lunedì 2 dicembre 2019

 
TOP SENSATION 

Titolo originale: Top sensation
AKA: The Seducers
Anno: 1969
Paese: Italia
Lingua: Italiano
Colore: Colore
Rapporto: 1,33 : 1
Genere: Drammatico, erotico 
Regia: Ottavio Alessi
Soggetto: Lorenzo Ricciardi
Sceneggiatura: Lorenzo Ricciardi, Nelda Minucci, Ottavio
     Alessi
Produttore: Franco Cancellieri
Casa di produzione: Aica Film
Distribuzione in italiano: Cineriz
Fotografia: Sandro D'Eva
Montaggio: Luciano Anconetani
Musiche: Sante Maria Romitelli
Costumi: Giuliana Serano
Trucco: Anchise Pieralli
Fonici: Ivo Benedetti, Adriano Taloni 
Assistente di camera: Oddone Bernardini
Fotografo di scena: Mario Sigmund
Interpreti e personaggi:
    Maud de Belleroche: Mudy, la cougar sadiana
    Maurizio Bonuglia: Aldo, il fotografo
    Edwige Fenech: Ulla, la prostituta 
    Rosalba Neri: Paula, la moglie bisex di Aldo
    Ruggero Miti: Tony, il figlio demente di Mudy
    Eva Thulin: Beba, la pastorella neolitica
    Salvatore Puntillo: Andro, il pastore neolitico
Doppiatori italiani:
    Giacomo Piperno: Aldo, il fotografo
    Angiolina Quinterno: Ulla, la prostituta 
Altri titoli:
     Swinging Young Seductresses
     USA: Sensations
     Germania Occidentale: Sklavin ihrer Triebe
     Turchia: Aşırı Duygular
 
 
Colonna sonora: 
1.  Tema di sensation (titoli di testa) (2:43)
2.  Tema di Beba (3:49)
3.  Aldo e Ulla (2:22)
4.  Paola e Mudy (2:24)
5.  Beat del panfilo (1:46)
6.  Incontro con Beba (4:06)
7.  Sul ponte dello yacht (1:51)
8.  Tony e Mudy (3:29)
 
Trama: 
Uscito il 29 marzo del 1969, il film di Ottavio Alessi racconta la storia di un terzetto di nichilisti - Mudy, una virago ricca e bisessuale (Maud de Belleroche) e la sua coppia di amanti: Aldo (Maurizio Bonuglia) e la moglie di lui, Paula (Rosalba Neri) - in crociera su uno yacht.
Mudy ha un figlio demente, Tony (Ruggero Miti), reduce da un ricovero psichiatrico in Svizzera per aver dato fuoco alla casa della madre. Nel vano tentativo di farlo rinsavire, costei – su consiglio di Aldo, il quale spera che la megera gli intesti una concessione petrolifera - imbarca una prostituta sullo yacht: Ulla (Edwige Fenech, in una delle peggiori interpretazioni della sua carriera).
Tony però non mostra alcun interesse per le grazie di Ulla (e di Paula), preferendo incendiare riviste e giocare con le macchinine nella sua cabina.
A non essere indifferente alle moine di Ulla è Aldo, il quale si distrae dalla guida dell'imbarcazione, facendola incagliare in una secca nei pressi di un'isola.
Tony ne approfitta per fuggire a terra su un barchino. E una volta sull’isola che fa? Si rotola tra i rovi e il pietrame, come un perfetto imbecille.
Beba (Eva Thulin), un’improbabile pastorella, scorge l’idiota coperto di lividi e va in suo soccorso.
Nelle intenzioni dello sceneggiatore, Beba dovrebbe rappresentare il ritratto dell’innocenza, l’opposto antropologico del tipo borghese dissoluto e senza scrupoli personificato dalla perfida Paula.
Accortisi dell'assenza di Tony, i tre nichilisti e Ulla scendono a terra per cercarlo. O meglio, si dedicano ad altri passatempi: Paula, armata di fucile, prende a sparare per divertimento a delle povere caprette, Aldo scatta foto sexy (o pretese tali) a Ulla. Gironzolando, infine, scorge Tony a colloquio con la pastorella nei pressi di una cascina fatiscente. Dunque una donna  capace di far uscire il folle dalla catatonia esiste! Aldo non ci pensa due volte a convincere la ragazza a seguirli a bordo dello yacht.
Beba però ha un marito, Andro (Salvatore Puntillo), un individuo rozzo e primitivo dall’aspetto bestiale. Questi dopo aver dato in escandescenze per l’uccisione delle caprette si placa allorché Mudy gli promette un risarcimento di 300 dollari.
Una volta a bordo, Beba riesce non si sa come, dopo essersi calata in mare, a disincagliare lo yacht. Con la scusa di darle abiti asciutti, Paula e Ulla intraprendono un tentativo di seduzione ai danni dell’innocente pastorella, interrotto dall’irruzione in cabina della vecchia Kapò.
Questa, su suggerimento di Aldo, intende servirsi di Beba come esca sessuale per il figlio pazzo.
Andro raggiunge lo yacht e sale a bordo. Per “distrarlo” Paula, consenziente il marito, gli si concede. Mudy, Aldo e la ebete assistono alla scena.
Nel frattempo, il demente in cabina strangola la povera Beba.
Quando i tre nichilisti se ne accorgono è troppo tardi.
Che fare?
Paula ha un’idea: accoppare Andro. Cosa che provvede a fare subito con una fucilata in pieno petto.
Liquidato l’energumeno, non resta che sbarazzarsi dei cadaveri.
Mentre, inspiegabilmente, i due coniugi e la ebete si attardano ad ascoltare canzonette sul ponte, Tony, non visto, strangola la madre e prende il comando dello yacht.
Il film si chiude così, lasciando lo spettatore attonito. 

(Pietro Ferrari) 
 
 
Recensione:
Tra le tante perle degli anni '60 e '70, mi è sfuggita anche questa. Quando ho potuto conoscere e visionare Top Sensation, avevo ormai passato i 50 anni. Le atmosfere che irradiano da questa pellicola mi trasmettono qualcosa di vago e indefinito, rievocano un'epoca che non ho potuto vivere nella piena consapevolezza, essendo allora soltanto un moccioso, un umano allo stadio larvale. In me persiste l'impressione che i colori fossero diversi, che nel cielo brillasse un sole diverso da quello di oggi. Le fisionomie delle persone erano inusuali. Tutto era strano e molto sfocato. Mi pare quasi che fossero un po' diverse le stesse leggi della fisica, che gli stessi legami chimici avessero proprietà un po' diverse, come se l'Universo mutasse nel tempo per piccoli passi impercettibili e noi non riuscissimo ad accorgercene, se non attraverso registrazioni di come era in precedenza.
 
Riporto alcuni pensieri del Fratello Pietro:

Il film di Ottavio Alessi, uscito nel 1969, è una commedia nera nichilista, anticipatrice di temi che si ritroveranno, a distanza di decenni, nei romanzi di Michel Houellebecq.
I protagonisti sono, indistintamente, degli scellerati - con la sola eccezione della pastorella Beba, un personaggio peraltro del tutto implausibile.
Ottime le interpretazioni di Maud De Belleroche, la virago bisessuale proprietaria dello yacht, di Rosalba Neri, nel miglior ruolo della sua carriera d'attrice, e di Maurizio Bonuglia (che diede il peggio di sé, cinque anni dopo, nel film Il profumo della signora in nero).
Pessima Edwige Fenech, inespressiva oltre il tollerabile.
(Pietro Ferrari) 
 
Considerazioni sparse 

Tecnicamente parlando, è la cronaca di un genocidio. Certo, il popolo sterminato era costituito da due persone soltanto, ma non fa differenza. Noto una piccola incoerenza: gli isolani si esprimono in perfetto italiano, mentre mi sarei aspettato un dialetto incomprensibile, strettissimo. Il divario tra loro e le genti dell'imbarcazione da diporto è stridente, paragonabile a quello che separava i Guanche delle Canarie dagli Spagnoli. 


Come spesso accade, siamo di fronte a un film che è un residuo di un'epoca finita. Stando ai moderni canoni, non sarebbe più possibile nemmeno pensarlo. Sarebbe ucciso sul nascere dal politically correct. Prendiamo per esempio il figlio demente della virago Maude. Pensate che sarebbe ancora possibile presentarlo così? No di certo. L'idea che un autistico possa essere un sadico assassino, capace di uccidere a sangue freddo, non è semplicemente ammissibile. 
 
