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giovedì 22 febbraio 2018

IL GROTTESCO DEL MODERNO PANILLIRISMO PELASGICO

Ricordo nitidamente un film ritenuto trash dalla critica, ma a mio avviso bellissimo. L'ho visto tante volte in gioventù che ancora adesso ne ricordo molte battute a memoria. Il suo titolo è A proposito di omicidi... (l'originale è The Cheap Detective), del 1978, con l'intramontabile Peter Falk nel ruolo del detective Lou Peckinpaugh. La trama di questa commedia satirica, piena di trovate esilaranti, la caratterizza come un improbabile ibrido tra Casablanca e Il falcone maltese. A un certo punto il capo dei malfattori, certo Jasper Bombolo, spiega a Lou Peckinpaugh: "Nell'853 si è verificato un avvenimento poco conosciuto nella Storia. Dodici pescatori albanesi conquistarono la Cina, il Tibet e la Mongolia!". "Per la miseria, non me l'hanno detto!", ribatte il detective, con un po' di sano scetticismo. La risposta del malvivente sorprende non poco: "Perché lei non ha studiato la storia in Albania! In seguito i dodici tornarono al loro paese con la più ricca preda di guerra di cui si abbia memoria. Ognuno di loro aveva un diamante di 766 carati, la cui dimensione era pari a quella di un uovo di gallina del New Jersey!".

Che c'entra tutto questo con la lingua etrusca? Beh, è molto semplice. Esiste in Albania un forte movimento politico che cerca con ogni mezzo di affermare l'origine albanese dell'etrusco, diffondendo favole e inconsistenze marchiane. Gli aderenti a questa congrega di entusiasti non esitano a trollare, dando spesso prova di un certo fanatismo nei commenti su social e forum, che talvolta ricorda il tifo degli hooligan. La loro narrazione non è poi molto diversa dalla storiella dei dodici pescatori albanesi conquistatori della Cina, del Tibet e della Mongolia. È un tipico esempio di "scienza balcanica", che pretende di trasformare in realtà a colpi di clava le fantasie dei tirannelli locali. Sembra che questa ennesima teoria pseudoscientifica sulle origini della lingua etrusca si sia sviluppata a partire dall'opera dell'antropologa Nermin Vlora Falaschi (1921-2004). Questa autrice è partita da un ragionamento discutibile e semplicisitico: identificati gli Etruschi con i Pelasgi e considerati i Pelasgi ascendenti degli Illiri, sarebbe provata all'istante l'identità etnica e linguistica tra gli Etruschi e le genti dell'Albania. Nel Web si trovano poi alcune divertenti "perle". Stalin: "Gli albanesi potrebbero avere le stesse ragici degli etruschi". Enver Hoxha: "Gli albanesi hanno origine pelasgica, il popolo più antico dei Balcani".

L'inganno dei traduttori magici

Il problema fondamentale è che i panilliristi pelasgici negano alla radice il metodo scientifico. Prendono forme dell'albanese moderno, le proiettano immutate indietro nei secoli, quindi le usano per "tradurre" i frammenti ottenuti spezzettano le iscrizioni etrusche nel modo che fa loro più comodo. Non tengono nemmeno conto degli elementi onomastici, che è facilissimo riconoscere: li tagliano a pezzetti come vogliono senza tener conto della loro struttura e degli elementi grammaticali. Quando si tratta di analizzare singole parole, utilizzano il criterio dell'assonanza. Molti di loro ignorano persino il fatto che le Tavole Iguvine sono scritte in umbro, una lingua italica imparentata col latino, e tramite i loro strumenti di traduzione magica affermano di poterne comprendere alla perfezione il testo, facendolo "cantare". Le "traduzioni" fabbricate dalla Vlora Falaschi e dai suoi accoliti sono assurde ed espresse in una forma mentis tipicamente moderna, come ci si può attendere. Bastano pochi esempi di questa metodologia per capire quanto sia imbarazzante. Il nome della città di Cortona viene preso tal quale, senza badare al fatto che in etrusco era Curtun, quindi viene metanalizzato come COR TONA e interpretato come "nostro raccolto" (albanese korr "raccolto" e tonë "nostro"). L'iscrizione etrusca θania : anaieireliri - di cui non si menziona l'origine né la classificazione - viene trattata così: la theta iniziale somiglia a uno zero e viene quindi abolita, mentre il resto viene scomposto arbitrariamente in ania â naje irë liri e interpretato come "la nave è per noi coraggio e libertà" (la Falaschi riporta le parole albanesi come ania "nave", â "è", naje "per noi", irë "coraggio", liri "libertà"). Non si pensa nemmeno per un attimo al fatto che il prenome femminile Thania compare in moltissime altre iscrizioni e che il contesto con le navi non c'entra una cippa.

Diamo invece un'occhiata alla realtà. Questo è un confronto tra i numerali etruschi e i numerali albanesi.

Italiano

Etrusco

Albanese

uno

θu

nyë

due

zal

dy

tre

ci

tre (m.), tri (f.)

quattro

śa

katër

cinque

maχ

pesë

sei

huθ

gjashtë

sette

semφ

shtatë

otto

cezp

tetë

nove

nurφ

nëntë

dieci

sar

dhjetë

venti

zaθrum

njëzet



Trascrivo i numerali etruschi in un'ortografia albanese approssimativa: thu, cal, ki, sha, mak (mah), huth, sempf, kecp, nurpf, sar, cathrum. Considerato che i numerali sono tra le parti più stabili di una lingua, non c'è molto in comune. Vediamo che in etrusco i numerali semφ "sette" e nurφ "nove" sono prestiti da una lingua indoeuropea non identificata (anche se permangono oscure le modalità di trasmissione e di formazione), mentre il numerale sar "dieci" potrebbe essere un prestito da una lingua semitica. Il condizionale è d'obbligo. Le forme albanesi sono invece di chiara origine indoeuropea. Appartengono a una lingua di tipo satəm, che assibila le antiche consonanti palatali indoeuropee k', k'w, g', g'h, g'w, g'hw: ad esempio IE *penk'we "cinque" diventa in albanese pesë. Le trasfomazioni occorse nel precursore dell'albanese sono molto complesse e non c'è spazio per discuterle in questa sede.

