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lunedì 14 gennaio 2019


1994 LA NUDITÀ E LA SPADA

Autore: Ferruccio Parazzoli
Anno: 1990
Genere: Romanzo
Sottogenere: Ucronia, distopia, fantareligione, fantapolitica
Argomenti: Religione cattolica, integralismo, guerra santa

Ambientazione: Italia, 1994-95, 2015
Lingua originale:
Italiano
Editore: Mondadori
Collana: Omnibus italiani
Codice ISBN-10: 8804333227
Codice ISBN-13: 978-8804333227
Codice EAN: 5000000403320
Pagine: 275

Panoplia satyrica 

Personaggi "reali":
    Monsignor Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano in un periodo particolarmente difficile. Fa di tutto per mediare le varie anime cattoliche presenti nella sua diocesi e per far sì che la situazione non diventi troppo incandescente. Nonostante il suo grande impegno, fallisce. Il suo destino è la fucilazione.
    Don Luigi Giussani, fondatore della setta neopelagiana dei Mammoniti (più nota come Comunione e Lottizz... pardon... Liberazione). Ridotto alla clandestinità, finirà fucilato assieme a Martini, che lo aveva nascosto nella sede arcivescovile.  
     Don Roberto Busti, descritto come un prete-manager dai capelli fulvi; ora Google lo mostra come un attempato vescovo. Gli tocca una patata bollente: gestire il videomessaggio dell'arcivescovo sull'epidemia di AIDS. 
    Cesare Cavalleri, scrittore e giornalista, dirige la rivista Studi cattolici. Descritto come aspro e intrattabile, ma dotato di sprito profetico. Adepto della setta dell'Opus Dei - quella che esalta come dono il dolore... degli altri. Il suo dramma Cristo, il Grande Terrorista fa precipitare la situazione, gettando Milano nell'anarchia, con conseguente repressione. 
   Vittorio Messori, scrittore e giornalista cattolico, presente alla cena di Don Busti. Noto per essere un amante dei tortellini alla carne, che a sua detta giustificherebbero lo sterminio dei Catari.
     Ferruccio Parazzoli, scrittore presente alla cena di Don Busti. Autore di opere non immuni da una vena di ispirazione mefistofelica. 
     Roberto Formigoni, un celebre capo della setta mammonita (vedi sopra). Presidente del Movimento Popolare, al Meeting riminese intona geremiadi a causa della sempre maggior lontananza delle autorità ecclesiastiche.
     Giulio Andreotti, politico democristiano, considerato un tappo dal volgo italiano, in realtà era gigantesco e non aveva nemmeno la gobba. 
     Giovanni Spadolini, corpulento politico repubblicano, calato sul palco al Meeting di Rimini per un'improbabile crociata neo-illuministica, quasi linciato da folle di mammoniti urlanti.
   Ciriaco De Mita, politico democristiano, proprio quello che alcuni soprannominano Re Mida. Presidente del Consiglio dei Ministri dal 1945 al 1995.
     Eugenio Scalfari, un giornalista-scrittore e politico, direttore de La Repubblica. Si salva per il rotto della cuffia dall'attentato in cui perde la vita Giampaolo Pansa.
    Gaspare Barbiellini Amidei, arriva trafelato alla cena di Don Busti, annunciando che Giovanni Paolo II ha deciso di trasferire la Santa Sede a Manila. 
  Giampaolo Pansa, un giornalista-scrittore-saggista, vicedirettore de La Repubblica. Viene ucciso in un attentato.
    Giuliano Ferrara, un giornalista, conduttore televisivo e politico, fautore dell'idea del cosiddetto "ateismo devoto" e dotato di barba rossiccia, poi in parte incanutita. Nel romanzo non viene citato per nome, bensì con l'evocativo soprannome Bretelle Rosse.  

Personaggi immaginari: 
    Tommaso Vegas, il protagonista, un professore universitario di Storia del Cristianesimo alla Cattolica; è di incerte convinzioni, in ogni caso incline al nicodemismo.
    Mara, la milf amante di Tommaso, ninfomane, perennemente scolvolta da flussi ormonali, stravagante e imprevedibile. È una tipica radical chic milanese sconvolta da immani quantità di droga.
    Claudia Vigevani, studentessa del corso di Tommaso e infine sua amante. La sua famiglia è di origine ebraica. Avvicinatasi alla setta di Comunione e Liberazione, durante le rivolte finirà imprigionata, torturata e uccisa.
    Marco Vigevani, il padre di Claudia, docente ebreo convertito in gioventù al cattolicesimo, ancora traumatizzato dalle leggi razziali del '38, a cui assimila la presente repressione anticattolica. La sua passione è la fanta-paleontologia.
   Antonio Mattalia, un militante mammonita, che seduce e radicalizza Claudia, condividendone il triste destino in uno stadio uso campo di concentramento di pinochetiana memoria. 
   Leone Besana, un amico di Mara, cultore delle arti marziali nonché omosessuale confesso, ma aperto ad assumere ruoli di assoluta passività con Mara, improvvisatasi dominatrice armata di fallo di gomma.
   Don Giacomo Carnevali, parroco di San Babila e amico di vecchia data di Tommaso; persa la fiducia nei suoi parrocchiani e nel mondo intero, deciderà per l'abiura. Non sopportando un'esistenza divenuta senza significato, si darà fuoco come un bonzo.
     Don Luigi Crivelli, parroco di San Simpliciano e studioso delle dottrine gnostiche, per cui sembra quasi provare un'occulta simpatia. Consultato dall'arcivescovo Martini per un cruciale videomessaggio sull'AIDS, gli raccomanda di non discostarsi dal magistero della Chiesa - ovviamente senza menzionare in modo esplicito l'idea fondante dell'epidemia come punizione divina per i peccati umani.

Trama: 
Il romanzo parazzoliano, che è assai denso e di straordinaria complessità, è incentrato su un drammatico tema: la fine violenta e improvvisa della religione cristiana in Italia e più in generale nell'intera civiltà occidentale. La narrazione, troppo articolata per essere ridotta a una stringata sinossi, si divide in più parti.

Parte prima: 2015 
In Italia l'esercizio del culto cattolico è proibito con leggi draconiane. Il narratore va con la mente ai fatti che hanno portato a simili sviluppi, risalenti a un decennio prima. Mentre rimugina, viene avvicinato da un giovane che lo invita a una celebrazione della Veglia pasquale nel segreto di un appartamento privato. Non essendoci più sacerdoti, il rito clandestino viene officiato da un diacono. Finita la cerimonia, il narratore torna a casa e decide di mettere per iscritto la storia degli eventi di cui è stato testimone, utilizzando i confusi appunti lasciati da Tommaso Vegas.

Parte seconda: 1994 
Tommaso Vegas, docente dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, convive con la sua amante Mara: la loro dimora è frequentata da un vasto assortimento larve umane. Una studentessa che segue il corso di Storia del Cristianesimo, Claudia Vigevani, rimane coinvolta in uno scontro tra militanti di Comunione e Liberazione e anticlericali. Tommaso accompagna la ragazza a casa e fa la conoscenza del padre, un pensionato ex insegnante di scienze naturali che passa il suo tempo a costruire fantasiosi modelli di dinosauri ucronici.
Febbraio 1994: Tommaso è invitato in Arcivescovado per un incontro presieduto dall'arcivescovo Martini, il cui argomento è la difficile situazione della Diocesi di Milano. Martini cerca di affermare l'autonomia della Chiesa ambrosiana da tutte le parti in causa: Comunione e Liberazione,
il Papato wojtyliano e la Massoneria. A distanza di pochi giorni, Tommaso è invitato a una cena a casa di don Busti, ove trova i rappresentanti dell'intellighenzia cattolica milanese. Un corrucciato Cavalleri profetizza l'imminente avvento di feroci persecuzioni anticristiane. Nessuno lo ascolta: tutti hanno come unico orizzonte i tortellini! A questo punto fa la sua irruzione il direttore di Avvenire, che gela tutti con la notizia della traslazione della corte pontificia a Manila. Il papa polacco, interessato solo al supposto risveglio cristiano dell'Est e all'evangelizzazione del Terzo Mondo, ha abbandonato la Chiesa italiana a se stessa. 
Agosto 1994: Tommaso riceve l'invito al Meeting di CL a Rimini. Si reca quindi nella città romagnola con l'amante più giovane, Claudia. Durante una visita al Tempio Malatestiano, incontra Cavalleri, che profetizza nuovamente, vaticinando un fosco futuro. Il Meeting è teatro di eventi convulsi. Il rapporto tra Tommaso e Claudia si rovina in modo subitaneo: lei mostra segni di fanatismo e non vuole più avere rapporti. Al ritorno del professore a Milano, anche il rapporto con Mara è ormai in crisi.
Autunno 1994:
Gli eventi precipitano a causa dei tumulti scatenati a Milano dalla rappresentazione del dramma incendiario di Cesare Cavalleri, Cristo, il Grande Terrorista. La devastante epidemia di AIDS non fa che esacerbare gli animi. I cattolici sono accusati di questo disastro, a causa della loro pervicace opposizione all'uso del profilattico. L'arcivescovo Martini - ormai papa de facto - in un messaggio televisivo sul contagio, pavidamente non affronta la questione del condom. 
23 dicembre 1994: Uccisione di Giampaolo Pansa in un attentato. Eugenio Scalfari riesce invece invece a sfuggre al Tristo Mietitore. L'accaduto, visto come un attacco alla stessa laicità del Paese, porta a un nuovo giro di vite contro i cattolici. 

Parte terza: 1995
Il potere, dopo mesi di crisi di governo, passa alla Giunta di Unificazione Nazionale, che subito applica leggi restrittive contro i cattolici, secondo l'autore su modello delle leggi razziali del '38, ma direi piuttosto simili a quelle emanate dal presidente Plutarco Elías Calles in Messico nel '26. Ai cattolici praticanti, messi sotto stretto controllo, è assegnato un tesserino giallo, necessario per poter assistere alle funzioni. L'Università Cattolica viene chiusa: Tommaso perde quindi la sua cattedra. Per mantenersi si vede costretto a curare un'edizione dei frammenti di Eraclito per la Mondadori. Risale a questo periodo la sua frequentazione di Marco Vigevani, con cui visita il Museo di Storia Naturale. 

La congravescenza dell'epidemia di AIDS è incessante, i casi si moltiplicano senza sosta. Comincia a diffondersi un'infamante accusa rivolta ai volontari cattolici che assistono i malati: quella di essere untori e di diffondere il morbo per sterminare i peccatori. Agli estremisti cattolici viene attribuito anche un attentato alle Ferrovie Nord, con morti e feriti. La folla insorge e devasta le Librerie Paoline a Milano. L'Arcivescovado viene posto sotto assedio. Claudia, entrata a far parte di un movimento oltranzista, viene arrestata e fucilata assieme ad alcuni compagni. I loro corpi vengono esposti al pubblico ludibrio, mentre l'esercito interviene coi carri armati.
6 dicembre 2015: Fucilazione dell'arcivescovo Martini e di don Giussani. Il cattolicesmo italiano, privato del clero, in pratica cessa di esistere. I superstiti, che vegetano in stato catacombale, si confonderanno sempre più in una galassia di conventicole settarie.


Epilogo: 2015
A questo punto si viene a sapere che il narratore della storia è proprio Tommaso Vegas. Nuove elezioni sono state indette per pacificare gli animi degli italiani, dopo anni di dittatura militare. In un'ultima pagina si introduce un ulteriore livello di ucronia: l'intero romanzo sarebbe l'invenzione di uno scrittore in un'Italia teocratica in cui Martini siede sul soglio pontificio! 


Recensione: 

Mi è molto piaciuta quest'opera, senza dubbio una pietra miliare della narrativa ucronica, il cui titolo rimanda al 1984 di George Orwell e all'Apostolo delle Genti. Ne raccomando a tutti la lettura: è come ossigeno per la mente. Come penso debba essere ovvio, accolgo il principio cardinale della sospensione dell'incredulità ogni volta che mi immergo nei meandri di una trama fantascientifica o fantastica. Se però dobbiamo passare all'analisi dettagliata dei contenuti, siamo costretti ad evidenziare le nostre perplessità.

Fantasia e realtà 

Una scena di vivida violenza. Una rivolta anticattolica è in atto. In un bar alcuni adepti di Comunione e Liberazione vengono aggrediti, trascinati in strada e percossi selvaggiamente. A uno di loro vengono assestati poderosi calci nel ventre, che gli provocano l'eruzione di getti di vomito. Una volante giunge a sirene spiegate e carica gli attivisti di Comunione e Liberazione, senza badare nemmeno per un attimo a chi li ha massacrati di botte. Non posso fare a meno di confrontare questo pezzo di bravura del Parazzoli con quanto da me vissuto all'università, quando frequentavo il corso di laurea in Fisica, in Via Celoria a Milano, proprio nei tardi anni '80 e primi anni '90. Il braccio politico della setta neopelagiana dei Mammoniti era noto come movimento dei Cattolici Popolari, il cui nome era abbreviato in CP; in pratica avevano il potere incontrastato nell'ateneo. Non c'era alcuno che si opponesse loro. I Comitati Leninisti erano ridicoli e patetici, si limitavano a distribuire il loro fogli di carta igienica con baggianate incomprensibili scritte a caratteri fittissimi. Intanto i Cattolici Popolari invadevano interi corridoi e si mettevano a pregare, senza nessun rispetto per chi non voleva sentire le loro lagne. Il punto è che in un corridoio c'erano tavoli e sedie, con molti studenti che studiavano. Verso chi voleva studiare in pace non c'era rispetto di sorta. Arrivavano i CP e tutti dovevano sgomberare immantinente per lasciar posto alla folla orante. Si aveva l'impressione di vivere in una teocrazia. Dei militanti laicisti e di sinistra evocati come picchiatori dal romanzo parazzoliano non c'era traccia alcuna. Solo fievole segno di insofferenza verso i teocrati ciellini: una scritta in un cesso, il cui testo era il seguente: "Odiare i negri è razzismo. Odiare i CP è intelligenza!"  Non ho scritto io quella sentenza - non mi abbasso a scrivere nei cessi - ma in un'occasione ho reagito con tali parole alla provocazione di un gran numero di ciellini, che avevano ostruito il corridoio con i posti per gli studenti, rifiutando di farmi passare. Un amico mi ha trascinato via prima che lo scontro degenerasse: all'epoca ero temerario e non mi era chiaro che sarei finito pestato come un sacco di patate. Più tardi avrei ideato una forma di scherno nei confronti dei CP, il cui nome ha subìto una magica trasformazione in CIPPIRIMERLO. Il trucchetto funziona ancora, con la metamorfosi del PD in PIDDIRIMERLO.

Alcune note antropologiche 

La facilità con cui Tommaso Vegas riesce a farsi delle amanti è tale da non avere precedenti nemmeno nella storia del paese di Sodoma e Gomorra. Al docente universitario nicodemita basta una breve conversazione casuale sul treno per convincere Mara, la milfona divorziata, a concedersi e a iniziare una convivenza. E che dire dell'invereconda, morbosissima seduzione messa in atto dalla giovane Claudia, che si mette nuda nella sua stanza permettendo al professore di sbirciarla? Il Parazzoli evita di evocare l'atmosfera plumbea che regnava ai tempi in cui il romanzo stesso fu scritto, regnante Karol Wojtyła. Il tonitruante pontefice polacco rivolgeva incessantemente alle nazioni del mondo i suoi anatemi e i suoi tentativi di moralizzazione sessuale, il cui testo poteva sintetizzarsi grossomodo così: E BUBÙBU BUBÙBU!! Convinto seguace delle dottrine dell'homunculus spermatico, Wojtyła riteneva che ogni eiaculazione fosse un genocidio, così cercava di imporre alle genti, con determinazione tirannica, che lo sperma fosse trattenuto nei testicoli. I fatti paiono mostrare che, almeno implicitamente, ammettesse un'unica possibile valvola di sfogo: la pedofilia ecclesiastica (vedi i casi Groër e Maciel Degollado, etc.). Di tutto questo non troviamo la benché minima traccia in 1994 La nudità e la spada. Com'è possibile? Parazzoli si limita a menzionare qualcosa di sfuggita sull'esaltazione wojtyliana dei popoli del Terzo Mondo, che "rifiutano la contraccezione e credono nei valori". Si tace sul fatto che secondo il pontefice cracoviese, agendo così, questi popoli contribuivano a far battezzare il maggior numero possibile di homunculi prodotti dalle gonadi, altrimenti destinati alla dannazione eterna. 

Ucronia oppure onirostoria? 

Una domanda pressante. Dove possiamo collocare il punto di divergenza tra il nostro corso storico e quello del romanzo? Non è poi così facile dare una risposta sensata. La narrazione parazzoliana potrebbe anche essere onirostorica, relativa a eventi che non si sarebbero mai potuti verificare nell'universo in cui siamo costretti a vivere. Le fosche profezie che lo scrittore romano naturalizzato milanese mette in bocca all'intellettuale dell'Opus Dei, Cesare Cavalleri, lasciano piuttosto perplessi, soprattutto se si pensa al contesto dei primi anni '90 dello scorso secolo, quando la teocrazia wojtyliana rasentava il totalitarismo. Posso contare sulla punta delle dita le manifestazioni di dissidenza antiwojtyliana di cui sono stato testimone nel corso degli anni di pontificato del tiranno polacco. Eccole:

1) A Seregno comparve sul muro di un palazzo la scritta: "IL PAPA E' PEGGIO DELLA PESTE".
2) Su un banco di un'auletta di Via Celoria, nell'edificio di Fisica, uno sconosciuto ha scritto in pennarello: "WOYTILA = HITLER DELLE COSCIENZE".
3) Nei primi anni del XXI secolo, io e il fraterno amico P., esasperati dai continui "BUBÙBU BUBÙBU!", definivamo il pontefice di Cracovia "DEMENTE BAVOSO". In un'occasione un medico cattolico è rimasto raggelato nell'udire queste parole dalla bocca di P., ricordo le labbra che gli tremavano come per un tic. Come se nell'Antico Egitto qualcuno avesse inveito contro il Faraone.
4) Mentre eravamo sul treno, io e l'amico P. udimmo le proteste di una milf e di due suoi amici, che seppur timidamente protestavano contro l'invadenza dei media papisti. Come intervenimmo e facemmo sapere che eravamo d'accordo, la milf e gli altri furono sinceramente rincuorati.

5) Possiamo aggiungere una protesta politica, ma senza dubbio antiwojtyliana. Sui muri cittadini di Seregno comparve una scritta in rosso: "SOLIDARNOŚĆ FUORI DALLE PRIGIONI... NEI FORNI!" (ricordo che i diacritici del nome del movimento polacco erano corretti). Immagino lo sdegno del pubblico per il fatto che riporto queste memorie nella loro durezza. Pochi poi parlano del fatto che Lech Wałęsa proponeva la castrazione degli omosessuali. 

E poi? E poi basta. I media erano nelle salde mani dei Mammoniti, che imponevano una cappa di censura e di oppressione senza precedenti. Una situazione quasi iraniana!
Si noterà che il teologo dissidente Hans Küng ha pubblicato la requisitoria Wojtyła, il Papa che ha fallito soltanto quando l'interessato era da poco spirato, nell'Anno del Signore 2005.
Approfitto dell'occasione per scagliare vergogna sulla barba di F., un convinto anticlericale che disse di sostenere Wojtyła e di apprezarlo per via del suo impegno contro la guerra! 


Possiamo giungere a una conclusione forse lapalissiana: il punto di divergenza tra il nostro cosmo e quello del romanzo si deve per necessità collocare dopo l'insediamento di Giovanni Paolo II sul soglio pontificio, il 16 ottobre 1978 e prima dei fatti narrati. Quello che temo è che un così breve lasso di tempo sia insufficiente a giustificare la prodigiosa accelerazione degli eventi descritta da Parazzoli, così come il diffuso clima anticlericale. Un'impetuosa ondata di anticlericalismo si è verificata soltanto con l'elezione di Benedetto XVI, il 19 aprile 2005, in parte a causa dell'origine etnica del nuovo pontefice - essendo molto diffuso in Italia l'antigermanismo - in parte a causa della reazione eruttiva alla pervasiva oppressione di 26 anni di dominio wojtyliano.

Il mito della Chiesa del Silenzio

Parazzoli descrive con maestria e dovizia di particolari il commovente rito della Veglia pasquale, celebrato da un ingegnere elettronico che faceva del suo meglio per mimare il sacerdozio cattolico, ormai soppresso. Leggendo le pagine in questione, una lampadina si è accesa nella mia mente. Ricordo quando il mitissimo don F. ci parlava della repressione della religione cattolica in Cecoslovacchia, con preti che venivano torturati, rinchiusi in cubicoli in cui non potevano nemmeno muoversi, privati del sonno. Così ci disse don F., che a quei poveri testimoni di Cristo veniva applicata la corrente ai testicoli eppure essi non cedevano. "Un prete non può abiurare", precisava, come se fosse un'impossibilità fisica o concettuale, un autentico adynaton - dimenticando ovviamente la stessa esistenza di Cristóvão Ferreira e l'efficacia estrema dei feroci sistemi dei Tokugawa. Poi dovetti sorbirmi ore di geremiadi sulle comunità cristiane cecoslovacche e polacche, costrette a incontri clandestini in case di montagna e in scantinati. In netto contrasto con l'opulenza di noi brutti e cattivi cresciuti nella bambagia di un futile consumismo, quegli slavi vivevano in condizioni paleocristiane, come i perseguitati sotto l'Impero di Decio e di Diocleziano! Una mattina, mente con fatica mi levavo e mi preparavo per la quotidiana razione di tortura scolastica, mio padre ascoltava la radio. Usciva da quella macchinetta una vocina stridula, con ogni probabilità di un mammonita di CL, proclamava: "In Russia ogni giorno milioni di giovani si convertono a Dio!" Su un giornalaccio, non ricordo se fosse Famiglia Crisitana o qualche immondizia similare, un prete faceva un altro proclama: "Mentre in Occidente ci sia affanna a negare Dio, in Russia ci si sta accorgendo che senza Dio non si può vivere!" Ecco, di queste pornografie concettuali si nutriva e si accresceva giorno dopo giorno lo sconcio mito della Chiesa del Silenzio. Poi, caduto quello che il mitico Giurato chiamava Mudo li Merlino, ecco svelata la realtà. La Chiesa del Silenzio non è mai esistita! Era tutta una baggianata, un imbroglio inverecondo! Sapete quali sono i frutti del fantomatico risveglio cristiano dell'Est? Ve lo dico io. Mafia, mafiosi, gangster, assassini, papponi, puttane, pornografi, pedofili, cannibali, carnefici, produttori di snuff videos, oligarchi, policanti iniqui, tiranni, pingui popi orgiasti e corrotti col crocefisso pieghevole sul sontuoso copricapo! Schifo assoluto e nemmeno un uomo di Dio! 

Cristianesimo e asfissia

Così dice il Cavalleri a Tommaso Vegas: 

«È la conclusione di una lotta mortale. È il progetto di asfissia del cristianesimo e di ogni altra forza che si opponga in nome di una fede ad un potere che si è venuto ad identificare con lo Stato, ad una democrazia che è stata di mano in mano, subdolamente o apertamente, sostituita da una tecnocrazia manovrata da oscure oligarchie economiche che, attraverso alcuni ingenui e ambiziosi intellettuali, si sono impadronite degli strumenti di comunicazione, sotto la mascherata di un'élite laicista.» 

Tutto molto condivisibile. C'è solo un piccolo dettaglio. Cosa asfissierebbe un Cristianesimo trionfante? Ecco che ci risponde Emil Cioran: verrebbe il tempo del Carnefice della Croce. Sostengo la Rivoluzione quando mi han tolto le sostanze e son ridotto a un povero tra i poveri. Poi riconquisto le sostanze e divento un tiranno spietato. Il bello sta tutto qui. 

Curiosità 

A quanto ho letto, pare che il vescovo Roberto Busti sia stato molto sorpreso e infastidito dal trovarsi descritto nel romanzo di Parazzoli. Per contro, il Cavalleri sarebbe stato lusingato dal ruolo attribuitogli. Già mi sento il consueto urlo stridulo: "Fonti?!" Eccole: 

Ecco l'estratto, con un uso massiccio della paratassi e separazioni moleste tra l'apostrofo e la parola successiva: 

"Minaccioso eppure divertente, 1994, la nudità e la spada (e la scelta dell' anno è ovviamente un riferimento ad Orwell) intreccia pochi personaggi inventati alle tante figure reali del presente, da Giuliano Ferrara a Ida Magli, da Miriam Mafai a Eugenio Scalfari, da Giampaolo Pansa che, toccando ferro, muore in un attentato, a Barbiellini Amidei (diventato direttore dell' Avvenire), da Berlusconi a De Benedetti, dando spazio soprattutto a figure di credenti come Cesare Cavalleri, elegante ed enigmatico direttore della rivista Studi Cattolici e membro dell' Opus Dei, autore di un celebre articolo sull' Avvenire di qualche anno fa, intitolato le Mimosanti, con il quale aveva attaccato il movimento femminista. Si sono divertiti anche i personaggi da lui così disinvoltamente usati, per esempio il fucilato cardinal Martini e lo stesso Cavalleri? Quest' ultimi certamente sì: dalla Curia non ho avuto reazioni ufficiali, ma soffiate mi dicono che soprattutto Don Busti è rimasto sconcertato e arrabbiato. L' Avvenire non sa come reagire: aspetto Il sabato, per vedere come se la cavano."

Che altro aggiungere? Davvero divertente!

Altre recensioni e reazioni nel Web 

Come per altri capolavori parazzoliani, esiguo è purtroppo lo spazio dedicato sul Web. Oltre all'estesa descrizione su Wikipedia (gennaio 2019), che mi è anche servita da canovaccio per costruire questa recensione, troviamo ben poco di significativo. C'è una stringata descrizione sul sito di fantascienza wwww.delosstore.it

Sul mitico Anobii.com si trovano al momenti ben poche recensioni. Questo è il link: 

Illuminante il breve commento di Marco Cobianchi: 

"Letto molti anni fa. Bello, anche se non amo i romanzi."

Più estesa la recensione eulogistica di Lucia, che sospetto essere una simpatizzante di Comunione e Liberazione. Ne riporto il nucleo:

"Non avevo mai letto altre opere di fantastoria; e soprattutto, non avevo mai letto un’opera di fantastoria in cui il cattolicesimo è stato dichiarato fuori legge, qui, in Italia. Magari, gli abituè del genere conoscono anche dei titoli migliori: però, questo mi è piaciuto un sacco, per l’originalità della trama.
Scritto nel 1990, il romanzo è particolarmente affascinante perché ambientato in un posto che conosciamo benissimo (Milano), con protagonisti che sono in gran parte esistiti realmente (es. Don Giussani; Messori; Carlo Maria Martini). È un romanzo assolutamente realistico, nel senso che la persecuzione anticattolica comincia in sordina, poi diventa un po’ più seria, poi cresce ancora… ma in maniera del tutto graduale. E quindi, potenzialmente verosimile. Non c’è nessuna forzatura.
Anche i “capi d’accusa” alla Chiesa sono quelli che i cattolici si son sentiti ripetere millemila volte in queste anni: rifiuto del preservativo, ingerenze temporali, e bla bla bla. Nelle note, ho inserito tre citazioni che sono tratte dal romanzo, ma potrebbero campeggiare su qualsiasi quotidiano d’oggi: verosimiglianza al massimo. Da brividi."


Bizzarra è anche la recensione di Nick:

"allucinato? irrisolto?
premetto che questo libro è rimasto non letto sugli scaffali per troppo tempo, e non riesco a capire perchè...
non è il primo libro di questo filone apocalittico che leggo, e probabilmente non sarà l'ultimo. ma questo mi ha stupito, proprio come mi stupisce il motivo per cui l'ho riposto senza leggerlo per così tanto tempo...
il protagonista è uno storico, e narrando in prima persona narra da storico, è giusto... e infatti alla fine ti resta in bocca proprio lo stesso sapore come di aver letto un libro di storia, senza suspance (spero si scriva così...), senza introspezioni e retrospezioni...
eppure la lettura ti prende come un romanzo, vuoi arrivare fino in fondo anche se il finale ti è stato già raccontato nelle prime dieci pagine e il resto è tutto un racconto al passato...
boh... in ogni caso, da leggere."


Mi auguro che molti altri contributi si aggiungeranno in futuro e che di 1994 si continuerò a parlare a lungo!

sabato 20 ottobre 2018

UN RACCONTO GROTTESCO DI EDGAR ALLAN POE E LA GRANDE BEFFA DELLA LUNA


Un racconto grottesco e protofantascientifico di Edgar Allan Poe, poco noto ai lettori italiani, è senza dubbio L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall (The Unparalleled Adventure of One Hans Pfaall), pubblicato per la prima volta nel 1835. La città di Rotterdam venne sorvolata da un grande pallone aerostatico, che destò lo stupore generale. Nella Piazza della Borsa si radunò una densa folla per osservare il prodigio. A un certo punto, emerse dall'aeronave un bizzarro omino che lanciò una missiva alla gente sotto di lui. Il manoscritto narrava le gesta di Hans Pfaall, un riparatore di soffietti, oberato dai debiti e scomparso cinque anni prima senza lasciare tracce. La cittadinanza apprese così che l'uomo, ormai dato per morto, aveva preso a prestito somme consistenti, da lui utilizzate per fabbricarsi l'aeronave. Quindi, con un'astuzia degna di Olaf Tryggvason, radunò tutti i suoi creditori e li fece saltare in aria per mezzo di polvere da sparo e di una miccia, uccidendoli sul colpo. L'unica via che gli rimaneva per evitare la punizione del Leviatano legale era la fuga. Abbandonò la terraferma a bordo della navicella attaccata al suo pallone, ascendendo fino a quote inimmaginabili, raggiungendo la Luna in diciannove giorni di viaggio. La sua permanenza sul satellite durò cinque anni. In quell'ambiente inesplorato scoprì i Seleniti, che erano una specie razionale come gli esseri umani. Alla fine del manoscritto, le genti di Rotterdam lessero che l'omino stranissimo da loro avvistato sulla navicella era proprio un abitante della luna. Le condizioni che Hans Pfaall dettava per il proprio ritorno erano semplici: prima di atterrare avrebbe dovuto ottenere la grazia per l'uccisione dei creditori. Tuttavia nel frattempo l'omino lunare era scomparso nella navicella e nessuno era capace di comunicare con lui. Il pallone aerostatico risalì nell'atmosfera, tornando verso il satellite. L'accaduto destò molto clamore, ma cominciava già a circolare tra i presenti l'idea che tutto l'accaduto fosse soltanto il frutto di una colossale burla.


La Grande Beffa della Luna

Sentii parlare della Grande Beffa della Luna (Great Moon Hoax) per la prima volta molti anni fa, quando lessi il saggio di Isaac Asimov Civiltà extraterrestri (Extraterrestrial Civilizations, 1979). Rimasi stupito dalla narrazione dell'accaduto. Il figlio del patriarca ashkenazita Judah sosteneva una tesi che mi parve assai singolare e in contrasto con la mia pur limitata esperienza: il genere umano avrebbe avuto uno straordinario desiderio di credere all'esistenza di intelligenze aliene. Mi domandai come questo fosse possibile, dato che le persone che mi circondavano non credevano all'esistenza degli extraterrestri e tendevano a ritenere pazzo chi prestava fede a ogni fantasia sull'argomento. Non avevo ben compreso le affermazioni asimoviane. Le intelligenze in cui l'umanità ha sempre prestato fede non devono per necessità essere antropoidi generati su altri pianeti: può benissimo trattarsi di angeli e di demoni. Ogni comunità umana giudica pazzia le credenze delle altre comunità, ma afferma come sacrosante le proprie. Proseguendo nella lettura, la descrizione della Grande Beffa della Luna mi ha lasciato il segno. Riporto in breve i fatti. Il 25 agosto dell'Anno del Signore 1935, accadde qualcosa che avrebbe dovuto segnare un punto di rottura col passato. Il quotidiano di New York The Sun riportò una notizia sensazionale: nel suo osservatorio al Capo di Buona Speranza, il celebre astronomo inglese John Herschel aveva puntato il suo telescopio sulla luna, riuscendo a osservarne la superficie con una precisione fino ad allora inconcepibile. In una serie di sei articoli firmati dall'assistente fantomatico di Herschel, Andrew Grant, veniva descritto con sconcertanti dettagli un mondo lussureggiante e abitato da una specie intelligente affine all'Uomo. Valli fertili, sconfinate foreste di abeti in cui correvano enormi bisonti e unicorni azzurri, mari interni di acqua blu, grandi fiumi pieni di pesci, di creature anfibie e di uccelli acquatici. Asimov rimase molto colpito dalla descrizione dei bisonti lunari, da lui definita "un pezzo di bravura" per via dell'ingegnosa trovata di un'aletta carnosa e mobile sulla fronte dei grossi mammiferi, che permetteva loro di ripararsi gli occhi dagli sbalzi di luce. I Seleniti avevano l'aspetto di esseri umani dal pelo rossiccio, dotati di ali simili a quelle dei pipistrelli. Si riunivano e gesticolavano, dimostrando di possedere un linguaggio articolato. Costruivano piramidi di quarzo lilla e si radunavano in un grande tempio d'oro, dove adoravano chissà quali divinità. La specie appena scoperta fu addirittura battezzata con un nome scientifico: Vespertilio homo. Esisteva anche un'altra specie senziente, una tribù primitiva di castori bipedi che vivevano in capanne e conoscevano l'uso del fuoco. La narrazione si concluse con un brillante escamotage: il telescopio di Herschel era andato a fuoco per via di un malfunzionamento che lo aveva trasformato in uno specchio ustorio. Gli articoli di Grant conobbero un successo strepitoso, tanto che furono tradotti in molte lingue. Nel 1836 a Napoli fu pubblicato un opuscolo intitolato Delle scoperte fatte nella luna del dottor Giovanni Herschel, che conteneva estratti di questo materiale. Il mondo fremeva e persino nel mondo scientifico molti davano credito alle fantasie seleniche. Già gli ecclesiastici bramavano di raggiungere la luna per evangelizzare gli uomini-pipistrello! Se il loro tempio d'oro fosse stato dedicato a un Dio invisibile e astratto, lo avrebbero identificato col Dio cristiano, limitandosi a imporre la croce e i sacramenti. Se invece vi fossero stati adorati degli idoli, li avrebbero abbattuti, combattendo per debellare il paganesimo. Gli speculatori bramavano di raggiungere la luna per sfruttarne le immense ricchezze. Questi sogni di gloria furono ben presto interrotti quando accadde l'inevitabile: Sir John Herschel, di ritorno da un viaggio in Sudafrica, venne a sapere delle mirabolanti favole che gli venivano attribuite dai quotidiani! All'inizio trovò la cosa divertente e commentò che le sue vere osservazioni non potevano certo essere così eccitanti come gli articoli dell'inesistente Andrew Grant. Non tardò tuttavia ad accorgersi che la gente credeva davvero alla burla, cosa che lo mise in grande imbarazzo. Rimando al sito Hoaxes.org per approfondimenti: 



Poe e l'Imbroglio Lunare 

L'autore del Great Moon Hoax risultò essere proprio un reporter del quotidiano The Sun, Richard Adams Locke (1800-1871), diretto discendente del filosofo John Locke (1632-1704), che era stato il padre del liberalismo classico e dell'empirismo moderno. Il giornale newyorkese, anche noto come New York Sun, era stato fondato da Moses Yale Beach nel 1833 e fu uno dei primi a cercare di incrementare le vendite facendo pagare un penny per copia. Era un azzardo: se non si riusciva ad attirare l'attenzione dei lettori, si rischiava di finire in una spirale il cui unico esito era il fallimento. Altri avevano tentato l'ardito esperimento, fallendo miseramente. Occorreva per forza di cose mettere le mani su una trovata sensazionale, in grado di far crescere in modo esponenziale le vendite. Ecco quindi che entra in scena Edgar Allan Poe, che col suo racconto sul viaggio lunare di Hans Pfaall fornì a Locke l'ispirazione cercata! Lo scrittore di Boston, non appena venne a sapere delle descrizioni della flora e dalla fauna selenica firmate da Andrew Grant, comprese subito l'origine della truffa e reagì accusando Locke si essere un plagiario. Il primo articolo truffaldino comparve in agosto, ma soltanto tre settimane prima il racconto di Poe avente per protagonista Hans Pfaall era stato pubblicato su un nuovo giornale, The Southern Literary Messenger, dove si assicurava ai lettori che quello era il resoconto di una storia realmente accaduta. Poe non poteva sopportate tutto questo. Quello che gli faceva digrignare i denti dallo sdegno era che un fatto molto semplice: in pratica la sua opera era passata inosservata, ma l'idea gli era stata rubata da Locke, che con grande abilità l'aveva portata al successo. A quanto pare gli sfuggiva un particolare non irrilevante: The Southern Literary Messenger era una pubblicazione con pochi lettori, oggi diremmo "di nicchia", mentre The Sun di lettori ne aveva moltissimi, anche complice il suo basso prezzo e l'efficiente rete di strilloni. Così le peripezie di Hans Pfaall non destarono alcuna attenzione, mentre le meraviglie lunari dello pseudo-Herschel raggiunsero in una sola settimana 100.000 persone nella sola New York, che all'epoca aveva 300.000 abitanti.  Nel suo scritto polemico del 1846 I literati di New York City (The Literati of New York City), Poe dà prova di grande acume e lucidità, purtroppo ex post facto. Le considerazioni sull'opera di Locke sono riportate in questa pagina del sito Eapoe.org:   


Questo è un estratto significativo, da me tradotto:

«Capiti correttamente i singolari svarioni cui ho fatto riferimento, avremo il miglior motivo di meravigliarsi del prodigioso successo della beffa. Non una persona su dieci la screditò, e (punto più strano di tutti!) i dubbiosi erano soprattutto quelli che dubitavano senza essere in grado di dire perché - gli ignoranti, quelli non informati in astronomia, persone che non avrebbero creduto perché la cosa era così nuova, così completamente "fuori dal solito modo". Un austero professore di matematica in un college virginiano mi ha detto seriamente che non aveva dubbi sulla verità dell'intera faccenda! Il grande effetto operato sull'opinione pubblica è riconducibile, in primo luogo, alla novità dell'idea; in secondo luogo, al carattere eccitante e razionale delle presunte scoperte; in terzo luogo, al perfetto tatto con cui l'inganno è stato condotto; in quarto luogo, alla raffinata eleganza della narrazione. La mistificazione è stata diffusa in misura immensa, è stata tradotta in varie lingue - è stata persino oggetto di discussioni (quizziche) nelle società astronomiche; ha attirato su di sé la grave denuncia di Dick, ed è stata, nel complesso, decisamente il più grande successo nella sensazione - di una semplice sensazione popolare - mai fatto da una finzione simile né in America né in Europa.» 


Intenti denigratori 

A quanto pare, la motivazione che spinse Locke a sfruttare l'idea di Poe non fu soltanto economica: era anche animato dal desiderio di mettere in satira le dottrine del Reverendo Thomas Dick (1774-1857), conosciuto come "il filosofo cristiano", convinto sostenitore della pluralità dei mondi abitati e della loro estrema abbondanza nel Cosmo. Costui in un suo stravagante contributo si era addirittura spinto a stimare il numero di abitanti del sistema solare, che a sua detta avrebbero superato i 21 trilioni. Poe lo cita ne I literati di New York City, accennando al fatto che la sua reazione alla Grande Beffa della Luna è stata a dir poco scomposta. Forse l'ecclesiastico era ben consapevole del fatto che le proprie elucubrazioni erano indifendibili e buffe, così non ha retto alla loro diffusione. Altro studioso preso di mira da Locke era il medico e astronomo bavarese Franz von Paula Gruithuisen (1774-1852), che aveva creduto di osservare tracce di civiltà sulla superficie lunare, attribuendo le variazioni di colorazione delle rocce alla presenza di vegetazione. Certo, a quei tempi il mondo accademico era ben vario e strano! C'è quasi da provarne nostalgia.   

Confusione on line

Girando per il Web, si ha l'impressione che il passato non sia mai un quadro perfettamente nitido, che molte informazioni siano perdute e che non ci sia totale accordo sulle fonti. C'è chi sostiene che Richard Adams Locke nel 1935 fosse il nuovo direttore del The Sun. Ecco un link a un articolo del blog indipendente L'Angolo di Jane, che contiene l'informazione errata:


A quanto ho infine potuto reperire, Locke era invece un reporter, come dimostrato dal sito Hoaxes.org; ho trovato la stessa informazione sulla pagina in italiano dedicata al Great Moon Hoax. Ho faticato non poco prima per trovare una biografia dettagliata del discendente di John Locke. Mentre scrivo questo articolo, noto che esiste una rudimentale pagina a lui dedicata sulla Wikipedia in italiano ma non su quella in inglese, cosa senz'altro curiosa e non facile a spiegarsi.   


Una singolare ucronia

A quanto pare Poe confondeva in qualche misura l'olandese con il tedesco, complice l'antico significato della parola dutch che indicava entrambe le lingue. Così riteneva che la seconda rotazione consonantica arrivasse fino in Olanda. Va detto che all'inizio egli pubblicò il racconto come Hans Phaall, A Tale: lo ribattezzò soltanto nel 1842 col titolo definitivo. Comparve quindi sette anni dopo la prima edizione il bizzarro cognome Pfaall con la sua consonante affricata iniziale, una cosa decisamente insolita per i Paesi Bassi. Questo è una caratteristica che risulta chiaramente incompatibile con la fonotassi dell'olandese, una varietà di francone le cui occlusive sorde sono rimaste indenni. Potremmo supporre che lo scrittore abbia disegnato una specie di linea temporale ucronica - o più probabilmente onirostorica - in cui la seconda rotazione è avvenuta persino a Rotterdam. Data però la stranezza delle leggi della fisica esposte nel racconto, direi che è più verosimile pensare che Poe abbia descritto scientemente una burla a tutti gli effetti. Inutile proseguire a cavillare. 

Considerazioni finali

Se devo essere franco, ho trovato molto pesante la lettura de L'incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall. Tra le opere di Poe che ho letto, questa è tra quelle che mi sono piaciute meno. Senz'altro mi ha dato più piacere analizzarla e scrivere questo contributo.  

domenica 30 settembre 2018


DELITTO DI STATO
(FATHERLAND)

Titolo originale: Fatherland
Paese: Stati Uniti d'America
Anno: 1994
Formato: Film TV
Genere: Drammatico, fantascienza, thriller
Sottogenere: Fantapolitica, ucronia
Durata: 106 min
Lingua originale: Inglese
Rapporto: 4:3
Crediti
Regia: Christopher Menaul
Soggetto: Robert Harris, dall'omonimo romanzo
Sceneggiatura: Stanley Weiser, Ron Hutchinson
Fotografia: Peter Sova
Musiche: Gary Chang
Costumi: Barbara Lane
Effetti speciali: Syd Dutton and Bill Taylor, a.s.c. of
     Illusion Arts, Inc.
Produttore: Frederick Muller, Ilene Kahn
Prima visione
  Prima TV originale
  Data: 26 novembre 1994
  Rete televisiva: HBO
  Prima TV in italiano
  Data: 20 agosto 1997
  Rete televisiva: Rai 2
Interpreti e personaggi   
    Rutger Hauer: Xavier March
    Miranda Richardson: Charlie Maguire
    Peter Vaughan: Arthur Nebe
    Michael Kitchen: Max Jäger
    Jean Marsh: Anna von Hagen
    John Woodvine: Franz Luther
    John Shrapnel: Odilo "Globus" Globocnik
    Clive Russel: Krebs
    Clare Higgins: Klara
Doppiatori in italiano    
    Paolo Maria Scalondro: Xavier March
    Monica Gravina: Charlie Maguire
    Giorgio Gusso: Arthur Nebe
    Luigi Montini: Max Jäger
    Noemi Gifuni: Anna von Hagen
    Giulio Platone: Franz Luther
    Giancarlo Prete: Odilo "Globus" Globocnik
Budget: 4,1 milioni di sterline inglesi

Trama:

Siamo in un mondo in cui il III Reich ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e domina incontrastato sull'Europa, estendendosi fino agli Urali. L'Inghilterra è stata invasa e tutte le nazioni europee un tempo sovrane sono state incorporate nella Grande Germania, con la sola eccezione della Svizzera e del Vaticano. Soltanto la Russia guidata dall'ottuagenario Stalin continua ad impegnare l'esercito tedesco in una permanente guerriglia oltre gli Urali. La famiglia reale britannica è in esilio in Canada e formalmente governa ancora il Commonwealth, anche se sotto la stretta supervisione del regime nazista. Adolf Hitler, Joseph Goebbels e Reinhard Heydrich governano con pugno d'acciaio, dando al contempo l'impressione di guidare un sistema ordinato e pacifico, in pratica una vera e propria utopia sulla Terra in cui le SS sono impiegate come semplice forza di polizia del tempo di pace. In occasione del settantacinquesimo compleanno di Adolf Hitler, nel 1964, il presidente statunitense John Patrick Kennedy (il padre del più noto John Fitzgerald) è in visita nella Welthaupstadt Germania, la capitale del Reich Millenario nata riplasmando la vecchia Berlino. L'ambizioso progetto è un'alleanza tra gli Stati Uniti d'America e la Germania hitleriana. In questo contesto idilliaco, ecco che un cadavere nudo come un verme emerge dalle acque di un lago in un parco pubblico alla periferia della Nuova Berlino e viene visto da un cadetto che nelle prime ore di luce correva tra i boschi flirtando con la Natura. Xavier March è un agente della Kriminalpolizei (Kripo) incaricato di occuparsi dello spinoso caso. Ha alle spalle una carriera da comandante di U-Boot e un matrimonio fallito da cui ha avuto un figlio. Il cadavere rinvenuto è presto identificato: appartiene a un importante ufficiale in pensione e amico del Führer, Josef Bühler, che anni prima fu il responsabile della "riallocazione" della popolazione ebraica nei territori orientali. Il caso, già di per sé molto delicato, si complica notevolmente con la comparsa in scena di Odilo "Globus" Globocnik, Generale Comandante della Gestapo dal cognome non proprio germanico. Mentre accadono queste cose, arriva in Germania una comitiva di giornalisti americani e tra loro c'è Charlotte "Charlie" Maguire, figlia di un famoso diplomatico. Per lei è un ritorno dopo molti anni, visto che da piccola aveva abbandonato il paese a causa dell'affermarsi della dittatura. A un certo punto la donna viene avvicinata da un anziano signore che le consegna una busta. All'interno c'è una nota che le permette di risalire a Wilhelm Stuckart, un altro ufficiale del Partito, anche lui in pensione come Bühler. Arrivata alla sua dimora, lo trova cadavere. Neanche a farlo apposta, il caso viene assegnato a Xavier March. Ha inizio una girandola di eventi che permettono di classificare questo film come thriller. Nel corso delle sue indagini, l'agente della Krimilalpolizei si imbatte in qualcosa di decisamente scomodo. Nella Grande Germania l'annientamento dei deportati è una cosa di cui pochissimi sono al corrente, persino tra gli stessi membri del Partito. La versione ufficale narra del trasferimento degli Ebrei europei in Ucraina, dove operano persino ufficiali incaricati di smistare la loro fantomatica corrispondenza, mantenendo i loro contatti con i parenti in America. Come l'agente March finisce per scoprire, tutto ciò è falso: gli Israeliti "riallocati" ad Est sono stati distrutti fino all'ultimo feto. L'uomo ne rimane sconvolto e decide di operare per rendere noto al mondo intero questo orrore. Così raccoglie un ponderoso pacco di documenti e lo consegna come una castagna bollente al presidente J.P. Kennedy, saltando sulla sua macchina in corsa, in una scena rocambolesca quanto inverosimile. Il capo di stato americano, che già si sta avviando all'incontro con il Fuhrer, osserva le atroci fotografie allegate alla documentazione e prende una decisione epocale. Ordina all'autista di invertire la marcia e si rifiuta di recarsi all'appuntamento. Tornato negli States, dà inizio all'embargo e al boicottaggio, provocando una spaventosa crisi economica che finirà col portare alla caduta dei Reich Millenario, come se fosse un giocattolo di cartapesta.   

