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lunedì 1 novembre 2021

 
PAURA NELLA CITTÀ DEI MORTI VIVENTI
 
Titolo originale: Paura nella città dei morti viventi 
Paese di produzione: Italia
Anno: 1980 
Lingua: Italiano
Durata: 93 min
Rapporto: 1,85:1
Genere: Orrore 
Sottogenere: Zombesco, weird, demoniaco
Regia: Lucio Fulci
Soggetto: Lucio Fulci e Dardano Sacchetti
Sceneggiatura: Lucio Fulci e Dardano Sacchetti
Produttore: Lucio Fulci e Giovanni Masini
Produttore esecutivo: Robert E. Warner
Casa di produzione: Dania Film, Medusa Distribuzione,
    National Cinematografica
Distribuzione in italiano: Medusa Distribuzione
Fotografia: Sergio Salvati
Montaggio: Vincenzo Tomassi
Effetti speciali: Gino De Rossi
Musiche: Fabio Frizzi
Scenografia: Massimo Antonello Geleng
Costumi: Massimo Antonello Geleng
Trucco: Rosario Prestopino, Franco Rufini e Luciano Vito
Interpreti e personaggi:
    Christopher George: Peter Bell
    Catriona MacColl: Mary Woodhouse
    Carlo De Mejo: Jerry
    Antonella Interlenghi: Emily Robbins
    Giovanni Lombardo Radice: Bob
    Daniela Doria: Rosie Kelvin
    Fabrizio Jovine: Padre William Thomas
    Luca Paisner: John-John Robbins
    Michele Soavi: Tom Fisher
    Venantino Venantini: Mister Ross
    Enzo D'Ausilio: Aiutante dello sceriffo Russell
    Adelaide Aste: Theresa
    Luciano Rossi: Poliziotto nell'appartamento
    Robert Sampson: Sceriffo Russell
    Janet Agren: Sandra
    Lucio Fulci: Dott. Joe Thompson
Doppiatori originali:
    Sergio Rossi: Peter Bell
    Serena Verdirosi: Mary Woodhouse
    Cesare Barbetti: Jerry
    Anna Melato: Emily Robbins
    Vittorio Stagni: Bob
    Isabella Pasanisi: Rosie Kelvin
    Roberto Chevalier: Tom Fisher
    Gianni Marzocchi: Mister Ross
    Anna Miserocchi: Theresa
    Vittoria Febbi: Sandra
    Romano Ghini: Dott. Joe Thompson 
Titoli in altre lingue: 
   Inglese (Regno Unito): City of the Living Dead 
   Inglese (Stati Uniti d'America): The Gates of Hell
   Francese: Frayeurs 
   Spagnolo: Miedo en la ciudad de los muertos vivientes 
   Tedesco: Ein Zombie hing am Glockenseil 
   Greco: Η πόλη των ζωντανών νεκρών 
   Russo: Город живых мертвецов 
   Polacco: Miasto żywej śmierci 
 
Trama: 
Un prete cattolico, Padre Thomas, si impicca nel cimitero del villaggio di Dunwich, proprio nella Vigilia di Ognissanti. Lo fa scientemente, nel pieno possesso delle sue facoltà, per odio assoluto verso Dio. Con questo suicidio egli provoca l'apertura di un passaggio diretto tra la Terra e l'Inferno. Proprio nel momento in cui avviene la transizione agli Inferi dell'ecclesiastico, a New York, nell'appartamento della medium Theresa è in corso una seduta spiritica. Mary Woodhouse ha una chiara visione dell'accaduto e muore di morte improvvisa. Il gruppo di spiritisti che partecipava al rituale può solo constatare il suo decesso. Viene chiamata la polizia: il commissario è un mandingo dai modi bruschi che si convince, forse per personale ottusità, che la donna sia deceduta a causa di un'overdose di droga. La medium Theresa avverte l'ufficiale di un male incombente. Di colpo una fiammata arde come dal nulla nella stanza, lasciando attoniti gli astanti. Il giornalista Peter Bell inizia a indagare sulla morte di Mary Woodhouse e visita la sua tomba. Il corpo è appena stato inumato, tuttavia la donna è ancora viva e Peter, che sente le sue grida, riesce a salvarla dalla sepoltura prematura. Peter e Mary fanno visita a Theresa, la quale dice che, secondo l'antico libro di Enoch, gli eventi delle visioni presagiscono l'irruzione dei morti viventi nel nostro mondo. Il suicidio del prete diabolico ha sovvertito l'ordine naturale stabilito da Dio e ha spalancato le Porte dell'Inferno: l'invasione inizierà il successivo giorno di Ognissanti. Nel frattempo a Dunwich, Bob, un giovane vagabondo, visita una casa abbandonata, fuggendo a gambe levate dopo aver rinvenuto una carcassa sfatta. Dall'altra parte della città, Gerry, uno psicoanalista, sta visitando Sandra, una sua paziente nevrotica e biondiccia fissata con fantasie di incesto col padre. Più tardi la giovane Emily Robbins, che è la sua ragazza e assistente personale, gli dice che ha cercato di aiutare il vagabondo Bob e che deve incontrarlo. Il problema è che Emily non torna viva dall'incontro con Bob, che soffre di una grave forma di miasi ed è sconvolto dalla visione il prete impiccato. Così strozza Emily con una mano piena zeppa di cagnotti. Anche i giovani Tom e Rosie, che stanno amoreggiando appartati in un'auto, si imbattono nel prete demoniaco. Rosie si mette a lacrimare sangue e a vomitare le interiora, mentre Tom, raggiunto dall'ecclesiastico, finisce col cranio sfondato e col cervello asportato. Il cadavere di Emily viene rinvenuto il mattino dopo, vicino a una pozza di percolato fetidissimo. Il padre della ragazza racconta allo sceriffo e a Gerry dei suoi sospetti sul verminoso Bob, a cui non mancano precedenti criminali di un certo rilievo. Nel frattempo, Peter e Mary lasciano New York, andando alla ricerca del borgo perduto di Dunwich. Quella stessa sera, Bob torna alla casa deserta e ha una nuova visione di padre Thomas. Dopo il funerale di Emily, il suo fratellino John-John vede l'immagine spettrale della defunta fuori dalla finestra della sua camera da letto. Comincia un turbine di eventi soprannaturali abberranti. La nevrotica Sandra trova sul pavimento della sua cucina il cadavere dell'anziana signora Holden. Subito Sandra chiama in aiuto Gerry. Quando l'uomo arriva, della defunta signora Holden non c'è più traccia. I due perquisiscono la casa, in cui si rompe senza motivo una finestra, il cui vetro è cosparso di sangue umano. Bob finisce ucciso da un uomo del posto, il collerico Ross, che gli perfora la testa con un trapano elettrico, pensando che egli volesse deflorargli la figlia. La mattina seguente, Peter e Mary trovano il fatiscente cimitero di Dunwich. Mentre cercano la tomba del prete suicida, incontrano Gerry e Sandra. Tornano nell'ufficio di Gerry per discuterne, ma vengono quasi soffocati da una tempesta di vermi. Gerry riceve quindi una chiamata da John-John, che spiega che il cadavere di Emily si è rianimato: la rediviva ha ucciso i suoi genitori. Mentre Sandra cerca di mettere in salvo il piccolo John-John, Emily la assale e la scotenna. John-John fugge ma viene salvato da Gerry, che lo consegna alla polizia. Gli zombie invadono la città, guidati da Bob. Si scatena il panico e viene dichiarato lo stato di emergenza. Mary, Peter e Gerry tornano al cimitero mentre l'orologio segna la mezzanotte e inizia il giorno di Ognissanti. Scendono nella tomba di famiglia di Padre Thomas, scoprendo una cripta piena di resti scheletrici e di putredine. Apparendo come uno zombie, Sandra uccide Peter, ma Gerry la trafigge con una punta di metallo. Mary e Gerry affrontano il prete e l'orda dei non-morti. Gerry afferra una croce di legno e sventra padre Thomas. Il prete e gli altri cadaveri rianimati prendono fuoco e scompaiono. Mary e Gerry escono al cimitero la mattina per vedere John-John e la polizia. Mary è sollevata nel vedere il bambino vivo, ma all'improvviso si spaventa e urla, mentre tutto si sgretola e diventa nero, come se un veleno ontologico stesse iniziando a contaminare l'intero Universo. 
 
