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venerdì 22 maggio 2020

AZZO BASSOU, UN CASO DI MICROCEFALIA O SOPRAVVIVENZA DI HOMO ERECTUS?

 
Marocco, Anno del Signore 1931. Una spedizione archeologica giunta nell'oasi di Sidi Fellah, a sud di Marrakesh, venne a sapere dell'esistenza di un individuo bizzarrissimo, che le genti del luogo chiamavano Azzo Bassou (nome che alcuni a torto credono un epiteto traducibile con "Uomo Bestia"). Quest'uomo così interessante viveva in una spelonca nelle Gole di Dadès, non lontano dalla città di Skoura. Non fu facile incontrarlo, dato che non amava la compagnia di altre persone. I suoi tratti somatici erano privi di corrispondenza con qualsiasi gruppo umano noto. Aveva fronte sfuggente, naso prominente, arcate sopracciliari molto pronunciate, mandibola sporgente, mento appena abbozzato. Era considerato un subnormale, un "idiota selvaggio" che girava nudo: i pochi abiti che indossava in alcune fotografie gli sono stati dati per non urtare la suscettibilità morale degli europei. Secondo quanto è riportato, la sua dieta era tipica di un cacciatore-raccoglitore: consisteva soltanto di carne cruda e insetti. Utilizzava pochi utensili di fattura grossolana, che produceva da sé utilizzando pietre. Attrezzi musteriani in pieno XX secolo! Il suo linguaggio era stentato e comprendeva un numero assai limitato di parole, per giunta quasi tutte incomprensibili e descritte come suoni gutturali. Non sono riuscito a reperire il nome di chi partecipò alla spedizione del 1931. Posso soltanto dire che la stampa venne a conoscenza della notizia e la diffuse. Si parlò di Azzo Bassou come di un neanderthaliano vivente o del famoso anello mancante tra uomo e scimmia, anche se nel complesso il mondo scientifico mostrò una totale assenza di interesse nei suoi confronti. Questo stranissimo caso è riportato in svariate fonti facilmente reperibili nel Web (tutte più o meno riconducibili a quanto descritto in Bürgin, 2016).

 
Il ricordo della stessa esistenza di Azzo Bassou si sarebbe facilmente perso nell'Oblio, se non fosse stato per lo scrittore francese Jean Boullet (Parigi, 1921 - Algeri, 1970), che nel 1956 organizzò una spedizione nella Vallée du Dadés. Non senza sorpresa, Boullet poté constatare che il singolare individuo era ancora in vita, così riuscì ad incontrarlo e a scattargli una fotografia. Anche l'archeologo e antropologo francese Marcel François Raphael Homet (Rochefort-sur-Mer, 1897 - 1982) si era interessato al caso: aveva visitato Azzo Bassou nel 1942, scattandogli diverse foto e pubblicando nello stesso anno un articolo di 7 pagine, intitolato "Azzo: homme vivant du néanderthal?". L'articolo è consultabile sul sito dell'Università di Coimbra. Ecco i link delle sue pagine:
 
 
 
 



 
Homet scrisse ancora di questo argomento nel 1963 nel suo libro Les fils du soleil (I figli del sole), che parlava di civiltà perdute sudamericane. 
 
Nell'agosto del 1971 una nuova spedizione, questa volta italiana, si è recata in Marocco meridionale sulle tracce di Azzo Bassou. Ad organizzarla è stata l'Associazione di Studi Preistorici Internazionali (ASP). Ne facevano parte Mario Zanot, Renzo Franco, Roberto Czeppel, Marco Marchetti e l'archeologo Alfres Guillet (Fonte: Hausdorf, 2012). Dopo un lungo e difficile viaggio, gli studiosi furono ospitati dal capo di una tribù locale. Questi disse loro che Azzo era ormai morto e indicò il luogo della sua sepoltura, che era proprio la caverna in cui era sempre vissuto. Vietò tuttavia di esumare e di studiare le ossa, che per qualche superstizioso motivo considerava "intoccabili", termine eufemistico per dire "sacre", "tabù". Il capo fornì comunque a Zanot e ai suoi compagni un'informazione interessante, dichiarando che Azzo aveva due sorelle, Hisa e Herkaia. Queste erano ancora in vita e "costrette a sbrigare lavori pesanti", ossia tenute in condizioni di schiavitù. Si dice che nello stesso anno della spedizione, alcune foto delle due donne siano state pubblicate da Peter Kolosimo in un suo libro, ma non si riesce a trovare in alcun modo il riferimento. Dal momento che nelle opere di Kolosimo non sembrano trovarsi le foto in questione, è stato persino supposto che siano state rimosse dalle edizioni oggi disponibili. Trovo piuttosto macchinosa questa spiegazione, dato che non si capirebbe il motivo della rimozione. Non mi risulta che queste foto siano presenti nel Web. Non le si trova da nessuna parte. Nei vari siti si menziona una "somiglianza innegabile" di Hisa e Herkaia con Azzo, ma questa affermazione non è sostanziata da alcuna prova concreta. Eppure viviamo in un'epoca in cui tutti chiedono le fonti per ogni minima cosa. Non mi risulta nemmeno che in seguito siano stati fatti tentativi di ritrovare le due sorelle e di accertare la loro parentela con lo scomparso "anello mancante". 

 
A distanza di tanto tempo dai fatti che ho esposto, gli animi non si sono calmati. Semmai si sono esacerbati. Nei forum del Web fervono le discussioni sul mistero di Azzo Bassou. La maggior parte dei frequentatori di questi portali è dell'idea che il cavernicolo del Dadès fosse un uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis). Altri affermano che fosse invece un uomo di Denisova, un ominide strettamente imparentato con l'uomo di Neanderthal, i cui scarsi resti sono stati rinvenuti in Siberia. Per quanto ne so, l'uomo di Denisova, detto anche denisovano (e da alcuni denisoviano), non è ancora provvisto di un nome scientifico. Oltre alle due fazioni, quella che chiama Azzo "l'ultimo Neanderthal" e quella che lo chiama "l'ultimo uomo di Denosova", esistono ovviamente gli scettici, i pedanti neopositivisti pierangelisti, che sono convinti di aver a che fare con un semplice esemplare di Homo sapiens affetto da microcefalia. Quando pubblicai una foto di Azzo Bassou in un gruppo di Facebook, anni fa, fui aggredito da un utente che mi chiese perché avevo postato la foto di un "povero microcefalo"
 
Chiaramente non abbiamo a che fare con un esemplare di uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis), dato che sono assenti molte caratteristiche fisiche di quella specie. Non dobbiamo dimenticarci che l'uomo di Neanderthal aveva una capacità cranica uguale o addirittura superiore alla nostra. Va anche ricordato che in Africa non sono mai stati rinvenuti resti dell'uomo di Neanderthal e neppure dell'uomo di Denisova: verosimilmente le due specie non hanno mai abitato quelle vaste terre. Nelle attuali popolazioni dell'Africa Subsahariana manca ogni traccia di materiale genetico denisovano; se pure vi esiste qualche traccia di materiale genetico neanderthaliano, ciò si deve al movimento demico denominato Back to Africa, che portò genti dell'Europa neolitica a stabilirsi nel Continente Nero. Azzo aveva invece tutte le caratteristiche di un ominide ancora più arcaico, con scarsa capacità cranica. Sono convinto che si tratti di un'estrema sopravvivenza di Homo erectus. Un pitecantropo nel XX secolo, e la Scienza si è lasciata sfuggire questa scoperta eccezionale! 
 
 
Un perduto ominide d'Africa 
 
Se Homo sapiens è di origine africana e dal Continente Nero si è diffuso nel mondo, è altrettanto vero che nel corso delle sue molteplici migrazioni si è ripetutamente incrociato con svariate specie di ominidi. Questo però non è avvenuto soltanto al di fuori dell'Africa: l'ibridismo è presente fin dalla più remota preistoria. L'intero passato del genere umano è una colossale orgia! A quanto è stato accertato, l'8% del genoma degli Yoruba proviene da un ominde estinto, di cui non abbiamo tracce fossili. Nel Web si trova molto materiale per approfondire la questione.  
 
 
Non è quindi improbabile che nelle impervie montagne del Nordafrica sia sopravvissuto fino a tempi recenti qualche gruppo di ominidi di specie diversa dalla nostra. 
 
