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lunedì 2 dicembre 2019

 
TOP SENSATION 

Titolo originale: Top sensation
AKA: The Seducers
Anno: 1969
Paese: Italia
Lingua: Italiano
Colore: Colore
Rapporto: 1,33 : 1
Genere: Drammatico, erotico 
Regia: Ottavio Alessi
Soggetto: Lorenzo Ricciardi
Sceneggiatura: Lorenzo Ricciardi, Nelda Minucci, Ottavio
     Alessi
Produttore: Franco Cancellieri
Casa di produzione: Aica Film
Distribuzione in italiano: Cineriz
Fotografia: Sandro D'Eva
Montaggio: Luciano Anconetani
Musiche: Sante Maria Romitelli
Costumi: Giuliana Serano
Trucco: Anchise Pieralli
Fonici: Ivo Benedetti, Adriano Taloni 
Assistente di camera: Oddone Bernardini
Fotografo di scena: Mario Sigmund
Interpreti e personaggi:
    Maud de Belleroche: Mudy, la cougar sadiana
    Maurizio Bonuglia: Aldo, il fotografo
    Edwige Fenech: Ulla, la prostituta 
    Rosalba Neri: Paula, la moglie bisex di Aldo
    Ruggero Miti: Tony, il figlio demente di Mudy
    Eva Thulin: Beba, la pastorella neolitica
    Salvatore Puntillo: Andro, il pastore neolitico
Doppiatori italiani:
    Giacomo Piperno: Aldo, il fotografo
    Angiolina Quinterno: Ulla, la prostituta 
Altri titoli:
     Swinging Young Seductresses
     USA: Sensations
     Germania Occidentale: Sklavin ihrer Triebe
     Turchia: Aşırı Duygular
 
 
Colonna sonora: 
1.  Tema di sensation (titoli di testa) (2:43)
2.  Tema di Beba (3:49)
3.  Aldo e Ulla (2:22)
4.  Paola e Mudy (2:24)
5.  Beat del panfilo (1:46)
6.  Incontro con Beba (4:06)
7.  Sul ponte dello yacht (1:51)
8.  Tony e Mudy (3:29)
 
Trama: 
Uscito il 29 marzo del 1969, il film di Ottavio Alessi racconta la storia di un terzetto di nichilisti - Mudy, una virago ricca e bisessuale (Maud de Belleroche) e la sua coppia di amanti: Aldo (Maurizio Bonuglia) e la moglie di lui, Paula (Rosalba Neri) - in crociera su uno yacht.
Mudy ha un figlio demente, Tony (Ruggero Miti), reduce da un ricovero psichiatrico in Svizzera per aver dato fuoco alla casa della madre. Nel vano tentativo di farlo rinsavire, costei – su consiglio di Aldo, il quale spera che la megera gli intesti una concessione petrolifera - imbarca una prostituta sullo yacht: Ulla (Edwige Fenech, in una delle peggiori interpretazioni della sua carriera).
Tony però non mostra alcun interesse per le grazie di Ulla (e di Paula), preferendo incendiare riviste e giocare con le macchinine nella sua cabina.
A non essere indifferente alle moine di Ulla è Aldo, il quale si distrae dalla guida dell'imbarcazione, facendola incagliare in una secca nei pressi di un'isola.
Tony ne approfitta per fuggire a terra su un barchino. E una volta sull’isola che fa? Si rotola tra i rovi e il pietrame, come un perfetto imbecille.
Beba (Eva Thulin), un’improbabile pastorella, scorge l’idiota coperto di lividi e va in suo soccorso.
Nelle intenzioni dello sceneggiatore, Beba dovrebbe rappresentare il ritratto dell’innocenza, l’opposto antropologico del tipo borghese dissoluto e senza scrupoli personificato dalla perfida Paula.
Accortisi dell'assenza di Tony, i tre nichilisti e Ulla scendono a terra per cercarlo. O meglio, si dedicano ad altri passatempi: Paula, armata di fucile, prende a sparare per divertimento a delle povere caprette, Aldo scatta foto sexy (o pretese tali) a Ulla. Gironzolando, infine, scorge Tony a colloquio con la pastorella nei pressi di una cascina fatiscente. Dunque una donna  capace di far uscire il folle dalla catatonia esiste! Aldo non ci pensa due volte a convincere la ragazza a seguirli a bordo dello yacht.
Beba però ha un marito, Andro (Salvatore Puntillo), un individuo rozzo e primitivo dall’aspetto bestiale. Questi dopo aver dato in escandescenze per l’uccisione delle caprette si placa allorché Mudy gli promette un risarcimento di 300 dollari.
Una volta a bordo, Beba riesce non si sa come, dopo essersi calata in mare, a disincagliare lo yacht. Con la scusa di darle abiti asciutti, Paula e Ulla intraprendono un tentativo di seduzione ai danni dell’innocente pastorella, interrotto dall’irruzione in cabina della vecchia Kapò.
Questa, su suggerimento di Aldo, intende servirsi di Beba come esca sessuale per il figlio pazzo.
Andro raggiunge lo yacht e sale a bordo. Per “distrarlo” Paula, consenziente il marito, gli si concede. Mudy, Aldo e la ebete assistono alla scena.
Nel frattempo, il demente in cabina strangola la povera Beba.
Quando i tre nichilisti se ne accorgono è troppo tardi.
Che fare?
Paula ha un’idea: accoppare Andro. Cosa che provvede a fare subito con una fucilata in pieno petto.
Liquidato l’energumeno, non resta che sbarazzarsi dei cadaveri.
Mentre, inspiegabilmente, i due coniugi e la ebete si attardano ad ascoltare canzonette sul ponte, Tony, non visto, strangola la madre e prende il comando dello yacht.
Il film si chiude così, lasciando lo spettatore attonito. 

(Pietro Ferrari) 
 
 
Recensione:
Tra le tante perle degli anni '60 e '70, mi è sfuggita anche questa. Quando ho potuto conoscere e visionare Top Sensation, avevo ormai passato i 50 anni. Le atmosfere che irradiano da questa pellicola mi trasmettono qualcosa di vago e indefinito, rievocano un'epoca che non ho potuto vivere nella piena consapevolezza, essendo allora soltanto un moccioso, un umano allo stadio larvale. In me persiste l'impressione che i colori fossero diversi, che nel cielo brillasse un sole diverso da quello di oggi. Le fisionomie delle persone erano inusuali. Tutto era strano e molto sfocato. Mi pare quasi che fossero un po' diverse le stesse leggi della fisica, che gli stessi legami chimici avessero proprietà un po' diverse, come se l'Universo mutasse nel tempo per piccoli passi impercettibili e noi non riuscissimo ad accorgercene, se non attraverso registrazioni di come era in precedenza.
 
Riporto alcuni pensieri del Fratello Pietro:

Il film di Ottavio Alessi, uscito nel 1969, è una commedia nera nichilista, anticipatrice di temi che si ritroveranno, a distanza di decenni, nei romanzi di Michel Houellebecq.
I protagonisti sono, indistintamente, degli scellerati - con la sola eccezione della pastorella Beba, un personaggio peraltro del tutto implausibile.
Ottime le interpretazioni di Maud De Belleroche, la virago bisessuale proprietaria dello yacht, di Rosalba Neri, nel miglior ruolo della sua carriera d'attrice, e di Maurizio Bonuglia (che diede il peggio di sé, cinque anni dopo, nel film Il profumo della signora in nero).
Pessima Edwige Fenech, inespressiva oltre il tollerabile.
(Pietro Ferrari) 
 
Considerazioni sparse 

Tecnicamente parlando, è la cronaca di un genocidio. Certo, il popolo sterminato era costituito da due persone soltanto, ma non fa differenza. Noto una piccola incoerenza: gli isolani si esprimono in perfetto italiano, mentre mi sarei aspettato un dialetto incomprensibile, strettissimo. Il divario tra loro e le genti dell'imbarcazione da diporto è stridente, paragonabile a quello che separava i Guanche delle Canarie dagli Spagnoli. 


Come spesso accade, siamo di fronte a un film che è un residuo di un'epoca finita. Stando ai moderni canoni, non sarebbe più possibile nemmeno pensarlo. Sarebbe ucciso sul nascere dal politically correct. Prendiamo per esempio il figlio demente della virago Maude. Pensate che sarebbe ancora possibile presentarlo così? No di certo. L'idea che un autistico possa essere un sadico assassino, capace di uccidere a sangue freddo, non è semplicemente ammissibile. 
 
Il pastore neolitico smegmatoso e la sua consorte dalla chioma rossiccia rappresentano il vecchio mondo, la società contadina e cattolica, estintasi a causa di un'improvvisa discontinuità antropologica. Un nuovo tipo umano, rappresentato da un'alta borghesia edonistica e predatoria, ha fatto la sua comparsa e si è imposto ovunque. Si può scorgere un parallelismo con lo sviluppo e con la diffusione dei dinosauri durante il Triassico. Possibilità di comunicazione tra questi tiranni e i rimasugli del mondo precedente: ZERO. 

Il vecchio tipo umano, l'archeantropo, diventa una cosa, un oggetto. Viene completamente reificato. Come una cavia in un laboratorio di vivisezione o come una lucertola in balia degli artigli di un gatto animato dal sadismo.  
 
