un tempo c'era la Summa Theologiae. Così come Candido vede il cadavere di un santo parlare e indicargli la via, per poi risprofondare nel sonno di Thanatos, allo stesso modo sembra alle genti che la Chiesa Romana viva una stagione fulgida, quando invece i suoi movimenti sono solo spasmi cadaverici, simili alle convulsioni di un pollo decapitato. I movimenti cattolici sono autentiche sètte, ogni segno di vitalità ecclesiastica non è che il brulicare di masse di cagnotti. Il prete incontrato da Candido è un folle che abbatte il Crocefisso e inveisce perché sa di avere le corna. Offuscato dalla demenza, rappresenta lo stato terminale e agonico di un clero dannato composto da fornicatori e da pedofili.

Pesante retorica sociale
e lampi di Apocalisse

I registi hanno stravolto la trama del Candide per calare la narrazione nel contesto storico della loro epoca. Per questo Candido e Cacambo si ritrovano a vivere la guerra tra l'IRA e gli Inglesi nell'Irlanda del Nord e il conflitto tra Israeliani e Palestinesi. In quegli anni c'era una grande ipersensibilità su questi argomenti e un film completamente avulso dall'atttualità sarebbe stato criticato in modo pesante dalle masse. A questo moralismo fanno da contraltare alcune sequenze visionarie e apocalittiche, che compensano appieno ogni forzatura. Un bambino irlandese raccoglie da terra una granata e ci gioca, pestandola con una pietra. Sembra che l'ordigno della esplodere da un momento all'altro, invece resiste ad ogni incauto trattamento. Poi l'infante toglie la sicura e lancia la granata, uccidendo i soldati inglesi di pattuglia. Nel vedere i morti, un'allegria profonda invade il bambino, le sue sono le uniche risate gioiose in quell'Inferno. Che dire allora della battaglia tra soldatesse israeliane e fedayin nel campo di papaveri? I fedayin pensano di sorprendere le israeliane mentre sono nude nella doccia, ma il loro assalto fallisce miseramente. Le donne bellissime hanno i mitra a portata di mano e si mettono a sparare, crivellando molti palestinesi. I proiettili perforano le mimetiche e fiotti di sangue fuoriescono dalle ferite, danzando nel sole sullo sfondo dei papaveri. La battaglia all'inizio volge in favore delle israeliane, che presto cominciano a registrare perdite: si vedono donne colpite da proiettili, con fontanelle di sangue che schizzano dai loro corpi venusti. Alla fine sarà la distruzione per entrambi gli schieramenti: si vede una soldatessa nuda dai capelli biondi con in pugno il mitra, le cui carni diventano un colabrodo. Anche il corpo di una mora dalle lunghe chiome finisce col danzare la propria morte convulsa sotto una tempesta di piombo. Seguirà il silenzio, i cadaveri in mezzo ai fiori intrisi di sangue. Eros e Thanatos, Sangue e Morte. Per tornare alla banalità, verso la fine del film, il Guru della setta New Age mostra a Candido il fiume che trascina via i simboli, gettati via dai giovani. Tra questi si vedono numerose svastiche, fasci littori e segni del movimento hippy, geroglifici del famoso "Peace and Love". Nemmeno un esemplare di falce e martello, si noterà. Questo perché i registi non volevano irritare le folle giovanili che all'epoca credevano fanaticamente in tali simboli. Sono sicuro che la mente di Jacopetti avrebbe potuto escogitare di meglio.       

Vite dimenticate

Notevole è la difficoltà nell'identificazione di parte degli attori: ho dovuto completare il cast per via delle lacune e delle inesattezze che si trovano nei vari siti Web. Per esempio alcune pagine forniscono una foto di Lorenzo Piani che è errata e dovuta a un'omonimia: ritrae infatti un prete dai capelli scuri, mentre l'attore di Mondo Candido è il soldato biondo dell'esercito dei Bulgari simil-napoleonici, che compare poi anche nell'Ulster all'epoca della guerra civile - come mostrato da questo link: 


Questo invece è il Lorenzo Piani prete, che nulla sembra aver a che fare col film: 


C'è poi un terzo Lorenzo Piani, che è pseudonimo di Lorenzo Piattoni, che è un cantautore e che di certo non c'entra nulla. Questo rende l'idea di quanto labili siano le reali possibilità di conoscenza offerte dalla Rete. Se appena si vuole scavare sotto la superficie, trovare nel Web le informazioni desiderate non è affatto semplice: in casi come questi sembra agire in modo spietato una sorta di "diritto all'oblio", come se attori e attrici si vergognassero delle parti recitate in gioventù. Altri personaggi di Mondo Candido sono da me stati associati agli attori cercando immagini in Google e tentando di riconoscere le fattezze dei volti visti nel film, cosa che può sempre risultare erronea, anche perché non sono molto fisionomista. Mi scuso fin d'ora se qualche identificazione dovesse risultare erronea. 