Il pastore neolitico smegmatoso e la sua consorte dalla chioma rossiccia rappresentano il vecchio mondo, la società contadina e cattolica, estintasi a causa di un'improvvisa discontinuità antropologica. Un nuovo tipo umano, rappresentato da un'alta borghesia edonistica e predatoria, ha fatto la sua comparsa e si è imposto ovunque. Si può scorgere un parallelismo con lo sviluppo e con la diffusione dei dinosauri durante il Triassico. Possibilità di comunicazione tra questi tiranni e i rimasugli del mondo precedente: ZERO. 

Il vecchio tipo umano, l'archeantropo, diventa una cosa, un oggetto. Viene completamente reificato. Come una cavia in un laboratorio di vivisezione o come una lucertola in balia degli artigli di un gatto animato dal sadismo.  
 
 
Ulla e la capretta 
 
Parlerò ora dell'ennesimo relitto di un mondo anteriore all'imporsi del sentire oggi prevalente, in cui si potevano pensare e rappresentare cose che in questo inizio del XXI secolo provocherebbero le ire di intere comunità. La prostituta impersonata dalla Fenech, Ulla, si fa leccare da una capretta, prima sul seno e poi tra le gambe. Se una scena simile fosse girata oggi in un film anche di nicchia, insorgerebbero folle di animalisti furiosi. Urlerebbero che l'attrice ha stuprato l'animale e pretenderebbero di linciarla per vendicare l'offesa al loro culto zoolatrico. Eppure la povera bestiola ha soltanto messo la lingua su un po' di sale collocato sul pube dell'attrice, come l'avrebbe leccato se fosse stato messo su una pietra.   
 
Gordiano Lupi mette addirittura in dubbio l'esistenza di queste sequenze di bestialità erotica. Arriva a dire, non senza irrisione, di essere costretto a crederci perché alcuni importanti critici confermano la cosa, anche se dentro di sé sembra permanere incredulo. In realtà gli è capitato di vedere una versione tagliata e in buona sostanza non crede possibile che ne esista una con più fotogrammi. Come dire che se una cosa non l'ho vista, non la può aver vista nessuno. Ebbene, ho visto coi miei occhi la Fenech farsi leccare proprio sul cunnus dalla capretta - e possa Thor fulminarmi se proferisco il falso! Detto questo, riporto senz'altro il link all'articolo scettico di Lupi, comparso sul sito Lib(e)roLibro (www.liberolibro.it): 
 

Che altro dire? Tanto clamore per Ulla e la capretta. Poi nel Web c'è un intero universo di porno animal e nessuno dice nulla. 


Avida leccatrice e spietata carnefice 

Aldo non esita a far prostituire la moglie. La posta in gioco non è cosa di poco conto: una concessione petrolifera. Pur avendo un carattere fierissimo e indomito, la splendida Paula si presta a servire sessualmente l'avvizzita cougar Mudy, umiliandosi, inginocchiandosi nuda davanti a lei, baciandole e leccandole i piedi. Anche se osservando le sequenze del suo rapporto con la virago è difficile crederlo, Paula è capace di diventare un'efferata assassina a sangue freddo non appena le circostanze lo richiedono. È sorprendente la facilità con cui abbatte a fucilate il pastore neolitico per impedire che venga a scoprire la morte della moglie e scateni un putiferio. Il cervello della bellissima e sensuale Paula non è umano in senso proprio: sembra costituito dal solo encefalo rettiliano, come se fosse privo del sistema limbico e della neocorteccia, quindi incapace di elaborare le emozioni. Siamo di fronte a un vero e proprio mostro. L'aspetto esteriore non deve trarre in inganno. Come ricorda Cioran, non esiste nulla di più falso dell'affermazione di Origene secondo cui ogni anima ha il corpo che si merita. 

Nemesi 

Nonostante i suoi deliri di onnipotenza e la sua convinzione di essere una divinità in terra, la tirannica Mudy fa una ben misera fine. Mentre è al timone dello yacht, accade qualcosa di inatteso: il figlio demente le si avventa addosso, animato dall'impulso di consumare con lei un amplesso incestuoso. Lei sembra cedere a tale furia copulatoria. Sembra che le faccia piacere essere posseduta dal figlio. L'eccitazione fa accendere una scintilla omicida nel cranio dell'autistico, che non esita a strangolare la madre. Il film si chiude in modo inatteso con una citazione scritturale, mentre lo yacht procede verso la distruzione.

Non ti mettere in compagnia dei peccatori e ricordati che l'ira non tarderà
(Ecclesiaste 7-16) 
 
Tutto ciò è semplicemente geniale. Non credo che la Settima Arte potrebbe riservarci ancora sorprese simili.  
 
L'incomprensibile operato dei censori 
 
Cosa strana e difficile a interpretarsi, non mi risulta che Top sensation sia stato colpito dalle ire della censura come Interrabang, uscito nove mesi dopo, il 31 dicembre 1969. Ho letto che è stato persino trasmesso in prima serata su una rete berlusconiana, seppur in una versione tagliata da cui sono state epurate le leccate bestiali della capretta e altre scene erotiche. In ogni caso non c'è stato alcun sequestro ad opera di un magistrato. Eppure i contenuti di Top sensation sono ben più forti ed eversivi di quelli di Interrabang. Due pesi due misure? Come si può spiegare la cosa? Mi viene il sospetto che ciascun magistrato agisse in modo del tutto scollegato dagli altri, senza nessuna linea d'azione comune. In pratica ognuno era come il signore di un feudo. I provvedimenti erano erratici: sembra che l'azione repressiva scattasse soltanto per un puro arbitrio, forse in seguito a qualche segnalazione o in ogni caso per via di circostanze particolari. Così Interrabang ha destato l'attenzione spropositata del giudice che ha applicato misure draconiane ordinandone il sequestro, mentre Top Sensation è passato praticamente inosservato. Non è facile trovare nel Web dettagli sull'argomento. Se c'è qualcuno che può darmi lumi, lo ascolto ben volentieri. 
 
Ricerche correlate a "Top Sensation"
 
Google, sempre più prodigo di informazioni futili, ogni tanto fornisce comunque qualcosa di interessante. Quando si digita la stringa "Top Sensation" nella finestra di ricerca, proprio sotto compaiono in caratteri blu le principali query degli utenti. Eccole:
 
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eva thulin 

Quella capretta non vuol proprio saperne di cadere nell'Oblio! 😃
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Alcuni commenti interessanti sono apparsi sul sito Il Davinotti: 
 

"Puro cinema volto a soddisfare certi pruriti visto che la pornografia, allora così rara e per pochi, non riusciva ad arrivare a tutti."
(Markus) 

"Ben inferiore al coevo Interrabang, col quale condivide ambientazione e aspetti esteriori del racconto, perdipiù molto meno coinvolgentemente schizofrenico rispetto alla prima regia di Alessi."
(Giùan) 

"Resta un film spensierato e frizzante, a suo modo simbolo di un'epoca ormai estinta (in parte è bene, in parte è male) che oggi nessuno mai si azzarderebbe a mettere più in campo, se non spingendo l'azione verso lidi estremi (ovverosia hardcore)."
(Undying) 
 
 
Su Allmovie si trova una sinossi in inglese, che vale la pena riportare in questa sede, contenendo alcuni elementi utili:  
 

This preposterous sex melodrama stars pretty Edwige Fenech as a prostitute hired by the overbearing mother (Maud de Belleroche) of a shy, mentally-retarded 20-year old named Tony. Fenech is meant to claim Tony's virginity on a sea cruise, also attended by sexy Paula (Rosalba Neri) and her slimy husband Aldo, who incessantly try to curry the wealthy mother's favor. Ewa Aulin (Candy) shows up as an island girl who dies when the dull-witted Tony accidentally strangles her, leading her husband to board the ship, where he is quickly dispatched by the rifle-toting Neri. Bodies are exploded with dynamite, Neri models a leather bikini, and there is much sexual byplay, both straight and lesbian. Cult buffs will appreciate seeing two of the most famous sex symbols in Italian genre film, Fenech and Neri, sharing the screen in revealing costumes, but anyone looking for high drama would be best served elsewhere. Exploitation master Jerry Gross released the film in America.
(Robert Firsching) 

Con mia grande sorpresa vengo a scoprire che Beba, la pastorella neolitica, è stata rinominata Candy dagli anglosassoni. Il dettaglio sulla diffusione della pellicola in America è interessante. Infatti è risaputo che le genti della Terra dei Coraggiosi sono sconvolti dalla bestialità erotica a tal punto da equipararla alla pedofilia o da ritenerla anche più grave. Le radici di questo atteggiamento sono senza dubbio bibliche. Ne deduco che la scena della Fenech leccata dalla capretta debba per necessità mancare nella versione americana!
 
INTERRABANG 

Anno: 1969
Paese: Italia
Lingua: Italiano
Durata: 102 min (versione originale),
                93 min (versione tagliata)
                Altre versioni censurate: 88 min, 73 min
Colore: Eastmancolor
Genere: Thriller, giallo, erotico 
Regia: Giuliano Biagetti
Sceneggiatura: Luciano Lucignani, Giorgio Mariuzzo, Edgar
    Mills
Soggetto: da un racconto senza titolo di Edgar Mills
Produttore: Giancarlo Segarelli
Casa di produzione: Salaria Film
Distribuzione: Panta Cinematografica
Fotografia: Antonio Borghesi
Montaggio: Marcella Bevilacqua
Musiche: Berto Pisano
Costumi: Emilio Pucci, Vittoria Serra
Trucco: Fulvia Dulac, Alfredo Marazzi
Gestione della produzione:
Enzo De Punta (come Enzo
     Del Punta), Fabio Diotallevi 

Direttore artistico:
Tellino Tellini
Assistente direttore: Giorgio Mariuzzo
Operatore di camera: Sergio Rubini
Suono: Giulio Spelta
Assistente operatore: Maurizio Cipriani 
Interpreti e personaggi: 

    Umberto Orsini: Fabrizio
    Beba Lončar: Anna
    Haydée Politoff: Valeria
    Shoshana Cohen: Maregalit
    Corrado Pani: Marco
    Tellino Tellini: Guardacoste
    Edmondo Saglio: Guardacoste
    Antonietta Fiorito: Ragazza sul motoscafo 
Doppiatori italiani:
    Annarosa Garatti: Valeria
    Laura Gianoli: Anna
    Stefano Satta Flores: Fabrizio
Luogo delle riprese: Isola Rossa (Porto Santo Stefano)
Titoli in altre lingue:
    Francia: Les Allumeuses,
                    Boumerang,
                    La perverse ingénue,
                    Le plaisir de la chair,
                    Trois vicieuses sur une île 
    Hong Kong (inglese): Interpoint
 

Colonna sonora:
  Autore: Berto Pisano
  Genere: Lounge
  Etichetta: RCA Original Cast
  Album
    A piedi nudi sulla spiaggia
    La scogliera dell'amore
    Il colore degli angeli
    Sabbia e mare
    Little Snack Bar
    ...e il Sole scotta
    Tramonto sulla scogliera
    La vallata sommersa
    Luci sulla baia
    Tema di Valeria
Singolo
    Il colore degli angeli
    ...e il Sole scotta 

Trama:
Un mondo fatto soltanto di mare, sole e musica lounge insinuante, ossessiva, che non finisce mai, che non si interrompe nemmeno per un attimo. Sembra quasi che non esista la notte: l'astro diurno splende sempiterno e immutabile, alto nel cielo. Un panorama irreale. Uno yacht è ancorato a poca distanza dalle rive di un'isola pietrosa del Mediterraneo, che dovrebbe essere disabitata. A bordo ci sono personaggi che rappresentano bene i tempi nuovi. Fabrizio è un fotografo cinico e biondiccio, che considera l'essere umano una massa di sterco utile solo per i soldi che se ne possono trarre. Sua moglie, la bionda Anna, è la sua viziata (e viziosa) proprietaria dell'imbarcazione e di un atelier, tutta piena di plutocratica sicumera. La sua vocina è stridula e odiosissima; ha con sé la sorella Valeria, una ragazza caratteriale dalla pelle lattea e dal seno poco sviluppato, con i capelli di un colore castano rossiccio. Porta un originale ciondolo a forma di interrabang, che è l'unione di un punto interrogativo con un punto esclamativo. Poi c'è Maregalit, una bruna indossatrice israeliana dal fisico statuario, ninfomane e rovente come un vulcano in eruzione. Le tre donne e il fotografo completano in una mattinata un servizio fotografico sulla spiaggia dell'isola. La radio diffonde la notizia dell'evasione di tre pericolosi detenuti, di cui due subito ricatturati: ne resta libero uno. Si segnala anche la scomparsa di un agente. Subito dopo Fabrizio si rende conto che l'imbarcazione è rimasta a secco, così approfitta di un passaggio su un motoscafo per andare a cercare del carburante. Le tre donne restano ad aspettare il suo ritorno, approfittandone per tuffarsi e per prendere il sole sulla riva. Antipatie e tensioni non mancano, ma presto accade qualcosa di imprevisto. Maregalit nota la presenza di un uomo sull'isola ed è la prima ad avvicinarlo, non senza una certa inquietudine: potrebbe essere proprio l'evaso di cui parlavano alla radio. Lo sconosciuto si presenta all'israeliana e dice di chiamarsi Marco. Afferma di essere uno scrittore e di abitare sul versante opposto dell'isola, in un luogo che dallo yacht ormeggiato risulta invisibile. Anna e Valeria sono piuttosto sospettose, anche se alla fine rimangono anche loro affascinate da quell'uomo ambiguo che sembra venuto dal Nulla. I sentimenti delle tre donne sono contraddittori, dato che all'indubbia attrazione verso Marco si accompagna la crescente convinzione che sia l'evaso e l'assassino dell'agente, animato da propositi omicidi nei loro confronti. Un elemento nuovo e inatteso fa la sua irruzione: la paranoica Valeria, divenuta amante del bello e dannato, complotta con lui per uccidere gli altri. Così Marco strozza Maregalit su uno scoglio, poi conduce Anna in un oscuro recesso marino, uccidendo anche lei. Quando Fabrizio ritorna, viene soppresso dopo una breve colluttazione sullo yacht, sotto gli occhi di Valeria. Il piano è questo: i due amanti - che in realtà si conoscevano da tempo - intendono impadronirsi degli averi di Anna per iniziare una nuova vita a Beirut. Tutto sembra filare liscio, ma ecco un nuovo colpo di scena. Tutti gli omicidi erano soltanto docetici. Allo spettatore è parso che Marco uccidesse Maregalit, Anna e Fabrizio, ma in realtà non era vero, era tutta una macabra messinscena, tanto che questi futili personaggi saltano fuori come folletti su un motoscafo sfrecciante. Così emerge un nuovo contorto piano, escogitato all'insaputa di Valeria. "Intèrrabang... fa stranamente rima con boomerang", commenta Marco. Valeria che non regge il colpo, non accetta di essere stata usata come un oggetto. All'inizio sembra stare al gioco e posa con gli altri in una serie di foto in cui fa smorfie e tira fuori la lingua, ma si capisce subito qualcosa non va: infatti getta la sua collana tra le onde, quindi si uccide gettandosi sull'elica dell'imbarcazione. Il film si chiude con un'angosciante ripresa del volto di Marco, pietrificato dallo stupore misto al raccapriccio. 

Recensione: 
Ho visto questo film fuori tempo massimo, quando l'epoca che lo aveva partorito era ormai soltanto un vaghissimo ricordo, remoto come la corte di Nabucodonosor o le vigne amare di Sodoma. Faccio fatica persino a credere che quel mondo faccia parte dello stesso cosmo in cui conduco la mia presente esistenza. Nonostante gli eventi narrati dalla pellicola abbiano tutte le caratteristiche di un thriller, non ho potuto evitare di sprofondare in uno stato ipnotico, fotogramma dopo fotogramma. Alla fine mi sono trovato in una condizione tale da contemplare l'intera esistenza con gli occhi immemoriali di un alligatore, come se vi fossi precipitato prima dell'inizio dello scorrere degli istanti. Eppure Interrabang è denso di contenuti della massima importanza: annuncia la Grande Frattura, il dragone del Postmodernismo che avanza, mentre le cariatidi di tutto ciò che esisteva prima si screpolano e infine crollano nella polvere.

 
Scarsità di mezzi  

Gli effetti speciali sono terrificanti. Trovo inguardabile la scena del suicidio di Valeria, proprio nel finale: quando la ragazza magrissima e quasi priva di tette si getta contro l'elica dello yacht, si vede affiorare sulle acque una chiazza informe di denso liquido di un assurdo arancione shocking, simile a una colata di plastica fusa. Quando ero un moccioso chiamavo quell'arancione "color dentista", perché un brutto giorno della mia vita, a causa dei dolori provocati da un dente marcio, i miei genitori mi avevano portato da un odontoiatra sadico con arredi plastificati di quell'inconfondibile tinta sgargiante. Altre denominazioni potrebbero essere queste: "carota psichedelica", "carotene arricchito", "color Papoola", "albicocca plastificata". Incredibile come i registi e gli addetti agli effetti speciali ignorassero tutto sul vero colore del sangue! Alcuni geni cinematografici immaginavano il sangue come sugo di pomodoro, altri come marmellata di amarene annacquata. Però a pensarci bene ci potrebbe essere una spiegazione alternativa: la povera Valeria in realtà era un'aliena! 😁
 
 

Una vita senza tragedia 
 
Un punto del film mi è rimasto particolarmente impresso. Durante l'ennesimo bagno di sole, Valeria fa alcune affermazioni piuttosto singolari, che preconizzano il suo triste destino. Si parla della vita e del suo legame intrinseco con la tragedia. Riporto il dialogo in questione:  
 
Fabrizio: "Si tratta del desiderio di eliminare quello che di tragico e di noioso c'è nella vita, dico bene? - riporta inevitabilmente alla tragedia."
Maregalit: "Non ho capito un bel niente!"
Fabrizio: "Perché sei stupida!"
Valeria: "Più leggo più mi rendo conto come tutti ovunque ci dicano tutti la stessa cosa. È filosofia vecchia, ormai, è la vecchia invenzione dei francesi l'eliminazione della tragedia."
Fabrizio: "Non ti sapevo così preparata."
Valeria: "Ti sembrerà incredibile, eh, ma capita anche a me di leggere, qualche volta. E qui c'è la tesi più vecchia del mondo. È importante giocare sulla vita. Il gioco come un mezzo per cercare e trovare la libertà."
Fabrizio: "Ma che libertà? Guarda che muoiono tutti alla fine."
Valeria: "Certo, ci avrei giurato, perché la libertà assoluta è la morte."
Fabrizio: "La morte..."
Maregalit: "Noiosi i ragazzi, ma colti!"
 
Eppure la tragedia è proprio ciò che Valeria vorrebbe rimuovere dalla propria esistenza, nonostante lo sdegno ostentato nei confronti della vecchia filosofia. L'inganno in cui cade è come un Ouroboros, il suo inizio coincide con la sua fine. L'insipienza della modella israeliana è spaventosa e al contempo è un segno dei tempi.  
 
Beirut, capitale della dolce vita

Pochi sanno che Beirut ha prodotto campioni dell'edonismo come l'ineffabile gioielliere Fawaz Gruosi e il cantante Gazebo (al secolo Paul Mazzolini). Al giorno d'oggi si fa molta fatica a crederci: l'intero Libano, per lunghi anni teatro di un sanguinoso conflitto, è stato ridotto a un immenso cumulo di macerie. Prima che divampasse questo orrore, le cose erano ben diverse. Nessuno, andando su e giù in limousine per la Beverly Hills della città cananaea, avrebbe mai pensato che Baal sarebbe giunto a pretendere il suo tributo in sangue e in carne bruciata. Il Dio dell'Antico Testamento, bugiardo e ingannatore, non ha abolito il sacrificio di Moloch: lo rinnova senza sosta nella terra di Canaan.  
 
Apologia dello spoiler 
 
Un tempo cercavo di evitare gli spoiler, poi mi sono oltremodo irritato e adesso faccio ciò che voglio. Se necessario spoilero. Queste sono le motivazioni razionali della mia scelta: 
 
1) Non ha senso leggere la recensione di un film che non si è visto; 
2) Chi vuol leggere la recensione di un film che non ha visto, dovrebbe prima vederselo;
3) Se il finale di un film è di capitale importanza, evitare di discuterne compromette la recensione. 
 
Si noterà che molte sinossi e recensioni di Interrabang, pur di tacere del finale, traggono in inganno il lettore, facendogli credere che Marco sia davvero un evaso e un assassino, che abbia davvero ucciso non soltanto un agente di polizia, ma anche Anna, Fabrizio e Maregalit. 


Una fallacia logica 
 
A un certo punto Marco, interpretato dall'irritante Corrado Pani, finge di strangolare Maregalit. Orbene, dato che Valeria si trova altrove e non può vedere né sentire nessuno dei due, a beneficio di chi è stato messo in scena questo omicidio simulato? In pratica è una scena assolutamente gratuita, girata soltanto per lo spettatore. Non ha costrutto alcuno. Tra l'altro, per pochi istanti si nota che l'uomo indugia e tocca il seno della modella esanime, volendo far credere di considerare un atto di necrofilia. Subito si allontana. Anche la morte docetica della biondissima Anna, che segue di lì a poco, obbedisce a questo canovaccio di insensatezza. L'atmosfera è rilassata, un omicidio non sembra possibile. Quello che dovrebbe essere un carnefice, un esecutore, intrattiene la vittima con un'amabile parlantina e con sbaciucchiamenti, poi la conduce in un diverticolo delle acque marine, che si insinua tra le rocce e in cui non giunge bene la luce dell'astro diurno. A questo punto la valchiria geme, dice che ha paura. Nella versione del film da me visionata non si vede alcun atto di violenza, si dà per scontato che l'uccisione si sia realizzata.  

 
Possibili residui di rimaneggiamenti 

Alcune domande angoscianti. Alla fine si capisce che Marco è un evaso finto, dato che tutto è stato architettato come in un gioco di ruolo multiplo, complicatissimo. Un guardiacoste ha affermato che il vero evaso è stato catturato, quindi non è stato Marco ad uccidere l'agente di polizia. Allora come mai verso l'inizio del film Maregalit, Valeria e Anna lo hanno avvicinato come se lo ritenessero davvero un evaso e un assassino? A che pro questa messinscena? Come mai hanno reagito con sostanziale indifferenza al rinvenimento del cadavere sulla scogliera? A pensarci bene, se tutti conoscevano Marco fin da principio, perché questi li ha preceduti sull'isola? Siamo forse di fronte a una trama cambiata più volte, in cui non è stata fatta nemmeno una rilettura sommaria per scovare incoerenze? Il racconto di Edgar Mills (stranamente privo di titolo) potrebbe aiutarci, ma ho il sospetto che sia fantomatico. Anzi, sembrerebbe che sia fantomatico lo stesso autore.   

Etimologia di Interrabang 

Come spiegato anche nel corso del film, la parola interrabang sta per interrogative bang (‽) e indica l'unione tra il punto interrogativo (interrogative-point, sinonimo di question mark) e il punto esclamativo (chiamato bang in gergo). L'ortografia corretta sarebbe in realtà interrobang. In buona sostanza si tratta di una parola macedonia. Valeria spiega il bizzarro segno d'interpunzione con queste parole: "È il segno nuovo del dubbio, dell’incertezza di noi tutti, l’incertezza di questa nostra epoca, l’incertezza del mondo..." Si potrebbe dire che l'interrabang è un geroglifico del postmoderismo, che esprime tutta la sua balbuzie di fronte alla stessa idea di verità oggettivamente determinabile. La prima volta che mi sono imbattuto nel titolo della pellicola di Biagetti ero talmente ingenuo da credere che Interrabang fosse il nome di un'isola dell'Indonesia. Accantonai subito un'altra ipotesi, a dire poco surreale: in preda a una subitanea alterazione autistica, per pochi istanti mi venne in mente che si potesse trattare del rumore dello sparo di una pistola interrata. 
 
 
Etimologia di Maregalit 
 
Ci viene detto nel corso del film che il nome dell'indossatrice israeliana è l'equivalente ebraico di Margherita, che significa "perla". In realtà siamo di fronte a una cattiva traslitterazione. Non dovrebbe essere Maregalit, bensì Margalit (מַרְגָּלִית). La -e- mediana è nata da un'errata lettura dello Schwa muto. Una variante del nome è Margolis. Si capisce subito che l'ebraico margalīt "perla" è un prestito dal greco margarítēs (μαργαρίτης). In ultima analisi la parola greca ha origini indoarie e iraniche: sanscrito mañjarī (मञ्जरी) "perla", persiano moderno morvārīd (مروارید) "perla". Come si può vedere già dall'aspetto, queste parole provengono da un sostrato non indoeuropeo.

Il maglio della censura  

Il thriller erotico-nichilista di Biagetti fu considerato indecente e pericoloso dal magistrato Vittorio Occorsio, che lo fece sequestrare su tutto il territorio nazionale. All'epoca bastava l'esibizione di mezza tetta, bastava qualche idea contraria al moralismo imperante per finire stritolati dalla macchina del Leviatano. Il pensiero prevalente a quei tempi era chiaro: l'apparato statale era animato dall'idea che un uomo onesto non potesse avere erezioni. Forse è stato questo, più che neanche il nichilismo morale, a destare le furie e l'accanimento dell'ingranaggio censorio. Adesso mi piacerebbe sapere cosa penserebbe dell'Italia del XXI secolo il magistrato in questione, che fu poi ucciso dagli Ordinovisti. Forse è colpa di Interrabang se ci sono gang di adolescenti riscimmiati che bruciano i vagabondi per provare lo sballo? Forse è colpa di Interrabang se ci sono gli snuff videos, se c'è la pedofilia dilagante? Forse è colpa di Interrabang se ci sono più corna che matrimoni? 

Una sorta di maledizione 

Si potrà anche non credere che la censura abbia avuto il potere di far scomparire Interrabang nel Nulla e nell'Oblio. Fatto sta che in cinquant'anni il film di Biagetti non è mai stato trasmesso in televisione, nemmeno una volta. I grandi dizionari cinematografici hanno a lungo evitato di menzionarlo. "Se un alieno capitasse sulla Terra e volesse informarsi intorno ai registi italiani, e specialmente su quelli attivi fra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, probabilmente non ne sospetterebbe neppure l’esistenza. È come se la sua memoria fosse stata cancellata." (Lamendola, 2008). Non sbaglieremmo se dicessimo che Interrabang è diventato un cult in stato di quasi assoluta clandestinità. 

La fine di un mondo 

L'interrabang è un simbolo più denso della materia collassata di una stella a neutroni: rappresenta in qualche modo una linea di demarcazione, uno spartiacque tra la vecchia società e quella nuova. Quali sono le proprietà di questo Homo novus? Semplice: l'unione tra l'assoluta mancanza di intelletto e l'assoluta mancanza di empatia. L'edonismo sfrenato fornisce a questa sintesi letale un'apparenza piacevole quanto traditrice.

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Questa è il link alla recensione del film di Biagetti su Il Davinotti
 
 
"L'unità di spazio e tempo origina purtroppo una staticità che a lungo andare stanca, anche perché i dialoghi - che in questi casi avrebbero l'obbligo di rendersi interessanti - non vanno molto al di là di qualche frase saltuariamente indovinata sempre all'insegna di un libertinismo esasperato. [...] Troppo facile? Chissà. Di certo porta con sé anche la chiara sensazione che i primi a esser presi in giro siam stati noi, spettatori di lunghi botta e risposta che non avrebbero avuto nella realtà alcuna logica di esistere, considerato quanto accade negli ultimi minuti. Consoliamoci con l'estetica, con l'occhio che se vuole la sua parte qui ce l'ha, sotto ogni... punto di vista."
(Marcel M.J. Davinotti Jr.)  

Sulla stessa pagina sono stati pubblicato diversi commenti di lettori, accumulatisi nel corso degli anni. Ne riporto alcuni: 
 
"Una sorta di fotoromanzo glamour che ha la sua forza nelle splendide attrici perfettamente svestite e nella suggestiva location (claustrofobica per via della barca, angosciante per via del mare aperto). Ovviamente anche il contorno quasi anni 70 non ha paragoni, cinematograficamente parlando. Poi. Poi, sostanzialmente, non accade nulla. I dialoghi sono un po’ così, la tensione dev'essere annegata nel Tirreno e l’erotismo disperso in qualche parte dell’isola. E' un po’ tutto e un po’ niente, questa pellicola. Con un suo fascino."
(Ira72)

 
La prima parte è piena zeppa di dialoghi noiosetti, com’era tipico di quell’epoca, nonché intellettualoidi e di grande vacuità e banalità. Eppure il film si lascia seguire in modo gradevole, fino a quando non ingrana e si apre veramente al thriller. L'ultima parte presenta anche dei riusciti colpi di scena, non certo molto prevedibili.
(Cotola) 

Tre bambole baviane alle prese con orgasmi e paranoie lenziani su uno yacht spiaggiato senza benzina. Prima di dedicarsi al decamerotico sotto pseudonimo (forse proprio per preservare l'integrità degli esordi) Biagetti è artefice di questo singolare vip thriller più intellettualistico della media.
(Il Dandi)

Noioso. Questo il maggior difetto imputabile al film, che si trascina stancamente per tutta la sua durata senza mai riuscire a interessare davvero; che poi la sceneggiatura giochi assai "sporco" con gli spettatori diventa cosa di secondaria importanza.
(Caesars) 
 
Interessante la recensione sul sito di Arianna Editrice, a firma di Francesco Lamendola, in cui è affermata una tesi abbastanza singolare: Interrabang sarebbe in sostanza del tutto privo di contenuti e consisterebbe unicamente nell'atmosfera che riesce ad evocare (mare + sole + sesso + musica + suspense). Il testo è dottissimo e pieno di riferimento. Così come Abdul Alhazred si chiama così perché ha letto tutto (all has read), recensori tanto valenti e dotti dovrebbero essere denominati Abdul Alhasseen, perchè - diabole domine - hanno visto tutto, ma proprio tutto. Io non ci arriverei mai. Chapeau. Ecco il link: 
 
 
Segnalo un "Portfolio Sotterraneo", uno dei pochi siti nel vasto Web ad ospitare uno spoiler di Interrabang. Quindi è senz'altro un sito onesto che merita la mia stima. Ecco il link: 
 
 
Questa è la recensione di Massimiliano Schiavoni, apparsa su Quinlan (Rivista di critica cinematografica): 
 

sabato 30 novembre 2019


LA FONTANA DELLA VERGINE 

Titolo originale: Jungfrukällan
Anno: 1960
Regia: Ingmar Bergman
Paese: Svezia
Lingua: Svedese
Durata: 89 min
Colore: B/N
Rapporto: 1,37:1
Genere: Epico, drammatico
Soggetto: Leggenda popolare del XIV secolo (Per Tyrssons
      d
öttrar i Vänge)
Sceneggiatura: Ulla Isaksson
Produttori (non accreditati): Ingmar Bergman, Allan
      Ekelund
Casa di produzione: Svensk Filmindustri 
Responsabile della produzione: Carl-Henry Cagarp 
Fotografia: Sven Nykvist
Musiche: Erik Nordgren
Montaggio: Oscar Rosander
Scenografia: P.A. Lundgren
Costumi: Marik Vos-Lundh (come Marik Vos)
Trucco: Börje Lundh
Fonici: Evald Andersson (effetti sonori), Staffan Dalin,
     Aaby Wedin 
Dipartimento artistico: Karl-Arne Bergman
Assistente alla telecamera: Rolf Holmquist
Interpreti e personaggi:
    Birgitta Pettersson: Karin
    Gunnel Lindblom: Ingeri, la serva pagana
    Max von Sydow: Töre
    Birgitta Valberg: Märeta
    Axel Düberg: Pastore magro
    Tor Isedal: Pastore a cui è stata strappata la lingua
    Ove Porath: Bambino
    Allan Edwall: Il monaco
    Oscar Ljung: Simon
    Gudrun Brost: Frieda
    Axel Slangus: Il Guardiano del Ponte, Odino
    Tor Borong: Un bracciante
    Leif Forstenberg: Un bracciante
Doppiatori italiani:
    Fiorella Betti: Karin
    Anna Miserocchi: Ingeri, la serva pagana
    Giuseppe Rinaldi: Töre
    Lydia Simoneschi: Märeta
    Pino Locchi: Pastore magro
    Manlio Busoni: Il monaco
    Maria Saccenti: Frieda
    Amilcare Pettinelli: Il Guardiano del Ponte, Odino
Traduzioni del titolo:
    Inglese: The Virgin Spring
    Tedesco: Die Jungfrauenquelle
    Francese: La Source
    Spagnolo: El manantial de la doncella
    Portoghese:
A Fonte da Virgem
    Danese: Jomfrukilden
    Finnico: Neidonlähde
    Lituano:
Šaltinis
    Polacco: Źródło
    Russo: Девичий источник
    Ungherese: Szűzforrás
    Turco: Genç kız pınarı
    Arabo (Egitto): Alrabi' albekr
    Persiano:
Cheshme-ye bakere
    Giapponese:
Shojo no izumi (処女の泉
Premi e riconoscimenti:
    1961 - Premio Oscar
        Oscar al miglior film straniero
    1961 - Golden Globe
        Golden Globe per il miglior film straniero
    1960 - Festival di Cannes
        Menzione speciale
    1961 - Semana Internacional de Cine de Valladolid
        Lábaro de oro

Trama:
Siamo nel XIV secolo, in una regione impervia della Svezia. Töre è un proprietario terriero la cui moglie Märeta è molto devota. La loro  unica figlia, la bellissima Karin, deve portare dei ceri in chiesa in occasione della Candelora per offrirli alla Vergine. Infatti secondo il costume cristiano i ceri per la Madonna devono essere offerti da una ragazza vergine. Nella fattoria di Töre abita anche Ingeri, una serva che porta in grembo un figlio, frutto di uno stupro. Di notte, mentre i suoi padroni dormono, lei invoca Odino affinché porti loro la rovina. La ragazza gravida è infatti pagana. Nessuno sospetta l'odio che cova in lei, così viene incaricata di accompagnare Karin nel suo viaggio verso la chiesa. Durante il tragitto accadono cose portentose. Mentre Karin procede a cavallo, Ingeri viene chiamata dal custode del ponte, che la attira nella propria dimora. Presto si capisce che il vecchio uomo è in realtà lo stesso Odino. Terrorizzata in seguito a un'avance, la giovane pagana fugge via nel bosco. Intanto la figlia di Töre incontra tre pastori. Il primo è un uomo magro con pochi capelli biondicci. Il secondo, bruno e dal sembiante distorto, è mutilato della lingua e parla in modo incomprensibile. Il terzo è un bambino. I tre convincono facilmente la ragazza a dividere con loro le proprie provviste, ma a questo punto accade la tragedia. Una volta consumato con lei il pasto, i due uomini le saltano addosso e la stuprano. Preso da una furia incoercibile, l'uomo con la lingua tagliata si avventa su di lei con una grossa mazza di legno e le fracassa il cranio, uccidendola sul colpo. Ingeri, che nel frattempo è giunta sul luogo, assiste al delitto ma non fa nulla per fermarli. La ragazza uccisa viene spogliata delle sue vesti preziose e abbandonata. L'uomo con la lingua tagliata trova i ceri e li calpesta con furia. Il bambino, mosso a pietà, seppellisce Karin raccogliendo a mani nude il terriccio e mettendolo sul corpo estinto per coprirlo alla bell'e meglio. Intanto nella dimora di Töre tutti capiscono che qualcosa è andato storto, visto che la giovane non ha fatto ritorno. Giungono i tre pastori, che trovano il padrone della fattoria e gli chiedono ospitalità, dicendo di provenire da un paese devastato dalla carestia. Vengono accolti e condotti nella grande sala, dove viene dato loro da mangiare. Durante la notte, i tre commettono un gravissimo errore: propongono alla signora della casa, Märeta, la vendita di una splendida veste, dicendo che apparteneva a una loro sorella deceduta. La donna riconosce subito il prezioso abito di seta della figlia. Capisce immediatamente che la povera Karin è stata uccisa da quegli uomini. Senza scomporsi dice loro che ne deve parlare con suo marito, quindi si reca da lui e gli racconta tutto. Töre è furioso e prepara la vendetta di sangue. Chiede a Ingeri, che gli ha narrato le atrocità compiute dai pastori, di scaldare le pietre per il bagno. Fatto questo, sradica con la forza delle proprie braccia una betulla, ne taglia i rami e li usca per fustigarsi mentre prende un bagno a vapore. Si tratta di un complesso rituale preparatorio. Fatto questo, entra nella grande sala e uccide i pastori. Non ha pietà neppure del bambino, nononstante le suppliche di Märeta, che per istinto materno vorrebbe risparmiarlo: lo afferra e lo getta contro un mobile, fracassandogli la spina dorsale, uccidendolo sul colpo. Ingeri guida i genitori di Karin sul luogo del delitto e il cadavere viene tolto dal sottile strato di terra nuda sotto cui l'aveva nascosta il bambino. Töre non sa darsi pace e si strazia, non capisce come Dio possa averlo caricato con un simile gravame. Nonostante non sia capace di spiegarsi la volontà divina, l'uomo promette solennemente che edificherà una grande chiesa di pietra e di calce proprio in quel luogo. Non appena il corpo della vergine viene rimosso, sgorga una copiosa fonte di acqua limpida. Ingeri si prosterna, piange e si lava il volto nell'acqua, mentre Märeta usa l'acqua per pulire la faccia di Karin da ogni traccia di sozzura e di sangue.     

 
Recensione: 
Con pochissime eccezioni, i recensori che abbondano nel Web non sembrano capire l'estrema complessità di questo film. C'è chi parla del rapporto tra l'essere umano e Dio, in un'ottica esclusivamente cristiana. Eppure la chiave di lettura appare subito fin dalle prime sequenze della pellicola, come una crepa che si apre all'improvviso nel cielo: la giovane Ingeri, nella sua solitudine, compie un atto privato che è qualcosa di inconcepibile in un contesto dominato dal geloso Dio delle Scritture. Ingeri urla: "Odino vieni a me!" Ecco la spaccatura che incrina le certezze dell'uomo medievale. Tanto hanno risuonato in me queste parole che mi è parso di udirle in norreno: "Óðinn kom til mik!" Sarebbe di grande interesse curare un doppiaggio del film in quella lingua. Certo, nel XIV secolo sarebbe suonata in modo un po' diverso, ma la sostanza non cambia. Emerge dall'analisi dell'opera di Bergman l'incredibile debolezza della religione ancestrale rispetto al nuovo culto cristiano, introdotto sulla punta della spada. Di fronte al tormento dell'uomo che si domanda come mai Dio sia muto, più muto del pastore assassino responsabile di tutto questo dolore, la soluzione sarebbe semplice. Eppure proprio per la sua semplicità, appare inconcepibile al protagonista. Abiurare il Cristianesimo e adorare Odino, ecco la soluzione più ovvia, più immediata, in grado di ricomporre un mondo distrutto. Perché costruire una chiesa anziché placare l'antica divinità con un sacrificio di sangue? Cercare la Salvezza? Perché mai, visto che nessuno si può salvare? Non so come mai nessuno si sia accorto di questo punto cruciale. Per dirla in modo stringato, il problema è che troppe persone credono che Odino e Thor siano invenzioni della Marvel. 

Una censura vigliacca 

In un borgo particolarmente bigotto del Texas il film di Bergman è stato censurato perché nelle sequenze dello stupro sono visibili le gambe nude della ragazzina. Questa è la mens puritana americana. Il problema non è la violenza sessuale, che ha proprio nella Bibbia una rinomata tradizione apologetica. Il problema sono le gambe nude. Ecco, volevo giusto farlo notare. Tra le mer(d)aviglie dell'America c'è anche questo genere di cose.  


Una guerra di religione 
 
I tre pastori sono pagani che combattono attivamente contro la religione dominante. I loro crimini non sono semplici atti di predazione: sono atti di guerra. Il calpestamente dei ceri non sarebbe mai stato compiuto da un cristiano in un simile contesto. Il pastore bruno dalla lingua mozzata è quello più animato dall'odio, perché intende vendicarsi di un grave torto che gli è stato inflitto. Anche se nella pellicola di Bergman non si parla degli antefatti, si capisce all'istante qual è la causa della mutilazione. L'uomo è stato sorpreso a compiere un sacrificio pagano e un sovrano cristiano lo ha condannato, facendogli recidere la lingua. Cose del genere erano all'ordine del giorno. Oggi si fa tanto parlare di un Medioevo splendido che irradiava la luce della civilità. Coloro che lo fanno e che a ogni piè sospinto insistono sulle "radici cristiane dell'Europa", relegano nell'Oblio le innumerevoli atrocità di quel mondo di tormenti e di morte, in cui la Chesa di Roma governava col pugno di ferro del peggior tiranno. Sono orrori ben documentati. Ne esiste una vasta miniera in cui non smetto mai di scavare. 
 
 
Il Guardiano del Ponte 

"Come ti chiami?", chiede Ingeri. "Di questi tempi quale valore ha un nome?", risponde il Guardiano. L'allusione è chiara. In un'epoca in cui si è imposto il Cristianesimo e l'Antico Costume langue, i nomi degli uomini hanno cessato di avere importanza. Non mancano i riferimenti all'onniveggenza e all'onniscienza di Odino. "Questo è un luogo molto solitario. Non hai nessuno vicino?" chiede Ingeri. "No", risponde il Guardiano, "Io sento ciò che voglio. E vedo ciò che voglio. Sento tutto ciò che si sussurra in segreto, e vedo quello che altri non vedono." Poi promette di condividere con la ragazza questa facoltà sovrumana: "Puoi riuscire a farlo anche tu, solo che tu lo voglia. Ascolta!" All'improvviso si odono rumori di zoccoli di cavalli al galoppo. "Cos'è questo galoppo all'esterno?", chiede Ingeri. "Sono tre spettri che vanno a nord!", risponde il Guardiano. La giovane non supera la prova, non accetta il modo in cui la forza sta per esserle trasmessa. Non gradisce di farsi rovistare tra le gambe dall'essere che le appare come un vecchio uomo lascivo. Quando fugge sconvolta dalla dimora del dio, si sentono gracchiare due grossi corvi: sono proprio Huginn e Muninn! Si credeva che questi prodigiosi volatili, neri come la pece, volassero in tutto il mondo e portassero a Odino ogni genere di notizie e di informazioni. Essendo in grado di bilocarsi, il Guardiano del Ponte fa la sua comparsa tra gli arbusti, sghignazzando. Si vede che un suo occhio è diverso dall'altro: si tratta di una biglia di pasta di vetro lavorata con arte. Com'è notorio, il Padre degli Asi è monocolo, avendo sacrificato un occhio per avere la sapienza. Le sue capacità di mascheramento sono leggendarie! 
 
Nei rari commentatori che si sono resi conto dei contenuti pagani del film, sorge il dubbio che il Guardiano del Ponte possa essere il Diavolo. La cosa non è affatto problematica. Come l'ottima studiosa Gianna Chiesa Isnardi ci ricorda, nella società scandinava cristianizzata permaneva la ferma credenza nell'esistenza fisica degli antichi Dei, che però erano ritenuti demoni. Così ai tempi in cui la vicenda è ambientata Odino era considerato una manifestazione del Diavolo. Si è verificato un bizzarro sincretismo. In altre parole, se la conoscenza delle cose del Cielo aveva per i Cristiani nordici la sua fonte nelle Scritture, la demonologia era formata dall'intero edificio dell'antica religione pagana. La conoscenza delle cose dell'Inferno implicava dunque la pratica dei riti del Paganesimo e questo per secoli dopo che era avvenuta la cristianizzazione. Peccato che queste cose i manuali scolastici non le riportino, tanto sono considerate irrilevanti dallo sciagurato corpo docente. 
 

 
Ingeri e il veleno dei rospi 

La pratica magica di Ingeri è per necessità molto limitata. Si limita in buona sostanza all'utilizzo dei rospi, nascosti abilmente in mezzo al cibo per avvelenare le persone odiate. Il suo bersaglio è Karin, ma il batrace tossico finisce in bocca al pastore più giovane, inducendogli un'intensa nausea e crisi di vomito. La bruna Ingeri è consapevole della pochezza delle proprie arti, per questo viene subito irretita dal Custode del Ponte, che le promette una cura ai dolori della gravidanza. Il seggio di Odino è di fattura arcaica. I braccioli sono statue lignee finemente intagliate: una rappresenta Thor con tanto di martello, l'altra rappresenta Freyr. Seguono alcuni incantesimi. "Questo reca sollievo ai tuoi dolori", dice Odino alla ragazza, mostrandole il corpo di un serpente arrotolato e irrigidito. Ne ha subito pronto un altro identico, un doppione, seguito da una formula simile: "Questo reca sollievo alle tue pene". "Basta o sangue, non scorrere più!", recita quindi mostrando il dito mozzato di un uomo, rimedio contro le emorragie. La divinità estrae un pesce rinsecchito e dice: "Pesce non nuotare più". Subito dopo estrae un pipistrello rinsecchito e dice: "Pipistrello non volare più". Tutto ciò ha corrispondenze ben numerose nel patrimonio di formule e incantesimi in uso nell'antica Germania come medicina tradizionale. Com'è ovvio, i recensori ignari dell'antica religione non si sono accorti di nulla e nemmeno menzionano questi tesori antropologici nei loro interventi. 


Lo scacciapensieri 
 
Uno dei tre pastori, quello ben dotato di parlantina, a un certo punto suona uno scacciapensieri. Si tratta di uno dei più antichi strumenti musicali. Molti pensano che sia originario della Sicilia, dove è chiamato marranzanu. In realtà il suo uso è documentato su territori vastissimi, praticamente in ogni parte del globo. Oltre a marranzanu, in Sicilia è chiamato anche mariòlu o ngannalarruni (alla lettera "inganna-ladri"). La parola marranzanu significa propriamente "grillo canterino", ma esiste anche un suo omofono col significato di "uomo poco raccomandabile" (derivato di marranu, equivalente all'italiano marrano, di origine spagnola e in ultima analisi araba). Così grazie a questa omofonia è nato mariòlu, come per un gioco di parole (anche mariòlu significa "uomo poco raccomandabile"). In Sardegna lo strumento musicale arcaico è chiamato trunfa o trumba. In modo simile, gli Zingari della Campania lo conoscono come tromba, denominazione che ritorna nei Balcani come dombra. In Lombardia è detto viabò, in Corsica riberbula. In Francia si chiama guimbarde, in Spagna arpa de boca o biribao, in Portogallo birimbau. La sua diffusione raggiunge la Siberia e la remotissima terra degli Jakuti (che non sono gli inventori della Jacuzzi).  

Il canto del cuculo 

L'arrivo dei tre pastori è preceduto e accompagnato dal canto del cuculo, un uccello augurale connesso a Odino. Simile a un piccione con gli occhi grossi, fissi e strabici, col ventre decorato finemente da leggere striature, questo parassita dei nidi di altre specie emette un verso nitidissimo e potente, anche se molto ripetitivo: "Gukkù! Gukkù! Gukkù!" Può andare avanti anche per mezz'ora. Quel cuculo canoro è un portento funesto che annuncia la rovina di Karin e continua a cantare a lungo. 


Il pastore e l'uccisore: due fratelli  

In Germania esiste un detto arcaico, testimonianza di un'epoca molto diversa dalla nostra. Schäfer und Schinder sind Geschwisterkinder "Il pastore e l'uccisore sono due fratelli". Il termine Schinder, ormai arcaico, indicava un uomo incaricato di abbattere animali vecchi o malati e di riciclarne i resti. Era una sorta di intoccabile, come i Dalit dell'India. I suoi compiti includevano la soppressione dei cani randagi, la pulizia dei pozzi neri e delle fogne, la rimozione di cumuli di immondizia. Un altro significato di Schinder è "uomo che abusa,  tormenta o sfrutta altre persone". Il pastore e l'abbattitore erano i residui di una società neolitica male assimilata dalle genti indoeuropee e relegati come altri intoccabili ai margini del consorzio umano: non sorprende troppo che su di loro gravasse uno stigma, che fossero considerati moralmente ripugnanti. Lo stupro e l'assassinio erano loro attributi, come la sporcizia e l'impurità.  


Il canto del monaco 
 
La vergine Karin è appena partita a cavallo per portare i ceri alla Madonna. Il monaco è al settimo cielo ed esprime la sua gioia con un bellissimo canto che non è stato tradotto. La sua pronuncia è chiarissima, al punto che molte parole mi risultano comprensibili, come se la lingua fosse una forma di tardo norreno più che non svedese moderno. In particolare la rotica /r/ è fortemente trillata, come in italiano e in spagnolo. Quando visitai la Svezia, rimasi stupito dal suono della lingua. Quando capii che la parola stjarna "stella", era pronunciata /'ʃanǝ/, mi sentii quasi male e fui preso dal disgusto. E pensare che in norreno i suoni erano distinti, chiari e cristallini come acqua di fonte! Ecco, il canto del monaco bergmaniano testimonia che una pronuncia arcaica e nobile dello svedese è ancora ricordata da alcuni. 

