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martedì 16 febbraio 2021

 
EDWARD THE DAMNED 
 
Titolo originale: Edward the Damned 
Anno: 2014 
Paese: Stati Uniti, Regno Unito 
Lingua: Inglese
Durata: 15 min 26 sec  
Colore: Colore
Genere: Horror, grottesco, fantastico 
Regia:
John L. Weckworth
Sceneggiatura: John L. Weckworth 
Ispirazione: Il mito di Edward Mordake, l'uomo con due facce 
Produttori: John L. Weckworth, Kristin Weckworth 
Fonico: Kristin Weckworth 
Pubblicazione su YouTube: 31 ottobre 2016  
Interpreti e personaggi:
    Oliver Hollis: Edward Mordrake
    Les Loveday: Il collaboratore
    David Lyddon: Il dottore
    Rachel Warren: Cindy East / Il volto del demone 
Link YouTube: 
Sito ufficiale: 

Sinossi:

Edward the Damned is a modern retelling of the old English legend of Edward Mordrake. 
 
Edward is hiding something from the world beneath a wig atop his head. Unable to continue to hide from his demons, today his dark secret is going to see the light of day. 
 
A passion project from its inception, this short had an amazing film festival run becoming an official selection for some of the finest film festivals and taking home multiple awards including: 
Sunset Film Festival Los Angeles - 1st Place Short Film Category 
Famous Monsters Film Fest - 1st Place Short Film Category 
Hollywood Horror Fest - Best Short Script 
LA Indie Film Fest - Winner Jury Award | Best Short Film Special Effects 
 
Now for the first time Edward the Damned is available to view online. The filmmakers are proud to release our spin on the freakish story of Edward Mordrake for a wider audience to enjoy.
 
Traduzione: 
 
Edward the Damned è una rivisitazione moderna dell'antica leggenda inglese di Edward Mordrake. 
 
Edward sta nascondendo qualcosa al mondo sotto una parrucca sulla sua testa. Incapace di continuare a nascondersi dai suoi demoni, oggi il suo oscuro segreto vedrà la luce del giorno. 
 
Un progetto di passione sin dall'inizio, questo cortometraggio ha avuto un fantastico festival cinematografico diventando una selezione ufficiale per alcuni dei migliori festival cinematografici e portando a casa numerosi premi tra cui: 
Sunset Film Festival Los Angeles - 1° posto Categoria cortometraggi 
Famous Monsters Film Fest - 1° posto Categoria cortometraggi
Hollywood Horror Fest - Miglior cortometraggio 
LA Indie Film Fest - Vincitore Premio della giuria | Miglior cortometraggio Effetti speciali 
 
Ora per la prima volta Edward the Damned è disponibile per la visione online. I realizzatori sono orgogliosi di pubblicare la nostra interpretazione della bizzarra storia di Edward Mordrake per farla godere a un pubblico più ampio. 
 
 
Trama (guardare il corto prima di proseguire)
 
In apparenza Edward è un ragazzo londinese qualsiasi, ma si capisce subito che nasconde qualcosa sotto la parrucca nera che indossa. Non sopporta di essere toccato sul collo, per timore che il suo orrendo segreto possa essere rivelato. Quella che a prima vista può sembrare un'insulsa fobia, gli causa seri problemi. Prima rischia di compromettere i suoi rapporti con un collaboratore, poi manda a monte la relazione con la bionda Cindy, una ragazza davvero splendida. Com'è ovvio, non è possibile nascondere qualche dettaglio del proprio corpo a una donna mentre si sta sviluppando una relazione. Se Edward fosse stato un individuo normale, tutto sarebbe andato in porto: sarebbe entrato in intimità con Cindy arrivando quindi a poter fare sesso con lei. Invece le cose vanno diversamente. Quando lei cerca di sfiorare la sua nuca, lui reagisce cadendo in preda a una violenta crisi di panico e fugge via a gambe levate. La bionda è esterrefatta. Quando si ha una reazione simile con una donna, ogni rapporto è pregiudicato per sempre. Non esiste possibilità di riparare: nessuna perdona una cosa così grave. In preda alla disperazione, Edward prende contatto con un chirurgo clandestino per una rischiosa operazione. Viene subito rapito e portato allo studio illegale. Il chirurgo, tolta la parrucca al paziente, vede il volto di una donna sulla parte posteriore del cranio. Un volto sensuale ma terribile, con gli occhi interamente neri come l'inchiostro, senza il bianco della cornea e con le pupille dotate di vaghi riflessi rossastri. Quando afferra un bisturi per rimuovere il volto parassitario, il medico rimane sconvolto dal pianto e dallo sguardo di quell'entità femminea. Rinuncia ad operare, cloroformizza Edward e lo scarica in un vicolo. Quando il giovane si sveglia, si accorge subito che il suo secondo volto, il suo gemello diabolico, è ancora al suo posto. Non gli resta che il suicidio. Prima di uccidersi, scrive una vana lettera a Dio, in cui gli chiede di potersi salvare dalla Dannazione Eterna, perché il proprio concepimento è stato un errore. Si getta sotto una macchina e si trova di fronte a qualcosa di inatteso...       

Recensione: 
 
Trovo che Edward the Damned sia davvero un ottimo prodotto ed è un peccato che sia stato diffuso nel Web soltanto in inglese. Il mito di riferimento usato dal regista per la sua opera è quello di Edward Mordake, il fantomatico nobiluomo inglese a cui la tradizione attribuisce una peculiare malformazione: avrebbe avuto un piccolo volto femminile sulla nuca. Ho analizzato questo argomento in un articolo, a cui rimando per maggiori dettagli. Questo è il link:


La variante del cognome usata dal regista è Mordrake anziché il corretto Mordake: si vede che il giovane protagonista, quando finisce di scrivere la sua lettera a Dio, si firma proprio come Edward Mordrake
 
Il cortometraggio di Weckworth non riprende il mito in ogni suo dettaglio, ma ambienta la vicenda dell'uomo con due facce in un contesto moderno. Vediamo una Londra dai colori spenti, il grigio che prevale su tutto e le strade coni caratteristici autobus rossi a due piani. La vita è pervasa dal managerismo compulsivo della nostra epoca maledetta. Ogni istante è scandito dal telefonino, dai suoi messaggi, dalle scadenze. Si può dire che questo particolare inferno cibernetico non sarebbe stato concepibile nel XIX secolo.   
 
Non si fa nessuna menzione all'appartenenza del giovane Edward alla classe aristocratica britannica. Questo a parer mio è stato un errore o forse soltanto un peccato, visto che implica la rinuncia a un intero universo concettuale e fantastico. Il mito del nobile maledetto poteva soltanto essere usato da uno scrittore americano per creare un'opera d'arte immortale. Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft hanno concepito intere stirpi di nobili maledetti, impiantandole in America. Questo impianto è avvenuto perché non vi sono nobili maledetti autoctoni. Le ragioni del fenomeno non sono difficili da intuire: proprio ciò che è estraneo e al contempo oscuro esercita il maggior fascino. La nobiltà è in buona sostanza una stirpe tarata, marchiata dall'endogamia, ai limiti dell'incesto. È un contesto rigido, formale, che può trasmettere soltanto infelicità a chi ha avuto la sventura di nascervi. Nella società americana l'aristocrazia non conta nulla, il sangue blu non è considerato una caratteristica importante. Se uno spurgatore di fogne riesce col duro lavoro a diventare milionario, è considerato più importante di un rampollo d'Inghilterra che non ha mai lavorato in vita sua e che vive passivamente delle proprie rendite. La Terra dei Liberi pullula di milionari socialmente attivi che si danno molto da fare per accrescere il numero delle loro conoscenze. Le donne sono delle "socialites", partecipano ai ricevimenti, si mettono in mostra con abiti glamour. Non c'è posto per nobili fannulloni e decadenti simili ai Merovingi, isolati dalla società, tutti immersi nel culto della loro superiorità, che si considerano qualcosa a metà strada tra l'umano e il divino. Eppure la loro presenza aleggia tuttora nella Terra dei Coraggiosi. Ciò che è stato gettato fuori dalla porta, rientra dalla finestra, di notte, come una larva notturna. Spiace che questi aspetti non siano stati percepiti e considerati dal regista-sceneggiatore. 

Una diretta conseguenza della rimozione della nascita aristocratica di Mordake è il suo rapporto con il gentil sesso. Un giovane nobile della Parìa britannica non avrebbe di certo avuto facili rapporti con le ragazze. Sarebbe stato pieno di inibizioni fortissime che lo avrebbero spinto a evitare ogni contatto ritenuto pericoloso. Il problema sarebbe giunto ben prima di arrivare ad essere in intimità con la bellissima Cindy, a parte il fatto che le convenzioni sociali avrebbero reso impossibile qualsiasi conoscenza non programmata. Non avremmo un ragazzo disinvolto che si ritrae soltanto quando qualcuna gli sfiora il collo: non sarebbe iniziato nulla, non ci sarebbe stata nessuna cena in un locale. Per un moderno, simili privazioni sono inconcepibili, quindi non possono nemmeno essere descritte. Eppure c'è qualcosa di estremamente interessante in come è stata organizzata la trama. Il regista, con profonda intuizione, usa la stessa attrice per interpretare la bionda Cindy e il demone gemello dagli occhi neri come la pece. Il messaggio trasmesso è questo: le prime difficoltà che Edward Mordake ha incontrato con il sesso opposto, gli sono state causate proprio dal suo rapporto col volto femminile sulla regione occipitale!  
 