giovedì 10 novembre 2016


CANDIDO, O L'OTTIMISMO 

AKA: Candido, ovvero l'ottimismo; Candido
Titolo originale: Candide, ou l'Optimisme
Autore: François-Marie Arouet, detto Voltaire
Lingua originale: Francese
Anno: 1759
Genere: Racconto filosofico, satira

Trama: 

In Vestfalia vive Candido, un giovane orfano dall'animo puro, ospite nel castello del Barone Thunder-den-Tronckh (si noti il nome pseudotedesco) e secondo alcune voci suo figlio illegittimo. Candido conduce un'esistenza spensierata e segue le lezioni del precettore Pangloss, filosofo iperottimista secondo cui ogni cosa ha la sua ragione d'esistere. Se ai nostri tempi i filosofi sono detestati vivamente dal gentil sesso, tanto che spesso sono segregati e impossibilitati ad accoppiarsi, Pangloss era invece un incorreggibile donnaiolo che approfittava volentieri delle contadinotte, esplorandone il corpo e stantuffandole. Candido ama la bella Cunegonda e passa gran parte del suo tempo ad osservarla. Lei spia le gesta di Pangloss e ispirata da ciò che ha visto bacia Candido dietro un paravento. Le effusioni vengono però scoperte, così il Barone furibondo bandisce Candido dal castello. Poco dopo la partenza dell'orfano, accade che i Bulgari calano sul castello espugnandolo. Il Barone viene trucidato con la sua famiglia: l'unica superstite è Cunegonda, di cui però si perdono le tracce. Ha inizio una serie vorticosa di peripezie. Candido viene arruolato a forza dai Bulgari e quando cerca di fuggire viene bastonato da duemila soldati. Condannato a morte e graziato, riesce infine a fuggire, ritrovando Pangloss consunto dalla lue. 

Un mercante anabattista di nome Jacques (Giacomo) dà a Candido e a Pangloss un passaggio sulla sua nave, che giunge a Lisbona, devastata dallo spaventoso terremoto del 1755. Jacques muore in una tempesta, Pangloss viene condannato a morte dall'Inquisizione e impiccato, Candido è fustigato a sangue. Una vecchia, che lo raccoglie e lo cura, si rivela una conoscente della bella Cunegonda, oltre che la figlia illegittima di un papa. Finita a Lisbona, la figlia del Barone di Vestfalia è diventata l'amante di due uomini: il Grande Inquisitore e il giudeo Don Issacar. Candido li uccide entrambi. Non gli resta che fuggire su una nave assieme a Cunegonda, alla vecchia e al servitore Cacambo, arrivando in Argentina, nel porto di Buenos Aires. Mentre la vecchia e la nobildonna di Vestfalia sono ospitate nel palazzo del Governatore, Candido e Cacambo vanno a nord, trovando rifugio tra i Gesuiti. Senonché si viene a scoprire che il Generale dell'Ordine è proprio il fratello di Cunegonda, che si oppone alle nozze di Candido con la sua amata. Nella lite che ne segue, Candido uccide il gesuita. Assieme a Cacambo fugge attraverso la foresta, inoltrandosi nelle terre dei cannibali Orecchioni. Avuta salva la vita per il rotto della cuffia, i due risalgono il fiume finendo nel mitico paese di El Dorado. Si tratta di una valle impervia tra montagne altissime, in cui abita un popolo di un'incredibile ricchezza, che considera l'oro e le pietre preziose dello stesso valore del fango. Siccome le genti di questo regno incantato hanno come lingua il Quechua, Cacambo li intende alla perfezione ed è in grado di fungere da traduttore. El Dorado è un paese utopico abitato da consanguinei degli Incas, in cui non divampa mai un litigio, in cui è sconosciuta la guerra (nonostante in Quechua esistano parole ben adatte a descrivere questi concetti). Candido e Cacambo si allontanano dalla felice terra andina carichi di oro e di preziosi.

Ritornati a Buenos Aires con il progetto di riscattare Cunegonda, i due vengono ad apprendere la notizia delle sue nozze forzate col Governatore. In preda alla disperazione, Candido decide di fare ritorno in Europa. Incontra un manicheo di nome Martino, la cui Dottrina contrasta in ogni dettaglio con le mortifere bugie di Pangloss, affermando la Verità sulla natura maligna dell'Esistanza. Eventi funesti portano Candido a dividersi da Cacambo e a iniziare una serie di peregrinazioni per la Francia e per l'Inghilterra, incontrando sul suo cammino numerosi personaggi grotteschi, come Girofléé, un fratacchione evaso dal suo convento con la precisa intenzione di farsi turco, ossia di convertirsi all'Islam. Gli accadimenti sono convulsi. Alla fine Candido incontra nuovamente Cacambo. Su una galera ottomana giungono a Costantinopoli per scoprire che Cunegonda è finita in stato di schiavitù. Alla fine Candido, Cacambo, Martino il Manicheo, il redivivo Pangloss, la servetta sifilitica e il fratacchione turchizzato finiscono a vivere in una modesta fattoria nei pressi della capitale dell'Impero Ottomano, comprata con i residui delle ricchezze portate da El Dorado e ormai ridotti a ben poca cosa. Qui coltiveranno i pistacchi e altri ortaggi, costretti ad abbandonare discussioni e filosofemi per prestare le loro cure alla terra.  