Citazioni: 
 
"l'anima che anela all'eternità
deve sottrarsi al giogo della morte.
tu, o viandante,
alle soglie delle tenebre, vieni."
 
Recensione: 
La Trilogia della Morte, iniziata con Paura nella città dei morti viventi (1980), è poi proseguita con ... e tu vivrai nel terrore! - L'aldilà (1981) e Quella villa abbandonata accanto al cimitero (1981). Questa pellicola è caratterizzata, come altri lavori di Fulci, da un onirismo estremo, addirittura violento. L'intenzione del regista non è quella di dar vita a una vicenda verosimile e coerente. Piuttosto, quello che lo spettatore deve affrontare è un insieme di sequenze incubiche disordinate. Lo schema ricorrente e tipico è questo: a un certo punto fa la sua improvvisa irruzione un elemento soprannaturale atroce e insopportabile, come ad esempio un morto vivente; se la vittima dell'aggressione riesce a fuggire, per prima cosa fa accorrere qualcuno in suo aiuto ritornando sul luogo in cui si è manifestato l'evento inspiegabile o funesto, ma ogni traccia dell'accaduto è scomparsa come per incanto; se invece la vittima finisce uccisa, è destinata a spuntare fuori come zombie in un luogo incongruo. Vano è cercare un ordine razionale, come sarebbe vano cercarne in un incubo.
 
 
Tempesta di cagnotti! 
 
La scena della tempesta di cagnotti fu girata utilizzando due ventilatori e 10 chilogrammi di larve di mosca. A giudicare dalle dimensioni, si direbbero larve di Calliphora vomitoria, il dittero che volgarmente è chiamato moscone azzurro. Una simile operazione scenica non è stata priva di rischi. Questi ripugnanti esserini possono insinuarsi nelle orecchie senza che nessuno se ne accorga subito, procedendo all'interno fino al timpano. Dopo aver rosicchiato la membrana, sono in grado di risalire per il condotto dove passa il nervo acustico, riuscendo quindi a guadagnarsi l'accesso al cervello! Le vittime di questa parassitosi non muoiono subito. Sono costrette a condurre un'esistenza da incubo, in una condizione che è quanto di più si avvicini all'Inferno di Dante! Le larve di mosca possono entrare anche nel naso e negli occhi, causando orribili infestazioni, infezioni e persino la morte per sepsi. Oltre a colonizzare la plica semilunare, riescono a penetrare nel canale lacrimale e addirittura all'interno del globo oculare. Se ingerito intero, un cagnotto sopravvive agli acidi gastrici, raggiungendo nell'intestino, dove con le sue potenti mascelle può lesionare le mucose, causando anche emorragie interne. Qualcuno mi dirà che le miasi sono rare alle nostre latitudini, riguardando per lo più i paesi tropicali e in particolare l'Africa. Vero è che le mosche come i Calliforidi non sono parassiti obbligati, ma soltanto opportunisti. Altrettanto vero è che se qualcuno infila la testa in un secchio di cagnotti, le probabilità di avere qualche problemino si moltiplicano in modo esponenziale! Penso che queste concrete possibilità di infestazione non fossero considerate perché nessuno sul set, né il regista né gli altri, aveva la benché minima conoscenza del mondo degli insetti e dei misteri del parassitismo. Si saranno detti qualcosa di questo genere: "Che vuoi che sia? Sono soltanto vermetti!" Era trascurata anche la possibilità di cause legali in caso di gravi conseguenze sulla salute degli attori. Attualmente nessuno ha più la libertà di utilizzare mezzi simili nell'industria cinematografica. Non solo ci sono protocolli stringenti per quanto riguarda la sicurezza e le norme igieniche: sarebbero anche possibili denunce da parte di qualche animalista radicale per maltrattamento dei bigattini! Ho tuttavia reperito un aneddoto bizzarro. Un membro del cast avrebbe messo alcune larve nella pipa di Fulci, che lì per lì non si accorse di nulla, ma fu preso da paranoie immense quando venne a sapere l'accaduto. Qualche anno dopo, quando il regista fu colpito da un aneurisma ventricolare e dall'epatite C, sviluppando una cirrosi epatica, giunse ad attribuire a quella fumata queste disgrazie che lo avevano colpito. Mi sorge quindi una domanda: se aveva tutta questa paura di quelle larve, perché le faceva gettare addosso agli altri? 
 