Nella vulgata corrente, di Edward Mordake si occupavano due medici di famiglia, fidatissimi. Lui chiedeva loro incessantemente di essere liberato della sua seconda faccia, il suo gemello infernale e femmineo che gli sussurrava cose indicibili, ottenendo un rifiuto, dato che l'operazione avrebbe avuto esito fatale. Nel cortometraggio le cose vanno diversamente. Il protagonista si rivolge a un chirurgo che opera in condizioni di clandestinità e che alla fine evita di compiere ciò per cui è stato pagato. Una richiesta ben precisa fatta dal nobiluomo ai suoi medici curanti era la rimozione del volto parassitario, per via del terrore che potesse continuare le sue ruminazioni abominevoli anche nel sepolcro. Si ha soltanto una traccia alterata di questo nell'opera di Weckworth: il povero Edward chiede a Dio di rimuovere e incenerire il suo secondo volto, quindi si getta sotto un'automobile in corsa. 

 
La dannazione di Edward Mordake 
 
Lo spettatore per un attimo crede che le richieste formulate nella lettera d'addio siano state accolte da un benigno Padre Celeste. Al momento del trapasso, il giovane viene subito avvolto da un confortante oceano di luce candida, che lo convince di essere stato salvato da Dio e condotto in Paradiso. Presto però il chiarore soprannaturale si dirada ed emerge la realtà agghiacciante delle cose: un paesaggio di colline coperte di una boscaglia che arde. Il defunto si tocca la parte posteriore del cranio e si accorge subito di essere condannato: il diabolico volto femminile è ancora lì, proprio al suo posto! 

A questo punto dobbiamo pensare alle conseguenze teologiche di questo costrutto. Secondo le Chiese Cristiane nessuno può dichiarare un individuo dannato, fino a che non sarà giunta la Fine dei Tempi. Soltanto nel caso di un demone, può essere pronunciato un verdetto di dannazione certo e incontrovertibile. Anche così, le cose non sono facili come sembra. Chi può onestamente stabilire se un essere umano, per quanto malvagio, sia davvero un demonio? Non è facile. Si può pensare che un demonio sia un'essenza di malvagità assoluta e che le sue azioni possano dimostrare la sua natura. Anche così, nulla sarebbe scontato come appare. Un giudizio umano sulle azioni di qualcuno potrebbe sempre essere viziato da schemi ideologici o da interessi meschini. Non dimentichiamo che ci furono ecclesiastici che arrivarono a definire "diabolico" Gianni Rodari e a decretare il rogo dei suoi libri per motivi politici. Ammettiamo adesso che Edward Mordake sia davvero esistito, come ce lo tramanda il mito. Cosa dovrebbe pensare un cristiano? Non potrebbe fare altro che constatare che un uomo dotato di anima in grado di salvarsi è stato unità da Dio a un essere diabolico e dannato dalla nascita. Perché questo sarebbe accaduto? Un uomo dotato di anima unito a un essere diabolico avrebbe immense difficoltà a salvarsi, sarebbe sottoposto a un'azione tremenda e incessante che lo porterebbe alla disperazione assoluta. Siamo alla solita antinomia. Se Dio ha commesso un errore, allora non è infallibile. Se ha fatto volutamente una cosa simile, allora è malvagio e non può essere definito Bene assoluto. Vorrei tanto che ci fossero commentatori cristiani di seria fede in grado di riflettere su queste cose, ma non ne esistono. La loro religione è fatiscente, nessuno tra le genti sembra conoscerne più i dogmi, nessuno ha la benché minima idea di quale sia la sua teologia. La Chiesa di Roma potrebbe affermare che la storia di Mordake è soltanto una superstizione popolare, adducendo la dottrina del libero arbitrio e molte altre cose prese dall'armamentario della teologia tomistica. Le Chiese Protestanti avrebbero qualche difficoltà in meno, basti considerare le dottrine di Lutero sulla predestinazione e sul servo arbitrio, ma il problema sussisterebbe comunque. Sono convinto che siamo di fronte a un vulnus in grado di far crollare l'intero edificio del Cristianesimo.  

Altre recensioni e reazioni nel Web

Purtroppo non si trova molto in italiano. Una brevissima e scarna recensione (più che altro una descrizione) risale al 2016:


Sembra che l'unico Edward di cui c'è traccia nel famoso e utile sito Il Davinotti sia Edward mani di forbice!

venerdì 4 dicembre 2020

 
LA NECROFILA 
 
Titolo originale: Love Me Deadly
AKA: Queen of evil, La regina del male; Amami mortalmente
Anno: 1972
Paese: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Genere: Horror, erotico, drammatico  
Durata: 95 min
Colore: C
Specifiche tecniche: Technicolor
Regia: Jacques Lacerte (aka Jacques La Certe)
Soggetto: Roger Wall, Robert Cleere, Jacques Lacerte; 
    Buck Edwards (non accreditato) 
Sceneggiatura: Roger Wall, Robert Cleere, Jacques Lacerte
Produttore: Buck Edwards
Produttore associato: Charles W. Geiger, H.B. Halicki
Produzione: BUCK EDWARDS PER UNITED TALENT
      PRODUCTION
Distribuzione: INTEFILM, FUTURAMA, EUREKA VIDEO
Direttore della fotografia: David Aaron
Direttore artistico: Steve Peterson
Colonna sonora: Phil Moody
Montaggio: Leo H. Shreve
Trucco: Al Fleming, Bob Westmoreland, J. Shealy 
Fonico: John Speak
Assistente alla regia: Tom Doniger
Interpreti e personaggi: 
    Mary Charlotte Wilcox: Lindsay Finch 
    Lyle Waggoner: Alex Martin 
    Christopher Stone: Wade Farrow
    Timothy Scott: Fred Mcsweeney 
    Michael Pardue: Padre di Lindsay
    Dassa Cates: Cameriera
    I. William Quinn: Billy-Jo, il prostituto
    Terri Anne Duvalis: Lindsay bambina 
    Louis Joeffred: Collega di Mcsweeney
    Bruce Adams: Collega di Mcsweeney
    Barbara Fisher: Prostituta
    Barbra Rae: Prostituta
    Edith Sills: Madre di Alex
    Irving Rose: Invitato a cena
    David Aaron: Invitato alla festa (non accreditato)
    Buck Edwards: Satanista calvo (non accreditato)
    H.B. "Toby" Halicki: Pilota da corsa
    Michael Jacobs: Schiavo d'Amore
    Bob Harks: Predicatore
    Jacques Lacerte: Cadavere barbuto (non accreditato)
    Bob Westomreland: Secondo cadavere baciato da Lindsay
        (non accreditato)
Location: Melrose Av., Whashington Blvd., Marina del Rey,
      Whittier, Los Angeles, California, US 
Budget: 42.500 dollari US

Trama: 
Lindsay Finch è una bellissima ereditiera bionda che vive a Los Angeles in un continuo andirivieni tra feste e vernissage. La sua esistenza potrebbe sembrare paradisiaca, se non fosse per un dettaglio di non poco conto. Lindsay è una necrofila! Si eccita soltanto avendo contatti con cadaveri di uomini. Li bacia e si struscia, raggiungendo in questo modo l'orgasmo. Per soddisfare il suo bisogno, si veste a lutto e si reca a veglie funebri di sconosciuti. Quando nessuno guarda, si avvicina al defunto e avvicina le labbra alle sue. L'affascinante donna ha una vera e propria ossessione per suo padre, morto in circostanze traghiche quando lei era bambina: spesso lo sogna ad occhi aperti e sprofonda nell'irrealtà. Per contro, l'interesse che nutre per i suoi numerosi corteggiatori è nullo. Si fa baciare ma presto li respinge. Uno di loro, il biondiccio e robusto Wade Farrow, cerca di possederla e arriva a ciucciarle un seno, ma lei reagisce graffiandolo sulla faccia e spingendolo via. Durante l'ennesima veglia funebre, Lindsay attrae l'attenzione dell'impresario delle pompe funebri, Fred Mcsweeney, che le rivela di essere a sua volta un necrofilo e la invita a un ritrovo tra suoi simili. Si tratta di un giro molto pericoloso. Fred è il capo di una setta satanica dedita a orge con cadaveri, e si procura attivamente il materiale necessario. Adesca un prostituto femmineo, lo attira in un laboratorio tassidermico, lo immobilizza e lo dissangua recidendogli una carotide, per pompargli dentro la formalina e imbalsamarlo mentre è ancora vivo. Il primo incontro di Lindsay con questa pericolosa conventicola non è dei più riusciti: la donna rimane atterrita alla vista di un macabro rituale e fugge via urlando. Nel frattempo Wade, stanco di essere rifiutato e folle di gelosia, decide di seguire la sua amata, temendo che possa andare per angiporti a prendere gli uccelli. Arriva alla villa ove si incontrano i satanisti e viene ucciso con uno stiletto. Lindsay ancora una volta assiste impotente all'orrore. Eppure poco dopo questi fatti si sposa con Alex Martin, il fratello di un uomo il cui cadavere aveva baciato non molto tempo prima. Nonostante tutte le migliori premesse (i due si amano, etc.), il matrimonio non funziona per un semplice motivo: non può essere consumato. Non finché il marito è vivo...
 
