sabato 10 ottobre 2020

ETIMOLOGIA DI MELQART

Melqart (fenicio Mlqrt /mil'qart/) è il nome della divinità tutelare della città fenicia di Tiro. Si hanno anche le trascrizioni Melkart, Melkarth e Melgart, meno precise; la forma accadica è Milqartu. L'etimologia del teonimo è trasparente. Melqart significa "Re della Città": deriva da mlk /milk/ "re" e da qrt /qart/ "città". La cosa più degna di nota a questo riguardo è il risultato dello scontro tra il fonema /k/ di /milk/ e il fonema /q/ (occlusiva uvulare) di /qart/: il primo scompare, assorbito dal secondo, in modo tale da evitare ogni cacofonia. Il fenicio mlk "re" corrisponde all'ebraico מֶלֶךְ melekh "re", mentre qrt "città" corrisponde all'ebraico קִרְיָה qiryāh "città; accampamento" (stato costrutto קִרְיַת־ qiryath-; plurale קְרָיוֹת qərāyōth). Il corrispondente vocabolo arabo è قَرْيَة qarya "città". 
 
Melqart aveva l'epiteto Bʽl Ṣr /baˁal 'tsˀu:r/ "Signore di Tiro". I Greci lo hanno identificato con Eracle. Per i Romani egli era Ercole di Tiro. L'interpretatio graeca e l'interpretatio romana avevano il loro fondamento nelle caratteristiche salienti della divinità in questione, di cui ogni anno si festeggiava il risveglio, chiamato in greco ἔγερσις (égersis), in corrispondenza del mese di febbraio - e non del solstizio d'inverno. Il ciclo vita-morte-resurrezione era il significato profondo di questa festa, in occasione della quale i marinai di Tiro si abbandonavano a danze vorticose e a sfrenatezze.   
 
Alcune citazioni interessanti 
 
Così scrisse Erodoto (Storie, libro 2, 44): 
 
[1] καὶ θέλων δὲ τούτων πέρι σαφές τι εἰδέναι ἐξ ὧν οἷόν τε ἦν, ἔπλευσα καὶ ἐς Τύρον τῆς Φοινίκης, πυνθανόμενος αὐτόθι εἶναι ἱρὸν Ἡρακλέος ἅγιον. [2] καὶ εἶδον πλουσίως κατεσκευασμένον ἄλλοισί τε πολλοῖσι ἀναθήμασι, καὶ ἐν αὐτῷ ἦσαν στῆλαι δύο, ἣ μὲν χρυσοῦ ἀπέφθου, ἣ δὲ σμαράγδου λίθου λάμποντος τὰς νύκτας μέγαθος. ἐς λόγους δὲ ἐλθὼν τοῖσι ἱρεῦσι τοῦ θεοῦ εἰρόμην ὁκόσος χρόνος εἴη ἐξ οὗ σφι τὸ ἱρὸν ἵδρυται. [3] εὗρον δὲ οὐδὲ τούτους τοῖσι Ἕλλησι συμφερομένους: ἔφασαν γὰρ ἅμα Τύρῳ οἰκιζομένῃ καὶ τὸ ἱρὸν τοῦ θεοῦ ἱδρυθῆναι, εἶναι δὲ ἔτεα ἀπ᾽ οὗ Τύρον οἰκέουσι τριηκόσια καὶ δισχίλια. εἶδον δὲ ἐν τῇ Τύρῳ καὶ ἄλλο ἱρὸν Ἡρακλέος ἐπωνυμίην ἔχοντος Θασίου εἶναι: [4] ἀπικόμην δὲ καὶ ἐς Θάσον, ἐν τῇ εὗρον ἱρὸν Ἡρακλέος ὑπὸ Φοινίκων ἱδρυμένον, οἳ κατ᾽ Εὐρώπης ζήτησιν ἐκπλώσαντες Θάσον ἔκτισαν: καὶ ταῦτα καὶ πέντε γενεῇσι ἀνδρῶν πρότερα ἐστὶ ἢ τὸν Ἀμφιτρύωνος Ἡρακλέα ἐν τῇ Ἑλλάδι γενέσθαι. [5] τὰ μέν νυν ἱστορημένα δηλοῖ σαφέως παλαιὸν θεὸν Ἡρακλέα ἐόντα, καὶ δοκέουσι δέ μοι οὗτοι ὀρθότατα Ἑλλήνων ποιέειν, οἳ διξὰ Ἡράκλεια ἱδρυσάμενοι ἔκτηνται, καὶ τῷ μὲν ὡς ἀθανάτῳ Ὀλυμπίῳ δὲ ἐπωνυμίην θύουσι, τῷ δὲ ἑτέρῳ ὡς ἥρωι ἐναγίζουσι.
 
"Volendo io su questi fatti sapere qualche cosa di preciso da coloro che potevano esserne informati, feci vela anche per Tiro di Fenicia, essendo a conoscenza che colà c'era un venerato santuario di Eracle. E vidi il tempio riccamente adorno di molti doni votivi, tra l'altro c'erano due stele, una d'oro puro, l'altra di smeraldo, che nella notte emanava intensi bagliori. Venuto a colloquio con i sacerdoti del dio, chiesi loro da quanto tempo era stato innalzato il santuario. Ma trovai che neppure quelli s'accordavano con i Greci poiché assicuravano che la costruzione del tempio era stata contemporanea alla fondazione di Tiro e Tiro era abitata già da 2300 anni. Siccome, poi, a Tiro avevo visto un altro tempio di Eracle, detto Tasio, mi recai anche a Taso e vi trovai il santuario di Eracle fondato dai Fenici, i quali, messisi in mare per ricercare Europa, avevano colonizzato Taso: e ciò era avvenuto ben cinque generazioni umane prima che, in Grecia, venisse alla luce Eracle, figlio di Anfitrione. Le mie ricerche, dunque, dimostrano all'evidenza l'antichità del dio Eracle. E a mio parere, fanno molto bene quei Greci che hanno santuari eretti a due Eracli: a uno, che chiamano Olimpio, offrono sacrifici come a un dio; all'altro onori funebri come a un eroe." 
 
Flavio Giuseppe scrisse quanto segue su Hiram I, Re di Tiro (circa 965 a.C. - 935 a.C.), citando come fonte Menandro, che tradusse testi dal fenicio al greco (Antichità giudaiche, libro VIII, 144-146): 
 
[144] Μέμνηται τούτων τῶν δύο βασιλέων καὶ Μένανδρος ὁ μεταφράσας ἀπὸ τῆς Φοινίκων διαλέκτου τὰ Τυρίων ἀρχεῖα εἰς τὴν Ἑλληνικὴν φωνὴν λέγων οὕτως· ‘τελευτήσαντος δὲ Ἀβιβάλου διεδέξατο τὴν βασιλείαν παρ᾽ αὐτοῦ υἱὸς Εἴρωμος, ὃς βιώσας ἔτη πεντηκοντατρία ἐβασίλευσε τριάκοντα καὶ τέσσαρα. [145] οὗτος ἔχωσε τὸ Εὐρύχωρον τόν τε χρυσοῦν κίονα τὸν ἐν τοῖς τοῦ Διὸς ἀνέθηκεν· ἔτι τε ὕλην ξύλων ἀπελθὼν ἔκοψεν ἀπὸ τοῦ ὄρους τοῦ λεγομένου Λιβάνου εἰς τὰς τῶν ἱερῶν στέγας· [146] καθελών τε τὰ ἀρχαῖα ἱερὰ καὶ ναὸν ᾠκοδόμησε τοῦ Ἡρακλέους καὶ τῆς Ἀστάρτης, πρῶτός τε τοῦ Ἡρακλέους ἔγερσιν ἐποιήσατο ἐν τῷ Περιτίῳ μηνί· τοῖς τε Ἰτυκαίοις ἐπεστρατεύσατο μὴ ἀποδιδοῦσι τοὺς φόρους καὶ ὑποτάξας πάλιν αὑτῷ ἀνέστρεψεν. ἐπὶ τούτου ἦν Ἀβδήμονος παῖς νεώτερος, ὃς ἀεὶ ἐνίκα τὰ προβλήματα, ἃ ἐπέτασσε Σολόμων ὁ Ἱεροσολύμων βασιλεύς.’
 
"144 Di questi due re fa menzione anche Menandro che tradusse le memorie dei Tirii dalla lingua fenicia alla parlata greca, con queste parole: «Morto Abibalo, gli succedette nel regno suo figlio Eirom, il quale visse cinquantatre anni e ne regnò trentaquattro;
145 questi realizzò l'Euruchoron e innalzò una colonna d'oro nel tempio di Zeus; viaggiò e tagliò gran copia di legname dal monte chiamato Libano per i tetti dei templi,
146 abbatté antichi templi e ne eresse di nuovi ad Eracle e ad Astarte; e fu il primo che celebrò la risurrezione di Eracle nel mese di Peritio; fece una spedizione contro gli Itikai, che non pagavano i tributi e, quando li ebbe assoggettati, se ne tornò indietro. Durante il suo regno, il giovanotto Abdemone aveva sempre successo nella soluzione dei problemi che gli erano sottoposti da Salomone, re di Gerusalemme.»" 
(Edizione UTET, a cura di Luigi Moraldi) 

Il mese macedone di Peritios corrispondeva al nostro febbraio.

