venerdì 25 ottobre 2019


NON C'È FUMO SENZA FUOCO

Titolo originale:  Il n'y a pas de fumée sans feu
Anno: 1973
Paese: Francia, Italia
Lingua: Francese
Durata: 123 min
Genere: Drammatico
Sottogenere: Politica, giornalismo, malagiustizia, corruzione
Regia: André Cayatte
Assistente alla regia: Alain Bonnot
Soggetto: André Cayatte
Sceneggiatura: André Cayatte, Pierre Dumayet, Roberto De
    Leonardis
Dialoghi: Pierre Dumayet
Casa di produzione: Audio Labrador Carlton, Euro 

Distribuzione in italiano: San Paolo Film
Distribuzione in francese: C.F.D.C.
Fotografia: Maurice Fellous
Montaggio: Françoise Javet
Musiche: Pierre Duclos
Scenografia: Robert Clavel
Costumi: Nicole Brize
Trucco: Mario Banchelli, Louis Bonnemaison, Irene Servet-
      Matagne
Interpreti e personaggi:
    Bernard Fresson: Michel Peyrac
    Annie Girardot: Sylvie Peyrac, la moglie di Michel
    Frédéric Simon: Il figlio dei Peyrac
    André Falcon: Joseph Boussard
    Michel Bouquet: Edouard Morlaix
    Mireille Darc: Olga Leroy
    Marc Michel: Jean-Paul Leroy
    Mathieu Carrière: Ulrich Berl, il fotografo tedesco
    Paul Amiot: Gustave Arnaud, il marito di Corinne
    Micheline Boudet: Corinne Arnaud
    Pascale de Boysson: Véronique
    Robert Rimbaud: George Ravier
    Georges Riquier: Il giudice
    André Penvern: Il parroco amico di Peyrac
    Marius Laurey: Un picciotto di Morlaix
    Paul Bisciglia: Un picciotto di Morlaix
    Victor Garrivier: Un poliziotto
    Nathalie Courval: Gaby
    Marc Michel: Jérome Leroy
    Jean-Paul Tribout: Il radiogiornalista
    Patrick Bouchitey: L'amico di Ulrich
    André Reybaz
    Pierre Tabard
    Jacques Ardouin
    Didier Gaudron
    Pierre Leproux
    Marius Balbinot
    Daniel Bellus