 
Le lingue degli ominidi

Allo stato attuale delle cose non sono state trovate lingue primitive in alcun gruppo umano del pianeta. Anche le lingue dei popoli più arretrati tecnologicamente, come i Tasmaniani, gli Andamanesi e i Fueghini, sono molto complesse e ben articolate. Non siamo mai riusciti a identificare i primi vagiti del linguaggio umano e a capire come si sia formato. La sola speranza che abbiamo è quella di scoprire una specie di ominidi in qualche angolo sperduto del pianeta. In Indonesia circolano voci insistenti sull'esistenza di un essere scimmiesco chiamato orang pendek, ossia "uomo piccolo", che potrebbe essere una forma superstite di Homo erectus o di qualche altra specie di uomo arcaico, come ad esempio Homo floresiensis. Sarebbe di somma utilità scoprirlo prima che l'intera foresta sia annientata per far posto alla produzione di olio di salma, pardon, di palma. 
 
Pseudoscienza, memetica e microcefalia 
 
Il caso di Azzo Bassou non è un fake, come spesso si legge nel Web. L'articolo di Homet è reale, come reali sono le foto. Non credo proprio che il sito dell'Università di Coimbra ospiti articoli farlocchi e simili. Non è stato inventato nulla. Che poi le opinioni di Homet siano superate e confuse, questo è un altro paio di maniche. L'argomento non appartiene al vasto reame della pseudoscienza. Il mondo scientifico ha il dovere di approfondire la questione ed è molto deludente che parta invece da opinioni preconcette, tentando di imporle come se fossero dogmi religiosi. Allora lancio la mia sfida: si prendano mille foto di individui microcefali e le si pubblichi una accanto all'altra. Tra queste, ci siano numerose foto di individui microcefali nati in nazioni nordafricane. Si confrontino i caratteri somatici di tutti questi individui con quelli di Azzo Bassou. Per quanto ne so, i microcefali della specie Homo sapiens non presentano caratteristiche somatiche comuni a quelle del cavernicolo di Dadès. Inutile dire che tali confronti non sono stati fatti. Duole constatare che il metodo scientifico non sia applicato da chi dovrebbe propugnarlo.  
 
Il dilemma dei Morti e la fine della disputa  

C'è un solo modo definitivo per risolvere la questione: recuperare i resti mortali di Azzo e fare un'analisi del genoma. Soltanto così si potrà avere certezza, e il mondo scientifico dovrà accettare i risultati, quali che essi siano. Se dovesse risultare che il genoma è interamente di Homo sapiens, farei ovviamente le mie tesi sull'estrema sopravvivenza di Homo erectus. Tuttavia, se il genoma fosse di Homo erectus, il mondo scientifico dovrebbe prenderne atto e smetterla di cianciare di microcefalia. Sarebbe un vero e proprio Giudizio di Dio. Un'ordalia. Si pone a questo punto un dilemma. È lecito profanare il sonno dei Morti? Essi bramano la tenebra e la quiete. Rifuggono dall'esposizione all'atroce luce solare. Forse sarebbe misericordioso lasciar perdere, rinunciare a tormentare chi dorme, sperando che si offra una migliore occasione per far tacere i pierangelisti. 

Etimologia di Azzo Bassou 

Azzo Bassou è un nominativo marocchino in piena regola, formato da un nome (Azzo) e da un cognome (Bassou). Il nome Azzo è arabo ed è traducibile con "Fortuna", "Gioia", "Piacere". 

Etimologia:

Dalla radice ح ظ ظ‎ (ḥ-ẓ-ẓ).
Sostantivo:

حَظّ (ḥaẓẓ) m., plurale حُظُوظ‎ (ḥuẓūẓ

Significati:
1) divisione, porzione, quantità (specialmente di qualcosa di buono);
2) fortuna, buona fortuna;
3) godimento, piacere.

Bassou è un cognome marocchino, abbastanza diffuso, che ricorre anche in Algeria e in Chad. 


Marocco
Incidenza: 4.533
Frequenza: 1/7.606

Algeria
Incidenza: 1.975
Frequenza: 1/19.560

Chad
Incidenza: 278
Frequenza: 1/37,178
 
Chi ha tradotto Azzo Bassou con "Uomo Bestia" ha creato una falsa informazione, un fake, un pacchetto memetico che purtroppo continua a vivere nel Web.

martedì 12 maggio 2020


CONTAGION
 
 
Titolo originale: Contagion
Lingua originale: Inglese, mandarino, cantonese, italiano
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 2011
Durata: 106 min
Rapporto: 1,85:1
Genere: Fantascienza, drammatico
Sottogenere: Apocalittico
Regia: Steven Soderbergh
Soggetto: Scott Z. Burns
Sceneggiatura: Scott Z. Burns
Produttore: Michael Shamberg, Stacey Sher, Gregory Jacobs
Produttore esecutivo: Jeff Skoll, Michael Polaire, Jonathan
     King, Ricky Strauss
Casa di produzione: Double Feature Films, Participant
    Media, Warner Bros. Pictures, Imagenation Abu Dhabi
Distribuzione in italiano: Warner Bros. Pictures
Fotografia: Peter Andrews
Montaggio: Stephen Mirrione
Effetti speciali: Michael Ahasay
Musiche: Cliff Martinez
Scenografia: Howard Cummings
Costumi: Louise Frogley
Trucco: Kate Biscoe
Interpreti e personaggi:
    Marion Cotillard: dottoressa Leonora Orantes
    Matt Damon: Mitch Emhoff
    Laurence Fishburne: dottor Ellis Cheever
    Jude Law: Alan Krumwiede
    Gwyneth Paltrow: Beth Emhoff
    Kate Winslet: dottoressa Erin Mears
    Bryan Cranston: Lyle Haggerty
    Jennifer Ehle: dottoressa Ally Hextall
    Elliott Gould: dottor Ian Sussman
    Chin Han: Sun Feng
    John Hawkes: Roger
    Anna Jacoby-Heron: Jory Emhoff
    Josie Ho: sorella di Li Fai
    Sanaa Lathan: Aubrey Cheever
    Demetri Martin: dottor David Eisenberg
    Armin Rohde: Damian Leopold
    Enrico Colantoni: Dennis French
    Larry Clarke: Dave
    Monique Gabriela Curnen: Lorraine Vasquez
Doppiatori italiani:
    Claudia Catani: dottoressa Leonora Orantes
    Massimiliano Manfredi: Mitch Emhoff
    Massimo Corvo: dottor Ellis Cheever
    Niseem Riccardo Onorato: Alan Krumwiede
    Francesca Fiorentini: Beth Emhoff
    Chiara Colizzi: dottoressa Erin Mears
    Stefano De Sando: Lyle Haggerty
    Barbara De Bortoli: dottoressa Ally Hextall
    Gianni Giuliano: dottor Ian Sussman
    Oreste Baldini: Sun Feng
    Stefano Benassi: Roger
    Lilian Caputo: Jory Emhoff
    Alessandra Cassioli: Aubrey Cheever
    Francesco Venditti: dottor David Eisenberg
    Stefano Mondini: Damian Leopold
    Carlo Cosolo: Dennis French
    Dario Oppido: Dave
    Laura Cosenza: Lorraine Vasquez
Luoghi delle riprese: Atlanta, Chicago, Minneapolis,
   San Francisco, Dubai, Giappone, Svizzera, Regno
   Unito, Brasile, Russia, Malaysia, Hong Kong
Budget: 60 milioni di dollari US
Box office: 136,5 milioni di dollari US
 