 
Il prete demoniaco
e la teologia cattolica nell'horror 
 
Padre Thomas è l'elemento centrale, il fulcro teologico dell'intera trama, anche se non pronuncia una sola parola dall'inizio alla fine del film. Come tutti i morti, a partire dagli zombie, non emette alcun suono articolato. Non sappiamo nulla di concreto su questo personaggio sfuggente, a parte il fatto che deve essere stato avviato alla vita ecclesiastica contro la sua volontà - cosa che lo ha spinto a un odio assoluto ed eterno nei confronti dell'Artefice. Non è un caso che sia un prete cattolico. La scelta non si deve soltanto al fatto che la religione professata dal regista fosse quella cattolica. L'importanza della Chiesa di Roma nel cinema horror è estrema. Basti pensare a quello che è considerato uno dei film con maggior impatto culturale del XX secolo: L'esorcista di William Friedkin (The Exorcist, 1973). I complessi e altisonanti rituali del culto cattolico scatenano in molte persone un profondo senso di angoscia, oppressione e claustrofobia. L'iconografia e il repertorio di simboli sembrano studiati apposta per il genere horror. Proprio perché schiacciano lo spettatore e lo imprigionano, si dimostrano incredibilmente efficaci. Archetipi come il peso del peccato originale, la lotta tra Bene e Male, l'esistenza fisica del Demonio e l'idea di un destino ultraterreno incerto, con l'incombente minaccia dell'Inferno, forniscono materiale di ottima qualità. Figure come il prete esorcista o la suora demoniaca posseduta sono diventate autentici geroglifici che caratterizzano il genere, traumatizzando il pubblico. Fulci va molto oltre, presentandoci un prete dannato che diventa tramite con l'Inferno, in grado di sovvertire l'ordine cosmico! Molte trame non funzionerebbero in alcun modo se anziché un prete cattolico ci fosse un pastore protestante. Le Chiese Protestanti non permettono una gran libertà di movimento e di narrazione: liquidano troppe cose come superstizioni, non amano il simbolismo e il soprannaturale. I loro ministri di culto forse sono meno controversi dei preti cattolici, ma sembrano più che altro figure quasi evanescenti. Anche se un film è ambientato in un paese in cui i cattolici sono una minoranza, la loro teologia vi riveste invece un ruolo capitale. Basti pensare a Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog (Nosferatu: Phantom der Nacht, 1973). Il protagonista risiede nella città anseatica di Wismar, sul Baltico, dove i cattolici erano e sono tuttora poco numerosi. Eppure il potere del pane eucaristico era ritenuto in grado di sbarrare il cammino ai vampiri. Dal canto suo, la Chiesa di Roma non ha mai visto con favore il cinema horror e questo uso spesso abusivo del simbolismo cattolico. La principale preoccupazione del clero sembra essere la diffusione di terrori, attacchi di panico e paranoie, potenzialmente in grado di allontanare i fedeli dal culto. In realtà esiste anche qualcos'altro: un'inquietudine sulfurea e assillante che ha a che fare con l'ontologia della Creazione, con la separazione dei due Regni, quello dei Vivi e quello dei Morti, oltre che con il problema del libero arbitrio. Queste sono le domande destabilizzanti, che certo farebbero ridere un pagano, ma che hanno un effetto ben diverso su un cattolico: 
1) Separazione dei due Regni: è possibile instaurare un contatto con l'Inferno e sprigionare la sua potenza distruttiva in questo mondo? 
2) Libero arbitrio e dannazione: è possibile che qualcuno possa essere preso dal Maligno contro la propria volontà, non avendo esercitato una libera scelta del Male? 
Se Tommaso d'Aquino avrebbe dato una risposta negativa ad entrambe le domande, Lucio Fulci era di diverso avviso e su questo ha costruito la Trilogia della Morte

 
Vaghi echi lovecraftiani  

Sacchetti notò che Fulci aveva appena finito di leggere Lovecraft prima di lavorare alla sceneggiatura del film. Constatò che voleva ricreare un'atmosfera lovecraftiana. Negli scritti originali dello stesso Sacchetti, la vicenda era ambientata a Salem, che pure viene menzionata nel corso del film - a un certo punto si dice che Dunwich sia stata costruita sulle sue rovine. Si dice anche che i suoi abitanti discendano dai "bruciatori di streghe di Salem". In realtà Salem esiste tuttora e le streghe furono impiccate.
Il toponimo Dunwich è carico di suggestioni: il villaggio decadente creato da H.P. Lovecraft si trova nella valle del fiume Miskatonic, nel Massachusetts settentrionale, parte del New England incubico. Già abbiamo scritto qualche considerazione sull'idronimo Miskatonic e sulla sua possibile etimologia: 
 

Dunwich compare nel celebre racconto di Lovecraft L'orrore di Dunwich (The Dunwich Horror, 1929), uno dei più importanti del Ciclo di Cthulhu. Il villaggio appalachiano è descritto come un triste luogo abitato da hillbilly, genti arretrate, incestuose, superstiziose e violente, con forti inclinazioni antisociali. Il Solitario di Providence ci spiega che la segnaletica stradale che indica Dunwich è stata misteriosamente rimossa dopo i tremendi accadimenti da lui narrati. Questa strana suggestione è stata ripresa da Fulci, che mostra le grandi difficoltà in cui i protagonisti sono incorsi nel loro tentativo di trovare il luogo maledetto. 
La fonte di ispirazione di Lovecraft è stata forse la città portuale di Dunwich nel Suffolk, in Inghilterra. Il nome della città inglese è pronunciato /'dʌnɪtʃ/. Non è comunque chiaro se questa fosse proprio la pronuncia attribuita dal Solitario di Providence al toponimo da lui ideato per il villaggio maledetto del Massachusetts incubico.  

 
Effetti speciali 

Anni fa visionai un video che era stato postato su YouTube. Un gatto nero particolarmente pingue (mi sarebbe piaciuto accarezzargli il pancino), vomitava una massa incredibile di interiora di coniglio che aveva ingurgitato con estrema voracità. Il suo stomaco non era stato in grado di processare quel cibo, che fuoriusciva dalla bocca praticamente intatto, nemmeno masticato. Ero in grado di distinguere e di riconoscere ogni dettaglio seppur minimo: il colon, l'intestino tenue, persino una parte del fegato. Ecco, ho avuto come un déjà vu quando mi è passata davanti agli occhi la scena di Rosie, ossia Daniela Doria, intenta ad espellere dalla bocca l'intestino tenue e il colon! Non solo. Mi sono tornate alla memoria le sensazioni provate quando ero quindicenne e sono stato colpito da una pancreatite acuta, passando due settimane a vomitare.  
Gli effetti speciali e i trucchi sono opera di Gino De Rossi, Franco Rufini e Rosario Prestopino. A Prestopino si devono i trucchi degli zombie, mentre a Rufini si deve il trucco delle attrici. Non c'entrano nulla Giannetto De Rossi e Maurizio Trani, i cui nomi sono riportati da svariate fonti. Per realizzare la sequenza del copioso vomito di Rosie, fu utilizzata una testa finta. Il materiale rigettato era costituito da interiora di pecora (Albiero-Cacciatore, 2004); secondo altre fonti erano invece interiora di vitello (Curti, 2019). La sequenza della testa trapanata di Bob è nata dall'ingegno di Sacchetti; i relativi effetti speciali si devono a Rufini e a Prestopino. 
 