Recensione:

Una tipica ucronia, tratta dal romanzo Fatherland di Robert Harris. L'opera presenta tutte le piaghe insite in quasi ogni opera ucronica comparsa finora su questo pianeta. La sua natura è talmente naïf e puerile da meritarsi una bocciatura senza appello. Il punto di divergenza, descritto nel prologo, è il fallimento dello Sbarco in Normandia. Presto si capisce che a dispetto di questo diverso corso storico, restano immutati eventi come il bombardamento di Dresda e il lancio delle atomiche sul Giappone. Non si capisce quindi come abbia fatto Hitler a vincere la guerra. Siamo di fronte sempre al solito insidioso errore di coloro che cambiano un evento cruciale ma sono incapaci di comprendere la portata delle sue conseguenze. Manca la comprensione del fatto che il cambiamento di un evento importante altera ogni cosa, impedendo ad altri eventi importanti di accadere e generandone di nuovi quanto imprevedibili. La Storia è Caos. Ogni sistema caotico è sensibilissimo alle condizioni iniziali. Se fosse fallito lo sbarco in Normandia non ci sarebbe stato il bombardamento di Dresda e nemmeno le atomiche su Hiroshima e Nagasaki. A rigor di logica dovrebbe capirlo anche un poppante, invece a quanto pare non è così. Questo inganno colpisce anche gli storici più preparati, come già evidenziato in altra occasione, nell'articolo John Collings Squire e il Principio di Conservazione della Realtà, in cui ho trattato la raccolta di racconti ucronici Se la storia fosse andata diversamente. L'approccio è sempre lo stesso: ritagliare eventi storici del nostro universo e incollarli tali e quali nel mondo ucronico, senza tenere minimamente conto della loro origine, della loro natura, delle dinamiche della loro formazione.

Die Beatles!

A un certo punto su una parete della Berlino nazionalsocialista plasmata dal genio architettonico di Speer compare un manifesto: si tratta della pubblicità di un concerto di un famoso gruppo musicale inglese. Si vedono, verdi su sfondo nero, le figure di John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison, con sopra l'angosciante scritta DIE BEATLES! A quanto pare, nell'immaginario di Christopher Menaul, il punto esclamativo è tipico di ogni pubblicità del regime hitleriano, che ovviamente non conosce consigli, ma soltanto imperativi categorici. Come a dire: andate a sentire i Beatles o vi spediamo a Dachau! L'ingenuità di tutto questo è disarmante.

Pubblico in questa sede un thread sull'argomento, sviluppatosi il 3 dicembre 2017 su Facebook: 

  Marco Moretti: Ieri sera ho visto Fatherland (1994, diretto da Christopher Menaul, con Rutger Hauer). Se devo essere franco, l'ho trovato una colossale stronzata. Come al solito quando si tratta di ucronie, non si vuole proprio capire che gli eventi propagano. Solo per fare un esempio, in un'Europa dominata da Hitler non si sarebbero formati i Beatles. 

  Giovanni De Matteo: Il film non l'ho visto, ma il libro era notevole. E non mi pare portasse in scena i Fab Four :)

  Marco Moretti:  Nel film compare un manifesto che li mostra, con la scritta "DIE BEATLES!" Non ho letto il libro, ma conto di farlo presto. Immagino che moltissime inconsistenze del film abbiano la loro radice nel romanzo. Non mancherò di recensire sia il film che il libro. Si noterà che Dick aveva gestito meglio l'argomento...

  Giovanni De Matteo: Però in questo caso serve proprio a dare un senso alla pervasività culturale della dittatura. I Beatles magari si sarebbero chiamati così ma non avrebbero fatto le stesse canzoni e sarebbero stati sicuramente asserviti all'agenda del partito.

  Marco Moretti:  I quattro forse sarebbero esistiti comunque come persone fisiche, visto che Lennon e Starr sono nati nel '40, McCartney nel '42 e Harrison nel '43. Tuttavia le condizioni della formazione sono state così delicate che non sarebbe potuta avvenire in un'Inghilterra tanto diversa: troppi eventi delicatissimi in causa.


  Giovanni De Matteo: Questo è senz'altro vero, ne facevo un discorso più generale.

  Roberto Furlani: Posto che le ucronie con il nazismo che ha prevalso hanno letteralmente triturato i cosiddetti, se non si fossero formati i Beatles non sarebbe di certo stata la conseguenza peggiore della tirannia teutonica. Mi avrebbe seccato più rinunciare alla libertà che a "Yellow submarine".

  Giovanni De Matteo: Vera la prima parte, ma in un trittico ideale di letture sul tema The Man in the High Castle, Fatherland e The Plot against America ci stanno tutti. Sono forse le uniche letture veramente necessarie. Però a me i Beatles sarebbero mancati, anche in quanto sinonimo e paladini della liberazione dei costumi.

  Marco Moretti: Se Hitler fosse riuscito a prevalere, o non esisteremmo fisicamente, oppure avremmo un sentire tanto diverso che non sapremmo nemmeno che definizione dare al concetto di "libertà": senza un confronto con il nostro mondo la questione sarebbe di lana caprina. La mia considerazione sui Beatles non riguarda tanto la politica, quanto l'ontologia temporale, ossia la natura del tempo.

  Giovanni Agnoloni: Diciamo, Giovanni, che difficilmente avrebbero potuto fare peggio di obladì obladà :D

  Giovanni Agnoloni: E Across the Universe, e A Day in the Life

  Roberto Furlani: Ho l'impressione che abbiamo le stesse preferenze. ;)

  Marco Moretti: Se lo sbarco in Normandia fosse fallito (presupposto del film), anche il corso della guerra degli USA contro il Giappone non sarebbe stato quello che conosciamo. Tutti gli eventi posteriori al 6 giugno 1944 sarebbero stati molto diversi. Il problema è che non abbiamo elementi per effettuare una ricostruzione attendibile. Non comprendiamo bene le variabili in causa. Per quanto riguarda la trama del film, la trovo raffazzonata. Il finale è a dir poco precipitoso. Ne consiglio comunque la visione.

  Alex Tonelli:  Anche Turtledove si cimento' con una ucronia simile... ah.. Eleonor Rigby is the best! :)

  Marco Moretti: Però nei romanzi di Turtledove il punto di discontinuità era l'invasione della Terra ad opera di una specie di giganteschi lucertoloni, quindi un elemento estraneo alle dinamiche storiche umane. Per quanto riguarda le canzoni dei Beatles, non mi piacciono un granché: quando si sono formati i miei gusti musicali, mi sembravano già obsolete.

  Alex Tonelli: Caro Marco mi riferivo a questo:


  Marco Moretti: Ti ringrazio della segnalazione, non ne ero a conoscenza. Del resto Turtledove non è tra i miei autori preferiti. Interessante la pagina di Fantascienza.com, in cui spicca uno splendido "tré figlie".

Trovo interessante l'intervento di Roberto Furlani sulla natura molesta di questo genere di letteratura e di filmografia. Ribadisco che le ucronie fondate sul Nazionalsocialismo si sono sviluppate in una mala pianta e sono devastanti: equivalgono a mettere i cabbasisi su una grande lastra di marmo e a far gravare su di loro una pila di volumi della Treccani, fino al completo spappolamento! Per quanto mi riguarda, poteva ben bastare il romanzo dickiano La Svastica sul sole (The Man in the High Castle), che pure presenta pecche di non poco conto, come ad esempio il finale inconsistente.

I Beatles nel romanzo di Harris

A dire il vero, nonostante il buon Giovanni De Matteo non lo ricordi, i Beatles sono stati portati in scena nelle pagine del romanzo di scarsa utilità da cui è stato tratta l'opera di Menaul. Vero è che non sono menzionati per nome, tuttavia il riferimento è inequivocabile. Eccolo: 

Un pezzo del critico musicale che attaccava i "lamenti perniciosi e negroidi" di un complesso di giovani inglesi di Liverpool, che aveva suonato di fronte a una folla strabocchevole di giovani tedeschi ad Amburgo.

No, i Fab Four non sono immaginati mentre cantano testi dettati nell'agenda della NSDAP, ad esempo qualcosa del tipo: "Alle armi, Camerati, per l'ultima battaglia razziale! Il giorno dello sterminio dei subumani è arrivato! La Svastica splende nel cielo come un milione di soli, annunciando il trionfo eterno della Razza Ariana!" Anche perché simili canzoni erano tipiche degli Alte Kämpfer, i vecchi combattenti della NSDAP ai tempi di Weimar, i Protonazisti. Che bisogno ci sarebbe di cantare queste cose in un'epoca in cui l'agenda politica del Partito si è realizzata, in cui si è immanentizzato l'Eschaton? Nessuno. Allo stesso modo, nemmeno si è pensato di far esibire i cantanti di Liverpool con un testo di Imagine in cui anziché "and no religon too" si sente "and not a single jew". Perché mai si dovrebbe, se di fatto - a quanto la gente ne sa - nella Grande Germania non c'è davvero più un solo ebreo? Infatti Harris non arriva a tanto. I Fab Four cantano proprio Ob-La-Di Ob-La-Da, Yellow Submarine, Lucy in the Sky with Diamonds e altri brani del loro repertorio, a cui siamo abituati fin da giovani. Questo pone problemi concettuali molto gravi. Come può credere Harris che nel Reich di Hitler sarebbe possibile anche soltanto qualcosa che va contro i princìpi del Nazionalsocialismo tedesco? Evidentemente Harris non sa nulla del Nazionalsocialismo, come non ne sa nulla Menaul.