Trama:
Il sindaco Joseph Boussard è un politicante repellente e mafioso. Non ha scrupoli di sorta, il suo encefalo è puramente rettiliano: ogni sua pulsione ha come fine ultimo la predazione, il sopruso e il malaffare. Coinvolto in ogni genere di porcheria, vuole radere al suolo il sobborgo di Chavigny, satellite di Parigi, per sostituirlo con un opprimente conglomerato cementizio in cui deportare la popolazione nativa, da lui vista come una varietà subumana. Se qualcuno osa emergere dalla fogna del comune da lui governato con pugno di ferro, subito è sommerso da guai a non finire. Boussard dispone di un valido agente segreto, il bieco vicesindaco Edouard Morlaix, che fa pedinare qualunque elemento scomodo. Profondo conoscitore della natura umana, Morlaix sa bene che in ogni persona c'è sempre qualcosa che non va: si trova sempre una macchia che può essere usata per ricattare e per neutralizzare chiunque. Alle dipendenze di Morlaix lavora una squadraccia di energumeni sempre pronti a ridurre a malpartito gli avversari politici. Accade così che una notte essi commettono un omicidio. Un attacchino del campo avverso viene sorpreso mentre dipinge sui manifesti elettorali di Boussard i baffetti da Hitler (la reductio ad Hitlerum è onnipresente nel mondo moderno e postmoderno). Come conseguenza di cotanto ardire, l'attivista viene incalzato e finisce colpito a morte dall'automobile degli sgherri boussardiani. Si scatena il pandemonio. I funerali del defunto vedono una grande partecipazione da parte dei popolani di Chavigny. Emerge dal loro novero la figura del dottor Michel Peyrac, un medico integerrimo, di grande levatura morale, tutto impegnato nel suo lavoro a favore degli altri senza mai pretendere alcun vantaggio per sé e senza sguazzare in alcun brago. La sua stessa presenza è ingombrante, il suo operato è come fumo negli occhi per Boussard e per la sua cricca mascherata da giunta. Un simile campione di onestà non può essere tollerato, deve essere rimosso con qualsiasi mezzo, legale o illegale. Tanto più che Peyrac non si limita a semplici dichiarazioni di principio: accetta infatti l'invito dei suoi sostenitori a candidarsi alle elezioni comunali. Se riuscisse ad essere eletto, diverrebbe sindaco di Chavigny e il tempo di Boussard sarebbe finito. Ecco che Morlaix si mette in moto e fa pedinare il medico. Non scopre nulla di degno di nota su di lui, ma non demorde. Infatti le sue indagini sulla moglie del dottor Peyrac, Sylvie, hanno maggior fortuna. La signora - pur fedelissima al suo uomo - frequenta una donna di condizione altolocata, l'affascinante bionda Olga Leroy, che ha una vita sessuale molto disinvolta, libera come quella delle mosche. Non soltanto il marito della maliarda, Jean-Paul, è al corrente di questo e approva, ma dirige lui stesso le danze, organizzando sfrenati festini orgiastici. Ogni sera, nella dimora signorile dei Leroy, maggiorenti del paese, si svolgono baccanali sessuali - a cui la Peyrac non partecipa. Il giovane tedesco Ulrich Berl si diverte a fotografare i partecipanti a questi convegni durante le loro sfrenatezze, eccitandosi nel contemplare il piacere altrui. Nonostante abbia fama di uomo poco virile (all'epoca si faceva confusione tra il concetto di "guardone" e quello di "impotente"), Berl si mostra intraprendente con la signora Peyrac, che concupisce a tal punto da sviluppare per lei un'autentica fissazione. La corteggia, la fotografa per fare complesse e stravaganti opere d'arte simili a collage, mettendo le riproduzioni del suo volto nei contesti più grotteschi. Queste passioni giungono alle orecchie di Morlaix, che passa all'azione, ricattando il ragazzo per via di certi suoi trascorsi giudiziari (ha lasciato morire una ragazza piena di droga) e costringendolo così a produrre un fotomontaggio in cui la signora Peyrac compare nel ben mezzo di un'orgia nella casa di Olga. Una volta entrato in possesso della fotografia alterata, Morlaix la usa come arma contro il dottor Peyrac. Una mattina Sylvie trova quel materiale nella buca delle lettere, assieme all'invito a premere sul marito affinché ritiri la sua candidatura alle comunali. In caso contrario, la lettera ricattatoria afferma che tutti a Chavigny riceveranno una copia della foto compromettente. La signora Peyrac non dà troppo peso alla cosa, perché nutre la puerile convinzione che quando una persona è onesta non debba temere nulla. Fa sapere tutto al consorte, esortandolo a non cedere. Il punto è che Morlaix non è uno di quei politici sbruffoni che strepitano e tuonano minacciando i loro avversari a destra e a manca, per poi non fare nulla. Non è come Netanyahu, per intenderci. Una mattina, in tutte le caselle postali di Chavigny, nessuna esclusa, viene collocata una copia della foto con la signora Peyrac che si fa possedere carnalmente. Tutti, persino i bambini, possono vedere. La reazione di sdegno popolare è fortissima. Sui muri compaiono enormi disegni di cazzi gonfi e scritte del tipo "Le puttane votano Peyrac". Il figlio della coppia viene bullizzato e aggredito a scuola, tanto che la madre è costretta a portarlo in un ambiente più tranquillo, in un istituto gestito dalle suore. Le disgrazie sono appena all'inizio. Ulrich Berl, in preda ai sensi di colpa, ha scritto una lettera al fratello che vive in Germania, rivelandogli l'accaduto e pregandolo di rendere tutto pubblico in caso capitasse qualche "incidente". A questo punto Morlaix fa uccidere il fotografo tedesco, trovando un modo ingegnoso e diabolico per far ricadere la colpa proprio sul dottor Peyrac, che finisce in prigione. In Francia non esiste l'habeas corpus: l'imputato è considerato colpevole di default e deve provare da sé la propria innocenza. Tutti i tentativi di dimostrare la falsità del fotomontaggio porno risultano fallimentari: persino i laboratori della Marina militare, che hanno in dotazione le apparecchiature più moderne e sofisticate, non riescono a trovare alcuna traccia di manipolazione nel documento. La situazione sembra sul punto di precipitare. Sylvie supplica la sua amica Olga di trovare il modo per liberare il marito ingiustamente detenuto. La signora Leroy riesce a identificare l'amica Corinne Arnaud nella donna il cui volto è stato sostituito da quello della signora Peyrac. Mette così in atto un elaborato ricatto. Si reca dalla famiglia Arnaud, di elevatissime condizioni sociali, mostrando al cornuto Gustave la foto originale in cui compare sua moglie Corinne e minacciando di consegnare il negativo alla signora Peyrac. In questo modo ottiene quanto richiesto. Il dottor Peyrac viene scagionato da testimoni comparsi all'improvviso e rilasciato dal carcere, ma è psicologicamente annientato, così ritira la sua candidatura. Non tutti i suoi sostenitori della prima ora sono rimasti ad attenderlo, segno evidente che lo scandalo ha intaccato in modo serio la sua reputazione. Boussard stesso annuncia di non volersi ricandidare, ma al contempo passa la palla al suo fido collaboratore, il mefistofelico Morlaix!



Recensione:  
Vidi questo film per la prima volta quando frequentavo le scuole medie, a un cineforum scolastico gestito da un prete grassoccio e sadiano dai radi capelli biondicci. Somigliava un po' a una versione paffuta di Houellebecq. Quando ho rivisto la pellicola, decenni dopo, mi sono reso conto di quanto precoce è stata la mia esposizione a frammenti di pornografia. Non me ne ricordavo proprio più. Ero ancora quello che Giovanni Calvino chiamava un "piccolo fetente". Sì, ero quello che Sigmund Freud definiva un "perverso polimorfo". Ne sono sicuro, dentro di me c'era qualcosa che mi permetteva di comprendere l'intrinseca essenza di quanto vedevo, anche se una specie di censore interiore poi si metteva in moto per rimuovere tutto. "Ma sì, sono cose che fanno le francesi", questo mi dissi quando vidi la foto in bianco e nero dell'orgia, con la Girardot che veniva posseduta nella posizione viso a viso, mentre una bionda era messa alla pecora e penetrata da dietro da un amante, tra le chiappe, mettendo al contempo la faccia in mezzo alle gambe di un altro uomo, di cui accoglieva il fallo in bocca. Tutto ciò è riemerso all'improvviso nel mio cranio, come una bolla eruttata in un calderone pieno zeppo di caldo pus maleodorante, proprio mentre mi sono passate davanti agli occhi nuovamente quelle sequenze del capolavoro di Cayatte, non molto tempo fa. "Le francesi sono tutte così, specialmente quelle bionde", pensavo da piccolo - dove "sono tutte così" stava per "sono tutte puttane". Questa era stata la mia conclusione, il risultato prodotto dal mio cervello febbricitante, intossicato dai veleni sparsi dal perverso ecclesiastico. Un'altra scena che si è stampata a fuoco nella mia memoria infantile, perduta e recuperata, è stata quella in cui la bellissima Mireille Darc, conturbante e dai capelli biondissimi, quasi albini, stava straiata tutta nuda in posizione prona, a pancia in giù. Un picciotto del lubrico vicesindaco Morlaix, commentando quella visione paradisiaca, spiegava che un amante baciava la donna leggiadra dappertutto. La mia fantasia si è sfrenata, si è messa a galoppare. Non posso fare a meno di pensare a queste cose. Ora come allora. Sì, l'amante le metteva la bocca su ogni parte del corpo: sui piedi, sulle chiappe, sull'ano, su ogni lembo di pelle, la baciava e la leccava... Servono a questo gli amanti, non è vero? Sì è vero, è sacrosanto, anche quando non sono apprezzati da nessuna. In qualche modo questi pensieri morbosissimi già pulsavano nella mia mente infantile, anche se non trovavano parole adatte per esprimersi. Esistevano già, nonostante siano rimasti sopiti e indecifrabili per molto tempo. E tutto questo, signore e signori, è il mitico Non c'è fumo senza fuoco del geniale André Cayatte. Non mi è stato facile ritrovare il film, sapete? Ho dovuto cercarlo per mesi prima di poterlo finalmente vedere di nuovo. Non ne ricordavo neppure il titolo. Il Web all'inizio mi è stato di scarso aiuto, opponeva una strenua resistenza ai miei tentativi. Poi finalmente ho trovato la chiave di ricerca giusta, sono riuscito nel mio intento e ho recuperato tutte le informazioni che cercavo. Spesso sono rimasto deluso da film rivisti dopo molto tempo: talvolta mi sono parsi insipidi, altre volte inconsistenti o addirittura grotteschi. Non è questo il caso. Le sequenze cayattesche sono da vedere e da rivedere. Adoro la Darc. Avrei potuto innamorarmi di lei, e invidio Alain Delon (che pure non riscuote le mie simpatie, è troppo gangsteresco) per aver avuto contatto con la sua pelle, per averla conosciuta in senso biblico. Certo, Annie Girardot è bravissima, la sua interpretazione è intensa e particolare, ma non è lei il mio tipo ideale di donna. Spero che scuserete le mie tediose considerazioni. A questo punto non vi resta che visionare di persona quest'opera meritoria e di farmi sapere le vostre opinioni.


"Male non fare, paura non avere"

Molti in Occidente sono convinti che il Principe Siddharta Gautama, più noto come Buddha, abbia pronunciato queste parole: "Male non fare, paura non avere". In realtà non mi risulta che il detto sia a lui attribuibile. Non in modo diretto. È semplicemente un adagio popolare italiano, che affonda le sue radici nel latino "recte faciendo, neminem timeas", ossia "agendo rettamente, non devi temere nessuno", di chiara origine stoica. Del resto le frasi apocrife di Buddha sono innumerevoli, tanto che se le si raccogliesse si potrebbe comodamente ottenere un'enciclopedia voluminosa come la vecchia Treccani. Chi al giorno d'oggi ha scritto sul suo vessillo "Male non fare, paura non avere", non ha in genere la benché minima idea di chi fossero gli Stoici. Le genti intepretano queste parole così: "Male non fare e non ti capiterà nulla di male, sarai sempre al sicuro". Un singolare fraintendimento, in cui è caduta la stessa signora Peyrac. Difficile rendersi conto di quanto sia ingannevole questo sentire comune che impregna lo Zeitgeist iper-ottimista e puffesco. Per far capire cosa si intendeva in Oriente, riporto un breve aneddoto. Si racconta che un monaco buddhista incontrò un bandito, un feroce predone di strada che lo minacciò con una spada. Volendo terrorizzare il religioso, il malvivente gli disse: "Ti rendi conto che potrei infilzarti con la spada in un attimo?" Al che l'altro rispose prontamente: "E tu ti rendi conto che hai di fronte un uomo a cui non interessa proprio niente di essere infilzato con la spada?" Si dice che il brigante, sconvolto da quanto aveva udito, cadde in ginocchio convertendosi e diventando egli stesso un monaco; col tempo divenne addirittura un santo, molto venerato dal popolino. Nell'Antica Roma si riportano episodi non troppo dissimili. Il filosofo stoico Epitteto fu schiavo di Epafrodito, un effeminato e crudele liberto dell'Imperatore Nerone. Epafrodito si divertiva a percuotere con un bastone una gamba del filosofo, che senza scomporsi predisse la rottura dell'osso. Quando avvenne l'inevitabile, lo stoico disse al suo torturatore qualcosa come: "E adesso che mi hai rotto la gamba, cos'hai ottenuto?" Tutto ciò è mirabile. Per far capire come la stessa esortazione a non temere alcun male viene interpretata nell'Occidente moderno e postmoderno, riporto invece il caso di un fricchettone pieno zeppo di cannabis, fumato fin sopra i capelli, una vera e propria testa di ganja che scriveva in Facebook a ogni piè sospinto: "Male non fare, paura non avere!" Ma come? Se i poliziotti fossero piombati nella casa di questo coglione fallocefalo, immagino che sarebbe stato zitto all'istante, sudando freddo. Si sarebbe defecato in mano, rischiando una bella condanna per la sua "fioritura". Già, perché se anche egli riteneva che coltivare piantine di cannabis fosse una cosa buona e innocente, non comprendeva di vivere in una nazione in cui è in vigore una legge che lo vieta e commina pene severe a chi sia trovato colpevole. Dove hanno sbagliato i Peyrac e il fricchettone pieno di ganja? Hanno tutti misurato il concetto di Male col proprio metro, senza tenere nel benché minimo conto il contesto. Un contesto che del Male ha un'idea diversa. Hanno poi creduto nell'esistenza di una forza soprannaturale in grado di difenderli e di far trionfare le loro ragioni sulle avversità del mondo. Inutile dire che una simile forza non esiste. Ovviamente, né i Peyrac né l'adoratore della Maria hanno come fondamento della loro esistenza il raggiungimento del Nirvana o le dottrine di Marco Aurelio. Non c'è quindi detto più ingannevole di "Male non fare, paura non avere", per due motivi: in primis tu puoi pensare di  non fare nulla di male, mentre fai qualcosa che è ritenuto male da quanti ti circondano; in secundis tu puoi non aver fatto proprio nulla, ma gli altri ti possono gettare addosso una valanga di merda. Molto in concreto, in entrambi i casi c'è da avere paura. La merda non te la leverà di dosso nessuno.