Forse il mondo accademico levantino non è a conoscenza del fatto che le lingue evolvono nel tempo. Essendo l'albanese una lingua indoeuropea, è possibile indagare a fondo il suo passato. Fornisco un elenco di parole albanesi con le protoforme ricostruite e contrassegnate da un asterisco. Per comodità ho indicato la lunghezza vocalica con i due punti (:) anziché con il macron (il trattino sopra la vocale). Queste dovevano essere proprio le forme che si usavano ai tempi di Giulio Cesare:    

bardhë "bianco" < *bardza
be "giuramento" < *baida
bie
"portare" < *berja 
bimë
"pianta" < *bu:ma:
bisht
"coda" < *bu:šta
derë
"amaro; difficile" < *deuna 
det
"mare" < *deubeta
ditë
 "giorno" < *di:ta:
dhi
"capra femmina" < *aidzija:
edh
"capro" < *aidza
elb
"orzo" < *albi
err
"oscurità" < *ausra
ethe
"febbre" < *aida
grua, grue
 "donna, moglie" < *gra:wa:
gjalpë
"burro" < *selpi-
gjashtë
"sei (6)" < *seksti
gjër
"zuppa" < *jausna
gjithë, gjidhë
 "tutto" < *semdza
gjû
"ginocchio" < *gluna < *gnuna 
hedh
"gettare" < *skeuda
hell
"spiedo" < *sko:la:
hënë, hanë
"luna" < *ksanda:
hime
"crusca" < *skeidma
hirrë
"siero" < *ksira:
jam
"io sono" < *esmi
kem
"incenso" < *kapna
kollë
"tosse" < *ka:sla:
krye
"testa" < *kra:nja: < *kra:snja: 
mbi
"su" < *ambi
mbyll
"chiudere, fissare" < *ambiwe:la
mbys
"affogare, uccidere" < *ambiwi:tja
mish
"carne" < *memsa
mjaltë
"miele" < *melita
mjekër
"barba" < *smekra:
muaj, muej
"mese" < *mo:snja < *mo:nsja
natë
 "notte" < *nakti
pelë
"giumenta" < *po:ula:
ploje
"massacro" < *pla:ga:
quaj, quej
"chiamare, dar nome" < *klo:usnja
rrah
"colpire" < *wragska  
shi
"pioggia" < *su:ja
shteg
"sentiero" < *staiga
tredh
"castrare" < *treuda
thaj
"seccare" < *sausnja
udhë
"via" < *wada
urë
"ponte" < *wara:
ve
"vedova" < *widewa:
verë
"vino" < *waina:  

Numerosi prestiti latini in albanese sono stati trattati come parole native e nel corso dei secoli hanno subìto mutamenti anche profondi: 

ar "oro" < aurum
brekë
 "pantaloni" < bra:cae
dëm, dam "danno" < damnum
emtë "zia" < amita
gaz "gioia" < gaudium 

gjelbër, gjelbën "verde" < galbinus "giallastro"
gjell "gallo" < gallus
kalë "cavallo" < caballus
kërrutë "pecora con le corna" < cornu:ta
mend "mente" < mentem (acc.)
nip "nipote" < nepo:s
prind "padre, genitore" < parentem (acc.)

Tra questi prestiti ci sono anche parole relative alla religione cristiana, segno che la lingua doveva essere affine a quella ricostruita ancora nella tarda antichità: 

blatë "ostia" < obla:ta
dreq "diavolo" < draco: "dragone" 

enjëll
"angelo" < angelus
fe "fede, religione" < fides 
ferr "inferno" < infernum 
kështër, kështën "cristiano" < christia:nus
kishë "chiesa" < eccle:sia

kryq "croce" < crucem (acc.)
mëshirë
"pietà, misericordia" < miseria "infelicità;
     povertà"
prift "prete" < presbyter
upeshk "vescovo" < episcopus

La fonte dei dati da me riportati è il fondamentale A Coincise Historical Grammar of the Albanian Language, di Vladimir Orel, che può essere parzialmente consultato su Google Books. Esiste inoltre un potentissimo strumento di ricerca su Wikipedia, che permette di individuare le protoforme delle parole native. 


Si ha il sospetto che tutto ciò sia tabù per i panilliristi pelasgici, o quantomeno che lo considerino incomprensibile. Per ricercare possibili radici albanesi comuni all'etrusco o a qualsiasi altra lingua antica, è necessario operare il confronto con le forme ricostruite di cui sopra, non con le forme moderne, diamine! 

Un possibile sostrato tirrenico in albanese

Fermo restando che l'etrusco e l'albanese non sono geneticamente imparentati, qualche nesso interessante si riesce a trovare in ogni caso. Infatti l'antenato dell'albanese aveva, come tutte le lingue indoeuropee, un certo numero di elementi di sostrato, provenienti da una lingua parlata in precedenza. Analizziamone alcuni: 

gur "pietra" < *guri
karmë "banco roccioso" < *karpna:
karpë "altura rocciosa" < *karpa:
karsh "area rocciosa" < *karusa
magulë "mucchio" < *magula:
mal "montagna" < *mala

L'etimologia proposta dagli indoeuropeisti per queste voci è forzata, presenta difficoltà semantiche e ha tutta l'ara di essere fallace. Le voci karmë, karpë e karsh derivano chiaramente dall'elemento di sostrato preindoeuropeo *kar- "roccia": non si sente la necessità di una derivazione da IE *kerp- "tagliare". La formazione *karp-na: da *karpa: mostra poi un suffisso in nasale che ricorda numerose formazioni in etrusco. Vediamo che gur è stato ricondotto a IE *gwor- "altura", purtuttavia è la parola di base per indicare la pietra ed è più probabile che la sua origine non sia indoeuropea. La voce mal esiste anche in rumeno, dove significa "costa, riva". Così pure magulë ha riscontro nel rumeno măgură "collina". La lingua dacica doveva avere affinità notevoli con la lingua proto-albanese, al punto che forse ne era soltanto una varietà. Avremo ancora occasione di occuparci di questi vocaboli, che sono relitti di mondi perduti.

Richiamo l'attenzione sull'interessante parola mushk, mushkë "mulo", che si ritrova anche nelle lingue slave (antico russo mŭskŭ "mulo"). Il latino mu:lus viene da *mukslos per *musklos, ed è conosciuta una forma diminutiva muscella "asinello". Il greco antico μυχλός "asino da monta" è da un precedente *mukslo-. Persino in veneto abbiamo musso "asino", che deriva dalla stessa radice. Orbene, in etrusco esiste un gentilizio Musclena, che permette di ricostruire *muscle come nome etrusco del mulo. Evidentemente il termine, di origine tirrenica, si è irradiato nell'area balcanica e oltre.

Alcune parole albanesi, senza dubbio indoeuropee, risalgono a strati linguistici molto antichi. Così abbiamo yll "stella", la cui forma ricostruita è *usli-. Questa ha la stessa origine dell'etrusco usil "sole", senza dubbio un prestito da una lingua indoeuropea sconosciuta. Festo fornisce l'etimologia del nome della gens Aurelia, affermando che era chiamata così dal sole (a sole dicta). Si tratta di una variante apofonica della voce precedente, *ausel-, che in seguuito ha subìto regolarmente rotacismo. Sono convinto che se si porteranno avanti studi seri e rigorosi, si potranno raggiungere risultati notevoli e molto interessanti.

mercoledì 15 marzo 2017

 