Trama:
Beth Emhoff, una bionda milf libidinosa, è di ritorno da un viaggio di affari a Hong Kong. Tutto sembra andar bene, a parte un po' di tosse stizzosa. Durante uno scalo a Chicago incontra un amante, quindi fa ritorno a casa, nella periferia di Minneapolis. Due giorni dopo, mentre è in cucina, ha un violento attacco epilettico e crolla sul pavimento. Il grossolano marito, Mitch Emhoff, la porta subito in ospedale. In breve tempo la donna muore e lì per lì non è possibile identificare le cause del suo subitaneo decesso. Tornato a casa, Mitch è sconvolto da un'altra tragedia: suo figlio adottivo Clark è morto nel suo letto. Dall'autopsia della donna, si scopre che è morta a causa di un virus sconosiuto che le ha devastato la materia cerebrale. L'uomo viene così sottoposto a isolamento, ma presto viene constatata la sua immunità. Al suo rilascio dall'ospedale, decide di proteggere la figlia adolescente Jory, costringendola a una clausura monacale tra le mura di casa. Nel frattempo ad Atlanta i rappresentanti del Department of Homeland Security si incontrano con il dottor Ellis Cheever dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC). C'è grande preoccupazione perché esiste la possibilità che il nuovo virus sia un'arma biologica. Cheever manda a Minneapolis la dottoressa Erin Mears per tracciare tutti i contatti di Beth, che è il paziente zero. Dopo aver cercato di convincere i burocrati a stanziare risorse per contrastare la diffusione del patogeno, viene infettata e muore. Il morbo si diffonde in modo inarrestabile. Si scatena il panico nelle città, con episodi di violenza, razzia e sciacallaggio. La dottoressa Ally Hextall dei CDC scopre che il virus, battezzato MEV-1, mostra una combinazione di materiale genetico di virus del maiale e dei pipistrelli. L'infezione si propaga per via aerea tramite goccioline (droplets) e fomiti. Si prevede che 1 persona su 12 nel mondo sarà colpita; la letalità è del 25-30%. In questo contesto apocalittico sorge un blogger maligno, Alan Krumwiede, che spalanca il Vaso di Pandora diffondendo tesi complottiste e facendo propaganda di un preteso rimedio omeopatico a base di estratto di forsizia, a cui attribuisce la propria guarigione. La gente impazzisce e assalta le farmacie per procurarsi la pozione del complottista. La situazione precipita e le violenze urbane si esacerbano. Krumwiede viene arrestato per cospirazione e frode. Quando viene prodotto un vaccino dal virus attenuato, negli USA le vittime della pandemia sono già 2,5 milioni e nel mondo intero sono 26 milioni. Ha inizio una lotteria dei vaccini, basata sulla data di nascita delle persone. Mitch Emhoff, che cercava di allontanare un fidanzatino della figlia, cambia idea una volta che questi esibisce la prova dell'avvenuta vaccinazione. Così Mitch arriva a fare da paraninfo, organizzando una serata romantica e favorendo la deflorazione della figlia. Dopo molte peripezie, la dottoressa Leonora Orantes riesce a tracciare la genesi della pandemia, recuperando un filmato che mostra Beth Emhoff darsi alla pazza gioia nel Casinò di Macao. Intanto il blogger diabolico, Krumwiede, viene rilasciato, non prima di essere stato sottoposto a un esame del sangue: si dimostra così che non ha alcun antigene e che la forsizia è una menzogna. Le sequenze finali mostrano un pipistrello che rigurgita un pezzo di banana nel pastone di un porco grufolante, destinato ad essere macellato nella cucina della bisca in cui la milf bionda concedeva a tutti la propria intimità orale.  

 
Recensione: 
Per permettere allo spettatore di seguire diverse trame in parallelo, il regista ha scelto di utilizzare la tecnica dello stile multi-narrativo detto hyperlink. La pellicola ha avuto un grande successo e riscontri molto positivi da parte della critica; in particolare è stata molto apprezzata dal mondo scientifico per la sua accuratezza. Lo sceneggiatore, Scott Z. Burns, si è consultato con esperti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre che con luminari come W. Ian Lipkin (professore in epidemiologia e in neurologia) e Lawrence "Larry" Brilliant (epidemiologo, tecnologo, rinomato per il suo lavoro di eradicazione del vaiolo). Ferris Jabr di New Scientist ha approvato Contagion per la sua descrizione del meccanismo del progresso scientifico, che passa attraverso una luna serie di frustrazioni e successi. Non meno importante degli aspetti scientifici è la dimensione psicologica, che ricopre un ruolo di primo piano.   
 
Mi piace Marion Cotillard nel ruolo della dottoressa Leonora Orantes: la trovo una donna molto sensuale e affascinante, distante anni luce dalla volgarità della Paltrow. Kate Winslet mi sembra un po' mascolina, non è il mio ideale. Gli attori di sesso maschile li trovo abbastanza detestabili. Jude Law mi dà l'orticaria e mi desta un'avversione viscerale, il suo ghigno è insopportabile come un'eruzione acida dallo stomaco. L'impressione è che sia un decerebrato, ripugnante come la puzza di smegma rancido, un criminale che si diverte a generare rogne all'infinito a chiunque incontri sulla via. Matt Damon incarna assai bene la più belluina ignoranza, può giusto interpretare la parte di un energumeno tipicamente americano, della tipologia "white trash" e per giunta cornuto.  

 
Una Paltrow molto vorace 
 
Anche se non viene mostrata alcuna scena esplicita, si capisce che Beth Emhoff a Macao si è scatenata in una rovente gangbang spermatica. Ha fellato proprio tutti, dal manager giapponese al cuoco cinese. Era una ninfomane scatenata, che cercava occasioni di contatti carnali ogni giorno, cornificando il marito e irridendolo. Poppava avidamente i bischeri, che fossero grossi e nerboruti o piccoli come mozziconi e mollicci. Inghiottiva il genetico, senza badare al sapore, avviandolo a decomporsi nel suo ventre, ove contribuiva alla formazione delle feci grasse. Tutto questo lo si capisce dai suoi occhi, che splendono di bramosia. Occhi che sembrano quelli di Lilith. Che altro dire? L'interpretazione è molto convincente - anche considerando che l'attrice, a quanto risulta dal suo blog, ha gusti sessuali molto diversi da quelli di Beth: ama soprattutto fare sesso anale vis-à-vis, detestando la posizione more ferarum o doggystyle, e non essendo attratta dall'idea di accogliere il fallo in bocca.  

Problemi con l'audio
 
La mia prima esperienza con il film di Soderbergh è stata a dir poco irritante e negativa. Avevo recuperato un file con l'audio duale in inglese e in spagnolo, senza sapere come fare a selezionare una sola lingua. Così i due idiomi si mescolavano dando origine ad effetti grotteschi quanto esilaranti. A volte le parole prodotte dall'ibridazione sonora sembravano un'irreale specie di spanglish, altre volte entravano in risonanza e giungevano alle orecchie come pernacchie. Ho trovato in Youtube una versione in inglese, ma era resa incomprensibile da un montaggio diffettoso che alterava l'ordine delle sequenze, creando un collage impazzito. Anche la versione in spagnolo aveva qualche criticità. Per fortuna sono poi riuscito ad accedere al film doppiato in italiano. 
 
Genesi del film 
 
Soderbergh stava lavorando con Burns all'idea di un film sulla figura di Leni Riefenstahl. Il progetto non li convinceva affatto, temevano che il film non avrebbe attratto alcuna interesse, a causa del coinvolgimento della Riefenstahl con il III Reich. A un certo punto Burns ebbe un'idea improvvisa che cambiò la storia (ormai terminale) del Cinema. Ecco le parole con cui ricorda l'accaduto:  
 
"C'è una scena in The Informant! dove Matt (Damon) sta guardando il personaggio di Scott Bakula che parla al telefono, e Scott tossisce al telefono, e c'è tutto questo sproloquio con Matt che si rivolge a lui dicendo: "Oh, fantastico, ora che succede? Lui si ammala e poi anch'io me la becco, i miei figli se la beccheranno." Sono sempre stato affascinato dalla trasmissibilità, così ho detto a Steven: "Voglio fare un'interessante versione thriller di un film su una pandemia", e lui ha detto: "Fantastico! Facciamo quello, invece!"  

Così non si ebbe alcun film sulla Riefenstahl e ci è stata invece elargita questa gemma, Contagion!  

 
Fonti di ispirazione 

Dato che non esiste uno specchio magico in grado di scrutare il futuro, possiamo essere certi che la pandemia provocata dal virus MEV-1 è stata concepita a partire da alcuni episodi occorsi qualche anno prima della produzione del film. Sono i seguenti:  
 
1) L'epidemia di infezione da virus Nipah in Malesia del 1998-99;
2) L'epidemia di SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) del 2002-2004; 
3) La pandemia di influenza suina (virus H1N1) del 2009-2010.

Il virus Nipah (NiV) circola naturalmente tra diverse specie di pipistrelli frugivori. Il suo spillover, ossia il salto al genere umano a partire dai chirotteri, deve aver ispirato Soderbergh e Burns. Anche la sintomatologia provocata dal MEV-1 è molto simile a quella dell'infezione da NiV. 
La pandemia di influenza suina ha fatto meno morti di una normale influenza stagionale, ma quando si è diffusa ha destato serie preoccupazioni. Ne sono stato colpito e ne ho avuto un effetto indesiderato: una lieve insufficienza renale, risoltasi in modo spontaneo nel giro di pochi giorni (ricordo ancora il sorprendente commento del medico: "È normale, se sudi non pisci"). 
Così sono state combinate le caratteristiche più pericolose dei tre virus sopra riportati, in modo tale da ottenere un patogeno in grado di diffondersi in modo pandemico come un'influenza, avendo però una letalità simile a quella della SARS.
 
Contagion e la pandemia di Covid-19 
 
Sono notevoli le analogie tra il virus immaginario MEV-1 e il fin troppo reale virus SARS-CoV-2, responsabile della malattia detta Covid-19. Entrambi attaccano i polmoni e il sistema nervoso. Certo, è vero che l'infezione da MEV-1 è caratterizzato da una letalità molto più elevata rispetto a quella del Covid-19, maggiore dell'ordine di 10 volte. SARS-CoV-2 è però più insidioso, e alla lunga potrebbe anche fare danni peggiori. Ovviamente queste cose le si capisce soltanto con il senno del poi. Difficile credere che nel 2011 qualcuno capisse appieno che una grave pandemia sarebbe sorta e avrebbe terrorizzato il mondo. Eppure lo sceneggiatore ha dichiarato che gli scienziati lo avevano avvertito dell'imminenza della pandemia, della sua inevitabilità. Sembra che in particolare Jude Law sia rimasto atterrito da tali rivelazioni. Quello che il film non menziona è il disastroso impatto economico innescato dall'inarrestabile diffusione del virus. Non si fa alcun cenno al contrasto tra le necessità di tutela della salute pubblica e le altrettanto legittime necessità di tutela delle attività economiche e produttive. Non sono affrontati nemmeno i temi dell'aspra insofferenza della popolazione alle misure di contenimento e dell'incapacità gestionale di cui una classe politica incompetente ha dato prova fin dall'inizio dell'emergenza. 

 
Blogger e pestilenza 
 
Il blogger complottista Alan Krumwiede è odioso già a pelle, già al primo sguardo trasmette un profondo disagio, è disturbante. La sua mente è un calderone ribollente in cui gorgogliano ignoranza, fanatismo e malvagità. In confronto alle sue parole, le bestemmie di Azathoth sono limpide e cristalline nelle loro onestà. All'epoca pochi facevano caso a queste cose. Con la diffusione pandemica del Covid-19, il film di Soderbergh è tornato in auge e ha contribuito a generare una certa ostilità verso i blogger, dipinti come la causa di tutti i mali. Ha polarizzato il pubblico. Eppure questa reazione anti-blogger è fuori tempo massimo, visto che ormai i blog si avviano all'annientamento. La Blogosfera è in uno stato prossimo alla morte termodinamica, eppure c'è ancora chi crede che tutti i blogger, dal primo all'ultimo, siano complottisti, attivisti ambientali e policiti, cronisti d'assalto, in grado di vivere coi proventi delle visualizzazioni dei banner pubblicitari. Gli stessi politici sembrano credere ancora che tutti i blogger, dal primo all'ultimo, abbiano un'influenza spropositata: hanno presente soltanto il caso del blog di Beppe Grillo, che ha coagulato intorno a sé una folta comunità, così lo usano per estendere queste proprietà anche al più oscuro portale che parla della diarrea dei gatti. In realtà il principale veicolo di complottismo all'epoca della pandemia di Covid-19 è Facebook.
 
Spillover o arma biologica? 
 
La pandemia di Covid-19, oltre a riportare in auge Contagion, ha contribuito a un'altra esumazie, questa volta libraria: ha dato un'enorme impulso alle vendite di Spillover - L'evoluzione delle pandemie, di David Quammen (2012; prima edizione italiana: 2014). Nonostante sia un trattato poco scorrevole, a un certo punto quasi tutti ne avevano una copia, salvo usarla come soprammobile (magari vantandosi poi di averla letta in un giorno). Così ha commentato l'autore sul New York Times: "Siamo stati noi a generare l'epidemia di Coronavirus. Potrebbe essere iniziata da un pipistrello in una grotta, ma è stata l'attività umana a scatenarla." Il 96% del genoma del virus SARS-CoV-2 è realmente comune a quello di un coronavirus dei pipistrelli ferro di cavallo. L'idea di Quammen è che il passaggio all'uomo sia stato causato dalla distruzione dell'habitat dei pipistrelli e che l'evoluzione del patogeno sia naturale. Per quel che mi riguarda è stata realmente l'attività umana a scatenare la pandemia, ma non nel senso inteso da Quammen. Nulla potrà mai convincermi che il virus non sia uscito da un laboratorio. È stato manipolato. Uno studio indiano, subito screditato, afferma di aver trovato inserti di materiale genetico del retrovirus HIV nella proteina "spike" del virus SARS-CoV-2, il che è davvero sorprendente. L'articolo, Uncanny similarity of unique inserts in the 2019-nCoV spike protein to HIV-1 gp120 and Gag (Prashant Pradhan et al., gennaio 2020), è stato ritirato in seguito alle reazioni furiose del mondo accademico e a reiterati episodi di bullismo.  
 

Adesso ammettiamo che SARS-CoV-2 sia stato manipolato in laboratorio come arma biologica. Pretendereste che il mondo scientifico lo riconoscesse? Non lo farebbe mai, perché si scatenerebbe il panico. La situazione diverrebbe ingestibile. Così ecco che i virologi malati di divismo usano un argomento a loro dire solidissimo per confutare le idee degli studiosi indiani: coprirli di ridicolo. "Niente si trasmette come la paura" (cit.)    
 
I paradossi del complottismo 
 
Il complottismo ha in sé una natura paradossale. Infatti giova sommamente all'establishment. Se si prende un certo numero di teorie stravaganti, di cui alcune folli, e le si mescola a poche teorie veritiere ma scomode, si getterà grande discredito su queste ultime. La popolazione tenderà ad associare ai peggiori folli tutti coloro che dicono cose vere ma scomode. Osi insinuare che il virus SARS-CoV-2 sia il prodotto di una manipolazione? Ti assoceranno ai terrapiattisti e ai sostenitori della cospirazione rettiliana, a quelli che attribuiscono a una macchinazione dei Rothschild anche il fetore dei peti e le emorroidi! Le pecore devono essere controllate e guidate. 
 
Curiosità 

Attori e attrici hanno guadagnato ben poco dalla loro recitazione. In particolare Gwyneth Paltrow, che ha terminato le riprese in tre giorni, ha lavorato praticamente gratis. 

Marion Cotillard era incinta al sesto mese quando interpretò il film di Soderbergh. 

Per promuovere questo film, la Warner Bros. Pictures Canada ha costruito due gigantesche capsule di Petri trattate con batteri e funghi, collocandole nella vetrina di un negozio di Toronto. Nel corso di diversi giorni, i campioni di batteri e funghi sono cresciuti fino a rendere illeggibile il nome del film, formando simboli di rischio biologico. Un portento funesto.

giovedì 31 gennaio 2019

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE LINGUE IMPOSSIBILI: IL CASO DEL PIRAHÃ

La lingua Pirahã (o Mura-Pirahã) è parlata dall'omonima esigua popolazione che vive in una zona remota dell'Amazzonia brasiliana. Unica superstite nota delle lingue Mura, prive di parentele esterne dimostrabili, ha suscitato un vespaio di polemiche tra i settari chomskiani per via della sua stravagante natura, che sembra violare un principio capitale della cosiddetta grammatica universale. La notizia è circolata in tutto il mondo: la lingua dei Pirahã ignora la ricorsività linguistica. Vediamo di riassumere le informazioni rilevanti nel modo più sintetico possibile.

1) La lingua Pirahã ha una struttura fonetica particolarmente semplice: il suo inventario di fonemi è in assoluto uno dei più poveri finora riscontrati tra gli idiomi del genere umano. Le vocali sono soltanto tre: /a/, /i/, /o/. Alcuni fonemi consonantici hanno allofoni molto diversi tra loro, ma questo non cambia le cose, trattandosi di varianti condizionate dalla posizione nella parola (es. si pronuncia [m-] all'inizio di una parola e [-b-] nel mezzo; si pronuncia [n-] all'inizio di una parola e [-g-] nel mezzo, etc.). Esiste una consonante glottidale /Ɂ/, che nell'ortografia più comune è trascritta con x.