 
Censura grottesca 
 
Essendo considerato troppo violento, il film di Fulci andò incontro a una censura draconiana in Germania Ovest. Non dobbiamo dimenticarci che all'epoca le cose erano molto diverse da come le conosciamo. Solo per fare un esempio, c'era ancora il famigerato Mudo li Merlino. Ebbene, le autorità si dimostrarono implacabili e arrivarono a sequestrare persino l'unica copia rimasta di Paura nella città dei morti viventi, allo scopo di tagliarla ulteriormente. Soltanto dopo un simile scempio poté iniziare la distribuzione, ma a quel punto della trama era rimasto ben poco. Infierirono persino sul titolo, che dal già infelice Ein zombie hing am Glockenseil ("Uno zombie pendeva dalla corda della campana") divenne dapprima Ein Toter hing am Glockenseil ("Un morto pendeva dalla corda della campana"), poi Eine Leiche hing am Glockenseil ("Un corpo pendeva dalla corda della campana") e infine Ein Kadaver hing am Glockenseil ("Un cadavere pendeva dalla corda della campana"). Adesso mi si dovrebbe dire quale può essere la differenza di impatto traumatico del titolo di un film cambiando uno zombie in un morto, in un corpo o un cadavere! Si direbbero cambiamenti pretestuosi. Come spiegare un accanimento così livido? Dopo aver visto montagne di cadaveri nella Germania devastata, dopo decenni si cagavano in mano al sentir menzionare un cadavere? Forse avevano terrore che Hitler si sarebbe materializzato all'improvviso qualora la pellicola zombesca fosse stata diffusa, anche se nell'opera di Fulci non c'era assolutamente niente di politico! Questo è un tipico esempio di demenza postbellica. 
 
 
Un cimitero affollato 
 
La maggior parte delle scene del cimitero di Dunwich sono state girate nello storico cimitero di Midway, in Georgia. Il cimitero era già pieno nel 1860 con molte tombe contrassegnate da croci di legno. Quando l'esercito del Generale Sherman lo attraversò nel 1864, usarono il cimitero murato come recinto per il bestiame. Quando i bovini rinchiusi furono abbastanza affamati, mangiarono le croci di legno e lasciarono la maggior parte delle tombe senza alcun contrassegno. Nel film, quando uno zombie emerge dal terreno, l'attore sta involontariamente uscendo da una vera tomba profanata. Nel 2019, i proprietari del cimitero non erano a conoscenza che un film fosse mai stato girato lì e hanno affermato che la produzione doveva essersi intrufolata e aver filmato in "stile guerriglia", perché la Chiesa e il Klan non avrebbero mai permesso che un film sugli zombie venisse girato nel cimitero. Tuttavia, ciò è ovviamente falso poiché le scene coinvolgono piste di carrelli, macchine per la nebbia e luci ad alta potenza che non sarebbero passate inosservate all'intera cittadinanza. 
 
Un'incoerenza funebre 
 
Data la trama del film, si suppone che il cimitero si trovi nel Massachusetts, eppure la bara è sepolta appena un paio di metri sotto terra. Nel New England, a causa del gelo, una bara dovrebbe essere sepolta ad almeno 4 o 5 piedi, o ai 6 piedi standard, che è ben al di sotto della linea del gelo. Inoltre, i direttori di pompe funebri autorizzati hanno il dovere di verificare che la persona sia completamente sepolta. Ai lavoratori del cimitero non sarebbe permesso lasciare una bara mezza sepolta solo perché è la fine di una normale giornata lavorativa, a meno che non siano stati corrotti da qualche profanatore necrofilo.

Il Libro di Enoch 

Il Libro di Enoch, citato nel film, è un'opera religiosa ebraica non canonica risalente al IV secolo a.C. È considerato canonico dalla Chiesa Ortodossa Etiope Tewahedo e dalla Chiesa Ortodossa Eritrea Tewahedo, ma da nessun altro gruppo cristiano. Ci è pervenuto integralmente in una versione nell'antica lingua dell'Etiopia, il Ge'ez. Ricchissimo di simbolismi esoterici, è un testo particolarmente oscuro. Questi sono i suoi contenuti: 
- Libro dei Vigilanti (cc. 1-36)
- Libro delle Parabole o Parabole di Enoch (cc. 37-71)
- Libro dell'Astronomia o Libro dei Luminari Celesti (cc. 72-82)
- Libro dei Sogni (cc. 83-90)
- Lettera di Enoch (cc. 91-104)
- Conclusione (cc. 106-108) 

Gli angeli caduti insegnano la scienza e la tecnica agli umani, in parziale analogia col mito greco del Prometeo incatenato. Gli angeli sono puniti non tanto per la trasmissione della conoscenza dal mondo ultraterreno a quello terreno, quanto piuttosto per la violazione dell'ordine divino-naturale della creazione: divino per non aver rispettato la trascendenza degli esseri spirituali, unendosi a delle creature umane; naturale, per avere abbandonato la propria sede astrale "nativa".
(Fonte: Wikipedia)
 
La sepoltura prematura 
 
Ecco un'incoerenza che dimostra una scarsa conoscenza della natura umana. Se una persona venisse estratta viva da una tomba, come minimo resterebbe traumatizzata per tutta la vita. Vediamo invece che Mary Woodhouse si risveglia nella bara, urla e inizia a dare colpi nel tentativo di aprire la cassa. Il suo soccorritore usa il piccone per rompere il coperchio, rischiando tra l'altro di uccidere la donna (la lama la sfiora più volte). Una volta estratta e riportata nel mondo dei vivi, non credo che sarebbe stata molto brillante! Un commentatore su IMDb fa notare che la donna non sarebbe riuscita a sopravvivere all'imbalsamazione. Ciò è sicuramente esatto, non riesco però a trovare alcuna menzione di questo trattamento.    

 
Curiosità 
 
In origine il titolo doveva essere lapidario: La paura. La menzione ai morti viventi è stata aggiunta dalla produzione nel tentativo di sfruttare il successo di un'altra pellicola di Fulci, Zombi 2 (1979).
 
Circolano miti diversi e tra loro contraddittori sull'origine del finale. Secondo una versione molto diffusa, l'ultima parte della sceneggiatura sarebbe stata resa illeggibile da una grossa macchia di caffè, versato inavvertitamente da Tomassi: si sarebbe così reso necessario improvvisare. Un'ipotesi piuttosto assurda e puerile: possibile che nessuno si ricordasse qualcosa di ciò che c'era scritto? Nemmeno gli sceneggiatori, Fulci e Sacchetti, conservavano una labile traccia di memoria? Nessuno è stato in grado di riscrivere daccapo ciò che era stato nascosto dal caffè? Secondo un'altra versione, non so se più credibile della prima, all'inizio sarebbe stato previsto un lieto fine, col prete demoniaco scacciato e la sutura della discontinuità infernale. Un ritorno alla normalità universale, roba del tipo "e tutti vissero felici e contenti". Fulci, in preda alla furia, avrebbe cambiato idea all'ultimo, a riprese già completate.        