IL SEGRETO DEGLI INCAS 

Titolo originale: Secret of the Incas
Lingua originale: Inglese, Quechua (Qusqu
     Runasimi), spagnolo, rumeno
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1954
Durata: 100 min
Colore: Colore
Audio: Sonoro
Genere: Avventura
Regia: Jerry Hopper
Soggetto: Sydney Boehm,
  Ranald MacDougall,
  Boehm Maximum
Sceneggiatura: Sydney Boehm,
  Ranald MacDougall,
  Boehm Maximum
Produttore: Mel Epstein,
  Hal B. Wallis
Casa di produzione: Paramount Pictures
Fotografia: Lionel Lindon,
  Irma Roberts
Montaggio: Eda Warren
Musica: David Buttolph
Interpreti e personaggi:
    Charlton Heston: Harry Steele
    Robert Young: Stanley Moorhead
    Nicole Maurey: Elena Antonescu
    Thomas Mitchell: Edward "Ed" Morgan
    William Henry: Dott. Lang
    Glenda Farrell: Mrs. Winston
    Michael Pate: Pachacutec
    Yma Sumac: Kori-Tika
    Leon Askin: Anton Marcu
    Grandon Rhodes: Mr. Winston
    John Marshall: Charlie
    Booth Colman: Direttore del Museo
    Kurt Katch: Sicario
Doppiatori italiani:
    Emilio Cigoli: Harry Steele
    Augusto Marcacci: Stanley Moorhead
    Rosetta Calavetta: Elena Antonescu
    Mario Besesti: Edward "Ed" Morgan
    Pino Locchi: Dott. Lang
    Franca Dominici: Mrs. Winston
    Cesare Polacco: Pachacutec
    Andreina Pagnani: Kori-Tika
    Carlo Romano: Anton Marcu; Sicario
    Lauro Gazzolo: Mr. Winston
    Stefano Sibaldi: Charlie
    Gianfranco Bellini: Direttore del Museo

Trama:

Il polveroso avventuriero Harry Steele, romantico sotto la dura scorza e con uno strano concetto di igiene, vive in Perù e ha dimestichezza con i nativi, tanto che ha appreso alla perfezione la lingua Quechua. Per guadagnarsi da vivere fa la guida turistica a Cuzco, ma in lui rifulgono ben altre aspirazioni. Ha adottato come perno della propria esistenza una singolare teoria partorita dalla sua immaginazione e da abbondanti bevute di ayahuasca. La civiltà degli Inca a parer suo non sarebbe andata in rovina a causa della brutalità dei Conquistadores, delle terribili malattie da essi introdotte e dall'incapacità di reggere l'impatto con il nuovo mondo portato dagli stranieri: sarebbe invece scomparsa per via della volontà degli Dei capricciosi, adirati in seguito al furto sacrilego del tesoro del Tempio del Sole. Anziché proteggere il popolo loro devoto, questi esseri sovrumani lo avrebbero punito per la colpa commessa da uno spagnolo, alla faccia di ogni parvenza di senso della giustizia e di amore per i propri figli. Acquisite queste fondamentali conoscenze tra una crisi di vomito da ayahuasca e l'altra, Steele è più che convinto di poter operare la resurrezione dell'Impero dell'Inca, il Tawantinsuyu, trovando il fantomatico tesoro sottratto e riportandolo nel Tempio. Magari pensa anche di ricevere come ricompensa i favori di qualche dea. Come sempre accade nella filmografia americana, c'è il cattivo, certo Edward Morgan, soprannominato con molta fantasia Ed. Ovviamente si tratta di un cattivo sommamente banale, che non può stare nemmeno al livello di Macchia Nera o di Gambadilegno: è piuttosto un vecchio ubriacone avido e taccagno. Non poteva poi mancare la maliarda fatale, l'esule rumena Elena Antonescu, elegantissima e rossochiomata. Fuggita dal suo paese per la sua inclinazione al furto e alla truffa, più che per motivi politici, si è rifugiata in Sudamerica, braccata dal console Anton Marcu, parente del più famoso Silupescu: in parole povere è un energumeno che si distingue da Polifemo per il solo fatto di aver due occhi. Costretta a fuggire dalla Bolivia, la Antonescu è finita proprio a Cuzco, ma gli emissari del Partito non demordono e cercano di acciuffarla per ricondurla nel Paradiso dei Proletari. Inutile dire che la leggiadra fanciulla incontra proprio Steele e gli chiede aiuto. Dopo una fuga rocambolesca, prima in aeroplano e poi a piedi per i dirupi, i due si ritrovano tra le rovine di Machu Picchu nel bel mezzo di un raduno dei discendenti degli Incas e di una spedizione archeologica il cui fine è la ricerca della tomba del Primo Inca, Manco Capac. Qui ogni tassello del mosaico ritorna al suo posto. Prima viene esumata la mummia di una principessa, la Mamakuna, subito esposta all'adorazione dei nativi. Poi Steel scopre il Tesoro, un disco d'oro tempestato di diamanti (che gli Inca non conoscevano e non avrebbero saputo lavorare) proprio in un anfratto della tomba dell'Inca, mettendo così in crisi l'idea del furto. Non si capisce infati perché mai il prezioso manufatto sia stato sottratto a un tempio per essere sepolto proprio in una parete del sepolcro di Manco Capac, Figlio del Sole e sacro a sua vola. Alla fine i protagonisti raggiungono l'Apoteosi e tutti vissero felici e contenti: il malvagio tirchio alcolizzato Ed precipita in un baratro, l'attempato archeologo Moorhead riceve picche dalla Antonescu, che si riconcilia con Steele dopo tutta una serie di litigi. Il disco d'oro con i suoi improbabili diamanti ritorna al Tempio del Sole e gli epigoni degli Incas iniziano la resurrezione dell'Impero.

Curiosità:

Il film non ha utilizzato scenari di cartapesta. È stato girato in Perù, proprio nei luoghi reali in cui si svolge l'azione: Cuzco e Machu Picchu. Per la prima volta il cinema americano si è interessato a questi siti incaici e soprattutto alla popolazione indigena che tuttora parla la lingua Quechua. Furono infatti impiegati più di cinquecento nativi come comparse.

In svariate occasioni George Lucas ha molto insistito sul fatto che Il segreto degli Incas gli ha ispirato I predatori dell'arca perduta (1981). La figura di Steele ricorda infatti quella di Indiana Jones: un uomo selvatico e coperto di polvere, sotto il cui involucro abita un'immensa conoscenza e splendono grandi ideali. 

Recensione:

Pur essendo la trama abbastanza banale e a tratti degna di essere messa in satira, questa pellicola ha comunque qualche merito, perché ha promosso l'uso della lingua Quechua nel cinema, contribuendo ad innalzarne il prestigio in un contesto particolarmente difficile. Il fatto è passato inosservato al pubblico italiano e nessuno sembra aver fatto caso alle conversazioni in purissimo Runasimi di Cuzco (Qusqu). Già solo per questo motivo sarebbe auspicabile che l'opera di Jerry Hopper godesse di una maggior fama.


Splendori della tradizione incaica

Quando la fulva protagonista si fa il bagno in una vasca rudimentale scavata nella roccia, una donna autoctona la guarda con intenso disgusto. Questo non perché sia turbata dalla nudità della profuga, nonostante le genti incaiche siano abbastanza puritane, ma per l'incapacità di reggere senza disgusto la vista di un corpo dalla pelle tanto lattea. Così essa, in preda allo sdegno, esclama "aya khanka!" /'aya 'khanka/, parole che vengono tradotte da Steele come "pallida come un pesce morto". In realtà il pesce menzionato da Steele non c'entra granché: aya khanka significa "cadavere sudicio" e fa riferimento al terrore superstizioso per i morti e per il loro colorito alterato. Infatti aya si traduce con "morto, cadavere", ma anche "spettro". La stessa radice aya si trova anche nel vocabolo ayawaska (in genere scritto ayahuasca), che indica un beverone allucinogeno dal sapore ripugnante in grado di fungere da violento purgante, inducendo vomito e diarrea: alla lettera è la "liana dei morti" o "corda dei morti" (waska indica la corda). La pronuncia corretta è /aya'waska/ e non /*aya'waʃa/ come a volte si sente. La principessa Kori-Tika è interpretata dalla splendida Yma Sumac, il cui nome in Quechua significa "che bella!", essendo formato dal pronome ima /'ima/ "che cosa; quanto" e dall'aggettivo sumaq /'sumaχ/ "bello". Kori-Tika significa invece "Fiore d'Oro", da qori /'qɔri/ "oro" e da t'ika /'tʔika/ "fiore". Pachacutec è una trascrizione di Pachakutiq, che significa "Trasformatore del Mondo": deriva da pacha /'patʃa/ "terra; mondo" e dal verbo kutiy /ku'tij/ "cambiare". Pachakutiq Yupanki è il nome del nono Inca, a cui è attribuita la costruzione della maggior parte dell'Impero Incaico. Regnò tra il 1438 e il 1471. Quando ho sentito la fulva Elena Antonescu apostrofare l'archeologo e accusarlo di essere "ignorante" perché ha confuso sarcasticamente George Washington con Abraham Lincoln, mi è andato in ebollizione il sangue nelle vene. Come si fa a definire "ignorante" un conoscitore di una lingua amerindiana tanto complessa e ricca? Una rifugiata che si atteggia a insopportabile maestrina, che già ha l'arroganza di una nobildonna senza averne alcuna virtù! I danni provocati dal sistema scolastico sono più devastanti di quelli della Terza Pandemia di peste! 

Il mito di Machu Picchu

Il film riflette le idee un tempo popolari su Machu Picchu, che era ritenuta la Città Santa degli Incas. Alla sua scoperta nel 1911 il sito fu confuso con Vilcabamba (Willkapampa), l'ultimo centro del potere dell'Inca dopo l'espugnazione di Cuzco ad opera di Francisco Pizarro nel 1533: era una enclave fondata da Manco Capac II (Manqu Inka Yupanki), che durò fino al 1572. In realtà oggi sappiamo che la fondazione di Machu Picchu risale al XV secolo e fu probabilmente opera dell'Inca Pachacutec, che intendeva imporre una residenza estiva forzata ai nobili dell'Impero, in pratica per tenerli in ostaggio e impedire rivolte. Era un luogo ben diverso da Vilcabamba e che non vi si potrà mai trovare la tomba del Primo Inca Manco Capac (Manqu Qhapaq). A scanso di equivoci, non è nemmeno possibile che  nel film si parli della tomba di Manco Capac II, primo sovrano dello Stato Neoincaico di Vilcabamba, dato che i suoi resti mummificati furono distrutti dagli Spagnoli. Il film di Hopper si mostra estremamente grossolano e non aderente alla realtà storica. Notevole la presenza di un soffietto tra gli oggetti recuperati in un sito archeologico incaico. La scarsa cura per questi dettagli anacronistici e incoerenti è la norma e ci sarebbe piuttosto da stupirsi del contrario. Allo stesso modo, il disco del Sole è incastonato di diamanti perché l'ideatore della trama ha pensato di proiettare caratteristiche del mondo moderno nella civiltà del Tawantinsuyu. Questo ci dice Garcilaso de la Vega nei suoi Commentari reali degli Incas (Libro III, cap. XXII): 

"Lungo gli spigoli delle modanature stavano molte pietre preziose incastonate, come smeraldi e turchesi, perché in quella terra non s'avevano né diamanti né rubini. In codesti tabernacoli s'assideva l'Inca in occasione delle feste del Sole, ora in quelli di una parete, ora in quelli dell'altra, a seconda della festa." 

E ancora (Libro I, cap. IX), quando si parla dell'idolatria degli Indiani preincaici: 

"Adoravano la pietra smeralda, soprattutto in una provincia che oggi chiamano Puerto Viejo; non adoravano diamanti né rubini perché in quella terra non se ne trovavano."

Il termine Quechua per indicare il diamante, q'ispirumi, è un neologismo che significa "pietra di vetro", da q'ispi (variante qhispi"vetro; cristallo" (dall'omonimo aggettivo che significa "trasparente") e da rumi "pietra". In realtà il Disco d'Oro esisteva e si trovava nel Tempio del Sole di Cuzco, che era chiamato Coricancha (Qorikancha "Corte dell'Oro"). Era incrostato di turchesi e di altre pietre preziose, di certo non di diamanti - e non fu mai a Machu Picchu. Fu proprio questo manufatto, che era un simbolo della Dinastia dell'Inca, a cadere nelle mani del Viceré Francisco de Toledo quando nel 1572 fu catturato Tupac Amaru I, l'ultimo sovrano di Vilcabamba.

Stratificazioni etniche

Il Perù è rappresentato da Hopper in modo verosimile, come una realtà composita e variegata, in cui convivono popolazioni tra loro diversissime. Questo si nota anche nell'uso della lingua spagnola da parte della classe dominante, che si contrappone all'uso generale del Runasimi tra gli Indiani. Quello che in Europa sanno davvero in pochi è che in America latina esiste un fortissimo pregiudizio nei confronti delle lingue native. Se un turista cercasse di parlare in Quechua a un peruviano ispanofono, il suo tentativo potrebbe anche essere considerato un insulto. Il termine runa, che in Quechua significa "uomo, essere umano", è stato adottato dallo spagnolo locale col significato di "campesino" e addirittura di "uomo rozzo, ignorante", in frasi come "es un verdadero runa". Anche se il Quechua è lingua ufficiale del Perù assieme allo spagnolo, il suo futuro è abbastanza incerto. Il sistema scolastico, causa e radice di tutti i mali di ogni società, opera infatti attivamene per eradicare l'idioma, anche perseguitando gli alunni che osano pronunciarne in pubblico qualche parola.


Il mistero di Yma Sumac

La cantante peruviana conosciuta come Yma Sumac ha dietro di sé un passato a dir poco misterioso. Il suo vero nome è Zoila Augusta Emperatriz Chávarri del Castillo e nacque nel lontano 1922 a Ichocán, nella regione di Cajamarca che diede i natali anche a Carlos Castaneda. Il suo nome d'arte è spesso scritto con ortografia incostante, come Ymma Sumak o Imma Sumack. In genere è tradotto come "la più bella", anche se non mi risulta che in Quechua i superlativi si formino in questo modo (vedi l'etimologia più sopra). Sulla sua biografia permangono ombre e circolano diverse versioni contraddittorie, il cui studio riguarda la scienza della memetica. Alcuni ritengono che sia nata in uno squallido sobborgo di Lima, pur essendo cresciuta a Ichocán, dove i suoi avevano una fattoria. Per accrescere e propagare intorno a lei un alone leggendario, qualcuno ha provveduto a diffondere la voce che attribuiva la sua origine addirittura all'Inca Atahuallpa, di cui sarebbe stata l'ultima discendente diretta. Sarebbe meraviglioso se fosse così, purtroppo non si hanno prove scientifiche che possano dimostrare la fondatezza di una simile voce. Altri fabbricatori di pacchetti memetici hanno anagrammato il nome d'arte Yma Sumac, leggendolo al contrario e ottenendone Amy Camus. Per questo motivo si è diffuso il mito di sue origini canadesi del Québec o addirittura statunitensi di New York. La sua voce era portentosa e copriva l'estensione di cinque ottave (secondo alcuni soltanto di quattro, ma è già una cosa incredibile). Sua fu la nota più acuta mai registrata in una voce femminile. Nel film di Hopper la si sente mentre intona una strana e bellissima opera lirica di stile incaico, anche se non immune da infussi musicali più moderni. In diverse sequenze vediamo i nativi che la fissano come ipnotizzati, rapiti nell'Iperuranio. La Sumac ha avuto una vita abbastanza irrequieta, ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo e il suo matrimonio col compositore e direttore d'orchestra Moisés Vivanco è stato poco felice. Incurante delle voci confuse e divergenti sui suoi natali, la cantante si è spenta nel 2008 a Los Angeles.  