 
Recensione: 
Un film decisamente inusuale. La prima volta che l'ho visto ero pieno zeppo d'alcol e mi sono addormentato a metà, irrigidito sulla mia sedia davanti allo schermo del pc, svegliandomi soltanto quando era già finito da un pezzo. La sera dopo ero più lucido e sono riuscito a vederlo fino in fondo, seguendone bene in ogni dettaglio. È un gioiello degli anni '70, che fa sognare un mondo ormai perduto, che non sembra nemmeno appartenere alla stessa realtà in cui siamo costretti a vegetare. Cosa non inusuale, questa pellicola è un fossile di un'epoca più libera, in cui un regista aveva ancora la possibilità di esprimere contenuti genuini, non filtrati dalla lente distorcente dell'esecranda ideologia politically correct. Pochi si azzarderebbero a proporre qualcosa di simile in questo squallido XXI secolo che ha sancito la morte della Settima Arte. Certo, negli anni '70 c'era la censura, ma c'era anche più coraggio. Oggi quel tipo di censura ha perso potere, ma ce n'è una di tipo diverso e ancor più invadente. Non si può mostrare un uomo che prende in bocca un capezzolo a una donna riluttante: sarebbe apologia di stupro. Non si può mostrare un marito che si ritrae dopo aver sfiorato col glande la vulva della moglie riluttante: sarebbe apologia di stupro. Se in un film viene mostrato qualcosa che non va in un rapporto sessuale, la scena diventa automaticamente istigazione alla violenza. Quindi, stando a questa logica bacata, non si potrebbero più fare film in cui si mostra l'uccisione di un personaggio, perché sarebbe apologia di omicidio. Tornando all'opera di Lacerte, a mio avviso è ottima la colonna sonora, che purtroppo molti trovano "irritante". I brani Love Me Deadly e You're Something Special sono stati scritti da Phil Moody (non accreditato) e cantati da Kit Fuller.   


Trauma e complesso di Elettra
 
L'estrema diffusione delle armi domestiche negli States è all'origine del dramma della protagonista e dello sviluppo della sua personalità disturbata. Le sequenze dell'infanzia di Lindsay, in cui la si vede bambina assieme al padre, sono disseminate nel film fino alla spaventosa rivelazione che ne rappresenta il culmine: l'uomo è morto a causa di una pallottola nel cranio, partita da un'arma incautamente maneggiata dalla piccola. Molti di questi flashback sono suggestivi per via del colore brunastro che li contraddistingue e che si contrappone ai colori vividi della vita ordinaria. È come se il passato fosse conservato in una specie di museo ontologico per essere proiettato nei momenti di maggiore tensione. In Italia ci sono non pochi filoamericani che considerano inesistente il problema delle armi, per squallidi motivi ideologici e politici. Una conoscente arriva a tal punto di indecenza da affermare che anche i bambini alla scuola materna debbano essere armati come tanti piccoli pistoleros. La potenza della sua logica è impressionante: se un macellaio tira una coltellata alla compagna, questa "maestra di vita" sbotta che il problema è dei coltelli e che le armi da fuoco devono essere quindi considerate innocue. In America, dove la piaga delle morti accidentali colpisce tutti i giorni, c'è anche qualcuno che si accorge di non vivere nel Paese dei Puffi!    
 
 
La sessualità di Lindsay, interamente rivolta verso corpi inanimati, non ha aspetti penetrativi, anche se solo per impossibilità pratica. È inescricabilmente connessa con l'incesto e con la pedofilia: lei è sempre una bambina nella mente e l'oggetto del suo desiderio sensuale è sempre e comunque il padre. La sua essenza è principalmente tattile. L'orgasmo si scatena a seguiti di ripetuti strusciamenti. Il suo sogno, che muove ogni sua azione, è di essere penetrata dal fallo di suo padre, di ricevere dentro di sé lo stesso sperma che l'ha generata. Le sarebbe andata meglio se fosse vissuta tra i Mochica. Quel popolo inclito dell'antico Perù aveva infatti scoperto un sistema per indurre il priapismo nei moribondi, producendo così cadaveri dal pene eretto, durissimo, che venivano poi utilizzati come materiale per riti sessuali inimmaginabili. Certo, c'è sempre un limite intrinseco: per quanto itifallico, il cadaverere di un uomo è incapace di produrre e di eiettare sperma. Credo però che la Necrofila si sarebbe accontentata.

 
Scene memorabili 
 
Le sequenze della macellazione del prostituto Billy-Jo, imprigionato a un lettino di contenzione e orrendamente dissanguato, sono senza dubbio indelebili. Jacque Lacert riesce a comunicare allo spettatore la sensazione della vita che fugge via col sangue dalla carotide recisa, del gelo della Morte che prende possesso della vittima, destinata a diventare il Nulla. 

Alex pedina la splendida Lindsay e la scopre al cimitero, davanti alla tomba del padre, mentre esegue una danza spargendo rose rosse e intonando una canzoncina infantile ripetuta ad nauseam con la vocina di una bimba di cinque anni: "Quanto è bello il mio papà! Quanto è bello il mio papà!" Lo sguardo raggelato di Alex dice più di mille parole. Sembra quasi di leggere il pensiero che gli passa per la testa, sillaba per sillaba: "La donna è come la castagna: bella fuori, e dentro la magagna!"   
 
Alex fa irruzione nella coven e scopre la moglie nuda intenta a strusciarsi su un cadavere. Si capisce che la vulva di lei è a contatto con i genitali dei morto, che pure sono incapaci di erezione. Non si può dimenticare l'espressione del marito della donna, pietrificato da una simile rivelazione! Tutto ciò è l'annientamento del concetto stesso di matrimonio! 

Il padre di Lindsay che crolla a terra, con il cranio bucato dalla pallottola sparata dalla figlioletta, il sangue scuro che esce dal cervello.
 
 
Curiosità
 
Il film di Lacerte è stato erroneamente attribuito ad Oliver Stone con il titolo La regina del male. L'informazione è stata reperita nel Web e la fonte sarebbe Cinematografo.it:
 
 
All'origine del marchiano errore sta il fatto che il primo film con Oliver Stone alla regia, Seizure (1974), è anche noto come Queen of evil. Il regista in questione mi è noto soprattutto per aver diretto un film tediosissimo e insensato come JFK - Un caso ancora aperto (1991).
 
Mary Charlotte Wilcox, l'attrice che ha interpretato il ruole della baciatrice di cadaveri, è nata nel 1947 a London, nell'Ontario (Canada) e ha interpretato una ventina di film. Ritiratasi dal mondo del cinema nel 1994, ha lavorato come segretaria in un ufficio legale. Verso il 2000 è diventata ministro di culto della Chiesa Evangelica a Edmonton, nell'Alberta (Canada). Ricopre tuttora l'incarico. 
 
È in commercio una versione restaurata del film su supporto DVD. Produzione: Quadrifoglio, 2020. Codice EAN: 8181120110045.    
 
Errori e incongruenze
 
Il cadavere dell'uomo grassoccio respira visibilmente e deglutisce un paio di volte. Forse è uno zombie? 

In origine, il gruppo che operava nell'impresa di pompe funebri era costituito semplicemente da ricchi necrofili, e il film è stato girato come un dramma oscuro in opposizione a un vero e proprio horror. La conventicola di necrofili è poi stata trasformata in una setta satanica coinvolta in sacrifici umani, allo scopo di aumentare la durata del film, dandogli un tono più apertamente orientato all'horror e aumentando il numero di vittime. In particolare, gli omicidi di Wade e della prostituta sono stati scritti e filmati dopo il completamento delle riprese principali. Questo è il motivo per cui Wade sembra apparire arbitrariamente e essere assassinato senza che si riesca a capire bene se le sequenze di eventi intorno alla sua morte siano o meno un sogno.
 
Critica 
 
Come c'era da aspettarsi, la critica cinematografica non ha compreso l'essenza di questo film. 
 