martedì 15 giugno 2021

 
LA DONNA VESPA 
 
Titolo originale: The Wasp Woman 
AKA: Insect Woman; The Bee Girl
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1959
Durata: 73 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: 1,85 : 1
Genere: Orrore, fantascienza
Regia: Roger Corman
Sceneggiatura: Leo Gordon 
Soggetto: Kinta Zertuche 
Produttore: Roger Corman
Casa di produzione: Film Group Feature, Santa Cruz
     Productions
Fotografia: Harry Neumann
Montaggio: Carlo Lodato
Musiche: Fred Katz
Scenografia: Daniel Haller
Trucco: Grant Keate
Interpreti e personaggi: 
    Susan Cabot: Janice Starlin
    Anthony "Fred" Eisley: Bill Lane
    Barboura Morris: Mary Dennison
    William Roerick: Arthur Cooper
    Michael Mark: Eric Zinthrop
    Frank Gerstle: Les Hellman
    Bruno VeSota: Guardiano notturno
    Roy Gordon: Paul Thompson
    Carolyn Hughes: Jean Carson
    Lynn Cartwright: Maureen Reardon
    Lani Mars: Segretaria
    Frank Wolff: Primo uomo della consegna
    Philip Barry: Secondo uomo della consegna
    Roger Corman: Medico all'ospedale
    Aron Kincaid: Renfrew, l'apicoltore 
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Die Wespenfrau 
   Francese: La Femme Guêpe 
   Portoghese (Brasile): A Mulher Vespa 
   Spagnolo (Spagna): La mujer avispa 
   Spagnolo (Venezuela): La mujer insecto 
   Polacco: Kobieta-osa 
   Russo: Женщина-оса 
Budget: 50.000 dollari US (stimato) 

Trama: 
Prologo: uno scienziato pazzo, il dottor Eric Zinthrop, viene licenziato dal suo lavoro in una fattoria di miele per aver condotto perigliosi esperimenti con le vespe. La fondatrice e proprietaria di una grande azienda di cosmetici, la milf brunetta Janice Starlin, è turbata quando capisce che le vendite della sua azienda iniziano a diminuire dopo il suo incipiente invecchiamento è divento evidente alla sua base di clienti. Zinthrop è stato capace di estrarre fantomatici enzimi dalla cacca reale, pardon, dalla pappa reale estratta della vespa regina. Questa poltiglia viscosa è in grado di invertire il processo di invecchiamento negli esseri umani. La volitiva e dispotica Janice accetta di finanziare ulteriori ricerche, senza badare a spese, a condizione di poter servire come suo soggetto umano, ossia come cavia. Non sopporta l'idea di essere destinata ad invecchiare e sogna un elisir di eterna giovinezza. Scontenta della lentezza dei risultati, irrompe fuori orario nel laboratorio dello scienziato. Presa dalla pazzia furiosa e dall'isterismo, si inietta dosi extra della formula. Zinthrop si rende conto che alcuni degli imenotteri su cui aveva condotto i test stanno diventando violenti. Così si muove per avvertire Janice del pericolo, ma prima che possa raggiungere qualcuno, subisce un improvvido incidente d'auto. La donna ha grossi problemi a rintracciarlo, ma alla fine riesce a identificare l'ospedale in cui è ricoverato e si occupa delle cure mediche necessarie. Nel frattempo lei continua a iniettarsi il siero anti-invecchiamento, ottenendo risultati portentosi: arriva a perdere vent'anni di età nel corso di un fine settimana. Presto però capisce che c'è uno spiacevole effetto collaterale, ben peggiore di una malattia venerea: le iniezioni innescano sempre più spesso la sua trasformazione in un'orrida creatura con caratteri teriomorfi di vespa, posseduta da una bramosia omicida. Alla fine, dopo una girandola di eventi rocamboleschi, Zinthrop le lancia in faccia un contenitore pieno di acido carbonico (un acido debolissimo), mentre un ex spasimante la colpisce con una sedia facendola precipitare da una finestra. Nella rovinosa caduta, la donna-vespa si schianta al suolo e perde la vita.  

 
Recensione: 
Trovo che sia un prodotto scadente, certo non uno dei migliori esempi della filmografia cormaniana. Banale fino alla nausea, prevedibile, caratterizzato da effetti speciali grossolani quanto grotteschi, deve la sua fama principalmente al fatto che negli States era trasmesso a ciclo continuo dalla TV horror a tarda notte. Era in rotazione permanente! In pratica è stato fatto un vero e proprio lavaggio del cervello agli spettatori: sono ancora numerosissime le persone che ricordano di aver visto questo film un gran numero di volte, al punto di conoscere a memoria le sequenze e le battute. Questa è un'interessante testimonianza: "Non posso dirvi quante volte la mia mente è stata deformata da questo piccolo gioiello nel corso degli anni. Sembrava che fosse sempre in onda e praticamente tutti quelli che conoscevo lo vedevano più e più volte. È diventato una specie di scherzo, come la quintessenza del "brutto film". Il suo mostro dagli occhi di insetto in calzamaglia era esattamente il tipo di mostro che non volevate vedere in un film." (Fonte: IMDb). Qui in Italia per fortuna questo escremento di celluloide non è così conosciuto e non si sembrano essersi dati simili casi di trasmissione aggressiva.   
 
Questa pellicola non sarebbe stata possibile senza L'esperimento del dottor K., diretto da Kurt Neumann (1958), anche se i presupposti dell'ibridazione umano-insetto sono diversi. Neumann mostra gli effetti di un imprevisto in un congegno del teletrasporto, mentre Corman parla di un siero in grado di alterare il genoma - anche se a quell'epoca le idee sul DNA dovevano essere abbastanza nebulose (il primo modello accurato della struttura a doppia elica è del 1953, ma per i non addetti ai lavori non si andava oltre i piselli di Mendel). Il fatto che così poco tempo separi l'uscita dei due film rende l'idea di come nel mondo di Hollywood imperasse un plagio spudorato, anche soltanto parziale, e di come il meccanismo della rapacità agisse rapidamente.   
 
 
Errori concettuali e ignoranza 
 
Il concetto portante del film di Corman si basa su un errore provocato dall'ignoranza della lingua greca, che porta in molti a ritenere che ciò che cura sia sempre per necessità distinto da ciò che intossica e uccide. Già ai mocciosi dovrebbe essere insegnato che la parola farmaco deriva dal greco φάρμακον (phármakon), che ha un duplice significato: 
 
1) medicina;
2) veleno. 

Esistono anche altri significati, come "incantesimo", "pigmento" e via discorrendo. L'etimologia ultima della parola greca è assai oscura e l'ipotesi più credibile è che sia un relitto del sostrato pre-ellenico. Questo però non cambia di un iota ciò che intendo dire. Una sostanza che è in grado di curare una malattia se usata a una certa dose, potrebbe diventare dannosissima o addirittura letale se usata in dose eccessiva. Purtroppo questa verità non è così diffusa e compresa come dovrebbe. Quando ero giovane, in Brianza era ancora molto radicata una grave stortura mentale. Moltissime persone, soprattutto anziane, erano convinte che ogni medicina in grado di apportare un effetto benefico, avrebbe sortito in automatico un beneficio doppio applicando un raddoppio della dose. In modo deterministico e lineare. I bugiardini di moltissime medicine raccomandano di non raddoppiare la dose per compensare una dose saltata. La protagonista del film va anche oltre nella sua follia: non si limita ad applicare il raddoppio della dose, la moltiplica.

Un'altra delittuosa forma di ignoranza è quella che porta a confondere specie di imenotteri sociali tra loro molto diverse. Così per il regista e per lo sceneggiatore non esiste alcuna reale differenza tra api e vespe. "È facile confondere un'ape da una vespa per via del colore: entrambe sono a strisce gialle e nere. Puoi notare, però, delle differenze: le vespe presentano un corpo più snello e liscio, le api sono più robuste e pelose. Le api pungono solo se minacciate: dopo aver punto, perdono il pungiglione e muoiono." (Fonte: Insectum.it). In realtà nemmeno i colori sono gli stessi: l'ape da miele (Apis mellifera) non presentano lo stesso giallo sgargiante tipico delle vespe (famiglia Vespidae), bensì una tonalità di arancione pallido. Quando si tratta di distinguere la forma di insetti diversi, sono numerosissime le persone che mostrano soprendenti forme di agnosia. Nonostante il titolo e le ripetute affermazioni secondo cui il siero proverrebbe dagli "enzimi" della vespa, i titoli di testa sono sovrapposti a filmati di repertorio di un alveare di api e lo stesso filmato viene mostrato dopo la prima iniezione.  
 

Pubblicità ingannevole 
 
Nella locandina del film compare una creatura che ha testa di donna e corpo di vespa. Non si trova la benché minima traccia di un simile essere nel film: è soltanto una trovata pubblicitaria. Anche la scritta in fondo alla locandina è concepita a bella posta per trarre in inganno lo spettarore: "Una bella donna di giorno, una lussuriosa vespa regina di notte" (originale "A beautiful woman by day - A lusting queen wasp by night"). Non ho ravvisato alcun contenuto di natura sessuale nel film. La creatura che si vede è l'esatto contrario di quella mostrata nella locandina. Ha una testa che nella delirante fantasia del regista dovrebbe essere quella di una vespa, mentre il corpo resta quello di una donna. 
 

Curiosità 

L'attrice protagonista, la bellissima Susan Cabot, purtroppo soffriva di gravi malattie mentali. Cercò di curarle assumendo l'ormone della crescita con cui era trattato suo figlio, affetto da nanismo ipofisario. Questo trattamento che la donna intraprese contro ogni sano principio, proprio come Janice Starlin nel film, esacerbò la sua follia. In un attacco particolarmente furioso aggredì il figlio, che la uccise a sprangate; il tribunale decise che si era trattato di autodifesa. Il vero nominativo della Cabot era Harriet Shapiro. Dal cognome si evince all'istante che la sua stirpe era ashkenazita, cosa che non la risparmiò da un'infanzia disagiata e infelice. Nel film cormaniano La leggenda vichinga (1957) ha interpretato il ruolo di Enger, la Sacerdotessa di Thor. 
 
Esiste anche una versione colorizzata del 1964, conaltri 11 minuti in cui lo scienziato viene licenziato dal suo lavoro di apicoltore per aver condotto esperimenti sulle vespe anziché sulle api, il che conclude la trama del film da quando smette di lavorare per Janice Starlin. Nella versione originale in bianco e nero, il film inizia con un incontro in cui la Starlin discute del fallimento dei suoi affari con i subalterni; poi incontra lo stesso dottore nella scena successiva, dove anche il pubblico lo vede per la prima volta. Trovo che la pratica della colorizzazione dei vecchi film in bianco e nero sia deleteria quanto inutile: se dipendesse da me applicherei ai colorizzatori i sistemi usati dai Tokugawa per eradicare il Cristianesimo dal Giappone. 
 
In una delle scene finali, una bottiglia di acido viene lanciata a Susan Cabot, ma lei non sta recitando quando alza le mani dopo essere stata colpita. Qualcuno aveva riempito d'acqua la "bottiglia separabile", ed era così pesante che quando è stata colpita l'attrice ha detto: "Pensavo che i denti mi fossero stati sbattuti nel naso!" ("I though my teeth had been knocked through my nose!"). Anche il finto fumo usato per simulare l'acido la soffocava; dopo essere caduta dalla finestra, incapace di respirare, si è strappata via un po' di pelle insieme al suo trucco abnorme, lasciando un gigantesco livido sul collo. 
 
Il copyright del film è del 1959, ma alcune parti sono state girate nel 1964 o addirittura successivamente. Quando l'investigatore privato ottiene l'indirizzo di Eric Zinthrop, chiama Jerry e gli dice di mettersi subito al lavoro. Nella scena seguente, mentre lui e un altro ragazzo vanno in giro alla ricerca di Zinthrop, passano accanto a diverse Chevrolet del 1961-1964. Quando i due si fermano all'ingresso dell'ambulanza e Jerry scende dall'auto, una Chevy Impala bianca del 1964 è parcheggiata sul lato destro dello schermo. A stento saprei distinguere una Ferrari da una Cinquecento, ma mi fido di chi ha fatto notare questi dettagli. Sarebbe anche bene che un film non venisse più manipolato dopo la sua uscita. Che senso ha andare avanti a masturbarlo per anni?  

Anche se i detective stanno cercando il signor Zinthrop a Manhattan, la loro auto ha una targa della California, lo skyline dietro di loro è quello di Los Angeles. Si vedono infatti solo edifici bassi e molti spazi aperti anziché gli edifici alti e compressi di Manhattan. Si notano poi almeno tre palme da dattero che non potrebbero mai sopravvivere e crescere nei freddi inverni di New York.
 
Remake 
 
Il brutto vizio americano, quello di fare remake dei film, si è manifestato con la produzione di ben due pellicole: Rejuvenatrix (Brian Thomas Jones, 1988) e il film per la televisione The Wasp Woman (Jim Wynorski, 1995). Si segnala che Roger Corman è stato uno dei produttori esecutivi dell'opera di Wynorski. Credo che di simili rifacimenti si sentisse scarso bisogno.  

venerdì 18 dicembre 2020

DUE ENIGMATICHE DENOMINAZIONI DEL CALABRONE: APONALE E CRAVUNARO ROSSO

Queste informazioni sono presenti da tempo sulla Wikipedia in italiano alla voce "Vespa crabro"
 

"Il calabrone (Vespa crabro Linnaeus, 1761), detto anche aponale o cravunaro rosso, è il più grosso vespide europeo. Nel linguaggio comune con il termine "calabrone" vengono spesso erroneamente identificati anche l'ape legnaiola (Xylocopa violacea) e il bombo terrestre (Bombus terrestris)." 
 
Quando mi sono imbattuto in questa descrizione wikipediana, sono rimasto allibito. Non mi ero mai imbattuto, da che sono al mondo, nei nomi aponale e cravunaro rosso attribuiti al calabrone (Vespa crabro). Mi sono quindi chiesto chi in concreto ne facesse uso. La prima cosa che ho fatto è stata una ricerca nei dizionari della lingua italiana a mia disposizione, in formato cartaceo o nel Web. Non ho trovato un ben nulla. Non si fa alcuna menzione dell'aponale e del cravunaro rosso nel vocabolario Zingarelli, tanto per fare un esempio, e neppure nel vocabolario Treccani, che è consultabile online. 
 
Si trova comunque qualche menzione in pochi siti del Web, il che non significa proprio nulla, dal momento che la fonte delle parole aponale e cravunaro rosso è in ultima analisi proprio Wikipedia in italiano. Riporto in questa sede quanto ho trovato. 
 
In un sito di cruciverba si ha la definizione "Insetto chiamato anche aponale". Ecco uno dei link (ne esistono diversi, ma sono tutti sostanzialmente identici): 
 

Mi sono imbattuto in numerosi siti, anche di aziende che si occupano di disinfestazione, che riprendono la definizione wikipediana. Ad esempio questo: 
 
 
"La disinfestazione calabroni a Treviso può rivelarsi indispensabile in alcuni casi, difatti questo Vespide europeo, anche chiamato cravunaro rosso o aponale, può pungere l’uomo iniettandogli un veleno potenzialmente pericoloso." 
 
E ancora: 
 
 
"La più grande delle vespe europee e nordamericane è sicuramente il calabrone, che forse conosci sotto il nome di cravunaro rosso, aponale o Vespa crabro; molto frequentemente questo insetto viene scambiato per l’ape legnaiuola o con il bombo terrestre."

Anche il famoso sito Bufale.net riporta le problematiche (e forse fantomatiche) denominazioni della Vespa crabro, prendendo per oro colato ciò che si trova su Wikipedia: 
 
 
"Innanzitutto, l’animaletto riportato nella foto non è un’ape, ma un normalissimo Calabrone Europeo, per gli amici Aponale o Cravunaro Rosso." 

Se questi nomi del calabrone fossero tanto diffusi, costituendo addirittura la norma, come mai non si riesce a trovare una fonte che ne dia una chiara spiegazione? La stessa pagina di Wikipedia in italiano non riporta alcunché di utile. 

In Wikispecies si ritrovano alcuni nomi dell'insetto in altre lingue. Informazioni ancor più dettagliate si trovano in Wikimedia Commons. 
 

 
Nessuna voce aponale o cravunaro rosso è stata trovata nel Wikizionario.  


È un grande piacere intellettuale sapere che in bavarese il calabrone è chiamato Huanaus e che in curdo è chiamato pîzang. Detto questo, siamo al punto di partenza.
 
Tentativi di spiegazione dell'enigma 
 
La prima cosa che mi viene in mente è che si tratti di definizioni provenienti da qualche lingua locale. 
 
1) CRAVUNARO ROSSO 
Si risolve subito il problema dell'origine del cravunaro rosso: è tipicamente calabrese. La forma più diffusa per indicare la Vespa crabro è carvunaru, alla lettera "carbonaio". A San Marco Argentano (provincia di Cosenza) si ha la variante gravunaru. A Savelli (provincia di Crotone) troviamo carvunaru russu, alla lettera "carbonaio rosso". Evidentemente proprio questo carvunaru russu è stato italianizzato in cravunaro rosso.  
 

 
Come si è avuto lo slittamento semantico da "carbonaio" a "calabrone"? Per via di un'evoluzione del latino cra:bro:ne(m) "calabrone", che portava alla confusione con carbo:ne(m) "carbone". Siccome a un certo punto appariva illogico chiamare "carbone" una grossa specie di vespa, si è aggiunto un suffisso agentivo, identificando l'insetto con un "carbonaio". Così carbo:na:riu(m) si è evoluto in carvunaru, gravunaru, con entrambi i significati di "carbonaio" e "calabrone". Per qualche motivazione tabuistica è stata aggiunto l'aggettivo russu, probabilmente perché sia il carbonaio che il calabrone erano connessi col Diavolo. L'insetto era ritenuto diabolico per la sua aggressività e per il suo veleno spesso mortale. Si credeva che il Diavolo all'Inferno attizzasse i carboni, li facesse ardere per rigirarvi sopra i dannati: era quindi concepito come il Carbonaio per eccellenza. Queste sono immagini tradizionali molto radicate. 
 
Esistono numerose altre denominazioni del calabrone diffuse in Calabria. Ad esempio: vùmbaku (Centrache, prov. Cosenza), skalambruni (Polistena, prov. Reggio Calabria), lapuni (Conidoni di Briatico, prov. Vibo Valentia), vómmuku russu (Saracena, prov. Cosenza).  Non si comprende bene perché proprio il nome carvunaru russu, e non altri, abbia trovato la via per arrivare fino a un'importante pagina di Wikipedia.      

2) APONALE 
Anche se la terminazione -ale rimane al momento inspiegabile, ci sono pochi dubbi sul fatto che aponale sia un derivato di apone, accrescitivo di ape. Questa denominazione apone è molto comune e può designare diversi insetti, non solo imenotteri come il calabrone ma persino grossi ditteri come il tafano. Si trova in molti luoghi nella Penisola e in Sicilia con l'articolo determinativo agglutinato: lapone.
 
Non si pensi che nellla lingua italiana sia sconosciuto questo apone! Primo: non si devono considerare sinonimi le parole "dialetto" e "immondizia", come l'iniquo sistema scolastico italiano ha insegnato per secoli. Secondo: non si deve credere che la lingua italiana sia solo e soltanto quella insegnata dalle maestrine isteriche in quel vivaio di immondi bulli che gli stolti osano definire "istituzione"! Della presenza dell'apone in italiano mi accingo ora a portare evidenze solidissime, come ogni lettore potrà vedere. 
 
L'interessante lemma apone "fuco", è spiegato nel Dizionario della Lingua Italiana di Niccolò Tommaseo (quello che è diventato cieco a causa della sifilide): 
 

APONE. S. m. Accr. di APE. Pecchione, Ape maschio, Fuco. Non com. Ficin. Vit. san. l. 2. p. 58. (Gh.) E che desiderio sarebbe il nostro cercare che costoro (i poltroni e inerti) lungo tempo vivessero ? Certo che non sarebbe altro che nutrire i fuchi o aponi che chiamano, e non le pecchie. 
 
Il termine si trova anche in tempi più moderni, in un romanzo di Andrea Camilleri, autore la cui lingua è un immaginifico miscuglio di siciliano e italiano: 


LAPÒNE

CAMILLERI in Il birraio di Preston 1995 [= Sellerio 2000]: "si sentiva la testa che gli faceva zumzum come se fosse piena di mosche, lapi e lapòni" (p. 219). 
 
Enregistré par DEI III 2167 lapone "XIX sec., entom.; fuco; v. pis. volterr., e merid. (calabr., sic. lapuni); cfr. lapa", Piccitto II 442 lapuni " pecchione, maschio dell'ape .2. calabrone...3. vespa...5. ronzone terrestre...Anche *apuni...", cf. Rohlfs 356 lapuni, -una, lapuni carvunaru pecchione, sp. di ape grossa che ronza volando senza pungere...calabrone, vespa grossa...v. apune". Calabro-sic. lapuni < calabro-sic. apuni, apune, augmentatif de calabro-sic. apa < lat. APE(M) avec changement de classe. 
 
Nel Tesoro della Lingua Italiana delle Origini (TLIO), troviamo apone come sinonimo di tafano

 
APONE

1 [Zool.] Lo stesso che tafano.

[1] Gl Senisio, Declarus, 1348 (sic.), 27r, pag. 133.32: Asilus li... musca, que boves stimulat, que vulgo dicitur tavanu... etiam dicitur qui spargit apes et mel comedit, qui vulgo dicitur apuni
 
Un riassunto dialettale 
 
Esiste l'utilissimo sito NavigAIS (Digital Atlas of Italian Dialects), che riporta un gran numero di mappe linguistiche.  


L'utente può imparare con grande facilità ad usare il sito. Le mappe sono numerate. Ogni numero corrisponde alla mappa di una parola, di cui vengono mostrate le attestazioni in un gran numero di località italiane. La mappa relativa al CALABRONE è la numero 462.  

L'aponale non lo troviamo in questa forma esatta, ma ci sono numerosi nomi come apone, apuni, apune, apona, lapuni, etc. Abbiamo scoperto che proprio in Calabria esiste una curiosa variante apunaru (Melissa, prov. Crotone). Sembra che all'origine ci sia un'ibridazione davvero bizzarra tra carvunaru e apuni, che ha dato apunaru, essendo le originali etimologie di queste parole completamente oscurate nel corso dei secoli. Forse la forma apunaru è stata adattata in italiano, dando origine proprio ad aponale, anche se ci saremmo aspettati *aponaro. La terminazione continua ad essere oscura. Questo è quanto di meglio abbiamo potuto fare.

Conclusioni desolanti 

Wikipedia non è necessariamente una fonte cristallina di informazioni, anche se la sua utilità è indiscutibile. Si dice che un comitato vigili di continuo su ogni singola modifica, impedendo l'inserimento di dati erronei o infondati, ma nonostante ciò l'aggiunta di inconsistenze avviene a ciclo continuo. Questo perché esiste una gerarchia di wikipediani: più uno è in alto in tale gerarchia, meno vengono controllate le modifiche che apporta. Quindi può inserire ogni sorta di assurdità, anche soltanto per un gioco infantile. Se io decidessi di scrivere che la lucertola ocellata (Timon lepidus) è conosciuta anche come badalesco o dragonazzo, verrei bloccato all'istante. Se però lo facesse un wikipediano che gode di qualche credito, la modifica non sarebbe intercettata, nessuno capirebbe che è infondata, se non per puro caso, magari dopo anni. Nessuno si ricorda dell'esecrabile caso del "Conflitto Bicholim"? Una pagina su una fantomatica guerra tra nazioni dell'India e Portogallo, detta per l'appunto Bicholim, rimase consultabile per diversi anni, anche se era del tutto infondata. Allo stesso modo non mi stupirei se un giorno qualcuno definisse il lombrico (genere Lumbricus) col nome di bauscino e il lumacone nudo (Limax maximus) col nome di bauscione rosso. Qual è il pericolo? Se una guerra chiamata Bicholim è un'invenzione rozza e stupida come la merda, non è la stessa cosa dire che il calabrone è detto aponale o che la lucertola ocellata è detta badalesco. In tali casi si tratta infatti di informazioni che hanno un'apparenza verosimile, ragionevole, tutto sommato dotata di etimologie possibilissime. In altre parole, sono invenzioni furbe quanto pericolose.

domenica 2 agosto 2020

UN IMPORTANTE VOCABOLO VANDALICO IN SARDO: GRISARE 'SCHIFARE'

Nella Cloaca Maxima di Facebook mi sono imbattuto in un flame il cui argomento era il formaggio sardo chiamato casu marzu, caratterizzato da infestazione di larve della mosca Piophila casei, avvezza a frequentare i cadaveri. L'amica Lina S., nativa della Sardegna, difendeva il bizzarro prodotto gastronomico, affermando che i vermi in esso brulicanti sarebbero "fatti di formaggio" e del tutto innocui. In tono di sfida, citava il fatto che i pastori sardi sono notoriamente assai longevi. Il suo commento ironico era qualcosa come: "Hanno più di cent'anni e il casu marzu l'hanno sempre grisau, vero?" - quindi aggiungeva la glossa: grisau = schifato. Qualcosa in me si è illuminato. Ho infatti compreso che il vocabolo in questione è un residuo della dominazione dei Vandali, che in Sardegna è durata circa ottant'anni. Credo che sia una cosa importante farlo notare, alla faccia dei romanisti che vorrebbero cancellare ogni eredità germanica dalla faccia della Terra. Del celebre formaggio verminoso, eredità neolitica, parleremo in un'altra occasione.
 
Informazioni di estremo interesse si trovano sul dizionario online di lingua e cultura sarda (Ditzionàriu in línia de sa limba e cultura sarda), della Regione Autonoma della Sardegna: 
 
 
grisai, grisare, crisare 
traduzione: schifare, provare ribrezzo 
sinonimi in sardo:
   provare ischifu, abborrèschere, afeai, ascamare, aschiai,
   ghelestiare, ischifare, ispucire 
glossa francese: éprouver du dégoût
glossa inglese: to loathe 
glossa spagnola: sentir asco, repugnar 
glossa tedesca: verschmähen. 

Nel suo vocabolario, Spano riporta le forme meridionali grìsu "ribrezzo; paura" e grisòsu "che ha ribrezzo".

Non è difficile risalite all'etimologia genuina di questi vocaboli. 
 
Protogermanico:
      *gri:sanan
"essere atterrito;
provare orrore
Corrispondente atteso nel gotico di Wulfila:
      *greisan /'gri:san/ "essere atterrito; provare orrore"
 
Corrispondenti in germanico occidentale:
Antico inglese: 
       âgrîsan "rabbrividire; temere" 
Antico frisone:
       gryslic "spaventoso" 
Medio olandese: 
      grîsen "rabbrividire"
Medio basso tedesco: 
       grisen, gresen "rabbrividire"; greselîk "spaventoso"
 
Non ho trovato in giro brillanti idee dei romanisti, tali da poter fornire materia di discussione e di confutazioni, così concludo qui la mia trattazione.