Il declino della reputazione della Romania 

All'epoca in cui il film fu girato, negli anni '50 dello scorso secolo, la popolazione della Romania doveva godere di una fama non troppo cattiva negli States e più in generale nell'Occidente: la donna rumena era ritenuta piena di fascino e di mistero, al punto da poter essere la protagonista di un film di avventura. Qualche decennio più tardi, nel film Alibi seducente (Her Alibi, 1989) con Tom Selleck, si mostrano già stereotipi non proprio positivi sulle donne della Romania, sospettate addirittura di essere assassine e avvelenatrici solo per esser nate e cresciute nel paese sbagliato: è sufficiente che il protagonista oda la moglie pronunciare la parola înmormântare "funerale" (da *in-monumentare) per scatenare il panico e far sottoporre a lavanda gastrica gli invitati a un banchetto. Oggi l'italiano medio che guardasse Il Segreto degli Incas rimarrebbe basito nel vedere un tipo di donna molto distante dalla realtà a cui è abituato: Elena Antonescu è chiaramente un'americana WASP in ogni fibra del suo essere. Ancor più si stupirebbe il regista se potesse vedere qual è la reputazione della Romania nell'Italia degli inizi del XXI secolo. Additata come terra di ladri, di assassini e di prostitute, è maledetta migliaia di volte ogni giorno da innumerevoli persone, complice anche la confusione tra i Rumeni e i Rom, che è diffusissima. Perderei tempo e fiato a spiegare che i primi, discendenti di Daci e di Romani, nulla hanno a che fare coi secondi, che sono giunti in Europa dalla remota India. Data l'avversione assoluta e viscerale che le popolazioni della Penisola nutrono verso le genti zigane, la confusione con il popolo rumeno ha lo scopo precipuo di disumanizzarlo. Queste stranezze non dipendono nemmeno dalla politica, sia essa di destra o di sinistra. Coloro che si definiscono di destra o neofascisti dimenticano la stessa esistenza di Corneliu Codreanu e considerano personalità come Emil Cioran e Mircea Eliade alla stregua di extraterrestri di Altair o di Vega. Coloro che si definiscono di sinistra e si danno nome di antirazzisti, a conti fatti si limitano a nascondere la loro avversione per motivi di ipocrisia politica, poi in privato odiano mortalmente sia i Rumeni che i Rom - puntualmente ritenuti lo stesso popolo. Questi sono meccanismi che meritano studi antropologici approfonditi.

Reazioni nel Web 

Forse ho cercato in modo poco approfondito, ma su questo film non ho trovato online recensioni o pensieri meritevoli di qualche interesse. 

Così su Filmscoop.it:

Siamo agli sgoccioli della carriera cinematografica di Hopper, il quale troverà nel piccolo schermo la sua dimensione intrattenitiva, Heston nei panni di un Indiana Jones ante litteram, impressionante quanto in look e in stilemi i 2 personaggi siano collimanti, presente anche Thomas Mitchell nel ruolo di una carriera a rappresentare il villan attraverso forme bonarie. (NotoriousNiki)

Simili concetti sono espressi anche su Davinotti.com:

lunedì 19 settembre 2016


NOSFERATU IL VAMPIRO

Titolo originale: Nosferatu, eine Symphonie des
     Grauens
Traduzione del titolo originale: Nosferatu, una
     sinfonia dell'Orrore
Paese di produzione:
Germania
Anno: 1922
Durata: 84 min
Colore: B/N; colorizzato
Audio: muto
Genere: orrore; propaganda antisemita
Regia: Friedrich Wilhelm Murnau
Soggetto: Bram Stoker (romanzo), adattamento di
    Henrik Galeen
Sceneggiatura: Henrik Galeen
Produttore: Prana-Film G.m.b.H.
Fotografia: Günther Krampf, Fritz Arno Wagner
Musiche: Hans Erdmann
Scenografia: Albin Grau
Costumi: Albin Grau

Interpreti e personaggi:
    Gustav von Wangenheim: Hutter
    Max Schreck: Conte Orlok
    Greta Schröder: Ellen Hutter
    Alexander Granach: Knock
    Georg H. Schnell: Harding
    Ruth Landshoff: Annie
    John Gottowt: professor Bulwer
    Gustav Botz: dottor Sievers
    Max Nemetz: capitano del Demeter
    Wolfgang Heinz: primo marinaio
    Albert Venohr: secondo marinaio
    Guido Herzfeld: oste
    Hardy von Francois: medico dell'ospedale
    Heinrich Witte
Location:
    Mar Baltico
    Helgoland (Germania)
    Lauenburg (Germania)
    Lubecca (Germania)
    Pomerania (Germania)
    Rostock (Germania)
    Wismar (Germania)
    Dolný Kubín (Slovacchia)
    Monti Tatra (Slovacchia)
    Castello di Orava (Slovacchia)
    Oravský Podzámok (Slovacchia)
    Váh (Slovacchia)
Versione sonorizzata: Waldemar Roger (1930),
     Die zwölfte Stunde
, aka Eine Nacht des Grauens
Restauri:
    Image Entertainment con 2 rimasterizzazioni
         pubblicate nel 1998 e nel 2001;
    Eureka Entertainment con 2 rimasterizzazioni
         pubblicate nel 2001 e nel 2007;
    Kino International con 2 rimasterizzazioni
         pubblicate nel 2002 e nel 2007.