"Il fenomeno, purtroppo esistente, della necrofilia viene qui maltrattata con incongruenza narrativa e vacui tentativi di approfondimento psicologico. Qualche bella fotografia, qualche spunto involontariamente ridicolo, molta noia e molto disgusto." (Segnalazione cinematografiche, vol. 81, 1976) 
 
"Ucciso accidentalmente il babbo amatissimo quando era una bimbetta, Lindsay diventa un'adulta affezionata ai cadaveri. Entra in un club di necrofili disposti a tutto pur di procurarsi il materiale adatto ai loro riti. Ne fa le spese anche il gallerista che Lindsay sposa in bianco. Da un romanzo di Roger Wall e Robert Cleere, sceneggiato dal regista, un horror rozzo e sull'orlo del ridicolo più che inquietante o pauroso."
(Il Morandini) 

"Storia disgustosa di una donna che fa l'amore soltanto coi morti." 
(Mymovies.it)
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Riporto giusto un paio di interventi apparsi sul sito Il Davinotti
 
 
Herrkinski ha scritto: 
 
"Film settantiano, ormai visivamente datatissimo, così come l'atmosfera di quegli anni, che qui sembra ancor più remota di quanto non sia in realtà. Per essere il '72, il regista comunque mette in scena un gusto per l'orrido abbastanza esplicito, con alcune sequenze forti e un generale senso di disagio e squallore. Il ritmo è catatonico e la fotografia è quasi sfocata e a un certo punto la noia rischia di prendere il sopravvento, comunque è interessante. Sicuramente meglio dell'analogo Kissed."  
 
Gestarsh99 ha scritto: 

"Orribile il segreto della signorina Finch. Lei che incarna scelleratamente l'anello di congiunzione tra morboso complesso di Elettra e turpe parafilia mortuaria... Dietro la piatta confezione televisiva e la statica anonimità di regia, la valida Wilcox riesce molto bene, in alcuni tratti, a comunicare il suo oscuro e atroce malessere ma poi tutto si vanifica rapidamente nella bolla di sapone della sgangheratezza e del menefreghismo di scrittura più impersonale, con incongrue divagazioni slapstick ed esecrabili incuneamenti horror, a screditare anche quel po' di salvabile che c'è.
MEMORABILE: L'introduzione all'interno della storia della setta di necrofili killer dediti ad improbabili congressi notturni a base di orge..."

mercoledì 18 novembre 2020

 
ANTROPOPHAGUS 
 
AKA: Anthropophagus: The Beast; The Grim Reaper;
     Savage Island; Man-eater; Man beast
Paese di produzione:
Italia
Anno: 1980
Lingua originale: Inglese
Durata: 87 min
Genere: Orrore 
Sottogenere: Cannibalesco
Regia: Joe D'Amato
Aiuto regista: Donatella Donati
Soggetto: Luigi Montefiori, Aristide Massaccesi
Sceneggiatura: Luigi Montefiori
Produttore: Joe D'Amato, George Eastman, Oscar
      Santaniello 
Casa di produzione: P.C.M. International, Filmirage
Distribuzione in italiano: Cinedaf
Fotografia: Enrico Biribicchi
Montaggio: Ornella Micheli
Musiche: Marcello Giombini
Scenografia: Ennio Michettoni
Costumi: Ennio Michettoni
Trucco: Pietro Tenoglio
Fonico: Goffredo Salvatori
Interpreti e personaggi:
    Tisa Farrow: Julie
    Saverio Vallone: Alan
    Serena Grandi (come Vanessa Steiger): Maggie
    Margaret Mazzantini (come Margaret Donnelly): Ariette 
    Mark Bodin: Daniel
    Bob Larson: Arnold
    George Eastman: Klaus Wortmann, il cannibale
    Rubina Rey: Ruth Wortmann
    Simone Baker: Prima vittima
    Mark Logan: Seconda vittima
    Zora Kerova: Carol
    Joe D'Amato (non accreditato): Uomo che esce dalla
         funivia 
Denominazioni alternative dei personaggi:
    Nella versione in inglese, Alan è chiamato Andy;
    Ariette è chiamata Henriette "Rita".
    In altri paesi, come la Spagna, Klaus Wortmann è
    chiamato Nikos Karamanlis; Ruth Wortmann è chiamata
    Irina Karamanlis.
Titoli in altre lingue: 
   Anthropophagous : L'Anthropophage (Francia) 
   L'Anthropophage (Francia, TV)
   Der Menschenfresser (Germania Ovest) 
   Man Eater - Der Menschenfresser (Germania Ovest,
       X-rated)
   L'homme qui se mange lui-même (Belgio)
   Antropófagos (Argentina, Messico)
   Gomia, terror en el mar Egeo (Spagna)
   Antropófago (Perù)
   Antropofagia (Colombia)
   O antropófago (Brasile, Portogallo)
   Ο ανθρωποφάγος (Grecia)
   Антропофагус (Unione Sovietica)
   Ludożerca (Polonia)
Censura:
     V.M. 18 in Australia, Canada (eccetto il Québec),
     Finlandia, Italia, Regno Unito, Stati Uniti
     V.M. 16 in Francia
     V.M. 14 in Cile
     V.M. 13 in Canada (Québec)
Crediti di produzione DVD: 
   Produttore esecutivo: John Sirabella
   Produttore: William Hellfire

Trama: 
Una coppia di tedeschi in vacanza in Grecia va in spiaggia e viene trucidata da qualcuno che emerge dall'oceano. Intanto cinque viaggiatori hanno l'idea di fare il giro delle isole. Sono Alan e la sorella Carol, Daniel, Arnold e la moglie Maggie. All'ultimo ammettono nella loro comitiva anche Julie, che chiede un passaggio per un'isola fuori dalle rotte, dove vivrebbero alcuni suoi amici. L'unica che si oppone a questo cambiamento del programma è Carol, mossa dai tarocchi a presagire qualcosa di brutto in caso di visita all'isola. Il gruppo salpa comunque per la destinazione stabilita, ma subito qualcosa va storto. Mentre sbarca, Maggie, che è gravida, si distorce una caviglia. Non potendo proseguire rimane sulla barca con il suo proprietario. Un uomo attacca la barca, strappando la testa al marinaio e rapendo Maggie. Gli altri esplorano la cittadina dell'isola, scoprendola disabitata, se si eccettua una sfuggente donna in nero, che scrive "Vai via" su una finestra polverosa. In una casa viene trovato un cadavere in decomposizione che sembra essere stato cannibalizzato. La macabra scoperta spinge tutti a tornare di corsa alla barca, che però è alla deriva. Senza via di scampo, il gruppo si reca nella casa di proprietà degli amici di Julie, dove trovano l'ultima superstite della famiglia, la ragazza cieca Ariette. In preda al panico, dopo aver tirato una coltellata a Daniel, Ariette si calma e si lamenta che c'è per l'isola si aggira un pazzo che emana fetore di sangue corrotto. 
Temendo che la ferita di Daniel possa infettarsi, Alan e Arnold vanno alla ricerca di antibiotici. Carol scopre Daniel che flirta con Julie, ha una crisi isterica e fugge via nella notte. Julie la insegue, ma la perde e incontra Andy e Arnold. Nel frattempo l'assassino sfigurato irrompe nella casa e squarcia la gola di Daniel, lasciando Ariette da sola e fuggendo prima del ritorno degli. Al mattino, il gruppo attraversa l'isola e trova una dimora nobiliare, grande e sfarzosa come un castello. È la villa di Klaus Wortmann. Julie rammenta subito che Klaus, sua moglie e il loro bambino sono scomparsi in un naufragio e considerati morti. La sorella di Klaus, Ruth, sconvolta dalla tragedia, non ha più ritrovato il senno. È proprio lei la donna in nero incontrata all'inizio della sventurata esplorazione dell'isola. Prima che i visitatori entrino nell'edificio, Ruth conforta Carol addormentata e si impicca.  
Alan e Arnold guardano fuori da una finestra e vedono che la barca si è avvicinata alla riva. I due vanno a cercare di recuperarla. Julie trova nella villa un diario semidistrutto, da cui apprende che l'assassino è Klaus e che i corpi di tutte le sue vittime sono in una cripta. Alan e Arnold si separano e quest'ultimo raggiunge una chiesa abbandonata, dove trova Maggie e affronta Klaus, che in un flashback gli rivela la propria tragedia. Bloccato con la famiglia in una zattera alla deriva, Klaus ha cercato di convincere la moglie delle nacessità di mangiare le carni del figlioletto appena deceduto, in modo tale da avere più possibilità di sopravvivenza; la donna si è opposta ed è rimasta ferita dal coltello del marito, che ha subito ingurgitato la sua carne e quella del figlio. Arnold implora pietà per Maggie, ma il cannibale lo pugnala. Quindi strangola la donna incinta e la sventra, le strappa dall'utero il bambino non ancora nato e lo divora davanti agli occhi dell'uomo agonizzante. 
Intanto alla villa succede il disastro: Carol finisce con l'inciampare, morendo sul colpo con la gola recisa; Julie e Ariette si barricano in un soffitto, che finisce sfondato dall'antropofago. Ariette rimane uccisa, ma Julie riesce a far precipitare l'assalitore, che viene raggiunto e colpito da Alan, trovandosi l'addome squarciato da una picconata. Coi suoi ultimi barlumi di vita, il cannibale afferra i propri intestini sanguinolenti portandoli alla bocca e divorandoli, sotto gli occhi dei superstiti annientati!
 
