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lunedì 2 dicembre 2019

 
INTERRABANG 

Anno: 1969
Paese: Italia
Lingua: Italiano
Durata: 102 min (versione originale),
                93 min (versione tagliata)
                Altre versioni censurate: 88 min, 73 min
Colore: Eastmancolor
Genere: Thriller, giallo, erotico 
Regia: Giuliano Biagetti
Sceneggiatura: Luciano Lucignani, Giorgio Mariuzzo, Edgar
    Mills
Soggetto: da un racconto senza titolo di Edgar Mills
Produttore: Giancarlo Segarelli
Casa di produzione: Salaria Film
Distribuzione: Panta Cinematografica
Fotografia: Antonio Borghesi
Montaggio: Marcella Bevilacqua
Musiche: Berto Pisano
Costumi: Emilio Pucci, Vittoria Serra
Trucco: Fulvia Dulac, Alfredo Marazzi
Gestione della produzione:
Enzo De Punta (come Enzo
     Del Punta), Fabio Diotallevi 

Direttore artistico:
Tellino Tellini
Assistente direttore: Giorgio Mariuzzo
Operatore di camera: Sergio Rubini
Suono: Giulio Spelta
Assistente operatore: Maurizio Cipriani 
Interpreti e personaggi: 

    Umberto Orsini: Fabrizio
    Beba Lončar: Anna
    Haydée Politoff: Valeria
    Shoshana Cohen: Maregalit
    Corrado Pani: Marco
    Tellino Tellini: Guardacoste
    Edmondo Saglio: Guardacoste
    Antonietta Fiorito: Ragazza sul motoscafo 
Doppiatori italiani:
    Annarosa Garatti: Valeria
    Laura Gianoli: Anna
    Stefano Satta Flores: Fabrizio
Luogo delle riprese: Isola Rossa (Porto Santo Stefano)
Titoli in altre lingue:
    Francia: Les Allumeuses,
                    Boumerang,
                    La perverse ingénue,
                    Le plaisir de la chair,
                    Trois vicieuses sur une île 
    Hong Kong (inglese): Interpoint
 

Colonna sonora:
  Autore: Berto Pisano
  Genere: Lounge
  Etichetta: RCA Original Cast
  Album
    A piedi nudi sulla spiaggia
    La scogliera dell'amore
    Il colore degli angeli
    Sabbia e mare
    Little Snack Bar
    ...e il Sole scotta
    Tramonto sulla scogliera
    La vallata sommersa
    Luci sulla baia
    Tema di Valeria
Singolo
    Il colore degli angeli
    ...e il Sole scotta 

Trama:
Un mondo fatto soltanto di mare, sole e musica lounge insinuante, ossessiva, che non finisce mai, che non si interrompe nemmeno per un attimo. Sembra quasi che non esista la notte: l'astro diurno splende sempiterno e immutabile, alto nel cielo. Un panorama irreale. Uno yacht è ancorato a poca distanza dalle rive di un'isola pietrosa del Mediterraneo, che dovrebbe essere disabitata. A bordo ci sono personaggi che rappresentano bene i tempi nuovi. Fabrizio è un fotografo cinico e biondiccio, che considera l'essere umano una massa di sterco utile solo per i soldi che se ne possono trarre. Sua moglie, la bionda Anna, è la sua viziata (e viziosa) proprietaria dell'imbarcazione e di un atelier, tutta piena di plutocratica sicumera. La sua vocina è stridula e odiosissima; ha con sé la sorella Valeria, una ragazza caratteriale dalla pelle lattea e dal seno poco sviluppato, con i capelli di un colore castano rossiccio. Porta un originale ciondolo a forma di interrabang, che è l'unione di un punto interrogativo con un punto esclamativo. Poi c'è Maregalit, una bruna indossatrice israeliana dal fisico statuario, ninfomane e rovente come un vulcano in eruzione. Le tre donne e il fotografo completano in una mattinata un servizio fotografico sulla spiaggia dell'isola. La radio diffonde la notizia dell'evasione di tre pericolosi detenuti, di cui due subito ricatturati: ne resta libero uno. Si segnala anche la scomparsa di un agente. Subito dopo Fabrizio si rende conto che l'imbarcazione è rimasta a secco, così approfitta di un passaggio su un motoscafo per andare a cercare del carburante. Le tre donne restano ad aspettare il suo ritorno, approfittandone per tuffarsi e per prendere il sole sulla riva. Antipatie e tensioni non mancano, ma presto accade qualcosa di imprevisto. Maregalit nota la presenza di un uomo sull'isola ed è la prima ad avvicinarlo, non senza una certa inquietudine: potrebbe essere proprio l'evaso di cui parlavano alla radio. Lo sconosciuto si presenta all'israeliana e dice di chiamarsi Marco. Afferma di essere uno scrittore e di abitare sul versante opposto dell'isola, in un luogo che dallo yacht ormeggiato risulta invisibile. Anna e Valeria sono piuttosto sospettose, anche se alla fine rimangono anche loro affascinate da quell'uomo ambiguo che sembra venuto dal Nulla. I sentimenti delle tre donne sono contraddittori, dato che all'indubbia attrazione verso Marco si accompagna la crescente convinzione che sia l'evaso e l'assassino dell'agente, animato da propositi omicidi nei loro confronti. Un elemento nuovo e inatteso fa la sua irruzione: la paranoica Valeria, divenuta amante del bello e dannato, complotta con lui per uccidere gli altri. Così Marco strozza Maregalit su uno scoglio, poi conduce Anna in un oscuro recesso marino, uccidendo anche lei. Quando Fabrizio ritorna, viene soppresso dopo una breve colluttazione sullo yacht, sotto gli occhi di Valeria. Il piano è questo: i due amanti - che in realtà si conoscevano da tempo - intendono impadronirsi degli averi di Anna per iniziare una nuova vita a Beirut. Tutto sembra filare liscio, ma ecco un nuovo colpo di scena. Tutti gli omicidi erano soltanto docetici. Allo spettatore è parso che Marco uccidesse Maregalit, Anna e Fabrizio, ma in realtà non era vero, era tutta una macabra messinscena, tanto che questi futili personaggi saltano fuori come folletti su un motoscafo sfrecciante. Così emerge un nuovo contorto piano, escogitato all'insaputa di Valeria. "Intèrrabang... fa stranamente rima con boomerang", commenta Marco. Valeria che non regge il colpo, non accetta di essere stata usata come un oggetto. All'inizio sembra stare al gioco e posa con gli altri in una serie di foto in cui fa smorfie e tira fuori la lingua, ma si capisce subito qualcosa non va: infatti getta la sua collana tra le onde, quindi si uccide gettandosi sull'elica dell'imbarcazione. Il film si chiude con un'angosciante ripresa del volto di Marco, pietrificato dallo stupore misto al raccapriccio. 

Recensione: 
Ho visto questo film fuori tempo massimo, quando l'epoca che lo aveva partorito era ormai soltanto un vaghissimo ricordo, remoto come la corte di Nabucodonosor o le vigne amare di Sodoma. Faccio fatica persino a credere che quel mondo faccia parte dello stesso cosmo in cui conduco la mia presente esistenza. Nonostante gli eventi narrati dalla pellicola abbiano tutte le caratteristiche di un thriller, non ho potuto evitare di sprofondare in uno stato ipnotico, fotogramma dopo fotogramma. Alla fine mi sono trovato in una condizione tale da contemplare l'intera esistenza con gli occhi immemoriali di un alligatore, come se vi fossi precipitato prima dell'inizio dello scorrere degli istanti. Eppure Interrabang è denso di contenuti della massima importanza: annuncia la Grande Frattura, il dragone del Postmodernismo che avanza, mentre le cariatidi di tutto ciò che esisteva prima si screpolano e infine crollano nella polvere.

 
Scarsità di mezzi  

Gli effetti speciali sono terrificanti. Trovo inguardabile la scena del suicidio di Valeria, proprio nel finale: quando la ragazza magrissima e quasi priva di tette si getta contro l'elica dello yacht, si vede affiorare sulle acque una chiazza informe di denso liquido di un assurdo arancione shocking, simile a una colata di plastica fusa. Quando ero un moccioso chiamavo quell'arancione "color dentista", perché un brutto giorno della mia vita, a causa dei dolori provocati da un dente marcio, i miei genitori mi avevano portato da un odontoiatra sadico con arredi plastificati di quell'inconfondibile tinta sgargiante. Altre denominazioni potrebbero essere queste: "carota psichedelica", "carotene arricchito", "color Papoola", "albicocca plastificata". Incredibile come i registi e gli addetti agli effetti speciali ignorassero tutto sul vero colore del sangue! Alcuni geni cinematografici immaginavano il sangue come sugo di pomodoro, altri come marmellata di amarene annacquata. Però a pensarci bene ci potrebbe essere una spiegazione alternativa: la povera Valeria in realtà era un'aliena! 😁
 
 

Una vita senza tragedia 
 
Un punto del film mi è rimasto particolarmente impresso. Durante l'ennesimo bagno di sole, Valeria fa alcune affermazioni piuttosto singolari, che preconizzano il suo triste destino. Si parla della vita e del suo legame intrinseco con la tragedia. Riporto il dialogo in questione:  
 
Fabrizio: "Si tratta del desiderio di eliminare quello che di tragico e di noioso c'è nella vita, dico bene? - riporta inevitabilmente alla tragedia."
Maregalit: "Non ho capito un bel niente!"
Fabrizio: "Perché sei stupida!"
Valeria: "Più leggo più mi rendo conto come tutti ovunque ci dicano tutti la stessa cosa. È filosofia vecchia, ormai, è la vecchia invenzione dei francesi l'eliminazione della tragedia."
Fabrizio: "Non ti sapevo così preparata."
Valeria: "Ti sembrerà incredibile, eh, ma capita anche a me di leggere, qualche volta. E qui c'è la tesi più vecchia del mondo. È importante giocare sulla vita. Il gioco come un mezzo per cercare e trovare la libertà."
Fabrizio: "Ma che libertà? Guarda che muoiono tutti alla fine."
Valeria: "Certo, ci avrei giurato, perché la libertà assoluta è la morte."
Fabrizio: "La morte..."
Maregalit: "Noiosi i ragazzi, ma colti!"
 
Eppure la tragedia è proprio ciò che Valeria vorrebbe rimuovere dalla propria esistenza, nonostante lo sdegno ostentato nei confronti della vecchia filosofia. L'inganno in cui cade è come un Ouroboros, il suo inizio coincide con la sua fine. L'insipienza della modella israeliana è spaventosa e al contempo è un segno dei tempi.  
 
Beirut, capitale della dolce vita

Pochi sanno che Beirut ha prodotto campioni dell'edonismo come l'ineffabile gioielliere Fawaz Gruosi e il cantante Gazebo (al secolo Paul Mazzolini). Al giorno d'oggi si fa molta fatica a crederci: l'intero Libano, per lunghi anni teatro di un sanguinoso conflitto, è stato ridotto a un immenso cumulo di macerie. Prima che divampasse questo orrore, le cose erano ben diverse. Nessuno, andando su e giù in limousine per la Beverly Hills della città cananaea, avrebbe mai pensato che Baal sarebbe giunto a pretendere il suo tributo in sangue e in carne bruciata. Il Dio dell'Antico Testamento, bugiardo e ingannatore, non ha abolito il sacrificio di Moloch: lo rinnova senza sosta nella terra di Canaan.  
 
Apologia dello spoiler 
 
Un tempo cercavo di evitare gli spoiler, poi mi sono oltremodo irritato e adesso faccio ciò che voglio. Se necessario spoilero. Queste sono le motivazioni razionali della mia scelta: 
 
1) Non ha senso leggere la recensione di un film che non si è visto; 
2) Chi vuol leggere la recensione di un film che non ha visto, dovrebbe prima vederselo;
3) Se il finale di un film è di capitale importanza, evitare di discuterne compromette la recensione. 
 
Si noterà che molte sinossi e recensioni di Interrabang, pur di tacere del finale, traggono in inganno il lettore, facendogli credere che Marco sia davvero un evaso e un assassino, che abbia davvero ucciso non soltanto un agente di polizia, ma anche Anna, Fabrizio e Maregalit. 


Una fallacia logica 
 
A un certo punto Marco, interpretato dall'irritante Corrado Pani, finge di strangolare Maregalit. Orbene, dato che Valeria si trova altrove e non può vedere né sentire nessuno dei due, a beneficio di chi è stato messo in scena questo omicidio simulato? In pratica è una scena assolutamente gratuita, girata soltanto per lo spettatore. Non ha costrutto alcuno. Tra l'altro, per pochi istanti si nota che l'uomo indugia e tocca il seno della modella esanime, volendo far credere di considerare un atto di necrofilia. Subito si allontana. Anche la morte docetica della biondissima Anna, che segue di lì a poco, obbedisce a questo canovaccio di insensatezza. L'atmosfera è rilassata, un omicidio non sembra possibile. Quello che dovrebbe essere un carnefice, un esecutore, intrattiene la vittima con un'amabile parlantina e con sbaciucchiamenti, poi la conduce in un diverticolo delle acque marine, che si insinua tra le rocce e in cui non giunge bene la luce dell'astro diurno. A questo punto la valchiria geme, dice che ha paura. Nella versione del film da me visionata non si vede alcun atto di violenza, si dà per scontato che l'uccisione si sia realizzata.  

 
Possibili residui di rimaneggiamenti 

Alcune domande angoscianti. Alla fine si capisce che Marco è un evaso finto, dato che tutto è stato architettato come in un gioco di ruolo multiplo, complicatissimo. Un guardiacoste ha affermato che il vero evaso è stato catturato, quindi non è stato Marco ad uccidere l'agente di polizia. Allora come mai verso l'inizio del film Maregalit, Valeria e Anna lo hanno avvicinato come se lo ritenessero davvero un evaso e un assassino? A che pro questa messinscena? Come mai hanno reagito con sostanziale indifferenza al rinvenimento del cadavere sulla scogliera? A pensarci bene, se tutti conoscevano Marco fin da principio, perché questi li ha preceduti sull'isola? Siamo forse di fronte a una trama cambiata più volte, in cui non è stata fatta nemmeno una rilettura sommaria per scovare incoerenze? Il racconto di Edgar Mills (stranamente privo di titolo) potrebbe aiutarci, ma ho il sospetto che sia fantomatico. Anzi, sembrerebbe che sia fantomatico lo stesso autore.   

Etimologia di Interrabang 

Come spiegato anche nel corso del film, la parola interrabang sta per interrogative bang (‽) e indica l'unione tra il punto interrogativo (interrogative-point, sinonimo di question mark) e il punto esclamativo (chiamato bang in gergo). L'ortografia corretta sarebbe in realtà interrobang. In buona sostanza si tratta di una parola macedonia. Valeria spiega il bizzarro segno d'interpunzione con queste parole: "È il segno nuovo del dubbio, dell’incertezza di noi tutti, l’incertezza di questa nostra epoca, l’incertezza del mondo..." Si potrebbe dire che l'interrabang è un geroglifico del postmoderismo, che esprime tutta la sua balbuzie di fronte alla stessa idea di verità oggettivamente determinabile. La prima volta che mi sono imbattuto nel titolo della pellicola di Biagetti ero talmente ingenuo da credere che Interrabang fosse il nome di un'isola dell'Indonesia. Accantonai subito un'altra ipotesi, a dire poco surreale: in preda a una subitanea alterazione autistica, per pochi istanti mi venne in mente che si potesse trattare del rumore dello sparo di una pistola interrata. 
 
 
Etimologia di Maregalit 
 
Ci viene detto nel corso del film che il nome dell'indossatrice israeliana è l'equivalente ebraico di Margherita, che significa "perla". In realtà siamo di fronte a una cattiva traslitterazione. Non dovrebbe essere Maregalit, bensì Margalit (מַרְגָּלִית). La -e- mediana è nata da un'errata lettura dello Schwa muto. Una variante del nome è Margolis. Si capisce subito che l'ebraico margalīt "perla" è un prestito dal greco margarítēs (μαργαρίτης). In ultima analisi la parola greca ha origini indoarie e iraniche: sanscrito mañjarī (मञ्जरी) "perla", persiano moderno morvārīd (مروارید) "perla". Come si può vedere già dall'aspetto, queste parole provengono da un sostrato non indoeuropeo.

Il maglio della censura  

Il thriller erotico-nichilista di Biagetti fu considerato indecente e pericoloso dal magistrato Vittorio Occorsio, che lo fece sequestrare su tutto il territorio nazionale. All'epoca bastava l'esibizione di mezza tetta, bastava qualche idea contraria al moralismo imperante per finire stritolati dalla macchina del Leviatano. Il pensiero prevalente a quei tempi era chiaro: l'apparato statale era animato dall'idea che un uomo onesto non potesse avere erezioni. Forse è stato questo, più che neanche il nichilismo morale, a destare le furie e l'accanimento dell'ingranaggio censorio. Adesso mi piacerebbe sapere cosa penserebbe dell'Italia del XXI secolo il magistrato in questione, che fu poi ucciso dagli Ordinovisti. Forse è colpa di Interrabang se ci sono gang di adolescenti riscimmiati che bruciano i vagabondi per provare lo sballo? Forse è colpa di Interrabang se ci sono gli snuff videos, se c'è la pedofilia dilagante? Forse è colpa di Interrabang se ci sono più corna che matrimoni? 

Una sorta di maledizione 

Si potrà anche non credere che la censura abbia avuto il potere di far scomparire Interrabang nel Nulla e nell'Oblio. Fatto sta che in cinquant'anni il film di Biagetti non è mai stato trasmesso in televisione, nemmeno una volta. I grandi dizionari cinematografici hanno a lungo evitato di menzionarlo. "Se un alieno capitasse sulla Terra e volesse informarsi intorno ai registi italiani, e specialmente su quelli attivi fra gli anni Sessanta e Settanta del Novecento, probabilmente non ne sospetterebbe neppure l’esistenza. È come se la sua memoria fosse stata cancellata." (Lamendola, 2008). Non sbaglieremmo se dicessimo che Interrabang è diventato un cult in stato di quasi assoluta clandestinità. 

La fine di un mondo 

L'interrabang è un simbolo più denso della materia collassata di una stella a neutroni: rappresenta in qualche modo una linea di demarcazione, uno spartiacque tra la vecchia società e quella nuova. Quali sono le proprietà di questo Homo novus? Semplice: l'unione tra l'assoluta mancanza di intelletto e l'assoluta mancanza di empatia. L'edonismo sfrenato fornisce a questa sintesi letale un'apparenza piacevole quanto traditrice.

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Questa è il link alla recensione del film di Biagetti su Il Davinotti
 
 
"L'unità di spazio e tempo origina purtroppo una staticità che a lungo andare stanca, anche perché i dialoghi - che in questi casi avrebbero l'obbligo di rendersi interessanti - non vanno molto al di là di qualche frase saltuariamente indovinata sempre all'insegna di un libertinismo esasperato. [...] Troppo facile? Chissà. Di certo porta con sé anche la chiara sensazione che i primi a esser presi in giro siam stati noi, spettatori di lunghi botta e risposta che non avrebbero avuto nella realtà alcuna logica di esistere, considerato quanto accade negli ultimi minuti. Consoliamoci con l'estetica, con l'occhio che se vuole la sua parte qui ce l'ha, sotto ogni... punto di vista."
(Marcel M.J. Davinotti Jr.)  

Sulla stessa pagina sono stati pubblicato diversi commenti di lettori, accumulatisi nel corso degli anni. Ne riporto alcuni: 
 
"Una sorta di fotoromanzo glamour che ha la sua forza nelle splendide attrici perfettamente svestite e nella suggestiva location (claustrofobica per via della barca, angosciante per via del mare aperto). Ovviamente anche il contorno quasi anni 70 non ha paragoni, cinematograficamente parlando. Poi. Poi, sostanzialmente, non accade nulla. I dialoghi sono un po’ così, la tensione dev'essere annegata nel Tirreno e l’erotismo disperso in qualche parte dell’isola. E' un po’ tutto e un po’ niente, questa pellicola. Con un suo fascino."
(Ira72)

 
La prima parte è piena zeppa di dialoghi noiosetti, com’era tipico di quell’epoca, nonché intellettualoidi e di grande vacuità e banalità. Eppure il film si lascia seguire in modo gradevole, fino a quando non ingrana e si apre veramente al thriller. L'ultima parte presenta anche dei riusciti colpi di scena, non certo molto prevedibili.
(Cotola) 

Tre bambole baviane alle prese con orgasmi e paranoie lenziani su uno yacht spiaggiato senza benzina. Prima di dedicarsi al decamerotico sotto pseudonimo (forse proprio per preservare l'integrità degli esordi) Biagetti è artefice di questo singolare vip thriller più intellettualistico della media.
(Il Dandi)

Noioso. Questo il maggior difetto imputabile al film, che si trascina stancamente per tutta la sua durata senza mai riuscire a interessare davvero; che poi la sceneggiatura giochi assai "sporco" con gli spettatori diventa cosa di secondaria importanza.
(Caesars) 
 
Interessante la recensione sul sito di Arianna Editrice, a firma di Francesco Lamendola, in cui è affermata una tesi abbastanza singolare: Interrabang sarebbe in sostanza del tutto privo di contenuti e consisterebbe unicamente nell'atmosfera che riesce ad evocare (mare + sole + sesso + musica + suspense). Il testo è dottissimo e pieno di riferimento. Così come Abdul Alhazred si chiama così perché ha letto tutto (all has read), recensori tanto valenti e dotti dovrebbero essere denominati Abdul Alhasseen, perchè - diabole domine - hanno visto tutto, ma proprio tutto. Io non ci arriverei mai. Chapeau. Ecco il link: 
 
 
Segnalo un "Portfolio Sotterraneo", uno dei pochi siti nel vasto Web ad ospitare uno spoiler di Interrabang. Quindi è senz'altro un sito onesto che merita la mia stima. Ecco il link: 
 
 
Questa è la recensione di Massimiliano Schiavoni, apparsa su Quinlan (Rivista di critica cinematografica): 
 

mercoledì 2 ottobre 2019

L'ATEISMO TRA I VICHINGHI

L'Ellade ai tempi di Socrate era un ambiente molto duro. Per essere accusati di empietà e di ateismo bastava mettere in dubbio che la pioggia fosse l'orina di Zeus passata attraverso un grande setaccio celeste. La vicenda umana del filosofo ateniese è ben nota a tutti: le accuse a lui rivolte lo portarono alla condanna a morte tramite ingestione della cicuta. Era considerato un corruttore di giovani, non perché si facesse da loro fellare, bensì per via della sua supposta empietà concettuale. Tutti siamo a conoscenza dell'antica e venerabile origine greca della parola ateo (da cui anche ateismo), nata dal prefisso negativo a- "non, senza" (cfr. acritico, etc.) e dal nome della divinità, theos (cfr. teologia, etc.). A scuola insegnano queste nozioni con grande cura - o almeno le insegnavano ai tempi in cui ero un alunno: adesso a quanto pare preferiscono fare la parafrasi dei testi di Francesco Alberoni. Nessuna menzione invece su come la negazione della divinità era vista presso altri popoli. Il deleterio corpo docente italico, che etichetta tutti i popoli estranei alla latinità e alla grecità col nome collettivo di Barbari, forse crede che mai al di fuori della filosofia ellenica sia stato concepito il concetto di ateismo. Il tipo di ragionamento non è nuovo. Alberto Sordi diceva a un inglese: "I miei antenati costruivamo fognature quando i suoi si dipingevano ancora la faccia di blu." E Luciano De Crescenzo rincarava la dose, apostrofando Umberto Bossi: "Quando i suoi antenati celtici erano ancora barbari aggrappati ai rami, i miei antenati già froci." Nulla di più falso di simili convinzioni bacate, che possiamo ritenere più che altro una massa fecale di pregiudizi.

Sappiamo per certo che esistevano atei nella Scandinavia pagana: molti Vichinghi furono chiamati Guðlausir menn, ossia "uomini senza dio" (o meglio "uomini senza dèi"). Questa denominazione è stata attribuita ai Condottieri dei Mari perché facevano conto unicamente sulle proprie forze e sulla propria volontà, senza affidarsi in alcun modo all'aiuto di entità sovrannaturali. Possiamo così sostenere senza timore di smentita la liceità di questa traduzione:

guðlauss maðr (m.), ateo 

Faccio presente che in Italia per veder emergere una simile fede nel potere dell'Uomo dobbiamo attendere Vespasiano Gonzaga (1531 - 1591), che nella sua corte a Sabbioneta aveva vietato il gioco delle carte, pensando che nessuno dovesse fare affidamento sulla mutevole fortuna. Egli riteneva che fosse compito di ciascuno costruirsi il destino soltanto con le proprie forze e con il proprio ingegno. Proprio come i Vichinghi atei! 

Nella Heimskringla di Snorri Sturluson (XIII secolo), nel capitolo CCI della Saga di Olaf il Santo (Óláfs saga Helga), è narrato un episodio degno della massima attenzione. Il Re Olaf II di Norvegia, detto Helgi (Il Santo), incontrò nella sua fuga verso la Russia numerosi uomini che vivevano nella foresta. Il loro capo Gaukathorir (da gaukr "cuculo") disse al Re Olaf di non essere né cristiano né pagano, non credendo in alcuna divinità e ritenendosi il solo arbitro del proprio destino. Egli non aveva alcun bisogno di un fulltrúi, ossia di una divinità in cui porre tutta la propria fiducia. Affermava di non essere cristiano perché non riteneva Cristo il proprio fulltrúi. Affermava al contempo di non essere pagano perché non aveva alcun bisogno di sacrificare a Odino o a Thor, non riteneva nessuno degli Asi o dei Vani il proprio migliore amico, come facevano gli immolatori. Il suo discorso era soprendentemente moderno. Anzi, possiamo dire era quasi postmoderno. Purtroppo queste argomentazioni non hanno fatto gran presa sul cristianissimo sovrano norvegese, che alla fine è riuscito a convincerlo a farsi battezzare. 

Ecco il testo in norreno:

Menn þeir eru nefndir, er annar hét Gaukaþórir en annar Afrafasti. Þeir váru stigamenn ok hinir mestu ránsmenn, hǫfðu með sér þrjá tigu manna, sinna maka. Þeir brœðr váru meiri ok sterkari en aðrir menn; eigi skorti þá áræði ok hug. Þeir spurðu til hers þess, er þar fór yfir land, ok mæltu sín á milli, at þat mundi vera snjallræði at fara til konungs ok fylgja honum til lands síns ok ganga þar í fólkorrustu með honum ok reyna sik svá; því at þeir hǫfðu ekki fyrr í bardǫgum verit, þeim er liði væri fylkt til. Var þeim þat forvitni mikil at sjá konungs fylking. Þetta ráð líkaði vel fǫrunautum þeirra; gerðu þá ferð sína til fundar við konung. En er þeir koma þar, þá ganga þeir með sveit sína fyrir konung, ok hǫfðu þeir fǫrunautar alvæpni sitt. Þeir kvǫddu hann. Hann spurði, hvat mǫnnum þeir sé. Þeir nefndu sik ok sǫgðu, at þeir váru þar landsmenn. Þá bera þeir upp erendi sín, ok buðu konungi at fara með honum.
Konungr segir, at honum leizt svá sem í slíkum m
ǫnnum muni vera góð fylgd: "Ek em fúss", segir hann, "við slíkum mǫnnum at taka; eða hvárt erut þér kristnir menn?" segir hann.
Gaukaþórir svarar, segir, at hann var hvárki kristinn né heiðinn: "H
ǫfum vér félagar engan annan átrúnað, en trúm á orku ok afl okkat ok sigrsæli, ok vinnst okkr þat at gnógu."
Konungr svarar: "Skaði mikill, er menn svá liðmannligir skulu eigi á Krist trúa, skapara sinn."
Þórir svarar: "Er nøkkurr sá í þínu f
ǫruneyti, konungr, Kristmaðrinn, er meira hafi á degi vaxið en við brœðr?"
Konungr bað þá skírast láta ok taka trú rétta þar með: "ok fylgit mér síðan; skal ek þá gera ykkr virðingamenn mikla: en ef þit vilit þat eigi, þá farit aptr til iðnar ykkarrar."
Afrafasti svarar, segir, at hann vildi ekki við kristni taka. Snúa þeir síðan í brott.
Þá mælti Gaukaþórir: "Þetta er sk
ǫmm mikil, er konungr þessi gerir oss liðrækja; þar kom ek aldri fyrr, er ek væra eigi hlutgengr við aðra menn; skal ek aldri aptr hverfa at svá geru." 

Síðan slógust þeir í sveit með markamǫnnum ǫðrum ok fylgdu flokkinum. Sækir þá Ólafr konungr vestr til Kjalar. 

Questa è la traduzione, su cui invito tutti a meditare:

Gli uomini sono menzionati per nome: uno di essi era chiamato Gaukathorir e un altro Afrafasti. Essi erano fuorilegge e grandissimi predoni, e avevano con sé trenta uomini come loro. Non mancavano di ardimento e di coraggio. Avevano udito di questo esercito che stava viaggiando per il paese, e avevano discusso tra loro che sarebbe stato un buon piano andare col Re, seguirlo nel suo paese e prendere parte assieme a lui a una grande battaglia, mettendo così se stessi alla prova - perché non erano mai stati prima in battaglie in cui le truppe erano schierate in ranghi. Essi avevano grande interesse a vedere schierato l'esercito del Re schierato in assetto di battaglia. E quando andarono là, si presentarono davanti al Re con la loro banda di uomini, e i loro compagni avevano l'armatura completa. Essi lo salutarono. Egli chiese loro che tipo di uomini fossero. Essi diedero i loro nomi, dicendo che erano nativi del paese. Presentarolo la propria attività e offrirono al Re di andare con lui. Il Re disse che gli sembrava che avrebbe avuto un buon sostegno in quegli uomini.
"Sono desideroso", egli disse, "di prendere con me simili uomini. Ma siete cristiani?"
Gaukathorir rispose, dicendo che egli non era cristiano né pagano. "Noi compagni non abbiamo altra fede oltre al fatto che crediamo in noi stessi, nella forza e nella nostra fortuna in battaglia, e questo va bene per noi."
Il Re replicò: "Che gran peccato che uomini che sembrano tanto utili non debbano credere in Cristo, loro Creatore."
Thorir replicò: "C'è qualcuno nella tua compagnia, o Re, un uomo di Cristo, che sia cresciuto in un giorno più di noi fratelli?" 
Il Re disse loro che dovevano farsi battezzare e accettare con questo la vera fede.
"E allora seguitemi", disse, "Io farò di voi uomini di alto rango. Ma se voi non volete fare ciò, allora tornatevene alle vostre occupazioni."
Afrafasti rispose, dicendo che non intendeva accettare il Cristianesimo, dopodiché si allontanò. Allora disse Gaukathorir: "È molto vergognoso che questo Re ci debba respingere dal suo esercito. Non mi era mai capitato prima di non essere ritenuto buono tanto quanto altri uomini. Non mi allontanerò mai lasciando le cose così."
In seguito a ciò, essi si arruolarono nella compagnia assieme ad altra gente della foresta e andarono con le loro truppe. Quindi il Re Olaf si diresse a occidente, verso Kjøl.


Un dilemma lessicale e semantico. Il capo degli Uomini della Foresta avrà compreso il vocabolo skapari "Creatore" usato dal Re Olaf? Oppure il sovrano cristiano avrà usato un'altra parola per esprimere il concetto? Non possiamo saperlo. La saga è stata scritta molto tempo dopo i fatti che racconta. 

Esiste poi un'opera tratta dalla Heimskringla, ma scritta in latino. Il suo titolo è Historia Rerum Norvegicarum ed è stata scritta all'antiquario islandese Þórmoðr Torfason, anche noto come Thormodus Torfæus (1636 - 1719). Ecco come è stata reso nella lingua di Roma l'episodio di Gaukathorir e del Re Olaf: 

Duo erant prædones cæteris formosiores, Gaukathorir & Afrafastius, fratres sui similium triginta duces, robore corporis & audaciâ alios longo post se intervallo relinquentes, qui ad famam prætereuntis exercitus excitatiores, amplum sibi ducebant Regem regnum repetentem sequi, subque signis, cuius antea inexperti, militare; incessitque magna cupido, nunquam prius conspectæ sibi aciei vicendæ, placuitque consilium sociis universis. Adito itaque Rege, singuli armaturâ integrtâ instructi, societatem belli offerunt, se provinciæ illius indigenas profitentes. Ille aptos bello viros, optatosque sibi comites pronuncians, Christiani essent, an pagani? quærit. Gaukathorir, neutrum horum, respondit, fiduciâ virium suarum victoriarumque in hunc diem perpetuo successu invictos, aliâ fide non indigere. Rege dolendum regerente, viros tam alacres notitiâ creatoris sui destitui; Gaukathorir quærit, an ullus in exercitu eius Christianorum uno die plus illis creverit? Rex, omisso inutili colloquio, iubet ut sacro lavacro se ablui patiantur, fidemque Christianam amplectantur, se deinde sequantur: honores eis exinde paratos haut exiguos; id si nollent, ad suam professionem redeant. Afrafastius se Christianum futurum negans, cum suis complicibus discedebat. Tum vero Gaukathorir ignominiam interpretatus, ut indignum reiici, neque id sibi antea evenisse testatus, nec hoc statu se abiturum asseverat. Montanorum itaque cohortibus se ingerentesi in exercitu remanserunt.

Come si può vedere, non si tratta di una traduzione letterale. Si noterà l'opposizione tra l'estrema sintesi del latino e la natura più analitica del norreno. Nonostante il norreno abbia una grammatica molto complessa e ricca di forme declinate, spesso esprime con molte parole ciò che in latino può essere espresso in modo sorprendentemente stringato. Le aggiunte non sono meno sorprendenti delle frasi rivoltate come un calzino. Si noterà un importante segmento assente nel testo originale della Heimskringla. Il redattore, sdegnato dalle argomentazioni atee di Gaukathorir, trova necessario inserire un giudizio morale severo da parte del Re cristiano. Così scrive: "Rex, omisso inutili colloquio" - ossia, "Il Re, tralasciando un discorso inutile". Che conclusioni possiamo trarne? Un bandito norvegese dell'XI secolo, isolato, privo di contatti sostanziali con l'Europa Cristiana, potrebbe parlare tranquillamente con un uomo occidentale del XXI secolo ed essere compreso nei suoi più intimi sentimenti. Sembra invece estendersi un abisso insondabile tra lo studioso islandese del XVII-XVIII secolo e la gente della presente epoca. Un abisso più invalicabile di quello che separa i morti dai viventi.

lunedì 15 luglio 2019


SEROTONINA

Autore: Michel Houellebecq
Titolo originale: Sérotonine
Anno: 2019
Lingua: Francese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Distopico, esistenziale 
Editore: La nave di Teseo
Collana: Oceani
Traduzione (in italiano): Vincenzo Vega
Traduzione (in inglese): Shaun Whiteside
Codice EAN: 9788893447393 

Sinossi (da Googlebooks):
Florent-Claude Labrouste è un quarantaseienne funzionario del ministero dell'Agricoltura, vive una relazione oramai al tramonto con una torbida donna giapponese, più giovane di lui, con la quale condivide un appartamento in un anonimo grattacielo alla periferia di Parigi. L'incalzante depressione induce Florent-Claude all'assunzione in dosi sempre più intense di Captorix, grazie al quale affronta la vita, un amore perduto che vorrebbe ritrovare, la crisi della industria agricola francese che non resiste alla globalizzazione, la deriva della classe media. Una vitalità rinnovata ogni volta grazie al Captorix, che chiede tuttavia un sacrificio, uno solo, che pochi uomini sarebbero disposti ad accettare.


Recensione: 
Il sacrificio a cui Florent-Claude Labrouste si sottopone è lo stesso che Giulio Cesare, magistralmente interpretato da John Wayne, in un vecchio film storico rinfaccia a un astronomo egiziano. In poche parole, si tratta della castrazione. Una castrazione chirurgica, nel caso dell'uomo di Scienza della corte di Cleopatra. Una castrazione chimica, ma non meno efficace, nel caso del dipendente del Ministero dell'Agricoltura. Impotenza assoluta indotta dal farmaco. Il Captorix, per l'appunto. Quando una cantante bionda e prosperosa si inginocchia davanti al protagonista nel corso di un incontro dopo tanti anni di separazione - e gli prende in bocca l'uccello - ecco che lo spermodepositore flaccidissimo non mostra segni di vita. Dopo qualche minuto d'insistenza, la fellatrice smette di lavorare il glande con le labbra e con la lingua: capisce che non c'è più niente da fare. Gli ex amanti si lasciano quindi come se tra di loro ci fosse sempre stato soltanto il più mortificante tra i possibili rapporti tra maschio e femmina: ciò che con infame eufemismo è denominato "amicizia". Com'è risaputo, l'animale che le donne più odiano è il camoscio: se si imbattono in un esemplare, serbano rancore per tutta la vita. Il teatrino mi è parso davvero buffo. Nella mia fantasia mi sono immaginato la donna con tratti simili a quelli di una melomane e grandissima cornificatrice, che ha ornato il cranio del marito di palchi colossali, da fare invidia a un cervo gigante della megafauna pleistocenica. Labrouste non è soltanto quello che il Necchi chiamava "un non trombante". Il Captorix, inutile girarci intorno, è uno strumento di lobotomia chimica. Dovrebbe limitarsi a stimolare la produzione di serotonina (l'ormone della felicità). Il sospetto è che in pratica lesioni il lobo frontale. Ecco perché impedisce di sentirsi avvolti dal nero e oleoso tocco della depressione. Così Houellebecq definisce la pillola magica partorita dal suo ingegno:      

«È una piccola compressa bianca, ovale, divisibile. Non crea né trasforma; interpreta. Ciò che era definitivo, lo rende passeggero; ciò che era ineluttabile, lo rende contingente.»

E ancora:
«non dà alcuna forma di felicità, e neppure di vero sollievo, ma trasformando la vita in una serie di formalità aiuta gli uomini a vivere, o almeno a non morire, per qualche tempo.» 

L'impotenza assoluta è un effetto collaterale che nessuno a quanto pare sa spiegarsi, un'ironia del Diavolo. Lo scrittore francese tenta persino un abbozzo di spiegazione pseudoscientifica o, meglio, di pseudospiegazione scientifica. Lo stravagante dottor Azote, il cui cognome significa "Senza Vita", rivolge queste parole al suo paziente: 

«Comunque vorrei che facesse un prelievo di sangue, per controllare il tasso di testosterone. Di norma dovrebbe essere bassissimo, la serotonina prodotta per mezzo del Captorix inibisce la sintesi del testosterone, contrariamente alla serotonina naturale, non mi chieda come mai perché non se ne sa niente.» 

Eppure, anche seguendo questa terapia, il misero travet è ben lungi dall'essere diventato un puffo! Continua a vedere il mondo come l'ammasso escrementizio che è.

«In Occidente nessuno sarà più felice, pensava ancora, mai più, oggi dobbiamo considerare la felicità come un’antica chimera, non se ne sono più presentate le condizioni storiche.» 

Una lucida quanto annichilente disamina della nostra condizione. Apparteniamo a una civiltà moribonda, il cui exitus non è lontano. Crolleremo sotto il peso di infinite criticità. Senza contare una cosa che forse potrà apparire banale ma non lo è. Chi ha detto che abbiamo il diritto di essere felici?    

Una nipponica antropofaga e genocida    

Il protagonista ha un crollo esistenziale quando scopre la verità sulla sua compagna, la giapponesina di nome Yuzu. La donna d'Oriente ha lasciato traccia delle sue imprese erotiche in alcuni densi filmati in formato mp3, che inviava alle sue amiche. Praticava le gangbang spermatiche: decine di uomini si masturbavano intorno a lei nuda e inginocchiata, per poi scaricarsi a turno nella sua bocca e sulla sua faccia. Lei ingurgitava il liquame seminale, uccidendo milioni di spermatozoi nell'acido del suo stomachino, per poi avviarli con la peristalsi alle fetide caverne del suo ventre serico, finendo col trasformarli tutti in merda! Prendeva l'essenza stessa di ogni uomo, ciò che contiene tutte le istruzioni per replicarne una copia, un clone, quindi con un'operazione di Magia Nera degradava tale codice genetico, riducendolo a scoria, a schifosissima abominazione. Quando un amante si accingeva a leccare l'ano di Yuzu, sul roseo sfintere c'erano particelle microscopiche che recavano traccia della degradazione stercorale degli homunculi inghiottiti! Questi esserini agonizzanti, destinati a morire asfissiati già al loro scaturire nella bocca della donna, dopo qualche ora fuoriuscivano come terriccio pastoso dall'orifizio tanto desiderato da altri uomini ansiosi di sburrare, rinnovando il ciclo del sacrificio a Moloch! Non basta. La giapponesina non si limitava ad amanti umani. Si faceva possedere carnalmente da grossi cani! Mentre ciucciava la rubizza virilità di un esemplare robusto, credo un pitbull, un altro animale nerboruto, se non erro un alano, faceva scivolare i suoi corpi cavernosi nella vagina accogliente della ninfomane nipponica. Alla fine usciva il materiale genetico canino. Anche in questo caso gli spermatozoi eiettati nel cavo orale venivano trangugiati a boccate e condotti nel loro luogo di digestione, verso la nemesi dell'assimilazione e del rifiuto. I caldi girini che inondavano il vaso procreativo, nell'impossibilità di fecondare un ovulo, morivano tutti soffocati, lentamente, in un'agonia estenuante. E pensare che Labrouste è sempre stato perplesso dalla complessità e dalla stranezza della vulva della sua compagna. Per questo motivo preferiva consumare la sua vita di coppia intrudendo il fallo nel retto femminile ben lubrificato. Le papule sul glande subivano lo sfregamento con le aspre superfici degli stronzi formati nell'ultimo tratto intestinale e già pronti all'evacuazione. Scavando nell'anfratto merdoso, ecco che il miracolo si ripeteva ogni volta: una marea di seme invadeva la spelonca stercoraria, tingendosi di bruno da candida che era, contaminandosi e consumandosi in un'ecatombe inenarrabile di creature uccise. Crema di aborti mista a bruttura fecale! Ovviamente mi faccio beffe della dottrina dell'homunculus, professata dai tristi fetolatri di Verona: reputo il seme un po' di muco che esce da un budellino. Ho però dimostrato che è possibile utilizzare la morte degli spermatozzi (sic) per produrre bizzarre creazioni letterarie, che dovrebbero far meditare sulla nullità della natura umana. Tra i pochi lettori capitati qui per caso, spero che qualcuno abbia avuto un'erezione leggendo queste righe morbose.

Etimologia di Captorix 

Trovo davvero bizzarro l'aspetto fonetico del nome del farmaco houellebecquiano, che ricorda i famosi antroponimi celtici in -rīx "Re". Possiamo ricostruire un antroponimo gallico *Caχtorīx "Re dei Prigionieri" (-χ- trascrive una forte aspirazione): la cosa è ancor più sorprendente dal momento che *caχtos "prigioniero; schiavo" (antico irlandese cacht, gallese caeth) è proprio la naturale evoluzione di un precedente *captos, che troviamo anche nel latino captus "preso" e captīvus "prigioniero". L'antroponimo gallico trascritto come Moenicaptus dimostra che il gruppo -pt- era conservato in qualche variante della lingua: ecco che *Captorīx diventa un nome del tutto credibile! Sarà un purissimo caso? Non mi si dica che Houellebecq conosce il gallico! Come mai anche in autori che non sembrano avere conoscenze di lingue antiche, paiono emergere frammenti di nozioni occulte che hanno tutta l'aria di provenire da mondi perduti? Caso? Coincidenze? Sincronicità junghiana? Entanglement quantistico? Oppure queste cose accadono perché la vita che viviamo non è altro che un incubo delirante? Ne sono sempre più convinto: quest'ultima è la spiegazione giusta. Forse un giorno mi sveglierò e capirò tutto!

L'istinto del leone 

A un certo punto, allo scopo di riconquistare una sua vecchia fiamma, Labrouste è preso da una forza irresistibile quanto aberrante. Vuole uccidere il figlio piccolo della donna, un'affascinante morettina, sperando assurdamente di poter indurre in lei il calore e di poterla così fare nuovamente sua. Studia tutto nei minimi particolari: si reca in un albergo abbandonato che si trova non lontano dalla casa in cui la sua amata vive col figlio, per poter colpire il giovanissimo con un fucile di precisione e stroncare la sua vita. Proprio quando l'orrido piano sembra scattare e andare in porto, subentra un tremore della mano che lo fa fallire. L'uomo è preso da una subitanea onda d'orrore e si ritrae. La forza inumana che lo aveva posseduto fino a pochi istanti prima si è ormai dileguata per sempre. È proprio quella stessa forza che spinge i maschi dei leoni a trucidare i cuccioli che la leonessa ha generato in precedenti relazioni! Cosa sperava di ottenere in realtà? Credeva davvero che tutto si sarebbe aggiustato se avesse compiuto l'infame delitto? Non si rendeva neanche più conto di essere impotente a causa del Captorix? In realtà lui voleva vendicarsi. Voleva punire la donna che lo aveva abbandonato per concepire un figlio con uno sconosciuto, agendo spinta dal Genio della Specie. Con questa scelta, lei aveva rifiutato il suo ex amante, dichiarandone il fallimento biologico. Lo aveva marchiato con un epiteto che brucia anche dopo decenni: SFIGATO.

L'estinzione del ceto medio 

Serotonina non è soltanto un affresco a tinte foschissime di questo malaugurato presente: è anche un geroglifico di un futuro ben più spaventoso che incombe su tutti noi. Descrive un fatto che può essere considerato un portento funesto per l'intero Occidente: il declino del ceto medio. Questa classe sociale di grande importanza langue sempre più in situazioni critiche e si avvia verso l'annientamento. Credo che la cosa sia sotto gli occhi di tutti. Molti anni fa lessi su un libro di storia romana qualcosa che mi colpì in modo profondo. Secondo l'autore, Carlo Bornate (1871 - 1959) uno dei segni del declino dell'Impero Romano fu la scomparsa dell'ordine equestre. Proprio gli Equites, ossia i Cavalieri, costituivano il ceto medio di Roma. Si collocavano a metà strada tra i plebei e i patrizi, costituendo una specie di cuscinetto che attutiva le frizioni sociali. Era proprio l'ordine equestre a permettere l'esistenza e la tenuta dell'ascensore sociale, quel mirabile meccanismo che evita la stagnazione con tutte le sue funeste conseguenze. Fame, tumulti, tirannia e peste! Possiamo ben capire che dal blocco dell'ascensore sociale scaturisce sempre la rovina: poveri sempre più poveri e senza garanzia alcuna di potersi sostentare, plutocrati sempre più ricchi e strapotenti. Piove sul bagnato e altrove imperversa la peggiore siccità. I Gilets jaunes non sono poi così diversi dai Bagaudae dell'epoca imperiale, dal momento che si sono formati dallo stesso ribollente calderone di insicurezza e di disperazione. Ora come allora la causa ultima del disastro è soltanto una: la globalizzazione.  

Un goffo predatore sessuale 

Tra le tante cose strane, Houellebecq descrive un esemplare di paedoraptor. Non si tratta di un rettile preistorico come il velociraptor che tutti abbiamo visto nella saga di Jurassic Park. A prima vista il predatore è in tutto e per tutto simile a un professore tedesco sulla quarantina, che fa sfoggio di un certo lusso. Labrouste si imbatte in lui nel corso di una vacanza nel Cotentin. Non fa la sua conoscenza di persona, certo, si limita a guardarlo da lontano col binocolo. Così scopre che ogni giorno il paedoraptor accoglie nel suo bungalow una bambina sui dieci anni. La giovinetta dà l'impressione di essere avvezza a questo tipo di rapporti. Evidentemente ha appreso come fare qualche soldo manipolando gli uccelli. Così Labrouste approfondisce le indagini, fino ad approfittare dell'uscita del predatore, penetrando così nel suo bungalow, che era stato lasciato aperto. Qui si mette alla tastiera del computer, ovviamente non protetto da password alcuna, accedendo così al materiale pedoporno come se nulla fosse. Il professore tedesco rientra in quel mentre e trova l'intruso, ma non può ovviamente far valere il proprio diritto alla privacy. Labrouste biascica che non parlerà, che non lo denuncerà, approfittando della sorpresa dell'altro per fuggire via a gambe levate. Di lì a poco il pedosauro balza sulla macchina e fugge via con addosso un terrore folle. Si converrà che tutto l'impianto narrativo è a dir poco implausibile.    

Un gravissimo errore 

Vantando la sua smisurata cultura musicale ed elargendola con generosità ai bibliofagi, il geniale Houellebecq scivola su un grosso pezzo di sterco. Per la precisione si tratta di una gigantesca torta di vacca. Certo, non sarà appetitosa come i grassi e unti dolciumi di Gianni M., ma comunque meglio non calpestarla. Unico in tutto il Web ad aver notato la marchiana incongruenza è l'amico C., ossia Cesare Buttaboni. In poche parole riassumo l'accaduto. Quando Labrouste incontra dopo tanti anni il suo compagno di sventure universitarie, il gagliardo normanno Aymeric Florent, i loro discorsi virano sulla musica. A un certo punto il protagonista descrive la passione del nobile per i Pink Floyd e menziona Ummagumma come "il disco della mucca". Cosa c'è di sbagliato? In fondo tutti noi ricordiamo un famoso disco dei Pink Floyd con una bella mucca pezzata in copertina. Il punto è che quel disco non si intitola Ummagumma. Come giustamente il Buttaboni mette in evidenza, è sulla copertina di Atom Heart Mother che compare il famigerato bovino dal manto bianco e nero, dotato di smisurate ghiandole lattifere! Ecco a voi la recensione buttaboniana, la cui lettura raccomando vivamente a tutti:


La domanda che mi pongo è questa: davvero un sapiente come Houellebecq ha potuto commettere un simile svarione? A parer mio, anche se non ne ho prova alcuna, lo ha fatto apposta. Ha ingannato volutamente i lettori. Il motivo non è difficile da comprendere. Noi viviamo ormai un'intera esistenza navigando nel Web ma non sappiamo davvero nulla. Sono passati da un pezzo i tempi in cui la conoscenza la si doveva sudare! Internet è diventato una protesi del nostro cervello, ma il suo funzionamento è fallace. Questo ci vuole insegnare Houellebecq: "Io posso inserire un'informazione falsa, ad esempio posso dire che I miserabili è un romanzo di Alexandre Dumas padre, perché tanto ciò che ho scritto se lo berranno tutti, come una fellatrice spermatofaga manda giù una boccata di sburra da uno sconosciuto in un glory hole!"  

Etimologia di Yuzu  

Mark Montagna di Zucchero, col suo solito paternalismo, ha provveduto a rendermi edotto sull'origine del nome della giapponesina spermatofaga e bestialista erotica. Mi è infatti apparsa, un giorno, la pagina di un sushi bar milanese che pubblicizzava un sake assai peculiare, il cui nome era proprio Yuzu. Si spiegava che yuzu in giapponese è il nome dato a un agrume simile al bergamotto e alla leggera bevanda alcolica che se ne ottiene. La parola in questione, scritta ユズ o 柚子, è un prestito dal coreano yuja (유자), che a sua volta proviene dal cinese yòuzi (柚子) "pomelo". Il peculiare agrume, il cui nome scientifico è Citrus junos, sarebbe originario della Cina centrale e del Tibet, dove cresce anche allo stato selvatico. Sarebbe un ibrido tra il mandarino (Citrus reticulata) e il limone di Ichang (Citrus ichangensis). Durante la dinastia Tang (618 - 907 d.C.) fu introdotto in Corea e quindi in Giappone. Proprio nel Paese del Sol Levante sono state selezionate alcune varietà della pianta, a fini ornamentali Una di queste varietà è chiamata yukô (日本語) e non si trova altrove; lo yuzu fiorito (hana yuzu, 花柚子) è coltivato per i suoi fiori, belli e profumati, mentre lo yuzu leone (shishi yuzu, 獅子柚子) ha frutti con una spessa scorza nodosa.

Microrecensioni e reazioni nel Web

Sul sito www.ibs.it numerosi lettori hanno espresso le loro opinioni. Ce ne sono davvero tante e sono piuttosto eterogenee, mi limito a riportarne alcune: 

Raffaele ha scritto: 

"Libro che divide. O si ama, o si odia."

Simone ha scritto: 

"Houellebecq ha perso mordente. Certo, la sua scrittura asciutta e dissacrante riesce ad evitare la noia, e tutto sommato si legge bene. Però non succede nulla. Ma veramente nulla, nonostante per tutto il tempo ci si attenda un qualcosa che sembra essere nell'aria. Evitabile, a meno che non si sia realmente suoi fan. Ed io lo sono."

Ruud ha scritto:

"La lettura di Houellebecq è sempre spiazzante e disturbante: al di là del continuo e costante indugiare sul sesso, le storie dello scrittore francese costituiscono una veritiera rappresentazione delle nevrosi dell'uomo occidentale moderno, anche ripetutamente profetica per certi versi." 

Antonio Iannone ha scritto: 

"La depressione deprime, per utilizzare una tautologia, ovvero: costringe gli uomini a osservare, non con il nichilismo divertito che tanti consensi brandisce, bensì con la crudezza di un “cuore messo a nudo” l’annientamento di qualsiasi prospettiva. Florent-Claude sopprime una-per-una tutte le possibilità della vita; quelle che non sopprime, sopprimono lui. Il lamento si fa ecolalico, diviene a tutti gli effetti allarme del male. «Non bisogna lasciar crescere la sofferenza oltre un certo livello», confida. Non resta che la fuga, geografica, psichica: romanzesca. "Serotonina" è forse l'opera più narrativa di Houellebecq." 

Carmine ha scritto: 

"Romanzo depresso e deprimente, senza trama nè struttura, una manciata di argomenti buttati dentro a caso (pedofilia, quote latte, psicofarmaci) ma che non hanno la forza di essere provocatori. Un protagonista sempre sull'orlo del suicidio che a un certo punto sarebbe auspicabile, soprattutto quando vorrebbe uccidere un bambino (cosa totalmente senza senso, anche all'interno di un contesto già abbastanza privo di senso). Serotonina è un capolavoro? No, semplicemente Houellebecq non ha più niente da dire, il suo pensiero era già tutto nei romanzi precedenti. Solo con dei contorsionismi intellettuali è possibile attribuire un significato a questo brutto romanzo."

Lorenzo ha scritto:

Sarà ormai ripetitivo, quello che volete, ma un libro di Houellebecq rimane un libro di Houellebecq: da leggere.

mercoledì 15 maggio 2019

I FIERI LAKOTA, GUERRIERI DELLO SPIRITO CHE COMBATTONO UNA STRENUA BATTAGLIA CONTRO IL TUMORE NEW AGE 

Questo documento risale al 1993: per l'esattezza l'originale dichiarazione fu approvata all'unanimità nel Giugno 10, 1993 al Lakota Summit V, una riunione internazionale delle nazioni Lakota, Dakota e Nakota degli Stati Uniti e del Canada. Una copia è stata postata sul sito dell'American Indian Cultural Support e su The People's Path. Non mi risulta che la dichiarazione sia mai stato pubblicato integralmente in lingua italiana (finora ho trovato solo alcuni estratti), così provvedo con una traduzione che purtroppo è ben lungi dall'essere perfetta anche a causa della forma un po' convoluta usata nell'originale. Il carattere ripetitivo e stereotipo di certe locuzioni è chiaramente inteso come modo per esprimere una grande enfasi; a tratti sembra che gli autori abbiano pensato nella loro lingua ancestrale e in seguito tradotto, anche se l'uso di molti termini tipici della società urbana farebbe pensare il contrario. Ecco il testo, che riporto sperando di avere il beneplacito dei popoli Lakota, Dakota e Nakota:

Dichiarazione di Guerra contro gli sfruttatori della Spiritualità Lakota. 

Mentre noi siamo i convocatori di una serie di forum completi sull'abuso e sullo sfruttamento della spiritualità Lakota; e 

Mentre noi rappresentiamo i capi tradizionali riconosciuti, Anziani tradizionali, e gli avvocati delle radici del popolo Lakota; e 

Mentre per troppo tempo abbiamo sofferto l'indescrivibile indegnità di avere le nostre più preziose cerimonie Lakota e pratiche spirituali dissacrate, derise e abusate da "aspiranti" non-Indiani, venditori ambulanti, settari, approfittatori, sedicenti "sciamani New Age e loro seguaci; e 

Mentre con orrore ed oltraggio vediamo che questa sciagurata espropriazione delle nostre sacre tradizioni Lakota ha raggiunto proporzioni epidemice nelle aree urbane del paese; e Mentre il nostro prezioso Sacro Calumet è stato dissacrato attraverso la vendita di pipe di terracotta in mercati delle pulci, conciliaboli e negozietti "New Age"; e 

Mentre si sono formate corporazioni pseudo-religiose per lucrare sulll'ammissione a false "cerimonie di purificazione" e programmi di "ricerca della visione"; e 

Mentre "danze del sole" sacrileghe per non-Indiani sono state condotte da ciarlatani e da capi settari che promuovono abominevoli e oscene imitazione dei nostri sacri riti Lakota della Danza del Sole; e 

Mentre non-Indiani si sono organizzati in "tribù" posticce, assegnandosi falsi "nomi Indiani" per vacilitare l'espropriazione, il mercimonio e la commercializzazione delle nostre tradizioni Lakota; e 

Mentre discipline accademiche sono saltate fuori nei college e nelle università istituzionalizzando l'imitazione sacrilega delle nostre pratiche da parte di studenti e istruttori sotto forma di programmi di educazione in "sciamanismo"; e 

Mentre ciarlatani non-Indiani e "aspiranti" stanno vendendo libri che promuovono la sistematica colonizzazione della nostra spiritualità Lakota; e 

Mentre l'industria della televisione e dei film continua a saturare i media di intrattenimento con rappresentazioni volgari, sensazionaliste e grossolanamente distorte della spiritualità e della cultura Lakota che rafforzano l'immagine stereotipa degli Indiani e che affliggono in modo grave l'autostima dei nostri bambini; e 

Mentre individui e gruppi coinvolti nel "Movimento New Age", nel "Movimento degli Uomini", nei culti del "Neopaganesimo" e in sedute di "sciamanismo", tutti hanno sfruttato le tradizioni del nostro popolo Lakota imitando le nostre pratiche cerimoniali e mescolando tali rituali posticci con pratiche occulte non Indiane in un pericoloso e offensivo miscuglio pseudo-religioso; e 

Mentre l'assurdo atteggiamento pubblico di questa accozzaglia scandalosa di ciarlatani pseudo-Indiani, "aspiranti", speculatori, settari e "sciamani New Age" comprende un ostacolo momentaneo nella lotta del tradizionale popolo Lakota per un'adeguata istruzione pubblica dei legittimi bisogni politici, legali e spirituali del vero popolo Lakota; e 

Mentre questa spogliazione esponenziale delle nostre tradizioni spirituali Lakota richiede che noi agiamo immediatamente per difendere la nostra preziosa spiritualità Lakota da un'ulteriore contaminazione, dissacrazione ed abuso;

Giungiamo quindi alle seguenti risoluzioni:

1. Noi ora e innanzi dichiaramo guerra contro tutte le persone che persistano nello sfruttamento, nell'abuso e nella mistificazione delle sacre tradizioni e le nostre pratiche spirituali Lakota, Dakota e Nakota.

2. Facciamo appello ai nostri fratelli e alle nostre sorelle Lakota, Dakota e Nakota delle riserve e delle comunità tradizionali negli Stati Uniti e nel Canada affinché si oppongano a viva voce e attivamente a questa allarmante e sistematica distruzione delle nostre sacre tradizioni.

3. Esortiamo il nostro popolo a coordinarsi con i proprii membri che vivono in aree urbane, per identificare circostanze in cui le nostre sacre tradizioni sono state abusate, e quindi resistere a questo abuso, utilizzando qualsiasi tattica sia necessaria e sufficiente - ad esempio dimostrazioni, boicottaggi, conferenze stampa e atti di intervento diretto.

4. Esortiamo specialmente tutta la nostra gente Lakota, Dakota e Nakota ad agire per prevenire ogni contributo che permetta l'abuso delle nostre sacre cerimonie e pratiche spirituali da parte di estranei; perché, come noi ben sappiamo, ci sono alcuni in mezzo al nostro stesso popolo che prostituiscono le nostre vie spirituali per il loro egoistico guadagno, senza alcun riguardo per il benessere spirituale del popolo come insieme.

5. Asseriamo un atteggiamento di tolleranza zero per ogni "sciamano dell'uomo bianco" che sorga tra le nostre comunità ad "autorizzare" l'esproprio delle nostre pratiche cerimoniali da parte di non-Indiani; tutti questi "uomini medicina di plastica" sono nemici delle genti Lakota, Nakota e Dakota.

6. Esortiamo la gente della tradizione, i capi tribù e i consigli di governo di tutte le nazioni Indiane ad unirsi a noi nell'invocare una fine immediata di questo rampante sfruttamento delle nostre rispettive sacre tradizioni di Indiani d'America, rilasciando dichiarazioni per denunciare tali abusi; perché non sono solo i popoli Lakota, Dakota e Nakota le cui pratiche sono sistematicamente violate da non-Indiani.

7. Esortiamo tutti i nostri fratelli Indiani e le nostre sorelle ad agire in modo deciso e ardito nella nostra presente campagna per porre fine alla distruzione delle nostre sacre tradizioni, tenendo a mente il nostro sommo dovere come popoli Indiani: preservare la purezza delle nostre preziose tradizioni per le nostre generazioni future, cosicché i nostri figli e i figli dei nostri figli sopravviveranno e prospereranno nella sacra maniera intesa per ciascuno dei nostri rispettivi popoli dal nostro Creatore. 

Wilmer Stampede Mesteth; (Oglala Lakota); Leader Spirituale Tradizionale e Istruttore Culturale Lakota; Oglala Lakota College, Pine Ridge, South Dakota 

Darrell Standing Elk; (Sicangu Lakota); Presidente, Centro per lo Spirito, San Fancisco, California, & Pine Ridge, South Dakota 

Phyllis Swift Hawk; (Kul Wicasa Lakota); Tiospaye Wounspe Waokiye; Wanblee, South Dakota

Non mi astengo dal narrare anche i particolari più scabrosi della vicenda: sono convinto che non si debba nasconder nulla pur di mettere a nudo la miseria delle genti del mondo. Mi sono giunte storie di donne tedesche fascinose e dalle splendide chiome bionde mandate tra le genti del ceppo Lakota per sedurre gli uomini più in vista. La scelta non è stata casuale: gli organizzatori di questo piano indecoroso hanno messo gran cura nei dettagli, prevedendo quale tipologia femminile avrebbe destato maggior effetto. Infatti queste inviate hanno portato un enorme scompiglio in diverse comunità Lakota, distruggendo la volontà di molti uomini tramite pratiche fellatorie e spermatofaghe, scatenando la gelosia folle delle donne delle tribù. L'arma del sesso spesso colpisce proprio nel punto più debole di una cultura già troppo provata da una storia di persecuzioni e di violenza. Sembra una vicenda surreale, ma è purtroppo l'amara verità.  

Mi piacciono questi Lakota: non sono buonisti e respingono con orrore ogni tentativo di corromprere la loro cultura. Facendo ciò sono consapevoli che l'albero malvagio deve essere abbattuto, perché non darà mai buoni frutti. 

Ho letto che nel 2007 alcuni Lakota, bollati dal diabolico Governo degli Stati Uniti come "estremisti", hanno stracciato gli accordi firmati con il Presidente Ulysses Grant, rivendicando uno Stato indipendente. Auguro loro ogni buona fortuna.