Trama:

Hutter è un giovane agente immobiliare che vive nella città fittizia di Wisborg. Il suo datore di lavoro lo invia in Transilvania da un nuovo cliente, il Conte Orlok. Hutter non dà peso ai funesti presentimenti della moglie, Ellen, che affida alle cure dell'amico Harding prima di partire per il rischioso viaggio. Raggiunto un villaggio dei Carpazi, si ferma in una taverna. Le genti del luogo sono terrorizzate alla sola menzione del nome del Conte e gli sconsigliano di proseguire per il suo castello, considerato un luogo maledetto. Incurante di quelle che considera superstizioni, Hutter raggiunge la sua destinazione e viene accolto dal Conte, che presto rivela la sua natura demoniaca. L'agente immobiliare si risveglia con segni di morsi sul collo e presto sospetta che il suo ospite sia proprio Nosferatu, l'Uccello della Morte di cui era scritto in un libro da lui trovato alla locanda. Durante un giro di esplorazione raggiunge una cripta e scopre il Conte che dorme nella sua bara. In preda all'orrore, dalla finestra della sua stanza assiste alla partenza di un carico di bare piene di terriccio contaminato, che teme possano essere dirette proprio a Wisborg. Il sinistro nobiluomo parte assieme al macabro carico. A questo punto Hutter fugge dal maniero e si mette subito in viaggio per rientrare nella sua città. Ritrova sua moglie, che per tutto il tempo era stata in preda alla febbre e sconvolta da oscuri presagi. Ben presto Hutter si accorge che la propria salute è stata minata dai mefitici influssi del Vampiro. Nel frattempo le bare del Conte vengono trasportate su una zattera lungo il fiume e caricate su una nave. Durante la traversata si scatena un'epidemia a bordo e i marinai muoiono uno dopo l'altro. Le casse di rivelano piene zeppe di ratti. Il capitano è l'ultima vittima. Quando la nave arriva a Wisborg sembra essere abbandonata. Il Conte Orlok passa inosservato e si trasferisce nella casa che ha acquistato. La nave viene ispezionata dalle autorità portuali e i medici capiscono che l'equipaggio è stato ucciso dalla peste. Si scatena il panico e cominciano a registrarsi in città numerosi decessi causati dal morbo. La nuova dimora del Non Morto è situata proprio di fronte a quella di Hutter. La creatura delle Tenebre osserva dalla finestra Ellen, pensando di farne la sua prossima vittima. La donna non si perde d'animo: saputo che il solo modo per sconfiggere un vampiro è di trattenerlo fino ad esporlo alla luce del sole, decide di sacrificarsi per il bene comune. Si offre così a Nosferatu permettendogli di soddisfare la bramosia di sangue. Riesce nel suo intento. Come i raggi del sole che sorge sorprendono il Conte intento a nutrirsi, per lui è la fine. Assieme all'emissario del Male scompaiono sia la pestilenza che la maledizione di Hutter.   

Recensione:  

Pilastro portante del genere horror e massima manifestazione dell'espressionismo nel cinema, il Nosferatu di Murnau è stato definito da Mymovies.it "il solo film vampirico ammesso nelle discussioni colte dei critici". La complessità di questa pellicola è tale che difficilmente può essere esaurita in un singolo intervento. Cercherò in ogni modo di iniziare un'analisi, seppur abbozzata.  


Oppressione e censura!

Pochi film hanno patito come questo persecuzioni ad opera dei tribunali e del potere di Mammona. Non avendo pagato i diritti d'autore per l'adattamento del romanzo Dracula di Bram Stoker, Murnau ha pensato di mettersi al riparo da azioni legali con un semplice stratagemma, cambiando tutti i nomi dei personaggi, l'ambientazione e introducendo alcune significative modifiche alla trama. Tutto ciò non è stato sufficiente ad evitare che la moglie del defunto autore irlandese, Florence Balcombe, lo denunciasse per plagio. Nel 1925 Murnau perse la causa e il tribunale ordinò che tutte le copie del Nosferatu venissero distrutte. Il regista riuscì a salvare miracolosamente i negativi, così nel 1929 il film ricomparve negli Stati Uniti, dove nel frattempo i diritti d'autore dell'opera di Stoker si erano estinti. Se l'iniqua tirannia dei diritti d'autore fosse riuscita a prevalere, noi non conosceremmo questo capolavoro, sarebbe stato perduto per l'eternità. 


Il contesto storico

Il film riflette la durissima realtà della Germania di Weimar con le sue spaventose tensioni e le sue contraddizioni insanabili. Senza dubbio si tratta di un adattamento del romanzo di Bram Stoker, ma di certo non è soltanto questo. La sconfitta della Germania nella Grande Guerra ha provocato nella popolazione una crisi ontologica insanabile e senza precedenti, ponendo fine al mito dell'Invincibilità. I Tedeschi non poterono trovare modo di spiegare la disfatta, così nacque la Dolchstoßlegende, ossia la "Leggenda della pugnalata alle spalle". La ricerca del colpevole non si materializzò soltanto nella ricerca di un concreto capro espiatorio: produsse la pervasiva e ineliminabile consapevolezza di una presenza mostruosa, aliena alla natura della Nazione, che aveva reso possibile la sua nemesi. Ebbene, questa presenza sinistra si incarna proprio nel mito del Vampiro. Non sarebbe possibile spiegare il Nosferatu di Murnau scorporandolo dal contesto che l'ha visto nascere. Tutto questo fa del film un documento storico preziosissimo. 

 

Nosferatu e il Nazionalsocialismo

Esiste una rigogliosa tradizione esegetica che interpreta il capolavoro di Murnau come un'opera profetica che utilizzò il Vampiro e la Peste per preconizzare l'ascesa del Nazismo e la sua diffusione in Europa. Ricordo addirittura una recensione, comparsa una trentina di anni fa su un quotidiano d'ispirazione cattolica, che parlava senza mezzi termini del "dilagare dei pestilenziali ratti di fogna nazisti". A parte il fatto che definire un gruppo di persone "pestilenziali ratti di fogna" è un tipico strumento retorico del Nazionalsociasmo, cosa che rende il giudizio a dir poco paradossale. Il punto è questo: coloro che identificano il Conte Orlok con Adolf Hitler sono in errore. Il regista ha plasmato il mostro con un intento completamente diverso: quello di rappresentare la figura dell'Ebreo tratta dalla più feroce propaganda antisemita. L'Ebreo nelle sue caratteristiche di propalatore dell'Internazionalismo Socialista e al contempo di rappresentante del capitalismo usuraio. In altre parole, Nosferatu rappresenta un Geltjude, ossia un "ebreo del denaro", che inganna le genti con la Socialdemocrazia per portare alla dissoluzione tutti gli stati non semiti. Vediamo che in Germania l'Internazionalismo era avvertito come un pericolo gravissimo alla sopravvivenza dei concetti stessi di Nazione e di Popolo (Volk) e paragonato in modo ricorrente alla peggiore di tutte le piaghe: la peste. Il trionfo del Marxismo, si legge nel Mein Kampf, equivarrebbe per l'umanità a cingersi il capo con la corona funebre. Non a caso il Conte Orlok, il Non Spirato (questo significa in rumeno Nosferatu), ha tutti i tratti fisici caricaturali e grotteschi che la propaganda antisemita attribuiva all'Ebreo, ad esempio il caratteristico naso aquilino. Il suo nutrirsi di sangue sottratto ai viventi è senza dubbio una metafora dell'attività usuraia. La corruzione del sangue di coloro che sono parassitati da questa spaventosa creatura rappresenta l'avvelenamento del Volk. La somiglianza con la propaganda convulsa di Julius Streicher è stridente. Non è vero, nel modo più assoluto, che i Nazisti hanno cercato di piegare alle esigenze della loro propaganda le tematiche del film di Murnau: è invece vero e di per sé evidente che tale film ha preso la metafora della peste da quella stessa fonte che ha alimentato la propaganda del Nazionalsocialismo nella sua forma più virulenta e violenta. Non è stato necessario piegare nulla: la metafora era già diffusa e utilizzabile così com'era