Un finale senza senso

Dovrei definirlo "un finale meritevole di irrisione", ma non lo faccio perché non irrido i Morti. Proprio perché rispetto i Morti, penso che quanto concepito dalla mente di Harris e di Menaul sia qualcosa di inverecondo. Trovo molto difficile credere che un agente della Polizia Criminale del Reich possa saltare sulla macchina del presidente John Patrick Kennedy, consegnandogli le prove del Genocidio e convincendolo di colpo a rinunciare all'alleanza con Adolf Hitler. Secondo voi che sarebbe successo? Ecco come sarebbe andata se un evento simile fosse davvero accaduto. Primo: il Presidente degli USA, vedendo Xavier March, si sarebbe subito chiesto: "Chi cazzo è questo minchione?". Secondo: avrebbe gettato via i documenti, sdegnato. Persino di fronte alle foto, avrebbe pensato che fossero il frutto di qualche manipolazione, quindi in sostanza dei falsi. Il finale presuppone che Xavier March coi documenti sull'Olocausto sarebbe stato in grado di trasmettere a J.P. Kennedy tutta la sensibilità sull'argomento che è tipica del nostro corso storico e che è frutto di decenni di martellanti campagne di informazione che raggiungono tutti già fin dalla più tenera età. No. Il vecchio Kennedy non avrebbe fatto nulla nemmeno di fronte a qualche foto di persone morte di stenti e sottoposte a inaudite brutalità. Prima di tutto perché egli stesso proveniva da un paese in cui un feroce antisemitismo era diffuso in modo capillare (Harris ci rammenta che nei club di Boston non era stato ammesso un solo ebreo da cinquant'anni). Inoltre vale il principio della non trasferibilità istantanea di esperienze complesse. J.P. Kennedy non era stato educato in un sistema scolastico fondato sull'antifascismo e sull'antinazismo, in cui Adolf Hitler è giunto ad assurgere a Male metastorico. Non aveva mai letto il Diario di Anna Frank. Non aveva mai visto Schindler's List di Steven Spielberg. Non aveva mai visto Shoah di Claude Lanzmann. Non era mai stato esposto durante l'infanzia a un gran numero di foto in bianco e nero di montagne di cadaveri. Non poteva avere alcuna sensibilità sulle persecuzioni degli Israeliti, proprio perché la sua intera esistenza era il frutto di un mondo molto distante dal nostro. Ancora una volta, gli ucronisti ritagliano qualcosa dalla nostra realtà e lo appiccicano sulle loro costruzioni mentali, facendone qualcosa di incongruo.

Hitler, March e la coscienza

C'è un'altra cosa degna di nota. Il film vuole farci credere che un membro a tutti gli effetti del Partito Nazista, Xavier March, subisca nel corso degli eventi una sorta di sconvolgimento morale, che lo porta ad abbordare il Presidente degli Stati Uniti, con l'intento di metterlo di fronte ai crimini di Hitler. C'è tuttavia un problema in questa narrazione fumettistica. Adolf Hitler riteneva la coscienza, ossia la capacità di distinguere il Bene dal Male, una pura e semplice "invenzione giudaica" e una "sudicia tirannia". Egli affermava di essere venuto per cancellarla. Voleva dare origine a un Uomo Nuovo completamente sprovvisto di coscienza, la cui morale fosse un'emanazione dei princìpi del Nazionalsocialismo, il cui sole radiante era proprio il Führer, incarnazione mistica della Germania. A scuola non lo insegnano, ma si trattava di una religione vera e propria, non di un banale "odio per la diversità". Ecco, in una ventina di anni dopo il trionfo bellico, il Nazionalsocialismo sarebbe riuscito a cancellare il concetto di coscienza dal Reich e a sostituirvi i propri contenuti. Credo che sia impensabile immaginarsi un agente della Polizia Criminale immune da questo condizionamento profondo, da questa educazione religiosa fanatica. Facciamo un esempio concreto ma significativo. Nel sistema morale hitleriano, bere in eccesso era per un membro del Partito un significativo fallimento morale, mentre uccidere un prigioniero durante un interrogatorio era considerato irrilevante. Pensate che un uomo cresciuto in un simile contesto tremerebbe come una gelatina di fronte a qualche fotografia di gente torturata e uccisa? Non gliene importerebbe nulla, e mai arriverebbe anche solo a concepire di tradire la propria Patria per questo. Ovvio, stiamo parlando di concetti fuori dalla portata di Harris e di Menaul, che faticherebbero meno a capire le categorie di un popolo alieno abitante oltre gli ultimi Quasar. Ecco perché le loro opere hanno la stessa credibilità del personaggio di Attila Canarinis interpretato da Totò.

giovedì 10 novembre 2016


CANDIDO, O L'OTTIMISMO 

AKA: Candido, ovvero l'ottimismo; Candido
Titolo originale: Candide, ou l'Optimisme
Autore: François-Marie Arouet, detto Voltaire
Lingua originale: Francese
Anno: 1759
Genere: Racconto filosofico, satira

Trama: 

In Vestfalia vive Candido, un giovane orfano dall'animo puro, ospite nel castello del Barone Thunder-den-Tronckh (si noti il nome pseudotedesco) e secondo alcune voci suo figlio illegittimo. Candido conduce un'esistenza spensierata e segue le lezioni del precettore Pangloss, filosofo iperottimista secondo cui ogni cosa ha la sua ragione d'esistere. Se ai nostri tempi i filosofi sono detestati vivamente dal gentil sesso, tanto che spesso sono segregati e impossibilitati ad accoppiarsi, Pangloss era invece un incorreggibile donnaiolo che approfittava volentieri delle contadinotte, esplorandone il corpo e stantuffandole. Candido ama la bella Cunegonda e passa gran parte del suo tempo ad osservarla. Lei spia le gesta di Pangloss e ispirata da ciò che ha visto bacia Candido dietro un paravento. Le effusioni vengono però scoperte, così il Barone furibondo bandisce Candido dal castello. Poco dopo la partenza dell'orfano, accade che i Bulgari calano sul castello espugnandolo. Il Barone viene trucidato con la sua famiglia: l'unica superstite è Cunegonda, di cui però si perdono le tracce. Ha inizio una serie vorticosa di peripezie. Candido viene arruolato a forza dai Bulgari e quando cerca di fuggire viene bastonato da duemila soldati. Condannato a morte e graziato, riesce infine a fuggire, ritrovando Pangloss consunto dalla lue. 

Un mercante anabattista di nome Jacques (Giacomo) dà a Candido e a Pangloss un passaggio sulla sua nave, che giunge a Lisbona, devastata dallo spaventoso terremoto del 1755. Jacques muore in una tempesta, Pangloss viene condannato a morte dall'Inquisizione e impiccato, Candido è fustigato a sangue. Una vecchia, che lo raccoglie e lo cura, si rivela una conoscente della bella Cunegonda, oltre che la figlia illegittima di un papa. Finita a Lisbona, la figlia del Barone di Vestfalia è diventata l'amante di due uomini: il Grande Inquisitore e il giudeo Don Issacar. Candido li uccide entrambi. Non gli resta che fuggire su una nave assieme a Cunegonda, alla vecchia e al servitore Cacambo, arrivando in Argentina, nel porto di Buenos Aires. Mentre la vecchia e la nobildonna di Vestfalia sono ospitate nel palazzo del Governatore, Candido e Cacambo vanno a nord, trovando rifugio tra i Gesuiti. Senonché si viene a scoprire che il Generale dell'Ordine è proprio il fratello di Cunegonda, che si oppone alle nozze di Candido con la sua amata. Nella lite che ne segue, Candido uccide il gesuita. Assieme a Cacambo fugge attraverso la foresta, inoltrandosi nelle terre dei cannibali Orecchioni. Avuta salva la vita per il rotto della cuffia, i due risalgono il fiume finendo nel mitico paese di El Dorado. Si tratta di una valle impervia tra montagne altissime, in cui abita un popolo di un'incredibile ricchezza, che considera l'oro e le pietre preziose dello stesso valore del fango. Siccome le genti di questo regno incantato hanno come lingua il Quechua, Cacambo li intende alla perfezione ed è in grado di fungere da traduttore. El Dorado è un paese utopico abitato da consanguinei degli Incas, in cui non divampa mai un litigio, in cui è sconosciuta la guerra (nonostante in Quechua esistano parole ben adatte a descrivere questi concetti). Candido e Cacambo si allontanano dalla felice terra andina carichi di oro e di preziosi.

Ritornati a Buenos Aires con il progetto di riscattare Cunegonda, i due vengono ad apprendere la notizia delle sue nozze forzate col Governatore. In preda alla disperazione, Candido decide di fare ritorno in Europa. Incontra un manicheo di nome Martino, la cui Dottrina contrasta in ogni dettaglio con le mortifere bugie di Pangloss, affermando la Verità sulla natura maligna dell'Esistanza. Eventi funesti portano Candido a dividersi da Cacambo e a iniziare una serie di peregrinazioni per la Francia e per l'Inghilterra, incontrando sul suo cammino numerosi personaggi grotteschi, come Girofléé, un fratacchione evaso dal suo convento con la precisa intenzione di farsi turco, ossia di convertirsi all'Islam. Gli accadimenti sono convulsi. Alla fine Candido incontra nuovamente Cacambo. Su una galera ottomana giungono a Costantinopoli per scoprire che Cunegonda è finita in stato di schiavitù. Alla fine Candido, Cacambo, Martino il Manicheo, il redivivo Pangloss, la servetta sifilitica e il fratacchione turchizzato finiscono a vivere in una modesta fattoria nei pressi della capitale dell'Impero Ottomano, comprata con i residui delle ricchezze portate da El Dorado e ormai ridotti a ben poca cosa. Qui coltiveranno i pistacchi e altri ortaggi, costretti ad abbandonare discussioni e filosofemi per prestare le loro cure alla terra.  

Recensione: 

Splendido racconto filosofico, il cui principale intento è la confutazione delle aberrazioni diffuse dalla teodicea di Gottfried Wilhelm von Leibniz, un malfattore che sosteneva a spada tratta la natura buona dell'Universo. Proprio Leibniz è ritratto da Voltaire nelle sembianze dell'insopportabile Pangloss. A quanto consta, l'ispirazione è giunta al filosofo francese dal terremoti inaudito che ha raso al suolo Lisbona, facendo un gran numero di morti, incredibile per l'epoca. Questa catastrofe ha dato origine ad accanite discussioni sulla teodicea, mettendo in profondissima crisi il mondo cattolico. I fedeli del Papa credevano infatti che mai e poi mai Dio avrebbe potuto colpire una città cattolica, capitale di un regno che tanto si era dato da fare per evangelizzare le genti. Secondo i loro schemi, Dio avrebbe dovuto devastare un paese protestante. L'accaduto era del tutto inesplicabile e segnò l'inizio di mutamenti irreversibili nella Storia d'Europa. Se siamo arrivati al pontificato di Jorge Pompeo Bergoglio, dallo spessore teologico nullo, in cui sfrenati appetiti feticisti sono etichettati come "umiltà evangelica" - mentre sono in realtà libidine bella e bona - è per via di una catena di eventi iniziata proprio col Grande Terremoto che sconvolse Lisbona e che tanto colpì l'immaginazione di Voltaire. 

Etimologia di Pangloss
e genealogia della sifilide

Il nome Pangloss, di per sé assai bizzarro, è senza dubbio satirico. Voltaire lo derivò infatti dal greco πᾶν "tutto" e γλῶσσα "lingua". Ne conseque che Pangloss significa "Tutto lingua", con riferimento alla sua retorica ottimista di chiara origine leibniziana. "Viviamo nel migliore dei mondi possibili", ripete a pappagallo l'istitutore, a ogni piè sospinto, anche di fronte alle evidenze più avverse. Nella Natura maligna nulla lo piega: se la sifilide lo deturpa e gli divora il naso, egli baldanzoso sostiene che senza quell'atroce morbo giunto dalle Americhe non conosceremmo la cioccolata. Il brano in cui il sostenitore della teodicea fa l'apologia del Treponema pallidum è stato addirittura soggetto a censura e omesso dall'edizione ottocentesca del racconto. Lo riporto in questa sede (traduzione di Paola Angioletti): 

Ella ne era infetta, forse ne è morta. Paquette aveva avuto questo regalo da un frate francescano molto colto, il quale era risalito all’origine: infatti egli l’aveva preso da un capitano di cavalleria, che lo doveva a un paggio, che l’aveva preso da un gesuita il quale, da novizio, l’aveva ereditato in linea diretta da un compagno di Cristoforo Colombo. Quanto a me, non lo darò a nessuno, perché sto morendo.
- O Pangloss! gridò Candido, che strana genealogia! Certamente il diavolo ne è il capostipite! - Niente affatto, replicò quel grand’uomo: era una cosa indispensabile nel migliore dei mondi, un ingrediente necessario: poiché, se Colombo non avesse preso in un’isola dell’America questa malattia che avvelena la sorgente della generazione, che spesso anzi impedisce la generazione e che evidentemente è l’opposto del gran fine della natura, noi non avremmo né cioccolata né cocciniglia; bisogna ancora osservare che fino ad oggi questa malattia esiste solo nel nostro continente, come le dispute. I Turchi, gli Indiani, i Persiani, i Cinesi, i Siamesi, i Giapponesi, non la conoscono ancora; ma c’è una ragione sufficiente perché la conoscano a loro volta fra qualche secolo. In quest’attesa, essa ha fatto progressi meravigliosi fra noi, e soprattutto fra quei grandi eserciti composti di onesti stipendiati così cortesi, i quali decidono il destino degli Stati; si può ben affermare che, quando trentamila uomini combattono schierati in battaglia contro truppe di numero uguale, ci sono circa ventimila sifilitici da ogni parte. 

Il mistero di Cacambo

Voltaire ci descrive Cacambo come un meticcio di Tucumán, per tre quanti indio e per un quarto spagnolo, che parlava la lingua del Perù, ossia il Quechua. Così ci dice l'Illuminista, che nella provincia di Tucumán non si sente parlare altro idioma. Cacambo tuttavia porta un nome non Quechua che ha la sua radice nella lingua dei Diaghiti, il Kakán: è formato tramite un suffisso -bo a partire dal nome stesso della lingua, una radice che compare anche nel nome del Dio delle Tempeste, Kakanchig e in alcuni cognomi come Cacana e Cacanay.
L'etimologia di Kakán è stata a lungo fraintesa. Tradizionalmente è ricondotto al Quechua qaqa "roccia, pietra", e Kakanchig è interpretato come "Nostra Pietra". Tuttavia noi vediamo che queste parole non sono Quechua e che l'idioma Kakán, pur avendo molti prestiti dalla lingua di Cuzco, non è con essa imparantato. Nel Quechua di Santiago del Estero, che tuttora mostra numerosi vocaboli di sostrato riconducibili al Kakán, il teonimo è pronunciato Kakanchik, con /k/ e non con /q/: non risale assolutamente al Quechua qaqa. La terminazione -chik in questa parola non corrisponde affatto alla desinenza Quechua per "nostro". Tutto il contrario. Il nome della lingua, Kakán, significa "Nostro", proprio come Kunza, il nome della lingua degli Atacameños. Così la radice chic, chig, chiz significa "Dio, Sommo", proprio come nella lingua degli Huarpe Chis Tactao è il cielo. Kakanchig significa "Nostro Dio". L'antroponimo Cacana significa "Nostra (Terra)", e da esse deriva Cacanay col tipico suffisso di derivazione Kak
án -ay. Tutto chiarissimo. Il Kakán, estinto da tempo, era un lontano parente del Kunza e della lingua degli Huarpe. Quest'ultima aveva in aggiunta numerosi prestiti dal Kakán (tra questi proprio tactao "villaggio"). Pubblicherò la mia opera di ricostruzione di quell'idioma perduto in un'altra occasione.
Il punto è questo: come faceva Voltaire ad essere a conoscenza di un antroponimo Kak
án correttamente formato? Forse ha conosciuto lui stesso un indio di nome Cacambo, oppure ha avuto occasione di leggere la grammatica e il vocabolario del Kakán composti da Padre Bárcena (Barzana), opera di capitale importanza e oggi malauguratamente perduta per colpa delle velenose congiure della stramaledetta Setta Massonica.


Donne che si accoppiano con le scimmie!

Nel corso delle avventure di Candido e dei suoi compagni compaiono due misteriose creature, scimmie gigantesche che godono dei favori sessuali delle donne della tribù nativa degli Orecchioni. Nulla a che vedere con i famigerati ricchioni o busoni di Sodoma! Si tratta di genti indiane famose per i loro ornamenti auricolari, che deformavano i lobi e i padiglioni allungandoli in modo grottesco, donde il nome spagnolo di Orejones. La narrazione che fa Voltaire è tanto spassosa quanto tragica: 

Il sole tramontava, quando i due smarriti sentirono alcune piccole strida, che parean di femmine; essi non sapevano se quelle strida eran di dolore, o di gioja; si alzaron precipitosamente con quella inquietudine, e con quello spavento che tutto inspira in un paese incognito. Quei clamori si partivano da due giovani, che leggermente correvano lungo la sponda della prateria, mentre due scimmie le mordevano alle spalle. Candido ne fu mosso a pietà; aveva egli imparato a tirare da' Bulgari, ed avrebbe colpito una nocciuola in mezzo a un cespuglio, senza toccar le foglie; prende egli il suo fucile spagnuolo a due canne, tira e ammazza le due scimmie. - Dio sia lodato, mio caro Cacambo, io ho liberato da un gran periglio quelle due povere creature; se ho commesso un peccato ammazzando un inquisitore e un gesuita, io vi ho ben rimediato, salvando la vita a due giovani, saran forse due damigelle di condizione, e questa avventura ci può procurare gran vantaggi nel paese.
Volea più dire, ma restò colla parola in bocca quando vide quelle due giovani abbracciare teneramente le due scimmie, cadere piangendo su’ loro corpi ed empir l’aria di dolorose grida. - Io non mi aspettava un cuor tanto buono, disse finalmente a Cacambo, il qual gli replicò: - Voi avete fatto un bel servizio padron mio: avete ammazzato i due amanti di quelle damigelle. - I loro amanti! è possibile? Tu mi burli, Cacambo, come posso crederlo? - Mio caro padrone, interrompe Cacambo, voi vi fate sempre maraviglia di tutto; perchè ha egli a parervi strano che in qualche paese vi sieno delle scimmie che ottengano simpatie dalle dame? esse son un quarto d’uomo com’io sono un quarto di spagnuolo. - Ah, ripiglia Candido, mi sovviene d'aver inteso dire dal mio maestro Pangloss, che altre volte sono accaduti simili accidenti, e che avean prodotto degli Egipani, de' Fauni, dei Satiri, stati veduti dai più gran personaggi dell'antichità; ma io la credeva un favola. - Ora dovete esserne convinto, disse Cacambo. Quel che io temo per altro, è che quelle dame non ci pongano in qualche imbroglio.

Ebbene, i paesi in cui le scimmie sono protagoniste dei sogni erotici delle donne sono numerosissimi, tanto da potersi dire più la norma che eccezioni! Tra questi - e lo dico con amarezza estrema - si può senza dubbio annoverare l'Italia, terra in cui Leopardi è schernito da un gran numero di donne che sognano poi di masturbare i peggiori malfattori e di farsi da loro montare. Questo perché vedono nel malfattore un pallido riflesso della scimmia che così intensamente concupiscono! 

Un racconto ucronico oppure onirostorico?

Alcuni elementi non combaciano con il nostro corso storico. La vecchia incontrata a Lisbona da Candido dice di essere figlia di Papa Urbano X, che è un pontefice immaginario. Questo potrebbe essere un elemento ucronico. Tuttavia se alcuni eventi sono reali, come il terremoto del 1755, numerosi altri sono immaginari e improbabili, in ogni caso non riconducibili a un Punto di Divergenza. El Dorado non appartiene di certo al mondo reale e difficilmente una simile utopia potrebbe esistere. I Prussiani sono chiamati Bulgari e i Francesi sono chiamati Abari, con un nome con ogni probabilità ispirato da quello degli Àvari, parenti degli Unni. Queste considerazioni potrebbero far propendere per l'attribuzione del racconto al reame dell'onirostoria.