 
Scene memorabili: 
 
L'esplorazione delle catacombe, tra corpi putrefatti e ratti dagli occhi rossi. Un'autentica discesa agli Inferi! 

Il ferale flashback di Klaus Wortmann, che vediamo alla deriva su un canotto giallo assieme alla moglie incinta e al figlio fulvo appena morto di stenti. La donna accarezza in modo insistente la testa del bambino estinto. L'uomo impugna un coltello (ne avevo uno simile, è andato smarrito). "No! Non puoi farlo, è nostro figlio!", geme lei. "È morto. Ora è solo cibo. Cibo per sopravvivere!", ribatte lui, che le caccia il coltello nel ventre, uccidendola. "Mangiami! Mangiami! Maledetto!", sono le ultime parole della moglie, mentre la vita la abbandona. Nella versione inglese "maledetto" è reso con "piece of shit"
 
Il feto estirpato dal ventre della Grandi, da cui non fuoriesce nemmeno una goccia di sangue, sembra un pallone gonfiato dipinto di rosso. Mentre viene masticato, permane nello spettatore l'impressione si tratti di una massa gommosa. L'effetto della sequenza è talmente ridicolo che con gli occhi di oggi non si riesce a comprendere come abbia potuto risultare tanto traumatizzante all'epoca da provocare le ire della censura. 
 
L'estrazione delle viscere dall'addome del cannibale moribondo, con conseguente masticazione! Il sangue rosso brunastro scaturisce a zampillo mentre il mostro si sfila l'intestino tenue. Poi si porta alla bocca il proprio tubo digerente e lo mastica con avidità. Gli occhi giallastri con la pupilla microscopica sembrano luminarie dell'Ade, tizzoni ardenti come quelli di Caronte! 

Recensione: 
La pellicola di D'Amato ha avuto nel corso degli anni un notevole impatto, guadagnandosi lo stato di film cult, anche se limitatamente all'audience dei video di horror di frangia. Gli effetti speciali sono rudimentali, ma questo non ha la benché minima importanza. Secondo Dyers (2015) il film ha raggiunto "un posto notevole negli annali dell'escalation del gore". Eppure secondo la rivista Delirium, questo sarebbe "un film che offre alcuni dei momenti più disgustosi della storia del cinema". Secondo la rivista Nocturno si tratterebbe di "un film controverso nel panorama horror italiano di quegli anni". E ancora: "A metà strada tra il cinema cialtrone di Bruno Mattei e quello più sofisticato di Lucio Fulci, chiaramente influenzato dalla politica del body count di certo slasher americano ma anche dalla visceralità del genere cannibalico di Ruggero Deodato e co., Antropophagus resta ancora oggi pellicola di difficile collocazione e indubbio interesse"

Una cosa colpisce subito: Antropophagus si distacca nettamente dagli altri film del genere horror cannibalesco per il fatto di non essere ambientato in Amazzonia o in Papua Nuova Guinea. Contro l'insulsa opinione corrente, che vuole il cannibalismo come un costume da "abbronzati" o comunque da "non bianchi", esso è vivo e vitale ai nostri giorni soprattutto in nazioni come la Russia, la Germania e l'Inghilterra. La pellicola di Joe D'Amato ha avuto il pregio di far meditare su questo tema, certo un po' scomodo ma reale come l'aria che respiriamo. Il cannibale può abitare nell'appartamento accanto, nel nostro stesso palazzo. Il cannibale non si può distinguere dal colore della pelle. Soltanto una cosa permette di individuarlo: quella particolare luce sadica che gli brilla negli occhi. Gli strizzacervelli potranno anche dire che si tratta di una "parafilia", di una grave alterazione psichica, di una tremenda quanto rara malattia, ma il fatto resta. Basti considerare un esempio. Armin Meiwes di Rotenburg an der Fulda non è liquidabile come un semplice demente. Era un uomo della porta accanto, dotato di grande intelligenza (è stato un tecnico di computer dell'Esercito Federale Tedesco), eppure a un certo punto ha preso contatto con un uomo profondamente masochista, lo ha incontrato, quindi con il suo consenso lo ha sodomizzato, castrato con un coltellaccio, fatto morire per dissanguamento, sgozzato, macellato e divorato. La realtà è che il cannibalismo è un istinto innato nella specie umana e ha un ruolo di primaria importanza nell'immaginario collettivo. Per quanto possa essere soppresso dal potere del Leviatano, non muore, non è mai del tutto estirpato, ma scorre come un fiume carsico sotto la crosta della normalità per poi eruttare all'improvviso nei contesti più inaspettati e menare strage! 

Curiosità tecniche

Le riprese, iniziate nell'aprile 1980, si protrassero in tutto per un mese. Il film, prodotto dall'appena fondata Filmirage di Joe D'Amato e Donatella Donati, fu girato in 16 mm e in seguito espanso in 35 mm. I luoghi delle riprese sono state molteplici: Atene, Sperlonga, Nepi, Sutri e Ponza per la maggior parte degli esterni; il Villino Crespi presso il Colosseo a Roma per gli esterni della villa Wortmann. Diversi interni sono stati girati a Sacrofano in una villa. La sagoma dell'isola greca infestata dal cannibale, avvistata dalla barca, è quella di Ponza. Sempre a Ponza, Cala Feola è proprio il porticciolo dove è stata ormeggiata la barca. 
 
Nella Catacomba di Santa Silvanilla a Nepi sono state girate le scene della grotta in cui imperversa l'antropofago; i resti umani nei loculi sono in parte stati simulati tramite molti teschi ed ossa di plastica affittati per l'occasione. Cosa deprecabile, questi posticci plastici sono stati mescolati in modo sacrilego a resti autentici. Secondo quanto affermato dallo stesso D'Amato, al termine delle riprese sarebbe stato commesso un errore ancor più sacrilego: le ossa autentiche, raccolte assieme a quelle finte, sarebbero state asportate per poi essere conservate nella casa del regista. Sull'autenticità di tutto questo non mi pronuncio, nonostante le parole di D'Amato in un'intervista pubblicata sulla rivista Notturno: potrebbe trattarsi di una semplice leggenda metropolitana diffusa per fare maggior pubblicità al film.  
 
Il film prevedeva un'interessante sequenza in cui Klaus Wortmann sgozzava Zora Kerowa con un coltello, facendola cadere a terra su un mucchio di cadavaveri pieni zeppi di cagnotti. La scena fu effettivamente realizzata, ma purtroppo dovette essere tagliata in fase di montaggio; secondo l'opinione corrente questo accadde a causa di problemi tecnici non meglio specificati con gli effetti speciali. Si segnala anche il tagglio di un'altra scena, in cui uno dei ragazzi in barca, intento a pescare, recuperava dal mare una scarpa che si rivelava contenere un piede mozzato. Tuttavia questa sequenza soppressa è stata in seguito recuperata e la si trova nei contenuti extra del Blu-ray 88 Films. 
 
I ratti grigi razzolanti nelle catacombe sono di una particolare varità, denominata "marten rat" (alla lettera "ratto martora") o "red eyed devil" (alla lettera "diavolo dagli occhi rossi"). Il loro aspetto particolarmente spettrale si deve all'assenza di melanina nelle pupille, che conferisce il tipico color rubino, dovuto al sangue che scorre nei capillari.
 
Il famigerato feto divorato dall'antropofago fu realizzato usando un coniglio scuoiato a cui era stato applicato un budellino per simulare il cordone ombelicale. Nel Regno Unito le autorità credettero assurdamente che si trattasse di un autentico feto umano ucciso per l'occasione, classificando Antropophagus come un autentico snuff movie e di conseguenza vietandolo. Il bando durò a lungo. Secondo questi emeriti minchioni, George Eastman sarebbe stato un vero e proprio cannibale, e magari avrebbe anche immolato il feto a Satana prima di sbranarlo. 
 
La prima proiezione nelle sale si ebbe in Italia il 17 ottobre 1980. La Papua Nuova Guinea, in cui non mancano i consumatori di carne umana, fu il secondo Paese in cui uscì il film, il 17 ottobre 1980; a pochi giorni di distanza uscì in Grecia, il 21 ottobre.  
 
Un genocidio in un'isola microscopica 
 
Un'incoerenza che salta subito agli occhi è la sproporzione tra le dimensioni esigue dell'isola e il grande sviluppo dell'edificato, reso deserto dal cannibale, ma un tempo molto popoloso. Inutile dire che nella realtà non sarebbe mai possibile una concatenazione di eventi come quella narrata dal regista. L'artifizio scenico delle comunicazioni rese impossibili da un guasto è semplicemente patetico. Non mi pare plausibile che un'isola tanto ricca di abitanti possa finire desolata da un mostro senza che ci sia l'intervento dell'esercito. Se l'isola è poco più di uno scoglio sperduto nell'Egeo, come mai vi sorge un'imponente dimora nobiliare come quella della famiglia Wortmann? Possiamo dire che tutta la trama è di una fragilità logica molto spinta. 
 
 
Cannibalismo zombesco! 
 
L'antropofago non è più un essere umano come tutti: l'atto di cibarsi della carne di suo figlio e di sua moglie ha trasformato la sua biologia, facendolo diventare uno zombie! L'idea portante è questa: nell'immaginario collettivo il consumo di carne umana è ritenuto uno dei massimi tabù, quindi un atto contro Dio e la Natura, gravido di terribili conseguenze. Chi lo compie è bollato con un marchio satanico, proprio come il vampiro. Sembra ancora il Mito di Wendigo, che era diffuso tra gli Algonchini. A differenza dei loro vicini Irochesi, gli Algonchini ritenevano tabù l'antropofagia e cercavano di sublimare gli incubi provocati dal suo desiderio proibito incarnandoli in una creatura spaventosa. Il Wendigo era rappresentato come un umanoide irsuto, dotato di immensa forza, velocità e immortalità. Si credeva che queste proprietà sovrannatuali gli fossero conferite proprio dall'ingestione di carne umana. Lo zombie di Antropophagus non è diverso: letale quasi come uno xenomorfo, porta l'annientamento dovunque vada, spopolando l'isola. La realtà dei fatti è molto diversa: la carne umana di per sé non è poi tanto diversa da quella di porco e la sua ingestione non porta alcuna alterazione ontologica in chi se ne nutre. La sindrome cannibalica si scatena a causa di fattori ben più complessi. Se un uomo viene ingannato e mangia carne umana credendola di porco, non si trasformerà in un mostro. Per contro, la metamorfosi in cannibale può avvenire prima ancora di aver ingerito un pasto di carne umana, come se qualcosa di demoniaco si insediasse nel corpo e ne prendesse il controllo, determinandone le azioni. 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web: 
 
Viene in generale riconosciuta la mancanza di coerenza logica della trama. Si trovano sia recensioni negative che debolmente positive; non sembrano essere molto comuni i giudizi entusiastici su quest'opera di D'Amato. Gli aggettivi più comunemente usati per etichettare Antropophagus sono questi: "sopravvalutato", "trascurabile", "prevedibile". Ecco un po' di davinottismo spicciolo: 
 
   
Carlitos scrive: 
 
"Un horror sopravvalutato. L’unica cosa che si salva è la musica di Giombini: molto inquietante, quasi mette più ansia delle scene stesse. Per il resto un cast di poco noti fuorché la Grandi. Bella la scenografia. Ritmo molto lento e noioso. Delle scene si salvano solo il finale e la celebre scena del feto. Chissà perché c’è una sorella di Mia Farrow in questo discreto horror. D’Amato sa fare di meglio.
MEMORABILE: La musica che ascolta Mark Logan a inizio film con tanto di enormi cuffiettone." 

Whitesnake scrive: 

"Abbiamo un tizio che rimasto troppo tempo in solitudine al largo in un'isola, dopo aver ucciso sua moglie scopre cibandosene un'attitudine al cannibalismo. Ne farà le spese un gruppo di ignari turisti. Nella parabola del cinema di genere italiano questo film rimane tra quelli trascurabili. Storia di per sé inconsistente e che funge da puro pretesto per un'ondata di splatter pornografico, il tutto corredato da una messa in scena che è poca cosa. Tra le tante crudezze gratuite, la scena dell'estirpazione del feto risulta davvero pessima." 

Anthonivm scrive: 

"Uno dei rari casi in cui D'Amato rinuncia al binomio eros & thanatos e mette in scena un horror "puro". Se da una parte cala la componente sessuale, dall'altra si eccede con la violenza, che è anche la ragione per cui questo titolo è ricordato dagli appassionati. La trama è molto esile, richiama altri film della decade precedente (Perché il dio fenicio continua a uccidere è un esempio), ma è ben costruito e ricco di sequenze memorabili che hanno fatto la storia del genere. Noiosetto nella prima parte, rimonta alla grande nella seconda metà." 
 
Buiomega71 scrive: 
 
"Piuttosto zozzo e malsano, ma anche girato alla meno peggio. Lo zio Aristide sopperisce ai limiti di budget e più che la bassa macelleria con feti e budelli estirpati conta molto la putrida atmosfera, che sia di un villaggio fantasma greco, delle grotte, del cimitero, di magioni polverose, lampi e tuoni, sole battente in mare aperto, cantine sudice con botti contenenti sopravvisute. Massaccesi mutua lo slasher americano e crea un disturbante apologo apocalittico cannibalico (con schegge impazzite quasi da post atomico). Marciscente e lurido quindi cult.
MEMORABILE: Eastman, nel flashback, naufrago impazzito sul canotto, in mare aperto e sole a picco, con cadavere di moglie e figlioletto, non si scorda più..." 

domenica 15 novembre 2020

 
SCHIAVE BIANCHE -
VIOLENZA IN AMAZZONIA 
 
AKA: Schiave bianche - Violenza profonda; Schiave bianche -
     Il sesso e la violenza; Amazonia - The Catherine Miles 
     Story;
Cannibal Holocaust 2 - The Catherine Miles Story   
Titolo inglese:
White Slaves 
Titolo francese: L'Esclave blonde  
Paese di produzione: Italia
Anno: 1985
Durata: 94 min
Lingua originale: Italiano, inglese
Specifiche tecniche: Normale a colori
Genere: Orrore
Sottogenere: Cannibalesco
Regia: Mario Gariazzo (Roy Garrett)
Soggetto: Francesco Prosperi
Sceneggiatura: Francesco Prosperi
Produttore esecutivo: Vittorio Galiano
Fotografia: Silvano Ippoliti
Montaggio: Gianfranco Amicucci
Musiche: Franco Campanino; Il brano "The Nynph", eseguito
    con il flauto di Pan, è di Fiorenzo Gianani
Interpreti e personaggi: 
    Elvire Audray: Catherine Miles Armstrong 
    Will Gonzales: Umukai
    Rik Battaglia: padre di Catherine
    Andrea Coppola: zio di Catherine
    Dick Campbell: Dick Campbell
    Dick Marshall
    Alma Vernon 
    Grace Williams
    Sara Fleszer
    Mark Cannon
    Jessica Bridges
Titoli tradotti: 
   Francese: L'Esclave blonde 
 
Trama: 
Catherine Miles è una diciassettenne inglese di buona famiglia, mandata a Londra per perfezionare la conoscenza della propria stessa lingua d'origine, che correva il rischio di dimenticare in favore dello spagnolo. Finiti i corsi, in occasione del suo diciottesimo compleanno la ragazza si reca in vacanza dai suoi genitori, che posseggono una vasta tenuta nell'Amazzonia lungo il corso dell'Orinoco (che nella mia ingenuità infantile ritenevo essere un'immensa distesa di orina). Durante una gita sul fiume, la comitiva subisce un attacco da parte di una tribù di indigeni armati di cerbottana, che ne fa strage. Il padre e la madre di Catherine finiscono uccisi e decapitati, mentre lei viene presa prigioniera e condotta via, nelle profondità della foresta pluviale. Il catturatore della ragazza è un impavido e nerboruto guerriero di nome Umukai, che comanda il gruppo. Dopo una lunghissima ed estenuante marcia nella foresta, i nativi arrivano con la prigioniera in un villaggio costituito da una grande capanna a forma di anello intorno a un grande spiazzo. Subito il cacique Rumuani decide di vendere Catherine all'uomo più ricco della comunità, Fameteri, che la tratta male e cerca di possederla con la forza. Umukai si offre di diventare uno schiavo pur di riscattare la ragazza, che nel frattempo è stata sverginata con un dildo, ma l'uomo a cui è stata venduta rifiuta l'offerta e la percuote. Ne nasce una lotta in cui Umukai ha la meglio e riesce a colpire a morte l'avversario. Dopo il funerale di Fameteri, il cui corpo viene cremato su una grande pira tra canti ossessivi, Umukai prende Catherine come propria donna, secondo le usanze della tribù; lei però rifiuta di concedersi, dato che lo crede l'uccisore dei suoi genitori. Lui la ama alla disperazione e cerca di fare di tutto per conquistarla, invano. Per poter sopravvivere, l'inglese rimane nella tribù e si adatta al modo di vivere dei nativi, indossando il perizoma d'erba e portando collane di conchiglie. A questo punto fa la conoscenza della sorella di Umukai, Luamari, con cui scopre di essere in grado di comunicare, anche se in modo stentato: la giovane nativa aveva avuto contatti con una missione e aveva appreso qualche parola di di inglese o più probabilmente di spagnolo. Le due diventano ottime amiche. I tentativi fatti da Catherine per apprendere la lingua degli indigeni all'inizio si rivelano presto fallimentari, mentre Umukai con l'aiuto della sorella riesce ad imparare quel tanto che basta per poter comunicare con la sua amata. La verità salta subito fuori: la bionda dice a Umukai che lo ritiene responsabile dell'uccisione dei suoi genitori, al che lui riesce a dimostrare che le cose non stanno affatto in questo modo. Le spiega che gli autori di quelle morti sono stati alcuni bianchi con la complicità di guerrieri di una tribù diversa dalla propria. Catherine capisce come stanno le cose e cede all'amore del suo corteggiatore, a cui chiede di accompagnarla nelle terre dei genitori morti. Arrivata a destinazione, vede che suo zio e sua zia, a parole tanto amichevoli, si sono impossessati della proprietà. Scopre che sono proprio loro i responsabili di tante atrocità, così entra nella loro camera da letto e li uccide senza pietà, decapitandoli a colpi d'ascia dopo averli paralizzati con frecce avvelenate. Umukai ha visto tutto ed è preso dallo sgomento: secondo le usanze della sua gente, nessuna donna può uccidere. Il guerriero deve quindi rinunciare all'amore di Catherine, perché non può violare un gravissimo tabù. I due salgono sulla canoa, ma a un certo punto lei si tuffa, nuotando verso la riva, mentre lui si allontana, sparendo nelle profondità della foresta. Rimasta sola, la giovane decide di consegnarsi alle autorità. Viene processata per omicidio, ma il suo avvocato difensore riesce a farne riconoscere l'infermità mentale. Il giudice la condanna quindi a breve periodo di reclusione in un istituto psichiatrico. Una volta libera, Catherine fa ritorno in Inghilterra, dove sposa un architetto e genera con lui una figlia. Non riuscirà però a dimenticare il suo amore per Umukai che, come lascia intendere la voce narrante, è morto suicida. 
 