A quanto ho potuto appurare, gli errori marchiani di questo filone maggioritario della critica corrente sono riconducibili all'opera del saggista Siegfried Kracauer, che fuggì dalla Germania all'ascesa della NSDAP. Un dettaglio che mi pare altamente significativo. Egli ha semplicemente diffuso la sua esegesi per rendere torbide le acque. Per dare un'idea di questi argomenti, riporto un estratto di un articolo di Fred Thom in cui si parla dell'identificazione del Conte Orlok con Adolf Hitler (la traduzione è mia):

"Mentre la tesi del Nazismo necessita un'elaborata spiegazione politico-storica che gli interessati possono studiare nel libro di Kracauer, è chiaro che il vampiro simboleggia Hitler. Nosferatu lascia il suo paese per espandere il suo potere all'estero. Il suo morso rende pupazzi delle sue vittime, servitori corpo e anima del potente padrone, fanatici ciechi che rappresentano il popolo tedesco, mentre Knock, il suo servo all'estero, è forse confrontabile a un collaborazionista. I ratti che il Conte porta con sé nella sua imbarcazione per propagare nel paese straniero, portando con sé la peste, simboleggiano l'ideologia nazista che si diffonde attraverso l'Europa. Inoltre, questo è confermato sapendo che il Nazismo fu esso stesso ritenuto come la peste nera ai suoi tempi. A causa di ciò, Nosferatu è senza dubbio un film visionario, la telecamera di Murnau è una sorta di sfera di cristallo che proietta al mondo l'avvertimento del regista riguardo a un futuro cupo."  

Coloro che vedono Hitler nel Vampiro commettono una fallacia evidente e questo per un motivo molto semplice: guardano il film con gli occhi dei moderni e lo interpretano usando i criteri del mondo contemporaneo. Si rifiutano di guardare un prodotto tedesco dell'epoca di Weimar con gli occhi di un tedesco dell'epoca di Weimar. Utilizzano le attuali categorie proiettandole indietro nel tempo in un contesto in cui sarebbero state considerate incomprensibili. Attualmente le masse sono ipersensibili a qualsiasi tematica relativa al razzismo e all'antisemitismo. Gli errori di Kracauer attecchiscono facilmente perché un moderno tenderà facilmente a identificare un mostro con Hitler. Viene trascurato il fatto che all'epoca in cui il Nosferatu di Murnau fu prodotto, l'antisemitismo razziale era dilagante. La sua diffusione era capillare e non soltanto in Germania. Non capire questo e non tenerne conto è pura e semplice follia. In altre parole, una critica come quella di Kracauer e del suo emulo Fred Thom è puro e semplice revisionismo


Antisemitismo novecentesco e
antisemitismo moderno

Non ha senso neppure il meme che vorrebbe Murnau "traumatizzato e terrorizzato dall'antisemitismo", cosa incredibile che ho avuto occasione di scoprire nel Web. Chi prova orrore e sgomento per qualcosa non fa il fulcro di una sua opera. E perché mai Murnau avrebbe dovuto provare orrore e sgomento per qualcosa che era sentire comune? Il fatto che il mondo moderno non abbia riconosciuto la natura del Vampiro e della Peste, indica evidentemente che questi memi antisemiti sono de facto quasi estinti, con buona pace dei buonisti che in preda alla droga continuano a parlare come se sui palazzi di Berlino garrisse tuttora lo Hakenkreuz, come se il Führer ormai ultracentenario tenesse ancora i suoi discorsi a Norimberga. Se così non fosse, ci sarebbe un immediato riconoscimento di questo linguaggio e dei suoi simboli da parte delle masse, il che a quanto pare non avviene. All'ipersensibilità verso il concetto di antisemitismo non corrisponde la capacità di riconoscerne le manifestazioni. Nell'epoca moderna esiste un antisemitismo diffuso e popolare, ma si esprime in modo diverso: non ha base razziale e non segue affatto la natura memetica dell'antisemitismo del secolo XIX e della prima metà del XX. Questo antisemitismo moderno è essenzialmente di sinistra e coincide con l'antisionismo, propagato dagli insegnanti buonisti nella fucina di demenza che è la scuola, quegli stessi insegnanti che hanno trasformato il Nazionalsocialismo in una realtà metastorica. Eppure il Nazionalsocialismo è defunto quando Hitler si è fulminato ingurgitando il cianuro e sparandosi nel cervello, quando Goebbles ha avvelenato i suoi sei figli uccidendosi a sua volta assieme alla moglie. Ma si sa, con il pianeta che sta sprofondando nel baratro a causa della dissennatezza degli umani, c'è sempre qualcuno pronto a giurare che il vero problema sono i fantasmi del '45.


Nosferatu e la globalizzazione

Come ulteriore obiezione a Fred Thom posso riportare due significative citazioni tratte dal Mein Kampf, che riproduco in questa sede per necessità di conoscenza:

"L’Ebreo è e rimane un parassita, uno scroccone, che come un bacillo pernicioso si espande su larghe aree quando qualche area favorevole lo attrae. L’effetto prodotto dalla sua presenza è come quello di un vampiro: ovunque si stabilisca, il popolo che gli garantisce ospitalità è presto o tardi costretto alla morte." 
Adolf Hitler

"L’Ebreo è la larva di un corpo in corruzione, una pestilenza, peggio della peste nera del passato ed è un portatore di bacilli della peggior specie, l’eterno fungo divisore dell’umanità, il calabrone scansafatiche che s’introduce presso gli altri, il ragno che succhia lentamente il sangue delle nazioni, una banda di topi che si battono a sangue, il parassita nel corpo di altri popoli, il parassita tipico, uno scroccone, che va a moltiplicarsi come un microbo dannoso, l’eterna sanguisuga, il parassita delle nazioni, il vampiro dei popoli."
Adolf Hitler

E non è questo un riassunto sintetico della vicenda mostrata da Murnau nel suo Nosferatu? Non basta. Questo è quanto afferma Fred Thom, a proposito di Nosferatu e della globalizzazione:

"Il film coincide con l'inizio della globalizzazione e in particolare con l'investimento di capitali stranieri nell'economia locale. Il Conte, che è ovviamente un predatore, qui incorpora il fenomeno della globalizzazione, a quell'epoca considerata un pericolo. Certo, la più chiara allusione è quella che egli investe nel reale Stato tedesco. Questo tema dell'investimento di capitale straniero è confermato da una delle scene che fu tagliata dalla versione finale. Quando Nosferatu è visto mentre viene attaccato nella strada da un ladro e pugnalato al cuore, anziché il sangue, vediamo monete d'oro sul suolo."  

Teufel! E questo non è antisemitismo allo stato puro? Julius Streicher non avrebbe potuto esprimersi in modo più chiaro di quanto ha fatto Murnau in quella scena perduta! Fred Thom contraddice così quanto aveva detto poco prima a proposito di Nosferatu e del Nazismo. Nosferatu con il denaro al posto del sangue non è semplicemente Nosferatu il Capitalista nell'accezione moderna del termine: un tedesco dell'epoca di Weimar vi avrebbe visto all'istante Nosferatu l'Ebreo.