 
Ulla e la capretta 
 
Parlerò ora dell'ennesimo relitto di un mondo anteriore all'imporsi del sentire oggi prevalente, in cui si potevano pensare e rappresentare cose che in questo inizio del XXI secolo provocherebbero le ire di intere comunità. La prostituta impersonata dalla Fenech, Ulla, si fa leccare da una capretta, prima sul seno e poi tra le gambe. Se una scena simile fosse girata oggi in un film anche di nicchia, insorgerebbero folle di animalisti furiosi. Urlerebbero che l'attrice ha stuprato l'animale e pretenderebbero di linciarla per vendicare l'offesa al loro culto zoolatrico. Eppure la povera bestiola ha soltanto messo la lingua su un po' di sale collocato sul pube dell'attrice, come l'avrebbe leccato se fosse stato messo su una pietra.   
 
Gordiano Lupi mette addirittura in dubbio l'esistenza di queste sequenze di bestialità erotica. Arriva a dire, non senza irrisione, di essere costretto a crederci perché alcuni importanti critici confermano la cosa, anche se dentro di sé sembra permanere incredulo. In realtà gli è capitato di vedere una versione tagliata e in buona sostanza non crede possibile che ne esista una con più fotogrammi. Come dire che se una cosa non l'ho vista, non la può aver vista nessuno. Ebbene, ho visto coi miei occhi la Fenech farsi leccare proprio sul cunnus dalla capretta - e possa Thor fulminarmi se proferisco il falso! Detto questo, riporto senz'altro il link all'articolo scettico di Lupi, comparso sul sito Lib(e)roLibro (www.liberolibro.it): 
 

Che altro dire? Tanto clamore per Ulla e la capretta. Poi nel Web c'è un intero universo di porno animal e nessuno dice nulla. 


Avida leccatrice e spietata carnefice 

Aldo non esita a far prostituire la moglie. La posta in gioco non è cosa di poco conto: una concessione petrolifera. Pur avendo un carattere fierissimo e indomito, la splendida Paula si presta a servire sessualmente l'avvizzita cougar Mudy, umiliandosi, inginocchiandosi nuda davanti a lei, baciandole e leccandole i piedi. Anche se osservando le sequenze del suo rapporto con la virago è difficile crederlo, Paula è capace di diventare un'efferata assassina a sangue freddo non appena le circostanze lo richiedono. È sorprendente la facilità con cui abbatte a fucilate il pastore neolitico per impedire che venga a scoprire la morte della moglie e scateni un putiferio. Il cervello della bellissima e sensuale Paula non è umano in senso proprio: sembra costituito dal solo encefalo rettiliano, come se fosse privo del sistema limbico e della neocorteccia, quindi incapace di elaborare le emozioni. Siamo di fronte a un vero e proprio mostro. L'aspetto esteriore non deve trarre in inganno. Come ricorda Cioran, non esiste nulla di più falso dell'affermazione di Origene secondo cui ogni anima ha il corpo che si merita. 

Nemesi 

Nonostante i suoi deliri di onnipotenza e la sua convinzione di essere una divinità in terra, la tirannica Mudy fa una ben misera fine. Mentre è al timone dello yacht, accade qualcosa di inatteso: il figlio demente le si avventa addosso, animato dall'impulso di consumare con lei un amplesso incestuoso. Lei sembra cedere a tale furia copulatoria. Sembra che le faccia piacere essere posseduta dal figlio. L'eccitazione fa accendere una scintilla omicida nel cranio dell'autistico, che non esita a strangolare la madre. Il film si chiude in modo inatteso con una citazione scritturale, mentre lo yacht procede verso la distruzione.

Non ti mettere in compagnia dei peccatori e ricordati che l'ira non tarderà
(Ecclesiaste 7-16) 
 
Tutto ciò è semplicemente geniale. Non credo che la Settima Arte potrebbe riservarci ancora sorprese simili.  
 
L'incomprensibile operato dei censori 
 
Cosa strana e difficile a interpretarsi, non mi risulta che Top sensation sia stato colpito dalle ire della censura come Interrabang, uscito nove mesi dopo, il 31 dicembre 1969. Ho letto che è stato persino trasmesso in prima serata su una rete berlusconiana, seppur in una versione tagliata da cui sono state epurate le leccate bestiali della capretta e altre scene erotiche. In ogni caso non c'è stato alcun sequestro ad opera di un magistrato. Eppure i contenuti di Top sensation sono ben più forti ed eversivi di quelli di Interrabang. Due pesi due misure? Come si può spiegare la cosa? Mi viene il sospetto che ciascun magistrato agisse in modo del tutto scollegato dagli altri, senza nessuna linea d'azione comune. In pratica ognuno era come il signore di un feudo. I provvedimenti erano erratici: sembra che l'azione repressiva scattasse soltanto per un puro arbitrio, forse in seguito a qualche segnalazione o in ogni caso per via di circostanze particolari. Così Interrabang ha destato l'attenzione spropositata del giudice che ha applicato misure draconiane ordinandone il sequestro, mentre Top Sensation è passato praticamente inosservato. Non è facile trovare nel Web dettagli sull'argomento. Se c'è qualcuno che può darmi lumi, lo ascolto ben volentieri. 
 
Ricerche correlate a "Top Sensation"
 
Google, sempre più prodigo di informazioni futili, ogni tanto fornisce comunque qualcosa di interessante. Quando si digita la stringa "Top Sensation" nella finestra di ricerca, proprio sotto compaiono in caratteri blu le principali query degli utenti. Eccole:
 
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eva thulin 

Quella capretta non vuol proprio saperne di cadere nell'Oblio! 😃
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Alcuni commenti interessanti sono apparsi sul sito Il Davinotti: 
 

"Puro cinema volto a soddisfare certi pruriti visto che la pornografia, allora così rara e per pochi, non riusciva ad arrivare a tutti."
(Markus) 

"Ben inferiore al coevo Interrabang, col quale condivide ambientazione e aspetti esteriori del racconto, perdipiù molto meno coinvolgentemente schizofrenico rispetto alla prima regia di Alessi."
(Giùan) 

"Resta un film spensierato e frizzante, a suo modo simbolo di un'epoca ormai estinta (in parte è bene, in parte è male) che oggi nessuno mai si azzarderebbe a mettere più in campo, se non spingendo l'azione verso lidi estremi (ovverosia hardcore)."
(Undying) 
 
 
Su Allmovie si trova una sinossi in inglese, che vale la pena riportare in questa sede, contenendo alcuni elementi utili:  
 

This preposterous sex melodrama stars pretty Edwige Fenech as a prostitute hired by the overbearing mother (Maud de Belleroche) of a shy, mentally-retarded 20-year old named Tony. Fenech is meant to claim Tony's virginity on a sea cruise, also attended by sexy Paula (Rosalba Neri) and her slimy husband Aldo, who incessantly try to curry the wealthy mother's favor. Ewa Aulin (Candy) shows up as an island girl who dies when the dull-witted Tony accidentally strangles her, leading her husband to board the ship, where he is quickly dispatched by the rifle-toting Neri. Bodies are exploded with dynamite, Neri models a leather bikini, and there is much sexual byplay, both straight and lesbian. Cult buffs will appreciate seeing two of the most famous sex symbols in Italian genre film, Fenech and Neri, sharing the screen in revealing costumes, but anyone looking for high drama would be best served elsewhere. Exploitation master Jerry Gross released the film in America.
(Robert Firsching) 

Con mia grande sorpresa vengo a scoprire che Beba, la pastorella neolitica, è stata rinominata Candy dagli anglosassoni. Il dettaglio sulla diffusione della pellicola in America è interessante. Infatti è risaputo che le genti della Terra dei Coraggiosi sono sconvolti dalla bestialità erotica a tal punto da equipararla alla pedofilia o da ritenerla anche più grave. Le radici di questo atteggiamento sono senza dubbio bibliche. Ne deduco che la scena della Fenech leccata dalla capretta debba per necessità mancare nella versione americana!

venerdì 25 ottobre 2019


NON C'È FUMO SENZA FUOCO

Titolo originale:  Il n'y a pas de fumée sans feu
Anno: 1973
Paese: Francia, Italia
Lingua: Francese
Durata: 123 min
Genere: Drammatico
Sottogenere: Politica, giornalismo, malagiustizia, corruzione
Regia: André Cayatte
Assistente alla regia: Alain Bonnot
Soggetto: André Cayatte
Sceneggiatura: André Cayatte, Pierre Dumayet, Roberto De
    Leonardis
Dialoghi: Pierre Dumayet
Casa di produzione: Audio Labrador Carlton, Euro 

Distribuzione in italiano: San Paolo Film
Distribuzione in francese: C.F.D.C.
Fotografia: Maurice Fellous
Montaggio: Françoise Javet
Musiche: Pierre Duclos
Scenografia: Robert Clavel
Costumi: Nicole Brize
Trucco: Mario Banchelli, Louis Bonnemaison, Irene Servet-
      Matagne
Interpreti e personaggi:
    Bernard Fresson: Michel Peyrac
    Annie Girardot: Sylvie Peyrac, la moglie di Michel
    Frédéric Simon: Il figlio dei Peyrac
    André Falcon: Joseph Boussard
    Michel Bouquet: Edouard Morlaix
    Mireille Darc: Olga Leroy
    Marc Michel: Jean-Paul Leroy
    Mathieu Carrière: Ulrich Berl, il fotografo tedesco
    Paul Amiot: Gustave Arnaud, il marito di Corinne
    Micheline Boudet: Corinne Arnaud
    Pascale de Boysson: Véronique
    Robert Rimbaud: George Ravier
    Georges Riquier: Il giudice
    André Penvern: Il parroco amico di Peyrac
    Marius Laurey: Un picciotto di Morlaix
    Paul Bisciglia: Un picciotto di Morlaix
    Victor Garrivier: Un poliziotto
    Nathalie Courval: Gaby
    Marc Michel: Jérome Leroy
    Jean-Paul Tribout: Il radiogiornalista
    Patrick Bouchitey: L'amico di Ulrich
    André Reybaz
    Pierre Tabard
    Jacques Ardouin
    Didier Gaudron
    Pierre Leproux
    Marius Balbinot
    Daniel Bellus