Recensione: 

Splendido racconto filosofico, il cui principale intento è la confutazione delle aberrazioni diffuse dalla teodicea di Gottfried Wilhelm von Leibniz, un malfattore che sosteneva a spada tratta la natura buona dell'Universo. Proprio Leibniz è ritratto da Voltaire nelle sembianze dell'insopportabile Pangloss. A quanto consta, l'ispirazione è giunta al filosofo francese dal terremoti inaudito che ha raso al suolo Lisbona, facendo un gran numero di morti, incredibile per l'epoca. Questa catastrofe ha dato origine ad accanite discussioni sulla teodicea, mettendo in profondissima crisi il mondo cattolico. I fedeli del Papa credevano infatti che mai e poi mai Dio avrebbe potuto colpire una città cattolica, capitale di un regno che tanto si era dato da fare per evangelizzare le genti. Secondo i loro schemi, Dio avrebbe dovuto devastare un paese protestante. L'accaduto era del tutto inesplicabile e segnò l'inizio di mutamenti irreversibili nella Storia d'Europa. Se siamo arrivati al pontificato di Jorge Pompeo Bergoglio, dallo spessore teologico nullo, in cui sfrenati appetiti feticisti sono etichettati come "umiltà evangelica" - mentre sono in realtà libidine bella e bona - è per via di una catena di eventi iniziata proprio col Grande Terremoto che sconvolse Lisbona e che tanto colpì l'immaginazione di Voltaire. 

Etimologia di Pangloss
e genealogia della sifilide

Il nome Pangloss, di per sé assai bizzarro, è senza dubbio satirico. Voltaire lo derivò infatti dal greco πᾶν "tutto" e γλῶσσα "lingua". Ne conseque che Pangloss significa "Tutto lingua", con riferimento alla sua retorica ottimista di chiara origine leibniziana. "Viviamo nel migliore dei mondi possibili", ripete a pappagallo l'istitutore, a ogni piè sospinto, anche di fronte alle evidenze più avverse. Nella Natura maligna nulla lo piega: se la sifilide lo deturpa e gli divora il naso, egli baldanzoso sostiene che senza quell'atroce morbo giunto dalle Americhe non conosceremmo la cioccolata. Il brano in cui il sostenitore della teodicea fa l'apologia del Treponema pallidum è stato addirittura soggetto a censura e omesso dall'edizione ottocentesca del racconto. Lo riporto in questa sede (traduzione di Paola Angioletti): 

Ella ne era infetta, forse ne è morta. Paquette aveva avuto questo regalo da un frate francescano molto colto, il quale era risalito all’origine: infatti egli l’aveva preso da un capitano di cavalleria, che lo doveva a un paggio, che l’aveva preso da un gesuita il quale, da novizio, l’aveva ereditato in linea diretta da un compagno di Cristoforo Colombo. Quanto a me, non lo darò a nessuno, perché sto morendo.
- O Pangloss! gridò Candido, che strana genealogia! Certamente il diavolo ne è il capostipite! - Niente affatto, replicò quel grand’uomo: era una cosa indispensabile nel migliore dei mondi, un ingrediente necessario: poiché, se Colombo non avesse preso in un’isola dell’America questa malattia che avvelena la sorgente della generazione, che spesso anzi impedisce la generazione e che evidentemente è l’opposto del gran fine della natura, noi non avremmo né cioccolata né cocciniglia; bisogna ancora osservare che fino ad oggi questa malattia esiste solo nel nostro continente, come le dispute. I Turchi, gli Indiani, i Persiani, i Cinesi, i Siamesi, i Giapponesi, non la conoscono ancora; ma c’è una ragione sufficiente perché la conoscano a loro volta fra qualche secolo. In quest’attesa, essa ha fatto progressi meravigliosi fra noi, e soprattutto fra quei grandi eserciti composti di onesti stipendiati così cortesi, i quali decidono il destino degli Stati; si può ben affermare che, quando trentamila uomini combattono schierati in battaglia contro truppe di numero uguale, ci sono circa ventimila sifilitici da ogni parte. 