 
Recensione: 
Scoprire sempre nuovi escrementi di celluloide mi procura una certa soddisfazione. Secondo alcuni (es. I Cinenauti), il filone dei Cannibal Movies, iniziato da Umberto Lenzi, in Italia si estinse con il film di Mario Gariazzo nel 1985. Altri invece affermano che tale estinzione fu segnata qualche anno dopo, nel 1988, da Natura contro di Antonio Climati. In ogni caso non sono previste resurrezioni zombesche. A dire il vero in questa pellicola di Gariazzo non ci sono scene di cannibalismo (come in quella di Climati, del resto), tuttavia viene considerata parte del genere cannibalesco per via dell'ambientazione, della sceneggiatura e delle tecniche di ripresa. La tribù protagonista di Schiave bianche non è antropofaga, anche se in un'occasione si vede Umukai portarsi alle labbra il sangue della giovane Catherine e assimilarlo. Si mostra poi l'assalto di guerrieri di una tribù ostile, i Tamuri o Isiwé, e si dice che sono cannibali. Quindi non è del tutto vero che il cannibalismo non è mai menzionato. In ogni caso il titolo, per essere franchi, è ingannevole. Ricordo ancora quando il film uscì. Mi capitò di vedere una sua locandina su un muro mentre mi trovavo a Genova e subito ebbi fantasie incredibilmente morbose. Ero in macchina e il conducente aveva la radio accesa a tutto volume. Le note che trasmetteva erano quelle di Sounds Like a Melody degli Alphaville. Mi immaginavo una specie di film porno-cannibal, in cui una fiera e bellicosissima tribù amazzonica si impossessava di un gran numero di donne bianche per sfogare su di loro la propria libidine. Sesso estremo, anche anale. In pratica una gangbang, un bukkake. Poi, una volta coperte le prigioniere di boli spermatici, le macellavano, le grigliavano su un gigantesco barbecue e le mangiavano. Come potevo immaginarmi queste cose? Neanche avevo 18 anni! Beh, ero un enfant terrible! Non potei vedere il film a Genova e la cosa mi passò presto di mente. Poi, molti anni dopo, quel ricordo - che molti riterranno osceno e disdicevole - mi tornò alla memoria come un rigurgito acido. Passati i 50 anni, mi sono confrontato con quelle che erano le mie inverosimili aspettative sul film. Inutile cercarvi qualcosa di simile a ciò che la mia perversa immaginazione aveva concepito. Questo lo avevo ben presente. Fatto sta che il titolo dice "Schiave bianche", ma qui la schiava bianca è una sola. Una schiava bellissima, affascinante, su questo non ci sono dubbi. Il titolo francese è più onesto: L'Esclave blonde. L'attrice che ha interpretato Catherine Miles, Elvire Audray, l'abbiamo già vista come protagonista di Assassinio al cimitero etrusco (Sergio Martino, 1982). Nata a Parigi nel 1960, è morta suicida nel 2000, all'età di soli quarant'anni. R.I.P.       
 
Una storia vera?  
 
Il film si apre con questa implausibile dichiarazione:

"The Producers wish to thank the Criminal Court of Ciudad Rodaz for allowing them to consult the records of the trial depicted here." 
 
La voce narrante ci informa: 
 
"Questo film è la rigorosa ricostruzione di una vicenda realmente accaduta. I luoghi sono gli stessi ove dieci anni fa Catherine Armstrong Miles visse la sua agghiacciante avventura. Oggi Catherine vive a Londra e ha svelato il suo segreto custodito gelosamente per tanto tempo ad un giornalista italiano, autorizzandone la realizzazione cinematografica . "
 
Ovviamente è un fake. Ciudad Rodaz, che dovrebbe trovarsi in Venezuela o in Colombia (in quelle nazioni scorre l'Orinoco), è un luogo immaginario. Eppure la vicenda di Catherine Miles non è campata in aria come si potrebbe pensare. In altre parole, è esistito un caso abbastanza simile, quello di Helena Valero. Nel 1944 il biologo italiano Ettore Biocca organizzò una spedizione scientifica in Amazzonia e cercò invano di visitare gli Yanomami, considerati demoni dalle guide. Non molto tempo prima la giovane Helena Valero, figlia di un venezuelano e di una brasiliana, era stata rapita e portata nella foresta. Dopo una ventina d'anni, nel 1963, lo scienziato italiano organizzò una seconda spedizione e riuscì finalmente ad incontrarla, registrando la sua affascinante narrazione della vita che aveva condotto nella foresta amazzonica. Sottratta alla sua famiglia di agricoltori di sussistenza quando era una bambina (tra i 10 e i 13 anni), Helena rimase ferita e si trovò a vivere tra gli Shameteri, una tribù Yanoama. Qui ha ucciso accidentalmente un bambino dandogli un rospo velenoso, e il padre della vittima voleva ucciderla. Per salvarsi la pelle fuggì nella foresta e raggiunse infine la tribù dei Namoeteri. Dopo un nuovo tentativo di fuga, fu ricatturata e presa in sposa a Fusiwe, cacique dei Namoeteri, divenendo la sua quarta e più giovane moglie. Dopo aver avuto da lei due figli, Fusiwe fu ucciso in battaglia. Saputo che i nemici dei Namoeteri complottavano per uccidere i suoi figli, temendo che li avrebbe cresciuti nella vendetta, Helena li trasse in salvo portandoli presso una tribù non coinvolta nella guerra. Conobbe un uomo di nome Akawe, lo sposò e gli diede due figli, un maschio e una femmina. Col tempo Akawe si rivelò un uomo brutale, paccianesco. Per sottrarsi ai maltrattamenti, la donna decise di tornare nelle terre dell'uomo bianco, portando con sé i quattro figli. Era l'Anno del Signore 1956. Nemmeno nel suo paese d'origine poté trovare la pace: la sua famiglia la rifiutò perche "contaminata dagli Indios" (e pensare che il padre era un individuo orrendo con la faccia da uomo-pesce di Innsmouth). Costretta a una vita miserabile in una missione protestante, Helena decise di tornare tra gli Yanomami. Nel 1989 fu trovata assieme ai figli nel villaggio di Lechosa, alla confluenza tra il Rio Ocamo e il Rio Mavaca. Era in condizioni di miseria assoluta. Morì nel 2002.  
 