Trama:
Il sindaco Joseph Boussard è un politicante repellente e mafioso. Non ha scrupoli di sorta, il suo encefalo è puramente rettiliano: ogni sua pulsione ha come fine ultimo la predazione, il sopruso e il malaffare. Coinvolto in ogni genere di porcheria, vuole radere al suolo il sobborgo di Chavigny, satellite di Parigi, per sostituirlo con un opprimente conglomerato cementizio in cui deportare la popolazione nativa, da lui vista come una varietà subumana. Se qualcuno osa emergere dalla fogna del comune da lui governato con pugno di ferro, subito è sommerso da guai a non finire. Boussard dispone di un valido agente segreto, il bieco vicesindaco Edouard Morlaix, che fa pedinare qualunque elemento scomodo. Profondo conoscitore della natura umana, Morlaix sa bene che in ogni persona c'è sempre qualcosa che non va: si trova sempre una macchia che può essere usata per ricattare e per neutralizzare chiunque. Alle dipendenze di Morlaix lavora una squadraccia di energumeni sempre pronti a ridurre a malpartito gli avversari politici. Accade così che una notte essi commettono un omicidio. Un attacchino del campo avverso viene sorpreso mentre dipinge sui manifesti elettorali di Boussard i baffetti da Hitler (la reductio ad Hitlerum è onnipresente nel mondo moderno e postmoderno). Come conseguenza di cotanto ardire, l'attivista viene incalzato e finisce colpito a morte dall'automobile degli sgherri boussardiani. Si scatena il pandemonio. I funerali del defunto vedono una grande partecipazione da parte dei popolani di Chavigny. Emerge dal loro novero la figura del dottor Michel Peyrac, un medico integerrimo, di grande levatura morale, tutto impegnato nel suo lavoro a favore degli altri senza mai pretendere alcun vantaggio per sé e senza sguazzare in alcun brago. La sua stessa presenza è ingombrante, il suo operato è come fumo negli occhi per Boussard e per la sua cricca mascherata da giunta. Un simile campione di onestà non può essere tollerato, deve essere rimosso con qualsiasi mezzo, legale o illegale. Tanto più che Peyrac non si limita a semplici dichiarazioni di principio: accetta infatti l'invito dei suoi sostenitori a candidarsi alle elezioni comunali. Se riuscisse ad essere eletto, diverrebbe sindaco di Chavigny e il tempo di Boussard sarebbe finito. Ecco che Morlaix si mette in moto e fa pedinare il medico. Non scopre nulla di degno di nota su di lui, ma non demorde. Infatti le sue indagini sulla moglie del dottor Peyrac, Sylvie, hanno maggior fortuna. La signora - pur fedelissima al suo uomo - frequenta una donna di condizione altolocata, l'affascinante bionda Olga Leroy, che ha una vita sessuale molto disinvolta, libera come quella delle mosche. Non soltanto il marito della maliarda, Jean-Paul, è al corrente di questo e approva, ma dirige lui stesso le danze, organizzando sfrenati festini orgiastici. Ogni sera, nella dimora signorile dei Leroy, maggiorenti del paese, si svolgono baccanali sessuali - a cui la Peyrac non partecipa. Il giovane tedesco Ulrich Berl si diverte a fotografare i partecipanti a questi convegni durante le loro sfrenatezze, eccitandosi nel contemplare il piacere altrui. Nonostante abbia fama di uomo poco virile (all'epoca si faceva confusione tra il concetto di "guardone" e quello di "impotente"), Berl si mostra intraprendente con la signora Peyrac, che concupisce a tal punto da sviluppare per lei un'autentica fissazione. La corteggia, la fotografa per fare complesse e stravaganti opere d'arte simili a collage, mettendo le riproduzioni del suo volto nei contesti più grotteschi. Queste passioni giungono alle orecchie di Morlaix, che passa all'azione, ricattando il ragazzo per via di certi suoi trascorsi giudiziari (ha lasciato morire una ragazza piena di droga) e costringendolo così a produrre un fotomontaggio in cui la signora Peyrac compare nel ben mezzo di un'orgia nella casa di Olga. Una volta entrato in possesso della fotografia alterata, Morlaix la usa come arma contro il dottor Peyrac. Una mattina Sylvie trova quel materiale nella buca delle lettere, assieme all'invito a premere sul marito affinché ritiri la sua candidatura alle comunali. In caso contrario, la lettera ricattatoria afferma che tutti a Chavigny riceveranno una copia della foto compromettente. La signora Peyrac non dà troppo peso alla cosa, perché nutre la puerile convinzione che quando una persona è onesta non debba temere nulla. Fa sapere tutto al consorte, esortandolo a non cedere. Il punto è che Morlaix non è uno di quei politici sbruffoni che strepitano e tuonano minacciando i loro avversari a destra e a manca, per poi non fare nulla. Non è come Netanyahu, per intenderci. Una mattina, in tutte le caselle postali di Chavigny, nessuna esclusa, viene collocata una copia della foto con la signora Peyrac che si fa possedere carnalmente. Tutti, persino i bambini, possono vedere. La reazione di sdegno popolare è fortissima. Sui muri compaiono enormi disegni di cazzi gonfi e scritte del tipo "Le puttane votano Peyrac". Il figlio della coppia viene bullizzato e aggredito a scuola, tanto che la madre è costretta a portarlo in un ambiente più tranquillo, in un istituto gestito dalle suore. Le disgrazie sono appena all'inizio. Ulrich Berl, in preda ai sensi di colpa, ha scritto una lettera al fratello che vive in Germania, rivelandogli l'accaduto e pregandolo di rendere tutto pubblico in caso capitasse qualche "incidente". A questo punto Morlaix fa uccidere il fotografo tedesco, trovando un modo ingegnoso e diabolico per far ricadere la colpa proprio sul dottor Peyrac, che finisce in prigione. In Francia non esiste l'habeas corpus: l'imputato è considerato colpevole di default e deve provare da sé la propria innocenza. Tutti i tentativi di dimostrare la falsità del fotomontaggio porno risultano fallimentari: persino i laboratori della Marina militare, che hanno in dotazione le apparecchiature più moderne e sofisticate, non riescono a trovare alcuna traccia di manipolazione nel documento. La situazione sembra sul punto di precipitare. Sylvie supplica la sua amica Olga di trovare il modo per liberare il marito ingiustamente detenuto. La signora Leroy riesce a identificare l'amica Corinne Arnaud nella donna il cui volto è stato sostituito da quello della signora Peyrac. Mette così in atto un elaborato ricatto. Si reca dalla famiglia Arnaud, di elevatissime condizioni sociali, mostrando al cornuto Gustave la foto originale in cui compare sua moglie Corinne e minacciando di consegnare il negativo alla signora Peyrac. In questo modo ottiene quanto richiesto. Il dottor Peyrac viene scagionato da testimoni comparsi all'improvviso e rilasciato dal carcere, ma è psicologicamente annientato, così ritira la sua candidatura. Non tutti i suoi sostenitori della prima ora sono rimasti ad attenderlo, segno evidente che lo scandalo ha intaccato in modo serio la sua reputazione. Boussard stesso annuncia di non volersi ricandidare, ma al contempo passa la palla al suo fido collaboratore, il mefistofelico Morlaix!



Recensione:  
Vidi questo film per la prima volta quando frequentavo le scuole medie, a un cineforum scolastico gestito da un prete grassoccio e sadiano dai radi capelli biondicci. Somigliava un po' a una versione paffuta di Houellebecq. Quando ho rivisto la pellicola, decenni dopo, mi sono reso conto di quanto precoce è stata la mia esposizione a frammenti di pornografia. Non me ne ricordavo proprio più. Ero ancora quello che Giovanni Calvino chiamava un "piccolo fetente". Sì, ero quello che Sigmund Freud definiva un "perverso polimorfo". Ne sono sicuro, dentro di me c'era qualcosa che mi permetteva di comprendere l'intrinseca essenza di quanto vedevo, anche se una specie di censore interiore poi si metteva in moto per rimuovere tutto. "Ma sì, sono cose che fanno le francesi", questo mi dissi quando vidi la foto in bianco e nero dell'orgia, con la Girardot che veniva posseduta nella posizione viso a viso, mentre una bionda era messa alla pecora e penetrata da dietro da un amante, tra le chiappe, mettendo al contempo la faccia in mezzo alle gambe di un altro uomo, di cui accoglieva il fallo in bocca. Tutto ciò è riemerso all'improvviso nel mio cranio, come una bolla eruttata in un calderone pieno zeppo di caldo pus maleodorante, proprio mentre mi sono passate davanti agli occhi nuovamente quelle sequenze del capolavoro di Cayatte, non molto tempo fa. "Le francesi sono tutte così, specialmente quelle bionde", pensavo da piccolo - dove "sono tutte così" stava per "sono tutte puttane". Questa era stata la mia conclusione, il risultato prodotto dal mio cervello febbricitante, intossicato dai veleni sparsi dal perverso ecclesiastico. Un'altra scena che si è stampata a fuoco nella mia memoria infantile, perduta e recuperata, è stata quella in cui la bellissima Mireille Darc, conturbante e dai capelli biondissimi, quasi albini, stava straiata tutta nuda in posizione prona, a pancia in giù. Un picciotto del lubrico vicesindaco Morlaix, commentando quella visione paradisiaca, spiegava che un amante baciava la donna leggiadra dappertutto. La mia fantasia si è sfrenata, si è messa a galoppare. Non posso fare a meno di pensare a queste cose. Ora come allora. Sì, l'amante le metteva la bocca su ogni parte del corpo: sui piedi, sulle chiappe, sull'ano, su ogni lembo di pelle, la baciava e la leccava... Servono a questo gli amanti, non è vero? Sì è vero, è sacrosanto, anche quando non sono apprezzati da nessuna. In qualche modo questi pensieri morbosissimi già pulsavano nella mia mente infantile, anche se non trovavano parole adatte per esprimersi. Esistevano già, nonostante siano rimasti sopiti e indecifrabili per molto tempo. E tutto questo, signore e signori, è il mitico Non c'è fumo senza fuoco del geniale André Cayatte. Non mi è stato facile ritrovare il film, sapete? Ho dovuto cercarlo per mesi prima di poterlo finalmente vedere di nuovo. Non ne ricordavo neppure il titolo. Il Web all'inizio mi è stato di scarso aiuto, opponeva una strenua resistenza ai miei tentativi. Poi finalmente ho trovato la chiave di ricerca giusta, sono riuscito nel mio intento e ho recuperato tutte le informazioni che cercavo. Spesso sono rimasto deluso da film rivisti dopo molto tempo: talvolta mi sono parsi insipidi, altre volte inconsistenti o addirittura grotteschi. Non è questo il caso. Le sequenze cayattesche sono da vedere e da rivedere. Adoro la Darc. Avrei potuto innamorarmi di lei, e invidio Alain Delon (che pure non riscuote le mie simpatie, è troppo gangsteresco) per aver avuto contatto con la sua pelle, per averla conosciuta in senso biblico. Certo, Annie Girardot è bravissima, la sua interpretazione è intensa e particolare, ma non è lei il mio tipo ideale di donna. Spero che scuserete le mie tediose considerazioni. A questo punto non vi resta che visionare di persona quest'opera meritoria e di farmi sapere le vostre opinioni.


"Male non fare, paura non avere"

Molti in Occidente sono convinti che il Principe Siddharta Gautama, più noto come Buddha, abbia pronunciato queste parole: "Male non fare, paura non avere". In realtà non mi risulta che il detto sia a lui attribuibile. Non in modo diretto. È semplicemente un adagio popolare italiano, che affonda le sue radici nel latino "recte faciendo, neminem timeas", ossia "agendo rettamente, non devi temere nessuno", di chiara origine stoica. Del resto le frasi apocrife di Buddha sono innumerevoli, tanto che se le si raccogliesse si potrebbe comodamente ottenere un'enciclopedia voluminosa come la vecchia Treccani. Chi al giorno d'oggi ha scritto sul suo vessillo "Male non fare, paura non avere", non ha in genere la benché minima idea di chi fossero gli Stoici. Le genti intepretano queste parole così: "Male non fare e non ti capiterà nulla di male, sarai sempre al sicuro". Un singolare fraintendimento, in cui è caduta la stessa signora Peyrac. Difficile rendersi conto di quanto sia ingannevole questo sentire comune che impregna lo Zeitgeist iper-ottimista e puffesco. Per far capire cosa si intendeva in Oriente, riporto un breve aneddoto. Si racconta che un monaco buddhista incontrò un bandito, un feroce predone di strada che lo minacciò con una spada. Volendo terrorizzare il religioso, il malvivente gli disse: "Ti rendi conto che potrei infilzarti con la spada in un attimo?" Al che l'altro rispose prontamente: "E tu ti rendi conto che hai di fronte un uomo a cui non interessa proprio niente di essere infilzato con la spada?" Si dice che il brigante, sconvolto da quanto aveva udito, cadde in ginocchio convertendosi e diventando egli stesso un monaco; col tempo divenne addirittura un santo, molto venerato dal popolino. Nell'Antica Roma si riportano episodi non troppo dissimili. Il filosofo stoico Epitteto fu schiavo di Epafrodito, un effeminato e crudele liberto dell'Imperatore Nerone. Epafrodito si divertiva a percuotere con un bastone una gamba del filosofo, che senza scomporsi predisse la rottura dell'osso. Quando avvenne l'inevitabile, lo stoico disse al suo torturatore qualcosa come: "E adesso che mi hai rotto la gamba, cos'hai ottenuto?" Tutto ciò è mirabile. Per far capire come la stessa esortazione a non temere alcun male viene interpretata nell'Occidente moderno e postmoderno, riporto invece il caso di un fricchettone pieno zeppo di cannabis, fumato fin sopra i capelli, una vera e propria testa di ganja che scriveva in Facebook a ogni piè sospinto: "Male non fare, paura non avere!" Ma come? Se i poliziotti fossero piombati nella casa di questo coglione fallocefalo, immagino che sarebbe stato zitto all'istante, sudando freddo. Si sarebbe defecato in mano, rischiando una bella condanna per la sua "fioritura". Già, perché se anche egli riteneva che coltivare piantine di cannabis fosse una cosa buona e innocente, non comprendeva di vivere in una nazione in cui è in vigore una legge che lo vieta e commina pene severe a chi sia trovato colpevole. Dove hanno sbagliato i Peyrac e il fricchettone pieno di ganja? Hanno tutti misurato il concetto di Male col proprio metro, senza tenere nel benché minimo conto il contesto. Un contesto che del Male ha un'idea diversa. Hanno poi creduto nell'esistenza di una forza soprannaturale in grado di difenderli e di far trionfare le loro ragioni sulle avversità del mondo. Inutile dire che una simile forza non esiste. Ovviamente, né i Peyrac né l'adoratore della Maria hanno come fondamento della loro esistenza il raggiungimento del Nirvana o le dottrine di Marco Aurelio. Non c'è quindi detto più ingannevole di "Male non fare, paura non avere", per due motivi: in primis tu puoi pensare di  non fare nulla di male, mentre fai qualcosa che è ritenuto male da quanti ti circondano; in secundis tu puoi non aver fatto proprio nulla, ma gli altri ti possono gettare addosso una valanga di merda. Molto in concreto, in entrambi i casi c'è da avere paura. La merda non te la leverà di dosso nessuno.

La calunnia è come il plutonio 

No, la calunnia non è un venticello, come popolarmente si dice. La calunnia è un contaminante. Agisce proprio come l'elemento più tossico nell'intero Universo: il plutonio. La calunnia è come il plutonio, ne ha tutte le proprietà. Anzi, è ancora più nociva del letale metallo transuranico, perché compromette in modo irreparabile l'ontologia stessa di chi viene contaminato. Penetra nel suo essere e lo inquina. Cayatte ci mostra un duro ma necessario insegnamento: è impossibile per chi è stato calunniato ritornare integro. Per rendere l'idea, si può dire che la calunnia agisce in modo quantistico. Quando il contaminante si posa su una persona e si insinua in profondità, la realtà stessa finisce col diventare irrilevante. Agli occhi del mondo, non ha più nessuna importanza nemmeno che il calunniato sia davvero colpevole o innocente. Non interessa a nessuno conoscere la verità. Per paradosso, se anche fosse accertata l'innocenza in modo inequivocabile, rimarrebbe comunque un residuo di sospetto. L'azione di questo veleno concettuale vanifica la conoscenza, la perturba, sfoca gli stessi fatti, crea le condizioni per qualcosa di terrificante: l'Indeterminazione. La Fisica della Calunnia è illustrata in modo magistrale in Non c'è fumo senza fuoco. Quando la matassa degli eventi funesti si avvia a dipanarsi, verso il finale del film, accade qualcosa di estremamente interessante. Il ricchissimo Gustave Arnaud pone alla bionda Olga Leroy, che lo ricatta, una sola condizione: aiuterà il dottor Peyrac a patto che egli non veda mai la fotografia originale e che quindi non sappia mai se la moglie gli è stata o meno infedele. Questo ha conseguenze gnoseologiche severe. Avete presente l'esperimento concettuale di Erwin Schrödinger? Quello del gatto chiuso in una scatola d'acciaio, che è al contempo vivo e morto? La stessa cosa accade con Sylvie Peyrac, che è al contempo infedele e fedele al marito. La donna ha partecipato e al contempo non ha partecipato all'orgia a casa dell'amica Olga Leroy. Il suo stato esistenziale è una sovrapposizione di funzioni d'onda epistemologiche che descrivono l'una un particolare evento e l'altra la negazione dello stesso evento. Non esiste nessuno strumento che il dottor Peyrac possa usare per raggiungere una conoscenza certa, perché l'indeterminazione è intrinseca, ontologica, non è dovuta a limiti tecnici nei mezzi d'indagine. La foto e il suo negativo esistono e nello stesso tempo non esistono: l'esperienza stessa della loro percezione è inaccessibile all'interessato. Non è raggelante? Non è destabilizzante? Possibile che nessun filosofo si sia reso conto di tutto ciò? Questo film è ben più di quanto possa sembrare a prima vista.

Altre recensioni e reazioni nel Web

Non è un film che abbia dato origine a una girandola di thread animati e di controversie, cosa di cui mi rammarico. In fondo non c'è da stupirsi che sia stato a dir poco sottovalutato. Sarà anche una banalità, ma devo dire che il cinema francese in genere non piace molto in Italia. Si trova qualche intervento sul sito del Davinotti:

Nicola81 scrive:

"Onesto dottore si candida sindaco di una città di provincia, ma l'amministrazione in carica ricorre a qualunque mezzo pur di fermarlo... Animato dalla consueta passione civile, Cayatte dirige un film di denuncia che pur reggendosi su un presupposto che desta non poche perplessità (possibile che negli anni '70 non si fosse in grado di smascherare una foto taroccata?), si segue con interesse grazie a un bel ritmo, dialoghi ficcanti e un ottimo cast: svettano Fresson e soprattutto la Girardot, poi l'ambigua Darc, Bouquet e Falcon al solito infidi" 

Kanon scrive, con una vena polemica:

"Cayatte riadatta l'affaire Markovic alla provincia, che pur piccola che sia tiene in seno serpi da serie A. Tentazioni manicheiste se ne vanno a spasso con una processione che la fa tanto ma tanto lunga - e col passare dei minuti, sempre più inverosimile - quando invece sarebbe bastata una banalissima prova del nove (cos'è, troppo pudore o dimenticanza volontaria subordinata alla tesi?) per poter sbugiardare la carnevalata imbastita. De toute façon, di mestiere il cast indora la pillola."

Come spesso accade, sono costretto a farmi bollire il sangue leggendo parole come "tentazioni manicheiste". Possibile che un aggettivo che descrive un grande pensiero religioso e filosofico sia usato in senso abusivo da gente che in sostanza non ne conosce nulla?

La pellicola di Cayatte non è affatto piaciuta ai gestori di www.filmtv.it, nel cui sito possiamo leggere questa nota desolante: 

"André Cayatte, prima di darsi al cinema, faceva l'avvocato. Ne avrà viste di tutti i colori ma questo non giustifica un racconto così artificioso, faticoso e didascalico. Il film si lascia vedere, ma data l'ottima prova degli attori (Annie Girardot in testa), resta un'occasione sprecata."

Profondamente scettico è anche Jonas, che pure riconosce al regista qualche merito:

"Il film fa parte della parabola discendente della carriera di Cayatte, ormai lontano dai fasti degli anni ’50, ma ne conserva il piglio vigoroso e la passione civile: c’è qualcosa soprattutto di Fascicolo nero, nella denuncia delle pericolose connivenze fra politici, magistrati e poliziotti. Il problema è che i cattivi sono così goffi, le loro macchinazioni così stupide, che si fatica a credere che possano reggere quasi fino alla fine (non so quale fosse la situazione dell’epoca: con gli strumenti a disposizione oggi, smascherare un fotomontaggio, verificare tabulati telefonici o stabilire l’ora di una morte sarebbe ordinaria amministrazione); e anche la vittoria finale dei buoni arriva in modo così contorto da non lasciare pienamente soddisfatti. Comunque, pur servendosi di mezzi elementari, la vicenda sa coinvolgere."

Tra questi recensori non ne vedo uno solo che abbia davvero compreso l'opera di Cayatte. Si limitano a considerazioni di estrema superficialità, com'è consuetudine in simili siti del Web. Potessi imbattermi in qualcosa che va al di là dei pensierini delle elementari e dei temini delle medie!  

domenica 20 ottobre 2019


PASTORALE AMERICANA
  (romanzo)

Titolo originale: American Pastoral
Autore: Philip Roth
1ª ed. originale: 1997
1ª ed. italiana: 1998
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Biografico
Sottogenere: Condizioni sociali, conflitto generazionale,
     antisemitismo
Lingua originale: Inglese
Editore italiano: Einaudi
Codice EAN: 9788806218034
Pagine: 462 pp.
Formato: Brossura
Traduttore in italiano: Vincenzo Mantovani
Traduzioni del titolo:
    Francese: Pastorale Americaine
    Spagnolo: Pastoral Americana
    Tedesco: Amerikanisches Idyll
    Polacco: Amerykańska sielanka
    Ceco: Americká idyla
    Finlandese: Amerikkalainen pastoraali
    Ebraico (moderno): פסטורלה אמריקנית
    Persiano: نغمه آمریکایی


Riconoscimenti:  
Vincitore premio Pulitzer per la narrativa 1998
"Un libro che demolisce ogni stereotipo sulla grandezza dell’America e getta una luce sinistra sui suoi valori fondanti. La guerra, la famiglia, il fanatismo, la crisi, sono raccontati da Philip Roth con profondo acume. Un libro che è stato definito da tutti “Il grande romanzo americano”. E lo è."


Sinossi (da www.amazon.it): 
Seymour Levov è un ricco americano di successo: al liceo lo chiamano "lo Svedese". Ciò che pare attenderlo negli anni Cinquanta è una vita di successi professionali e gioie familiari. Finché le contraddizioni del conflitto in Vietnam non coinvolgono anche lui e l'adorata figlia Merry, decisa a portare la guerra in casa, letteralmente. Un libro sull'amore e sull'odio per l'America, sul desiderio di appartenere a un sogno di pace, prosperità e ordine, sul rifiuto dell'ipocrisia e della falsità celate in quello stesso sogno.

Risvolto:
Nathan Zuckerman, consueto alter ego letterario di Philip Roth, racconta questa volta
la storia di un suo compagno di scuola, Seymour Levov, come lui di origine ebraica, sebbene di pelle tanto chiara da essere soprannominato "lo Svedese". Negli anni Cinquanta, Seymour incarna l'ideale dell'americano perfetto: sportivo eccellente, ottimo imprenditore, rispettoso della legge e orgoglioso del suo paese, nonché marito di Miss New Jersey e padre felice di una bambina. Ma proprio la figlia Merry, una volta divenuta adolescente, vestirà i panni di una Storia che si vendica implacabilmente su chi non ne capisce il senso profondo e le trappole che esso appronta: nell'America dilaniata dalla guerra del Vietnam e dal conflitto razziale, Merry si incaricherà di mandare in pezzi con un gesto estremo il sogno di felicità, di ordine e di prosperità cui il padre aveva dedicato la vita. Pubblicato nel 1998, Pastorale americana è ormai considerato il capolavoro di Roth. Dramma con elegia, grottesco e commozione, satira e flusso di coscienza, vi si alternano e fondono in un registro originalissimo, capace di offrirci uno spietato ritratto della civiltà americana in un momento critico della sua storia, e insieme di farci riflettere e commuovere sulla condizione umana. La perdita del Paradiso che Seymour sconta in prima persona proietta la sua ombra lunga e minacciosa sul destino di ognuno; e la pietà che l'autore discretamente concede al suo personaggio può divenire in modo inquietante pietà per noi stessi, e per le nostre supreme inconsapevolezze.

Trama sintetica:
Old Rimrock, un luogo della desolazione rurale americana. Alla lettera il toponimo significa "Vecchia Roccia della Leccata di Culo". All'improvviso in quel borgo insignificante arriva la guerra. La giovane Meredith "Merry" Levov, ragazzina iraconda e fortemente politicizzata, rifiuta l'estrema razionalità e la pacatezza del padre Seymour. Rifiuta ogni tentativo di cambiare il mondo servendosi delle istituzioni democratiche. Nelle sue frequentazioni a New York è stata contagiata dal veleno, dal ribollire di quello stesso calderone purulento da cui sarebbe scarurito anche il politically correct con tutte le sue funeste conseguenze. Così la rivoluzionaria decide di attuare i suoi progetti omicidi proprio a Old Rimrock, facendo saltare per aria con una bomba l'emporio degli Hamlin, con annesso ufficio postale. Nell'esplosione il gestore rimane ucciso sul colpo. A causa dell'accaduto, Merry fa perdere ogni traccia di sé, si dà alla latitanza. Inutilmente i Federali cercano di snidarla. Soltanto dopo molti anni Seymour lo Svedese riesce a ritrovare la figlia ribelle, solo per scoprire che sopravvive in uno stato di estremo degrado, in mezzo all'immondizia. La sua esistenza è qualcosa che va oltre il limite estremo del concepibile da mente umana. Sguazza negli escrementi. Si copre il viso con un calzino sudicio, i suoi denti guasti esalano i miasmi di una fossa comune. Si è convertita alla religione giainista, dopo anni di vita da terrorista in cui ha provocato la morte di diverse vittime innocenti e ha subito un gran numero di stupri. Questa conversione ha annientato l'esistenza della giovane. Il padre si illude di poterla recuperare, ma ogni suo tentativo è destinato a non sortire alcun esito.      

Recensione:
Tutto ha inizio con alcune considerazioni di grande disonestà intellettuale, reperibili nelle prime pagine del romanzo. L'autore, Philip Roth, decantato ovunque come uno dei massimi ingegni letterari dell'Umanità, vorrebbe farci credere che la popolazione ashkenazita sarebbe costituita da gente dalla pelle scura come quella dei Mandingo. Newark come Kinshasa, come Gaborone. Egli vorrebbe farci credere che Seymour Levov lo Svedese, con la sua complessione nordica, i suoi occhi chiari e la sua chioma biondiccia, fosse una specie di mosca bianca. Sì, riesco quasi a leggere nella mente di Roth pensieri che sembrano partoriti dalla mente di Julius Streicher. Persino tra i ditteri più molesti, le mosche, a volte nasce un esemplare albino: ecco come in sostanza ci viene spiegata l'origine dello Svedese. E dove diamine sta scritto che gli Israeliti avrebbero la pelle scura? Pochi sembrano aver capito che lo scrittore di Newark, morto nel 2018, ha diffuso idee antisemite. Pur essendo ebreo. Perché tutto questo? Semplice. Roth era pieno di livore e di risentimento verso i propri genitori iperprotettivi, oppressivi, morbosi, giungendo così ad odiare a morte la sua stessa stirpe. Certo, Pastorale americana non raggiunge gli spaventosi eccessi del Lamento di Portnoy, i cui contenuti non sono da meno di quelli di Der Stürmer e dei Protocolli dei Savi di Sion. Il popolo dei lettori compulsivi e bulimici, futile e stupido quanto arrogante, non se ne rende conto. Non ho mai udito una sola voce di dissenso. Tutti si inchinano, leggono Lamento di Portnoy e Pastorale Americana con venerazione e dicono che questa roba farebbe bene al Popolo di Israele.

Un'ambigua premessa 

In realtà tutto cià che leggiamo della biografia di Seymour Levov lo Svedese è frutto dell'immaginazione dello scrittore Nathan Zuckerman. Questi si è servito dei suoi ricordi di scuola e di articoli di giornale per fabbricare l'ossatura della sua opera. Tutto il resto lo ha plasmato con la fantasia. Il lettore è quindi avvertito. È tutto fittizio. Quella che sta leggendo non è una vera biografia, bensì una pseudo-biografia che appartiene al vasto reame delle distorsioni percettive. Forse è proprio questa tecnica narrativa a destare il risentimento di Jerry Levov, lo scorbutico fratello minore dello Svedese, che leggendo gli scritti zuckermaniani non riesce a riconoscervi la vita reale e la personalità del proprio caro defunto. A un certo punto lo stesso Zuckerman, così abile nel destrutturare le fondamenta stesse della realtà, si dilegua in una nuvola quantistica di disinformazione. Quindi cosa resta al lettore quando ha raggiunto la conclusione di Pastorale americana? Non rimane nulla. Rimane soltanto il Nulla.

Integrazione etnocidaria

Sappiamo tutti che gli Stati Uniti hanno le loro fissazioni politiche e propagandistiche. Una di queste è il cosiddetto melting pot, alla lettera "crogiolo" o "calderone". La locuzione indica un modello di società in cui le diverse componenti etniche, culturali e religiose si amalgamano costituendo un'identità comune. Il punto è che questa identità comune si forma tramite l'annientamento delle singole identità di partenza. Un processo a cui possiamo dare soltanto un nome: etnocidio. In questo marasma, vige la legge del più adatto. Chi ha successo prospera e si espante, chi rimane indietro langue, finisce emarginato e muore di inedia. Ecco il tipico modello americano di integrazione: darwinismo sociale allo stato puro! Il nonno dello Svedese Levov arriva in America dall'Ucraina (il suo cognome è derivato dalla città di Leopoli, in russo L'vov e in ucraino L'viv). Non intende una sola parola di inglese, l'unica lingua che parla è lo yiddish. Consuma anni di dura esistenza a fare il raschiatore di pelli in una conceria. Suo figlio è già bilingue, si adatta alla perfezione alla nuova realtà e riesce ad avere successo - tanto che arriva a rilevare l'azienda in cui il padre aveva sofferto una dura condizione di schiavitù. Veniamo dunque allo Svedese Levov, questo gigante biondiccio venerato da tutti come l'incarnazione del Sogno Americano. Favorito dal Destino in ogni aspetto del suo essere: ha un fisico invidiabile, intelligenza e grande intraprendenza. Usando una parola macedonia, potremmo dire che egli è una specie di rinovallo, un animale che unisce la forza del rinoceronte alla velocità del cavallo. Riesce a conquistare una donna bellissima, una modella di origine irlandese che è stata Miss New Jersey e che per poco non ha vinto il titolo di Miss America. Mentre il padre è attaccatissimo alla tradizione ebraica ashkenazita, lo Svedese è perfettamente integrato nella società WASP (White Anglo-Saxon Protestant). Crede nei suoi valori borghesi, ne è impregnato fin nel midollo. Forse non parla nemmeno più correntemente lo yiddish, ne conosce soltanto qualche parola o qualche frase sentita in casa dai genitori. Non è in sostanza interessato alla religione, la parola kosher per lui non significa niente. In fondo all'americano medio per essere OK basta credere in un'Entità Superiore, astratta, impersonale, e chiamarla "Dio". Se anche questa Entità è God Zilla, va bene lo stesso. La moglie dello Svedese è di origine irlandese e non è nemmeno ebrea. Alla figlia Merry non viene data un'educazione religiosa (il suo periodo di fervore cattolico, trasmessole dalla nonna materna, durerà poco). Seymour si identifica con Giovannino Semedimela (Johnny Appleseed), credendosi l'incarnazione stessa della felicità. Eppure qualcosa nella sua vita perfetta va storto, in modo inatteso e imprevedibile, come se un fulmine a ciel sereno ne avesse incendiato le fondamenta. Da uno spermatozoo dell'uomo e da un ovulo della moglie ha origine un embrione, destinato a diventare un feto e a farsi strada nel canale procreativo fino a vedere la luce del Sole di Satana. Proprio questa bambina, con tutte le sue stranezze, con la sua balbuzie destabilizzante, con la sua ipersensibilità e la sua predisposizione per le idee più folli, rappresenta il grimaldello che permette alla tragedia di fare la sua irruzione nella vita dei Levov. Come la carie intacca lo smalto di un dente e raggiunge infine la polpa, così il seme piantato da un destino avverso penetra nell'edificio in apparenza splendido del Sogno Americano, lo corrompe, lo fa incancrenire e lo manda in rovina.

Numeri  

A volte, leggendo Roth, mi domando come mi troverei se dovessi essere un ashkenazita americano. Ebbene, scoprirei con sgomento che ogni uomo della comunità, più che dal nominativo, è caratterizzato da due secchi numeri che definiscono tutto il suo intrinseco valore. Il primo di questi numeri rappresenta il numero dei figli, il secondo rappresenta il numero dei nipoti. Se un uomo è un 3, 5, significa che ha avuto 3 figli e 5 nipoti. Per avere maggiori informazioni, vengono forniti altri numeri: quelli degli anni dei figli e dei nipoti. Così se un uomo è un 3 (anni: 35, 26, 20) e un 5 (anni: 12, 10, 8, 8, 6), significa che ha tre figli rispettivamente di trentacinque, ventisei e venti anni, più cinque nipoti rispettivamente di dodici, dieci, otto, otto e sei anni. Una bella cabala, certo. Che dovrei dunque dire? Che sono uno 0, 0. Zero figli e zero nipoti: nessuna discendenza. Una condizione che per il Popolo Eletto rappresenta la massima maledizione. Per loro io sono maledetto dal Creatore, perché non ho seminato e non ho avuto un raccolto. Mi detesterebbero, se sapessero della mia esistenza, perché sono in guerra contro quel Creatore che adorano. Vero è che anche il narratore, Nathan Zuckerman, dietro cui si cela lo stesso Philip Roth, afferma non aver avuto figli né nipoti. Dunque è uno 0, 0. Però lui ha una buona scusa: è stato debilitato da un'operazione di quintuplo bypass. Forse viene tollerato in virtù della sua irrilevanza, come se fosse soltanto un'ombra del passato. I pochi che si ricordano di lui lo perculano, etichettandolo come "segaiolo". E pensare che lo Svedese Levov che fa rima con Love per un pelo non è diventato egli stesso un insignificante 1, 0! Solo una figlia e per giunta bacata, una piccola assassina inadatta a dargli dei nipotini. Nessuno avrebbe mai chiamato "doddo" l'atletico gigante, se non fosse stato per il fallimento del suo matrimonio con la Miss America mancata. Come ha scoperto la moglie nell'atto di farsi penetrare da tergo, ecco che ha preso coraggio, ha divorziato ed è riuscito senza troppe difficoltà a trovare una nuova moglie, ashkenazita e più fertile, in grado di dargli una progenie numerosa e sana. 

Strategie evolutive

Bill Orcutt è senza dubbio uno dei personaggi più stravaganti del romanzo. Rappresenta la società WASP, pur essendone un esponente a dir poco atipico. Va per diporto al cimitero, come l'Amleto di Petrolini. Tuttavia non lo fa per qualche macabra disposizione o per una larvata forma di necrofilia, ma per poter vantare il suo albero genealogico, esibendo le tombe dei suoi avi al vicinato - giungendo al punto di organizzare allo scopo vere e proprie gite domenicali! Ogni scusa è buona pur di soddisfare il suo ego ipertrofico, torrenziale, ipereccitabile, sempre sul punto di esplodere inondando gli astanti con palate di sperma verbale.  Le sue velleità artistiche sono caratterizzate da un gigantismo che di certo non corrisponde al suo genio: il suo talento è quasi inesistente. Gesticola, veste in modo sgargiante e si ha l'impressione che sia una specie di pseudo-effeminato mimetico. Spacciandosi per un uomo poco virile e non interessato alle donne, riesce ad avvicinarle, a diventarne pian piano un confidente, lavorandole come la goccia che scava la roccia, quindi non fa troppa fatica a far loro abbassare le difese, approfittandone infine per penetrarle. Usando queste sofisticate macchinazioni, Bill Orcutt conquista la bellissima Mary Dawn Dwyer e la fa sua more ferarum, le depone il genetico nella matrice, proprio davanti agli occhi dello Svedese pietrificato, ormai ridotto a un semplice cornuto. Sono convinto che Piero Angela darebbe a tutto questo una spiegazione eminentemente evoluzionista, sentendosi felice per aver applicato una conveniente etichetta razionale a qualcosa di irrazionale.

Incesto

In quale preciso istante è andato in frantumi il mondo idilliaco dello Svedese? Lui stesso ne parla, attribuendo la catastrofe a una colpa iniziale, originatasi nello stesso istante in cui ha dato alla sua giovane figlia un bacio alla francese, ritraendosi subito inorridito per essersi macchiato del tabù dell'incesto. Proprio lui, che in buona sostanza è estraneo al concetto stesso di fede religioso, cade stritolato dall'immenso macigno della sua eredità biblica. Lei aveva undici anni, lui ne aveva trentasei. Lei era una bambina impubere: tecnicamente si può dire che quello sia stato un atto di pedofilia. "Baciami come b-b-baci la m-mm-mmamma". Quella richiesta di Merry era stato l'inizio di tutto? "Cosa non aveva funzionato in Merry? Cosa le aveva fatto, lo Svedese, di male? Il bacio? Quel bacio? Così abominevole? Come poteva un bacio fare di una persona un criminale? Le conseguenze del bacio? L'allontanamento? Era quello l'abominio?" E ancora: "Che la causa fosse quella? E se non ci fosse stata nessuna causa?" La stessa Merry ha fantasticato per anni su quel bacio. Lo si capisce quando lo Svedese incontra nella stanza di un hotel la ricattatrice Rita Cohen, una rivoluzionaria amica di Merry. Così accade qualcosa di incredibile: la Cohen apre le gambe e mostra con insistenza il cunnus all'uomo, masturbandosi, invitandolo ad assaggiare quel pertugio, a penetrarla. Si porta le dita alle labbra e le lecca con lascivia dopo averle immerse nelle proprie parti intime, e tartagliando gli dice che hanno lo stesso sapore di sua figlia. Roth fa una dettagliata descrizione di questo lubrico episodio, così efficace da convincermi che Rita Cohen fosse in realtà Merry Levov travestita con una parrucca nera e un trucco tanto sofisticato da poter ingannare persino suo padre! In effetti non è poi così improbabile che sia proprio così. Le due rivoluzionarie non compaiono mai insieme. Non c'è il minimo straccio di prova che si tratti di due persone diverse. Quando lo Svedese trova la figlia in una fogna da Inferno dantesco, le chiede informazioni su Rita Cohen, ma lei nega di sapere chi sia. Semplice: Rita Cohen e Merry Levov sono la stessa persona! La figlia sperava veramente di fornicare col suo stesso genitore, di consumare una copula incestuosa!

Il primo pompino  

Non poteva mancare in un'opera rothiana qualche pruriginoso dettaglio erotico, qualche passo pornografico. L'autore si diverte a spiare nella vita intima dei personaggi a cui ha dato vita. Gongola scrivendone, lo si percepisce in modo chiaro. Apprendiamo così che lo Svedese era un gran fottitore, dotato di una straordinaria resistenza, capace di copulare per ore per poi perdere il controllo rilasciando fiotti impetuosi di fluido genetico. Questa perdita di controllo, dovuta all'ineluttabilità della fisiologia, viene considerata quasi un'incoerenza, come se contraddicesse la pacatezza e la ragionevolezza estrema del personaggio, sempre padrone dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri. Eppure a un certo punto prende coraggio e si mette a leccare la vulva della moglie, donandone l'orgasmo. Lei rimane sconvolta, non avrebbe mai immaginato che qualcosa di simile potesse esistere. In fondo quando era un'educanda in un collegio cattolico, le avevano fatto credere che anche gli uomini avessero tra le gambe la fessurina, così pensava che quella fosse una "parte vergognosa", che anche soltanto pensarci fosse peccato. Ancora in preda agli ultimi echi della delizia, chiede al marito se lo aveva mai fatto prima di allora a qualcun'altra. Lui le risponde di no, che non lo aveva mai fatto a nessuna. A questo punto le immerge la faccia tra le chiappe, leccandole con infinita avidità l'orifizio anale:

"Era solo sopraffatto dal desiderio di fare qualcosa di più, e così le sollevò le natiche con una mano e si portò il suo corpo alla bocca. Per affondarvi il viso e andare. Andare dove non era mai stato prima. Estaticamente complici, lui e Dawn."

Deliziata dalle leccate ricevute, lei a un certo punto decide di ricambiarlo praticandogli la fellatio:

"Non aveva motivo di credere che Dawn lo avrebbe mai fatto per lui, naturalmente, e poi, una domenica mattina, lei lo fece e basta. Non sapeva che cosa pensare. La sua piccola Dawn con la bocca piccola e bellissima intorno al suo cazzo. Lo Svedese era sbalordito. A dire la verità, lo erano tutt'e due. Perché era un tabù per entrambi. Da allora in poi andò avanti così per anni e anni. Non cessò mai."

Nessuna glielo aveva mai fatto. Nessuna glielo aveva mai preso in bocca. I successi sportivi, sociali e imprenditoriali dello Svedese contrastano in modo stridente con la sua quasi assoluta mancanza di esperienza sessuale. La prima volta che si è giaciuto con la moglie, è stata anche la prima volta che ha penetrato una bernarda. Al massimo aveva fatto qualcosa di molto soft, qualche bacio con la lingua e qualche masturbazione, con una prostituta e con una ex fidanzata davvero effimera, durante il servizio militare. Del resto, quella era l'America piena zeppa di divieti e di pruderie, sessualmente handicappata. Nel brano sopra riportato sul primo pompino di Seymour Levov si coglie comunque una piccola contraddizione, solo in apparenza insignificante. Quel "non cessò mai" non ha senso, dato che i rapporti della coppia si sono incrinati e ne è infine risultato il divorzio. Oggi queste idiosincrasie sarebbero qualcosa di inconcepibile. Posso dire di essere testimone di tempi in cui le cose in Italia non erano poi molto diverse da quanto estrapolabile dalla lettura di Roth. Poi è cambiato tutto, in modo vorticoso. In questo inizio del terzo millennio la bocca è ritenuta come il posto più facile e più naturale in cui prenderlo. In molti ambienti un pompino ha più o meno lo stesso valore di una stretta di mano. In genere una ragazza prima pratica la fellatio, giusto per far capire il proprio blando interesse verso un possibile partner, e solo in un secondo tempo passa ad accettare la penetrazione nella vagina. Ho fatto ancora in tempo a leggere un'intervista a un politico americano, in occasione dell'affair Lewinski, il famoso Sexgate. Era un repubblicano e affermava una cosa che i Millennials riterrebbero sconcertante: credeva che il coito orale fosse più intimo di quello vaginale. Anch'io ho sempre avuto quest'opinione potenzialmente dannosa, ma in fondo non faccio testo, essendo un outsider, un estraneo in questo secolo.

Gola profonda

Mentre erano seduti a tavola, lo Svedese e Mary Dawn, i genitori dello Svedese, gli Orcutt, gli Umanoff e i Salzman, ecco che la conversazione è caduta su Gola profonda, il famosissimo film con Linda Lovelace, diretto da Gerard Damiano (Deep Throat, 1972). Tutti i presenti lo avevano visto, tranne i genitori dello Svedese, bacchettoni oltre ogni umano dire, e gli Orcutt, probabilmente perché è loro mancata l'occasione. Ecco il problema al centro della discussione: come mai il successo della pellicola porno era stato decretato da un elettorato repubblicano che poi votava politici moralisti? A questo punto è intervenuto il vecchio Lou Levov, tuonando come Mosè alla discesa dal Sinai con le Tavole della Legge. Dopo aver definito Gola profonda una porcheria, ha chiesto ai commensali perché facessero entrare una simile porcheria nella loro vita. Illuminante la risposta di Bill Orcutt dalle vesti variopinte come quelle del Pifferaio di Hamelin: "Penetra, signor Levov, che lo vogliamo o no. Ciò che è fuori entra dentro. S'infiltra. Non è più come una volta là fuori, sa, nel caso lei non se ne fosse accorto." Il geronte, spiazzato, è partito in quarta con un lunghissimo discorso sulla corruzione e sulla questione razziale a Newark, una massa di pesanti invettive contro italiani, irlandesi e negri (sic), immerse in un impasto di considerazioni politiche di cui a nessuno fregava alcunché. Non c'è dubbio che la reginetta di bellezza fosse molto stizzita nel veder rappresentato in un film ciò che faceva al marito senza poter alludere all'argomento nemmeno nei suoi pensieri, perché era tabù come la carne di porco nell'Egitto dei Faraoni: un cibo che si poteva mangiare ma non nominare. 

Anelito di perfezione e balbuzie

Cosa possiamo dire del penoso modo di parlare che aveva Meredith "Merry" Levov? La balbuzie nasce senza dubbio da un problema genetico, ma questo in America non si poteva dirlo. Pur essendo il concetto di eugenetica molto radicato nella società americana, una strana ipocrisia tendeva ad associarlo al Nazismo. Così accadeva che l'intero corpo docente e diversi ordini professionali, come quello degli psicologi, rifiutassero a priori l'idea che potessero esistere disfunzioni legate in qualche modo all'ereditarietà. Credevano nel principio della "tabula rasa", per cui un bambino nascerebbe senza una struttura per diventare tutto ciò che vuole con la sola forza della volontà. "Un bambino può diventare tutto ciò che vuole", così dicevano. "Anche un Puffo!" Com'è facile capire, le cose nel mondo reale non sono così semplici. Per Merry l'incapacità di articolare correttamente le sillabe si è rivelata una disgrazia. In fondo i suoi genitori erano privi di macchia. Non avevano difetti di sorta. Tutto in loro era assolutamente perfetto. Non avevano malattie, non avevano mai un solo disturbo. Mai una volta che digerissero male, che avessero mal di denti. Non puzzavano: l'igiene accurata era sufficiente a rintuzzare ogni azione dei batteri cutanei e delle muffe, dello smegma e del sudore, con tutti i graveolenti liquami che ne derivano. Quando defecavano, deponevano stronzi sodi e ben formati, perfettamente oliati, che uscivano dall'ano senza lordarlo, cadevano nella latrina senza che ne sorgessero schizzi. Quando si pulivano il deretano con la carta igienica, a stento si notava anche soltanto una traccia di marrone. Tutto in Seymour Levov e in Mary Dawn Dwyer era perfezione estetica assoluta, sembravano essere giunti sulla Terra direttamente dall'Olimpo. Non trovate naturale che la povera Merry provasse un'angoscia infinita confrontandosi con un simile fardello di sublime infallibilità? Non trovate che potesse vivere come una tragedia il continuo confronto con gli Dei che l'avevano generata? Il tormento rodeva la piccola dall'interno, come un fiume carsico. Occasionalmente questa corrente di veleno interiore emergeva in modi inaspettati, forse stupidi, che avrebbero però dovuto essere visti come campanelli di allarme. Una volta Merry ha sorpreso lo Svedese mentre massaggiava i piedi nudi della moglie. Si è lasciata scappare un'esclamazione: "Che disgusto!" Come se quella manifestazione di feticismo dei piedi fosse una massa di sterco grasso che il Cielo aveva deciso di scaricarle addosso. Nella sua razionalità estrema e apollinea, ecco che il gigante biondiccio ha cercato di fare qualcosa per la tormentata figlia. L'ha mandata da una foniatra, una specie di psicologa buonista e politically correct, politicizzata, dell'estrema sinistra terzomondista umanitaria. Una decisione improvvida, come abbandonare un inerme agnellino in una foresta infestata da lupi rabbiosi. Così la foniatra ha rovinato completamente Merry. Con la scusa di curarla, l'ha sottoposta ad atrocità inaudite, come la compilazione quotidiana del Diario Tartaglione, inculcandole il virus esiziale del buonismo - cosa che provocherà la sua metamorfosi in un'efferata omicida. Affidarla a Sir Jimmy Savile sarebbe stato meno dannoso, non ci sono dubbi!

L'Inquisitore Ashkenazita  

Lou Levov è un mostro. Non vedo come altro si potrebbe definirlo. Un uomo talmente gretto e meschino che al confronto Shylock può essere considerato un esempio di apertura mentale, di pensiero liberale e di generosità. La sua responsabilità morale è peggiore di quella di Caino. Sua è la colpa ultima di tutto. Per lo Svedese sarebbe stato meglio avere per padre Mengele. Roth affligge in modo atroce il lettore, lo dilania, proprio come un bambino crudele che si diverte a straziare le lucertole bucandole con uno spillo. Ho resistito e ho letto l'orripilante interrogatorio a cui il malefico Lou Levov sottopone Mary Dawn Dwyer, all'epoca fidanzata con lo Svedese, nel tentativo di farla desistere dall'imbarcarsi in un matrimonio da lui ritenuto empio, sacrilego, contrario alle leggi divine. Leggere il Malleus Maleficarum è al confronto un'esperienza rilassante! Quando lo Svedese era stato nei Marines in un campo di addestramento in South Carolina, aveva già cercato di sposare una donna non ebrea. Suo padre aveva dato in escandescenza, lo aveva raggiunto e lo aveva costretto a rompere il fidanzamento! Chi mai al mondo potrebbe sopportare simili prove e restare sano di mente? Persino Giobbe si sarebbe trasformato in un serial killer!    

Un finale ambiguo 

Merry ritorna. Fa il suo ingresso nella villa dei Levov mentre si sta svolgendo un party. Irrompe tra i vivi come il vomito dell'Ade, come un cadavere putrefatto che emana un fetore ammorbante di escrementi, di materia rigettata e di formaggio rancido! Lì, in mezzo alle persone sconvolte, si presenta in tutto il suo abominio e accusa se stessa di svariati omicidi. Il vecchio Levov, incapace di reggere una simile atrocità, ha un infarto e spira così, tra gli spasmi del miocardio lacerato. Leggendo sembra quasi di sentire il proprio cuore sfaldarsi, venir meno, mentre i lezzi cadaverici avvolgono ogni cosa. Una morte senza senso, da imputare esclusivamente a Merry. L'autore, che è stato capace di trasmetterci sensazioni orribili quanto realistiche,  si è poi accorto di aver gettato troppo acido sul cadavere dei propri genitori, così ha fatto retromarcia. Ecco, lo Svedese accorre quando sente le urla del vecchio padre e si rende conto di aver galoppato troppo con la fantasia. Merry non c'è, la sua irruzione era immaginaria. Era stata la cougar alcolizzata, la signora Orcutt, ad assestare all'ashkenazita impiccione una forchettata in pieno volto. Una reazione più che giustificata: lui voleva convincerla ad astenersi dal whisky e a ingurgitare un bicchierone di latte, con paternalismo proibizionista. Quindi un incidente banale, mentre il ritorno della terrorista repellente era soltanto un sogno ad occhi aperti dello Svedese. Mi sono sentito quasi tradito. L'ho ritenuto uno stratagemma vile e banale, che ci ha privati di un capolavoro apocalittico, assoluto, vibrante!

Un epilogo-epitaffio

"Ma cos'ha la loro vita che non va? Cosa  diavolo c'è di meno riprovevole della vita dei Levov?" Con queste parole si chiude il romanzo. Cos'ha la loro vita che non va? Questa è una domanda retorica. Philip Roth sapeva benissimo dare la risposta. Sapeva benissimo cosa non va. In un contesto più adatto allo sterminio di massa, egli sarebbe stato un genocida del calibro di Hulagu Khan. Avrebbe annientato milioni di persone senza battere ciglio. Ne sarebbe stato capace, ne sono sicuro. Tutto questo lo avrebbe fatto per far purgare al mondo e al suo maligno Artefice il fatto di essere nato da un tirannello esecrabile e da una madre oppressiva, egoista, crudele, sommamente molesta. Gratta un genocida e troverai la famiglia! Basta immergersi in Pastorale americana e in Lamento di Portnoy per compiere un viaggio senza ritorno, penetrando nell'oscurità abissale del Mistero dell'Uomo di Braunau: per capire fino in fondo l'odio assoluto che lo animava è necessaria la lettura di Roth. Le opere di Roth sono infinitamente più pericolose del Mein Kampf! Sapete perché? Semplice. Il Mein Kampf non lo legge nessuno, è alquanto pesante, è legato a un modo di intendere la realtà che ormai non è più compreso da anima viva, contiene molte informazioni ormai indecifrabili senza opportune glosse. Chi diavolo sa più chi era Schlageter? E il Signor Severing? Forse qualche storico che si diverte a leggere le note a piè di pagina. Invece Roth funziona come un siero in grado di trasmettere l'antisemitismo, in modo diretto e violento. La sua lettura non dovrebbe essere consentita nelle scuole. Chi volesse far divampare ovunque i pogrom, non avrebbe altro da fare che favorire la diffusione dei romanzi di Roth.


Seymour "Swede" Masin 

Ebbene, un gigante biondiccio di nome Seymour e soprannominato "Svedese" è esistito davvero. Il cognome però era diverso: Masin, non Levov. Lo stesso Roth ha ammesso in modo esplicito di aver tratto ispirazione dallo Svedese Masin per plasmare il proprio personaggio. Seymour "Swede" Masin (1920 - 2005), figlio di immigrati ebrei russi, era un leggendario atleta del liceo e del college. Nel 2000 fu nominato tra i 50 migliori atleti liceali del New Jersey nell'intero XX secolo: un traguardo non da poco, per una cultura come quella americana, in cui le attività agonistiche rivestono un'importanza fondamentale. Fu anche un imprenditore di successo, proprio come il figlio di Lou Levov, solo che la sua attività era molto più benemerita e proficua. Infatti non vendeva inutili guanti, vendeva liquori: i più nobili anestetici, che permettono all'umanità di lenire il proprio male di esistere. Eppure oggi lo Svedese Masin potrebbe essere accusato di razzismo e persino di neonazismo soltanto per aver indossato una maglietta con la scritta PANZER! In realtà si tratta del nome di una delle scuole che ha frequentato, il Panzer College nella Contea di East Orange, ma andatelo a spiegare ai buonisti politically correct! C'è chi sostiene che Pastorale americana abbia contribuito ad attirare i riflettori su questo personaggio. Se fossi un suo parente, non so se ne sarei molto contento. Forse sarebbe meglio lasciar riposare i morti.