Il mistero di Cacambo

Voltaire ci descrive Cacambo come un meticcio di Tucumán, per tre quanti indio e per un quarto spagnolo, che parlava la lingua del Perù, ossia il Quechua. Così ci dice l'Illuminista, che nella provincia di Tucumán non si sente parlare altro idioma. Cacambo tuttavia porta un nome non Quechua che ha la sua radice nella lingua dei Diaghiti, il Kakán: è formato tramite un suffisso -bo a partire dal nome stesso della lingua, una radice che compare anche nel nome del Dio delle Tempeste, Kakanchig e in alcuni cognomi come Cacana e Cacanay.
L'etimologia di Kakán è stata a lungo fraintesa. Tradizionalmente è ricondotto al Quechua qaqa "roccia, pietra", e Kakanchig è interpretato come "Nostra Pietra". Tuttavia noi vediamo che queste parole non sono Quechua e che l'idioma Kakán, pur avendo molti prestiti dalla lingua di Cuzco, non è con essa imparantato. Nel Quechua di Santiago del Estero, che tuttora mostra numerosi vocaboli di sostrato riconducibili al Kakán, il teonimo è pronunciato Kakanchik, con /k/ e non con /q/: non risale assolutamente al Quechua qaqa. La terminazione -chik in questa parola non corrisponde affatto alla desinenza Quechua per "nostro". Tutto il contrario. Il nome della lingua, Kakán, significa "Nostro", proprio come Kunza, il nome della lingua degli Atacameños. Così la radice chic, chig, chiz significa "Dio, Sommo", proprio come nella lingua degli Huarpe Chis Tactao è il cielo. Kakanchig significa "Nostro Dio". L'antroponimo Cacana significa "Nostra (Terra)", e da esse deriva Cacanay col tipico suffisso di derivazione Kak
án -ay. Tutto chiarissimo. Il Kakán, estinto da tempo, era un lontano parente del Kunza e della lingua degli Huarpe. Quest'ultima aveva in aggiunta numerosi prestiti dal Kakán (tra questi proprio tactao "villaggio"). Pubblicherò la mia opera di ricostruzione di quell'idioma perduto in un'altra occasione.
Il punto è questo: come faceva Voltaire ad essere a conoscenza di un antroponimo Kak
án correttamente formato? Forse ha conosciuto lui stesso un indio di nome Cacambo, oppure ha avuto occasione di leggere la grammatica e il vocabolario del Kakán composti da Padre Bárcena (Barzana), opera di capitale importanza e oggi malauguratamente perduta per colpa delle velenose congiure della stramaledetta Setta Massonica.


Donne che si accoppiano con le scimmie!

Nel corso delle avventure di Candido e dei suoi compagni compaiono due misteriose creature, scimmie gigantesche che godono dei favori sessuali delle donne della tribù nativa degli Orecchioni. Nulla a che vedere con i famigerati ricchioni o busoni di Sodoma! Si tratta di genti indiane famose per i loro ornamenti auricolari, che deformavano i lobi e i padiglioni allungandoli in modo grottesco, donde il nome spagnolo di Orejones. La narrazione che fa Voltaire è tanto spassosa quanto tragica: 

Il sole tramontava, quando i due smarriti sentirono alcune piccole strida, che parean di femmine; essi non sapevano se quelle strida eran di dolore, o di gioja; si alzaron precipitosamente con quella inquietudine, e con quello spavento che tutto inspira in un paese incognito. Quei clamori si partivano da due giovani, che leggermente correvano lungo la sponda della prateria, mentre due scimmie le mordevano alle spalle. Candido ne fu mosso a pietà; aveva egli imparato a tirare da' Bulgari, ed avrebbe colpito una nocciuola in mezzo a un cespuglio, senza toccar le foglie; prende egli il suo fucile spagnuolo a due canne, tira e ammazza le due scimmie. - Dio sia lodato, mio caro Cacambo, io ho liberato da un gran periglio quelle due povere creature; se ho commesso un peccato ammazzando un inquisitore e un gesuita, io vi ho ben rimediato, salvando la vita a due giovani, saran forse due damigelle di condizione, e questa avventura ci può procurare gran vantaggi nel paese.
Volea più dire, ma restò colla parola in bocca quando vide quelle due giovani abbracciare teneramente le due scimmie, cadere piangendo su’ loro corpi ed empir l’aria di dolorose grida. - Io non mi aspettava un cuor tanto buono, disse finalmente a Cacambo, il qual gli replicò: - Voi avete fatto un bel servizio padron mio: avete ammazzato i due amanti di quelle damigelle. - I loro amanti! è possibile? Tu mi burli, Cacambo, come posso crederlo? - Mio caro padrone, interrompe Cacambo, voi vi fate sempre maraviglia di tutto; perchè ha egli a parervi strano che in qualche paese vi sieno delle scimmie che ottengano simpatie dalle dame? esse son un quarto d’uomo com’io sono un quarto di spagnuolo. - Ah, ripiglia Candido, mi sovviene d'aver inteso dire dal mio maestro Pangloss, che altre volte sono accaduti simili accidenti, e che avean prodotto degli Egipani, de' Fauni, dei Satiri, stati veduti dai più gran personaggi dell'antichità; ma io la credeva un favola. - Ora dovete esserne convinto, disse Cacambo. Quel che io temo per altro, è che quelle dame non ci pongano in qualche imbroglio.