2) La lingua Pirahã, come quella dei Nambiquara, non possiede veri numerali e in ogni caso non è possibile designare quantità maggiori di due. È stata definita "una lingua senza numeri". A quanto riportato nel 1986 da Daniel L. Everett, un missionario che passò molti anni tra quelle genti e infine divenne ateo, ci sono soltanto due parole per esprimere concetti attinenti ai numeri; per giunta il loro aspetto fonetico è estremamente simile, essendo distinte soltanto dall'intonazione. Esse sono hói "uno" e hoí "due", "paio". Nel 2008, in seguito alle ricerche eseguite sul campo da Michael C. Frank, si è appurato che in realtà hói più che "uno" significherebbe "poco" o anche "meno", mentre il quasi omonimo hoí significherebbe "più di uno", "qualche". Per fissare le idee, se dessimo a un Pirahã dieci savoiardi e subito dopo ce ne riprendessimo due, i biscotti rimasti sarebbero indicati con la parola hói - proprio perché sono meno di quelli che c'erano prima. Ogni quantificazione risulta impossibile. Stando così le cose, si capisce che concetto stesso di numero tra i Pirahã è a dir poco nebuloso. Possiamo dire che le api hanno le idee più chiare!

3) Nella lingua Pirahã manca qualsiasi distinzione tra singolare e plurale nei sostantivi e negli aggettivi. I pronomi personali plurali umani si formano aggiungendo ai pronomi personali singolari una sorta di suffisso, -a(i)tiso, che non sono riuscito a ricondurre a parole per indicare "molti" o simili. I pronomi di terza persona per indicare esseri non umani sono invariati al plurale. Tra l'altro, i pronomi personali umani sembrano proprio essere prestiti, forse non troppo remoti, dalla Língua Geral Amazônica (Nheengatu), una lingua del gruppo Tupí che un tempo era diffusissima in Brasile: serviva da mezzo di comunicazione tra i vari gruppi nativi ed era parlata persino dai coloni di ascendenza portoghese.

ti "io" (pron. [tʃi]) deriva da Nheeng. se-, ixé 
gi, gixai "tu" (pron. [ni], [niʔai]) deriva da Nheeng. ne-, indé 
hi "egli" deriva da Nheeng. i-,


I pronomi plurali di prima e seconda persona plurale della lingua Nheengatu, che non rientrano nelle categorie logiche dei Pirahã, non sono stati presi a prestito: ne sono stati prodotti di nuovi a partire da quelli singolari. 

tiatiso "noi", da ti "io" - diverso da Nheeng. iané-, iandé 
gixaitiso "voi", da gixai "tu" - diverso da Nheeng. pe-, penhẽ  
hiaitiso "essi", da hi "egli" - diverso da Nheeng. ta-, aintá 


4) Nella lingua Pirahã mancano termini per designare i colori. Gli unici aggettivi usati possono essere tradotti con "chiaro" e "scuro", non permettendo di specificare ulteriori qualità cromatiche. In dizionari presenti nel Web ho trovato tuttavia più di due parole: xaaíbi "chiaro", xíbigái "scuro" (ma anche "oscurità, ombra") e kopái "nero". Non basta: in un suo studio Everett riporta tio "scuro" (glossato con "dark") e ha incluso nel suo vocabolario diversi termini per indicare i colori. Si tratterebbe in realtà di frasi descrittive: per dire "rosso" bisogna ricorrere a una proposizione complessa che significa "essere come il sangue". È anche possibile che i Pirahã abbiano fabbricato queste frasi suppletive appositamente per rispondere alle domande degli etnologi, non perché sentissero la necessità di esprimere concetti pur così elementari. Everett deve aver mostrato qualcosa di rosso a un Pirahã, continuando ad assillarlo, chiedendogli che parola usava la sua gente per chiamare quell'oggetto rosso, fino ad estorcere qualcosa che tradotto suona "è come il sangue". Resta il fatto che tutto questo materiale andrebbe passato al vaglio.

5) La lingua Pirahã ha un sistema particolarmente semplice per designare la parentela. Anzi, parrebbe il più semplice finora noto, sempre prestando fede ad Everett. Non esistono parole distinte per indicare "padre" e "madre", ma solo una parola per dire "genitore": baíxi. Qualcuno obietterà che anche noi possediamo la parola "genitore" (e gli anglofoni hanno "parent"), che va bene per entrambi i sessi. Il punto è che i Pirahã non hanno i mezzi linguistici per distinguere tra "padre" e "madre". In concetto stesso di matrimonio come unione tra i sessi, fondamentale nella cultura cristiana, non ha per loro importanza alcuna.

6) Per esprimere il complemento di possesso, la lingua Pirahã usa mezzi abbastanza elementari: si prefigge il pronome personale non modificato al nome della cosa posseduta. Se c'è un possessore, il suo nome va prima del pronome, anch'esso non modificato. Questi due esempi sono riportati su Wikipedia (2019) e con ogni probabilità presi dall'opera di Everett:

paitá hi xitóhoi "i testicoli di Paita"
    (lett. "Paita, egli, testicoli")


ti kaiíi "la mia casa"
    (lett. "io, casa")


Non sono possibili nidificazioni possessive. Non è possibile, servendosi di un'unica stringa, tradurre una proposizione come "il legno dell'asta della freccia di Paita". Si rende necessario formulare in modo diverso i concetti, ad esempio in questo modo: "Paita ha una freccia. Questa è l'asta della freccia. Questo è il legno dell'asta".

7) Nella lingua Pirahã non è possibile alcuna struttura ipotattica e si notano soltanto limitatissimi esempi di paratassi. Non esiste alcuna congiunzione: il più comune esempio di paratassi consiste nel giustapporre due brevi frasi. Non esiste la possibilità di usare un unico verbo per due soggetti, come ad esempio in frasi come "Giovanni e Maria vengono". È necessario tradurre "Giovanni viene. Maria viene", e considerare questa come paratassi rudimentale. Everett ha dato inizio all'annosa controversia del suffisso -sai, che egli credeva un formante ipotattico, qualcosa di corrispondente all'italiano "che", "come", "quando" e all'inglese "that", "who", "which", "when", o addirittura uno strumento per sostantivare i verbi, come il famoso suffisso inglese -ing. Questi sono alcuni esempi dell'uso del suffisso -sai:

hi ob-áaxái kahaí kai-sai "egli sa davvero come fare frecce"
(dove kahaí "freccia"; kai- "fare", donde kai-sai "come fare", "facendo", etc.)  


tiobáhai hóoí ai-sai xabahíoxoi "la produzione di archi dei bambini non è corretta"
(dove ai- somiglia a kai- "fare" e potrebbe esserne una variante, anche se non mi è chiaro come una consonante /k-/ possa sparire)


pii boi-sai ti xaháp-i-hiabi-haí "se piove non verrò"
(dove pii "acqua", boi- "venire", i.e. "piovere", donde pii boi-sai "piovendo")


hi gáí-sai xaibogi ap-a-áti "egli ha detto di andare velocemente"
(dove g
áí- "dire", donde gáí-sai "dicendo", "avendo detto")

Alla fine lo stesso Everett, dopo aver approfondito la sua conoscenza della lingua, è giunto a una conclusione sconcertante e anti-chomskiana: nemmeno questo semplice suffisso -sai marca una costruzione ipotattica, si tratta soltanto di grossolana paratassi. Nessun formante in grado di sostantivare un verbo: si tratta soltanto di una particella enfatica. Un caso di tremendo equivoco, in cui colui che studia una lingua esotica la interpreta servendosi delle categorie della propria. Il Pirahã non permette frasi nidificate nemmeno a un singolo livello. La motivazione ipotizzata dall'antropologo è quasi lapalissiana: non avendo il concetto di numero (che è stato riscontrato persino nei pulcini!), i Pirahã non hanno nemmeno bisogno della ricorsività linguistica.  

