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lunedì 15 luglio 2019


SEROTONINA

Autore: Michel Houellebecq
Titolo originale: Sérotonine
Anno: 2019
Lingua: Francese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Distopico, esistenziale 
Editore: La nave di Teseo
Collana: Oceani
Traduzione (in italiano): Vincenzo Vega
Traduzione (in inglese): Shaun Whiteside
Codice EAN: 9788893447393 

Sinossi (da Googlebooks):
Florent-Claude Labrouste è un quarantaseienne funzionario del ministero dell'Agricoltura, vive una relazione oramai al tramonto con una torbida donna giapponese, più giovane di lui, con la quale condivide un appartamento in un anonimo grattacielo alla periferia di Parigi. L'incalzante depressione induce Florent-Claude all'assunzione in dosi sempre più intense di Captorix, grazie al quale affronta la vita, un amore perduto che vorrebbe ritrovare, la crisi della industria agricola francese che non resiste alla globalizzazione, la deriva della classe media. Una vitalità rinnovata ogni volta grazie al Captorix, che chiede tuttavia un sacrificio, uno solo, che pochi uomini sarebbero disposti ad accettare.


Recensione: 
Il sacrificio a cui Florent-Claude Labrouste si sottopone è lo stesso che Giulio Cesare, magistralmente interpretato da John Wayne, in un vecchio film storico rinfaccia a un astronomo egiziano. In poche parole, si tratta della castrazione. Una castrazione chirurgica, nel caso dell'uomo di Scienza della corte di Cleopatra. Una castrazione chimica, ma non meno efficace, nel caso del dipendente del Ministero dell'Agricoltura. Impotenza assoluta indotta dal farmaco. Il Captorix, per l'appunto. Quando una cantante bionda e prosperosa si inginocchia davanti al protagonista nel corso di un incontro dopo tanti anni di separazione - e gli prende in bocca l'uccello - ecco che lo spermodepositore flaccidissimo non mostra segni di vita. Dopo qualche minuto d'insistenza, la fellatrice smette di lavorare il glande con le labbra e con la lingua: capisce che non c'è più niente da fare. Gli ex amanti si lasciano quindi come se tra di loro ci fosse sempre stato soltanto il più mortificante tra i possibili rapporti tra maschio e femmina: ciò che con infame eufemismo è denominato "amicizia". Com'è risaputo, l'animale che le donne più odiano è il camoscio: se si imbattono in un esemplare, serbano rancore per tutta la vita. Il teatrino mi è parso davvero buffo. Nella mia fantasia mi sono immaginato la donna con tratti simili a quelli di una melomane e grandissima cornificatrice, che ha ornato il cranio del marito di palchi colossali, da fare invidia a un cervo gigante della megafauna pleistocenica. Labrouste non è soltanto quello che il Necchi chiamava "un non trombante". Il Captorix, inutile girarci intorno, è uno strumento di lobotomia chimica. Dovrebbe limitarsi a stimolare la produzione di serotonina (l'ormone della felicità). Il sospetto è che in pratica lesioni il lobo frontale. Ecco perché impedisce di sentirsi avvolti dal nero e oleoso tocco della depressione. Così Houellebecq definisce la pillola magica partorita dal suo ingegno:      

«È una piccola compressa bianca, ovale, divisibile. Non crea né trasforma; interpreta. Ciò che era definitivo, lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile, lo rende contingente.»

E ancora:
«non dà alcuna forma di felicità, e neppure di vero sollievo, ma trasformando la vita in una serie di formalità aiuta gli uomini a vivere, o almeno a non morire, per qualche tempo.» 

L'impotenza assoluta è un effetto collaterale che nessuno a quanto pare sa spiegarsi, un'ironia del Diavolo. Lo scrittore francese tenta persino un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica o, meglio, di pseudospiegazione scientifica. Lo stravagante dottor Azote, il cui cognome significa "Senza Vita", rivolge queste parole al suo paziente: 

«Comunque vorrei che facesse un prelievo di sangue, per controllare il tasso di testosterone. Di norma dovrebbe essere bassissimo, la serotonina prodotta per mezzo del Captorix inibisce la sintesi del testosterone, contrariamente alla serotonina naturale, non mi chieda come mai perché non se ne sa niente.» 

Eppure, anche seguendo questa terapia, il misero travet è ben lungi dall'essere diventato un puffo! Continua a vedere il mondo come l'ammasso escrementizio che è.

«In Occidente nessuno sarà più felice, pensava ancora, mai più, oggi dobbiamo considerare la felicità come un’antica chimera, non se ne sono più presentate le condizioni storiche.» 

Una lucida quanto annichilente disamina della nostra condizione. Apparteniamo a una civiltà moribonda, il cui exitus non è lontano. Crolleremo sotto il peso di infinite criticità. Senza contare una cosa che forse potrà apparire banale ma non lo è. Chi ha detto che abbiamo il diritto di essere felici?    

Una nipponica antropofaga e genocida    

Il protagonista ha un crollo esistenziale quando scopre la verità sulla sua compagna, la giapponesina di nome Yuzu. La donna d'Oriente ha lasciato traccia delle sue imprese erotiche in alcuni densi filmati in formato mp3, che inviava alle sue amiche. Praticava le gangbang spermatiche: decine di uomini si masturbavano intorno a lei nuda e inginocchiata, per poi scaricarsi a turno nella sua bocca e sulla sua faccia. Lei ingurgitava il liquame seminale, uccidendo milioni di spermatozoi nell'acido del suo stomachino, per poi avviarli con la peristalsi alle fetide caverne del suo ventre serico, finendo col trasformarli tutti in merda! Prendeva l'essenza stessa di ogni uomo, ciò che contiene tutte le istruzioni per replicarne una copia, un clone, quindi con un'operazione di Magia Nera degradava tale codice genetico, riducendolo a scoria, a schifosissima abominazione. Quando un amante si accingeva a leccare l'ano di Yuzu, sul roseo sfintere c'erano particelle microscopiche che recavano traccia della degradazione stercorale degli homunculi inghiottiti! Questi esserini agonizzanti, destinati a morire asfissiati già al loro scaturire nella bocca della donna, dopo qualche ora fuoriuscivano come terriccio pastoso dall'orifizio tanto desiderato da altri uomini ansiosi di sburrare, rinnovando il ciclo del sacrificio a Moloch! Non basta. La giapponesina non si limitava ad amanti umani. Si faceva possedere carnalmente da grossi cani! Mentre ciucciava la rubizza virilità di un esemplare robusto, credo un pitbull, un altro animale nerboruto, se non erro un alano, faceva scivolare i suoi corpi cavernosi nella vagina accogliente della ninfomane nipponica. Alla fine usciva il materiale genetico canino. Anche in questo caso gli spermatozoi eiettati nel cavo orale venivano trangugiati a boccate e condotti nel loro luogo di digestione, verso la nemesi dell'assimilazione e del rifiuto. I caldi girini che inondavano il vaso procreativo, nell'impossibilità di fecondare un ovulo, morivano tutti soffocati, lentamente, in un'agonia estenuante. E pensare che Labrouste è sempre stato perplesso dalla complessità e dalla stranezza della vulva della sua compagna. Per questo motivo preferiva consumare la sua vita di coppia intrudendo il fallo nel retto femminile ben lubrificato. Le papule sul glande subivano lo sfregamento con le aspre superfici degli stronzi formati nell'ultimo tratto intestinale e già pronti all'evacuazione. Scavando nell'anfratto merdoso, ecco che il miracolo si ripeteva ogni volta: una marea di seme invadeva la spelonca stercoraria, tingendosi di bruno da candida che era, contaminandosi e consumandosi in un'ecatombe inenarrabile di creature uccise. Crema di aborti mista a bruttura fecale! Ovviamente mi faccio beffe della dottrina dell'homunculus, professata dai tristi fetolatri di Verona: reputo il seme un po' di muco che esce da un budellino. Ho però dimostrato che è possibile utilizzare la morte degli spermatozzi (sic) per produrre bizzarre creazioni letterarie, che dovrebbero far meditare sulla nullità della natura umana. Tra i pochi lettori capitati qui per caso, spero che qualcuno abbia avuto un'erezione leggendo queste righe morbose.

Etimologia di Captorix 

Trovo davvero bizzarro l'aspetto fonetico del nome del farmaco houellebecquiano, che ricorda i famosi antroponimi celtici in -rīx "Re". Possiamo ricostruire un antroponimo gallico *Caχtorīx "Re dei Prigionieri" (-χ- trascrive una forte aspirazione): la cosa è ancor più sorprendente dal momento che *caχtos "prigioniero; schiavo" (antico irlandese cacht, gallese caeth) è proprio la naturale evoluzione di un precedente *captos, che troviamo anche nel latino captus "preso" e captīvus "prigioniero". L'antroponimo gallico trascritto come Moenicaptus dimostra che il gruppo -pt- era conservato in qualche variante della lingua: ecco che *Captorīx diventa un nome del tutto credibile! Sarà un purissimo caso? Non mi si dica che Houellebecq conosce il gallico! Come mai anche in autori che non sembrano avere conoscenze di lingue antiche, paiono emergere frammenti di nozioni occulte che hanno tutta l'aria di provenire da mondi perduti? Caso? Coincidenze? Sincronicità junghiana? Entanglement quantistico? Oppure queste cose accadono perché la vita che viviamo non è altro che un incubo delirante? Ne sono sempre più convinto: quest'ultima è la spiegazione giusta. Forse un giorno mi sveglierò e capirò tutto!

L'istinto del leone 

A un certo punto, allo scopo di riconquistare una sua vecchia fiamma, Labrouste è preso da una forza irresistibile quanto aberrante. Vuole uccidere il figlio piccolo della donna, un'affascinante morettina, sperando assurdamente di poter indurre in lei il calore e di poterla così fare nuovamente sua. Studia tutto nei minimi particolari: si reca in un albergo abbandonato che si trova non lontano dalla casa in cui la sua amata vive col figlio, per poter colpire il giovanissimo con un fucile di precisione e stroncare la sua vita. Proprio quando l'orrido piano sembra scattare e andare in porto, subentra un tremore della mano che lo fa fallire. L'uomo è preso da una subitanea onda d'orrore e si ritrae. La forza inumana che lo aveva posseduto fino a pochi istanti prima si è ormai dileguata per sempre. È proprio quella stessa forza che spinge i maschi dei leoni a trucidare i cuccioli che la leonessa ha generato in precedenti relazioni! Cosa sperava di ottenere in realtà? Credeva davvero che tutto si sarebbe aggiustato se avesse compiuto l'infame delitto? Non si rendeva neanche più conto di essere impotente a causa del Captorix? In realtà lui voleva vendicarsi. Voleva punire la donna che lo aveva abbandonato per concepire un figlio con uno sconosciuto, agendo spinta dal Genio della Specie. Con questa scelta, lei aveva rifiutato il suo ex amante, dichiarandone il fallimento biologico. Lo aveva marchiato con un epiteto che brucia anche dopo decenni: SFIGATO.

L'estinzione del ceto medio 

Serotonina non è soltanto un affresco a tinte foschissime di questo malaugurato presente: è anche un geroglifico di un futuro ben più spaventoso che incombe su tutti noi. Descrive un fatto che può essere considerato un portento funesto per l'intero Occidente: il declino del ceto medio. Questa classe sociale di grande importanza langue sempre più in situazioni critiche e si avvia verso l'annientamento. Credo che la cosa sia sotto gli occhi di tutti. Molti anni fa lessi su un libro di storia romana qualcosa che mi colpì in modo profondo. Secondo l'autore, Carlo Bornate (1871 - 1959) uno dei segni del declino dell'Impero Romano fu la scomparsa dell'ordine equestre. Proprio gli Equites, ossia i Cavalieri, costituivano il ceto medio di Roma. Si collocavano a metà strada tra i plebei e i patrizi, costituendo una specie di cuscinetto che attutiva le frizioni sociali. Era proprio l'ordine equestre a permettere l'esistenza e la tenuta dell'ascensore sociale, quel mirabile meccanismo che evita la stagnazione con tutte le sue funeste conseguenze. Fame, tumulti, tirannia e peste! Possiamo ben capire che dal blocco dell'ascensore sociale scaturisce sempre la rovina: poveri sempre più poveri e senza garanzia alcuna di potersi sostentare, plutocrati sempre più ricchi e strapotenti. Piove sul bagnato e altrove imperversa la peggiore siccità. I Gilets jaunes non sono poi così diversi dai Bagaudae dell'epoca imperiale, dal momento che si sono formati dallo stesso ribollente calderone di insicurezza e di disperazione. Ora come allora la causa ultima del disastro è soltanto una: la globalizzazione.  

Un goffo predatore sessuale 

Tra le tante cose strane, Houellebecq descrive un esemplare di paedoraptor. Non si tratta di un rettile preistorico come il velociraptor che tutti abbiamo visto nella saga di Jurassic Park. A prima vista il predatore è in tutto e per tutto simile a un professore tedesco sulla quarantina, che fa sfoggio di un certo lusso. Labrouste si imbatte in lui nel corso di una vacanza nel Cotentin. Non fa la sua conoscenza di persona, certo, si limita a guardarlo da lontano col binocolo. Così scopre che ogni giorno il paedoraptor accoglie nel suo bungalow una bambina sui dieci anni. La giovinetta dà l'impressione di essere avvezza a questo tipo di rapporti. Evidentemente ha appreso come fare qualche soldo manipolando gli uccelli. Così Labrouste approfondisce le indagini, fino ad approfittare dell'uscita del predatore, penetrando così nel suo bungalow, che era stato lasciato aperto. Qui si mette alla tastiera del computer, ovviamente non protetto da password alcuna, accedendo così al materiale pedoporno come se nulla fosse. Il professore tedesco rientra in quel mentre e trova l'intruso, ma non può ovviamente far valere il proprio diritto alla privacy. Labrouste biascica che non parlerà, che non lo denuncerà, approfittando della sorpresa dell'altro per fuggire via a gambe levate. Di lì a poco il pedosauro balza sulla macchina e fugge via con addosso un terrore folle. Si converrà che tutto l'impianto narrativo è a dir poco implausibile.    

Un gravissimo errore 

Vantando la sua smisurata cultura musicale ed elargendola con generosità ai bibliofagi, il geniale Houellebecq scivola su un grosso pezzo di sterco. Per la precisione si tratta di una gigantesca torta di vacca. Certo, non sarà appetitosa come i grassi e unti dolciumi di Gianni M., ma comunque meglio non calpestarla. Unico in tutto il Web ad aver notato la marchiana incongruenza è l'amico C., ossia Cesare Buttaboni. In poche parole riassumo l'accaduto. Quando Labrouste incontra dopo tanti anni il suo compagno di sventure universitarie, il gagliardo normanno Aymeric Florent, i loro discorsi virano sulla musica. A un certo punto il protagonista descrive la passione del nobile per i Pink Floyd e menziona Ummagumma come "il disco della mucca". Cosa c'è di sbagliato? In fondo tutti noi ricordiamo un famoso disco dei Pink Floyd con una bella mucca pezzata in copertina. Il punto è che quel disco non si intitola Ummagumma. Come giustamente il Buttaboni mette in evidenza, è sulla copertina di Atom Heart Mother che compare il famigerato bovino dal manto bianco e nero, dotato di smisurate ghiandole lattifere! Ecco a voi la recensione buttaboniana, la cui lettura raccomando vivamente a tutti:


La domanda che mi pongo è questa: davvero un sapiente come Houellebecq ha potuto commettere un simile svarione? A parer mio, anche se non ne ho prova alcuna, lo ha fatto apposta. Ha ingannato volutamente i lettori. Il motivo non è difficile da comprendere. Noi viviamo ormai un'intera esistenza navigando nel Web ma non sappiamo davvero nulla. Sono passati da un pezzo i tempi in cui la conoscenza la si doveva sudare! Internet è diventato una protesi del nostro cervello, ma il suo funzionamento è fallace. Questo ci vuole insegnare Houellebecq: "Io posso inserire un'informazione falsa, ad esempio posso dire che I miserabili è un romanzo di Alexandre Dumas padre, perché tanto ciò che ho scritto se lo berranno tutti, come una fellatrice spermatofaga manda giù una boccata di sburra da uno sconosciuto in un glory hole!"  

Etimologia di Yuzu  

Mark Montagna di Zucchero, col suo solito paternalismo, ha provveduto a rendermi edotto sull'origine del nome della giapponesina spermatofaga e bestialista erotica. Mi è infatti apparsa, un giorno, la pagina di un sushi bar milanese che pubblicizzava un sake assai peculiare, il cui nome era proprio Yuzu. Si spiegava che yuzu in giapponese è il nome dato a un agrume simile al bergamotto e alla leggera bevanda alcolica che se ne ottiene. La parola in questione, scritta ユズ o 柚子, è un prestito dal coreano yuja (유자), che a sua volta proviene dal cinese yòuzi (柚子) "pomelo". Il peculiare agrume, il cui nome scientifico è Citrus junos, sarebbe originario della Cina centrale e del Tibet, dove cresce anche allo stato selvatico. Sarebbe un ibrido tra il mandarino (Citrus reticulata) e il limone di Ichang (Citrus ichangensis). Durante la dinastia Tang (618 - 907 d.C.) fu introdotto in Corea e quindi in Giappone. Proprio nel Paese del Sol Levante sono state selezionate alcune varietà della pianta, a fini ornamentali Una di queste varietà è chiamata yukô (日本語) e non si trova altrove; lo yuzu fiorito (hana yuzu, 花柚子) è coltivato per i suoi fiori, belli e profumati, mentre lo yuzu leone (shishi yuzu, 獅子柚子) ha frutti con una spessa scorza nodosa.

Microrecensioni e reazioni nel Web

Sul sito www.ibs.it numerosi lettori hanno espresso le loro opinioni. Ce ne sono davvero tante e sono piuttosto eterogenee, mi limito a riportarne alcune: 

Raffaele ha scritto: 

"Libro che divide. O si ama, o si odia."

Simone ha scritto: 

"Houellebecq ha perso mordente. Certo, la sua scrittura asciutta e dissacrante riesce ad evitare la noia, e tutto sommato si legge bene. Però non succede nulla. Ma veramente nulla, nonostante per tutto il tempo ci si attenda un qualcosa che sembra essere nell'aria. Evitabile, a meno che non si sia realmente suoi fan. Ed io lo sono."

Ruud ha scritto:

"La lettura di Houellebecq è sempre spiazzante e disturbante: al di là del continuo e costante indugiare sul sesso, le storie dello scrittore francese costituiscono una veritiera rappresentazione delle nevrosi dell'uomo occidentale moderno, anche ripetutamente profetica per certi versi." 

Antonio Iannone ha scritto: 

"La depressione deprime, per utilizzare una tautologia, ovvero: costringe gli uomini a osservare, non con il nichilismo divertito che tanti consensi brandisce, bensì con la crudezza di un “cuore messo a nudo” l’annientamento di qualsiasi prospettiva. Florent-Claude sopprime una-per-una tutte le possibilità della vita; quelle che non sopprime, sopprimono lui. Il lamento si fa ecolalico, diviene a tutti gli effetti allarme del male. «Non bisogna lasciar crescere la sofferenza oltre un certo livello», confida. Non resta che la fuga, geografica, psichica: romanzesca. "Serotonina" è forse l'opera più narrativa di Houellebecq." 

Carmine ha scritto: 

"Romanzo depresso e deprimente, senza trama nè struttura, una manciata di argomenti buttati dentro a caso (pedofilia, quote latte, psicofarmaci) ma che non hanno la forza di essere provocatori. Un protagonista sempre sull'orlo del suicidio che a un certo punto sarebbe auspicabile, soprattutto quando vorrebbe uccidere un bambino (cosa totalmente senza senso, anche all'interno di un contesto già abbastanza privo di senso). Serotonina è un capolavoro? No, semplicemente Houellebecq non ha più niente da dire, il suo pensiero era già tutto nei romanzi precedenti. Solo con dei contorsionismi intellettuali è possibile attribuire un significato a questo brutto romanzo."

Lorenzo ha scritto:

Sarà ormai ripetitivo, quello che volete, ma un libro di Houellebecq rimane un libro di Houellebecq: da leggere.

sabato 22 giugno 2019

UN PRESTITO NORRENO IN INGLESE: TUSK 'ZANNA'

Meditando sullo strano aspetto fonetico della parola inglese tusk "zanna", mi sono posto il problema della sua etimologia. Innanzitutto i miei ricordi di mitologia nordica mi hanno restituito immediatamente il nome del gigantesco scoiattolo Ratatoskr, che rosicchiava con i suoi acuminati incisivi il Frassino del Mondo, Yggdrasill, avvicinando vieppiù la Catastrofe Finale. Si tratta di un composto, il cui secondo membro può essere così enucleato:

-toskr (m.), zanna 

Non risultano altre attestazioni di questa parola: abbiamo soltanto questo nome del fantomatico roditore, tramandatoci dall'Edda in prosa di Snorri Sturluson e dall'Edda Poetica (XIII secolo). Il primo membro del composto, Rata-, è tradizionalmente associato a Rata (m., gen. di *Rati), nome del trapano usato da Odino per perforare una parete di roccia allo scopo di raggiungere l'Idromele della Poesia (Hávamál, 106, 1). La traduzione di Ratatoskr è riportata come "Dente a Trivella". Esiste però anche un'altra scuola di pensiero, che considera Rata- come un prestito dall'antico inglese ræt "ratto" (inglese moderno rat). Ratatoskr significherebbe quindi "Dente di Ratto". Se devo essere franco propendo per questa seconda ipotesi. Non è poi improbabile che lo stesso nome del trapano odinico fosse un prestito dalla parola anglosassone e avesse il senso originale di "Rosicchiatore". 

Torniamo ora a -toskr. Un termine simile si trova soltanto nell'antico inglese (tusċ, tux "zanna") e in antico frisone (tusk "zanna"). Si suppone che sia derivato da una protoforma *tunθskaz, connessa con il nome del dente, *tunθuz (da cui il gotico tunþus), *tanθu (da cui il norreno tǫnn) - di chiara origine indoeuropea (< *dṇt- / *dent- / *(e)dont-, da cui anche il latino dēns "dente", gen. dentis). Se fosse una forma regolare, dovrebbe avere una vocale lunga. In effetti in antico inglese è riportata anche una variante con vocale lunga, tūsċ, che non ha però continuatori moderni. A quanto pare si tratta di una forma marginale e non si spiega bene la prevalenza della vocale breve nel dominio in cui sono attestati discendenti di *tunθskaz

In ogni caso, l'inglese tusk "zanna" è di certo un prestito dal norreno e prova per via indiretta che l'elemento -toskr doveva essere un vocabolo vitale: nelle parole genuine il protogermanico /sk/ si palatalizza sempre in /ʃ/ già in antico inglese (scritto ) e questo esito è stato ereditato nell'inglese moderno (scritto sh). Infatti esiste una variante dialettale tush "zanna" (anche termine tecnico, col senso di "corta zanna dell'elefante femmina"), con la consonante palatale che ci attenderemmo come naturale evoluzione dall'anglosassone tusċ. La variante tux è frutto di una trasposizione dell'antico nesso /sk/ in /ks/, avvenuta prima della palatalizzazione di /sk/. Questo tipo di metatesi non è infrequente. A quanto mi risulta, tux non ha lasciato discendenti. Possiamo così riassumere la questione: nella lingua moderna alla forma nativa tush si affianca tusk, che è un prestito dal norreno. Simili doppioni non sono una novità nel lessico della lingua di Albione, si pensi per esempio a shirt "camicia" (termine nativo), che convive con skirt "gonna" (prestito dal norreno).

Menziono ora una cosa che reputo degna di nota: esiste nell'inglese moderno un fortuito omofono della forma dialettale tush "zanna": si tratta del termine gergale tush "culo, ano". Ovviamente non c'entra proprio nulla. L'etimologia è in ultima analisi ebraica. Derivato dall'abbreviazione dello yiddish תחת‎ (tokhes), il vocabolo scurrile in questione proviene dall'ebraico תַּחַת‎ (taḥaṯ "culo"). Ricordo la mia assidua frequentazione del sito pornografico www.tushylickers.com, che mostra le gesta di decine di leccatori (e leccatrici) di buchi del culo femminili. Rimasi incuriosito dal nome tushy, che non sapevo spiegarmi. Come ho indagato, ho appreso qualcosa di nuovo. Anche la pornografia più morbosa può avere un interesse etimologico notevole, non mi stancherò mai di ripeterlo.

venerdì 18 gennaio 2019


LAMENTO DI PORTNOY 

Titolo originale: Portnoy's Complaint
Autore: Philip Roth
Anno: 1969
Lingua originale: Inglese
Genere: Romanzo
Sottogenere: Flusso di coscienza, pseudo-autobiografia,
     propaganda antisemita

1a edizione italiana:
1970
2a edizione italiana:
1989
3a edizione italiana: 2005
Editori:
   Bompiani (1970)
   Einaudi (1989, 2005)
Traduttori:
   Letizia Ciotti Miller (1970)
   Roberto C. Sonaglia (1989, 2005)
Codice ISBN (1989, 2005): 978-88-06-17395-1

Titoli tradotti:
   Tedesco: Portnoys Beschwerden

   Spagnolo: El mal de Portnoy
   Francese: Portnoy et son complexe
   Portoghese: Reclamação de Portnoy
   Catalano: El trastorn de Portnoy
   Russo: Случай Портного
   Polacco: Kompleks Portnoya
   Ceco: Portnoyův komplex
   Croato: Portnoyeva boljka
   Rumeno: Complexul lui Portnoy
   Olandese: Portnoy's klacht 

   Svedese: Portnoys besvär
   Danese: Portnoys genvordigheder 

   Finlandese: Portnoyn tauti
   Estone: Portnoy tõbi
   Ungherese: A Portnoy-kór
   Turco: Pornoy'un feryadı
   Neogreco: Η νόσος του Πορτνόυ
   Neoebraico: מה מעיק על פורטנוי
   Persiano: شکایت پورتنوی


Trama: 
Alexander Portnoy è un giovane ashkenazita, figlio di una famiglia ultraortodossa che abita in uno squallido sobborgo di New York, Newark. I tratti salienti dei suoi genitori sono più insopportabili delle Piaghe d'Egitto, tanto che avrebbero indotto al suicidio persino Giobbe. L'iracondo padre, duramente provato da una stitichezza incallita e incurabile, fa l'assicuratore, faticando come Sisifo per riscuotere le somme dovute da una massa di mandingo illetterati nelle zone più infime della megalopoli. La madre è una mortifera Erinni vendicatrice, una spaventosa Gorgone, un autentico concentrato di ossessione e di iperprotettività, una vera e propria fabbrica di psicosi esiziali. Solo per fare un esempio, tutti i cibi dei Goyim sono da lei etichettati come chazerai, ossia come "porcherie", al punto che persino l'ingestione di un semplice, banale piatto di patatine fritte da parte del ragazzo assume contorni apocalittici. A sentir lei, ingurgitare anche soltanto un boccone di aragosta può portare alla morte, come se il Signore degli Eserciti avesse da perdere una gran quantità di tempo a identificare i trasgressori delle più assurde regole alimentari della cucina kosher, allo scopo di fulminarli.
Nel suo incessante flusso di coscienza, steso sul lettino dello strizzacervelli, il sofferente protagonista non ci risparmia i dettagli più schifosi, abietti e grotteschi di queste esistenze assurde. Essere esposti a una simile mole di aberrazioni farebbe passare la voglia di sopravvivere a chiunque, persino ai più estremi biofili. Quando era piccolo, la madre gli menava il pistolino per farlo orinare meglio. Divenuto adolescente, la madre assumeva con lui atteggiamenti provocanti - quando non era troppo impegnata a massacrarlo e a instillargli sensi di colpa. Si converrà che queste sono cose che renderebbero insano chiunque. Il povero Portnoy, alla ricerca di un impossibile riscatto, escogitava trovate ridicole, come quella di nobilitare il suo cognome in un improbabile Porte-Noir, ossia "Porta Nera" in un fanta-francese sgrammaticato, sperando così di far colpo sulle belle shikse, le ragazze non ebree, di cui sogna giorno e notte le tette; in realtà le deformazioni del suo cognome che meglio lo descrivono sono Portnose, ossia "Portanaso", per via del suo colossale nasone, e Portnoise, ossia "Portarumore", per via del suo continuo lamentarsi di ogni minima cosa, in un rantolo permanente da moribondo.

Dopo numerose vicissitudini, alla fine Portnoy conosce la sua Nemesi proprio nella terra di Israele, in cui sperava invece di trovare la propria redenzione. Rimorchia una statuaria soldatessa bionda e senza troppe difficoltà la porta a letto. Lei vuole essere spaccata in due e arata, ma il membro virile del protagonista fallisce completamente. Impotenza assoluta. Non si rizza! L'infelice Portnoy cerca allora di circuire una robusta fanciulla lentigginosa dai capelli rossi come il fuoco, che somiglia alla madre come una gemella. La vicenda si conclude in un modo assurdo quanto inverecondo, in una bettola, con Portnoy che supplica la ragazza tanto simile a sua madre da giovane, strisciando a quattro zampe e implorandola di poterle leccare la fica. 

Recensione:
Non possono sussistere dubbi in proposito. Lamento di Portnoy è un testo di un antisemitismo violento, viscerale, addirittura streicheriano.
Non credo che Philip Roth se ne sia reso conto quando lo ha scritto. Sono ben consapevole del fatto che lo scrittore ashkenazita è considerato un pilastro della cultura ebraica contemporanea. Eppure Alexander Portnoy non è un personaggio qualunque, non è una semplice caricatura, una macchietta innocua: infatti incarna in ogni dettaglio l'Ebreo della propaganda nazionalsocialista, sia a livello fisico che morale e spirituale. Egli ha tutte le caratteristiche dell'Eterno Ebreo (Der ewige Jude). Tutto in lui è studiato a livello micrometrico per suscitare ripugnanza, esecrazione, disprezzo, rabbia e fantasie omicide. Se il presente romanzo venisse diffuso in modo capillare a vasti strati della popolazione, in Germania come in Italia o in qualsiasi altra nazione dell'Occidente, l'antisemitismo più radicale registrerebbe subito un prodigioso incremento. Il patetico Portnose riuscirebbe di sicuro dove nessun movimento neonazista è finora mai riuscito. L'odio così seminato divamperebbe come un incendio furioso in questa Europa degradata e ingovernabile, fino al punto di scatenare spaventosi pogrom. La lettura di Lamento di Portnoy presenta il rischio di compiere una trasformazione profonda nel lettore incauto, accendendo un odio feroce verso gli ebrei e verso tutto ciò che li riguarda. Si può leggere il Mein Kampf di Adolf Hitler come una testimonianza storica dell'epoca in cui fu scritto, con grande distacco, senza alcun coinvolgimento emotivo: si tratta di un'opera in buona sostanza inattuale. Questo atteggiamento asettico è assolutamente impossibile con il pernicioso libro di Roth. Il meccanismo che scatta è molto semplice. Il lettore sarà portato ad attribuire al Popolo Eletto le cause della propria personale rovina e insignificanza, del proprio fallimento esistenziale, come se il Maligno stesso gli sussurrasse nelle orecchie, soffiando su braci ardenti: "Se sei un fallito è colpa degli ebrei! La famiglia è una loro invenzione!" Nessuno si può dire davvero al sicuro, almeno finché non fa appiglio a un dato di fatto innegabile: non è stato il Popolo di Israele a introdurre nel mondo la famiglia oppressiva. Le madri iperprotettive, proprio come i padri autoritari, predatano di gran lunga qualsiasi contatto dell'Occidente con genti del Medio Oriente. A Roma c'era il pater familias con la patria potestas, tra i Germani c'era il mundio - e dovunque regnava soltanto l'oppressione, in ogni casa, fin dai più remoti tempi della Preistoria. 

Uomini nuovi per tempi nuovi  

Stupisce l'avversione profonda che la fulva ragazza del Kibbutz nutre verso gli ebrei del ghetto. Disprezza la lingua yiddish e tutto ciò che riguarda la Diaspora, dalle battute sul naso grosso al teatro, perché crede che queste cose esprimano una realtà di autodenigrazione e di miseria umana infinita. In netta opposizione al modo di essere del popolo della Diaspora, sembra che le genti dei Kibbutzim rappresentino l'Uomo Nuovo, puro e pieno di idealismo, non toccato dalle abominazioni del mondo. Un Uomo Nuovo che non soltanto è riuscito a riscattarsi dallo stigma della marginalità: in lui si è prodotta una discontinuità essenziale che ha cancellato il passato, lo ha abraso completamente facendolo piombare nell'Oblio: è come se un essere mai concepito prima da mente umana fosse venuto al mondo, senza alcuna relazione con colui che lo ha preceduto, finalmente privo della sudicia invenzione della coscienza. In pratica siamo di fronte a un modello antropologico più simile alla Gioventù Hitleriana che all'humus famigliare degli ashkenaziti di Newark, vegetanti in un microcosmo ristretto e asfittico, separati dal resto del pianeta come se fossero una colonia di alieni. In questo modo Portnose-Portnoise viene guardato con disgusto e quindi addirittura con odio, come se non fosse un essere umano, bensì uno schifoso verme del terriccio, un lombrico. In altre parole, siamo di fronte a un vero e proprio razzismo: gli ebrei antisemiti non sono affatto una rarità - anzi, sono i più virulenti e aggressivi. Gratta un antisemita furioso e nove volte su dieci troverai un ebreo rinnegato che cerca vendetta contro i propri genitori. 

Israele e gli ebrei antisemiti  

Trattando questi spinosi argomenti, subito viene in mente il film The Believer (Henry Bean, 2001), di cui ho pubblicato a suo tempo una recensione in questo stesso portale. Il protagonista, l'antisemita ebreo Daniel Balint, affermava in un'intervista la natura non ebraica di Israele, nazione per cui nutriva una certa ammirazione, in netto contrasto con il proprio odio inestinguibile verso gli ebrei dispersi tra le genti. Un paradosso soltanto apparente: dopo l'occupazione della Palestina - che Theodor Herzl definiva "una terra senza un popolo per un popolo senza terra" - si sono formati gli Israeliani come Popolo Nuovo, in un senso assai simile a quello attribuito dai Nazionalsocialisti tedeschi al vocabolo Volk. Un'entità nazionale possente e fiera, che quindi si è conquistata il riscatto dall'umiliante destino diasporico. Ecco la conversazione tra Danny Balint e il giornalista biondiccio Guy Dianielsen: 

Balint: "Il popolo vero trae il suo genio dalla sua terra. Dal sole, dal mare, dai campi. È così che impara a conoscere bene se stesso. Ma gli ebrei no, gli ebrei non hanno terra."
Danielsen: "Hanno Israele."
Balint: "Ah... non sono ebrei."

Danielsen
: "Certo che lo sono."
Balint: "Osserva bene gli Israeliani. La loro è una società secolarizzata. Non gli serve più l'Ebraismo perché hanno la terra, mentre il vero ebreo è un girovago, è un nomade, non ha radici, non ha nessun legame, perciò universalizza ogni cosa. Non sa piantare un chiodo né arare un campo. L'unica cosa che sa fare è comprare, vendere, investire capitali, manipolare i mercati. Capisci, cose tutte mentali. Lui prende la vita di un popolo, radicato nella terra, e la trasforma in questa cultura cosmopolita, basata sui libri, sui numeri, le idee, capisci, è questa la sua forza. Tu prendi le più grandi menti ebree: Marx, Freud, Einstein. Cosa ci hanno dato? Il comunismo, la sessualità infantile e la bomba atomica. Esattamente in tre secoli, il tempo che hanno impiegato per venire fuori dai ghetti d'Europa, ci hanno strappati da un mondo di ordine e ragione per scaraventarci in un caos fatto di lotta di classe, istinti irrazionali, relatività... dentro un mondo in cui anche l'esistenza stessa della materia è messa in discussione. Perché? Perché l'impulso pù profondo dell'anima ebraica è di tirare il tessuto della vita finché non rimane altro che un filo. Non vogliono nient'altro che il Nulla. Il Nulla senza fine*. 


*Traduzione di Ain Sof. Non ci si aspetterebbe una simile conoscenza da un goy. :)

Genesi di un antisemita  

Harold Portnoy, cugino del protagonista, incorre in un destino beffardo. Atleta poderoso, si innamora di una bellissima shikse polacca, Alice, che fa la majorette e incanta tutti con i suoi numeri. Ovviamente il padre di Harold prova grande stizza per questa relazione e la avversa, così decide di procedere con la massima viltà. Contatta Alice e confidandole che il fidanzato è affetto da una terribile malattia genetica che non gli permette di avere figli. Non contento, il vecchio Moshe Süss corrompe la giovane polacca offrendole dei soldi perché lasci in pace il ragazzo. Detto fatto, la majorette sparisce dalla vita di Harold che, disperato, se la prende col padre, devastandogli la cantina, dove sono stoccate moltissime bottiglie di gazzosa. Distrutta con la mazza da baseball tutta la merce dell'odioso genitore, il giovane atleta cade nella disperazione, ma a quel punto viene tolto di scena dal malevolo Roth con uno stratagemma ingegnoso e demiurgico: chiamato in guerra, l'innamorato deluso finisce col morire in una lontana battaglia. Immaginiamo cosa sarebbe invece successo se non fosse morto. Ve lo dico io: Harold Portnoy sarebbe diventato un antisemita! Sarebbe ricomparso in un'altra parte dell'America, con l'identità cambiata, cosa non così difficile in quel grande Paese. Avrebbe avuto un nuovo nome e avrebbe iniziato la sua carriera nei movimenti neonazisti. All'apice di questa sua nuova esistenza, si sarebbe guadagnato il grado di Gran Dragone del Ku Klux Klan. Animato da un ferocissimo e inetinguibile odio antisemita, avrebbe istigato al pogrom! Il suo sogno sarebbe stato uno solo: uccidere il padre e tutti i suoi famigliari! Pensate che io stia farneticando? Bene, informatevi sulla storia di Daniel "Dan" Burros, l'ebreo rinnegato divenuto esponente del KKK!

Una storiella morbosa 

Alexander Portnoy seduce una Figlia della Rivoluzione Americana. Lei è una timida bionda di ascendenza puritana, che però ama moltissimo il sesso. Lui la penetra con ardore e le lecca la fica, ma si aspetta che le sue attenzioni vengano ricambiate. Si aspetta i pompini. A lei non piace praticare il sesso orale a un uomo, le fa schifo. Non vuole prendere in bocca quell'uccello che pure le ha elargito così tanto godimento. Alla fine l'ashkenazita la riesce a convincere, plagiandola, e lei storcendo il naso china la sua bocca sul glande dell'amante, che immagina sarà il suo futuro marito e padre dei suoi figli. Sempre in preda al disgusto, si accinge a succhiarlo, ma non ci riesce bene: lo fa a denti alti, usando le labbra in modo tale da evitare per quanto possibile il contatto tra la lingua e il glande. Alle fine lui le scarica nel cavo orale getti di fluido seminale dal sapore di merluzzo, cosa che le induce i conati di vomito. Fatto sta che proprio a causa della penosa performance, la coppia si separa. Che atrocità mostruose! Per ogni fibra di piacere che un qualsiasi contatto sessuale può dare, ce ne sono novantanove di afflizione! E non sarebbe meglio se l'intero genere umano abbandonasse una volta per tutte questi squallidi esercizi? 

Il mito dei pompini!

Portnoy freudianamente è affetto da “disturbo in cui potenti impulsi etici e altruistici sono in perenne contrasto con una violenta tensione sessuale, spesso di natura perversa. Atti di esibizionismo, voyeurismo, feticismo, autoerotismo e coito orale sono assai frequenti; come conseguenza della “moralità” del paziente, tuttavia, né le fantasie né le azioni si traducono in autentica gratificazione sessuale, ma piuttosto in un soverchiante senso di colpa unito a timore di espiazione, soprattutto nella fantasmatica della castrazione. Gran parte dei sintomi si presume vadano ricercati nei legami formatisi nel rapporto madre – figlio.” Come spesso accade, è proprio Daniel "Danny" Balint a venirci in aiuto per capire meglio il problema che tormenta Portnoy. Ecco come spiega all'occhialuto quanto astuto Danielsen il suo strano punto di vista sul nesso tra ebraismo e sesso orale, testimonianza di echi spettrali in insondabili caverne della mente: 

Danielsen: "Danny, che mi dici degli ebrei?"
Balint: "Gli ebrei, l'ebraismo, sono una malattia."
Danielsen: "In che senso l'ebraismo è una malattia?"
Balint: "Prendi la sessualità."
Danielsen: "La sessualità?"
Balint: "Sì, sì."
Danielsen: "Che vuoi dire?"
Balint: "Ti sei scopato un'ebrea?"

Danielsen: "Cosa?!"
Balint: "Te la sei scopata?"
Danilsen (imbarazzatissimo): "Ah sì, insomma, voglio dire... sono stato con una ragazza ebrea."
Balint: "L'hai fatto. E che cosa hai notato?"
Danielsen: "Di che parli?"
Balint: "Le ragazze ebree adorano fare pompini."
Danielsen (quasi collassato): "---"
Balint: "Vero?"
Danielsen: "Sì, certo, non lo so, è così."
Balint: "E gli uomini ebrei ne vanno pazzi."
Danielsen: "A me sembra che piaccia a tutti..."
Balint: "Certo, è molto piacevole. Ma per gli ebrei è un'ossessione, e vuoi sapere perché?"
Danielsen: "Sì, perché?"
Balint: "Perché l'ebreo dentro è femmina."
Danielsen (pietrificato dall'orrore): "È femmina..."
Balint: "Gli uomini veri, i bianchi, i cristiani, beh, noi ci scopiamo una donna, la facciamo godere con il nostro cazzo! Ma un ebreo invece non penetra, non spinge, non riesce a imporsi in questo modo, perciò fa ricorso a queste perversioni. Il sesso orale è tecnicamente una perversione, questo lo sapevi, no?"
Danelsen (quasi incapace di parlare): "Sì..."
Balint: "Perciò una donna che è stata con un ebreo... è rovinata, non vorrà più stare insieme con un uomo normale."
Danielsen (nuovamente ringalluzzito): "Quindi l'ebreo è un amante migliore..."
Balint: "Non è migliore, non ho detto questo. Ho detto che dà piacere. In realtà è debolezza."
Danielsen: "Ok, il problema non è che gli ebrei controllano i media, o che sono proprietari delle banche, ma che sono sessualmente corrotti..."
Balint: "Senti, lo so, è chiaro che gli ebrei controllano i media e le banche - le banche d'investimento, non quelle commerciali - ma il punto è che operano in quegli ambiti secondo gli stessi principi che esprimono nella sessualità. Minano il modo di vita tradizionale, sradicano tutta la società. La sradicano, le strappano le radici."


Un bel calderone di pus, non trovate? Ebbene, il cervello di Portnoy non è meno torbido. 

Colpa, impurità, espiazione, razzismo

A quanto Roth ci descrive nel suo aberrante romanzo, esiste tra i Figli Americani di Ashkenaz una singolare costumanza, che i lettori italiani potranno capire solo con difficoltà estrema. A tutte le manie sulla purezza del cibo, sulle regole minuziose quanto esasperanti della kasherut, esiste un rimedio, una specie di valvola di sfogo. Così se si fa molta attenzione e si usa tutta la propria capacità di indagine, si possono cogliere in fallo rispettabili matrone della comunità ebraica di Newark, intente a recarsi a cena in ristoranti cinesi per ingozzarsi di carne di porco! Se Harold Portnoy - prima di entrare tra gli Incappucciati - era un fanatico della cucina kosher ("Noi prosciutto non mangiam!", esclamava a ogni piè sospinto), la madre del cugino Alexander, pur altrettanto fanatica, si concede esplorazioni approfondite delle bettole cinesi. Solo i crostacei restano un tabù, per via di una sua brutta esperienza di shock anafilattico, che le era capitata in gioventù. L'atteggiamento della signora Pornoy nei confronti dei cuochi orientali è descrivibile con una sola parola: razzismo. Il concetto portante è più o meno esprimibile con queste parole: "I camerieri cinesi non sono esseri umani. Sono una sottospecie di scimmie, quindi non ci dobbiamo curare di loro e di ciò che pensano di noi. Sono persino meno dei Goyim, non valgono neppure quanto i loro escrementi, già tanto vili."  Del resto un trattamento non migliore è riservato alla domestica afroamericana, considerata una specie di lebbrosa. Se devo essere franco, trovo moralmente ripugnante una simile doppiezza. Anche ai nostri giorni possiamo fare esperienza di atteggiamenti non troppo dissimili: i Goyim hanno il dovere di accogliere l'umanità intera, anche se in Israele non entra uno spillo. Bella coerenza. Posso dire che tutto ciò mi lascia perplesso?

Razzismo anti-italiano

La specialità di Roth consiste nell'inscenare teatrini della vergogna. Schifosi, indigeribili, tanto che neanche un porco di Gerasa si ciberebbe di simile vomito. Questo scempio non risparmia nemmeno noi Italiani. Alexander Portnoy fu iniziato al sesso da una diciottenne, certa "Bubbles" Girardi, figlia di un italiano che faceva l'autista per il Sindacato. Il fratello, un energumeno impegnato nella boxe, non badava troppo ai costumi dissoluti dell'esuberante sorella, visto anche che le permettevano di portare a casa qualche spicciolo. Ora, il detestabile Portnoy aveva un amico sommamente venereo, Arnold "Ba-ba-lu" Mandel, che assieme ad altri figuri - tra cui uno Smolka pieno di gonorrea - lo aveva condotto dalla "Bubbles" affinché lo svezzasse. Episodi di questo genere dovevano essere comunissimi negli States. Così leggiamo le gesta di questo gruppo di giovani ashkenaziti libidinosi. Si trovano a casa della ragazza italiana, ma la cosa va per le lunghe. Riuscito finalmente ad essere accolto dalla prosperosa "Bubbles", Portnose ha difficoltà estreme con l'erezione, di solito tanto pronta. Lei lo masturba pesantemente, gli strizza i genitali e la cosa non aiuta. Dopo penosissimi minuti di manipolazioni incessanti, il povero ragazzo ha un'eiaculazione improvvisa, con getti impetuosi di sburra che imbrattano il divano, i muri, persino il soffitto. Un bolo gli finisce in un occhio, causandogli grande bruciore e folli paranoie. La manipolatrice di genitali si adira per tutto quello sporco spermatico, che dovrà giustificare al suo babbo mafioso. "Brutto giudìo figlio d'una mignotta!", urla a squarciagola. Si assiste alla fuga precipitosa di Portnose, che si caga addosso temendo una vendetta e già si vede con l'addome bucato da uno stiletto (oltre che col fallo corrotto caduto per la sifilide e con gli occhi resi ciechi dalla sburra). Il giorno dopo, ecco che Arnold "Ba-ba-lu" Mandel lo trova per strada, gli dà dello Schmunk e gli dice serafico che sarebbe dovuto restare: dopo pochi minuti dalla vigliacca fuga, lui era già con la spada sfoderata, con l'italiana che se ne stava "accovacciata sulle fottute ginocchia terrone e gli leccava l'uccello". L'epiteto "terrone" è ancora un eufemismo che rende in qualche modo l'originale dago, termine slang americano il cui significato letterale è "sicario": è una semplice alterazione di dagger "pugnale". Per quanto riguarda all'aggettivo "fottute", in altre traduzioni al suo posto compare un più esplicito "di merda", mentre al posto di "gli leccava l'uccello" troviamo un più volgare "gli succhiava il cazzo". Tutto molto edificante, vero?

Etimologia di shikse 

La lingua yiddish è eminentemente germanica, ma è caratterizzata al contempo da una massiccia presenza lessicale di vocaboli di origine ebraica - oltre che di moltissime voci di origine sconosciuta. Tra le parole ebraiche in yiddish possiamo includere senz'altro shikse (שיקסע), vocabolo cruciale per il monomaniaco sessuale Alexander Portnoy. All'inizio si trattava di un epiteto fortemente abusivo, col significato centrale di "cosa abominevole", "detestabile"; il corrispondente maschile è shegetz (שייגעץ, in scrittura ebraica vocalizzata שֵׁיְגֶּץ; plurale shkotzim o shgatzim שקאצים). Cosa abominevole? Detestabile? Oh bella, non lo si sarebbe mai detto, data l'adorazione dimostrata dal giovane Portnoy per queste creature sensuali! Dal disprezzo iniziale, la parola iniziò ad assumere significati di satira e d'irrisione, per poi passare ad esprimere l'oggetto principe del più cocente desiderio carnale. La shikse era infatti l'idolo di quei Figli Americani di Ashkenaz, gangster animati dalle più lubriche pulsioni, malfattori che il Signore Geova pensò bene di risparmiare da ogni afflizione mentre si divertiva ad infierire sui devoti adoratori che abitavano negli shtetlekh della Polonia, destinati ad essere annichiliti dagli Einsatzgruppen

La vera etimologia del cognome Portnoy 

Ebbene, il cognome Portnoy ha origini russe. Il termine russo портной significa "sarto" ed è connesso con портки "pantaloni". La radice è l'antico slavo orientale пъртъ (pŭrtŭ) "pezzo di stoffa". Nonostante l'aspetto fonetico assai simile, questo termine non ha nulla a che vedere con порт "porto", voce originata in ultima analisi dal latino portus, che ritroviamo nell'italiano porto e nell'inglese port, per via di una complessa catena di prestiti culturali. Non si può quindi sostenere che портки significasse in origine "(abiti) marinareschi" e che in ultima analisi esista un nesso etimologico proprio con порт "porto". Il cognome yiddish che traduce Portnoy è Nadelman, con la variante Nudelman ("sarto", alla lettera "uomo dell'ago"). E pensare che ero tentato di ritenere Portnoy un anagramma satirico di *Porntoy, ossia "Giocattolo Porno"

La perversione di Portnoy! 

Il giovane Portnoy aveva elaborato una crudele vendetta contro sua madre e suo padre: si masturbava in modo veemente usando una bistecca per sfregare l'asta turgida, ricoprendo la carne di fiotti spermatici. La faceva così "marinare", dopodiché la madre ignara la cucinava e se la mangiava assieme al marito. Sì, i genitori ingoiavano entrambi la sburra del figlio, la digerivano e trasformavano gli spermatozoi in sterco! Al confronto di Alexander Portnoy le genti di Sodoma e Gomorra erano una compagnia di anime belle! Queste trovate raccapriccianti hanno dato persino origine a un termine gergale:


The Portnoy 

Having sexual intercourse with and ejaculating into any raw cut of meat (e.g. liver, porterhouse steak, pork roast), and then preparing and serving said meat (colloq. 'marinated') as a meal for one's immediate family or close friends.

(Origin: Portnoy's Complaint, by Philip Roth)

I was horrified when Andrew told me he'd done the Portnoy on the steak tartare I'd just enjoyed so heartily. 

Se il genere umano durerà abbastanza a lungo, i dettagli etimologici andranno perduto e l'evoluzione fonetica porterà i parlanti a pensare che questo vocabolo sia derivato da porn!  

Stereotipi 

Roth ha contribuito in modo importante quanto colpevole a rinfocolare stereotipi nocivi sugli Israeliti, caratterizzati come gobbi distorti e rachitici con un nasone così sviluppato da richiedere un porto d'armi, ovviamente tutti con capelli neri come la pece e con la pelle olivastra, magari anche avvolti in un sudicio caftano. Tutti pronti ad avventarsi su ogni shikse sexy proprio perché bionda e con gli occhi cerulei! Certo, certo, sono tutti gobbi, rachitici, malformati, nasoni e scuri... come Kirk Douglas, Paul Newman e Bar Refaeli! Capite cosa intendo? Non si vedeva nulla di simile dai tempi di Jud Süss!

Un grottesco teatrino social 

Nel marasma di Facebook mi accadde un fatto strano. Quando feci notare il ruolo di prim'ordine di Mark Zuckerberg nella diffusione capillare dell'antisemitismo a livello globale, fui aggredito da due navigatori, l'idealista G. e l'ostile S., che mi ritenevano in buona sostanza un coglione privo di cultura politica. Perché, vedete, nei loro modi di pensare abbastanza asfittici e figli del sistema scolastico, non è possibile che qualcuno accusi di antisemitismo un appartenente al Popolo Eletto come Montagna di Zucchero. Semmai mi viene da dubitare un po' dell'acume di G., borghese ma apostolo del neocomunismo (patrimoniale sui soldi altrui, sodomia col buco del culo altrui, travaso del Terzo e del Quarto Mondo in Italia, etc.), che nemmeno ha mai capito che S. è... un fascista! Proprio lui, che ostenta tanto fideismo nell'ideologia futurologica delle macchine pensanti, coscienti per via della loro potenza di calcolo, non sembra capire che un algoritmo dell'Intelligenza Artificiale, dopo aver macinato il romanzo di Roth senza altri elementi, restituirebbe questo sorprendente responso sull'identità più intima dell'autore: "SUPREMATISTA BIANCO"

Correlazione o causazione?

Ogni volta che in America avviene un attentato contro una sinagoga, ogni volta che qualcuno spara a un fedele con la kippah, mi sorge un dubbio fortissimo. Esiste la possibilità concreta che nella casa dell'attentatore sia trovata una copia di Lamento di Portnoy. "Aveva letto il romanzo di Roth", mi viene da pensare ogni volta. Sarebbe interessante fare studi di correlazione. Il problema è che gli investigatori e i criminologi non si aspettano di certo una cosa simile, quindi non fanno ricerche appropriate. Continuano a cercare il Mein Kampf, macinando a vuoto. Come se i nomi di Schlageter e di Lueger significassero qualcosa nel XXI secolo, in una terra che nutre verso la Germania un odio informe per via di qualche vaga reminiscenza scolastica sui mercenari Assiani assoldati dai Britannici all'epoca di Giorgio Washington!

Gli insulsi giudizi dei media 

Abbiamo appurato che il romanzo di Roth ha fatto all'intero mondo ebraico danni ingentissimi, quali non si vedevano dai tempi di Julius Streicher. Una ponderosa raccolta di numeri della rivista Der Stürmer faticherebbe ad eguagliare la mole di veleno contenuta in Lamento di Portnoy, e questo è un dato di fatto. Eppure i diretti interessati amano Roth e i mass media ne dicono mirabilia! Ecco alcuni capolavori eulogistici (non li linko per pigrizia, lascio al lettore l'onere di reperirli nella discarica del Web):

Philip Roth ha raccontato così bene Philip Roth che ci ha fatti diventare tutti Philip Roth.
(Corriere della Sera, 31 maggio 2018) 


I 5 libri di Philip Roth che chiunque dovrebbe leggere.
(Panorama, 23 maggio 2018)

10 cose di Philip Roth che valgono più del Nobel.
(Vanity Fair, 23 maggio 2018)


Gli anticorpi liberali che ci difendono contro la censura.
(Correre della Sera, 26 gennaio 2015) 


Non sono più riuscito a trovare, nonostante i miei sforzi, un incredibile titolo comparso come risultato di una ricerca, qualcosa che suonava così: 

Philip Roth fa bene al popolo ebraico. 

Certo, certo, fa proprio bene. Se qualcuno scrivesse che la retorica di Goebbels fa bene al popolo ebraico, sarebbe ritenuto subito un folle. Per contro, se qualcuno scrive che Philip Roth fa bene al popolo ebraico, i radical chic subito applaudono. L'intero mondo della cultura applaude. Che ironia! L'opera di Roth come cura all'antisemitismo? Un inclito autore di Science Fiction descrisse in un suo romanzo un popolo primitivo che aveva un ben singolare costume: l'applicazione di sterco di capra sulla pelle nel tentativo di curare la scabbia. Ecco, qui siamo di fronte a qualcosa di molto simile. Comune è la folle, delirante idea di contrastare qualcosa proprio con ciò che ne è la causa! La verità è che Roth è osannato dalla sua stessa gente proprio perché è colpita da cecità e da gravissima incoerenza. Lo innalzano su un altare, nonostante abbia commesso quello che in Israele è considerato il crimine più grave: dare ad Adolf Hitler una vittoria postuma.

Una soluzione semplice

Cosa avrebbe dovuto fare il Popolo di Israele, se avesse compreso il pericolo? Per essere franchi, avrebbe dovuto prendersi una pausa dalle sue geremiadi per abbattere Philip Roth servendosi del Mossad. Ormai è troppo tardi: l'autore è spirato e il malefico Portnoy continua a scavare come un fiume carsico.

sabato 5 gennaio 2019


METODO DELLA SOPRAVVIVENZA 

Autore: Dante Virgili
Anno: 1990 
Genere: Romanzo
Sottogenere: BDSM, diario, pseudo-autobiografico, apocalittico 
Prima pubblicazione: 2008
In commercio da: 20 marzo 2007
Casa editrice: Pequod
Collana: Pequod
Pagine: 224, Brossura
Seconda pubblicazione: 2016
Casa editrice: ITALIA Storica
Collana: Off Topic
Pagine: 182, Brossura

Codice EAN (2008): 9788860680341
Codice EAN (2016): 9788894226515


Sinossi (da www.ibs.it):
Duecento pagine in cui si rincorrono disordinatamente (apparentemente) temi politici nazionali e internazionali, quotidianità allucinate e citazioni dal tedesco. Nessuna trama. Solo pensieri, annotazioni, incontri sessuali in bilico tra la realtà e la fantasia. Il protagonista è un professore di tedesco in pensione, un «misero Ulisse corrotto inabissato nella perversione». È l'estate del 1990 a Milano. L'anno del mondiale di calcio giocato in Italia. «Il gioco più idiota che l'umanità abbia inventato» ruggisce la voce narrante, sia pure senza potere fare a meno di tifare per la Germania. «Nell'anno della riunificazione sarebbe un grande dono. Se la Germania vince chiudo in bellezza. Ormai le fortune sono affidate al calcio - osserva con il solito rimpianto - mentre un tempo l'obiettivo era l'Europa». Già, Hitler! «E ora apprendo che il condottiero è Matthäus...». Si compiace nel vedere sventolare la bandiera tedesca sotto il Duomo, anche se si tratta della solitaria bancarella di un ambulante. L'Italia perde e lui ghigna: «Se gli azzurri avessero vinto, un'esaltazione ulteriore del calcio avrebbe allontanato ancor più l'italiano dai problemi».


Riassunto:  
Siamo nell'anno della caduta di quello che Luca Giurato chiamava Mudo li Merlino. Intrappolato nella canicola di una desolante, spettrale estate milanese, un attempato professore di tedesco vegeta nel suo microcosmo bizzarro. La sua principale attività consiste nell'adescare donne che trasforma in schiave sessuali, reclutando anche ragazzi per realizzare fantasie orgiastiche. Sullo sfondo aleggia l'atmosfera di enthusiasmos che pervade le acefale masse italiote per via dei mondiali di calcio.

Recensione:  
Abbiamo mostrato che Dante Virgili non è mai esistito, che è una fabbricazione letteraria. Passiamo quindi ad analizzare i testi a lui attribuiti per scoprirne le incoerenze interne. 

C'è una differenza abissale tra Metodo della sopravvivenza e La distruzione. Innanzitutto dal punto di vista dello stile. Mentre il primo romanzo di Virgili era dominato dal cut-up, tanto da sembrare il prodotto di una narrazione collassata, poi fracassata in più punti e riattaccata assieme con l'adesivo in disposizioni grottesche, nel secondo romanzo la lettura è infinitamente più scorrevole. La distruzione, soprattutto avvicinandosi al finale, sfoggia un cut-up tanto spinto da far impallidire quello usato da William S. Burroughs. In Metodo della sopravvivenza si potrebbe semmai parlare di residui di cut-up, incorporati in una struttura la cui razionalità è quasi perfetta. Questi residui sembrano motivati dalla necessità di porre in essere una parvenza di continuità col passato dello scrittore. Vediamo di fare un esempio concreto. Nel linguaggio tipico de La distruzione, un periodo può interrompersi in modo brusco senza considerazione alcuna per la sintassi e per la comprensibilità del testo, finendo persino con una preposizione, con un pronome relativo, con una particella, etc. Così possiamo imbatterci in capolavori come: 

Perché vivo se non. 

Dopo avere precisato che essi portavano con sé una valigia di pelle nera nella quale hanno posto il denaro, la signorina Bianca Salinari ha affermato che 

La sola donna che 

Prendo in mano il coltello comincio a  

E.  

Questa amputazione delle frasi, lasciate finire in modo folle, non è affatto tipica di Metodo della sopravvivenza. Ne ricordo pochissime occorrenze e tutte hanno l'aspetto di elementi incongrui incorporati in un contesto per il resto abbastanza omogeneo. Anche l'uso della punteggiatura è decisamente migliorato.

Non è soltanto la forma ad essere cambiata. C'è anche una differenza ontologica tra le due opere virgiliane. Il protagonista del primo romanzo era un uomo sessualmente insoddisfatto. Agognava di realizzare fantasie morbose, atti erotici che tuttavia non si materializzavano mai. La scusa era la cronica penuria di liquidità. Mancando i soldi, le giovani prostitute si sottraevano alle sue attenzioni, non ne volevano sapere di lui. Soltanto le masturbazioni che faceva ai ragazzi restavano alla sua portata, per quelle erano sufficienti pochi spiccioli. Il protagonista del secondo romanzo è invece un uomo sessualmente soddisfatto, che ha trovato il modo di irretire un gran numero di donne con cui realizzare ogni desiderio. Così vediamo Anna, una giovane moglie cornificatrice che rende becco il marito. Si reca nell'appartamento del vecchio professore e si presta a fare da schiava. Striscia ai piedi del suo master e glieli lecca, passando la lingua tra le dita. Poi gli prende in bocca il fallo, per passare quindi a lambirgli le emorroidi con voluttà, infilando nell'ano la punta della lingua. Dice al padrone che se vuole può anche sodomizzarla, ma lui le dice che farlo sarebbe troppo faticoso. Anna ha diversi amanti a cui concede la propria intimità anale. Si fa sfondare il retto dai focosi stalloni, mentre nega tutto ciò al marito, a cui è permesso al massimo di deporre un po' di albume nella vagina, lui sopra e lei sotto. In realtà al professore sadico non piace tanto farsi praticare il sesso orale: ama invece moltissimo costringere le sue schiave a praticarlo ai ragazzi reclutati di volta in volta. La sua morbosità è infinita. Ha sempre cura che le fellatrici mandino giù tutto lo sperma emesso loro in bocca, affinché lo digeriscano e lo trasformino in sterco. Al giorno d'oggi tutto ciò è ordinario, qualsiasi casalinga si eccita guardando video con simile materiale su YouPorn, Xvideos, Pornhub o in altri siti similari. Nell'epoca pre-Internet si trattava invece di autentiche perversioni sadiane, in grado di sconvolgere anche persone abbastanza disinibite. 

Sopravvivenza e parazzolitudine 

L'idea che non posso togliermi dalla mente è questa: la paternità di Metodo della sopravvivenza è da attribuirsi per intero a Ferruccio Parazzoli, uno degli artefici dell'entità memetica conosciuta come Dante Virgili. In questo si differenzia da La distruzione, che era opera di un'altra mano, anzi, con ogni probabilità di più autori - di cui uno doveva essere proprio Antonio Franchini. Più mi immergo nella lettura della produzione letteraria del Parazzoli, più mi convinco della fondatezza della mia ipotesi. Metodo della sopravvivenza non è tanto virgiliano, posto che l'aggettivo abbia un reale senso, quanto parazzoliano nell'essenza più profonda. Franchini ci parla anche delle vicissitudini di questo romanzo, sempre in Cronaca della fine. Stando a quanto sostiene, in Mondadori ci sarebbero state forti perplessità sulla pubblicazione: la cosa andò per le lunghe, trascinandosi per tutto il 1991, finché l'anno successivo la morte dell'autore avrebbe bloccato ogni progetto editoriale. Mi pare invece plausibile che il testo controverso sia stato prodotto in fretta e furia in seguito all'esumazione del primo romanzo attribuito a Virgili, La distruzione, ripubblicato nel 2003.

Analisi del testo e inconsistenze varie

N.B. I numeri di pagina delle citazioni si riferiscono all'edizione del 2008, quella della Pequod.

Benissimo, cominciamo con i pompini. 

Le variazioni, impasto di voluttà. Blow-job. Le immagini mi esaltano. al risveglio pieno vedo la camera invasa dal giorno chiaro.
pag. 121 


Frustavo Mirella mentre in ginocchio faceva un blow-job a Franco in poltrona.
pag. 205 

Commento: 
Come mai compare il termine blow-job (attualmente scritto blowjob) negli anni 1990-91? 
Nel doppiaggio del film Insatiable con Marilyn Chambers, del 1980, l'inglese blowjob è tradotto in italiano con "lavoro di soffio", in modo letterale nonostante il palpabile nonsenso. Eppure in Metodo della sopravvivenza, che dovrebbe risalire al 1990, troviamo il termine blow-job, scritto col trattino, già nell'uso corrente, incorporato senza troppi problemi nel patrimonio lessicale della lingua italiana. Parazzoli, cui Franchini sembra attribuire in Cronaca della fine una certa dimestichezza col materiale hard, deve avere avuto familiarità con questo termine, che suppongo abbia inserito nella narrazione attribuita a Virgili. Il fatidico vocabolo blowjob è diventato di pubblico dominio a causa dell'affaire Clinton-Lewinsky, risalente al 1998, ma solo sporadicamente compare in testi in italiano: non è riuscito a spiazzare il nativo pompino o il latino fellatio. Questi sono indizi, anche se non prove inconfutabili, del fatto che Metodo della sopravvivenza sarebbe stato scritto più tardi del 1990.

Dai pompini passiamo ora alla letteratura. 

"Interessante, vado avanti. A sessantotto anni Carlo Levi si toglie la vita gettandosi nella tromba delle scale. Thomas Mann ha avuto due sorelle suicide; nel 1949 si uccide il figlio Klaus."
"Ricordiamo che dobbiamo un gallo ad Asclepio, fu l'ultima frase di Socrate dopo aver bevuto la cicuta", aggiunge il dermatologo. "Si dice che Diogene si sia suicidato trattenendo il respiro. Come va la schiena?"
"Male, mi gratto".

pag. 213 


Commento: 
Com'è possibile che Virgili confondesse Primo Levi (1919-1987) con Carlo Levi (1902-1975), ma ricordasse quanti anni aveva lo scrittore torinese quando si è suicidato? Per inciso, Carlo Levi, autore di Cristo si è fermato a Eboli, è morto di polmonite. Il commento del carissimo amico Sergio quando gli ho fatto notare la stranezza è stato: "Un cialtrone, questo Virgili." Ok. Il punto è che la cialtroneria non risolve il mio interrogativo. Sembra quasi che  Parazzoli abbia lasciato scientemente nel testo un'esca per il lettore, come a dire: "Vediamo se capisci che si tratta di una beffa letteraria".

Anche se non contiene elementi di prova, riporto un dialogo tra il protagonista e il suo psicologo, che è un autentico capolavoro: 

"Non riesco a intuire le cause del suo odio direi biologico per gli americani. Forse c'è un rapporto con la guerra, ne parlammo allora ma lei era insensibile, assente".
"In parte. La casa di mio padre andò distrutta nel corso di un bombardamento. Gli americani distruggono, poi diventano i liberatori. Le racconto un fatto, se ha voglia di ascoltarmi".
"Volentieri, noto che oggi ha tendenza all'espansività, ma non esageri".
"Nell'ambiente in cui vivo il dialogo è impossibile, dovrei approfondire il calcio".
"A me piace, a lei no, suppongo". Guarnieri ride: "Vado spesso alla partita".
"Come spettacolo, giusto, non come centro della cultura collettiva. Per evitare il servizio di leva accettai durante l'ultimo anno di guerra un posto d'interprete presso un reparto dell'esercito di occupazione. Furono giorni rischiosi ma animati da eventi insoliti... Scomparsi i tedeschi non volli reintegrarmi subito nella vita civile.
Viaggiai per l'Italia, mi fermai a Napoli. Ho una conoscenza approssimativa dell'inglese e venni assunto come aiuto interprete da un ufficiale britannico."
"Cerco di convincere mio figlio a perfezionare inglese e tedesco, ma è svogliato. A lei le lingue sono state utili".
"Sì, mi hanno portato nel mondo dell'avventura. Dopo qualche mese, non ricordo perché, l'ufficiale mi prese a calci. Da allora cominciai a rimpiangere il mancato annientamento degli inglesi a Dunkerque. Non mi restava che abbordare gli americani. Andai a Livorno, che rigurgitava di yankee. Alle italiane piacevano, e cominciai a divertirmi in qualche compagnia estrosa. a favore della guerra gioca l'abbondanza di sesso. Fu questo che mi portò nella pineta di Tombolo. ne ha mai sentito parlare?"
"Vagamente, ero nella culla allora".
"La vita quasi selvaggia che si svolgeva a Tombolo era tollerata dalla Military Police. I soldati vi andavano a trascorrere il weekend o una breve licenza trascinando donne. Avevano provviste inesauribili di scatolame, alcol. Vivevano in capanne, in rifugi sugli alberi. Ballavano, orgiavano, erano in lite continua fra loro. Anch'io bevevo. I particolari di quella notte non li ricordo con chiarezza. Il litigio iniziò a causa di due toscane che volevano accoppiarsi soltanto coi loro boys e i militi erano quattro. Mi ero unito a loro masticando un po' d'inglese e interessato, divertito. La contesa degenerò in pugilato furibondo. A un tratto vidi nell'oscurità la lama di un coltello, sentii una donna urlare. Un soldato si accasciò al suolo, un altro fuggì. Un terzo orinava accanto a un pino, reggendosi in piedi a stento, ubriaco. È il momento, pensai. Estrassi il coltello a serramanico che avevo tolto al cadavere di un tedesco, arma appena sufficiente per questi tempi. Il quarto traballava tra le foglie aghiformi chiamando a squarciagola una donna. Pisciamo insieme, dissi avvicinandomi. Poi gli piantai nel ventre la lama, la estrassi rapido. Si afflosciò lungo il tronco con un borbottio, un sibilo. Non so se lo uccisi, lo spero, non vidi il sangue".
"Non sa se è o se non è un omicida" soggiunge Guarnieri sorridendo. "Un caso pirandelliano".
"Uccidere un americano con un'arma tedesca non è un omicidio, è un atto di guerra".

pag. 134-135 

Che dire? Questo è puro parazzolismo letterario! 

Il nostro Dante Virgili inciampa sul latino, lingua che non padroneggia affatto. 

Questo brano l'ho ricopiato al volo dal libro di Antonio Franchini, l'ormai familiare Cronaca della fine, dopo che avevo riconsegnato alla biblioteca il libro di Virgili, così non sono riuscito a recuperare il numero della pagina: 

Era oltre i sessanta, grassa, elegante, una collana di perle al collo, imbellettata, gli occhi le brillavano. Gli uomini di una certa età, mi disse, hanno un fascino speciale coi capelli quasi bianchi. Mi elargiva sorrisi, un giorno mi prese la mano che ritirai. A sentirla parlare dubitai che fosse laureata. Mi vide con alcuni quotidiani sotto il braccio, mi domandò: "Lei non è di Torino. Perché compra La Stampa?" Una sera il caso volle che ci incontrassimo, soli, sul pianerottolo. Nell'ombra mi baciò, mi accarezzò. Stavolta non ritirai la mano ed ebbi un'eiaculazione silenziosa. Mi pentii di essere stato al gioco. Si fece sempre più insinuante, più ardita. Come liberarmene. Eravamo nel gabbiotto. Confessò di annoiarsi spesso vivendo sola. "Hai il gatto nero" risposi. "Io acquisterò un cane per liberarmi del tedium vitae." Dalla sua perplessità compresi che non aveva afferrato, conclusi che era stata una bidella. Si ammalò, per tre mesi fu ricoverata. Al ritorno la vidi salire spesso sull'auto di un vecchio adiposo, calvo. Non mi importunò più, zum Glück, per fortuna. 

In pratica il protagonista si è sburrato addosso, eccitato dal contatto con la mano di una vecchia carampana, ma non è questo quello che mi preme evidenziare. La locuzione latina che indica la noia di vivere ritorna ancora nel romanzo: 

Un giorno mi scappò un tedium vitae e non capì.
pag. 65 

Commento: 
Se ammettiamo che una persona in carne ed ossa, di nome Dante Virgili, abbia scritto il romanzo, dobbiamo allora porci una domanda. Com'è possibile che un autore colto scriva tedium vitae anziché taedium vitae? Non doveva quindi conoscere bene il latino. Doveva aver appreso a scrivere correttamente vitae dalla locuzione curriculum vitae o dal titolo dell'enciclica Humanae vitae. Non era stato in grado di scrivere taedium col dittongo perché non aveva mai letto la locuzione taedium vitae in un testo: l'aveva soltanto sentita dalla viva voce di qualcuno! Se però ammettiamo che l'autore sia Parazzoli, dobbiamo vedere nel tedium vitae senza dittongo un'altra esca rivolta al lettore, per rivelare tra le righe la beffa letteraria.  

Sopravvivenza e Nazionalsocialismo

Sono evidenti gli inganni relativi alla politica. Il professore di tedesco sembra incapace di distinguere Helmut Kohl da Adolf Hitler: basta che una persona parli tedesco e diventa subito una divinità ai suoi occhi. Legge persino le opere di Thomas Mann, cosa che come minimo disgusterebbe un autentico eguace del Nazionalsocialismo tedesco. Non dobbiamo dimenticare che Mann esaltò gli esecrabili stupri compiuti dagli uomini di Ilya Ehrenburg ai danni delle donne tedesche, gioì per le immani devastazioni apportate dall'Armata Rossa e per i bombardamenti che incendiarono le città tedesche. Se ci mettiamo nei panni di un patriota tedesco che ha assistito alla riduzione in cenere della Germania, Mann può soltanto essere un lupo vorace e un demonio, un traditore che ha rinnegato il proprio Sangue (Blut) e il proprio Suolo (Boden), squarciando il ventre stesso della Patria (Heimat). Il protagonista di Metodo della sopravvivenza, così come il suo autore, dovrebbe condividere il medesimo sentire. Applico quindi la logica consequenziale. Se fosse vera la favola di Virgili "scrittore nazista", questi avrebbe potuto fare soltanto una cosa con i libri di Mann: bruciarli. 

Conclusioni:
Il Male incarnato da Dante Virgili nella teologia parazzoliana non è un principio creatore funesto. Non è un Demiurgo. Non è Ahriman. Tuttavia non è nemmeno l'assenza di Bene di cui parlava Agostino d'Ippona. Si tratta di qualcosa di assai più simile al Lato Oscuro della Forza nella mitologia di Guerre Stellari. Il cardine del parazzolismo ha tutta l'aria di essere una strana forma di panteismo influenzato in modo profondo dalla religione dei Cavalieri Jedi, cosa sorprendente per uno scrittore che per anni è stato presentato come un pilastro della Chiesa di Roma. In quest'ottica, Virgili è concepito come una specie di Sith, un Darth Vader, una massa di oscurità scaturita dagli abissi di quell'Energia Cosmica che costituisce e tiene insieme tutte le cose. Come uno sciamano nel corso di una catabasi, il vero autore di Metodo della sopravvivenza avrebbe affrontato un'impresa densa di rischi, misurandosi con questa idea di Male. Alla fine, dopo tanto tempo, le falle in questa architettura concettuale cominciano a rivelarne la natura posticcia.