Le Colonne d'Ercole nell'antichità omerica erano immaginate a Oriente, all'ingresso del Mar Nero. In seguito, con l'ampliarsi degli orizzonti della civiltà ellenica e con l'espansone del dominio di Roma, anche il mito cambiò per influsso fenicio. Proprio due colonne di bronzo ornate da iscrizioni si trovavano in un famoso tempio di Melqart fondato dalle genti di Tiro, nel luogo di Gades (attuale Cadice). Strabone descrisse il tempio, ma si mostrò scettico a proposito dell'identificazione  delle famose Colonne d'Ercole con i manufatti citati. Queste cose scrisse nella Geografia, volume 2, libro 3, capitolo 5: 
 
περὶ δὲ τῆς κτίσεως τῶν Γαδείρων τοιαῦτα λέγοντες μέμνηνται Γαδιτανοὶ χρησμοῦ τινος, ὃν γενέσθαι φασὶ Τυρίοις κελεύοντα ἐπὶ τὰς Ἡρακλέους στήλας ἀποικίαν πέμψαι: τοὺς δὲ πεμφθέντας κατασκοπῆς χάριν, ἐπειδὴ κατὰ τὸν πορθμὸν ἐγένοντο τὸν κατὰ τὴν Κάλπην, νομίσαντας τέρμονας εἶναι τῆς οἰκουμένης καὶ τῆς Ἡρακλέους στρατείας τὰ ἄκρα ποιοῦντα τὸν πορθμόν, ταῦτα δ᾽ αὐτὰ καὶ στήλας ὀνομάζειν τὸ λόγιον, κατασχεῖν εἴς τι χωρίον ἐντὸς τῶν στενῶν, ἐν ᾧ νῦν ἔστιν ἡ τῶν Ἐξιτανῶν πόλις: ἐνταῦθα δὲ θύσαντας μὴ γενομένων καλῶν τῶν ἱερείων ἀνακάμψαι πάλιν. χρόνῳ δ᾽ ὕστερον τοὺς πεμφθέντας προελθεῖν ἔξω τοῦ πορθμοῦ περὶ χιλίους καὶ πεντακοσίους σταδίους εἰς νῆσον Ἡρακλέους ἱερὰν κειμένην κατὰ πόλιν Ὀνόβαν τῆς Ἰβηρίας, καὶ νομίσαντας ἐνταῦθα εἶναι τὰς στήλας θῦσαι τῷ θεῷ, μὴ γενομένων δὲ πάλιν καλῶν τῶν ἱερείων ἐπανελθεῖν οἴκαδε. τῷ δὲ τρίτῳ στόλῳ τοὺς ἀφικομένους Γάδειρα κτίσαι καὶ ἱδρύσασθαι τὸ ἱερὸν ἐπὶ τοῖς ἑῴοις τῆς νήσου, τὴν δὲ πόλιν ἐπὶ τοῖς ἑσπερίοις. διὰ δὲ τοῦτο τοὺς μὲν δοκεῖν τὰ ἄκρα τοῦ πορθμοῦ τὰς στήλας εἶναι, τοὺς δὲ τὰ Γάδειρα, τοὺς δ᾽ ἔτι πορρώτερον τῶν Γαδείρων ἔξω προκεῖσθαι. ἔνιοι δὲ στήλας ὑπέλαβον τὴν Κάλπην καὶ τὴν Ἀβίλυκα, τὸ ἀντικείμενον ὄρος ἐκ τῆς Λιβύης, ὅ φησιν Ἐρατοσθένης ἐν τῷ Μεταγωνίῳ νομαδικῷ ἔθνει ἱδρῦσθαι: οἱ δὲ τὰς πλησίον ἑκατέρου νησῖδας, ὧν τὴν ἑτέραν Ἥρας νῆσον ὀνομάζουσιν. Ἀρτεμίδωρος δὲ τὴν μὲν τῆς Ἥρας νῆσον καὶ ἱερὸν λέγει αὐτῆς, ἄλλην δέ φησιν εἶναί τινα, οὐδ᾽ Ἀβίλυκα ὄρος οὐδὲ Μεταγώνιον ἔθνος. καὶ τὰς Πλαγκτὰς δὲ καὶ τὰς Συμπληγάδας ἐνθάδε μεταφέρουσί τινες, ταύτας εἶναι νομίζοντες στήλας, ἃς Πίνδαρος καλεῖ πύλας Γαδειρίδας, εἰς ταύτας ὑστάτας ἀφῖχθαι φάσκων τὸν Ἡρακλέα. καὶ Δικαίαρχος δὲ καὶ Ἐρατοσθένης καὶ Πολύβιος καὶ οἱ πλεῖστοι τῶν Ἑλλήνων περὶ τὸν πορθμὸν ἀποφαίνουσι τὰς στήλας. οἱ δὲ Ἴβηρες καὶ Λίβυες ἐν Γαδείροις εἶναι φασίν: οὐδὲν γὰρ ἐοικέναι στήλαις τὰ περὶ τὸν πορθμόν. οἱ δὲ τὰς ἐν τῷ Ἡρακλείῳ τῷ ἐν Γαδείροις χαλκᾶς ὀκταπήχεις, ἐν αἷς ἀναγέγραπται τὸ ἀνάλωμα τῆς κατασκευῆς τοῦ ἱεροῦ, ταύτας λέγεσθαί φασιν: ἐφ᾽ ἃς ἐρχόμενοι οἱ τελέσαντες τὸν πλοῦν καὶ θύοντες τῷ Ἡρακλεῖ διαβοηθῆναι παρεσκεύασαν, ὡς τοῦτ᾽ εἶναι καὶ γῆς καὶ θαλάττης τὸ πέρας. τοῦτον δ᾽ εἶναι πιθανώτατον καὶ Ποσειδώνιος ἡγεῖται τὸν λόγον, τὸν δὲ χρησμὸν καὶ τοὺς πολλοὺς ἀποστόλους ψεῦσμα Φοινικικόν.  

"Intorno poi alla fondazione di Gadi quegli abitanti ricordano un certo oracolo, dal quale dicono che fu già tempo comandato ai Tirii d’inviare una colonia alle Colonne d’Ercole: che le persone spedite ad esplorare il luogo, essendo pervenute allo stretto vicino a Calpe, credendo che que’ promontorii dai quali esso è formato fossero i termini della terra abitata e della spedizione di Ercole (e che per questo l’oracolo le avesse denominate Colonne), approdarono al di qua dello stretto medesimo in quel luogo nel quale ora si trova la città degli Assitani; ma che avendo poi quivi sagrificato e vedendo che gli augurii non riuscivauo favorevoli se ne tornarono al proprio paese. Di lì a qualche tempo (soggiungono) furono spediti alcuni altri, i quali si spinsero fino al di là dallo stretto lo spazio di circa mille e cinquecento stadii, e trovarono un’isola consacrata ad Ercole, posta rimpetto ad Onoba città dell’Iberia. E pensando che quelle fossero le Colonne, sagrificarono al Dio. Ma tornando contrarii gli indizii rimpatriarono anch’essi. Se non che essendo inviata una terza missione fondarono Gadi, fabbricando il tempio di Ercole nelle parti orientali dell’isola, e la città nelle parti occidentali. Di qui poi è venuto che sotto il nome di Colonne alcuni intendono i promontorii dello stretto, altri intendono Gadi; ed altri un luogo ancor più lontano. V’ha chi stima che le Colonne siano Calpe ed Abila, che è un monte di Libia opposto a Calpe, e situato secondo Eratostene fra’ Metagoni, schiatta di nomadi. Altri le crede invece quelle due isolette cbe stanno presso ai monti già mentovati, ed una delle quali è chiamata isola di Giunone. Anche Artemidoro parla dell’isola di Giunone e del suo tempio, ma nega che ne sussista alcun’altra, nè il monte Abila nè la gente dei Metagoni. Alcuni poi riferiscono a que’ luoghi le Plancte e le Simplegadi, e tengono che queste siano le Colonne da Pindaro denominate Porte Gaditane, affermando che furon l’ultimo punto a cui Ercole giunse. Del resto Dicearco, Eratostene, Polibio e la maggior parte degli scrittori greci sogliono collocar le Colonne vicino allo stretto; ma gli abitanti d’Iberia e di Libia affermano che sotto quel nome debba intendersi Gadi; perchè i luoghi intorno allo stretto non rendono punto immagine di colonne. V’ha eziandio chi vuol cbe s’intendano le colonne di bronzo di otto cubiti che sono nel tempio d’Ercole in Gadi, su le quali sta inscritto quanto fu speso nella fondazione del tempio stesso. Queste (dicono essi) son quelle colonne alle quali pervenivano i navigatori come ad ultimo punto dei loro viaggi, ed avendo in costume di far quivi sagrifizii ad Ercole, s’adoperarono a diffondere questa opinione che le dice l’estremo confine e della terra e del mare. Anche Posidonio stima che questa opinione sia più credibile di tutte, e che l’oracolo e le molte spedizioni ricordate poc’anzi siano una menzogna fenicia."
(traduzione di Francesco Ambrosoli, 1832) 

Nell'Antico Testamento si trova un riferimento a Melqart, che pure nn viene esplicitamente nominato: è però ben riconoscibile dai suoi attributi. Questo è il testo (1 Re 18, 27): 
 
וַיְהִ֨י בַֽצָּהֳרַ֜יִם וַיְהַתֵּ֧ל בָּהֶ֣ם אֵלִיָּ֗הוּ וַיֹּ֙אמֶר֙ קִרְא֤וּ בְקֹול־גָּדֹול֙ כִּֽי־אֱלֹהִ֣ים ה֔וּא כִּ֣י שִׂ֧יחַ וְכִֽי־שִׂ֛יג לֹ֖ו וְכִֽי־דֶ֣רֶךְ לֹ֑ו אוּלַ֛י יָשֵׁ֥ן ה֖וּא וְיִקָֽץ׃
 
"Essendo già mezzogiorno, Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà»." 

Questo è un riferimento satirico abbastanza caustico alle fatiche di Melqart, ai suoi viaggi e al suo risveglio.
 
Il Signore di Tiro e l'Ade 
 
Le connessioni di Melqart con l'Oltretomba non mancano. È stato ipotizzato che nel teonimo la città faccia riferimento non soltanto a Tiro, ma soprattutto al Regno dei Morti. Sappiamo che questa idea dell'Ade come città nacque tra i Sumeri. URUGAL "Grande Città" è uno dei nomi sumerici dell'ultima destinazione di tutti i viventi. Variante: ERIGAL. L'aggettivo in sumerico segue sempre il nome: GAL significa "grande", mentre URU significa "città" (variante: IRI). In accadico questo toponimo arcano è stato preso a prestito come IRKALLA o ERKALLU. Del resto anche l'Eracle greco è strettamente connesso con l'Oltretomba. In origine era infatti un eroe mortale, elevato poi al rango di divinità per le sue portentose imprese. Nell'Odissea (libro XI) si menziona l'incontro tra Ulisse e l'ombra di Eracle, subito specificando che si tratta di un mero simulacro, dato che l'eroe siede alla mensa degli Dei dell'Olimpo. 
 
τὸν δὲ μέτ’ εἰσενόησα βίην Ἡρακληείην,
εἴδωλον· αὐτὸς δὲ μετ’ ἀθανάτοισι θεοῖσι
τέρπεται ἐν θαλίῃς καὶ ἔχει καλλίσφυρον Ἥβην. 