8) Secondo quanto sostenuto da Mario Antonio Gonçalves, i Pirahã sarebbero in grado di apprendere il portoghese, lingua romanza, di chiaro ceppo indoeuropeo, notoriamente dotata di ricorsività possessiva, oltre che di costruzioni ipotattiche e paratattiche. A detta di tale autore, la maggior parte degli uomini di questo popolo sarebbe in grado di comprendere il portoghese. In realtà queste dichiarazioni non corrispondono a quanto dichiarato da Everett, la cui esperienza è molto più vasta. Si è potuto appurare che i Pirahã sono in grado di apprendere soltanto un lessico portoghese molto rudimentale. Utilizzano come lingua franca per comunicare con altri gruppi tribali uno strano idioma il cui vocabolario include parole portoghesi e Nheengatu, con grammatica rigorosamente Pirahã - cosa notata anche da Gonçalves - il che non toglie che la comunità sia in buona sostanza descrivibile come monolingue. Poche parole portoghesi sono state incorporate nella lingua nativa, come ad esempio kóópo "tazza" (< port. copo) e bikagogia "affare" (< port. mercadoria).  

9) Il verbo nella lingua Pirahã non è poi così semplice, pur non distinguendo il plurale dal singolare e pur specificando la persona tramite i pronomi preposti alla radice. Esiste la possibilità di formulare frasi transitive, il cui ordine è SOV (soggetto-oggetto-verbo). Così abbiamo per esempio: 

ti xíbogi ti-baí "io bevo il latte" (dove il verbo è ti- "bere", essendo -bai un suffisso intensivo)

ti gi kapigaxiítoii hoaí "io ti do la matita" (dove il verbo è hoai "dare")

Impressionante è il numero di suffissi (o meglio di affissi) che servono ad esprimere l'aspetto del verbo. Quello che si guadagna in semplicità con l'assenza di forme coniugate a noi familiari, lo si guadagna in complessità con questi bizzarre formazioni. Una classificazione di affissi verbali si deve a Sheldon (1988). Eccone alcuni: 

-boi (causativo / incompletivo)
-boiga (causativo / completivo)
-hoi (incoativo / incompletivo)
-hoaga (incoativo / completivo)
-aip (futuro / da qualche parte)
-aop (futuro / altrove)
-aob (passato)
-xiig (continuativo)
-ta (ripetitivo)
-ab (durativo)
-sog (desiderativo)
etc. 


L'uso del passato e del futuro deve essere ben peculiare, visto che tali genti non parlano di eventi troppo distanti nel tempo. Resta il fatto che né gli affissi verbali, né la struttura SOV delle brevi frasi transitive, possono essere etichettate come "ricorsività" allo scopo di salvare la teoria della grammatica generativa. Farlo sarebbe un atto di disonestà intellettuale.

I Pirahã e la religione 

Riporto in questa sede un intervento che mi è parso particolarmente significativo. Invito tutti a leggerlo con attenzione. 


Maurizio Pistone    
02/04/12

Non so se il signor Everett ha studiato la storia delle missioni, e in particolare la storia delle missioni in Brasile. Ma proprio lì, quasi quattrocento anni fa, alcuni sui colleghi cattolici (non è detto quale sia la religione di Everett, ma mi sembra di capire che sia un protestante) si trovarono di fronte a una situazione imbarazzante.

I missionari cattolici, che avevano studiato letteratura classica, immaginavano di trovare presso le tribù "pagane" credenze che in qualche modo fosse riconducibile a qualcuna delle religioni che avevano preceduto il cristianesimo.

Per loro questo era molto importante anche da un punto di vista teologico. Una delle prove tradizionali dell'esistenza di Dio è il consensus gentium. Ogni popolo, per quanto malvagio e perverso (e chi non è cristiano è ovviamente perverso e malvagio) ha comunque un'idea di Dio, una qualche forma di religione. Trovare popoli che non hanno idee riconducibili all'idea euromediterranea di "Dio" e di "religione", per loro fu fonte di infinito smarrimento. Da una parte sembrava preclusa la possibilità di comunicare con questi popoli: come si fa a tradurre la Bibbia in una lingua che non ha i termini base per esprimere il senso religioso? Ma la loro stessa fede sembrava messa in dubbio. Alla fine alcuni di loro, riscontrando presso quasi tutte le popolazioni, se non una qualche idea di Dio, almeno delle pratiche esorcistiche per allontanare il male, conclusero che, se non è universale l'idea di Dio, è universale quella del Demonio.

Dall'articolo sembra di capire che la prima scoperta di Everett sia appunto che queste persone non hanno nessun bisogno di essere convertite al cristianesimo. Per un missionario, è chiaramente una tragedia infinita. Quello che si dice della lingua (di cui so solo quello che ho letto in quell'articolo) in fondo è prevedibile. Popolazioni che vivono secondo modalità di caccia e raccolta, non hanno una coscienza del trascorrere del tempo. Vivono nel presente. Non coltivano. Non conservano la carne (questo punto mi sembra decisivo). Non pianificano la loro vita, per questo non hanno bisogno di strutture logiche e linguistiche complesse. Non hanno, presumibilmente, un'idea di proprietà privata. Non so se mancano del tutto dell'idea di numero, come è detto nell'articolo, ma è chiaro che la numerazione e il calcolo  sono strettamente legati all'idea di proprietà: "Dove sono i miei teschi di tapiro? Ne avevo diciotto, li ho contati proprio ieri, e adesso ce ne sono solo quindici! Chi mi ha rubato i miei teschi di tapiro?" Purtroppo nell'articolo non viene detto nulla sulla struttura familiare, che però nelle popolazioni che vivono a quello stadio di civiltà deve essere piuttosto lasca: "Quante mogli hai? Quanti figli hai?" "Eh... tanti..."

Insomma, non vorrei fare troppo l'analista dilettante, ma mi sembra che il signor Everett se la sia presa con Chomsky per non dover prendere di petto il Padreterno.  

Penso che il problema sia molto più profondo di quanto il Pistone possa immaginare. 

Interpretazione di Everett e reazione chomskiana 

Secondo Everett la lingua dei Pirahã sarebbe un esempio di idioma primordiale. La teoria da lui sostenuta implica che l'origine del linguaggio simbolico umano sia da ricercarsi nella specie Homo erectus. Il Pirahã sarebbe dunque un campione significativo delle lingue più antiche degli ominidi  dotati di sufficiente complessità cerebrale per articolare suoni e pensare con simboli, lingue anteriori alla stessa diffusione di Homo sapiens, ossia preadamitiche. Le sue peculiarità dimostrerebbero che le lingue sono nate come strumento di comunicazione e non di computo, come invece sostenuto da Chomsky e dai suoi mirmidoni. I Pirahã sarebbero rimasti talmente isolati da mantenere una cultura e un mondo concettuale non influenzato da sviluppi che si sono imposti nella maggior parte dell'umanità. In realtà non esistono lingue primitive. Questo ci dice l'evidenza. Anche il Pirahã è il risultato di una continua evoluzione fonetica e semantica che dura dalla notte dei tempi, a partire da una protolingua preistorica che oggi sarebbe irriconoscibile. Nonostante l'estrema lontananza dai nostri schemi logici e le sue carenze, dà comunque prova di una sua intrinseca complessità. A quanto ho appreso, Chomsky ha reagito a queste tesi in modo furibondo, accusando Everett di essere un "ciarlatano". Cercando in tutti i modi di occultare lo scandalo, il linguista ashkenazita idolatrato dai radical chic ha sostenuto in sintesi qualcosa di questo genere: i Pirahã sarebbero predisposti dalla Natura alla comprensione di proposizioni ricorsive, come tutti gli esseri umani, anche se poi per qualche misterioso, imperscrutabile motivo hanno deciso di non servirsene; potendo enumerare gli enti, avrebbero scelto di non farlo, a causa di una qualche specie di agnosia. 

Ordalia su Chomsky!

Spingo ogni ragionamento ai suoi limiti. Così, partendo dalla teoria di Noam Chomsky, vedo dove ci condurrebbe se restasse passo dopo passo coerente con le proprie premesse. Il risultato ha tutto il sapore del paradosso, come mi accingo a dimostrare. Appurato che per i grammatici generativi le lingue impossibili sono quelle che non hanno la ricorsività, e che tutte le lingue umane hanno la ricorsività (questo è il dogma fondante della loro setta), essi sono tenuti a una deduzione potenzialmente devastante: la lingua Pirahã non è una lingua umana. Sarebbe quindi d'obbligo postulare, se si portassero alle estreme conseguenze le dottrine chomskiane, che i Pirahã non sono realmente esseri umani, bensì ominidi. Questi poveri nativi si dovrebbero quindi ascrivere a una specie ominide finora sconosciuta, che potrebbe benissimo essere etichettata come Homo nambiquarensis pirahã. Oppure dovremmo pensare che i Pirahã siano sì appartenenti a Homo sapiens, ma che abbiamo vissuto così a lungo con ominidi di specie diversa da adottare una lingua non umana? Avrebbero perso una parte del corredo logico umano stando con esseri che tecnicamente sarebbero definibili come "subumani"? Va da sé che simili conclusioni non sarebbero soltanto definibili come razzismo: saremmo addirittura di fronte a un caso di infraspeciazione. Dunque il chomskismo, se si ammettesse la natura non ricorsiva del Pirahã, porterebbe all'infraspeciazione. Curioso che il mondo intellettuale dei Figli Americani di Ashkenaz, così impegnato sul fronte dell'antirazzismo e della democrazia, produca poi simili gemme, tali da fare impallidire le dottrine di Gobineau. Tra Noam Chomsky e Philip Roth, direi che non so chi ritenere il più abile produttore di vasi di Pandora. 

lunedì 28 gennaio 2019

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE LINGUE IMPOSSIBILI: IL CASO DEL NAHUATL

Nella lingua Nāhuatl parlata dagli Aztechi esistono certamente meccanismi di incorporazione o di incassamento assai sviluppati e produttivi, ma non sono affatto applicabili a piacere in catene infinite di ricorsività, come la setta dei grammatici generativi pensa debba accadere in tutte le lingue definibili come umane. In altre parole, i meccanismi ricorsivi nella lingua azteca mostrano limiti severissimi e le categore grammaticali non collimano affatto con quelle dei parlanti della lingua inglese. Così la forma mentis teorizzata da Noam Chomsky e dai suoi seguaci non può applicarsi con successo a questo caso che ho trovato: ogni sforzo per rendere malleabile questa lingua amerindiana e plasmarla sulle categorie del mondo anglosassone è destinato a fallire miseramente. 

Fornisco nel seguito alcuni esempi eloquenti, ricordando che l'ortografia usata è quella spagnola classica, con la lettera x che si pronuncia come sh in inglese; ch si pronuncia come nell'inglese chair; qu seguito dalle vocali e, i, si pronuncia come k; hu indica la consonante w dell'inglese water, uh in fine parola è lo stesso suono ma sordo; h seguita da consonante o in fine di parola dopo vocale diversa da u è un'occlusiva glottidale (in pratica un lieve colpo di tosse); z indica la consonante s dell'italiano sale, e lo stesso suono ha c davante alle vocali e, i. Il trattino (macron) marca le vocali lunghe. Per chi necessitasse di spiegazioni più chiare, rimando al Web, cominciando da  questo documento di Wikibooks:  


Veniamo dunque alla struttura grammaticale per confutare le tesi di Noam Chomsky. Wikipedia in inglese ospita un sunto della grammatica del Nāhuatl classico:


Esistono ovviamente risorse di gran lunga migliori. Ad esempio il corso di R. Joe Campbell e Frances Karttunen, consultabile e scaricabile gratuitamente al seguente link:


A parer mio nessun testo è migliore di Introduction to Classical Nahuatl di James Richard Andrews, che mi ha permesso di apprendere la lingua quando ero uno studente universitario. 


In Nāhuatl la ricorsività possessiva si ferma a un solo livello di incassamento. La sua applicazione più generale comporta al massimo l'uso della forma possessiva del nome del possessore. Il nome della cosa posseduta ha in ogni caso il prefisso possessivo di terza persona (singolare ī-; plurale īn-, īm-).  

ītlaxcal oquichtli "il pane dell'uomo"
      (lett. "il suo pane, l'uomo") 
ītlaxcal moquich "il pane del tuo uomo"
      (lett. "il suo pane, il tuo uomo")
īteōcuitl tlahtoāni "l'oro del principe"
      (lett. "il suo oro, il principe")
īezzo noyāōuh "il sangue del mio nemico"
      (lett. "il suo sangue, il mio nemico")
īmezzo toyāōhuān "il sangue dei nostri nemici"
      (lett. "il loro sangue, i nostri nemici")


Come facciamo se dobbiamo dire "il pane della donna dell'uomo"? Dobbiamo dire ītlaxcal cihuātl, īcihuāuh oquichtli "il pane della donna, la donna dell'uomo" (lett. "il suo pane, la donna, la sua donna, l'uomo"). Che io sappia, non esiste modo alcuno di aggirare l'ostacolo e di ottenere catene ricorsive possessive. Possiamo utilizzare la congiunzione īhuān "e" per ottenere frasi di questo tipo: 

īntlaxcal oquichtli īhuān cihuātl "il pane dell'uomo e della donna" 
    (lett. "il loro pane, l'uomo e la donna")
īnteōcuitl tlamacazqui
īhuān tlahtoāni "l'oro del sacerdote e del
    principe" (lett. "il loro oro, il sacerdote e il principe")
īntōtoltin Xuan īhuān Maria "i tacchini di Giovanni e di Maria"
   (lett. "i loro tacchini, Giovanni e Maria")


Se però vogliamo dire qualcosa come "l'oro del cortigiano del principe" o "l'oro dell'inserviente del sacerdote", rimaniamo bloccati, dobbiamo ricorrere a una costruzione diversa e non ricorsiva. Se i grammatici generativi volessero chiamare "ricorsività" la semplice giustapposizione di parole, dovrebbero ammettere che il processo non è possibile estenderlo: si blocca al primo livello. Se si blocca al primo livello, come è possibile, di grazia, chiamarlo "ricorsività"?

Già soltanto con quanto sopra riportato, possiamo senza timore di smentita sostenere che quanto Chomsky teorizza sulla ricorsività possessiva non vale per la lingua che stiamo trattando. 

A partire da un verbo attivo è possibile formare il corrispondente verbo non attivo, che copre le funzioni del nostro verbo passivo e delle forme impersonali. 
Se il verbo di partenza è intransitivo, il verbo non attivo da esso ottenuto è impersonale. 

cochi "gli dorme" : cochīhua "si dorme", "tutti dormono" 
cuīca "egli canta" : cuīco "si canta", "la gente canta", "tutti
   cantano" (si trova anche cuīcalo, seppur di rado)
huetzi "egli cade" : huechohua "si cade", "tutti cadono"
huetzca "egli ride" : huetzco "si ride", "la gente ride", "tutti ridono"
nemi "egli vive", "egli abita" : nemohua "si vive", "la gente vive"
miqui "egli muore" : micohua "si muore", "la gente muore", "tutti
   muoiono" 
pano "gli guada, attraversa" : pan
ōhua "si guada, si attraversa"
    (si trova anche panōlo)
yōli "egli vive", "egli è vivo" : yōlīhua "si vive", "la gente vive"


Sei il verbo di partenza è transitivo con un grado di transitività (con un prefisso diretto tē- "qualcuno" o tla- "qualcosa), il verbo non attivo da esso ottenuto è intransitivo, e può anche essere usato con significato impersonale.

tēitta "egli vede (qualcuno)" : itto "egli è visto" (si trova anche
   ittalo)
tētlazohtla
"egli ama (qualcuno) : tlazohtlalo "egli è amato"

tlacua "egli mangia (qualcosa)" : cualo "egli è mangiato";
    "ciò è mangiato", "si mangia" (ossia "la gente mangia, tutti
    mangiano")

tlacui "egli prende (qualcosa)" : cuīhua "egli è preso", "ciò è preso"
    (si trova anche cuīhualo; un derivato fossile cuīlōni significa
    "omosessuale passivo", lett. "colui che viene preso")
tlamati "sapere qualcosa" : macho "ciò è saputo"; "si sa"
    (ossia "la gente sa, tutti sanno")
tlanamaca "egli vende (qualcosa)" : namaco "egli è venduto",
    "ciò è venduto"


Se il verbo di partenza è transitivo con due gradi di transitività (con un prefisso indiretto tē- "a qualcuno" e un prefisso diretto tla- "qualcosa"), tutto è più complesso: il verbo non attivo da esso ottenuto ha un grado di transitività (con solo il prefisso indiretto tē- "a qualcuno" o con solo il prefisso diretto tla- "qualcosa").

tētlamaca "egli dà (qualcosa a qualcuno)" :
     tēmaco "egli è dato (a qualcuno)",
     tlamaco "a lui è dato (qualcosa)"


Quello che non si può mai fare è esprimere il complemento di agente di un verbo non attivo con significato passivo. Non si può dire, per nessun motivo, "l'uomo è stato ucciso da un giaguaro". Bisogna invece usare la costruzione attiva: "un giaguaro ha ucciso l'uomo". Ecco un altro limite severissimo e intrinseco nella possibilità di costruire frasi. E pensare che in italiano esiste la possibilità di appiccicare al complemento d'agente intere frasi subordinate o coordinate. Ad esempio noi riteniamo possibili concatenazioni simili, facendone regolare uso nei nostri testi e nella nostra parlata quotidiana:

"L'uomo è stato ucciso da un giaguaro che aveva il pelo completamente nero." 

"L'uomo è stato ucciso da un giaguaro che aveva il pelo completamente nero, come il sacerdote aveva previsto analizzando i portenti."

Per un cittadino di Tenōchtitlan, questo era davvero troppo. Usava costruzioni del tutto diverse, che noi riterremmo contorte. Più in generale, non è possibile applicare meccanismi ricorsivi a complementi di vario genere. Non è possibile tradurre alla lettera frasi di questo genere:

"Giovanni ha ricevuto un pompino da Maria, che fino ad allora non l'aveva mai fatto a nessuno." 

I composti nominali sono numerosissimi ed articolati. Dalla composizione di parole semplici nascono lunghe catene di sillabe, che gli Spagnoli ritenevano "brutte", "sgraziate". Alcune sono così antiche da essere ormai considerate parole semplici a tutti gli effetti. Vediamo alcuni esempi significativi. 

ācalli "barca" < ātl "acqua" + calli "casa"
ācītlalin "goccia di rugiada" < ātl "acqua" + cītlalin "stella"
āxīxtli "orina" < ātl "acqua" + xīxtli "merda, escremento umano"
āxīxcalli "vespasiano" < āxīxtli "orina" + calli "casa"
āxīxcōmitl "pitale" < āxīxtli "orina" + cōmitl "vaso"
callālli "cortile" < calli "casa" + tlālli "terra"
cōāēhuatl "pelle di serpente" < cōātl "serpente" + ēhuatl "pelle"
mīllācatl "contadino" < mīlli "campo" + tlācatl "persona"
mizconētl "cucciolo di puma" < miztli "puma" + conētl "cucciolo"
nacazcuitlatl "cerume" < nacaztli "orecchio" + cuitlatl
    "escremento"
teōcalli "tempio" < teōtl "dio" + calli "casa"
teōcuitlatl
"oro; argento" < teōtl "dio" + cuitlatl "escremento"
teōcuitlaxiquipilli "borsa del denato" < teōcuitlatl "oro; argento" +
    xiquipilli "borsa"

tōnalāmatl "calendario" < tōnalli "giorno" + āmatl "carta"
tōtōmātlatl "rete per catturare uccelli" < tōtōtl "uccello" + mātlatl
   "rete"
tōtoltetl "uovo" (di tacchino) < tōtolin "tacchino" + tetl "pietra"
tzontecomatl "cranio" < tzontli "capelli" + tecomatl "vaso"
yacacuitlatl "caccola" < yacatl "naso" + cuitlatl "escremento"
zoquiātl "acqua fangosa" < zoquitl "fango" + ātl "acqua"


I prodotti di questo processo sono innumerevoli. Si potrebbe riempire una fitta enciclopedia. Talvolta si hanno formazioni fossili. Così cuitlaxcōlli "intestino" è senza dubbio un antico composto di cuitlatl "escremento", ma il secondo elemento è oscuro. Alcuni studiosi lo credono derivato da cōātl "serpente", ma i dettagli fonetici non tornano.
Da ātl "acqua" e da tepōlli "pene" deriva ātepōcatl "girino", con notevole irregolarità. Possiamo poi comporre questa parola con mōlli "salsa, ragù" per ottenere atepōcamōlli "ragù di girini". Da āhuacatl "avocado" (ma anche "testicolo") si formava in modo analogo āhuacamolli "ragù di avocado".
L'idiomatica gioca un ruolo fondamentale. Così da ātl "acqua" e da xāyacatl "maschera" (a sua volta da yacatl "naso, faccia"; il primo elemento è fossile), otteniamo āxāyacatl "mosca acquatica" (lett. "maschera d'acqua"). Le uova di tale insetto fornivano ai contadini messicani un ghiotto caviale, chiamato āhuauhtli, ossia "amaranto d'acqua" (da hauhtli "amaranto"). Un involtino ripieno di caviale di mosca d'acqua era detto āhuauhtamalli (da tamalli "involtino"), mentre un pasticcino cucinato a partire da tale ingrediente era detto āhuautlaxcalli (da tlaxcalli "pane"). 


Leggendo tutto questo, esulterebbe certamente il celebre ashkenazita Noam Chomsky, appoggiato dal suo entusiasta discepolo Andrea Moro. Peccato che nemmeno quelli che ho mostrato siano davvero elementi ricorsivi. 

Già Alfredo Trombetti (1866-1929), che Mussolini definì "italico genio", aveva riportato un paio di esempi interessanti:

niccua in nacatl "io mangio la carne"
ninacacua "io mangio la carne"


La parola nacatl "carne" è incorporata nella seconda variante. Si prende il verbo tlacua "egli mangia (qualcosa)", si sostituisce il prefisso tla- "qualcosa" con qui- "lo", "lui", "ciò", e si ottiene quicua "egli lo mangia". Col prefisso personale ni- "io", abbiamo direttamente niccua "io lo mangio". L'elemento in è un semplice connettore, che possiamo omettere nella traduzione. Nella variante ninacacua, ecco che nacatl "carne", senza il suffisso assolutivo -tl, rimpiazza l'elemento pronominale per esprimere "ciò". Già Trombetti affermava che la variante sintetica era rara rispetto a quella analitica. Possiamo usare queste frasi:

niccua in ātepōcamōlli "io mangio il ragù di girini"
niccua in āhuauhtamalli "io mangio un involtino di uova di mosca
     d'acqua"
niccua in āhuauhtlaxcalli "io mangio un pasticcino di uova di
     mosca d'acqua"

niccua in nacamōlli
"io mangio il ragù di carne"
Xuan quicuāni in xīxtli "Gianni mangia la merda" (abitualmente)


Non possiamo però produrre in modo troppo disinvolto e arbitriario tutte le forme concepibili servendoci dell'incorporazione, dando vita a inusitati gioielli come *nātepōcamōlcua "io mangio il ragù di girini", *nāhuauhtamalcua "io mangio involtini di uova di mosca d'acqua", *ninacamōlcua "io mangio il ragù di carne" o persino... *xīxcua "egli mangia la merda" (gli Aztechi erano estremamente puritani e punivano con la morte molti comportamenti dissoluti: dubito che concepissero la coprofagia). Che dire poi di frasi come "io mangio il ragù di carne che mia madre mi ha preparato su consiglio di mia zia"? Ancora una volta, vediamo che gravi ostacoli sono posti sul cammino dei grammatici generativi. Essi non potranno mai fare con la lingua degli Aztechi ciò che è permesso loro con la lingua di Albione o con quella di Roma!

Conclusioni 

Non esiste alcun riflesso in Nāhuatl di una grammatica generativa universale che permette di reiterare all'infinito costruzioni possessive, aggettivali, ipotattiche o di altro genere. Se milioni di persone hanno eletto Noam Chomsky nell'Olimpo dei massimi intelletti del genere umano, beh, hanno commesso un grave errore. Certo, sarei ritenuto piuttosto indisponente e grossolano se osassi affermare senza mezzi termini che Chomsky è un pirla. Il punto è che me ne frego ed esprimo ciò che penso, anche a costo di usare un linguaggio da barista della Bovisa. Come linguista, l'ashkenazita americano è scadente. Non solo: è ancora peggiore come filosofo del linguaggio. Ha prodotto danni ingentissimi, diffondendo disinformazione e pseudoscienza. Ha ridotto il dibattito sulla natura stessa del linguaggio umano a un complicatissimo castello di inconsistenze, che in ultima analisi non significano nulla: la grammatica generativa è mero flatus vocis. Non per niente lo idolatrano coloro strepitano di "cultura" a ogni piè sospinto e poi usano i libri come soprammobili. Guardando il film The Believer mi ha stupito molto udire che Daniel "Danny" Balint volesse dar vita a dibattiti a cui invitare proprio Chomsky!