 
Una gigantesca incoerenza 
 
Il film parte con questi dati di fatto: Umukai, conducendo i suoi guerrieri all'attacco, uccide i genitori di Catherine e li decapita, prendendo con sé le teste. Proseguendo nella visione, si viene invece a sapere che invece Umukai non è il responsabile di queste morti. Non ha ucciso lui i genitori della giovane inglese. Sorge quindi una domanda. Se non è stato Umukai a uccidere i genitori della bionda Catherine, perché ne ha reciso le teste prendendole come trofei? Tra i cacciatori di teste unicamente chi uccide qualcuno ha diritto al trofeo. Nessuno prenderebbe mai la testa di una persona uccisa da qualcun altro! Altra incoerenza folle. Se Catherine perdona Umukai come viene a sapere che non ha ucciso i suoi genitori, come mai gli perdona anche il fatto di aver reciso la testa ai loro cadaveri? Come dire: "Tu non hai ucciso i miei genitori, hai solo tagliato loro la testa quando erano già morti. Quindi è tutto OK". Questa è una cosa folle, vero?  Sembra quasi che il regista abbia iniziato le riprese partendo da un'idea per poi abbandonarla e impantanarsi verso la metà del film, una volta resosi conto che la sceneggiatura era inconsistente, a dir poco. Avrebbe quindi disperatamente cercato di porvi rimedio, senza alcun successo.      

Lo pseudo-Yanomami di Prosperi 

I nativi protagonisti del film di Gariazzo sono chiamati Guainirá. Non ho avuto riscontro di alcuna tribù con questo nome, ma ciò potrebbe doversi alle mie limitate conoscenze. Ho notato alcune stranezze. Una caratteristica non troppo comune in una lingua amerindiana dell'Amazzonia è la presenza del fonema /f/, che si trova ad esempio nell'antroponimo Fameteri /fame'teri/. Uno dei problemi con le lingue usate nei film è quello delle fonti da cui sono state elaborate. Si tratta di invenzioni parziali o complete? Non è sempre facile rispondere. Una cosa è certa: anche l'invenzione di una lingua richiede un certo grado di competenza, di consapevolezza e di sensibilità. Vediamo subito che Fameteri è un nome fabbricato a partire da quello di due tribù presso cui visse Helena Valero: gli Shameteri e i Namoeteri. Gli Shameteri erano già stati visti in Cannibal Holocaust (Ruggero Deodato, 1980). Il suffisso -teri / -tari si trova anche in altri etnonimi come Parimiteri e Pubmatari. Nelle lingue Yanomami non sussiste un fonema /f/, anche se il suono si trova come allofono in alcune varietà; invece vi abbondano le vocali nasali, che non si trovano affatto nella lingua udita nella pellicola gariazziana.
 
Un raffronto anche superficiale evidenzia una diversità lessicale profonda tra le lingue Yanomami e quella parlata dalla fantomatica tribù Guainirá. La tipica abitazione di paglia è chiamata da Catherine shapó /ʃa'po/, con una pronuncia identica a quella del francese chapeau "cappello". Si tratta di una mera coincidenza. All'inizio pensavo che di non poter escludere una trovata furbesca dello sceneggiatore. Poi ho trovato che tra gli Yanomami la casa collettiva è in effetti chiamata shabono (scritto anche xabono, shapono, yano).
 
Queste sono alcune glosse di parole e brevi frasi che è possibile ottenere dall'attenta visione del film:
 
Anaé "Terra dei Bianchi"
arégua!
"attingi!", "prendi l'acqua!" 
ashiníni! "mangia!"
éve! "su!", "forza!", "via!", "vai!":
   éve Umukai! "Vattene, Umukai!"
   evé! "presto!"; "vai via!" 

kanatá "scimmia" 
nakíru "cielo" 
tatukané "liquido lattiginoso usato per pescare" 
washimíni! "lavatela!" 
weassí ashamé kawametéri! "tu hai ucciso mio padre e mia
     madre!" 
shana kudu ikí! "attenzione al serpente!"

Il nome della scimmia, kanatá, è un indizio importante. Nelle lingue Yanomami non sembra esserci un nome generico per indicare il concetto di "scimmia": vi esistono invece molti nomi di particolari specie di primati. La sorella di Umukai, che schernisce una scimmia su un albero, non dà alcuna importanza alla tassonomia. In altre parole, il suo concetto della nomenclatura degli animali non sembra quello tipico dei popoli amazzonici. Un altro indizio della natura posticcia delle creazioni linguistiche dello sceneggiatore, Prosperi. 

Il teonimo Tupa /'tupa/ è senza dubbio di origine Tupí: è un prestito da Tupã "Dio". Va tuttavia rilevato che mentre la parola Tupí indica la divinità uranica, nella lingua degli Indios del film Tupa indica invece una divinità delle rapide, a cui sono offerte vittime umane. Probabilmente il responsabile dei dialoghi venne a conoscenza della parola Tupí, alterandone il significato.  

Non sono riuscito a trovare un'etimologia credibile per il nome Umukai. Durante le mie ricerche mi sono però imbattuto in una singolare coincidenza. Nella lingua polinesiana delle Isole Cook, umukai significa "festa, banchetto". Non ha alcuna connessione con l'Amazzonia, ma non è improbabile che Prosperi abbia trovato questa stessa parola e abbia deciso di utilizzarla per il suo suono.

Il quadro dei fonemi della lingua di Umukai è molto diverso da quello delle lingue Yanomami, che presentano un minimo di ben undici vocali, potendo arrivare addirittura a tredici. Oltre alle vocali /a/, /e/, /i/, /o/, /u/, troviamo /ɨ/, /ə/, oltre alle nasalizzate /ã/, /ĩ/, /ũ/, /ə̃/. Il sistema consonantico prosperiano presenta maggiori somiglianze con quello delle lingue Yanomami, ma non è comunque identico. Per fare un esempio, in Yanomamö è presente la consonante fricativa glottidale /h/, che manca nella lingua di Umukai. Quest'ultima per contro presenta una consonante occlusiva labiovelare /gw/ e una fricativa labiodentale /v/, che mancano in Yanomamö. Potrei essere accusato di sprecare le mie risorse mentali e di perdere il mio tempo in questioni di lana caprina, quindi non proseguo oltre. Questo è il link a un dizionario della lingua Yanomamö, dalla cui consultazione si possono ottenere conoscenze di estrema utilità:  
 
 

Scene memorabili 

Un tronco è coperto da grossi bruchi di un color nero chiaro, che si dibattono senza sosta. Umukai li raccoglie in una rudimentale ciotola e si mette a mangiarli. Una voce in sottofondo (non quella di Catherine) commenta in italiano: "Che schifo!" Quando Umukai prende i bruchi con le dita e li porta alla bocca, questi sono immobili e sembrano pezzi di sterco! La ragazza vomita. 
 
Catherine nuda al cospetto del cacique e dei suoi guerrieri, quel corpo statuario, sensualissimo, quelle natiche all'aria; le cure delle donne della tribù che la lavano, la frugano dappertutto...

Fameteri prende la nuda Catherine e cerca di consumare il matrimonio. Al primo contatto del glande con l'imene, l'uomo desiste all'istante dalla penetrazione. Così commenterà la ragazza alla corte durante il processo: "La mia verginità li meravigliava. I Guainirá stuprano artificialmente le bambine a quattro anni"

Catherine condotta dalla donna-sciamano dopo un tentativo di fuga e privata della verginità tramite un simulacro fallico, lo stesso che gli antichi Romani chiamavano mutinus titunus - anche se più rudimentale. Quando la donna-sciamano rompe la prigioniera, leva verso l'alto il fallo finto, con la punta sporca di sangue. Una scena simile si trova anche in un film di Lenzi, Mangiati vivi!, del 1980.    

Catherine, dopo aver rubato le teste putrefatte dei suoi genitori, scava a mani nude nel terriccio molle e le seppellisce. Sono interessanti alcune sequenze di putrefazione. Le mosche si avvicinano a una lucertola campestre (Podarcis sicula) morta da poco, poi si accalcano sulla carogna un serpente, quasi ridotta a uno scheletro. Una massa di lunghi vermi simili a lombrichi esce da un cranio umano che sporge dalla terra nuda. 

Citazioni:

”Tienitela stretta la tua vita, ovunque tu sia, su un trono o in una fogna, non rinunciarci mai, la vita è tutto, vivila, rimane sempre la tua vita, tutto il resto non conta."
(Il padre di Catherine)  

Curiosità: 

Per quanto mi sia sforzato, non sono riuscito a trovare nel Web la lista completa dei personaggi del film. Ho riportato attori e attrici, ma a parte pochi casi mancano le informazioni sui personaggi interpretati. Ad esempio non ho la benché minima traccia di chi ha interpretato Fameteri o la sorella di Umukai, Luamari. Non sono riuscito neppure a trovare informazioni sugli attori, ad esempio loro fotografie, in modo tale da risalire ai personaggi. Chi è Alma Vernon? Non si sa. Sembra quasi che sia una donna inesistente!  

Steven Pinker, il moderno Dottor Pangloss, noto per il suo iperottimismo nonché acceso sostenitore di Jair Messias Bolsonaro, a quanto pare ritiene che proprio gli Yanomami siano la causa di tutti i mali del mondo. Il film di Gariazzo deve aver lasciato un segno su di lui! Se avesse visto Cannibal Holocaust al massimo sarebbe stato traumatizzato da Barbareschi!