Il sole che sorge: una spiegazione

Murnau profetizzò l'avvento del Nazionalsocialismo in un modo che la critica non ha compreso e che l'opinione pubblica moderna troverebbe sconvolgente. Nel film non è infatti la pestilenza a rappresentare l'ascesa del Partito di Hitler, ma il sorgere del sole.

C'è un'altra cosa da puntualizzare a questo proposito: il mito del sole che uccide i vampiri ha la sua origine proprio nel film di Murnau. Non esisteva in precedenza. Il Dracula di Bram Stoker è sì indebolito dalla luce solare, ma in caso di necessità è ben capace di muoversi in pieno giorno: Van Helsing spiega che il vampiro nelle ore diurne è confinato nella sua forma puramente materiale e perde la capacità di metamorfosi. Se la memoria non m'inganna, nel romanzo si narra che quando Jonathan Harker e i suoi compagni si trovavano durante il giorno in un appartamento londinese usato dal Conte come nascondiglio, erano in ansia per via del possibile arrivo del proprietario. Dall'uscita del Nosferatu di Murnau in poi, di vampiri in grado di camminare e di operare alla luce del sole a quanto mi consta non si è più parlato.


Criptozoologia transilvana

In una sequenza del film si vede un esemplare di un animale che con la fauna della Transilvania non ha nulla a che spartire. Colpisce per la sua incongruità. Sembra proprio una iena striata (Hyaena hyaena), ben riconoscibile dal tipico disegno della pelliccia sulla zona ventrale, anche se ha la testa insolitamente piccola e con fattezze volpine. La sua spettrale comparsa avviene nel bel mezzo di una tempesta nei Carpazi, mentre Hutter si trova all'osteria. I cavalli ne avvertono la presenza e sono colti dal terrore. Poco dopo l'animale mostruoso compare di nuovo e questa volta lo si vede più da vicino. Nel suo sguardo c'è qualcosa di umano! Cos'è la bestia dal pelo variegato? Un'ombra suscitata dall'Erebo o forse una delle tante possibili metamorfosi di Nosferatu? Non dobbiamo infatti dimenticare che al Vampiro sono attribuiti molti strabilianti poteri che di rado trovano piena traduzione nel mondo del cinema: secondo la tradizione può apparire infatti in diverse forme animali diverse da quella classica del pipistrello, come ad esempio la zecca, il ragno, il lupo e il ratto. Perché dunque il Conte Orlok non potrebbe essersi trasformato in un animale carognaro affine alla iena? 


Max Schreck, realtà e leggenda

L'attore che interpreta il Conte Orlok, Max Schreck, aveva un nomen omen. Infatti in tedesco Schreck significa "spavento". Nonostante fosse un uomo nato da una donna e dotato di corpo composto da carne, sangue e ossa, su di lui fiorirono presto leggende a dir poco stravaganti. Alcuni dissero che dietro lo pseudonimo di Schreck si nascondesse in realtà lo stesso Murnau travestito. Per altri invece Schreck era un vampiro autentico, trovato da Murnau nel corso di un suo viaggio nei Carpazi. Eppure abbiamo le prove che l'attore che interpretò in modo tanto magistrale il Conte Orlok non era un personaggio fantomatico. Il suo vero nome era Friedrich Gustav Max Schreck. Nato a Berlino-Friedenau nel 1879, non era uno sconosciuto nel mondo del cinema. Una cosa è certa: non si nutriva di sangue umano. Fu stroncato da morte improvvisa e prematura dopo aver recitato il ruolo del Grande Inquisitore nel Don Carlos, a Monaco di Baviera nel 1936.


Altre differenze tra Orlok e Dracula

Mentre il Dracula di Bram Stoker trasmette la condizione di vampirismo alle sue vittime, Orlok ha un morso che provoca semplicemente la malattia e la morte. In altre parole, egli è incapace di trasmettere la propria condizione ai viventi del cui sangue si nutre. Può sembrare un dettaglio di poco conto, mentre in realtà è di capitale importanza. Infatti è proprio questa impossibilità di trasformare le vittime in vampiri a rendere possibile il finale ottimistico. Quando la luce del sole trionfa, Hutter guarisce come per incanto dalla consunzione causata dal morso del Conte Orlok. La moglie Ellen muore e non risorge in forma vampirica. Il finale del Nosferatu di Herzog, come vedremo, è drammaticamente diverso e questo sancisce una diversità ontologica insanabile tra i due lavori.  


Una sessualità torbida

Il sentire dei Weimariani in materia di sesso era molto diverso dal nostro. Nel primo dopoguerra a Berlino si svolgevano spettacoli ributtanti di pedofilia e di bestialità, in cui bambini erano costretti ad accoppiarsi con adulti e persino con animali, ma alcune sequenze del film di Murnau erano definite pornografiche. Hutter, a tavola col Vampiro, taglia il pane nel modo tradizionale (a mio parere piuttosto illogico), facendo scorrere il coltello nella pagnotta verso il suo pollice, che finisce così col tagliarsi. Il Conte Orlok, eccitatissimo alla vista del sangue, cerca di succhiarlo. Un chiaro atto di fellatio omosessuale. Carico di erotismo è anche l'abbandono di Ellen tra le braccia di Nosferatu, anche se mostrato solo per pochi istanti: è la manifestazione di un invincibile cupio dissolvi mentre il suo sangue fugge nell'avida bocca del tenebroso amante, il cui assalto evoca una volta di più motivi antisemiti cari a Julius Streicher.  


Alcune curiosità

L'oste, un robusto sassone di Transilvania dotato di imponenti baffoni biondi, somiglia in modo stupefacente ad Alois Schicklgruber, il padre di Adolf Hitler.

Fu eseguita una colorizzazione della pellicola, il risultato è semplicemente osceno. Se ne può vedere un saggio su Youtube. Ogni ombra risulta abolita, ogni profondità è cancellata. Il Conte Orlok vi appare in abiti sgargianti e sembra essersi trasformato come per incanto nel Grande Puffo. Per i responsabili di questo orrendo crimine proporrei un processo davanti a un tribunale militare prussiano. 

Il film fu bandito in Svezia per "eccessivo orrore". La piaga del buonismo politically correct già imperversava in quell'infelice nazione nella prima metà dello scorso secolo. Potessero le genti del Nord tornare ad avere il sangue ardente dei Vichinghi!


Un furto sacrilego 

Per serendipità mi sono imbattuto in una notizia a dir poco inquietante. Nel 2015 ignoti profanatori si sono serviti di spranghe per violare la tomba del regista, sepolto del cimitero di Stahnsdorf, quindi hanno staccato e trafugato la testa dal suo cadavere imbalsamato. Le altre tombe della famiglia non sono state toccate, il che porterebbe ad escludere un semplice atto vandalico. Nei pressi della sepoltura violata sono stati rinvenuti residui di cera, il che ha portato gli investigatori a supporre legami con il mondo dell'occultismo e dei riti satanici. E se il movente fosse stato la vendetta? 

Altre recensioni nel Web

Riporto questi link a post oltremodo interessanti, la cui lettura raccomando senz'altro: