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sabato 10 luglio 2021

I MAESTRI ANTELAMI E L'ETIMOLOGIA DEL TOPONIMO INTELVI

Oltre ai Maestri Comacini esistevano nel Medioevo anche altre corporazioni originarie della Diocesi di Como, come i Maestri Antelami (in latino Magistri Antelami, al singolare magister Antelami), detti anche Antelamici e Mestri Intelvesi, originari della Val d'Intelvi, che furono attivi a partire dal X secolo e molto presenti a Genova. La loro menzione più antica negli atti notarili della città ligure risale al 1157. Tuttavia già nel 929 si ha la menzione di carpentieri intelvesi, in un diploma rilasciato dal Re Ugo in favore del monastero di San Pietro in Ciel d'Oro di Pavia. Ancora nel 1457 in un atto notarile si trova l'artista Giovanni Gagini definito "magister Antelami et intaliator marmoriorum". Questi artisti vivevano praticando costumi loro propri, diversi da quelli del volgo che abitava le terre in cui si trovavano. Esiste infatti una locuzione caratteristica e ben attestata nei documenti: "secundum morem et consuetudinem terre Antelami". Nelle fonti storiche si rileva una certa confusione tra i Magistri Antelami e i Comacini, cosa che non cessa di creare problemi non soltanto tra il pubblico, ma anche tra gli stessi studiosi (Lazzati, 2008).        
 
Un relitto celtico 
 
Si comprende subito che gli Antelamici derivano il loro nome dal toponimo Antelamus, che corrisponde alla forma moderna Intelvi. La Val d'Intelvi è una zona montuosa situata tra il Lago di Como e il Lago di Lugano, con cui questi artisti hanno sempre continuato a mantenere stretti contatti, pur lavorando in terre molto lontane. Si vede che la forma Intelvi non può essere derivata da Antelamus secondo gli sviluppi tipici delle lingue romanze: la sua evoluzione fonetica diventa invece facile a capirsi ammettendo la lenizione di /m/ intervocalica in /v/ tipica delle lingue celtiche. 
 
Antelamus > *Antelavus > *Intèlav > Intelv, Intelvi  
 
Si comprende anche che il toponimo Antemamus / Intelvi deve essere collegato etimologicamente all'idronimo Telo. Il Telo è un torrente che nasce poco sotto la Cima Orimento e che scorre in Val d'Intelvi; nel suo corso raccoglie le acque di diversi altri torrenti. Sfocia nel Lago di Como ad Argegno, creando un conoide alluvionale. Lo stesso nome Telo si applica anche a un diverso torrente che nasce vicino a Scaria e sfocia nel Lago di Lugano ad Osteno. Per questo motivo è chiamato Telo di Osteno (Fonte: Wikipedia). 
 
 
Si risale a un idronimo protoceltico *Telamos, da cui, tramite il ben noto prefisso celtico ambi- "intorno", comunissimo in gallico (imparentato col latino am-, amb(i)- e col greco amphi-), deriva il toponimo *Ambi-telamos "Che sta intorno al Telamo". Proprio da questo *Ambitelamos è derivato Antelamus. L'evoluzione di *Telamos, attestato come Telamo, fino alla forma attuale Telo, è avvenuta tramite la lenizione della nasale /m/ intervocalica nella fricativa /v/, poi scomparsa, a differenza di quanto è avvenuto nella trafila che ha portato Antelamus a divenire Intelvi. Alla luce di queste evidenze, dobbiamo supporre che nella zona della Valle d'Intelvi sia sopravvissuta fino a un'epoca sorprendentemente tarda una forma di lingua neoceltica, di cui putroppo non ci sono rimasti testi scritti.  
 
Il professor Guido Borghi si è occupato del toponimo Intelvi nel suo lavoro Continuità Celtica della Toponomastica Indoeuropea del Bacino Lariano (2012), consultabile liberamente su Academia.edu. Questo è il link:
 
 
Riporto in questa sede, per finilità di conoscenza, quanto scrive l'autore nella sua peculiare ortografia, suggestiva man ben poco pratica (pagina 119): 
 
• Val d’Intelvi, 736 Antelavo, 712 Telamo < gallico *Tĕlămŏ- (cfr. l’idronimo svizzero romando Tièle / alemannico Zil; composto (le) Toulon) ÷ *Ămbĭ-tĕlău̯ī „(abitanti) intorno al Telo“ < celtico *Tĕlămŏ-  ÷ *Ămbĭ-tĕlău̯ŏi̯ <= *Ămbĭ-tĕlău̯ūs < indoeuropeo *Tĕlămŏ-  ÷ *Ămbɦĭ-tĕlăṷȭs < *(S)tĕlh2(/4)-(ĕ)mŏ- / *Tĕlh2(/4)-(ĕ)mŏ- „(fiume) che scorre / bovino“ (cfr. greco στάλαγμα "goccia" / lituano tẽlias "vitello") → *H2ănt·bɦĭ-tĕlh2(/4)-(ĕ)u̯ŏ-h1ĕs  

Molti dettagli lasciano il tempo che trovano, ad esempio le laringali delle audaci ricostruzioni di composti che potrebbero essere sorti in epoca ben più tarda di quella in cui la protolingua indoeuropea era parlata. Tuttavia nel testo sono contenute informazioni estremamente interessanti. 
 
Pokorny ha ricostruito la radice protoindoeuropea *(s)tel- "far scorrere, orinare", che corrisponde perfettamente alla radice *(s)telh2(/4)- "far scorrere" riportata dal Borghi. Sono convinto che sia questo il raffronto giusto. Oltre al greco στάλαγμα (stálagma) "goccia", dal verbo σταλάσσω (stalássō) "far scorrere", si possono riportare anche altri raffronti. In greco esiste anche τέλμα (télma) "pozzanghera, palude", corrispondente all'armeno tełm, tiłm "fango; feci". In inglese troviamo stale "orina" e to stale "orinare", vocaboli ricercati che certo non vengono insegnati nelle scuole italiane. In medio alto tedesco abbiamo stall "orina di cavallo" e stallen "orinare", verbo che esiste ancora nella lingua moderna. Il bretone staot "orina" (medio bretone staut), potrebbe risalire al protoceltico *stalto- "orina". In lituano esistono i verbi tul̃žti "diventare umido; gonfiarsi" e ištil̃žti "ammorbidirsi". In russo esiste толстый (tolstyj) "gonfio, grasso", che stando a Pokorny indica anche il cazzone: il raffronto è utile perché dal membro virile schizza il seme.

Escluderei fin da subito la radice con semantica bovina: lituano tẽlias "vitello", che corrisponde al lettone teļš, telēns e al proto-slavo *telę "giovane bovino" (russo теленок "vitello"). Questa radice enigmatica è trattata sull'utilissimo Wiktionary.

 
Sono state fatte tre ipotesi sull'origine di questa radice baltica e proto-slava. Le elenco in questa sede: 
 
1) Origine indoeuropea diretta.
Forse dal proto-indoeuropeo *telh₂- "portare", imparentato col latino tollō "portare", forse col proto-slavo *telěga "carro". Questa ipotesi è sostenuta da Snoj. Machek ipotizza invece una semplificazione del proto-indoeuropeo *wetélas “animale di un anno” imparentato col latino vitulus “vitello”, col greco antico ἔταλον (étalon), “animale di un anno” e col proto-germanico *weþruz “agnello di un anno”.
2) Origine da un diverso strato indoeuropeo.  
Secondo Holzer, l'origine sarebbe dal proto-indoeuropeo *dʰeh₁(y)- “succhiare, poppare”, tramite un dialetto ipotetico che desonorizzava le occlusive aspirate sonore. Se questo fosse corretto, la radice sarebbe imparentata col proto-slavo *dětę “bambino”, col latino fīlius “figlio” e con l'albanese dele “pecora”.
3) Prestito dal proto-turco.
Proto-turco *tẹ̄l “vitello”, attestato in Kazakh тел (tel) e in Yakut тиил (tiil). Questa proposta è sostenuta da Matasović e mi pare particolarmente convincente. 

Ovviamente per il professor Borghi, che è un seguace dei Neogrammatici, non sarebbe d'accordo con queste conclusioni. La cosa non è per me granché rilevante: ognuno segua il proprio cammino secondo il proprio giudizio. 
 
Gli Antelamici e i Catari  
 
Un mito assai diffuso tra gli intellettuali cattolici è quello secondo cui i Comacini e gli Antelamici sarebbero stati incaricati dalla Chiesa Romana di condurre una crociata antiereticale utilizzando la propria arte come arma. Secondo questa narrazione, mostrare Cristo dalla nascita alla morte plasmandone in modo realistico ed umano le fattezze, avrebbe contribuito a combattere le idee di coloro che ne negavano alla radice la natura carnale. In altre parole, doveva essere un modo per combattere le idee dei Catari e ostacolare la loro diffusione. Sull'efficacia di simili stratagemmi, posto che siano mai stati formulati in modo esplicito e consapevole, avrei serissimi dubbi. Pensare che una persona priva di qualsiasi fede nell'essenza corporale di Cristo possa convertirsi guardando una statua, è pura e semplice stoltezza. Si ha l'impressione che questi intellettuali cerchino con ogni mezzo di ridurre la propria dissonanza cognitiva, non sopportando l'idea di un Medioevo che non fu solo ed esclusivamente cristiano e cattolico. 
 
Antelamici, Comacini e Frammassoni 
 
Trove ben singolare e tutto sommato grottesco il fatto che sia la Chiesa Romana che la Frammassoneria, congreghe in aperta ostilità reciproca, rivendichino l'appartenenza al proprio corpus dottrinale delle maestranze di architetti del Medioevo. Per gli intellettuali cattolici, gli Antelamici e i Comacini sarebbero stati crociati del Cristianesimo Niceno. Per i Frammassoni, gli Antelamici e i Comacini sarebbero invece stati precursori e padri spirituali delle Logge. Bisognerà forse attendere molto tempo prima che sia fatta la necessaria chiarezza. 

giovedì 1 luglio 2021

L'INIZIO DEL MEDIOEVO: ERRORI SCOLASTICI, CONSIDERAZIONI E PROPOSTE

La narrazione ufficiale sull'inizio del Medioevo, raccontata in tutte le scuole d'Italia, è grossomodo questa: l'erulo Odoacre, già magister militum dell'esercito di  Roma e riconosciuto come re dai mercenari Eruli, Sciri, Rugi e Turcilingi, nell'anno 476 depose l'ultimo Imperatore d'Occidente, Romolo Augustolo, inviando a Costantinopoli le insegne imperiali: diadema, scettro, toga ricamata in oro, spada e mantello di porpora. In altre parole, Odoacre non volle assumere il titolo di Imperatore, chiedendo per sé unicamente il titolo di patrizio. Con queste sue azioni pose quindi fine all'Impero Romano d'Occidente, creando una cesura storica - de facto dando inizio a una nuova èra. Il sistema scolastico italiano fa di tutto perché la Storia sia concepita a comparti stagni. Moltissime persone ancora credono che il termine "Medioevo" fosse conosciuto e usato dallo stesso Dante Alighieri. Credono anche che le persone vissute in quel periodo storico si definissero come "medievali". L'immaginario collettivo alimentato dalla scuola funziona così: quando Romolo Augustolo era sul trono, tutti gli uomini andavano in giro col gonnellino di Orazio Coclite e tutte le donne indossavano il peplo, rigorosamente bianco; non appena Romolo Augustolo è stato deposto, tutti gli uomini all'improvviso avevano l'armatura completa e dovunque erano sorti castelli con i merli, fatti scaturire dal Nulla grazie alla bacchetta magica di Mago Merlino.
 
Flavio Romolo Augusto, soprannominato Romolo Augustolo (circa 461 - dopo il 511) non fu mai riconosciuto da Costantinopoli. Era considerato un usurpatore dall'Imperatore d'Oriente, Zenone. Odoacre, espugnata Ravenna, lo costrinse ad abdicare. Correva il giorno 4 settembre dell'Anno del Signore 476. Il sovrano erulo risparmiò la vita a Romolo Augustolo perché fu colpito dalla sua bellezza e dalla sua giovane età; lo mandò in Campania dai parenti e gli fece avere una pensione di 6.000 solidi aurei  (fonte: Annali Valesiani). Cosa nasconde questa sorprendente manifestazione di clemenza e di generosità? Semplice. Odoacre era dedito alla pederastia, cosa tra l'altro documentata tra gli Eruli, i cui costumi erano affini a quelli dei Taifali (fonte: Procopio di Cesarea). Possiamo cercare di ricostruire i fatti. Il sovrano germanico penetrò con voluttà nell'intestino del giovane imperatore, che all'epoca aveva 13 anni, e volle in qualche modo ricompensarlo. Non stupisce il silenzio degli autori sull'accaduto, nascosto dietro considerazioni abbastanza incongrue. 
Ecco il testo dell'Anonimo valesiano (Pars posterior): 
 
Augustulus, qui ante regnum Romulus a parentibus vocabatur, a patre Oreste patricio factus est imperator. Superveniens autem Odoachar cum gente Scirorum occidit Orestem patricium in Placentia et fratrem eius Paulum ad Pinetam foris Classem Ravennae. Ingrediens autem Ravennam deposuit Augustulum de regno, cuius infantiae misertus concessit ei sanguinem, et quia pulcher erat, etiam donans ei reditum sex milia solidos, misit eum intra Campaniam cum parentibus suis libere vivere. Enim pater eius Orestes Pannonius, qui eo tempore quando Attila ad Italiam venit se illi iunxit et eius notarius factus fuerat. Unde profecit et usque ad patricatus dignitatem pervenerat.
 
Traduzione: 

"Augustolo, che era chiamato Romolo dai suoi genitori prima che ascendesse al trono, era stato fatto imperatore da suo padre, il patrizio Oreste. Allora Odoacre fece la sua comparsa con una milizia di Sciri e uccise il patrizio Oreste a Piacenza, e suo fratello al Bosco dei Pini, fuori Classe, a Ravenna. Quindi entrò a Ravella, depose Augustolo dal sui trono, ma per pietà della sua tenera età, gli garantì la vita; e a causa della sua bellezza gli diede anche un'entrata di 6.000 solidi aurei, e lo mandò in Campagna a vivere come uomo libero con i suoi parenti. Suo padre Oreste era un pannonico, che era stato con Attila ai tempo in cui egli era giunto a Roma, ed era stato fatto suo segretario, una posizione da cui era avanzato al rango di patrizio."

Ciò conferma perfettamente quanto da me detto sulla pederastia di Odoacre e sulla consumazione di un rapporto tra lui e Romolo Augustolo. A muovere la pietà dell'erulo fu la tenera età del sovrano, ma fu la sua venustà a convincerlo a concedergli una grande quantità di denaro. 
 
Lasciando da parte questi bizzarri dettagli sessuali, possiamo dire con certezza che la deposizione di Romolo Augustolo non venne percepita come la fine dell'Impero Romano d'Occidente da nessun contemporaneo agli accadimenti. L'ultimo legittimo Imperatore d'Occidente era in realtà Giulio Nepote (morto nel 480). A maggior ragione gli eventi non furono memmeno ritenuti portentosi per via del nome dell'imperatore deposto. L'opinione corrente tra gli storici è che la gravità della deposizione di Romolo Augustolo e delle sue conseguenze non sia stata percepita subito. Solo col senno del poi, molto tempo dopo, si cominciò a capire che c'era qualcosa di strano. Fu lo storico longobardo Paolo Diacono (Cividale del Friuli, circa 720 - Montecassino, 799) il primo ad annettere una grande importanza ai fatti del 476 d.C., peraltro da lui attribuiti all'anno 475.  Ecco il testo in latino:
 
Ita Romanorum apud Romam imperium toto terrarum orbe venerabile et Augustalis illa sublimitas, quae ab Augusto quondam Octaviano cepta est, cum hoc Augustulo periit anno ab Urbis conditione millesimo ducentesimo nono, a Gaio vero Caesare, qui primo singularem arripuit principatum, anno quingentesimo septimo decimo, ab incarnatione autem Domini anno quadringentesimo septuagesimo quinto. Cessante iam Romanae urbis imperio utilius aptiusque mihi videtur ab annis dominicae incarnationis supputationis lineam deducere, quo facilius quid quo tempore actum sit possit agnosci.
(Paolo Diacono, Historia Romana, XV, 10.) 
 
Questa è la traduzione: 

"E fu così che questa potenza augustale e l'Impero dei Romani presso Roma che aveva dominato l'intero mondo venerabile, che in tempi antichi fu fondato da Ottaviano Augusto, perì con questo Augustolo nell'anno 1209 dalla fondazione della città, nell'anno 517 da Gaio Cesare, che senza dubbio fu il primo ad ottenere l'accentramento del principato nelle sue sole mani, nell'anno 475 dall'incarnazione del Signore. Avendo già cessato di esistere l'Impero della città di Roma, mi sembra più utile e comodo computare gli anni a partire dall'incarnazione del Signore, essendo possibile che in questi tempi sia un atto conosciuto più facilmente.
 
Il vero inizio del Medioevo:
varie proposte
 
 
Si ha ragione di dubitare che la vulgata corrente sull'inizio del Medioevo sia poi così significativa come quasi tutti credono. Sono state proposte diverse altre date che potrebbero descrivere meglio la fine dell'Antichità. Elenco le più sensate.
 
1) Anno 313: Editto di Milano.
Conseguenze:
viene concessa libertà di culto ai Cristiani, il cui culto cessa di essere considerato religio illicita (le persecuzioni erano ufficialmente finite nel 311).  
2) Anno 391: Editto di Tessalonica, decreto attuativo del Cunctos populos dell'anno 380.
Conseguenze:
il Cristanesimo niceno diventa l'unica religione lecita; viene spento il fuoco di Vesta; viene chiuso il santuario di Giove a Olimpia e si ha la cessazione del computo temporale basato sulle Olimpiadi.
3) Anno 395: morte dell'Imperatore Teodosio. 
Conseguenze: 
si attua la definitiva separazione dell'Impero Romano d'Occidente dall'Impero Romano d'Oriente.
4) Anno 410: il sacco di Roma ad opera di Alarico, Re dei Visigoti.
Conseguenze: 
cessa il mito dell'inviolabilità e dell'invincibilità di Roma. 
5) Anno 568: la calata dei Longobardi in Italia. 
Conseguenze: 
si ha la fine effettiva del dominio romano in Occidente.
6) Anno 622: l'avvento degli Arabi, che si può convenzionalmente identificare con l'Egira. 
Conseguenze: 
si ha la rottura della continuità del mondo classico.
7) Anno 800: l'incoronazione di Carlo Magno. 
Conseguenze: 
viene fondato il Sacro Romano Impero, che nelle intenzioni del Re dei Franchi avrebbe dovuto essere la vera e genuina restaurazione dell'Impero Romano d'Occidente. 

Va riconosciuto senza possibilità di errore che il primo evento, l'Editto di Milano del 313, è ciò che ha causato in cascata tutti gli altri eventi riportati - che altrimenti sarebbero stati impossibili, con buona pace degli ucronisti, la cui passione dominante è costruire case iniziando dal tetto senza preoccuparsi delle fondamenta. Sostengo quindi a spada tratta che a partire da questa data si è innescata l'autolisi del Mondo Antico, dei suoi valori e della sua Weltanschauung.  
 
Un nuovo reato capitale  

Devo richiamare l'attenzione su un fatto portentoso che si colloca nel regno di Costantino e che è stato passato sotto silenzio: l'emanazione di un draconiano editto che rendeva l'atto chiamato immissio penis in anum un crimine punibile mediante supplizi atrocissimi. Correva l'Anno del Signore 326. Perché questa data è tanto importante? Per un fatto molto semplice: mai era accaduto prima che un Imperatore si occupasse dei sollazzi dei suoi sudditi imponendo l'etica di una religione straniera come fondamento della legislazione. Qualcuno dirà che nell'antica Roma esisteva da secoli la Lex Scantinia (conosciuta anche come Lex Scatinia), che stabiliva in alcuni casi pene anche molto gravose per i pederasti e per gli effeminati. Ancora Decimo Magno Ausonio (310 - 395), che in tarda età era diventato un cristiano disimpegnato per pura e semplice convenienza, parlava di un semivir (cioè un "mezzo uomo") che si sentiva minacciato dall'applicazione della Lex Scantinia. C'era poi la famosa Lex Iulia de adulteriis, il cui scopo era quello di porre un argine alla dilagante dissolutezza. In cosa differivano queste leggi da quella di Costantino? Semplice. Differivano per il modo in cui gli atti sessuali erano concepiti. Per la Lex Scantinia era passibile di punizione l'uomo libero che subisse sodomia. Questo perché un uomo libero doveva essere sempre e comunque attivo, mai passivo. La sodomizzazione poteva però essere imposta agli schiavi. Non esisteva biasimo né censura verso un uomo libero che possedeva carnalmente un uomo non libero. Così era anche punito il pederasta che violasse un giovane di condizione libera. Si trattava di una regolamentazione degli atti sessuali anali, non di una loro condanna in quanto tali. Per Costantino invece le cose stavano diversamente: ogni atto anale era condannabile in quanto tale, in automatico. A guidare il suo consiglio era quanto contenuto nella Bibbia e sancito dalla Legge di Mosè. 

Il testo dell'editto di Costantino del 326 non è facile a trovarsi. In Google ho potuto reperire quello che è riportato come un suo estratto, citato dal testo L'amore omosessuale (L'amour homosexuel) di Eugène André Marie: 

Ubi sexus perdidit locum, ubi scelus est quod non proficit scire ubi Venus mutatur in alteram formam, ubi amor quaeritur nec videtur. Iubemus (ergo) insurgere leges, armari iura gladio ultore ut exquisitis poenis puniantur infames qui sunt vel qui futuri sunt rei. 

Traduzione: 
 
"Quando il sesso ha perso la sua funzione, quando si commette un crimine di cui è meglio non sapere, quando Venere è distorta in altra forma, quando l'amore è cercato ma non trovato: ordiniamo che le leggi insorgano, che il Diritto si armi della spada vendicatrice, in modo che gli infami, che sono o saranno rei, siano puniti mediante supplizi raffinati."

Secondo Marie si tratterebbe di una legislazione vaga senza alcuna precisazione di un dispositivo attuativo. Lo studioso riconosce comunque che l'editto costantiniano include nella locuzione "per coitum contra naturam" sia l'atto anale tra uomini che quello tra uomo e donna. Vanno tuttavia specificate alcune cose: 
 
1) il libro di Marie contiene numerose inconsistenze;
2) il libro di Marie riporta spesso parole latine contenenti gravi errori (ad esempio "mascularum" in luogo di "masculorum"), cosa che non depone a favore della sua accuratezza; 
3) il testo legale attribuito a Costantino da Marie compare quasi identico in una legge dei suoi figli Costanzo I e Costante, emanata nel 342 e ben documentata; 
4) numerose opere sulla storia dell'omosessualità, reperibili online, confondono Costanzo I con Costantino: il nome latino Constantius è stato alterato in Constantinus tramite inserimento di una lettera -n-; Costantino però è morto nel 337. 
  
Costantino legiferò certamente contro la sodomia e sappiamo che fece vietare diversi culti pagani i cui officianti praticavano il travestismo e l'omosessualità passiva. Non mi è comunque chiaro se Costanzo I e Costante ribadirono quanto stabilito da loro padre, senza cambiarlo, oppure se il il testo costantiniano sia in realtà sconosciuto e per un errore gli sia stato sostituito da Marie il testo della legge del 342, che è il seguente:
 
Cum vir nubit in feminam, femina viros proiectura quid cupiat?     
Ubi sexus perdidit locum, ubi scelus est id quod non proficit scire, ubi Venus mutatur in alteram formam, ubi amor quaeritur nec videtur: iubemus insurgere leges, armari iura gladio ultore, ut exquisitis poenis subdantur infames, qui sunt vel qui futuri sunt rei.       
Constantius et Constans aa. ad pop.

Traduzione: 
 
"Quando l'uomo s'accoppia come la donna, come una donna che si concede agli uomini, cosa brama?
Quando il sesso ha perso la sua funzione, quando si commette un crimine di cui è meglio non sapere, quando Venere è distorta in altra forma, quando l'amore è cercato ma non trovato: ordiniamo che le leggi insorgano, che il Diritto si armi della spada vendicatrice, in modo che gli infami, che sono o saranno rei, subiscano supplizi raffinati.
Costanzo e Costante Augusti al Popolo"
 
Si noterà che si trovano errori nelle traduzioni reperibili online (ad esempio exquisitis poenis è tradotto "con le pene prescritte" anziché "con pene raffinate"). Tutte queste cose danno l'idea di quanta approssimazione e esista nel Web.  

Valentiniano stabilì che il supplizio per l'immissio penis in anum dovesse essere il rogo. La legge fu fatta applicare da Teodosio nel 390. Ecco il testo:  

Impp. Valentianus, Theodosius et Arcadius Augg. ad Orientium vicarium urbis Romae. 
Non patimur urbem Romam virtutum omnium matrem, diutius effeminati in viro pudoris contaminatione foedari, et agreste illud a priscis conditoribus robur fracta molliter plebe tenuatum convicium saeculis vel conditorum inrogare vel principum, Orienti carissime ac iucundissime nobis. 
Laudanda igitur experientia tua omnes, quibus flagitii usus est virile corpus muliebriter constitutum alieni sexus damnare patientia, nihilque discretum habere cum feminis, occupatos, ut flagitii poscit immanitas, atque omnibus eductos, pudet dicere, virorum lupanaribus spectante populo flammae vindicibus expiabit, ut universi intellegant sancrosanctum cunctis esse debere hospitium virilis animae nec sine summo supplicio alienum expetisse sexum qui suum turpiter perdidisset.     
 
Traduzione: 
 
"Gli imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio, augusti, ad Orienzio, vicario per la città di Roma.
Non sopportiamo che la città di Roma, madre di tutte le virtù, sia più a lungo infangata dalla macchia del comportamento effeminato nel maschio, e che quella forza rustica dei primi fondatori, infranta mollemente dal popolino, porti ingiuria ai tempi  dei nostri fondatori o degli imperatori, Orienzio carissimo e graditissimo a noi.
Perciò la tua lodevole esperienza purgherà tramite le fiamme vendicatrici tutti coloro che praticano l'infamia di condannare il loro corpo maschile, travestito da femminile, alla passività del sesso opposto - al punto che non differiscono in nulla dalle femmine -
dopo averli arrestati, come richiede l'enormità del crimine, e portati tutti fuori - ci si vergogna a dirlo - dai bordelli maschili, in presenza del popolo,
in modo che tutti capiscano che dev'essere sacrosanto il contenitore dell'anima virile, e che chi abbia perso turpemente il suo sesso, non potrà aspirare a quello altrui senza subire l'estremo supplizio." 
 
Alcuni pensano che questa legge colpisse unicamente i soggetti passivi. In realtà le cose non stanno così e anche coloro che inserivano il pene nel deretano erano passibili della stessa pena degli effeminati. Non possiamo mancare di notare la coincidenza temporale tra questo editto teodosiano e l'Eccidio di Tessalonica. Ecco una breve cronistoria dei fatti. C'era a Tessalonica un auriga popolarissimo che era un pederasta. Costui metteva il pene nell'ano di giovani, scaricando lo sperma tra gli escrementi. Per questo motivo fu ordinato al magister militum, che era un goto di nome Butheric, di far arrestare l'auriga pederasta perché fosse bruciato vivo. La popolazione insorse e linciò Butheric. Per rappresaglia, Teodosio fece attirare la popolazione di Tessalonica nell'anfiteatro per un grande spettacolo, quindi ogni ingresso fu chiuso e iniziò l'eccidio. Furono uccise moltissime persone, uomini, donne e bambini. Non è facile fare una stima, ma si crede che le vittime siano state almeno 7.000. Il Vescovo Ambrogio costrinse Teodosio a fare penitenza per questo atto di sangue e lo ricattò costringendolo ad attuare l'editto del 380, conosciuto come Cunctos populos, che imponeva a tutti i sudditi dell'Impero la religione cristiana definita dal Simbolo Niceno (quello che oggi conosciamo come Credo). Questo avvenne nel 391 e le conseguenze storiche sono state spaventose. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l'editto di Costantino del 326, che può quindi legittimamente essere considerato la fine del Mondo Antico. Le idee di Odoacre, che nel 476 portò una ventata di tolleranza religiosa e sessuale, hanno avuto vita assai effimera.  
 
Ricordo che Nino Manfredi in un suo film (credo che fosse In nome del Papa Re, diretto da Luigi Magni, 1977), spiegava a un materialone che quando Cristoforo Colombo il 12 ottobre 1492 avvistò la terraferma, in quel preciso istante era finito il Medioevo. Nel Medioevo così inteso, il sistema scolastico localizza tutta la Tenebra della Storia, come se ad essa avesse fatto seguito la Luce. Eppure vediamo che il mondo di Costantino e di Teodosio vive ancora. Ce ne possiamo rendere conto quando gli Evangelici affermano che il Tyrannosaurus rex era un animale prediletto da Dio, che gli aveva dato braccini cortissimi per impedirgli di masturbarsi! 

martedì 29 giugno 2021

LA DEFECAZIONE IN SCANDINAVIA E IN ISLANDA NEI TEMPI ANTICHI

Quando la Scandinavia era pagana, tutti defecavano all'aperto. In Islanda, isola che fu popolata da coloni norvegesi, erano praticate ovviamente le stesse usanze, almeno finché ebbe corso il Costume Antico. Le regole del buon vivere dettate da Odino consigliavano di svuotare gli intestini durante le ore notturne, per alzarsi leggeri e riposati, essendo meglio togliere tempo al sonno piuttosto che all'azione (Hávamál; Tufano, 1996). Così la gente si recava nottetempo all'aperto per soddisfare le proprie esigenze corporali. Nella Saga degli uomini di Eyr (Eyrbyggja saga), ambientata in Islanda, si fanno alcune descrizioni molto interessanti sulle abitudini defecatorie dei primi coloni e dei loro discendenti. Vi è descritto uno scoglio in riva al mare, che in norreno era chiamato Dritsker, ossia "scoglio della merda" (da drit "merda, sozzura" e da sker "scoglio"). Immagino che dovesse essere ben squallido trovarsi là sotto la pallida luce del sole. Chi nella notte si avventurava da quelle parti, doveva portare una fiaccola per illuminare la via. Sicuramente c'erano molti disagi, specialmente d'inverno, quando il clima era piuttosto inclemente. Vediamo ora quali sono le origini del Dritsker e perché è stato designato per questa bisogna.
 
Questo è il testo di riferimento in norreno (Eyrbyggja saga, capitolo 4): 
 
Þórólfr kallaði Þórsnes milli Vigrafjarðar ok Hofs­vágs. Í því nesi stendr eitt fjall. Á því fjalli hafiði Þórólfr svá mikinn átrúnað, at þangat skyldi enginn maðr óþveginn líta ok engu skyldi tortíma í fjallinu, hvárki fé né mǫnnum, nema sjálpt gengi í brott. Þat fjall kallaði hann Helgafell ok trúði, at hann mundi þangat fara, þá er hann dǿi, ok allir á nesinu hans frændr. 
Þar sem Þórr hafði á land komit, á tanganum nessins, lét hann hafa dóma alla ok setti þar héraðsþing. Þar var ok svo mikill helgistaður at hann vildi með engu móti láta saurga vǫllinn, hvorki í heiptarblóði ok eigi skyldi þar álfrek ganga ok var hapt til þess sker eitt er Dritsker var kallat. 
Þórólfr gerðist rausnarmaðr mikill í búi ok hafði fjǫlmennt með sér, því at þá var gott matar at afla af eyjum ok ǫðru sæfangi.
 
Traduzione: 
 
Thorolf chiamò Thorsnes ("Promontorio di Thor") la zona tra Vigrafjörd e Hofsvag. Su quella penisola sorgeva un monte. Thorolf aveva per questo monte una venerazione così grande, che aveva proibito a ogni uomo di contemplarlo senza essersi lavato; nessun essere, né uomo né animale, poteva ricevere lì una punizione, tranne che vi si fosse smarrito. Egli chiamò questo monte Helgafell, e riteneva che su questo monte sarebbe dovuto comparire, dopo essere morto, e così tutti i suoi parenti.
Là dove Thor era approdato*, sulle propaggini del promontorio, fece tenere tutti i processi e v'insediò l'assemblea cantonale; ed era un luogo così sacro, che non volle lasciarlo contaminare a nessun patto, né con lo spargervi sangue, né con l'andarvi a depositare escrementi: per quest'ultima bisogna era stato scelto uno scoglio, che era chiamato
Dritsker.
Thorolf divenne un uomo molto importante nella sua zona e aveva molti uomini con sé, perché là c'erano buoni cibi con cui nutrirsi, cioè u
ova e animali marini.
 
*Si tratta di pilastri o stipiti del seggio che si trovava nel Grande Tempio dell'isola di Most, portati con sé da Thorolf Mostrarskegg nel suo lungo viaggio. Erano sagomati in modo tale da rappresentare la tonante divinità. 
 
Per il testo completo della saga in norreno, riporto questo link: 
 
 
Thorolf Mostrarskegg era una personalità molto importante. Nobile uomo dalla barba imponente, da cui aveva derivato il suo soprannome (skegg significa "barba"), aveva smontato il Grande Tempio dell'isola di Most, in Norvegia, trasportandolo in Islanda. Non va confuso con Thorhadd il Vecchio, che aveva compiuto un'impresa del tutto simile, smontando il Grande Tempio di Mæren, in Norvegia, trasportandolo parimenti in Islanda. È molto facile confondersi e distorcere le informazioni quando si tratta di opere complesse e articolate come le saghe islandesi, distantissime dal nostro modo di narrare gli eventi. Qualche anno fa mi è capitato di scambiare Thorolf Mostrarskegg con Thorhadd il Vecchio, attribuendogli erroneamente il sacerdozio nel Grande Tempio di Mæren anziché in quello del Grande Tempio di Most. Mæren si trova nella regione di Throndheim, molto distante dall'isola di Most, che si trova invece nello Hördaland del Sud, nella Norvegia meridionale. La sostanza però non cambia molto.   
 
Proprio come Thorhadd il Vecchio, Thorolf Mostrarskegg aveva portato persino le zolle di terra del luogo d'origine, che si trovavano sotto l'altare di Thor, perché l'edificio di culto fosse perfettamente ricostruito in ogni dettaglio anche minimo. Aveva seguito un rituale preciso. Come si può leggere nel testo della Eyrbyggja saga che ho riportato sopra, questo potente capo aveva una vera e propria fissazione per la purezza dei luoghi sacri e un'idea precisa di cosa potesse contaminarli: le feci e il sangue. Si fa capire in diverse occasioni che tutto ciò parve stravagante persino ai suoi seguaci. Soprattutto era una misura impopolare il divieto di depositare i propri escrementi nei campi consacrati alle divinità, fatto valere in modo assai rigido finché Thorolf Mostrarskegg fu in vita. L'osservanza di questa disposizione sembrava pesare moltissimo ad alcuni abitanti del luogo, tanto che alla fine si arrivò all'insurrezione e a uno scontro violentissimo. Una sanguinosa battaglia combattuta a causa della merda! L'effetto paradossale fu questo: il sangue versato rese impura la terra che gli eredi di Thorolf Mostrarskegg intendevano difendere. Quando le parti furono pacificate, si dovette procedere a scegliere nuove terre da consacrare alle Dei; queste terre furono considerate sacre, ma non al punto di non poter essere ingrassate con le feci. 
 
I Thorsnesingar erano il clan fondato da Thorolf Mostrarskegg (l'origine del nome è dal toponimo Thorsnes "Promontorio di Thor"). I Kjalleklingar erano il clan ribelle (il nome significa "Discendenti di Kjallak") Questo è il testo di riferimento in norreno, in cui si raccontano le origini dello scontro (Eyrbyggja saga, capitolo 9): 
 
Þat var eitt var á Þórsnessþingi, at þeir mágar, Þorgrímr Kjallaksson ok Ásgeirr á Eyri, gerðu orð á, at þeir mundi eigi leggja drag undir ofmetnað Þórsnesinga, ok þat, at þeir mundi ganga þar ørna sinna sem annars staðar á mannfundum á grasi, þótt þeir væri svá stolz, at þeir gerði lǫnd sín helgari en aðrar jarðir í Breiðafirði. Lýstu þeir þá yfir því, at þeir mundi eigi troða skó til at ganga þar í útsker til álfreka.  En er Þorsteinn þorskabítr varð þessa varr, vildi hann eigi þola, at þeir saurgaði þann vǫll, er Þórólfr, faðir hans, hafði tignat um fram aðra staði í sinni landeign. Heimti hann þá at sér vini sína ok ætlaði at verja þeim vígi vǫllinn, ef þeir hygðist at saurga hann. At þessu ráði hurfu með honum Þorgeirr kengr, som Geirrøðar á Eyri, ok Álptfirðingar, Þorfinnr ok Þorbrandr, sonr hans, Þórólfr bægifótr ok margir aðrir þingmenn Þorsteins ok vinir. 

Traduzione:
 
Una primavera, all'assemblea di Thorsnes, accadde che i cognati di Thorgrim, figlio di Kjallak, e Asgeir di Eyr decisero di non sopportare più la tracotanza dei Thorsnesingar; stabilirono di depositare i propri escrementi, durante le assemblee, sull'erba, come in qualsiasi altro luogo, anche se quelli erano così superbi da ritenere la loro terra più sacra di ogni altra terra a Breidafjörd; resero noto che essi non avrebbero più consumato le loro scarpe per andare su di uno scoglio lontano a depositare i propri escrementi. Ma come Thorstein Thorskabit venne a sapere questo, non volle sopportare che essi contaminassero quel terreno che suo padre Thorolf aveva venerato più di ogni altro suo possesso; fece venire presso di sé i suoi amici e dichiarò che avrebbe difeso combattendo quel terreno, qualora quelli avessero avuto l'intenzione d'insozzarlo. In questa decisione si unirono a lui: Thorgeir Keng, figlio di Geirröd da Eyr, e gli uomini dell'Alptafjörd, Thorfin e Thorbrand, figlio di lui, Thorolf "Gambastorta" e molti altri compagni d'assemblea e amici di Thorstein.   
 
I Thorsnesingar videro che i Kjalleklingar stavano deviando dal sentiero che conduceva al Dritsker, intenzionati ad andare a smerdare sul terreno consacrato! 
 
En um kveldit, er Kjalleklingar váru mettir, tóku þeir vápn sín ok gengu út í nesit. En er þeir Þorsteinn sá, at þeir sneru af þeim veg, er til skersins lá, þá hljópu þeir til vápna ok runnu eptir þeim með ópi ok eggjan. Ok er Kjalleklingar sá þat, hljópu þeir saman ok vǫrðu sik. En Þórsnesingar gerðu svá harða atgǫngu, at Kjalleklingar hrukku af vellinum ok í fjǫruna. Snerust þeir þá við, ok varð þar inn harðasti bardagi með þeim. Kjalleklingar váru færi ok hǫfðu einvalalið.  
 
Traduzione: 
 
E alla sera, allorché i Kjalleklingar furono sazi, presero le proprie armi e uscirono sul promontorio. Ma Thorstein e i suoi, quando videro che quelli si allontanavano dalla via che conduceva allo scoglio, corsero alle armi e gli si precipitarono dietro con grida e incitamenti. Quando i Kjalleklingar videro questo, si unirono e si difesero; ma i Thorsnesingar lanciarono assalti così impetuosi che i Kjalleklingar ripiegarono dal terreno, lungo la spiaggia; quindi ritornarono di nuovo all'attacco e s'ingaggiò tra loro una battaglia violentissima. I Kjalleklingar erano inferiori di numero, ma rappresentavano sempre una schiera eccellente. 
 
Gli eventi precipitarono. 
 
Þar fellu menn af hvárumtveggjum ok fleiri af Kjalleklingum, en fjǫlði varð sárr. Griðum varð engum á komit, því at hvárgir vildu þau selja, ok hétu hvárir ǫðrum atfǫrum, þegar því mǿtti við koma. Vǫllrinn var orðinn alblóðugr þar, er þeir bǫrðust, ok svá þar, er Þórsnesjngar stóðu, meðan barizt var. 
 
Traduzione:
 
Rimasero allora uccisi degli uomini da ambo le parti - molti da quella dei Kjalleklingar - e parecchi erano i feriti. Non si giunse a una pace, perché nessuna delle due parti voleva cedere, ed entrambe proclamavano che sarebbero ricorse ad altre aggressioni, qualora fosse avvenuto d'incontrarsi. Il terreno, su cui avevano combattuto, era tutto ricoperto di sangue, specie nel punto occupato, durante la battaglia, dai Thorsnesingar. 
 
Dopo la battaglia, fu necessario ricorrere all'arbitrato per cercare di pacificare i contendenti - dato che non esisteva in tutta l'Islanda un potere centrale. Il paciere, Thord Gellir, fu scelto perché era imparentato con entrambi i clan. Riporto alcuni testi in norreno sulla cronistoria degli eventi (Eyrbyggja saga, capitolo 10).
 
Þar urðu þær málalykðir, at Þórðr skyldi gera um með því móti, at Kjalleklingar skilðu þat til, at þeir mundi aldrigi ganga í Dritsker ørna sinna, en Þorsteinn skilði þat til, at Kjalleklingar skyldi eigi saurga vǫllinn nú heldr en fyrr. Kjalleklingar kǫlluðu alla þá hafa fallit óhelga, er af Þorsteini hǫfðu fallit, fyrir þat, er þeir hǫfðu fyrr með þann hug at þeim farit at berjast. En Þórsnesingar sǫgðu Kjalleklinga alla óhelga fyrir lagabrot þat, er þeir gerðu á helguðu þingi. En þó at vandliga væri undir skilit gerðina, þá játaði Þórðr at gera ok vildi heldr þat en þeir skilði ósáttir.
 
Traduzione:  
 
Allora furono d'accordo nell'attribuire a Thord la facoltà di decidere; solo i Kjalleklingar richiesero di non dover andare più a depositare i propri escrementi fino alla roccia di Dritsker; Thorstein invece pretese che i Kjalleklingar continuassero come prima a non contaminare il terreno sacro. I Kjalleklingar pretendevano che tutti coloro che erano caduti dalla parte di Thorstein fossero proclamati caduti senza diritto a risarcimento, per il fatto che per primi si erano lanciati contro di loro con l'intenzione di venire a contesa; ma i Thorsnesingar volevano far dichiarare "fuori legge" i Kjalleklingar per la violazione delle norme, che avevano perpetrata alla sacra assemblea. E benché fosse difficile venire a un accordo a simili condizioni, tuttavia Thord fu del parere di concludere un compromesso, piuttosto che lasciarli separare non pacificati. 
 
Thord Gellir giunge alla sua determinazione, che presuppone una cultura giuridica complessa, con buona pace di quanti liquidano come "barbaro" tutto ciò che non è romano. 
 
Þórðr hafði þat upphaf gerðarinnar, at hann kallar, at sá skal hafa happ, er hlotit hefir, kvað þar engi víg bǿta skulu, þau er orðit hǫfðu á Þórsnesi, eða áverka, en vǫllinn kallar spilltan af heiptarblóði, er niðr hafði komit, ok kallar þá jǫrð nu eigi helgari en aðra ok kallar þá því valda, er fyrri gerðust til áverka við aura. Kallaði hann þat eitt friðbrot verit hafa, sagði þar ok eigi þing skyldu vera síðan. 
 
Traduzione: 
 
Thord così esordì nel proclama che sanciva l'accordo: "Ognuno deve tenersi quello che gli è capitato". Disse che nessun omicidio, che fosse stato perpetrato a Thorsnes, doveva essere risarcito; come pure nessuna lesione doveva essere risarcita; dichiarò che il terreno era stato contaminato dal sangue versato dai contendenti, che quel terrenon ono era più sacro di qualsiasi altro, e che di quella situazione erano responsabili coloro che si erano decisi per primi a ferire gli altri; aggiunse che quella era stata una violazione del "friðr"*, e che d'allora in poi non si sarebbe più potuto tenervi alcuna assemblea.
 
*La parola norrena friðr designa la pace, la concordia e il benessere che devono regnare nella comunità. 
 
Come conseguenza di queste premesse, l'organizzazione religiosa di quel territorio islandese viene interamente riformata. Fu stabilito che Thorgrim figlio di Kjallak dovesse possedere metà del tempio e ricevere la metà dei tributi, che da lui dovessero dipendere metà degli uomini appartenenti all'assemblea, che dovesse sostenere Thorstein in ogni questione, qualunque fosse la divinità a cui quest'ultimo avesse consacrato il luogo della nuova assemblea.  
 
Þeir fǿrðu þá þingit inn í nesit, þar sem nú er. Ok þá er Þórðr gellir skipaði fjórðungaþing, lét hann þar vera fjórðungsþing Vestfirðinga. Skyldu menn þangat til sǿkja um alla Vestfjǫrðu. Þar sér enn dómhring þann, er menn váru dǿmðir í til blóts. Í þeim hring stendr Þórs steinn, er þeir menn váru brotnir um, er til blóta váru hafðir, ok sér enn bloðslitinn á steininum. Var á því þingi inn mesti helgistaðr, en eigi var mǫnnum þar bannat at ganga ørna sínna. 
 
Traduzione: 
 
Essi trasferirono la sede per le riunioni dell'assemblea sul promontorio, là dove ora si trova; e allorché Thord Gellir istituì le assemblee dei quattro cantoni, fece sì che quella fosse l'assemblea cantonale occidentale. Là si può vedere quel cerchio del giudizio dove gli uomini erano condannato a morte; in quel cerchio sta la pietra di Thor, su cui si spezzava la schiena agli uomini che erano stati scelti per il sacrificio, e sulla pietra si vedono le macchie di sangue. Questa assemblea si teneva in un luogo molto sacro, ma là non era vietato agli uomini di depositare i loro escrementi.
 
Dall'analisi di questo prezioso materiale storico, si possono fare alcune importanti considerazioni. Come si può vedere, prima delle stravaganti riforme religiose di Thorolf Mostrarskegg, la defecazione avveniva ovunque ci fosse un luogo adatto, anche nel corso di feste religiose che prevedevano grandi assembramenti di persone. Se un partecipante a uno di questi eventi avvertiva una pressione nel ventre e aveva l'impellente bisogno di evacuare, anche se era giorno non aspettava certo la notte. Si appartava e smerdava. Anche le donne smerdavano così, senza pensarci troppo. Facevano stronzi grassissimi, pastosi, enormi. 
C'è una questione che a mio avviso è molto interessante. Il capostipite della fazione dei Kjalleklingar aveva un nome di origine irlandese. L'antroponimo Kjallakr è infatti un adattamento norreno dell'antico irlandese Cellach, il cui significato è "Bellicoso". Sappiamo che moltissimi irlandesi furono presi come schiavi dai Vichinghi e deportati in Islanda. Questi schiavi erano cristiani, ma abbandonarono rapidamente la loro religione per adottare il politeismo dei loro padroni. Credo che sia possibile che i discendenti dei primi prigionieri irlandesi, che in molti casi erano liberti integrati nella società islandese, abbiano portato avanti qualche forma di astio. Il risultato di queste tensioni mai sopite potrebbe ben essere sfociato nella Guerra della Merda, così ben descritta nella Saga degli Uomini di Eyr

Glossario defecatorio 

ørna sínna "i propri bisogni" 
ganga ørna sínna "andare a defecare", ossia "andare a fare i propri bisogni" 

Si tratta chiaramente di espressioni eufemistiche, non dissimili dall'uso colloquiale dell'inglese business "affare" per "escremento".
 
Un nuovo rapporto con la defecazione    
 
Quando giunse il Cristianesimo e acquistò sempre maggior influenza, le cose cambiarono in modo radicale. Fu sentita la necessità di defecare in un luogo appartato, in altre parole in un gabinetto. Le cose stavano più o meno così: uno schiavo irlandese provvedeva a scavare una buca nella terra, su cui veniva posto uno sgabello di legno con un foro per il culo, in modo che vi potessero passare agevolmente le feci. Una grossolana casupola di assi di legno nascondeva la latrina alla vista dei passanti. Quando la buca nel terreno tracimava per l'eccessiva quantità di escrementi depositati, la casupola veniva smontata, la tavola di legno veniva rimossa, il luogo contaminato veniva interrato e si provvedeva a scavare una nuova buca da un'altra parte. In questo modo dovevano essere nati i gabinetti nel Nord. Sempre nella Saga degli Uomini di Eyr, si dice che alcuni avversari del goði ("sacerdote pagano") Snorri volevano tendergli un agguato e ucciderlo. Era notte fonda. Si aspettavano che dopo l'abbondante cena, al goði Snorri e ai suoi venisse voglia di andare al gabinetto. I tempi in cui si smerdava all'aperto erano ormai lontani. 
 
Questo è il testo in norreno (Eyrbyggja saga, capitolo 26): 
 
Þat haust, er berserkirnir kómu til Styrs, varð þat til tíðenda, at Vigfúss í Drápuhlíð fór til kolgerðar þangat, sem heita Seljabrekkur, ok með honum þrælar hans þrír. Einn hét Svartr inn sterki.  Ok er þeir kómu í skóginn, mælti Vigfúss: "Allmikill harmr er þat, ok svá mun þér þykkja, Svartr, er þú skalt verða ánauðigr maðr, svá sem þú ert sterkr ok drengiligr at sjá."
  "Vist þykkir mér mikit mein at því," segir hann, "en eigi er mér þat sjálfrátt."
  Vigfúss mælti: "Hvat villtu til vinna, at ek gefa þér frelsi?"
  "Eigi má ek þat með fé kaupa, því at ek á ekki, en þá hluti, er ek má, mun ek enga til spara."
  Vigfúss mælti: "Þú skalt fara til Helgafells ok drepa Snorra goða, en eptir þat skaltu sannliga fá frelsi þitt ok þar með góða kosti, er ek skal veita þér."
  "Því mun ek eigi til leiðar koma," segir Svartr.
  "Ek skal ráð til setja," segir Vigfúss, "þat er þetta skal framkvæmt verða mannhættulaust."
   "Heyra vil ek þat," segir Svartr.
  "Þú skalt fara til Helgafells ok ganga í lopt þat, er yfir er útidurum, ok rýma fjalir í gólfinu, svá at þú fáir þar lagt atgeiri í gegnum. En þá er Snorri gengr til kamars, þá skaltu leggja atgeirinum í gegnum loptsgólfit í bak Snorra svá fast, at út gangi um kviðinn, hlaup síðan út á ræfrit ok svá ofan fyrir vegginn ok lát náttmyrkrit gæta þín."
  Ok með þessu ráði fór Svartr til Helgafells ok rauf ræfrit yfir útidurum ok gekk þar inn í loptit. þat var í þann tíma, er þeir Snorri sátu við málelda.  Í þann tíma váru útikamrar á bǿjum. En er þeir Snorri gengu frá eldinum, ætluðu þeir til kamarsins, ok gekk Snorri fyrstr ok bar undan út í dyrrnar, áðr tilræðit Svarts varð. En Már Hallvarðsson gekk næst Snorra, ok lagði Svartr atgeirinum til hans, ok kom lagit á herðarblaðit ok renndi út undir höndina ok skar þar út, ok varð þat eigi mikit sár.  Svartr hljóp út ok ofan fyrir vegginn. Honum varð hált á brústeininum, ok fell hann fall mikit, er hann kom niðr, ok fekk Snorri tekit hann, áðr hann stóð upp.
 
Traduzione: 
 
Quell'autunno, in cui i berserkir si erano trasferiti presso Styr, accadde che Vigfus da Drapuhlid si recasse a una carbonaia, che si chiama Seljabrekka e con lui tre suoi servi: uno si chiamava Svart inn Sterki; quando furono giunti al bosco, Vigfus disse: "Questo è un grandissimo guaio, e così ti deve sembrare, o Svart, che tu debba essere uno schiavo, mentre tu sei forte e valente a vedersi." 
"Certo", rispose quello, "mi sembra una grave ingiustizia, ma non è dipeso da me." 
Vigfus replicò: "Che vuoi fare, perché ti conceda la libertà?" 
"Non posso acquistarmela col denaro, perché non ne posseggo, ma non voglio esimermi dal fare quello che posso." 
Vigfus disse: "Tu devi andare a Helgafell e uccidere il goði Snorri; dopo avrai davvero la libertà e, inoltre, un bel gruzzolo, che io ti fornirò." 
"Non m'indurrò a far questo", dice Svart. 
"Io ti darò consigli", dice Vigfus, "in modo che questo possa essere eseguito, senza alcun pericolo per te." 
"Odo questo volentieri", dice Svart. 
"Tu devi andare a Helgafell e introdurti in quella stanza superiore che sta sopra la porta d'uscita; togli quindi via alcune assi dal pavimento, in modo da poter collocare un'asta attraverso l'apertura; quando Snorri uscirà per andare al gabinetto, conficca l'asta, attraverso il pavimento della stanza, nella schiena di Snorri, così violentemente da farla uscire dalla parte del ventre; corri poi sul tetto e giù lungo la parete e scompari nell'oscurità della notte." 
Fornito di queste istruzioni, Svart andò a Helgafell, sfondò il tetto sopra la porta d'uscita ed entrò nella camera sovrastante; questo avvenne mentre Snorri e i suoi stavano seduti per cena. In quell'epoca i gabinetti stavano fuori delle case. Quando Snorri e i suoi si alzarono dal tavolo vicino al fuoco, pensarono di andare al gabinetto. Snorri uscì per primo e passò attraverso la porta, prima che l'agguato di Svart fosse pronto; invece Mar, figlio di Hallvard, passò dopo Snorri, e Svart lo colpì con l'asta, lo raggiunse attraverso la scapola, scivolò lungo il braccio, tagliò via un po' di carne, ma non produsse una grave ferita. Svart corse via, passando lungo la parete andò a finire su di un lastricato e fece una grave caduta, precipidando giù. Snorri riuscì ad afferrarlo, prima che si rialzasse.
 
Questi fatti accadevano 14 anni prima che in Islanda venisse adottato per legge il Cristianesimo. L'influenza cristiana aveva preso largamente piede in Islanda già prima che la nuova religione finisse col prevalere nell'anno 1000. Lo stesso goði Snorri finì col farsi battezzare, conservando il suo titolo, che nessuno ormai connetteva più a rituali pagani e che ormai era usato come semplice onorificenza politica. Dal racconto del fallito attentato al goði Snorri si possono trarre alcune interessanti considerazioni. L'autore della saga ha notato che ai tempi della Cristianizzazione i gabinetti erano esterni alle case, segno che in seguito a quell'epoca ci sono stati sostanziali cambiamenti nel costume, tanto che lo stanzino defecatorio è stato trasferito all'interno delle case. Occorrerebbero studi molto più approfonditi di questo trattatello per chiarire meglio la questione. 
 
Glossario defecatorio 
 
kamarr "gabinetto" (genitivo kamars; plurale kamrar
ganga til kamars "andare al gabinetto" 
 
Si comprende subito che il vocabolo kamarr è un prestito, che in ultima istanza deriva dal latino camera "stanza a volta". Questo prestito lessicale non sarebbe stato possibile senza il Cristianesimo. Esiste anche una denominazione di chiara origine tabuistica per indicare il luogo defecatorio: annat hús "l'altra casa".
 
Igiene personale 
 
Per pulirsi, i Vichinghi utilizzavano il bagno turco. La parola norrena bað (genitivo baðs; plurale bǫð), che ha la stessa origine dell'inglese bath "bagno" e al tedesco Bad "bagno", indicava precisamente il bagno tramite il vapore, non tanto il bagno tramite immersione nell'acqua. Le genti del Nord si servivano del vapore scaturito dall'acqua bollente introdotta in un'apposita stanza, in genere sotterranea, chiamata baðstofa (genitivo baðstofu; plurale baðstofur). Non era considerato conveniente defecare e lavarsi nello stesso ambiente, come invece facciamo noi oggi. Un possidente era molto afflitto da due berserkir, Halli e Leiknir. Ha così trovato un modo molto ingegnoso per ucciderli entrambi, servendosi proprio del vapore bollente di una sauna.

Questo è il testo in norreno (Eyrbyggja saga, capitolo 28): 
 
Eptir þetta tóku þeir at ryðja gǫtuna, ok er þat it mesta mannvirki. Þeir lǫgðu ok garðinn, sem enn sér merki. Okveptir þat gerðu þeir byrgit.
 En meðan þeir váru at þessu verki, lét Styrr gera baðstofu heima undir Hrauni ok var grafin í jǫrð niðr, ok var gluggr yfir ofninum, svá at útan mátti á gefa, ok var þat hús ákafliga heitt.
 
Traduzione: 

Quindi [i berserkir] si posero a costruire la strada, ed era un'opera faticosa. Rizzarono anche la palizzata, di cui ancora si vede traccia. Dopo costruirono il recinto per le pecore. Mentre erano intenti a quest'opera, Styr fece costruire a casa sua, a Hraun, un locale per i bagni: era un locale scavato sottoterra, e sopra la stufa vi era un'apertura, in modo da poter introdurre l'acqua; il locale era straordinariamente caldo.

E ancora, sempre dallo stesso capitolo, poco oltre: 
 
Berserkirnir gengu heim um kveldit ok váru móðir mjǫk, sem háttr er þeira manna, sem eigi eru einhama, at þeir verða máttlausir mjǫk, er af þeim gengr berserksgangrinn.  Styrr gekk þá í mót þeim ok þakkaði þeim verk ok bað þá fara í bað ok hvíla sik eptir þat. Þeir gerðu svá. Ok er þeir kómu í baðit, lét Styrr byrgja baðstofuna ok bera grjót á hlemminn, er var yfir forstofunni, en hann lét breiða niðr nautshúð hráblauta hjá uppganginum. Síðan lét hann gefa útan á baðit í glugginn, er yfir var ofninum. Var þá baðit svá heitt, at berserkirnir þolðu eigi í baðinu ok hljópu á hurðirnar. Fekk Halli brotit hlemminn ok komst upp ok fell á húðinni. Veitti Styrr honum þá banasár. En er Leiknir vildi hlaupa upp ór durunum, lagði Styrr í gegnum hann, ok fell hann inn í baðstofuna ok lézt þar.  Síðan lét Styrr veita umbúnað líkum þeira. Váru þeir fǿrðir út í hraunit ok kasaðir í dal þeim, er þar er í hrauninu, er svá er djúpr, at engan hlut sér ór nema himin yfir sik.
 
Traduzione: 
 
I berserkir andarono a casa la sera, ed erano molto stanchi, come è costume di quegli uomini, che non hanno solo l'aspetto, ma sono spossati, dopo essere stati soggetti al "berserksgang". Styr andò loro incontro, li ringraziò per il lavoro e li invità ad entrare nel bagno, e quindi a riposarsi. Quelli così fecero; e appena furono entrati nel bagno, Styr fece chiudere la stanza e porre delle pietre sull'apertura del tetto che stava sopra l'anticamera; all'uscita fece stendere una pelle di bue appena scuoiato. Poi fece versare l'acqua nel bagno attraverso l'apertura che era sopra la stufa: il bagno divenne così caldo, che i berserkir non riuscirono a sopportarlo, e corsero alla porta. Halli riuscì a sfondare l'apertura, ma inciampò nella pella: allora Styr gl'inferse un colpo mortale. E quando Leiknir volle scappare fuori dalla porta, Styr lo trafisse, e quello cadde nel bagno e vi morì. Poi Styr fece raccogliere i loro cadaveri; furono trasportati lassù sulla lava, e inumati in quella valle che si trova in mezzo alla lava, e che è così profonda, da non lasciare scorgere alcuna parte, tranne il cielo sopra di sé. 
 
Questi bagni erano spesso alimentati dalle acque termali, così comuni nell'Isola dei Ghiacci.    
 
Glossario igienico 
 
Nel vocabolario di Zoëga sono riportate diverse parole norrene per indicare il bagno, inteso come luogo della sauna. La glossa inglese è la stessa usata per designare il luogo defecatorio: "privy", cioè "latrina, cesso". 

salerni "bagno":
      derivato da salr "stanza, camera"; 
garðhús "bagno":
      derivato da garðr "cortile" e da hús "casa"
náðhús "bagno": 
      derivato da náð "grazia" e da hús "casa" 

La parola salerni è tuttora in uso nell'islandese moderno. Nella lingua attuale troviamo anche alcuni sinonimi: 
 
baðherbergi "bagno": 
    derivato da bað "bagno" e da herbergi "alloggio"
snyrting "bagno" (termine dotto): 
    derivato da snyrta "riordinare" 
vatnsalerni "bagno" (termine raro): 
    derivato da vatn "acqua" e da salerni "bagno".
 
La questione della pulizia anale 
 
Nella Russia Kievana, il viaggiatore arabo Ahmad ibn Fadlan (Baghdad, 877 - 960), si imbatté in una comunità di Vichinghi, conosciuti come Variaghi (dal norreno Væringjar "mercenari che servivano come guardie del corpo dell'Imperatore di Bisanzio"), che erano originari della Svezia. Ne descrisse con dovizia di particolari le usanze, che a lui parvero bestiali. Questo riportò nella sua opera:

"Essi sono le più sporche tra tutte le creature di Dio: non si lavano dopo aver defecato o urinato, né si lavano quando sono in uno stato di impurità rituale*, né si lavano le mani dopo aver mangiato. Sono davvero come asini vaganti."  

*L'impurità rituale è la condizione di chi ha emesso lo sperma. Le parole dell'arabo possono tradursi con "dopo aver copulato"

Non mi stancherò mai di ripeterlo: non si può conoscere davvero un popolo se non si sa nulla dei metodi che utilizzava per la pulizia del buco del culo. Gli Arabi criticavano i civilissimi Cinesi perché si pulivano l'ano usando soltanto la carta, senza detergersi con l'acqua. Avrebbero ritenuto "incivili" anche Socrate e Platone, che al pari dei Vichinghi usavano sassi lisci o muschio per asportare ogni traccia di escrementi dallo sfintere anale. Quanto riportato da Ibn Fadlan non è in contraddizione con ciò che scrivevano gli autori anglosassoni, che dall'alto della loro sozzura criticavano i Danesi perché si lavavano troppo spesso e si cambiavano con solerzia le vesti. Infatti il bagno turco risolveva i problemi: era un ottimo rimedio quando ci si sentiva laidi. Anche se queste pratiche igieniche dei Vichinghi erano ammirevoli per l'epoca, sono comunque ben distanti dagli standard attuali.   

 
Il coprolito di York 
 
Dell'attività defecatoria dei Vichinghi abbiamo qualche traccia tangibile e indagabile tramite il rigoroso metodo scientifico. Il reperto più significativo è senza dubbio il coprolito di York (Contea del North Yorkshire, Inghilterra), noto anche come Lloyds Bank coprolite, che è preziosissimo e vale come i Gioielli della Corona! Moltissime sono le pagine nel Web dedicate a questo oggetto assolutamente eccezionale, che è stato studiato a fondo dal paleoscatologo Andrew Jones. Eccone una:  


Non ci sono dubbi, è un vero e proprio record. Il più grande escremento umano di cui si abbia finora notizia è stato deposto da un glorioso vichingo e si è fossilizzato! Si tratta di uno stronzo colossale, lasciato nel IX in quello che all'epoca era il Regno di Jórvík; ha subìto un processo di mineralizzazione, giungendo fino ai nostri giorni. Lungo 20 centimetri e largo 5, è stato scoperto nel corso dei lavori di costruzione di una sede bancaria dei Lloyds. In pratica ha le dimensioni di un maestoso cazzone eretto! Dalle analisi si sono potute dedurre informazioni di grande utilità. Il guerriero che ha deposto questo prodigioso escremento si cibava principalmente di carne e di pane. Inotre era afflitto da una parassitosi: chiare evidenze delle uova del nematode Trichuris trichiura sono state trovate nel materiale fossile. Questo sgradevole verme infesta l'intestino crasso e si nutre del sangue dell'ospite tramite lo stiletto boccale; le sue uova fecondate, presenti nella materia fecale, sopravvvivono a lungo nell'ambiente. Si trovano questi pericolosi patogeni nel suolo dei paesi in cui la gente è abituata a smerdare all'aperto. I bambini, che sono coprofagi per inclinazione naturale, si portano alla bocca il terriccio contaminato e diventano un importante serbatoio dell'infezione. Non bisogna mai avere nostalgia delle epoche passate: erano piene zeppe di orrori per noi difficili anche solo a immaginarsi. Tra l'altro sembra che l'espulsione dell'immenso stronzo non sia stata molto agevole. In altre parole, è stato un vero e proprio travaglio anale! Devo anche riportare un episodio spiacevole. L'inestimabile reperto, esposto al Centro di Archeologia della città di York, nel 2003 si ruppe in tre pezzi a causa dell'incauta manipolazione da parte di alcuni bulli. Per fortuna gli archeologi sono stati in grado di ripararlo usando il Super Attak, così rifulge di nuovo in tutto il suo splendore!
 
I Vichinghi e scorregge
 
Nell'antica Scandinavia e nelle sue colonie che ne sono nate si credeva che fare peti fosse un segno di evidente salute. Tutti, uomini e donne, dovevano emettere flatulenze per mostrare che stavano bene, che non avevano problemi. L'emissione dei peti, anche di quelli più osceni e sulfurei, era assolutamente libera. Le mogli scorreggiavano beate davanti ai mariti. I mariti scorreggiavano senza freni davanti alle mogli. I peti divertivano, erano una parte importantissima della socialità. Erano considerati interessanti sia per il suono che per l'odore. In Islanda si tenevano vere e proprie gare di scorregge. Il nome norreno della scorreggia è vindgangr, che alla lettera significa "ventosità" (da vindr "vento"). Credo che questo sia un caso molto interessante, in cui una parola chiaramente tabuistica descrive un atto non reputato tabù. Riportiamo infine qualche significativo aneddoto su un personaggio assai bizzarro. Un arciere norvegese, Einar Thambarskelfir, era famosissimo perché era in grado di imitare il rumore del tuono! Durante la battaglia di Svölder, il Re Olaf Tryggvason udì un rumore spaventoso, come se un terremoto si stesse scatenando in tutta la sua potenza. Così chiese a Einar Thambarskelfir, che gli stava vicino, cosa fosse quel fragore immane. Così gli rispose lo scorreggione, con tagliente sarcasmo: "È la Norvegia, Sire, che si sta rompendo tra le vostre mani!"