«Subito dopo intravidi il vigore di Eracle, |
la sua immagine; ma lui invece con gli dèi immortali |
gode a banchetto e sua è Ebe dalle belle caviglie»
 
Ovviamente si tratta di un'aggiunta posticcia, di un artifizio che serviva a evitare la contraddizione con la tradizione più antica, anteriore all'importazione del mito cananeo della resurrezione dell'eroe divinizzato. 
 
Melqart a Cartagine 
 
Cartagine mantenne a lungo un legame particolare con Tiro, tanto che fino all'epoca ellenistica versava un notevole tributo alla città madre, pari alla decima parte degli introiti annui del tesoro. Non sorprende dunque sapere che l'Eracle di Tiro vi era molto venerato. La pronuncia punica di Melqart era /mil'kar/, dati gli sviluppi che la lingua subì a Cartagine nel corso dei secoli. L'antica consonante /k/ era divenuta una fricativa /χ/, mentre la consonante /q/ era divenuta /k/. La desinenza tipica del femminile /-t/, che in genere divenne /-θ/, qui cadde del tutto, forse per evitare l'incongruenza semantica, dato che il teonimo è maschile. 
 
La pronuncia del punico era molto sincopata: possiamo dire che i Cartaginesi "mangiavano le parole". Analizziamo alcuni importanti antroponimi formati a partire dal nome di Melqart. 
i) Il punico ʽbdmlqrt /amil'kar/, da un più antico /ˁabdmil'qart/, significa "Servo di Melqart". In latino il nome fu preso a prestito con l'accento sulla penultima sillaba: Hamilcar, Amilcar /(h)a'milkar/
ii) Il punico ḥmlqrt /imil'kar/, da un più antico /ħi:mil'qart/, significa "Fratello di Melqart". Si può immaginare che si sia in parte confuso col precedente /amil'kar/ per via del suono molto simile nelle fasi tarde della lingua.   
ii) Il punico bdmlqrt /bomil'kar/, da un più antico /bo:dmil'qart/, significa "Nella mano di Melqart". Il prefisso b- "in" aggiunto a yd /jo:d/ ha dato bd /bo:d/ "nella mano". In latino il nome fu preso a prestito con l'accento sulla penultima sillaba: Bomilcar /bo'milkar/; la quantità della prima sillaba è incerta.  
 
Melqart in Sicilia 
 
Sono state trovate monete d'argento con l'immagine di una testa d'uomo provvisto di orecchini, simile dalle raffigurazioni greche di Eracle, e la scritta RŠ MLQRT, ossia "Promontorio di Melqart" (alla lettera "Testa di Melqart", pronuncia fenicia /ru:ʃ mil'qart/, punico /rusmil'kar/; trascrizioni comuni e inesatte sono Ras Melqart e Rash Melqart). Queste monete sono tetradrammi, coniati a partire dalla metà del IV secolo a. C. L'identificazione del toponimo non è sicura. Molti hanno creduto che la monetazione indicasse Cefalù, ma questa ipotesi è infine stata smentita (cfr. Kōkalos: Studi pubblicati dall'Istituto di Storia Antica dell'Università di Palermo, volume 20, pag. 121). Nonostante ciò, questa errata identificazione è tuttora presente in modo pervasivo nel Web, trovandosi nella stessa Wikipedia come data per assodata. Regna una grande confusione: c'è chi propone l'identificazione con Eraclea Minoa, con Lilibeo (attuale Marsala) e addirittura con Selinunte. Eraclea Minoa non era uno stanziamento punico, ma aveva avuto una notevole influenza fenicia, traeva il suo nome da Eracle e aveva un nome non greco, Makara, che potrebbe ben essere derivato da Melqart. Secondo Leuven (1989), RŠ MLQRT non indicherebbe un toponimo, bensì un'istituzione dell'amministrazione cartaginese in Sicilia. Un'idea molto simile è sostenuta da Bonnet e Manfredi (1995): significherebbe "capi" o "eletti", nonostante non sia presente alcun suffisso per marcare il plurale. Ciò è tuttavia smentito con sicurezza da due iscrizioni trovate a Cartagine, che contengono la locuzione ʻM RŠ MLQRT "assemblea del popolo del Promontorio di Melqart"). 
 
Melqart in Sardegna 
 
Tra i Sardi il nome di Melqart è stato adattato in un modo davvero singolare: Makeris. Questo pone una serie di problemi a livello fonetico, al punto che Edward Lipiński si è opposto a questa identificazione (Dieux et Déesses de l'univers phénicien et punique, 1995). Con ogni probabilità Makeris è il prodotto di una metatesi da un più chiaro *Mekari-, derivato direttamente dal punico /mil'kar/. In italiano è spesso reso con Maceride.
 
Pausania riporta questo nella Periegesi della Grecia, volume IV (libro 10, capitolo 17, 1-2): 
 
[1] βαρβάρων δὲ τῶν πρὸς τῇ ἑσπέρᾳ οἱ ἔχοντες Σαρδώ, εἰκόνα οὗτοι χαλκῆν τοῦ ἐπωνύμου σφίσιν ἀπέστειλαν. ἡ δὲ Σαρδὼ μέγεθος μὲν καὶ εὐδαιμονίαν ἐστὶν ὁμοία ταῖς μάλιστα ἐπαινουμέναις: ὄνομα δὲ αὐτῇ τὸ ἀρχαῖον ὅ τι μὲν ὑπὸ τῶν ἐπιχωρίων ἐγένετο οὐκ οἶδα, Ἑλλήνων δὲ οἱ κατ᾽ ἐμπορίαν ἐσπλέοντες Ἰχνοῦσσαν ἐκάλεσαν, ὅτι τὸ σχῆμα τῇ νήσῳ κατ᾽ ἴχνος μάλιστά ἐστιν ἀνθρώπου. μῆκος δὲ ἀπ᾽ αὐτῆς εἴκοσι στάδιοι καὶ ἑκατόν εἰσι καὶ χίλιοι, εὖρος δὲ ἐς εἴκοσί τε καὶ τετρακοσίους προήκει.
[2] πρῶτοι δὲ διαβῆναι λέγονται ναυσὶν ἐς τὴν νῆσον Λίβυες: ἡγεμὼν δὲ τοῖς Λίβυσιν ἦν Σάρδος ὁ Μακήριδος, Ἡρακλέους δὲ ἐπονομασθέντος ὑπὸ Αἰγυπτίων τε καὶ Λιβύων. Μακήριδι μὲν δὴ αὐτῷ τὰ ἐπιφανέστατα ὁδὸς ἐγένετο ἡ ἐς Δελφούς: Σάρδῳ δὲ ἡγεμονία τε ὑπῆρξε τῶν Λιβύων ἡ ἐς τὴν Ἰχνοῦσσαν καὶ τὸ ὄνομα ἀπὸ τοῦ Σάρδου τούτου μετέβαλεν ἡ νῆσος. οὐ μέντοι τούς γε αὐτόχθονας ἐξέβαλεν ὁ τῶν Λιβύων στόλος, σύνοικοι δὲ ὑπ᾽ αὐτῶν οἱ ἐπελθόντες ἀνάγκῃ μᾶλλον ἢ ὑπὸ εὐνοίας ἐδέχθησαν. καὶ πόλεις μὲν οὔτε οἱ Λίβυες οὔτε τὸ γένος τὸ ἐγχώριον ἠπίσταντο ποιήσασθαι: σποράδες δὲ ἐν καλύβαις τε καὶ σπηλαίοις, ὡς ἕκαστοι τύχοιεν, ᾤκησαν.
 
Questa è la traduzione fatta da Antonio Nibby (1817), che per gli standard moderni sarebbe considerata deprecabile: 

"1. De’ barbari occidentali quelli, che occupano la Sardegna mandarono un ritratto di bronzo di quello, che loro diede il nome.
2. La Sardegna per grandezza, ed abbondanza non la cede alle isole più lodate: quale fosse l’antico nome, che dai nazionali avea, nol so; que’ Greci però, che navigarono per commercio la chiamarono Icnusa, perchè la figura della isola è molto simile alla impronta del piede umano. La sua lunghezza è di mille, e centoventi stadj; di quattrocento settanta la sua larghezza. Si dice, che i primi a passare con navi nella isola furono Affricani, e loro condottiere fu Sardo di Maceride, di Ercole, al quale si dà il soprannome di Egizio, e di Affricano. Molto celebre fu il viaggio di Maceride a Delfo. Sardo poi portò gli Affricani in Icnusa, e perciò l’isola cangiò il nome nel suo. La flotta degli Affricani non discacciò gl’indigeni; ma questi li accolsero più per forza, che per benevolenza. Nè gli Affricani, nè i naturali sapevano edificare città; ma abitavano dispersi in capanne, e spelonche come potevano."
 
Melqart in Britannia 
 
Riporto alcune interessantissime informazioni tratte dal lavoro di Corinne Bonnet, Melqart in Occidente. Percorsi di appropriazione e di acculturazione (in  P.  Bernardini  –  R.  Zucca, Il Mediterraneo di Herakles, Roma, 2005): 
 
"Persino nella lontanissima Corstopitum (Corbridge), lungo il vallo di Adriano, due altari gemelli associano in una dedica greca l'Eracle di Tiro (con interpretatio  graeca)  ad Astarte (senza interpretatio!), come se non ci fosse Melqart senza Astarte." 

giovedì 8 ottobre 2020

ETIMOLOGIA DI MILKOM

Gli Ammoniti (ebraico בּטֵי עִמּוֹן Benē-ʽAmmōn "Figli di Ammone") erano una delle più cospicue tribù di origine amorrea stanziate in Palestina. Fierissimi nemici di Israele, adoravano come principale divinità Milkom (ebraico מִלְכֹּם Milkōm). In italiano, in inglese e in francese si trova scritto anche Milcom.
 
Il Re Salomone era avidissimo di piaceri sessuali e fu molto influenzato dalle donne a cui si era consegnato in tutta la sua fragilità durante l'orgasmo. Accadde così che fu convinto ad adorare divinità straniere, i cui culti erano sanguinari. Nel Primo Libro dei Re (capitolo 11, versetto 5) è riportato quanto segue:  
 
.וַיֵּלֶךְ שְׁלֹמֹה--אַחֲרֵי עַשְׁתֹּרֶת, אֱלֹהֵי צִדֹנִים; וְאַחֲרֵי מִלְכֹּם, שִׁקֻּץ עַמֹּנִים
 
"Salomone seguì Astarte, divinità dei Sidoni, e Milcom, l'abominevole divinità degli Ammoniti." 
 