Ebbene, i paesi in cui le scimmie sono protagoniste dei sogni erotici delle donne sono numerosissimi, tanto da potersi dire più la norma che eccezioni! Tra questi - e lo dico con amarezza estrema - si può senza dubbio annoverare l'Italia, terra in cui Leopardi è schernito da un gran numero di donne che sognano poi di masturbare i peggiori malfattori e di farsi da loro montare. Questo perché vedono nel malfattore un pallido riflesso della scimmia che così intensamente concupiscono! 

Un racconto ucronico oppure onirostorico?

Alcuni elementi non combaciano con il nostro corso storico. La vecchia incontrata a Lisbona da Candido dice di essere figlia di Papa Urbano X, che è un pontefice immaginario. Questo potrebbe essere un elemento ucronico. Tuttavia se alcuni eventi sono reali, come il terremoto del 1755, numerosi altri sono immaginari e improbabili, in ogni caso non riconducibili a un Punto di Divergenza. El Dorado non appartiene di certo al mondo reale e difficilmente una simile utopia potrebbe esistere. I Prussiani sono chiamati Bulgari e i Francesi sono chiamati Abari, con un nome con ogni probabilità ispirato da quello degli Àvari, parenti degli Unni. Queste considerazioni potrebbero far propendere per l'attribuzione del racconto al reame dell'onirostoria.

lunedì 7 novembre 2016

LA CARTA DEI CAPELLI BIONDI


Così è presentata questa preziosa mappa sul forum Termometro Politico: 


"Questa mappa dei capelli biondi che hai postato è la mappa fatta da Biasutti attraverso i dati raccolti da Livi. E' stata fatta analizzando le foto di 300.000 italiani dagli schedari militari. E' a dir poco antiquata ed è solo indicativa per mostrare quello che già tutti sappiamo, ovvero che il biondismo è giustamente più diffuso nell'estremo Nord piuttosto che nell'estremo Sud. La situazione varia poi da regione a regione, la Campania non è certamente la Calabria ad esempio. I più scuri al Nord sono gli emiliani mentre al Sud sono i calabresi."   

E ancora:  

"Di biondo poi esistono diversi gradi, un biondo del genere ad esempio non è diffusissimo generalmente in Italia se non in percentuali piuttosto basse."   

Le distribuzioni dei capelli biondi mostrate dalla mappa di Biasutti non sono ovviamente aggiornate, risalendo a un'epoca anteriore alle grandi migrazioni. È interessante confrontare la diffusione del biondismo con quella del rutilismo mostrati dalla Carta dei capelli rossi, già pubblicata su questo stesso blog. 


Vediamo che in Sicilia Occidentale, specialmente nell'area di Palermo, si trova una notevole diffusione del biondismo (5,0 - 7,4%), associata a una diffusione ancor più grande del rutilismo (4,8 - 6,8%). Questi caratteri sono da ascriversi alla discendenza dai Normanni. Si trovano individui con fisionomia scandinava, occhi azzurri o grigi e capelli biondi o rossicci, caratteri associati ad alta statura e a fisionomie di un tipo che non è usuale in Lombardia.  

Al giorno d'oggi esiste un negazionismo pernicioso che mira a minimizzare il ruolo dei Normanni nel popolamento della Sicilia, insistendo sul fatto che ne giunsero ben pochi nell'isola. Anche se questo fosse provato, dirò che non è necessaria una popolazione esogena massiccia per produrre un cambiamento notevole nella genetica dei nativi: i Normanni diedero origine alla nobiltà siciliana, e i nobiluomini hanno sempre avuto l'usanza di accoppiarsi con le donne della popolazione sottomessa, dando origine a una discendenza anche molto numerosa. Così accadde che un Altavilla poté avere moltissime donne e moltissimi figli illegittimi, il che spiega la diffusione di aplogruppi normanni nella parte occidentale della Sicilia. 

Si noti un'importante isola di biondismo in Campania, che corrisponde ai Longobardi di Benevento. Tale popolamento si deve a una fara giunta direttamente dal Friuli. 

In Brianza, nella zona in cui abito, la percentuale di biondismo dovrebbe essere cospicua, ma se devo essere sincero di autentici biondi ne vedo in giro molto pochi. Tanto poco frequente è il biondismo a Seregno, che è uso comune usare l'aggettivo "biondo" anche per le chiome di persone dai capelli castani. Quando ero al liceo, in classe si definivano biondi coloro che non fossero corvini o rossi, anche se la tonalità di castano era davvero scura. Ricordo però una famiglia i cui componenti erano tutti biondissimi, senza eccezioni, sia da parte di madre che di padre. Così a naso, la mappa conserva ancora una certa validità per altre zone dell'Italia. Il carattere è molto più diffuso in Toscana, ad esempio a Firenze e ad Arezzo, di quanto non lo sia in Lombardia. Un amico fiorentino ha i capelli chiari come quelli di Farinata degli Uberti, un'amica di Arezzo sembra giunta dalla Norvegia. Anche nel Canavese, a Torino e in altre parti del Piemonte a nord del Po ho visto molte persone native con i capelli di un color biondo chiaro: in particolare ricordo un amico di Pinerolo, un paio di neonazisti di Torino e alcuni hooligan di Gattinara. Questi ultimi si erano riempiti di idromele fino all'impossibile, mettendosi poi alla guida e sgommando via tra mille bestemmie nel cuore della notte. 

Tra i meno biondi ci sono i Sardi, la cui popolazione è rimasta sotto una campana di vetro, una sorta di macchina del tempo che ne ha isolato i caratteri genetici, risalenti in gran parte al Neolitico. I pochi biondi presenti potrebbero essere dovuti a migrazioni antiche di elementi liguri e celtici.

giovedì 3 novembre 2016

LA SALUTATIO ANGELICA IN LINGUA GOTICA (MATTHEW CARVER)

Matthew Carver è l'autore di un'ottima traduzione gotica della Salutatio Angelica, più nota come Ave Maria. Direi che il lavoro è di una qualità eccellente, tanto che potrebbe essere stato scritto dallo stesso Wulfila - anche se l'uso di tale preghera nella forma moderna ai tempi dell'insigne vescovo sarebbe stato anacronistico. Non so se sia davvero il caso di ritenere la lingua in cui è stata composta gotico rivitalizzato o conlang neogotica: potrebbe ben essere il gotico del IV secolo d.C. Questo è il testo:


Fagino Maria,
anstai audahafta,
Frauja miþ þus;
þiuþido þu in qinom,
jah þiuþido akran qiþaus þeinis, Iesus. 

Weiha Maria, aiþei Gudis,
bidei faur unsis frawaurhta,
nu jah in ƕeilai dauþaus unsaris.
Amen 
 

COMMENTI:

Sussiste un unico dubbio, tuttavia di scarso rilievo ai fini pratici dell'uso della lingua. Di certo Gudis come genitivo di Guþ "Dio" sarà stato perfettamente accettabile; tuttavia è possibile che la forma migliore fosse Guþis, visto che si abbrevia sempre in Gþs. Allo stesso modo il dativo si abbrevia sempre in Gþa, che a rivor di logica dovrebbe stare per Guþa. Le forme abbreviate si trovano regolarmente nei manoscritti, ma nelle pubblicazioni sono state per lo più risolte in Gudis e Guda

Questi Gudis e Guda sono forme ricostruite sul plurale guda "dèi pagani" (cfr. galiugaguda "falsi dèi") e su corrispondenti derivati in gud(a)-, con ottime basi (es. gudja "prete", con suffisso *-jan-, cfr. norreno goði "sacerdote pagano", con suffisso *-an-). Tuttavia potrebbe anche darsi che le forme del plurale e dei derivati abbiano -d- per un riflesso di una diversa accentazione della forma protogermanica. Del resto giova ricordare il caso di bloþ "sangue", gen. bloþis, che si oppone a quanto avviene ad esempio in antico inglese (> ingl. blood) e in antico alto tedesco (> ted. Blut), che riflettono chiaramente una sonora -ð- nella protoforma. A parer mio, se le forme flesse singolari fossero state soltanto Gudis e Guda, sarebbero state abbreviate in *Gds e *Gda rispettivamente, quindi proporrei l'esistenza di un genitivo sing. Guþis e di un dativo sing. Guþa. Ho tuttavia ancora dubbi a includere tali forme includo nella conlang neogotica. Il paradigma dovrebbe essere il seguente:  

nom./acc. sing. Guþ  gen. sing. Guþis, Gudis
gen. sing. Guþa, Guda
nom./acc. pl guda
gen. pl. gude
dat. pl. gudam  

La cosa non deve stupire: il nome divino in gotico presenta anche altre anomalie. In origine doveva essere un neutro sia al singolare che al plurale. Poi mantenne forma di neutro al singolare ma divenne di genere maschile indicando il Dio Cristiano: Guþ mikils "Dio Grande". Simile uso si ha anche in norreno (Guð, di forma neutra ma di genere maschile, rispetto al plurale neutro goð "dèi pagani"). Questo uso del maschile potrebbe essere stato già in uso nei tempi pagani, ad esempio riferito a Odino (gotico ricostruito Wodans) e ad altre divinità del politeismo tradizionale. È possibile che Wulfila, considerando il Nome di Dio qualcosa di immutabile, abbia ritenuto di dover formare per l'uso cristiano delle forme come genitivo Guþis e dativo Guþa per conservare la radice senza mutamenti. In questo caso sarebbero forme artificiali la cui anomali sarebbe dovuta a ragioni teologiche. Tuttavia abbiamo attestato gudhus "tempio", con -d-, il che porta a credere che le due forme convivessero. Potrebbe però anche darsi che l'uso delle forme con þ non fosse una creazione di Wulfila, ma avesse le sue radici in qualcosa di antico che ora ci sfugge. Non ho mezzi sufficienti per risolvere il problema. 

L'etimologia della parola non ci aiuta: questo vocabolo è in realtà di natura e di origine profondamente incerte. Tradizionalmente il proto-germanico *guðan è fatto risalire alla radice indoeuropea *g'hew- / *g'hu- "celebrare, libare" (cfr. sanscrito juhoti "egli sacrifica" < *g'hu-g'hew-ti). Se le forme gotiche con -þ- fossero confermate come antiche, ciò metterebbe in crisi l'etimologia indoeuropea: si dovrebbe ricostruire una forma protogermanica *guθan a fianco di *guðan, e questa risalirebbe a un precedente *g'hútom, con un accento inadatto a un termine col significato di "libato; invocato": questa etimologia si basava per l'appunto su una forma ricostruita *g'hutóm (cfr. greco χυτός "libato"). Sono incline a ritenere la radice un relitto preindoeuropeo o comunque un prestito di adstrato da una lingua sconosciuta e da lungo tempo estinta.

martedì 1 novembre 2016

PRESTITI DAL GOTICO NELLE LINGUE SLAVE

Numerose parole sono passate dalla lingua dei Goti al proto-slavo all'epoca del grande Re Ermanarico, l'Alessandro Magno del Nord (morto ultracentenario nel 376 d.C.), delle cui epiche gesta ha scritto diffusamente Iordanes. Ecco un elenco di lemmi: 

1) Gotico akeit "aceto" (< Lat. ace:tum)
Proto-slavo: *akitu
Slavo ecclesiastico osĭtŭ "aceto" 

2) Gotico asilus "asino" (< Lat. asellus, da asinus
Proto-slavo: *asilu
Slavo ecclesiastico os
ĭlŭ "asino"
Ha dato russo
осел (osjel) "asino"

3) Gotico ricostruito AUSIHRIGGS "orecchino"
Proto-slavo: *o:seringu

Slavo ecclesiastico
userjazŭ "orecchino"
La forma gotica presupposta dal proto-slavo è una variante dell'atteso AUSAHRIGGS.

4) Gotico ricostruito BAIRGS /bɛrgs/ "altura"
Proto-slavo:
*bergu
Slavo ecclesiastico
bregŭ "collina" 
A giudicare da altre lingue germaniche, si può ricostruire anche la variante di genere neutro
bairg, che non spiega però la forma proto-slava. 

5) Gotico biuda "tazza" 
Proto-slavo: *bjo:da
Slavo ecclesiastico
bljudo "tazza" 

6) Gotico boka "lettera" (pl. bokos "libro")
Proto-slavo: *bo:ku:

Slavo ecclesiastico buky "lettera" 

7) Gotico flokan "gemere, lamentarsi" 
Proto-slavo: *pla:ka:tej
Slavo ecclesiastico plakati "piangere"

8) Gotico ricostruito FULK "schiera"
Proto-slavo: *pulku
Slavo ecclesiastico pl
ŭkŭ "popolo"

9) Gotico ganisan "essere salvo, guarire"
Proto-slavo: *ganezantej
Slavo ecclesiastico
goneznǫti "crescere sano"
Si noti la vocale
-e-, oltre alla consonante sonora.

10) Gotico ricostruito GANSUS "oca"
Proto-slavo: *gansi

Slavo ecclesiastico gǫs
ĭ "oca"
Ha dato russo гусь (gus') "oca" 

11) Gotico gards "corte; casa" > "città" 
Proto-slavo: *gardu
Slavo ecclesiastico
gradŭ "città" 
Ha dato russo город (gorod, grad) "città" 

12) Gotico ricostruito GILDAN "ripagare"
Proto-slavo: 
*želda:n- 
Slavo ecclesiastico ž
lesti "compensare un danno"
Il nesso -st- nasce nello slavo ecclesiastico dallo scontro della -d- della radice con -t- del suffisso dell'infinito
. Per la vocale -e- si confronti il gotico di Crimea con le sue forme anomale e talvolta più affini al germanico occidentale.

13) Gotico hilms "elmo" 
Proto-slavo: *šelmu
Slavo ecclesiastico šl
ěmŭ "elmo" 
Per la vocale -e- si confronti il gotico di Crimea con le sue forme anomale e talvolta più affini al germanico occidentale.