 
Un inferno pagano 
 
Il monaco è un uomo molto istruito e intelligente. È un valente poeta, le cui parole non si dimenticano. Oltre a conoscere le Scritture, conosce bene anche le cose pagane. Così, avendo capito che i pastori e gli assassini sono consanguinei stretti, raggiunge il bambino steso sul letto e gli racconta del reame di Hel:

"Vedi come il fumo trema e si abbarbica sotto il tetto? È come se avesse parura dell'Ignoto. Eppure se si librasse nell'aria troverebbe uno spazio infinito dove volteggiare. Ma forse non lo sa. E così se ne sta qui, nascosto, tremolante e inquieto. Con gli uomini capita lo stesso. Essi vagano inquieti come tante foglie al vento. Per quel che sanno e per quello che non sanno. Tu... tu passerai su un ponticello stretto e malfermo. Così stretto che non saprai dove poggiare il piede per sorreggerti. Sotto di te muggisce un fiume, ed è tetro, e vuole inghiottirti. Ma raggiungerai l'altra riva. Ma ora avanti a te trovi un burrone, così scosceso che non puoi vederne il fondo. Delle mani vogliono afferrarti, ma non ti raggiungono. Infine, di fronte a te avrai un'orribile montagna. Il fuoco scaturisce dai fianchi. Crepacci orrendi partono dalle sue falde. Le fiamme sprizzano tutte insieme, rame e ferro, vetriolo azzurro e giallo zolfo. Il basalto geme e si frantuma sotto il maglio dei fulmini, e intorno atterriti piccoli uomini fuggono, come mille formiche. Perché quella fornace inghiotte gli assassini e i predoni!"

Solo a questo punto subentra qualcosa di cristiano, anche se non viene menzionato esplicitamente il Salvatore:

"Ma nel preciso esatto istante in cui ti senti perso, una mano ti afferra e un braccio ti circonda alla vita, e ti trasporta lontano, in salvo, là dove il Male non ha più potere alcuno." 

Ci si imbatte ben di rado in simili vette di poesia, di assoluto lirismo!

Un antico codice di vendetta 

Per Töre la vendetta è qualcosa di estremamente importante. L'uccisione di un proprio caro non può e non deve per nessun motivo restare impunita. In un contesto in cui la giustizia pubblica è lesta soltanto a punire le offese religiose, è dovere irrinunciabile del singolo assumersi l'onere di vendicarsi. A parer mio è errato, nonostante venga fatto spesso, opporre il codice della vendetta, di cui si ricorda l'origine pagana, alle dottrine cristiane del perdono e della misericordia. Basta infatti studiare le saghe nordiche per comprendere che l'essere pagano o cristiano non influenza affatto il modo di intendere la vendetta. Ci furono ferventi cristiani che non porgevano affatto l'altra guancia. Il Re Olaf II Haraldsson di Norvegia, che fu fatto santo (e tale dovrebbe essere ancora considerato dai cattolici), era violento e tirannico, tanto che il perdono gli era alieno. Impugnava la spada e affrontava i nemici in battaglia, faceva torturare e uccidere, condannava a morte senza la minima esitazione. Eppure lui e i suoi cortigiani erano chiamati Kristmenn, ossia "Uomini di Cristo".  


La leggenda delle figlie di Per Tyrsson 
 
Bergman ha apportato modifiche alla leggenda originale e l'ha molto rielaborata. Questo è il testo della ballata, intitolata Per Tyrssons döttrar i Vänge o Töres döttrar i Vänge (due versi sono incompleti, le parti mancanti ricostruite sono messe tra parentesi quadre [...]): 

Per Tyrssons döttrar i Vänge
kaller var deras skog
de sovo en sömn för länge
medan skogen han lövas

Först vaknade den yngsta
kaller [var deras skog]
så väckte hon upp de andra
medan [skogen han lövas]
Så satte de sig på sängastock.
Så flätade de varandras lock.
Så togo de på sina silkesklär.
Så gingo de sig åt kyrkanom.
Men när som de kommo till Vänge lid
så möta dem tre vallare
- Å antingen viljen I bli vallareviv
eller viljen I mista ert unga liv?
- Å inte vilja vi bli vallareviv.
Långt hellre vi mista vårt unga liv
De högg deras huven mot björkestock.
Där runno tre klara källor opp.
Kropparna grävde de ner i dy.
Kläderna buro de fram till by.
Men när som de kommo till Vänge gård,
ute för dem fru Karin står
- Å viljen I köpa silkessärkar
dem sexton jungfrur stickat å virkat
- Lös upp era knyten å låt mej se,
kanhända jag känner dem alla tre
Fru Karin sig för bröstet slår
och upp till Per Tyrsson i porten hon går
- Där håller tre vallare på vår gård.
De hava gjort av med döttrarna vår.
Per Tyrsson han tar sitt svärd i hand.
Så högg han ihjäl de äldsta två.
Den tredje låter han leva
för att få honom fråga:
- Vad heter eder fader?
Vad heter eder moder?
- Vår fader Per Tyrsson i Vänge
Vår moder fru Karin i Skränge
Per Tyrsson han går sig åt smedjan
Han slår sig järn om midjan
- Vad skola vi göra för syndamen?
- Vi ska bygga en kyrka av kalk å sten.

- Den kyrkan skall heta Kärna
den bygga vi upp så gärna  
 
Questa è la traduzione:  

Le figlie di Per Tyrsson a Vänge,
era così fredda la foresta,
dormirono un sonno troppo lungo 
mentre la foresta metteva le foglie
La più giovane si svegliò per prima,
Iera così fredda <la foresta>,
E così lei svegliò le altre
mentre la foresta metteva le foglie 
Poi si sedettero sul letto
Così si intrecciarono i capelli l'un l'altra
Così indossarono le loro vesti di seta
Così andarono alla chiesa
Ma quando giunsero al colle di Vänge
Incontrarono tre banditi.
"Volete essere mogli di banditi, 
o perdere le vostre giovani vite?"
"Non vogliamo essere mogli di banditi,
perderemo piuttosto le nostre giovani vite". 
Tagliarono le loro teste su un ceppo di betulla
Là subito sgorgarono tre fonti
I corpi sepolti nel fango 
I vestiti portati al villaggio
Quando giunsero alla fattoria di Vänge
La Signora Karin li incontrò nel cortile
"E vorreste voi comprare abiti di seta,
da nove ragazze intrecciati e cuciti a maglia?"
"Slegate i vostri sacchi e fatemi vedere,
forse li conosco tutti e tre"
La Signora Karin si batté il petto dal dolore
e andò a trovare Per Tyrsson.
"Ci sono tre banditi nel nostro cortile,
che hanno ucciso le nostre figlie."
Per Tyrsson impugnò la sua spada
Egli uccise i due più anziani
Il terzo lo lasciò in vita
Quindi gli chiese questo:
"Qual è il nome di tuo padre?
Qual è il nome di tua madre?"
"Nostro padre è Per Tyrsson a Vänge,
Nostra madre è la Signora Karin a Stränge."
Per Tyrson andò alla fucina
E si fece applicare il ferro intorno alla vita.
"Cosa dobbiamo fare per i nostri peccati?"
"Costruiremo una chiesa di calce e di pietra.
Quella chiesa sarà chiamata Kerna,
e la costruiremo ben volentieri." 

Il testo svedese, sopra riportato in ortografia normalizzata, è stato cantato da Greta Naterberg e raccolto da J.H. e D.S. Wallman nel 1812. Come si vede, nella ballata sono tre le vergini uccise; Karin è invece il nome della moglie del possidente, loro madre. Bergman ha semplificato le cose, così c'è una sola vergine, a cui viene attribuito il nome che nella leggenda originale era della moglie di Töre. La cosa più sconvolgente, di cui nella pellicola non si fa menzione, è che i tre briganti assassini sono essi stessi figli dei genitori delle vergini e quindi loro fratelli. Essi volevano prendere come mogli le loro stesse sorelle, ignorando la loro origine. Perché i tre figli sono diventati briganti? Non lo sappiamo. Sugli antefatti, oscurissimi, ha cercato di fare chiarezza il regista, mettendoci della sua fantasia. 
 
Etimologia di Töre 
 
L'antroponimo Töre, con la variante Tyre e col patronimico Tyrsson, risale al norreno Þýrví, Þórví, attestato però come nome femminile. Il nome del signore di Vänge dovrebbe significare "Consacrato a Thor", meno probabilmente "Combattente di Thor". Resta di difficile spiegazione l'Umlaut palatale.
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Segnalo una recensione che mi sembra migliore di molte altre, pubblicata sul sito Quinlan.it (Rivista di critica cinematografica). L'autore è Massimilano Schiavoni.   

 
Certo, mi pare un po' stravagante la tesi del Divino che salterebbe fuori in un suo aspetto mostruoso proprio nel verrucoso rospo che insozza il pane, in contrasto al candore immacolato dell'ostia. In ogni caso, è comunque molto interessante.