Ovviamente il Dio di Israele non ne è stato felice (versetto 6):  
 
.וַיַּעַשׂ שְׁלֹמֹה הָרַע, בְּעֵינֵי יְהוָה; וְלֹא מִלֵּא אַחֲרֵי יְהוָה, כְּדָוִד אָבִיו

"Cosí Salomone fece ciò che è male agli occhi dell'Eterno e non seguí pienamente l'Eterno, come aveva fatto Davide suo padre." 

Eppure il sovrano libidinosissimo non si è lasciato persuadere (versetto 7): 
 
.אָז יִבְנֶה שְׁלֹמֹה בָּמָה, לִכְמוֹשׁ שִׁקֻּץ מוֹאָב, בָּהָר, אֲשֶׁר עַל-פְּנֵי יְרוּשָׁלִָם; וּלְמֹלֶךְ, שִׁקֻּץ בְּנֵי עַמּוֹן

"Allora Salomone costruí sul monte di fronte a Gerusalemme un alto luogo per Kemosh, l'abominazione di Moab, e per Molek, l'abominazione dei figli di Ammon."
 
In questo versetto si rimarca la totale confusione tra i teonimi Milkōm e Mōlekh. Un lettore potrebbe pensare che l'abominazione dei Figli di Ammon sia proprio Moloch e che questo sia soltanto un'altro modo di chiamare Milkom. Di Moloch e della sua natura si è già parlato diffusamente: 
 
 
Questa incapacità di operare una distinzione tra due nomi assonanti, nonostante la diversità formale e morfologica, a quanto pare ha radici assai profonde: potremmo dirla connaturata alla stessa tradizione biblica. Probabilmente ciò si deve al fatto che i sacrifici offerti dagli Ammoniti a Milkom dovevano essere simili al sacrificio molk che i Fenici celebravano in onore di Baal: uccisione e combustione di bambini. Se questo fosse provato, dovremmo assumere che la condotta di Salomone in vecchiaia non fosse poi così innocua. Dubito molto che le offerte bruciate fossero petali di fiori. Eppure il Dio di Israele, sdegnato da questi fatti, si mostrò abbastanza clemente nei confronti di Salomone, dicendogli che non gli avrebbe strappato il regno mentre era in vita, riservandosi di mandarlo in rovina soltanto dopo la sua morte. In pratica le colpe di Salomone ricaddero sul suo successore. Sappiamo del resto che per YHWH ci sono figli e figliastri. 

Per quanto riguarda il tempio di Milkom fatto edificare da Salomone (circa 1100 a.C. - circa 931 a.C.) sul Monte degli Ulivi, non ebbe comunque una durata così effimera. Fu infatti distrutto da Giosia (648 a.C. - 609 a.C.), diciassettesimo Re di Giuda e riformatore religioso, che proibì i culti stranieri. 

La teoria della mimazione 
 
La mimazione è definita come un procedimento morfologico che consiste nell'aggiungere una -m alla desinenza dei sostantivi, con valore indeterminativo, ma in molti casi indistinguibile da quello della forma semplice. Si trova in accadico e in altre lingue semitiche. Facciamo alcuni esempi concreti proprio dall'accadico: da šarru "re" si ha šarrum "un re", "il re"; da šarratu "regina" si ha šarratum "una regina", "la regina". La mimazione sussiste in tutte le forme declinate del singolare: da šarri "del re" si ha šarrim "di un re", "del re"; da šarrati "della regina" si ha šarratim "di una regina", "della regina"; da šarra "re" (acc.) si ha šarram "un re", "il re"; da šarrata "regina" (acc.) si ha šarratam "una regina", "la regina" (acc.) e via discorrendo. Nei nomi maschili non si usa la mimazione al plurale: šarrū "re" (pl.); šarrī "dei re"; "re" (acc.). Nei nomi femminili la mimazione si ha invece anche al plurale: šarrātum "le regine", šarrātim "delle regine"; "le regine" (acc.). Nella lingua antica la mimazione è prevalente. Nelle fasi più recenti della lingua la mimazione scompare per via dell'usura fonetica, tranne che in alcuni casi in cui si è fossilizzata, soprattutto nella formazione di avverbi. 
 
Nelle lingue di Canaan la mimazione scomparve presto, tuttavia si possono trovare alcuni casi in cui è documentata. In amorreo abbiamo ḪAB-DU-MA-DA-GAN accanto a ḪAB-DU-DA-GAN "Servo di Dagon". In ugaritico abbiamo bnm 'il /binum 'ˀili/ accanto a bn 'il /binu 'ˀili/ "figlio di El" (vedi Lipiński). Non è quindi difficile immaginare che Milkom altro non sia che una forma mimata di mlk /'milku/ "re". Il teonimo dunque significherebbe "Il Re". Resta però un problema non irrilevante. In accadico le forme mimate non spostano l'accento sulla desinenza, che finisce per scomparire del tutto in neobabilonese. Lo stesso dovrebbe essere nelle fasi più antiche delle lingue semitiche nordoccidentali. Dall'ugaritico mlk /'milku/ si otterrà la forma mimata /'milkum/, non /mil'kum/. Per contro, la forma documentata in ebraico biblico, Milkōm, ha l'accento sulla vocale lunga /o:/. Il mutamento nell'accento potrebbe comunque essere uno sviluppo successivo. Secondo alcuni studiosi, la mimazione in ebraico si sarebbe conservata in forme come יוֹמָם yōmām "di giorno" (da יוֹם yōm "giorno"), חִנָּם khinnām "gratuitamente", רֵיקָם reqām "vanamente, invano", אָמְנָם 'omnām "veramente", שִׁלְשׁוֹם shilshōm "l'altroieri", פִּתְאוֹם pith'ōm "improvvisamente". Le ultime due riportate hanno proprio una terminazione in -ōm come quella di Milkōm, che potrebbe essersi sviluppata da un precedente /-um/

Una forma possessiva fossilizzata 

A parer mio andrebbe favorita una spiegazione diversa da quella della mimazione. In fenicio e in altre lingue del Paese di Canaan suffisso -ōm è il possessivo di terza persona plurale maschile, che traduce "loro". In ebraico il corrispondente suffisso è -ām. La corrispondenza fonetica è perfettamente regolare. Nella lingua biblica da מֶלֶךְ melekh "re" si forma il possessivo di terza persona plurale maschile מַלְכָּם malkām /mal'ka:m/ "il loro re". Dal fenicio mlk /milk/ "re" si forma il possessivo di terza persona plurale maschile mlkm /mil'ko:m/. Ecco spiegato l'arcano, senza bisogno di postulare un cambiamento nella posizione dell'accento. 
 
MILKŌM = IL LORO RE (in fenicio)
MALKĀM = IL LORO RE (in ebraico biblico) 
 
Il teonimo doveva in origine essere una forma reverenziale, in seguito sclerotizzata, come spesso accade nelle cose della religione. 
 
Milkom e l'archeologia 
 
Nel 1961 furono eseguiti scavi ad Amman, in Giordania, scoprendo un'importante iscrizione risalente al IX-VIII secolo d.C. Data la scarsità dei miei mezzi (non sono un affiliato alle inique baronie universitarie del globo terracqueo) non ho potuto visionare il testo. Trovato nella cittadella dell'Età del Ferro, riporta il nome di Milkom, ovviamente nel suo puro e semplice scheletro consonantico MLKM. Evidente è la sua connessione col concetto di regalità e la sua separazione concettuale dal fenicio mlk /molk/ "sacrificio per olocausto". La divinità degli Ammoniti ordina al sovrano del suo popolo di edificare un'elaborata costruzione con portici e stanze, garantendo protezione e sostegno all'opera. Milkom è attestato in questo contesto come deità della dinastia ammonita; sono anche trovati anche ostraka riportanti antroponimi formati sulla radice del teonimo in questione. Mi piacerebbe molto analizzare questi nomi di persona e pubblicarne la lista completa. Purtroppo ciò mi è impossibile, perché il mondo accademico ha il pessimo costume di nascondere quante più informazioni può. Che dobbiamo farci? La Bibbia è sopravvissuta, mentre i testi dei Cananei pagani sono andati smarriti, perché la Storia dà voce soltanto ai vincitori, sopprimendo i vinti e facendone cadere la memoria nell'Oblio.  

martedì 6 ottobre 2020

ETIMOLOGIA DI MOLOCH

Quando sentiamo menzionare il nome Moloch (scritto anche Moloc), la mente va subito a un demone che macina vite umane. Un mostro che si nutre delle persone immolate in suo onore. Si può parlare di Moloch anche in senso figurato, quando si intende attribuire a una persona o a un'istituzione un carattere brutale, che si manifesta con una sfrenata bramosia di potere assoluto e di distruzione. Una tipica frase di esempio: "Il mondo del lavoro è un Moloch"

Detto questo, Moloch è generalmente inteso come il nome di una divinità cananea. La forma ebraica del teonimo è מֹלֶךְ Mōlekh ed appare molte volte nell'Antico Testamento, in particolare nel Levitico. Si trovano anche traslitterazioni diverse, come Molech e Molek. La trascrizione greca è Μόλοχ. In latino è scritto Moloch. Stando alle Scritture, il sacrificio delle vittime, che erano bambini, era compiuto tramite olocausto: tutta la carne veniva bruciata su un altare chiamato תֹּוֹפֶת tōpheth, che fungeva da griglia. Per indicare l'atto sacrificale si trova l'espressione idiomatica לְהַעֲבִיר בָּאֵשׁ ləhaʻavīr bā'esh "passare nel fuoco". Il fuoco usato per l'olocausto era tenuto costantemente acceso. Tra gli Ebrei questi riti cruenti furono compiuti fino ad epoca abbastanza tarda, nonostante fossero ferocemente condannati dai Profeti e puniti in modo molto severo dalla Legge. A Gerusalemme, nella Valle di Hinnom (גֵּי־הִנֹּם Gēi-Hinnōm, Gēhinnōm), si trovava il tōpheth dove avvenivano le immolazioni. Il toponimo Gēhinnōm è stato adattato in Gehenna ed è divenuto sinonimo di Inferno. Tuttora la maggior parte degli Israeliti vede la cremazione con immenso orrore: la ragione profonda è connessa all'idea che bruciare un corpo equivalga a compiere un olocausto a Moloch. 
 
Moloch, Geiger e i Masoreti
 
Esiste un'etimologia considerata da molti una certezza, per quanto falsa, inconsistente e tutto sommato ridicola. Secondo questa fabbricazione, Mōlekh sarebbe derivato da מֶלֶךְ melekh "re, sovrano", con il vocalismo di בּשֶׁת bōsheth "vergogna, cosa vergognosa". In realtà non si tratta di una trovata così antica: il primo a supporre l'incrocio fonetico tra "re" e "vergogna" fu il rabbino Abraham Geiger (1810 - 1874) noto per essere il fondatore della Riforma dell'Ebraismo. Secondo questa capziosa ermeneutica cabalistica, attribuire a una parola il vocalismo di un'altra, avrebbe un significato occulto e implicherebbe per necessità un cambiamento del significato. Già esisteva una tradizione consolidata di attribuire etimologie fittizie a nomi e vocaboli di oscura origine, concependo complesse macchinazioni secondo princìpi che mi paiono illogici. Sul piano meramente fonetico, il principio ispiratore era la falsa pronuncia del Tetragrammaton יהוה YHWH, ideata dai Masoreti utilizzando le vocali di אֲדֹנָי 'Adōnai "Signore" e ottenendo così יְהֹוָה Yəhōwāh "Geova" - senza però alcun mutamento nel concetto espresso. Anche se meno nota, esiste un'altra pronuncia masoretica יֱהֹוִה Yəhōwīh, formata a partire dalle vocali di אֱלוֹהִים 'Elōhīm "Dio". In epoca più recente Wilhelm Gesenius ha proposto la pronuncia יַהְוֶה Yahweh, basandosi sulla trascrizione Ιαβε fornita da Teodoreto di Cirro e da altri autori - che tuttavia sembra influenzata dalle vocali di הַשֵּׁם ha-Shēm "Il Nome". Il problema è che Geiger ha applicato questo modo di procedere anche sul piano semantico, immaginando che trarre le vocali dalla parola bōsheth "vergogna" per applicarle a melekh "re", avrebbe prodotto qualcosa come "Re Abominevole". Questa paretimologia non è opera dei Masoreti, come pure alcuni credono nel vasto Web (anche se è masoretica la vocalizzazione). Va tuttavia notato che bōsheth è stato usato come nomignolo di scherno per sostituire il teonimo בַּעַל Baʻal in un paio di nomi teoforici. 
 
Paul Mosca ha giustamente scritto: "La teoria secondo cui una forma molek suggerirebbe immediatamente al lettore o all'ascoltatore la parola boset (piuttosto che qodes* o ohel**) è il prodotto dell'ingenuità del diciannovesimo secolo, non di una tendenziosità masoretica o pre-masoretica." (testo originale, 1975: "The theory that a form molek would immediately suggest to the reader or hearer the word boset (rather than qodes or ohel) is the product of nineteenth century ingenuity, not of Massoretic [sic]*** or pre-Massoretic tendentiousness.")

* קֹדֶשׁ qōdesh = santità
** אוֹהֶל 'ōhel = tenda
*** Con ogni probabilità l'autore ha scritto Massoretic anziché Masoretic per scoraggiare una pronuncia ortografica con una consonante sonora /z/

Ho recuperato un'informazione che credo interessante e curiosa. Prima di Geiger, John Milton chiamò Moloch "orrido re" nel Paradiso perduto. Milton aveva conoscenze di ebraico e di aramaico sufficienti per leggere l'Antico Testamento in lingua originale. Potrebbe aver appreso l'ebraico dal semitista Joseph Mede, durante il suo soggiorno a Cambridge.

Demoni e vampiri della Mesopotamia 

Abbiamo la testimonianza biblica di una coppia divina, il dio Adrammelech e la dea Anammelech, il cui culto era tipico della città mesopotamica di Sepharvaim (a nord di Babilonia) e caratterizzato da offerte di bambini tramite olocausto (2 Re, 17:31). Il nome אַדְרַמֶּלֶךְ 'Adrammelekh significa probabilmente "Re magnifico". Il nome עֲנַמֶּלֶךְ ʽAnammelekh significa probabilmente "Anu è re" (il Dio del Cielo era chiamato Anu in accadico, dal sumerico An). Le genti di Sepharvaim finirono deportate in Samaria dagli Assiri. Si hanno alcune menzioni di Maliku "Re" come epiteto accadico del Dio degli Inferi, Nergal. Abbiamo inoltre il vocabolo accadico maliku (variante malku) "ombra dei morti", usato per denotare una specie di zombie o di vampiro. Questa parola alla lettera significa "re, principe", ma è possibile che si tratti di una semplice omofonia e che la sua vera origine sia diversa. In ogni caso, non risultano riti di olocausto di bambini in onore delle ombre dell'Ade. 
 
Moloch, Milkom e Melqart 

Sono stati fatti tentativi di ricondurre Moloch a מִלְכֹּם Milkōm, la divinità degli Ammoniti, o a Melqart, il nume tutelare della città fenicia di Tiro, poi identificato con Ercole. Si tratta di due evidenti derivati della parola cananea mlk /milk/ "re". Li analizzeremo con maggio dettaglio in altra sede. La somiglianza fonetica ha portato alla confusione diversi studiosi.
 
Un antico equivoco 
 
Tra le genti di Canaan non esisteva in realtà alcuna divinità rispondente al nome e alle caratteristiche cultuali di Moloch. Ad Ugarit troviamo un dio Mlk /'maliku/, /'milku/, alla lettera "Re", connesso con l'Oltretomba; a quanto consta era destinatario soltanto di offerte di animali. In fenicio il termine mlk /molk/ significava "olocausto", "offerta sacrificale": indicava l'atto rituale, non la divinità che lo riceveva. Ciò fu notato per la prima volta da Otto Eissfeldt nel 1935. La locuzione fenicia lmlk /lə'molk/ si traduce "in olocausto" (la preposizione lə- "a" esiste tale e quale in ebraico, lingua molto simile al fenicio). Coloro che misero per iscritto i testi biblici, interpretarono questa locuzione come "a Moloch", attribuendo un essere personale a quello che in realtà era un tipo di sacrificio. Si deve parlare di "sacrificio molk" e non di "sacrificio a Moloch". Il fenicio /molk/ è passato come prestito all'ebraico e si è adattato ai suoi vincoli fonotattici, diventando Mōlekh /'mo:leχ/. Nella lingua scritturale non sono tollerate due o più consonanti in finale di parola, con l'eccezione di alcune forme verbali, così il gruppo /lk/ ha sviluppato una vocale per poter essere pronunciato. La consonante finale /k/ è diventata regolarmente una fricativa uvulare /χ/ (simile al suono dello scozzese loch). La vocale breve /o/ è diventata lunga, essendo tonica e venendosi a trovare in sillaba aperta. Detto questo, il destinatario del sacrificio molk era Baal. 
 
Etimologia di molk

Il vocabolo fenicio mlk "olocausto, offerta per combustione" non ha etimologia nota. Sono state fatte svariate ipotesi sulla sua origine, tutte scarsamente soddisfacenti nonché problematiche. Stupisce l'isolamento di questa parola: non ha parantele credibili. La somiglianza fonetica con mlk /milk/ "re" è notevole, tuttavia la distanza semantica è grande e incolmabile. Non si ha alcuna connessione evidente tra il concetto di "olocausto" e quello di "dominare, regnare, essere sovrano". Si tratta di una somiglianza fortuita. In protocananeo si risale alle seguenti protoforme: 
 
*malku "re"
*milku "re" 
*malak- "dominare, regnare, essere sovrano" 
*mulku "olocausto" 

Le prime due sono diverse vocalizzazioni di una radice comune a tutte le lingue semitiche nordoccidentali e all'accadico, la terza è la corrispondente radice verbale e la quarta è la parola problematica. Un'ipotesi è che la radice di *milku / *malku "re" e *malak- "regnare" in origine significasse "possedere". Così *mulku "olocausto, offerta per combustione" potrebbe aver significato "cosa posseduta", "proprietà del Dio". Il punto è che non abbiamo nessuna prova di questi slittamenti semantici, e non è affatto certo che il significato della parola che indicava il sovrano avesse come significato originario quello di "possedere". Alexander Militarev ed altri sostengono invece che al contrario il significato di "dominare" sia secondario e derivato da quello di "re". La forma protosemitica ricostruita è *maliku, glossata con "capo straniero". Potrebbe anche darsi che le forme cananee *malku e *milku siano entrambe esiti di *maliku. Qualcuno suggerisce che il protosemitico *maliku sia stato ricostruito con la vocale -i- per render conto dell'arabo malik "re" (che potrebbe tuttavia essere un prestito dall'aramaico); non dobbiamo dimenticarci però che in accadico la forma maliku "re, principe" è ben documentata ed è più conservativa rispetto a malku, che pure si trova. Questo per dare l'idea dell'estrema complessità dell'argomento.
 
Come riportato da James Germain Février, Jean-Baptiste Chabot ha ipotizzato un legame con il siriaco məlak "promettere", che è però semanticamente inaccettabile: il sacrificio molk è un atto reale, non una promessa di un'offerta futura. Il significato originario della parola in questione non può in alcun modo essere stato "promessa, voto". È errato tradurre l'ebraico Mōlekh con "voto". 
 
Secondo alcuni semitisti (Wolfram von Soden et al.), il fenicio mlk "olocausto" sarebbe una forma sostantivata causativa derivata dalla radice verbale ylk / wlk "offrire" tramite un prefisso m-. Tuttavia, se così fosse, non ci aspetteremmo una protoforma *mulku. Avremmo un diverso vocalismo, come ad esempio *mawliku, con una vocale tonica tra -l- e -k-, cosa che non corrisponde ad alcun dato disponibile.
 
A mio avviso è più ragionevole supporre che il protocananeo *mulku "olocausto, offerta per combustione" sia il residuo di un'antica radice che significava "passare nel fuoco, bruciare", poi andata perduta.   
 