14) Gotico hlaifs (gen. hlaibis) "pane"
Proto-slavo: *xlajbu

Slavo ecclesiastico xl
ěbŭ "pane"
Ha dato russo хлеб (khljep) "pane" 

15) Gotico hlaiw "tomba"
Proto-slavo: *xlajwu
Slavo ecclesiastico xl
ěvŭ "stalla; porcile"
Lo slittamento semantico è dovuto alla forma della costruzione, realizzata con pietre ammucchiate.


16) Gotico ricostruito HULMS "isolotto"  
Proto-slavo: *xulmu
Slavo ecclesiastico x
ŭlmŭ "poggio" 
 Documentato nel nome degli Ulmerugi, citati da Iordanes. Confronta norreno holmr, holmi "isolotto": il termine si riferiva a piccole isole fluviali pianeggianti.

17) Gotico hus /hu:s/ "casa"
Proto-slavo: *xu:su, *xu:zu
Slavo ecclesiastico xyz
ŭ "casa" 

18) Gotico kaisar "imperatore"
Proto-slavo: *kajsa:riju

Slavo ecclesiastico cěsarĭ "imperatore"
Ha dato russo царь (tsar') "imperatore"
La forma proto-slava è un derivato che presuppone un gotico *kaisareis, che potrebbe ben essere esistito, per quanto la sua morfologia mi appaia strana (forse è dall'aggettivo latino Caesareus).

19) Gotico ricostruito KIND "infante" 
Proto-slavo: *
činda
Slavo ecclesiastico čędo "infante"  

20) Gotico kaupjan "comprare"
Proto-slavo *ko:pi:tej
Slavo ecclesiastico kupiti "comprare"

21) Gotico kausjan "provare, gustare"  
Proto-slavo *ko:si:tej
Slavo ecclesiastico kusiti "provare, gustare"
 

22) Gotico ricostruito KUNIGGS /'kuniŋgs/ "nobile, re"
Proto-slavo: *kuningu

Slavo ecclesiastico
kŭnedzŭ "duca"
Ha dato russo
княз (knjaz) "principe"

23) Gotico ricostruito LEKA "cura medica"  
Proto-slavo: *le:ku
Slavo ecclesiastico lěk
ŭ "cura" 
Nel gotico di Wulfila è attestata la forma lekareis "medico".

24) Gotico ricostruito LAUKS "porro"  
Proto-slavo: *lo:ku
Slavo ecclesiastico luk
ŭ "cipolla" 

25) Gotico ricostruito MASTS "palo di supporto"
Proto-slavo: *mastu
Slavo ecclesiastico: most
ŭ "ponte" 

26) Gotico mekeis /'me:ki:s/, meki /'me:ki/ "spada"
Proto-slavo: *me:či 
Slavo ecclesiastico: m
ečĭ, mĭčĭ "spada"
Ha dato russo меч (mjech) "spada" 
Confronta norreno mǽkir "spada", anglosassone mēċe.

27) Gotico ricostruito NAUTA "capi di bestiame"
   (n. pl.)

Proto-slavo: *no:ta
Slavo ecclesiastico nuta "bestiame"
Si confronti norreno naut "manzo" (n.), anglosassone nēat "manzo" (n.). La forma gotica d'origine era evidentemente un plurale neutro, poi interpretato come un femminile dagli Slavi.

28) Gotico skatts "ricchezza, denaro" 
    (in Wulfila vale "moneta, denaro")

Proto-slavo: *skatu

Slavo ecclesiastico skot
ŭ "bestiame"

29) Gotico skilliggs /'skilliŋgs/ "scellino"  
Proto-slavo: *skulingu
Slavo ecclesiastico
skŭlędzŭ "monetina"

30) Gotico smakka "fico"
Proto-slavo: *smaku:
Slavo ecclesiastico smoky "fico" 

31) Gotico ricostruito TUN /tu:n/ "recinto"
Proto-slavo: *tu:n

Slavo ecclesiastico tyn
ŭ "recinto"

32) Gotico wein /wi:n/ "vino"
Proto-slavo: *wi:na

Slavo ecclesiastico vino "vino"
Ha dato russo vino "vino"

33) Gotico weinagards /'wi:nagards/ "vigna" 
Proto-slavo: *wi:nagardu
Slavo ecclesiastico vinograd
ŭ "uva; vite"
Ha dato russo виноград (vinograd) "uva; vite", 
    виноградник (vinogradnik) "vigna" 

Commenti: 

Si notano imponenti fenomeni di palatalizzazione. Con buona pace di chi ritiene le lingue immutabili, numerose consonanti velari della lingua di Wulfila hanno subìto una trasformazione una volta adottate dagli Slavi, fino a diventare nel giro di pochi secoli palatali e addirittura sibilanti.