La calunnia è come il plutonio 

No, la calunnia non è un venticello, come popolarmente si dice. La calunnia è un contaminante. Agisce proprio come l'elemento più tossico nell'intero Universo: il plutonio. La calunnia è come il plutonio, ne ha tutte le proprietà. Anzi, è ancora più nociva del letale metallo transuranico, perché compromette in modo irreparabile l'ontologia stessa di chi viene contaminato. Penetra nel suo essere e lo inquina. Cayatte ci mostra un duro ma necessario insegnamento: è impossibile per chi è stato calunniato ritornare integro. Per rendere l'idea, si può dire che la calunnia agisce in modo quantistico. Quando il contaminante si posa su una persona e si insinua in profondità, la realtà stessa finisce col diventare irrilevante. Agli occhi del mondo, non ha più nessuna importanza nemmeno che il calunniato sia davvero colpevole o innocente. Non interessa a nessuno conoscere la verità. Per paradosso, se anche fosse accertata l'innocenza in modo inequivocabile, rimarrebbe comunque un residuo di sospetto. L'azione di questo veleno concettuale vanifica la conoscenza, la perturba, sfoca gli stessi fatti, crea le condizioni per qualcosa di terrificante: l'Indeterminazione. La Fisica della Calunnia è illustrata in modo magistrale in Non c'è fumo senza fuoco. Quando la matassa degli eventi funesti si avvia a dipanarsi, verso il finale del film, accade qualcosa di estremamente interessante. Il ricchissimo Gustave Arnaud pone alla bionda Olga Leroy, che lo ricatta, una sola condizione: aiuterà il dottor Peyrac a patto che egli non veda mai la fotografia originale e che quindi non sappia mai se la moglie gli è stata o meno infedele. Questo ha conseguenze gnoseologiche severe. Avete presente l'esperimento concettuale di Erwin Schrödinger? Quello del gatto chiuso in una scatola d'acciaio, che è al contempo vivo e morto? La stessa cosa accade con Sylvie Peyrac, che è al contempo infedele e fedele al marito. La donna ha partecipato e al contempo non ha partecipato all'orgia a casa dell'amica Olga Leroy. Il suo stato esistenziale è una sovrapposizione di funzioni d'onda epistemologiche che descrivono l'una un particolare evento e l'altra la negazione dello stesso evento. Non esiste nessuno strumento che il dottor Peyrac possa usare per raggiungere una conoscenza certa, perché l'indeterminazione è intrinseca, ontologica, non è dovuta a limiti tecnici nei mezzi d'indagine. La foto e il suo negativo esistono e nello stesso tempo non esistono: l'esperienza stessa della loro percezione è inaccessibile all'interessato. Non è raggelante? Non è destabilizzante? Possibile che nessun filosofo si sia reso conto di tutto ciò? Questo film è ben più di quanto possa sembrare a prima vista.