Il sacrificio molk a Cartagine 
 
La lingua punica è una forma tarda della lingua fenicia. Il suo centro di diffusione era Cartagine. Nel corso dei secoli ha subìto peculiari sviluppi fonetici. La consonante fenicia /k/ (pronunciata [kh]), in punico si è evoluta infine in una fricativa uvulare /χ/, parallelamente all'evoluzione di /p/ (pronunciata [ph]) nella fricativa labiodentale /f/ e di /t/ (pronunciata [th]) nella fricativa interdentale /θ/. Questi mutamenti dovevano essere in corso, ma non ancora completati, all'epoca in cui Plauto scrisse il Poenulus. Esistono iscrizioni neopuniche in caratteri latini che ci permettono di conoscere questi dettagli.

milch /milχ/ "re" 
*molochim /molo'χi:m/ "re" (pl.)
*maloch /ma'loχ/ "egli regnò"
molch
/molχ/ "olocausto, sacrificio" 
 
Non va taciuto che esistono alcune peculiarità proprie della lingua punica, che non si riscontrano nella lingua fenicia di origine. Abbiamo attestazioni di una forma femminile mlkt "olocausto, sacrificio", con ogni probabilità risalente a un protocananeo *mulkatu, parallelo al maschile *mulku. Verosimilmente la pronuncia della forma femminile punica era /mol'χo:/

In punico abbiamo attestata la formula mlk 'dm bšʽrm btm (varianti mlk'dm bšrm btm, mlk 'dm bšrm bnʽtm) "un sacrificio umano della sua stessa carne" (vedi Krahmalkov). In caratteri latini si sarebbe scritto così: MOLCHADOM BYSAREM BITHEM (varianti: MOLCHADOM BYSARIM BINATHIM, etc.). Non ci sono dubbi di sorta sull'interpretazione di mlk 'dm, il cui secondo elemento è l'equivalente punico dell'ebraico אָדָם 'ādām "uomo, essere umano". Ogni tentativo di stravolgere la traduzione può soltanto essere tendenzioso.
 
Le iscrizioni di N'Gaous 
 
Quando mi sono imbattuto per la prima volta nella parola neopunica molchomor "sacrificio di un agnello" (varianti morchomor, morcomor, mochomor), ho pensato erronemente che si trattasse di un vocabolo tramandato da Agostino d'Ippona. Approfondendo l'argomento, ho trovato che invece si tratta di una parola neopunica incorporata nei testi latini di alcune iscrizioni trovate in Algeria, a N'Gaous, l'antica Nicives (Nicivibus). Nella Rete non è difficile reperire pubblicazioni sull'argomento, anche se dubbi e confusioni non vi mancano di certo. Questo ad esempio è un articolo trovato su Jstor.org:  

 
I testi, risalenti circa al III secolo d.C., sono i seguenti (ho messo in neretto il termine punico):  

1) [Q]uod bonum et faus|[tu]m feliciter sit fac[tu]m. Domino sanc|[t]o Saturno sacrum | [m]ag(num) nocturnum mor|[c]homor ex voto A(ulus) Qui|[nti]us Victor et Elia Rufina | [co]n(iux) eius pro Impetrato fil(io) l(ibentes) v(otum) s(olverunt) a(gnum) v(i)k(arium)
 
*oppure:  (pro) v(i)k(ario)
 
2) Quod bonum faus(t)um fe[lici]|ter factum sit. Domino sancto S[at]|urno, anima pro anima, sangu[ine] | pro sanguine, vita pro vita, pro salute C[o]|ncess(a)e et voto pro voto sac[ru]|m solverunt mo(l)chomor C[…|…]us Rufinianu[s …|…] co[niux ? …
 
3) Q(uod) b(onum) f(austum) f(eliciter) f(actum) s(it). D(omino)  s(ancto) S(aturno) sacrum m(agnum) | nocturnum anima pr[o] | anima, sang(uine) pro sang(uine), | vita pro vita, pro Con[ces]|s(a)e  salute<m> ex viso et voto [sa]|crum reddiderunt molc[ho]|mor Felix et Diodora li[b(entes)] | animo agnum pro vika[rio]. 

4) [Q(uod) b(onum) f(austum) f(eliciter) f(actum) s(it) sacrum] magnum [noc]|[tur]num anima pro anima, vita pro [vi]|ta, sanguine pro sanguine, pro salu[te] | Donati, sacrum solvit ex viso capi[te m]|orcomor  Faustina agnum pro vi[kari]|o libens animo reddit.
 
5) Quod bonum faustum feliciter factum sit. | Domino sancto Saturno magnum nocturnum […] co […] ex [viso …|…] sacrum […
 
6) Q(uod) [b(onum] e(t) f(austum) f(eliciter) s(it) (factum), D(omino)  s(ancto) S(aturno), | sac[r]u(m) mag(num) nocturnum | anim[a] pro anima, vita pro | vita, s[a]ng(uine) pro sang(uine), morch(omor), ag[n](um) vik(arium), M(arcus) Cossutius Mar(…) | pro [Do?]nato  fi(lio) lib(ens) a(nimo) vot(um) red(dit). 

La forma morchomor è derivata dall'assimilazione di -l-, causata dalla -r finale. Come si vede dall'analisi delle iscrizioni sopra riportate, è esplicitamente menzionato l'oggetto del sacrificio: l'agnello (agnum, all'accusativo). È anche menzionato il fatto che l'olocausto dell'agnello è fatto in sostituzione (pro vikario, vikarium) qualcosa di diverso: l'olocausto di un bambino. Inoltre si comprende che il destinatario del sacrificio era Baal, identificato con Saturno (Crono).  
 
Tendenziosità moderne 
 
Alcuni biblisti, forti dell'autorità delle Scritture, si rifiutano di prendere in considerazione i dati del fenicio e del punico e per motivi religiosi insistono con l'esistenza personale di Moloch come divinità. Tuttavia rifiutano il vocalismo di Molekh cercando di restaurare una lettura Melekh "Re", presumibilmente pre-masoretica, da loro considerata la sola autentica. L'argomento da loro fornito si basa sulla traduzione greca dell'Antico Testamento detta Septuaginta o LXX. Ebbene, nel Pentateuco della Septuaginta troviamo che Mōlekh è sorprendentemente tradotto con ἄρχων (árkhōn), ossia "governatore, comandante, capo". Più precisamente, in Levitico 18,21 e in Levitico 20,1-5, troviamo לַמֹּלֶךְ la-Mōlekh (lammōlekh) "a Moloch" tradotto col dativo ἄρχοντι (árkhonti). Questo però non prova che la traduzione sia corretta e che ἄρχων (gen. ἄρχοντος; pl. ἄρχοντες) "governatore, comandante, capo" corrisponda alla perfezione a melekh "re" sul piano semantico. Un re possiede una dimensione mistica ed esoterica sconosciuta al governatore. Non mi risulta affatto che in greco le parole ἄρχων e βασιλεύς "re" siano mai state usate come sinonimi. La spiegazione è secondo me del tutto diversa: i 72 traduttori, pur provendo dalle Tribù di Israele, hanno risentito di profondi influssi dello Gnosticismo. Nei sistemi degli Gnostici, la parola Arconte era usata per indicare le potenze demoniache che governano il mondo. Così si deve tradurre ἄρχοντι "al demone". I traduttori potrebbero essere stati Esseni, ed è comunque un dato di fatto che il testo in ebraico da essi utilizzato non è quello della tradizione rabbinica. Anche di fronte all'evidenza lampante offerta dalle attestazioni del neopunico molchomor "sacrificio di un agnello", questi biblisti non demordono. Affermano così che l'ebraico אִמֵּר 'immēr "agnello" non sarebbe potuto diventare -omor. Questo loro argomento è semplicemente insulso. Il punico era sì molto simile all'ebraico, ma non identico; i suoi suoni erano peculiari e frutto di un'evoluzione propria, indipendente da quella della lingua di Israele. È davvero molto stupido credere che in punico le parole dovessero sottostare alla fonologia dell'ebraico biblico, come se questo fosse l'unica lingua possibile a cui ricondurre qualsiasi cosa. 
 
Manipolazioni ideologiche buoniste 

In quegli infetti nidi di vipere che sono le università americane, è stata partorita un'idea politically correct che ha meno senso dei peti dei muli, basandosi sui più folli preconcetti di quest'epoca degenerata. Nonostante siano stati trovati inequivocabili resti di ossa carbonizzate di bambini in luoghi dedicati al culto di Baal, va guadagnando terreno la tesi secondo cui i Cananei sarebbero stati adoratori dei Puffi, da loro onorati con offerte floreali e cantilene puerili!

domenica 4 ottobre 2020

ETIMOLOGIA DI DAGON

Il dio Dagon è descritto dalla Bibbia come una divinità dei Filistei. Essendo questi un popolo di origine marinara, provenienti dalla lontana isola di Caphthor (con ogni probabilità da identificarsi con Creta), fino agli inizi del XX secolo prevaleva l'idea che Dagon fosse un Dio Pesce. Gli studiosi delle Scritture reputavano che tutto ciò fosse assolutamente naturale e scontato, fornendo al contempo una lineare etimologia ebraica del teonimo. Infatti nella lingua scritturale דָּג dāg significa "pesce" (plurale numerabile דָּגִים dāgīm "pesci"), così non è troppo difficile pensare che il teonimo דָּגוֹן Dāgōn significhi proprio "Dio Pesce". Dalla stessa radice derivano le parole דָּגָה dāgāh "pesce" (collettivo), דּוּגָה dūgāh "pesca; arpione da pesca; pescatore", דַּיִג dayig "pesca", דַּייָּג dayyāg "pescatore". 
 
In realtà le cose sono un po' più complesse. Se si indaga, si scopre che l'associazione tra Dagon e il pesce è una fabbricazione medievale. In ebraico esiste anche un'altra parola, che fornisce un'etimologia più plausibile: דָּגָן dāgān "grano, frumento".  Anche in ugaritico il nome comune del grano è dgn /da'ga:nu/. In fenicio questa parola doveva suonare /da'go:n/. Quindi Dagon non è una divinità delle acque, bensì della terra e della crescita dei cereali. Una divinità della fertilità. Non dobbiamo dimenticare una testimonianza giunta da un'epoca lontana: Filone di Biblo (circa 64 - 141 d.C.), basandosi sull'autorità del fenicio Sanchuniathon, scrive che Dagon significa proprio "grano", traducendo il teonimo con il greco σῖτον (sîton). Sempre secondo Filone, Dagon sarebbe stato il fratello di Crono. L'importanza di questa divinità era grande a Ugarit, nella cui lingua ricorre la locuzione bʽl bn dgn /'baʕlu binu da'ga:ni/ "Baal, figlio di Dagon". Gli Hurriti identificavano Dagon con Kumarbi, che era chiamato anche Halki. Orbene, nella lingua hurritica halki significa proprio "grano". 

Possiamo pensare che dal fenicio dgn /da'go:n/ "grano, frumento" sia derivato il teonimo, poi preso a prestito dagli Ebrei col vocalismo diverso da quello della parola comune per indicare il cereale. Casi simili non sono rari: il fenicio yd /jo:d/ "mano" è passato a indicare il nome della lettera yōd /jo:ð/, mentre la parola ebraica per "mano" è yād /ja:ð/. Tutto sarebbe risolto se il culto di Dagon si fosse sviluppato proprio in Fenicia. In realtà l'area in cui questa divinità era adorata era molto ampia e comprendeva la Mesopotamia; sulla costa le attestazioni del suo culto sono molto meno comuni e provengono per lo più da Ugarit. Gli studiosi si interrogano sulla verosimiglianza del racconto biblico, dato che i reperti archeologici con iscrizioni di dedica a Dagon sono scarsi proprio nella terra che fu abitata dai Filistei. In sumerico il teonimo è Dagan. La pronuncia in accadico doveva essere /da'ga:nu/, come in ugaritico. La variante Zagan, che pure si trova in sumerico, è notevole, perché punta a una protoforma con una consonante fricativa iniziale /ð/, che nelle lingue storiche sarebbe diventata per lo più un'occlusiva /d/, ma talvolta si sarebbe assibilata in /z/
 
Qualche biblista avrà sicuramente cercato di ricondurre dāgān "grano, frumento" a dāg "pesce" tramite un singolare artifizio etimologico. La muscolatura del pesce è simile nella sua struttura a una spiga: presenta muscoli incuneati in modo da sembrare proprio i chicchi di grano nella spiga. Così Adamo, volendo nominare il grano e il pesce, avrebbe usato parole simili proprio perché avrebbe notato una somiglianza strutturale. Questo perché i biblisti danno per scontato che l'ebraico fosse la Prima Lingua del genere umano, quando è dimostrato che è una lingua derivata come tutte le altre. I dati esterni alla lingua ebraica (ad es. parole afroasiatiche per indicare tipi di cereali, parole altaiche per indicare il pesce) dimostrano, se ce ne fosse davvero bisogno, che si tratta di un'etimologia popolare, ingegnosa ma vana. 
 
Com'è e quando è nata la leggenda del Dio Pesce? 
 
Tutto ha avuto origine dal testo biblico: 1 Samuele, 5:1-7.
Questa è la versione originale in lingua ebraica: 

בוַיִּקְח֚וּ פְלִשְׁתִּים֙ אֶת־אֲר֣וֹן הָאֱלֹהִ֔ים וַיָּבִ֥אוּ אֹת֖וֹ בֵּ֣ית דָּג֑וֹן וַיַּצִּ֥יגוּ אֹת֖וֹ אֵ֥צֶל דָּגֽוֹן:
גוַיַּשְׁכִּ֚מוּ אַשְׁדּוֹדִים֙ מִֽמָּחֳרָ֔ת וְהִנֵּ֣ה דָג֗וֹן נֹפֵ֚ל לְפָנָיו֙ אַ֔רְצָה לִפְנֵ֖י אֲר֣וֹן יְהֹוָ֑ה וַיִּקְחוּ֙ אֶת־דָּג֔וֹן וַיָּשִׁ֥בוּ אֹת֖וֹ לִמְקוֹמֽוֹ:
דוַיַּשְׁכִּ֣מוּ בַבֹּקֶר֘ מִֽמָּחֳרָת֒ וְהִנֵּ֣ה דָג֗וֹן נֹפֵ֚ל לְפָנָיו֙ אַ֔רְצָה לִפְנֵ֖י אֲר֣וֹן יְהֹוָ֑ה וְרֹ֨אשׁ דָּג֜וֹן וּשְׁתֵּ֣י | כַּפּ֣וֹת יָדָ֗יו כְּרֻתוֹת֙ אֶל־הַמִּפְתָּ֔ן רַ֥ק דָּג֖וֹן נִשְׁאַ֥ר עָלָֽיו:
העַל־כֵּ֡ן לֹֽא־יִדְרְכוּ֩ כֹהֲנֵ֨י דָג֜וֹן וְכָֽל־הַבָּאִ֧ים בֵּית־דָּג֛וֹן עַל־מִפְתַּ֥ן דָּג֖וֹן בְּאַשְׁדּ֑וֹד עַ֖ד הַיּ֥וֹם הַזֶּֽה:
 
Questa è la versione latina della Vulgata:

Philisthim autem tulerunt arcam Dei et asportaverunt eam a lapide Adiutorii in Azotum tulerunt Philisthim arcam Dei et intulerunt eam in templum Dagon et statuerunt eam iuxta Dagon cumque surrexissent diluculo Azotii altera die ecce Dagon iacebat pronus in terram ante arcam Domini et tulerunt Dagon et restituerunt eum in loco suo rursumque mane die alio consurgentes invenerunt Dagon iacentem super faciem suam in terram coram arca Domini caput autem Dagon et duae palmae manuum eius abscisae erant super limen porro Dagon truncus solus remanserat in loco suo propter hanc causam non calcant sacerdotes Dagon et omnes qui ingrediuntur templum eius super limen Dagon in Azoto usque in hodiernum diem.
 
Questa è la traduzione CEI 2008: 
 
5 I Filistei, catturata l'arca di Dio, la portarono da Eben-Ezer ad Asdod. 2 I Filistei poi presero l'arca di Dio e la introdussero nel tempio di Dagon. 3 Il giorno dopo i cittadini di Asdod si alzarono ed ecco Dagon giaceva con la faccia a terra davanti all'arca del Signore; essi presero Dagon e lo rimisero al suo posto. 4 Si alzarono il giorno dopo di buon mattino ed ecco Dagon con la faccia a terra davanti all'arca del Signore, mentre il capo di Dagon e le palme delle mani giacevano staccate sulla soglia; solo il tronco era rimasto a Dagon. 5 A ricordo di ciò i sacerdoti di Dagon e quanti entrano nel tempio di Dagon in Asdod non calpestano la soglia fino ad oggi.
 
Il versetto רַ֥ק דָּג֖וֹן נִשְׁאַ֥ר עָלָֽיו raq dāgōn nishʾar ʿālāyw è stato equivocato e mal tradotto. La Vulgata traduce, come la CEI 2008: "solo il tronco di Dagon era rimasto (a lui)". La parola raq significa "solo, soltanto, esclusivamente". Così la parola per "tronco" è sottintesa. David Kimhi (XIII secolo) interpretò quindi "il tronco di Dagon" come "la parte in forma di pesce del suo corpo", ritenendo che la forma corretta dovesse essere raq dāgō, "solo il suo pesce": omettendo la -n finale, il nome di Dagon veniva a essere la parola comune dāgō "il pesce di lui". Già Shlomo "Rashi" Yitzchaki (XI secolo) era giunto a conclusioni simili prima di Kimhi. Nel XIX secolo questa erronea convinzione, sostenuta da Julius Wellhausen, fu rafforzata dalle scoperte archeologiche mesopotamiche, che portarono alla luce numerose raffigurazioni di divinità con caratteri teriomorfi di pesce. Si trattava degli Abgal (Apkallu in accadico), esseri sapienti tra cui vi era Uanna (grecizzato in Oannes), emerso dal Golfo Persico ai primordi del genere umano per insegnare i rudimenti della civiltà alle genti della Mesopotamia. Questi Abgal nulla hanno a che vedere con Dagon. Una bella lezione per i fautori del primato dell'archeologia sulla linguistica! 
 
Il primo a dubitare del mito del Dio Pesce fu Hartmut Schmökel, che nel 1928 pubblicò il suo lavoro Der Gott Dagan; Ursprung, Verbreitung und Wesen seines Kultes. Oggi nessuno studioso serio sostiene più l'iconografia tradizionale dell'ibrido ittiomorfo, che tuttava continua ad essere presente nella cultura popolare. 
 
Esistono altre ipotesi, a mio avviso poco plausibili:
1) In arabo esiste la parola dajana "essere tenebroso, nuvoloso", che deriva da una protoforma *dagana, visto che in tale lingua il fonema protosemitico velare /g/ è diventato palatale, evolvendo in /dʒ/ in modo sistematico. Sempre in arabo si ha anche dajj "pioggia", forse in qualche modo connesso alla radice di dajana (forse, perché esiste anche la parola dujn "tenebra"). Secondo questa ipotesi, Dagon sarebbe addirittura una divinità uranica, paragonabile a Giove. 
2) Nella lingua degli Hittiti esiste la parola tekan "terra", che ha la variante dagan. Così dankuiš daganzipaš significa "Terra Nera", o meglio "Oscuro Genio della Terra": è un nome dell'Oltretomba. Daganzipa è poi il nome di una dea che corrisponde a Persefone, traducendo l'epiteto greco Khthonía "Sotterranea", e deriva anche dalla stessa radice. Secondo questa ipotesi, Dagon verrebbe ad essere nientemeno che una divinità ctonia, legata al sottosuolo e al mondo del Morti. 
 
Questi sono in sintesi i dubbi: 
 
i) Le caratteristiche di Dagon postulate da queste etimologie non corrispondono a quelle dimostrabili. 
ii) Le parole arabe dajana e dajj hanno origine incerta; non è nemmeno chiaro il rapporto che intercorre tra loro e non se ne trova traccia, a quanto ne so, nell'area in cui Dagon era venerato.
iii) Non mi risulta che il culto di Dagon fosse tipico dell'Asia Minore.
iv) Un tiranno di Purushanda, in Asia Minore, portava il nome di Nur-dagan. Visse all'epoca di Sargon, che lo vinse e lo spodestò. Esiste anche la variante Nur-daggal, che complica le cose. Potrebbe non avere connessione alcuna con Dagon. 
 
H. P. Lovecraft e Dagon 
 
Howard Phillips Lovecraft fu l'autore di un racconto breve intitolato Dagon. Lo scrisse nel luglio del 1917, riuscendo a farlo pubblicare su The Vagrant nel 1919. Dopo alcuni anni, nel 1923, Dagon apparve su Weird Tales. La storia fu ispirata in parte da un incubo che funestò il suo sonno in un'occasione. Così ebbe in seguito a descriverlo: "Ho sognato tutto quell'orribile strisciare, e riesco ancora a sentire la melma che mi risucchia!" ("I dreamed that whole hideous crawl, and can yet feel the ooze sucking me down!"). Bisogna stare attenti a non equivocare: la creatura che appare nel racconto non è denominata "Dagon". È un gigantesco mostro viscido che striscia verso un monolito alieno, abbracciandolo in adorazione. Un devoto quindi, più che il demone oggetto del culto. Il teonimo che dà il titolo all'opera del Solitario di Providence può così essere interpretato: il protagonista, conscio dell'esistenza e della terrificante natura del Signore degli Abissi, deve avergli dato un nome biblico che conosceva bene e che lo faceva tremare dall'orrore. La confutazione del mito del Dio Pesce ad opera di Schmökel sarebbe giunta soltanto pochi anni più tardi, ma questo è per noi irrilevante. Possiamo dire che Dagon e Nodens siano i soli nomi di divinità realmente adorate da popoli della Terra ad essere stati utilizzati da Lovecraft, che ha sempre preferito servirsi di spaventosi suoni di ben altra origine, non appartenenti al mondo che conosciamo.

venerdì 2 ottobre 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DELL'IDRONIMO MISKATONIC

La geografia del New England incubico descritto da H. P. Lovecraft è a dir poco affascinante. Somiglia a quella della realtà in cui viviamo, ma non è del tutto identica. Proprio questo è il suo fascino intrinseco: quella toponomastica distorta, incongrua, che sulle prime potrebbe sembrare verosimile ma che poi si scopre essere il sottile parto dell'immaginazione.
 
La Miskatonic University è menzionata per la prima volta nel racconto Herbert West, rianimatore (Herbert West, Reanimator), pubblicato per la prima volta nel 1922. L'ateneo trae il suo nome da quello del fiume che scorre nella tetra cittadina di Arkham. Il Miskatonic è descritto come un fiume descritto come spettrale e tristissimo, dalle acque grigie. Molto diffusa è la leggenda di una derivazione dell'idronimo dall'aggettivo chthonic "sotterraneo, ctonio", vocabolo dotto derivato dal greco χθών (khthon) "terra". I sostenitori di questa etimologia analizzano la terminazione -katonic come una deformazione ortografica di chthonic, lasciando un residuo mis- anch'esso ricondotto al greco e identificato col ben noto prefisso mis- di parole come misanthropy "misantropia", a sua volta confuso col prefisso inglese mis- indicante qualcosa di sbagliato (ricorrente in parole come misunderstanding "fraintendimento", misdeed "misfatto", mismatch "errata corrispondenza", etc.). Questo è riportato nel sito Academic Dictionaries of Encyclopedia
 

"A likely origin for the word Miskatonic is that it is the phonetic contraction of the English prefix 'Mis-', indicating something wrong (as in ‘misplaced’), or bad (as in ‘misanthropy’), and Chthonic (from Greek χθόνιος – chthonios, "in, under, or beneath the earth"), which designates, or pertains to, deities or spirits of the underworld, especially in relation to Greek religion. The Greek word khthon is one of several for "earth"; it typically refers to the interior of the soil, rather than the living surface of the land. It evokes at once abundance and the grave. A close approximation to the phonetic pronunciation of the word Chthonic is 'kuh-th-onic', where 'th' is pronounced identically as it is in the word 'thing'. Miskatonic thus read and understood, would clearly fit with Lovecraft’s wit and mythos." 

Traduzione per i non anglofoni: 

"Una verosimile origine per la parola Miskatonic è che sia la contrazione fonetica del prefisso inglese 'Mis-', indicante qualcosa di sbagliato (come in ‘misplaced’), o cativo (come in ‘misanthropy’), e Chthonic (dal grego χθόνιος – chthonios, "in o sotto la terra"), che designa o riguarda divinità o spiriti del mondo sotterraneo, specialmente in relazione alla religione greca. La parola greca khthon è una delle tante per "terra"; si riferisce tipicamente all'interno del suolo, piuttosto che alla superficie vivente della terra. Evoca al contempo l'abbondanza e la tomba. Una stretta approssimazione alla pronuncia fonetica della parola Chthonic è 'kuh-th-onic', dove 'th' è pronunciata in modo identico a quello della parola 'thing'. Miskatonic, così letto e compreso, si adatta chiaramente all'arguzia e al mito di Lovecraft."

Posso dimostrare che questa etimologia è fallace e basata su errori grossolani. Innanzitutto il vocabolo cthonic non è affatto pronunciato /kə'θɔnɪk/ in inglese americano, bensì /'θɒnɪk/. Nell'inglese britannico l'iniziale ch- corrisponde a /k/: /'kθɔnɪk/, ma senza formare il nucleo di una sillaba. Non è improbabile che tale suono velare sia stato restaurato in epoca abbastanza recente tramite un intervento accademico e che la pronuncia più antica corrispondesse a quella americana. Il dizionario Merriam-Webster non riporta traccia di /k/ nella pronuncia del vocabolo in questione.
 
 
Non sembra probabile quindi che Lovecraft potesse trascrivere chthonic come -katonic. 
 
1) Il prefisso inglese mis- "cattivo, sbagliato" non è affatto di origine greca: è di origine germanica. Deriva dal protogermanico *missa- "erroneo, non corrispondente", che troviamo immutato in gotico: missadeþs "misfatto"; missaleiks "vario"; missaqiss "discordia, dissenso". 
2) In alcune parole importate dal francese antico, il prefisso mis- è invece di origine latina e deriva da minus "meno". Così miscreant "miscredente", in ultima analisi dal latino medievale minuscredens. Si noti che l'avverbio minus non è mai stato usato come prefisso nel latino classico. Questo uso si è imposto in seguito per influenza del prefisso germanico mis- della lingua dei Franchi (vedi sopra).
3) Esiste un altro prefisso in inglese, mis(o)-, che è di origine greca e significa "odio, odiatore, che odia". Si trova in parole come misanthropic, misoginy, misandry, etc. Non esiste soltanto in inglese: è ben conosciuto in moltissime altre lingue, italiano incluso. Così tutti sappiamo che il misantropo è colui che odia gli esseri umani, e che il misogino è colui che odia le donne; una donna che odia gli uomini è chiamata misandra, anche se questo vocabolo non è conosciuto dal volgo, non avendo il giornalismo politically correct alcun interesse a diffonderlo. Le parole greche μῖσος (mîsos) "odio" e μισέειν, μισεῖν (miséein, miseîn) "odiare" non hanno alcuna etimoloia indoeuropea credibile: sono con ogni probabilità relitti del sostrato pre-ellenico.
 
Veniamo al dunque: il Solitario di Providence ha dichiarato che l'idronimo Miskatonic deriva da un guazzabuglio di radici Algonchine  ("a jumble of Algonquin roots"). Non ha mai sostenuto l'idea di una fabbricazione cervellotica dal greco accademico. La sua parola senza alcun dubbio vale più delle boiate degli improvvisati grecisti del Web. In realtà il processo creativo non è stato così complesso da poter essere descritto come "guazzabuglio". Due sono le sorgenti identificabili: 
 
1) L'etnonimo Misqat, che identifica un'oscura tribù degli Algonchini del Massachusetts, secondo quanto riportato da Daniel Harms (The Encyclopedia Cthulhiana, 1998); 
2) L'idronimo Housatonic, la cui pronuncia è /hu:sə'tɒnɪk/. Molte sono le ortografie attestate per il nome di questo fiume del New England. A quanto pare la più antica grafia risale al 1661 e si deve a un certo John Pynchon: Ausatinnoag. Nel 1859, l'ultima superstite di sangue puro della tribù Schaghticoke, Eunice Mahwee, scriveva invece Hoosatenuc. Il linguista James Hammond Trumbull riconduceva la prima sillaba dell'idronimo al prefisso Delaware wussi- "oltre", "sull'altro lato". La parte centrale del nome sarebbe a suo parere stata la parola adene "montagna", mentre il suffisso -ic lo ha ricondotto al vocabolo Mohicano akee "luogo", "terra". Così Housatonic (con le sue varianti) significherebbe "luogo al di là delle montagne", o qualcosa del genere. La forma originale è riportata anche in altri modi, la cui sostanza è comunque la stessa: il più diffuso è usi-a-di-en-uk, che nella lingua dei Mohicani significa "oltre il luogo montano" o "fiume del luogo montano". 
 
Ortografie alternative (obsolete): Ousetonack, Howsatunnuck, Oweantinock, etc. 
 
 
Gli Indiani Misqat di cui parla Harms sono con ogni probabilità fantomatici. Non sono certo uno di quelli che dicono: "Se una cosa non si trova in Google, allora vuol dire che non esiste". Tuttavia se questi Misqat fossero esistiti, avrebbero lasciato qualche traccia anche in lavori di altri studiosi. Qualche loro menzione si dovrebbe trovare. Sulle prime ho pensato che un'etimologia possibile dell'etnonimo fosse dalla radice proto-algonchina *mexkātci che ha dato il vocabolo Cree miskāt "gamba", plurale miskāta "gambe"; in tal caso il nome dei Misqat significherebbe "Gambe Lunghe", "Gambe Veloci" o qualcosa di simile. Poi, appurato che la lettera q è usata nella trascrizione di parole algonchine per esprimere una consonante labiovelare /kw/, la mia ipotesi è venuta a cadere. Non era sostenibile. Nella lingua Wampanoag, parlata un tempo nel Massachusetts, "gamba" è muhkôt, che non si adatta a spiegare l'etnonimo Misqat. Nonostante le difficoltà sono comunque riuscito a trovare la vera etimologia cercando con attenzione tra le radici proto-algonchine: *miskwa- "rosso", *miskwi "sangue". Si conclude che il nome dei Misqat significa certamente "Rossi". La terminazione -at potrebbe derivare dal proto-algonchino *atihte- "essere colorato". Forse Harms ha preso questo nome da qualche parte; dubito che lo abbia inventato di sana pianta. Non disponendo di una copia dell'Encyclopedia Cthulhiana, probabilmente mi stanno sfuggendo informazioni importanti sulle fonti. 
 
Se mi è concesso, credo che siano necessari studi più seri e approfonditi: il materiale disponibile nella maggior parte dei siti Web è piuttosto deludente. Il rischio è quello di scivolare verso degenerazioni paragonabili al paleocomparativismo dei romanisti, che conoscono unicamente il latino e disprezzano ogni lingua nativa, considerata "inferiore", "inconoscibile" e appartenente all'Oblio. Riporto il link di un utile vocabolario proto-algonchino, che fornisce le protoforme e gli esiti nelle lingue storiche: 
 
 
Probabilmente Lovecraft avrà letto simile materiale fumoso e ne sarà stato affascinato, anche se di certo non conosceva nessuna lingua amerindiana. Con tutta probabilità il nome del fiume Miskatonic significa "oltre la terra della tribù Misqat". Non conoscendo la fonetica della lingua Wampanoag e le convenzioni ortografiche per trascriverla, ha sostituito la scomoda consonante -q-, non seguita da una -u-, con una più immediata -k-