Altre recensioni e reazioni nel Web

Non è un film che abbia dato origine a una girandola di thread animati e di controversie, cosa di cui mi rammarico. In fondo non c'è da stupirsi che sia stato a dir poco sottovalutato. Sarà anche una banalità, ma devo dire che il cinema francese in genere non piace molto in Italia. Si trova qualche intervento sul sito del Davinotti:

Nicola81 scrive:

"Onesto dottore si candida sindaco di una città di provincia, ma l'amministrazione in carica ricorre a qualunque mezzo pur di fermarlo... Animato dalla consueta passione civile, Cayatte dirige un film di denuncia che pur reggendosi su un presupposto che desta non poche perplessità (possibile che negli anni '70 non si fosse in grado di smascherare una foto taroccata?), si segue con interesse grazie a un bel ritmo, dialoghi ficcanti e un ottimo cast: svettano Fresson e soprattutto la Girardot, poi l'ambigua Darc, Bouquet e Falcon al solito infidi" 

Kanon scrive, con una vena polemica:

"Cayatte riadatta l'affaire Markovic alla provincia, che pur piccola che sia tiene in seno serpi da serie A. Tentazioni manicheiste se ne vanno a spasso con una processione che la fa tanto ma tanto lunga - e col passare dei minuti, sempre più inverosimile - quando invece sarebbe bastata una banalissima prova del nove (cos'è, troppo pudore o dimenticanza volontaria subordinata alla tesi?) per poter sbugiardare la carnevalata imbastita. De toute façon, di mestiere il cast indora la pillola."

Come spesso accade, sono costretto a farmi bollire il sangue leggendo parole come "tentazioni manicheiste". Possibile che un aggettivo che descrive un grande pensiero religioso e filosofico sia usato in senso abusivo da gente che in sostanza non ne conosce nulla?

La pellicola di Cayatte non è affatto piaciuta ai gestori di www.filmtv.it, nel cui sito possiamo leggere questa nota desolante: 

"André Cayatte, prima di darsi al cinema, faceva l'avvocato. Ne avrà viste di tutti i colori ma questo non giustifica un racconto così artificioso, faticoso e didascalico. Il film si lascia vedere, ma data l'ottima prova degli attori (Annie Girardot in testa), resta un'occasione sprecata."

Profondamente scettico è anche Jonas, che pure riconosce al regista qualche merito:

"Il film fa parte della parabola discendente della carriera di Cayatte, ormai lontano dai fasti degli anni ’50, ma ne conserva il piglio vigoroso e la passione civile: c’è qualcosa soprattutto di Fascicolo nero, nella denuncia delle pericolose connivenze fra politici, magistrati e poliziotti. Il problema è che i cattivi sono così goffi, le loro macchinazioni così stupide, che si fatica a credere che possano reggere quasi fino alla fine (non so quale fosse la situazione dell’epoca: con gli strumenti a disposizione oggi, smascherare un fotomontaggio, verificare tabulati telefonici o stabilire l’ora di una morte sarebbe ordinaria amministrazione); e anche la vittoria finale dei buoni arriva in modo così contorto da non lasciare pienamente soddisfatti. Comunque, pur servendosi di mezzi elementari, la vicenda sa coinvolgere."

Tra questi recensori non ne vedo uno solo che abbia davvero compreso l'opera di Cayatte. Si limitano a considerazioni di estrema superficialità, com'è consuetudine in simili siti del Web. Potessi imbattermi in qualcosa che va al di là dei pensierini delle elementari e dei temini delle medie!  

Nessun commento: