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mercoledì 20 febbraio 2019


L'UOMO LASER

Titolo originale: Laserblast
Anno: 1978
Paese: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Durata: 80 min
Genere: Fantascienza
Regia: Michael Rae
Produttore: Charles Band
Sceneggiatura: Frank Ray Perilli, Franne Schacht
Fotografia: Terry Bowen
Musiche: Richard Band, Joel Goldsmith
Curato da: Jodie Copelan
Compagnia di produzione: Irwin Yablans Company
Distribuito da: Irwin Yablans Company
Interpreti e personaggi
    Kim Milford: Billy Duncan
    Cheryl Smith: Kathy Farley
    Gianni Russo: Tony Craig
    Roddy McDowell: Dottor Mellon
    Keenan Wynn: Colonnello Farley
    Dennis Burkley: Deputato Pete Ungar 
    Barry Cutler: Deputato Jesse Jeep
    Mike Bobenko: Chuck Boran
    Eddie Deezen: Froggy
    Ron Masak: Sceriffo
    Rick Walters: Mike London
    Joanna Lipari: Franny Walton
    Wendy Wernli: Carolyn Spicer
    Steve Neill: Alieno umanoide

Trama:
Un'astronave aliena è guidata da alcuni giganteschi lucertoloni bipedi e microcefali, la cui coda è poco più che un moncherino. Questi esseri dalla pelle floscia, che ricordano un po' delle tartarughe senza guscio, parlottano in una strana lingua cinguettante: "Quippa, quippa! Weppa, weppa!"; a volte le loro vocalizzazioni hanno una sonorità quasi umana, tanto che sembra di udire parole come "whosgoing", "aswee", "itchmo", "bimbo". In uno sperduto recesso del deserto della California, essi hanno uno scontro armato con un umanoide ostile e riescono a disintegrarlo, quindi ripartono verso le profondità siderali. A un certo punto si rendono conto di aver dimenticato nel deserto una specie di cannone laser, appartenuto all'umanoide da loro ucciso. Un'arma che a quanto pare deve essere molto costoso produrre. Già si stavano allontanando verso lo spazio esterno, quando il loro capo, stizzito, li contatta al teleschermo e ordina di invertire la rotta verso la Terra: essendo avidissimo e più avaro di Shylock, non può permettere che una risorsa tanto preziosa sia abbandonata su un pianeta come il nostro, tanto simile a un deretano merdoso dell'Universo. A questo punto l'arma laser è stata trovata da Billy Duncan, un giovanotto biondo coi capelli a caschetto, che la prende con sé, assieme a una misteriosa collana metallica fatta di un materiale alieno. Presto il ragazzo impara a sparare e provoca grandi incendi. Capisce che quello strumento di morte gli può permettere di vendicarsi dei torti subìti da una compagnia di energumeni che molestavano le ragazze, così dà fuoco alle loro auto, oltre che di sfogare la sua rabbia contro una società ingiusta. Ogni volta che qualcuna gli nega un pompino, tutto va a fuoco, la notte arde di sinistri bagliori. Tutto sembra procedere a meraviglia. "Presto sarò il padrone del mondo", pensa, "e nessuna potrà dirmi di no. Tutte dovranno piegarsi alle mie voglie e lapparmi!" Qualcosa però va storto, come spesso accade in questo Cosmo governato dall'entropia. Cominciano i guai. Oltre a non ottenere quanto desiderato, il povero Billy Duncan subisce trasformazioni inquietanti. L'amuleto extraterrestre dà segnali di vita propria e sprofonda lentamente nella carne del torace del ragazzo, fino ad esserne incorporato. L'arma si salda al braccio e i lineamenti facciali mostrano segni preoccupanti di mutamento: il volto si distorce, cambiano gli occhi, iniettati di sangue, la cui pupilla diventa verticale come quella di una vipera. I denti diventano affilati. In altre parole, lo sprovveduto biondiccio si trasforma in un feroce Rettiliano! La sua furia porta devastazione ovunque. Col micidiale laser incendia tutto e tutti senza motivo. Alla fine la nave dei lucertoloni microcefali cinguettanti fa la sua irruzione dal cielo. Gli extraterrestri non perdono tempo: fulminano il protagonista, riprendendosi l'arma tanto costosa. Non c'è più nulla da fare. Una ragazza bionda, la bella Kathy, arriva e piange sul corpo dell'amico estinto. Tardive e vane lacrime di coccodrillo: i pompini avrebbe dovuto farglieli quando era in vita!



Recensione:  
Tutto sommato è un film di una pochezza disarmante. Certo, può essere divertente e leggero, utile giusto per rilassarsi sul divano con gli amici, mentre i postumi di una massacrante settimana lavorativa fanno sprofondare in uno stato simile al coma. Anche perché le sole scene interessanti sono quelle in cui compaiono i lucertoloni cinguettanti, che stupiscono con la loro tecnologia pupazzesca. Trovo invece soporifere le scene con i poliziotti pieni zeppi di erba e mezzi ubriachi. C'è poi la vita mondana dei ragazzi californiani, che si svolge attorno alla piscina e in costume da bagno: è qualcosa che sederebbe un mandrillo in calore. Solo al pensiero sento che le palpebre mi si chiudono e che Morfeo mi reclama. Per fortuna ogni tanto sono stato risvagliato dal mio stato comatoso da esplosioni improvvise seguite da spaventose vampate di fuoco, in cui le automobili dei bulli si consumavano. La satira a sprazzi possiede la pellicola, come una forza occulta. Così lo psicopatico Billy Duncan, che somiglia un po' a Luke Skywalker (e a Nino D'Angelo!), a un certo punto colpisce ripetutamente un cartellone pubblicitario di Guerre Stellari servendosi del suo prodigioso cannone alieno. Un cartellone stranamente spoglio, solo la scritta "Star Wars" su sfondo giallognolo, credo per una stupidissima questione di diritti d'autore. Eppure sono convinto che il nostro Uomo-Laser non sarà dimenticato tanto facilmente. Proprio perché mostra una bassissima densità ontologica, ha maggiori probabilità di sopravvivere all'usura del tempo. Già me lo vedo riapparire dalle spelonche dell'Oblio tra qualche decennio, facendo capolino come un minuscolo geco da un angusto anfratto, quando ormai la Noosfera umana si starà avviando al collasso di fronte al Cavallo Pallido e alle Orde di Thanatos. 

Altre recensioni e reazioni nel Web

Sul sito Comingsoon.it è riportato un commento non certo eulogistico: 


"Uno dei film di fantascienza più ridicoli e noiosi degli ultimi anni. Gli effetti speciali danno l'impressione di un modesto teatro di marionette e il ritmo è lento fino all'esasperazione. (Francesco Mininni, Magazine italiano tv) Scarsamente originale, sceneggiato con povertà di idee e con troppe ripetizioni degli effetti più banali, interpretato dilettantisticamente, il dramma tocca più volte il ridicolo proprio nelle parti fantascientifiche che avrebbero dovuto sfruttare il pezzo forte." 

Oltremodo divertente la recensione di Marchiño, comparsa su Filmbrutti.it


Definito "lungometraggio noiosissimo", il film viene consigliato "agli amanti delle tartarughe". Questo estratto è sublime: 

"Memorabile è la scena in cui i due lucertoloidi ricevono istruzioni dal loro capo direttamente sullo schermo della loro astronave: il groviglio di gesti scattosi e gli pseudo-ululati dei tre conferiscono alla conversazione una dimensione quasi lisergica (ed oltremodo esilarante)." 

Lui li sente come ululati, io come un grottesco cinguettio. Ne sono sicuro: un giorno verrà un esorciccio a dichiarare che i versi di quegli alieni, se ascoltati al contrario, coincidono col nome di Satana! 

Notevole è anche la recensione di Haranban, pubblicata nel suo blog di Blogspot, Quello che gli altri non vedono:


La sua analisi è rigorosa, tanto che contiene persino un dettagliato fact checking, articolato in più punti esposti con la massima razionalità. Al termine di questa serrata disamina, il film di Rae, già definito "abominio", viene etichettato come "una VERA MERDA, dunque, dimenticabile e che non vale la pena di essere guardata"

Controcorrente e nettamente positivo è invece il giudizio formulato sul sito Mymovies.it da Fabian T.:


"L’uomo laser” (Laserblast) è il B-Movie di uno sconosciuto Michael Rae ambientato in una regione desertica della California che diviene lo scenario di una stravagante storia di fantascienza. Uscito da qualche mese in DVD per la prima volta, almeno in Italia, ostenta senza mezzi termini la sua sobria produzione “underground”, procedendo in una narrazione tanto poco usuale quanto libera e scanzonata, seppur lineare nel suo evolversi. La storia del ritrovamento di un'arma aliena che, finendo in mano a un semplice ragazzo come tanti, può trasformare se stessi in un orrendo mostro assassino è infatti l'idea semplice ma efficace che funge da colonna portante per tutta la durata del film." 

E ancora:

"Sebbene già da subito si intuisca la povertà di mezzi con cui purtroppo il regista ha dovuto (o voluto) realizzare il film, "L'uomo laser" brilla in realtà di una propria intrinseca qualità, ossia il soggetto interessante, anzitutto, rappresentato con ambientazioni e situazioni indubbiamente suggestive: la metafora è chiara e il finale non può che essere prevedibile nella sua inevitabilità. Il film possiede anche altre caratteristiche non sempre ravvisabili in produzioni simili che godono di un budget maggiore: affascinanti effetti speciali (compresa la "stop motion" per gli alieni), attori sconosciuti ma spontanei (a eccezione del noto Roddy McDowell che interpreta il Dott. Mellon), musiche dignitose, scenari desolanti, arma ed effetti laser molto ben realizzati." 

Questa è la sorprendente conclusione:

"Rimane pertanto un lodevole esempio di fantascienza artigianale che, nonostante gli anni, sa raccontarsi con un certo fascino e mistero." 

Quando leggo questo genere di cose rimango sempre allibito, ho come l'impressione di aver visto un altro film! 

giovedì 24 gennaio 2019

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE LINGUE IMPOSSIBILI: IL CASO DELL'EBRAICO BIBLICO

Nella sua utile e bella guida all'ebraico biblico, intitolata Lo stato costrutto ebraico - La costruzione ebraica del genitivo, Gianni Montefameglio spiega come funziona il complemento di possesso in quell'antica lingua. Il documento può essere consultato sul sito www.biblista.it e scaricato in formato .pdf al seguente url:


Premetto questo: per semplicità utilizzo la scrittura ebraica non vocalizzata, fornendo al contempo una trascrizione semplificata. Veniamo al dunque. Il nome del possessore si trova nello stato assoluto e porta l'articolo determinativo ה, ha-. Il nome della cosa posseduta lo precede, spesso è in forma ridotta foneticamente e non prende mai l'articolo. 

Così da עמק, ʻemeq "valle" e da מלך, melekh "re" abbiamo: 
עמק המלך, ʻemeq ha-melekh "la valle del re". 

Come ci viene detto, è sempre possibile sostituire il nome allo stato costrutto con una coppia di nomi in stato costrutto, tramite quello che è un bell'esempio di meccanismo di ricorsività possessiva. Così possiamo dire: 

עמק בן־המלך, ʻemeq ben ha-melekh "la valle del figlio del re". 

Volendo si può procedere oltre. Sarebbe possibilissimo coniare una frase come questa: 

דבש עמק בן־המלך, devash ʻemeq ben ha-melekh "il miele della valle del figlio del re"

Oppure, perché no, addirittura questa:

םתיקות דבש עמק בן־המלך, metiqut devash ʻemeq ben ha-melekh "la dolcezza del miele della valle del figlio del re". 

Bene, sappiamo che Noam Chomsky andrebbe in sollucchero studiandosi questi particolari, perché riterrebbe che la ricorsività possessiva della lingua dell'Antico Testamento sia una prova capitale della teorie della grammatica generativa. Esiste una sola Lingua Umana, archetipo platonico, emanazione dell'Uno: questo egli sostiene. Tutte le lingue parlate da qualsiasi gruppo umano manifestatosi nella Storia non sono che casi particolari dell'unica Lingua soggiacente. Questa Lingua archetipica è caratterizzata dal meccanismo della ricorsività, che rende possibile applicare una regola linguistica al risultato di una sua precedente applicazione. Se quella che è ritenuta la Prima Lingua, la lingua del Popolo Eletto, gioca tanto bene con la ricorsività, significa dunque che tale caratteristica è l'impronta stessa del Logos, che permea l'intera Creazione di Dio e la rende possibile. Mai entusiasmo potrebbe dirsi più fallace!

Ricordo don M., che era un uomo di dura cervice, oltre che smisuratamente vanitoso. Non aveva tratto gran profitto dai suoi studi in seminario, così il vescovo gli aveva raccomandato di seguire un corso di ebraico biblico. In realtà glielo aveva imposto (anche in un'altra occasione aveva fatto ricorso a misure coercitive, per far sì che il prete facesse uso di un inglese decente). Mi trovavo in Inghilterra, in quel di Brighton, ed ero ospite di una famiglia di tradizioni cockney assieme a don M. In quell'occasione, vidi che l'ecclesiastico teneva spesso in mano una grammatica della lingua ebraica e che aveva sulla scrivania una copia della Bibbia in tale lingua. Così ebbe a dirmi che stava facendo grandi progressi nell'imparare l'ebraico. "È una lingua primitiva di un popolo primitivo, anzi, primordiale", mi spiegò, "Quindi è di una semplicità estrema. È elementare, può esprimere soltanto concetti terra a terra." In pratica una lingua di ominidi. Queste affermazioni mi lasciarono basito. Ben sapevo che don M. stava dicendo spaventose stronzate, come del resto era suo costume. Il suo pensiero era una mistura di ignoranza, di antisemitismo e di pregiudizi medievali sull'ebraico come lingua adamitica - quindi infantile, priva di qualsiasi mezzo per esprimere pensieri elevati, da contrapporsi alla natura arzigogolata del latino. 

Questi concetti non sono poi così estranei al mondo accademico. Prendiamo ad esempio l'ottima Grammatica elementare dell'ebraico biblico, ad uso degli studenti dell'Istituto Superiore di Scienze Religiose di Genova (è l'Istituto Superiore ad essere di Genova, non le Scienze Religiose...). Si può consultare e scaricare liberamente al seguente link:


Ebbene, a pagina 3 troviamo questo sunto: 

L’Ebraico è una lingua relativamente facile:
– il verbo, che ha solo due tempi, non ha nulla della complessità del verbo greco;
– il nome non ha declinazione;
– il vocabolario è relativamente povero;
– la sintassi è semplice e piana, ama mettere in fila le sue proposizioni coordinandole con una semplicità che potremmo dire infantile: è la “paratassi” ebraica.


Avremo modo di mostrare quanto queste tesi siano ingannevoli. 

Sappiamo che l'ebraico biblico non è la Prima Lingua del genere umano. Si tratta di una lingua derivata come tutte le altre. Nello specifico, è un idioma cananeo, proprio come il fenicio e l'ugaritico. C'è chi accusa queste lingue semitiche di non essere complesse dal punto di vista sintattico? E chi l'ha detto che la sintassi ipercomplessa sia un vantaggio? Possiamo facilmente mostrare che l'ebraico biblico è una lingua sobria. Si tratta di una caratteristica che deve essere vista come un pregio, non come un difetto. 

Fornisco il link al capitolo secondo della Encyclopedia of Hebrew Language and Linguistics, che tratta della sintassi: 


Innanzitutto faccio notare che nei testi in lingua inglese la definizione di paratassi e di ipotassi è un po' diversa da quella usata in Italia. Noi riteniamo pertinente all'ipotassi ogni proposizione subordinata, non le coordinate, che sono invece pertinenti alla paratassi. Per gli anglosassoni, basta l'uso di una congiunzione come "and", "or" o simili per far sì che si parli di ipotassi. Riporto in questa sede tre esempi presi dal documento di cui sopra, ma in scrittura non vocalizzata, usando una trascrizione meno precisa ma più comprensibile ai lettori:

ותרא האשה כי טוב העץ למאכל, wa-tere ha-'isha ki tov haets le-ma'akhal "e la donna vide che l'albero era buono come cibo." 

כי עשית זות אתה מכל־הבהמה ומכל חיתתהשדה, ki ʻasita zot 'arur 'atta mi-kal-ha-behema u-mi-kol khayyat ha-sade "perché hai fatto questo, sei più maledetto di ogni animale, domestico o selvatico."

וישלחהו יהוה אלהים מגן־עדן לעבד את־האדמה, wa-yshallekhehu YHWH 'elohim mi-gan ʻeden laʻavod et ha'-adama "e Dio YHWH lo cacciò fuori dal gardino dell'Eden affinché lavorasse la terra."

Possiamo dire con certezza che non era ritenuto necessario applicare più di una volta i meccanismi ricorsivi di incorporazione di proposizioni subordinate, o coordinare un'infinità di proposizioni dello stesso livello della principale. Un singolo livello di ricorsività era più che sufficiente in caso di subordinazione. Si può dire che Dio cacciò Adamo dall'Eden perché coltivasse la terra. Non si può dire che Dio cacciò Adamo dall'Eden perché coltivasse quella terra che era ricchissima di argilla e priva di palmizi, diversamente dalle valli che sarebbero poi state date al primo principe del paese di Sodoma e Gomorra, divenute sterili dopo che la collera divina si fu abbattuta sulla zona, permettendo la sola fuga di Lot, che fu sedotto dalle proprie figlie dopo che bevve con avidità l'abbondante vino da loro elargitogli. Non si può dire, proprio perché non serve dirlo. A che scopo condensare un intero racconto in una lunghissima e inutile catena verbale? Lasciamo questi esercizi a Pdor figlio di Kmer! 

Prendiamo adesso le stringate frasi tratte dall'Antico Testamento, in tutta la loro essenziale chiarezza, e confrontiamole con alcuni brani del filosofo Peter Sloterdijk, ricchissimi di strutture ipotattiche, al punto da non risultare ben comprensibili. Ecco un estratto da Il quinto Vangelo di Nietzsche (2015): 

La famosa frase «l'uomo è l'auto-sperimentazione di se stessi» che tanto spaventa i sapienti moderni come quel noto cardinale di Milano che si è giocato di recente l’ultimo conclave, non è semplicista negazione di ogni contatto con Dio in nome dell’autosperimentazione umana fine a se stessa, altrimenti non si capirebbe nulla di cristianesimo così come degli almeno milleseicento anni post Christum che generarono la più robusta riforma dell’uomo dai padri della Chiesa fino agli albori dei tempi moderni. E lo stesso machiavellismo che Nietzsche esalta come il fenomeno decisivo del Rinascimento, non dovrebbe essere liquidato senza notare che tali entità nietzscheane furono date per l’elevazione dell’uomo dal fondo abrasivo, putrido, melmoso e ipocrita che aveva toccato e che lo fagocitava con forme di schiavitù e di male sempre più pervasive che furono effettivamente considerate ne II Capitale di Marx (altro famoso discepolo se non di Cristo almeno dell’intero arco che va da Cristo alla nascita della borghesia), il cui libro, che già aveva anticipato le idee di questa opera fondamentale per il socialismo politico e non purtroppo per il socialismo etico, Per la Critica dell’economia politica, apparve simultaneamente all’opera principale di Darwin. Tale è la genealogia di Nietzsche, che da qui in poi possiamo legittimamente definire “il quinto evangelista”.

Secondo voi questo è vero progresso? Quando sono arrivato a "il quinto evangelista" del finale, già avevo del tutto dimenticato l'inizio con "La famosa frase" e tutto quanto sta in mezzo, sentendomi un minus habens, quasi una moderna sottospecie di Homo erectus o di Australopithecus afarensis sprovvisto dell'area di Broca! Sono forse un ingenuo adamita? No, è in Sloterdijk, magnifico rettore mefistofelico, che c'è qualcosa che non va. Intanto confermiamo la natura pseudoscientifica della grammatica generativa chomskiana.

domenica 20 gennaio 2019

ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE LINGUE IMPOSSIBILI: IL CASO DELL'ITALIANO

Noam Chomsky, ritenuto uno dei massimi intellettuali viventi, è il fondatore della teoria della grammatica generativa. Egli opera secondo la convinzione indefettibile dell'esistenza di uno schema platonico immanente nel cervello umano, che plasma le strutture del linguaggio - al punto che, secondo tale dottrina plotiniana, tutte le lingue del mondo possono essere ritenute emanazioni di un singolo archetipo emanante dall'Uno: la Lingua Umana. In altre parole, se il latino è così diverso dal cinese, se il tedesco è così diverso dal turco, è soltanto perché i diversi parlanti usano etichette di aspetto dissimile per descrivere le stesse identiche cose. La discrepanza tra gli idiomi viene così ad essere classificata come un mero accidente, una bazzecola, una bagatella. Un punto nero dovuto alla pervicace e colpevole lontananza di Homo sapiens dall'Uno, sorgente di ogni perfezione. Secondo lo studioso ashkenazita, idolatrato dai radical chic e dai democratici del mondo intero, un pilastro della grammatica generativa, assolutamente irrinunciabile, è la natura ricorsiva della Lingua Umana, e di conseguenza di tutte le sue manifestazioni concrete nel corso della Storia. Vediamo di spiegare meglio questo cruciale concetto.  

Questo è riportato su Wikipedia in italiano alla pagina Ricorsività (linguistica)

La ricorsività in linguistica è il fenomeno per cui una regola linguistica può essere applicata al risultato di una sua stessa precedente applicazione. La semiotica distingue tra codici ricorsivi e non. Così, i codici animali (ad esempio, la danza delle api) non possono essere ricorsivi, mentre le lingue naturali (e i codici matematici) sì.

Questa proprietà di alcune regole è in linguistica legata ad esempio all'uso delle proposizioni relative. Così, nella frase

    Marco accarezza il cane.

i nomi "Marco" o "cane" possono essere sostituiti da una porzione di enunciato composta da uno dei due nomi e da una relativa: 

    Marco, che ben conosci, accarezza il cane.

E poi ancora:

    Marco, che ben conosci, accarezza il cane, che scodinzola davanti al portone. 

Infine:

    Marco, che ben conosci, accarezza il cane, che scodinzola davanti al portone, che è chiuso.

Come si vede, le subordinate possono agganciarsi a segmenti che sono essi stessi subordinati alla reggente "Marco accarezza il cane". Tale processo potrebbe continuare all'infinito.

Il linguista italiano Andrea Moro approfondisce il concetto a prima vista paradossale di "lingua impossibile", da lui concepita come lingua non ricorsiva. Infatti ha scritto due volumi sull'argomento, in verità non eccessivamente ponderosi: I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili (2015) e Le lingue impossibili (2017).
Va da sé che quando uno studioso fa propria la dottrina plotiniana di Chomsky e diviene un alfiere dell'Assoluto costituito dalla Lingua Umana, è tenuto a propugnare l'inesistenza di qualsiasi risultato di un'osservazione che possa portare ad inficiare la teologia dell'Uno riverberante nell'Universo. Questa è la deduzione di Moro: se la Lingua Umana è ricorsiva, ne consegue che tutte le lingue umane sono per necessità ricorsive, dunque le lingue impossibili sono tutte e sole le lingue che non possiedono la ricorsività. 


Mi spiace togliere Cristo dalla croce al neoplatonico Noam Chomsky e al suo gonfaloniere Andrea Moro, ma il concetto di ricorsività linguistica presenta non poche difficoltà intrinseche. Innanzitutto non è assolutamente vero che è possibile applicare la ricorsività ad libitum, come un'operazione reiterabile un numero infinito di volte. Certo, i grammatici generativi sono i primi a sostenere che la ricorsività presenta limiti pratici, ma de facto questa loro precisazione rimane lettera morta: essi non ne tengono conto in concreto, sostenendo a spada tratta il principio romantico della mente umana infinita, illimitata e senza vincoli di sorta. Lo studio dei casi concreti ci racconta una storia diversa. Moro et alteri citano come un significativo esempio di ricorsività il testo della famosa canzone di Angelo Branduardi, Alla Fiera dell'Est, che si ispira alla tradizione ebraica: 

E infine il Signore, sull'Angelo della Morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò. 

L'originale è un canto pasquale noto come Chad Gadya, ossia "Un Capretto", redatto in una lingua singolare che sembra un misto di ebraico e aramaico. Appartiene al tipo delle canzoni cumulative, in cui una struttura metrica semplice viene modificata tramite aggiunte successive, cosicché ogni verso è più lungo del precedente. Si tratta senza dubbio di una costruzione artificiosa (alcuni direbbero che è una pippologia - cosa senza dubbio un po' irrispettosa - o un gioco escogitato da qualche bell'ingegno per stupire i commmensali). Sfido chiunque a usare simili concatenazioni verbali nel linguaggio di tutti i giorni. Esiste un limite invalicabile all'uso di meccanismi ricorsivi in grado di incassare proposizioni in altre proposizioni o anche soltanto di accostare tra loro diversi segmenti. Dopo un certo numero di iterazioni, un ascoltatore si sente un Neanderthal e perde il filo del discorso, immancabilmente: gli elementi incorporati o saldati in altro modo contribuiscono a formare architetture contorte in modo diabolico, oltre che prive di qualsiasi utilità concettuale.

Non possiamo definire "processo innocuo" l'incassamento o incorporazione di segmenti, come ad esempio frasi subordinate (ipotassi), o la giustapposizione di frasi coordinate (paratassi). Questo modo di enunciare il pensiero umano presenta anzi numerose complicazioni anche interpretative. Spesso sorge il dubbio che la ricorsività spinta sia stata favorita artificialmente dal mondo scolastico e che non sia poi qualcosa di così innato e naturale come i chomskiani vorrebbero. Grammatica universale dell'unica Lingua Umana? Ma anche no. Prova ne sia un fatto scomodo: non poche persone inciampano nel meccanismo ricorsivo e producono frasi senza senso. La sorgente del linguaggio di Homo sapiens sarà anche pura e cristallina, ma la sua estrinsecazione reale non somiglia affatto a un abisso senza fondo, in cui possono essere travasati interi oceani a proprio piacimento; somiglia piuttosto all'uretra di un uomo venereo affetto da gonorrea, che diviene angusta e piena di cavernule - o a un intestino colpito dal morbo di Crohn, in cui abbondano occlusioni e diverticoli, con tratti in necrosi e altre similari amenità.  

Non è necessario incassare frasi oltremodo elaborate per generare assurdità marchiane: bastano anche elementi meno complessi. Può essere ambigua la ricorsività aggettivale (quella di segmenti come "una bella, grande e accogliente dimora"). Altrettanto ambigua può rivelarsi la ricorsività possessiva (quella di segmenti come "il pelo del cavallo della figlia del barone"). Del resto i chomskiani considerano una manifestazione di ricorsività linguistica già la semplice applicazione dell'operatore logico denominato merge, ossia in pratica la stessa giustapposizione di due parole in una frase semplice del tipo soggetto + verbo (es. "i cadaveri puzzano"). Fanno questo per togliersi dalle ovvie difficoltà del caso, potendo esistere combinazioni di ricorsività di diversi tipi, che generano problemi senza fine e che non sono universali nel complesso panorama delle lingue umane.

Fornisco alcuni semplici esempi di ambiguità meritevoli di essere commentati, tratti dalla lingua italiana. Il primo proviene dal linguaggio disarticolato dei giornalisti: 

L'uomo era stato arrestato per aver compiuto la truffa su ordine della magistratura di Siracusa. 

Con tutto il rispetto, a leggere il titolo sembra che sia stata la magistratura di Siracusa ad aver ordinato all'uomo di compiere la truffa! Questo non è un modo corretto di fare informazione.

Il giornalista strutturava così la frase: 

<L'uomo era stato arrestato> [per aver compiuto la truffa] <su ordine della magistratura di Siracusa>. 

Credeva che fosse evidente riferire il segmento <su ordine della magistratura di Siracusa> alla proposizione principale <l'uomo era stato arrestato>. Cosa ho invece inteso io quando ho sentito l'annuncio? Questo: 

<L'uomo era stato arrestato> [per aver compiuto la truffa su ordine della magistratura di Siracusa]. 

In questo caso, su ordine della magistratura di Siracusa si riferisce alla truffa! Nel mio cervello si è mosso all'istante il comando dell'esilarazione: mi sono messo a ridere per una buona mezz'ora.

L'ambiguità si risolve facilmente riformulando la frase in questo modo:

L'uomo era stato arrestato su ordine della magistratura di Siracusa per aver compiuto la truffa.  

Certo, in questo caso c'è un po' troppa distanza tra il verbo era stato arrestato e il segmento per aver compiuto la truffa, che descrive la causa dell'azione.  

Passiamo a un secondo esempio, anch'esso proveniente dal linguaggio destrutturato dei giornalisti: 

Il cadavere è stato trovato nell'appartamento in avanzato stato di decomposizione.  

Il giornalista avrebbe potuto evitare di farmi esplodere in un accesso di riso convulso, semplicemente annunciando: 

Il cadavere in avanzato stato di decomposizione è stato trovato nell'appartamento. 

Naturalmente, ogni individuo con capacità mentali nella norma sa che a decomporsi sono i cadaveri, non gli appartamenti. Possiamo anche formulare: 

Il cadavere è stato trovato in avanzato stato di decomposizione nell'appartamento. 

Però così facendo rimane un'ambiguità residua, dato che si potrebbe pensare di raggruppare in avanzato stato (di decomposizione nell'appartamento) anziché (in avanzato stato di decomposizione) nell'appartamento. In questo caso, il cadavere avrebbe potuto essere anche trovato in un parco pubblico, a patto che fosse giunto a un avanzato stato di decomposizione mentre si trovava in un appartamento. Ancora una volta, soltanto il buon senso riesce a risolvere il problema. 

Il tema della decomposizione dei cadaveri ha prodotto frasi giornalistiche anche più ambigue. Questa, per esempio:

Una donna di 48 anni con patologie psichiatriche gravi è rimasta chiusa in casa con il cadavere del padre morto da un circa mese in totale stato di decomposizione. 

Il padre della donna è morto in totale stato di decomposizione? Oppure è il mese ad essere in tali poco augurabili condizioni? 

Le cose si fanno ancor più grottesche quando entrano in gioco le mirabili proprietà degli aggettivi. Anche un semplice aggettivo può infatti essere problematico, visto che i giornalisti hanno la brutta tendenza di farlo migrare a proprio piacimento all'interno della frase. Prendiamo questo esempio: 

Il marito cornuto della contessa le ha ucciso l'amante. 

Naturalmente non si può dire:

Il marito della contessa cornuto le ha ucciso l'amante. 

Ci sono diverse soluzioni. La prima è usare una diversa intonazione (in cui sia amante che cornuto hanno il pieno accento sulle loro sillabe toniche), marcata nella grafia dall'uso della virgola: 

Il marito della contessa, cornuto, le ha ucciso l'amante. 

Altrimenti, se contessa cornuto fosse un tutt'uno fonetico in cui l'accento principale cade su cornuto, saremmo costretti a interpretare così: 

Il marito della contessa Cornuto le ha ucciso l'amante.

In tal caso, Cornuto sarebbe proprio il cognome della contessa fedifraga. 

In ultimo, un giornalista abbastanza creativo potrebbe pensare di migrare lo scomodo aggettivo cornuto alla fine della proposizione. In tal caso avremmo: 

Il marito della contessa le ha ucciso l'amante cornuto. 

Ciò non avrebbe il benché minimo senso, perché da che mondo è mondo sono i mariti a essere resi cornuti dalle mogli che si fanno l'amante, non gli amanti ad essere resi cornuti dal sesso fatto dalle mogli coi propri mariti, ritenuto legittimo dalle religioni e dalle leggi del mondo. E se la contessa avesse avuto un secondo amante? Beh, in tal caso l'amante ucciso avrebbe avuto le corna a causa del rivale. Tuttavia non si capisce perché il consorte della nobildonna ninfomane non abbia ucciso entrambi gli amanti, accanendosi anzi sul più sfortunato.  

Letto sul Corriere della Sera

Erdoğan porta in spalla la bara di un suo amico ucciso durante i funerali delle vittime del golpe. 

Che significa? Che l'amico è stato ucciso durante i funerali? Il giornalista voleva dire che Erdoğan ha portato in spalla la bara dell'amico durante i funerali in questione. Il termine "ucciso", riferito alle circostanze della morte dell'amico di Erdoğan, genera tuttavia una grave ambiguità. Infatti è possibile interpretare così:

<Erdoğan porta in spalla la bara di un suo amico> [ucciso durante i funerali delle vittime del golpe].

Vediamo che si comprende qualcosa di errato, ossia si è indotti a pensare che l'uccisione dell'amico di Erdoğan sia avvenuta durante i funerali delle vittime del golpe, e che lo statista turco possa aver portato in spalla la bara dell'amico in una diversa occasione. Ad esempio durante una conferenza stampa.

Anche le etichette più semplici, se male usate, provocano paradossi. Basti pensare a queste frasi:

Trovata cura per tumore al seno non metastatico.
In aumento i casi di tumore al pancreas metastatico.


Certo, è chiaro che "metastatico" e "non metastatico" sono etichette riferite alla neoplasia, non alla parte del corpo colpita. Eppure il cervello tenta di fare l'associazione a prima vista più improbabile, analizzando le frasi in questo modo:

<Trovata cura per tumore> [al seno non metastatico].
<In aumento i casi di tumore> [al pancreas metastatico].


Avremmo dunque a che fare con un "seno non metastatico" e con un "pancreas metastatico", il che è del tutto fuorviante, anche se logicamente ben fondato. Ancora una volta possiamo porci una domanda: era poi così difficile enunciare il concetto con frasi non ambigue? Eccole:

Trovata cura per tumore non metastatico al seno.
In aumento i casi di tumore metastatico al pancreas.  


Se uno indagasse a fondo, si perderebbe in un universo grottesco. Una volta mi sono imbattuto in una casetta per uccelli antincendio. Ospita stormi di colibrì che trasportano in minuscoli ditali l'acqua per spegnere gli incendi, seguono i corsi di educazione civica e ripetono all'infinito: "Faccio la mia parte! Ognuno deve fare la sua!"
Ci sono problemi persino con la famosa focaccia di Recco al formaggio. Questo è un breve dialogo tratto da Invasori dallo Spazio di Acciaio, un mio romanzo di fantascienza erotico-satirica, che non è mai stato pubblicato:


- L’uomo assisté all’uccisione del figlio impotente – commentò il Topo, come se stesse leggendo i messaggi che un suggeritore nascosto gli mostrava su uno schermo piatto.
- E come mai il figlio impotente è stato ucciso? – iniziò a cavillare il Cinque Cervelli. Il Topo non rispose utilizzando la logica, ma pronunciò un nuovo paradosso in stile giornalistico. Era prigioniero, non si rendeva conto dell’inconsistenza.
- Ho mangiato una focaccia di Recco al formaggio – disse.
Il Cinque Cervelli obiettò subito: - Quindi sei stato in un luogo che si chiama “Recco al Formaggio” per mangiare una focaccia?
- No, credo che fosse una focaccia condita con formaggio di Recco – specificò il Topo.
- Diamine – esclamò il Cinque Cervelli – Ma potrebbe essere stata anche una focaccia di Recco condita con un formaggio generico, magari non di Recco. Magari gorgonzola.
- Quindi una focaccia al gorgonzola di Recco – concluse il Topo.
- Non si è mai prodotto gorgonzola a Recco – affermò ironico il Cinque Cervelli.


Le conclusioni che possiamo trarre sono a dir poco deprimenti. E pensare che l'italiano è facilitato dalla presenza di uscite aggettivali spesso distinte per genere, che evitano molte ambiguità. Provate a pensare a cosa accadrebbe se si facesse un uso disinvolto di una lingua che non distingue il genere degli aggettivi e che non ha una sintassi rigidissima! Altra conclusione è questa: Moro dovrebbe concludere che l'italiano corrente non è una lingua pienamente ricorsiva, perché produce frasi secondo regole che i parlanti non riescono più a comprendere bene. Certo, potrebbe sempre sostenere, come spesso fanno i chomskiani, che noi siamo programmati per comprendere enunciati ricorsivi, e che non è colpa di nessuno se poi ne produciamo di gravemente difettosi e se il nostro potere di ricorsione linguistica non è infinito. Allora come può sostenere, di fronte a una concreta fallibilità, l'esistenza di un archetipo eterno che nessuno ha mai potuto misurare? Sarebbe come fantasticare di un'isola perfetta fatta di cristallo, descrivendone le coste con grande dettaglio, senza che nessuno possa mai fornire nemmeno la più esile prova della sua esistenza. Se Karl Popper fosse qui, direbbe che i discorsi di Moro e del suo mentore, l'ashkenazita americano, non possono essere falsificati. In realtà potrebbero essere falsificati benissimo, come ho dimostrato. l punto è che non serve a nulla, è come la lotta di Don Chisciotte contro i mulini a vento. Questo perché nel loro idealismo, i grammatici generativi rifiutano di considerare come tale ogni falsificazione delle loro teorie.

Quando Alessandro Manzoni codificò la lingua italiana perché divenisse la lingua del Regno d'Italia, fu sfiorato dal presentimento di sviluppi aberranti? Probabilmente no. Non ebbe neppure un vaghissimo sentore del fatto che le cose sarebbero finite in modo tanto squallido.  La sua lingua, che aveva con tanta cura risciacquato nell'Arno, è stata ridotta a una pseudolingua giornalistica! E cosa direbbe Dante Alighieri se sapesse che secoli dopo la Commedia si sta qui a borbottare di seni non metastatici e di magistrature che ordinano di compiere truffe?

Già quanto ho finora esposto è ricco di indizi assai solidi del fatto che la grammatica generativa di Noam Chomsky non è una teoria dotata di credibile fondamento scientifico; può invece essere ascritta al vasto reame della Pseudoscienza.

venerdì 18 gennaio 2019


LAMENTO DI PORTNOY 

Titolo originale: Portnoy's Complaint
Autore: Philip Roth
Anno: 1969
Lingua originale: Inglese
Genere: Romanzo
Sottogenere: Flusso di coscienza, pseudo-autobiografia,
     propaganda antisemita

1a edizione italiana:
1970
2a edizione italiana:
1989
3a edizione italiana: 2005
Editori:
   Bompiani (1970)
   Einaudi (1989, 2005)
Traduttori:
   Letizia Ciotti Miller (1970)
   Roberto C. Sonaglia (1989, 2005)
Codice ISBN (1989, 2005): 978-88-06-17395-1

Titoli tradotti:
   Tedesco: Portnoys Beschwerden

   Spagnolo: El mal de Portnoy
   Francese: Portnoy et son complexe
   Portoghese: Reclamação de Portnoy
   Catalano: El trastorn de Portnoy
   Russo: Случай Портного
   Polacco: Kompleks Portnoya
   Ceco: Portnoyův komplex
   Croato: Portnoyeva boljka
   Rumeno: Complexul lui Portnoy
   Olandese: Portnoy's klacht 

   Svedese: Portnoys besvär
   Danese: Portnoys genvordigheder 

   Finlandese: Portnoyn tauti
   Estone: Portnoy tõbi
   Ungherese: A Portnoy-kór
   Turco: Pornoy'un feryadı
   Neogreco: Η νόσος του Πορτνόυ
   Neoebraico: מה מעיק על פורטנוי
   Persiano: شکایت پورتنوی


Trama: 
Alexander Portnoy è un giovane ashkenazita, figlio di una famiglia ultraortodossa che abita in uno squallido sobborgo di New York, Newark. I tratti salienti dei suoi genitori sono più insopportabili delle Piaghe d'Egitto, tanto che avrebbero indotto al suicidio persino Giobbe. L'iracondo padre, duramente provato da una stitichezza incallita e incurabile, fa l'assicuratore, faticando come Sisifo per riscuotere le somme dovute da una massa di mandingo illetterati nelle zone più infime della megalopoli. La madre è una mortifera Erinni vendicatrice, una spaventosa Gorgone, un autentico concentrato di ossessione e di iperprotettività, una vera e propria fabbrica di psicosi esiziali. Solo per fare un esempio, tutti i cibi dei Goyim sono da lei etichettati come chazerai, ossia come "porcherie", al punto che persino l'ingestione di un semplice, banale piatto di patatine fritte da parte del ragazzo assume contorni apocalittici. A sentir lei, ingurgitare anche soltanto un boccone di aragosta può portare alla morte, come se il Signore degli Eserciti avesse da perdere una gran quantità di tempo a identificare i trasgressori delle più assurde regole alimentari della cucina kosher, allo scopo di fulminarli.
Nel suo incessante flusso di coscienza, steso sul lettino dello strizzacervelli, il sofferente protagonista non ci risparmia i dettagli più schifosi, abietti e grotteschi di queste esistenze assurde. Essere esposti a una simile mole di aberrazioni farebbe passare la voglia di sopravvivere a chiunque, persino ai più estremi biofili. Quando era piccolo, la madre gli menava il pistolino per farlo orinare meglio. Divenuto adolescente, la madre assumeva con lui atteggiamenti provocanti - quando non era troppo impegnata a massacrarlo e a instillargli sensi di colpa. Si converrà che queste sono cose che renderebbero insano chiunque. Il povero Portnoy, alla ricerca di un impossibile riscatto, escogitava trovate ridicole, come quella di nobilitare il suo cognome in un improbabile Porte-Noir, ossia "Porta Nera" in un fanta-francese sgrammaticato, sperando così di far colpo sulle belle shikse, le ragazze non ebree, di cui sogna giorno e notte le tette; in realtà le deformazioni del suo cognome che meglio lo descrivono sono Portnose, ossia "Portanaso", per via del suo colossale nasone, e Portnoise, ossia "Portarumore", per via del suo continuo lamentarsi di ogni minima cosa, in un rantolo permanente da moribondo.

Dopo numerose vicissitudini, alla fine Portnoy conosce la sua Nemesi proprio nella terra di Israele, in cui sperava invece di trovare la propria redenzione. Rimorchia una statuaria soldatessa bionda e senza troppe difficoltà la porta a letto. Lei vuole essere spaccata in due e arata, ma il membro virile del protagonista fallisce completamente. Impotenza assoluta. Non si rizza! L'infelice Portnoy cerca allora di circuire una robusta fanciulla lentigginosa dai capelli rossi come il fuoco, che somiglia alla madre come una gemella. La vicenda si conclude in un modo assurdo quanto inverecondo, in una bettola, con Portnoy che supplica la ragazza tanto simile a sua madre da giovane, strisciando a quattro zampe e implorandola di poterle leccare la fica. 

Recensione:
Non possono sussistere dubbi in proposito. Lamento di Portnoy è un testo di un antisemitismo violento, viscerale, addirittura streicheriano.
Non credo che Philip Roth se ne sia reso conto quando lo ha scritto. Sono ben consapevole del fatto che lo scrittore ashkenazita è considerato un pilastro della cultura ebraica contemporanea. Eppure Alexander Portnoy non è un personaggio qualunque, non è una semplice caricatura, una macchietta innocua: infatti incarna in ogni dettaglio l'Ebreo della propaganda nazionalsocialista, sia a livello fisico che morale e spirituale. Egli ha tutte le caratteristiche dell'Eterno Ebreo (Der ewige Jude). Tutto in lui è studiato a livello micrometrico per suscitare ripugnanza, esecrazione, disprezzo, rabbia e fantasie omicide. Se il presente romanzo venisse diffuso in modo capillare a vasti strati della popolazione, in Germania come in Italia o in qualsiasi altra nazione dell'Occidente, l'antisemitismo più radicale registrerebbe subito un prodigioso incremento. Il patetico Portnose riuscirebbe di sicuro dove nessun movimento neonazista è finora mai riuscito. L'odio così seminato divamperebbe come un incendio furioso in questa Europa degradata e ingovernabile, fino al punto di scatenare spaventosi pogrom. La lettura di Lamento di Portnoy presenta il rischio di compiere una trasformazione profonda nel lettore incauto, accendendo un odio feroce verso gli ebrei e verso tutto ciò che li riguarda. Si può leggere il Mein Kampf di Adolf Hitler come una testimonianza storica dell'epoca in cui fu scritto, con grande distacco, senza alcun coinvolgimento emotivo: si tratta di un'opera in buona sostanza inattuale. Questo atteggiamento asettico è assolutamente impossibile con il pernicioso libro di Roth. Il meccanismo che scatta è molto semplice. Il lettore sarà portato ad attribuire al Popolo Eletto le cause della propria personale rovina e insignificanza, del proprio fallimento esistenziale, come se il Maligno stesso gli sussurrasse nelle orecchie, soffiando su braci ardenti: "Se sei un fallito è colpa degli ebrei! La famiglia è una loro invenzione!" Nessuno si può dire davvero al sicuro, almeno finché non fa appiglio a un dato di fatto innegabile: non è stato il Popolo di Israele a introdurre nel mondo la famiglia oppressiva. Le madri iperprotettive, proprio come i padri autoritari, predatano di gran lunga qualsiasi contatto dell'Occidente con genti del Medio Oriente. A Roma c'era il pater familias con la patria potestas, tra i Germani c'era il mundio - e dovunque regnava soltanto l'oppressione, in ogni casa, fin dai più remoti tempi della Preistoria. 

Uomini nuovi per tempi nuovi  

Stupisce l'avversione profonda che la fulva ragazza del Kibbutz nutre verso gli ebrei del ghetto. Disprezza la lingua yiddish e tutto ciò che riguarda la Diaspora, dalle battute sul naso grosso al teatro, perché crede che queste cose esprimano una realtà di autodenigrazione e di miseria umana infinita. In netta opposizione al modo di essere del popolo della Diaspora, sembra che le genti dei Kibbutzim rappresentino l'Uomo Nuovo, puro e pieno di idealismo, non toccato dalle abominazioni del mondo. Un Uomo Nuovo che non soltanto è riuscito a riscattarsi dallo stigma della marginalità: in lui si è prodotta una discontinuità essenziale che ha cancellato il passato, lo ha abraso completamente facendolo piombare nell'Oblio: è come se un essere mai concepito prima da mente umana fosse venuto al mondo, senza alcuna relazione con colui che lo ha preceduto, finalmente privo della sudicia invenzione della coscienza. In pratica siamo di fronte a un modello antropologico più simile alla Gioventù Hitleriana che all'humus famigliare degli ashkenaziti di Newark, vegetanti in un microcosmo ristretto e asfittico, separati dal resto del pianeta come se fossero una colonia di alieni. In questo modo Portnose-Portnoise viene guardato con disgusto e quindi addirittura con odio, come se non fosse un essere umano, bensì uno schifoso verme del terriccio, un lombrico. In altre parole, siamo di fronte a un vero e proprio razzismo: gli ebrei antisemiti non sono affatto una rarità - anzi, sono i più virulenti e aggressivi. Gratta un antisemita furioso e nove volte su dieci troverai un ebreo rinnegato che cerca vendetta contro i propri genitori. 

Israele e gli ebrei antisemiti  

Trattando questi spinosi argomenti, subito viene in mente il film The Believer (Henry Bean, 2001), di cui ho pubblicato a suo tempo una recensione in questo stesso portale. Il protagonista, l'antisemita ebreo Daniel Balint, affermava in un'intervista la natura non ebraica di Israele, nazione per cui nutriva una certa ammirazione, in netto contrasto con il proprio odio inestinguibile verso gli ebrei dispersi tra le genti. Un paradosso soltanto apparente: dopo l'occupazione della Palestina - che Theodor Herzl definiva "una terra senza un popolo per un popolo senza terra" - si sono formati gli Israeliani come Popolo Nuovo, in un senso assai simile a quello attribuito dai Nazionalsocialisti tedeschi al vocabolo Volk. Un'entità nazionale possente e fiera, che quindi si è conquistata il riscatto dall'umiliante destino diasporico. Ecco la conversazione tra Danny Balint e il giornalista biondiccio Guy Dianielsen: 

Balint: "Il popolo vero trae il suo genio dalla sua terra. Dal sole, dal mare, dai campi. È così che impara a conoscere bene se stesso. Ma gli ebrei no, gli ebrei non hanno terra."
Danielsen: "Hanno Israele."
Balint: "Ah... non sono ebrei."

Danielsen
: "Certo che lo sono."
Balint: "Osserva bene gli Israeliani. La loro è una società secolarizzata. Non gli serve più l'Ebraismo perché hanno la terra, mentre il vero ebreo è un girovago, è un nomade, non ha radici, non ha nessun legame, perciò universalizza ogni cosa. Non sa piantare un chiodo né arare un campo. L'unica cosa che sa fare è comprare, vendere, investire capitali, manipolare i mercati. Capisci, cose tutte mentali. Lui prende la vita di un popolo, radicato nella terra, e la trasforma in questa cultura cosmopolita, basata sui libri, sui numeri, le idee, capisci, è questa la sua forza. Tu prendi le più grandi menti ebree: Marx, Freud, Einstein. Cosa ci hanno dato? Il comunismo, la sessualità infantile e la bomba atomica. Esattamente in tre secoli, il tempo che hanno impiegato per venire fuori dai ghetti d'Europa, ci hanno strappati da un mondo di ordine e ragione per scaraventarci in un caos fatto di lotta di classe, istinti irrazionali, relatività... dentro un mondo in cui anche l'esistenza stessa della materia è messa in discussione. Perché? Perché l'impulso pù profondo dell'anima ebraica è di tirare il tessuto della vita finché non rimane altro che un filo. Non vogliono nient'altro che il Nulla. Il Nulla senza fine*. 


*Traduzione di Ain Sof. Non ci si aspetterebbe una simile conoscenza da un goy. :)

Genesi di un antisemita  

Harold Portnoy, cugino del protagonista, incorre in un destino beffardo. Atleta poderoso, si innamora di una bellissima shikse polacca, Alice, che fa la majorette e incanta tutti con i suoi numeri. Ovviamente il padre di Harold prova grande stizza per questa relazione e la avversa, così decide di procedere con la massima viltà. Contatta Alice e confidandole che il fidanzato è affetto da una terribile malattia genetica che non gli permette di avere figli. Non contento, il vecchio Moshe Süss corrompe la giovane polacca offrendole dei soldi perché lasci in pace il ragazzo. Detto fatto, la majorette sparisce dalla vita di Harold che, disperato, se la prende col padre, devastandogli la cantina, dove sono stoccate moltissime bottiglie di gazzosa. Distrutta con la mazza da baseball tutta la merce dell'odioso genitore, il giovane atleta cade nella disperazione, ma a quel punto viene tolto di scena dal malevolo Roth con uno stratagemma ingegnoso e demiurgico: chiamato in guerra, l'innamorato deluso finisce col morire in una lontana battaglia. Immaginiamo cosa sarebbe invece successo se non fosse morto. Ve lo dico io: Harold Portnoy sarebbe diventato un antisemita! Sarebbe ricomparso in un'altra parte dell'America, con l'identità cambiata, cosa non così difficile in quel grande Paese. Avrebbe avuto un nuovo nome e avrebbe iniziato la sua carriera nei movimenti neonazisti. All'apice di questa sua nuova esistenza, si sarebbe guadagnato il grado di Gran Dragone del Ku Klux Klan. Animato da un ferocissimo e inetinguibile odio antisemita, avrebbe istigato al pogrom! Il suo sogno sarebbe stato uno solo: uccidere il padre e tutti i suoi famigliari! Pensate che io stia farneticando? Bene, informatevi sulla storia di Daniel "Dan" Burros, l'ebreo rinnegato divenuto esponente del KKK!

Una storiella morbosa 

Alexander Portnoy seduce una Figlia della Rivoluzione Americana. Lei è una timida bionda di ascendenza puritana, che però ama moltissimo il sesso. Lui la penetra con ardore e le lecca la fica, ma si aspetta che le sue attenzioni vengano ricambiate. Si aspetta i pompini. A lei non piace praticare il sesso orale a un uomo, le fa schifo. Non vuole prendere in bocca quell'uccello che pure le ha elargito così tanto godimento. Alla fine l'ashkenazita la riesce a convincere, plagiandola, e lei storcendo il naso china la sua bocca sul glande dell'amante, che immagina sarà il suo futuro marito e padre dei suoi figli. Sempre in preda al disgusto, si accinge a succhiarlo, ma non ci riesce bene: lo fa a denti alti, usando le labbra in modo tale da evitare per quanto possibile il contatto tra la lingua e il glande. Alle fine lui le scarica nel cavo orale getti di fluido seminale dal sapore di merluzzo, cosa che le induce i conati di vomito. Fatto sta che proprio a causa della penosa performance, la coppia si separa. Che atrocità mostruose! Per ogni fibra di piacere che un qualsiasi contatto sessuale può dare, ce ne sono novantanove di afflizione! E non sarebbe meglio se l'intero genere umano abbandonasse una volta per tutte questi squallidi esercizi? 

Il mito dei pompini!

Portnoy freudianamente è affetto da “disturbo in cui potenti impulsi etici e altruistici sono in perenne contrasto con una violenta tensione sessuale, spesso di natura perversa. Atti di esibizionismo, voyeurismo, feticismo, autoerotismo e coito orale sono assai frequenti; come conseguenza della “moralità” del paziente, tuttavia, né le fantasie né le azioni si traducono in autentica gratificazione sessuale, ma piuttosto in un soverchiante senso di colpa unito a timore di espiazione, soprattutto nella fantasmatica della castrazione. Gran parte dei sintomi si presume vadano ricercati nei legami formatisi nel rapporto madre – figlio.” Come spesso accade, è proprio Daniel "Danny" Balint a venirci in aiuto per capire meglio il problema che tormenta Portnoy. Ecco come spiega all'occhialuto quanto astuto Danielsen il suo strano punto di vista sul nesso tra ebraismo e sesso orale, testimonianza di echi spettrali in insondabili caverne della mente: 

Danielsen: "Danny, che mi dici degli ebrei?"
Balint: "Gli ebrei, l'ebraismo, sono una malattia."
Danielsen: "In che senso l'ebraismo è una malattia?"
Balint: "Prendi la sessualità."
Danielsen: "La sessualità?"
Balint: "Sì, sì."
Danielsen: "Che vuoi dire?"
Balint: "Ti sei scopato un'ebrea?"

Danielsen: "Cosa?!"
Balint: "Te la sei scopata?"
Danilsen (imbarazzatissimo): "Ah sì, insomma, voglio dire... sono stato con una ragazza ebrea."
Balint: "L'hai fatto. E che cosa hai notato?"
Danielsen: "Di che parli?"
Balint: "Le ragazze ebree adorano fare pompini."
Danielsen (quasi collassato): "---"
Balint: "Vero?"
Danielsen: "Sì, certo, non lo so, è così."
Balint: "E gli uomini ebrei ne vanno pazzi."
Danielsen: "A me sembra che piaccia a tutti..."
Balint: "Certo, è molto piacevole. Ma per gli ebrei è un'ossessione, e vuoi sapere perché?"
Danielsen: "Sì, perché?"
Balint: "Perché l'ebreo dentro è femmina."
Danielsen (pietrificato dall'orrore): "È femmina..."
Balint: "Gli uomini veri, i bianchi, i cristiani, beh, noi ci scopiamo una donna, la facciamo godere con il nostro cazzo! Ma un ebreo invece non penetra, non spinge, non riesce a imporsi in questo modo, perciò fa ricorso a queste perversioni. Il sesso orale è tecnicamente una perversione, questo lo sapevi, no?"
Danelsen (quasi incapace di parlare): "Sì..."
Balint: "Perciò una donna che è stata con un ebreo... è rovinata, non vorrà più stare insieme con un uomo normale."
Danielsen (nuovamente ringalluzzito): "Quindi l'ebreo è un amante migliore..."
Balint: "Non è migliore, non ho detto questo. Ho detto che dà piacere. In realtà è debolezza."
Danielsen: "Ok, il problema non è che gli ebrei controllano i media, o che sono proprietari delle banche, ma che sono sessualmente corrotti..."
Balint: "Senti, lo so, è chiaro che gli ebrei controllano i media e le banche - le banche d'investimento, non quelle commerciali - ma il punto è che operano in quegli ambiti secondo gli stessi principi che esprimono nella sessualità. Minano il modo di vita tradizionale, sradicano tutta la società. La sradicano, le strappano le radici."


Un bel calderone di pus, non trovate? Ebbene, il cervello di Portnoy non è meno torbido. 

Colpa, impurità, espiazione, razzismo

A quanto Roth ci descrive nel suo aberrante romanzo, esiste tra i Figli Americani di Ashkenaz una singolare costumanza, che i lettori italiani potranno capire solo con difficoltà estrema. A tutte le manie sulla purezza del cibo, sulle regole minuziose quanto esasperanti della kasherut, esiste un rimedio, una specie di valvola di sfogo. Così se si fa molta attenzione e si usa tutta la propria capacità di indagine, si possono cogliere in fallo rispettabili matrone della comunità ebraica di Newark, intente a recarsi a cena in ristoranti cinesi per ingozzarsi di carne di porco! Se Harold Portnoy - prima di entrare tra gli Incappucciati - era un fanatico della cucina kosher ("Noi prosciutto non mangiam!", esclamava a ogni piè sospinto), la madre del cugino Alexander, pur altrettanto fanatica, si concede esplorazioni approfondite delle bettole cinesi. Solo i crostacei restano un tabù, per via di una sua brutta esperienza di shock anafilattico, che le era capitata in gioventù. L'atteggiamento della signora Pornoy nei confronti dei cuochi orientali è descrivibile con una sola parola: razzismo. Il concetto portante è più o meno esprimibile con queste parole: "I camerieri cinesi non sono esseri umani. Sono una sottospecie di scimmie, quindi non ci dobbiamo curare di loro e di ciò che pensano di noi. Sono persino meno dei Goyim, non valgono neppure quanto i loro escrementi, già tanto vili."  Del resto un trattamento non migliore è riservato alla domestica afroamericana, considerata una specie di lebbrosa. Se devo essere franco, trovo moralmente ripugnante una simile doppiezza. Anche ai nostri giorni possiamo fare esperienza di atteggiamenti non troppo dissimili: i Goyim hanno il dovere di accogliere l'umanità intera, anche se in Israele non entra uno spillo. Bella coerenza. Posso dire che tutto ciò mi lascia perplesso?

Razzismo anti-italiano

La specialità di Roth consiste nell'inscenare teatrini della vergogna. Schifosi, indigeribili, tanto che neanche un porco di Gerasa si ciberebbe di simile vomito. Questo scempio non risparmia nemmeno noi Italiani. Alexander Portnoy fu iniziato al sesso da una diciottenne, certa "Bubbles" Girardi, figlia di un italiano che faceva l'autista per il Sindacato. Il fratello, un energumeno impegnato nella boxe, non badava troppo ai costumi dissoluti dell'esuberante sorella, visto anche che le permettevano di portare a casa qualche spicciolo. Ora, il detestabile Portnoy aveva un amico sommamente venereo, Arnold "Ba-ba-lu" Mandel, che assieme ad altri figuri - tra cui uno Smolka pieno di gonorrea - lo aveva condotto dalla "Bubbles" affinché lo svezzasse. Episodi di questo genere dovevano essere comunissimi negli States. Così leggiamo le gesta di questo gruppo di giovani ashkenaziti libidinosi. Si trovano a casa della ragazza italiana, ma la cosa va per le lunghe. Riuscito finalmente ad essere accolto dalla prosperosa "Bubbles", Portnose ha difficoltà estreme con l'erezione, di solito tanto pronta. Lei lo masturba pesantemente, gli strizza i genitali e la cosa non aiuta. Dopo penosissimi minuti di manipolazioni incessanti, il povero ragazzo ha un'eiaculazione improvvisa, con getti impetuosi di sburra che imbrattano il divano, i muri, persino il soffitto. Un bolo gli finisce in un occhio, causandogli grande bruciore e folli paranoie. La manipolatrice di genitali si adira per tutto quello sporco spermatico, che dovrà giustificare al suo babbo mafioso. "Brutto giudìo figlio d'una mignotta!", urla a squarciagola. Si assiste alla fuga precipitosa di Portnose, che si caga addosso temendo una vendetta e già si vede con l'addome bucato da uno stiletto (oltre che col fallo corrotto caduto per la sifilide e con gli occhi resi ciechi dalla sburra). Il giorno dopo, ecco che Arnold "Ba-ba-lu" Mandel lo trova per strada, gli dà dello Schmunk e gli dice serafico che sarebbe dovuto restare: dopo pochi minuti dalla vigliacca fuga, lui era già con la spada sfoderata, con l'italiana che se ne stava "accovacciata sulle fottute ginocchia terrone e gli leccava l'uccello". L'epiteto "terrone" è ancora un eufemismo che rende in qualche modo l'originale dago, termine slang americano il cui significato letterale è "sicario": è una semplice alterazione di dagger "pugnale". Per quanto riguarda all'aggettivo "fottute", in altre traduzioni al suo posto compare un più esplicito "di merda", mentre al posto di "gli leccava l'uccello" troviamo un più volgare "gli succhiava il cazzo". Tutto molto edificante, vero?

Etimologia di shikse 

La lingua yiddish è eminentemente germanica, ma è caratterizzata al contempo da una massiccia presenza lessicale di vocaboli di origine ebraica - oltre che di moltissime voci di origine sconosciuta. Tra le parole ebraiche in yiddish possiamo includere senz'altro shikse (שיקסע), vocabolo cruciale per il monomaniaco sessuale Alexander Portnoy. All'inizio si trattava di un epiteto fortemente abusivo, col significato centrale di "cosa abominevole", "detestabile"; il corrispondente maschile è shegetz (שייגעץ, in scrittura ebraica vocalizzata שֵׁיְגֶּץ; plurale shkotzim o shgatzim שקאצים). Cosa abominevole? Detestabile? Oh bella, non lo si sarebbe mai detto, data l'adorazione dimostrata dal giovane Portnoy per queste creature sensuali! Dal disprezzo iniziale, la parola iniziò ad assumere significati di satira e d'irrisione, per poi passare ad esprimere l'oggetto principe del più cocente desiderio carnale. La shikse era infatti l'idolo di quei Figli Americani di Ashkenaz, gangster animati dalle più lubriche pulsioni, malfattori che il Signore Geova pensò bene di risparmiare da ogni afflizione mentre si divertiva ad infierire sui devoti adoratori che abitavano negli shtetlekh della Polonia, destinati ad essere annichiliti dagli Einsatzgruppen

La vera etimologia del cognome Portnoy 

Ebbene, il cognome Portnoy ha origini russe. Il termine russo портной significa "sarto" ed è connesso con портки "pantaloni". La radice è l'antico slavo orientale пъртъ (pŭrtŭ) "pezzo di stoffa". Nonostante l'aspetto fonetico assai simile, questo termine non ha nulla a che vedere con порт "porto", voce originata in ultima analisi dal latino portus, che ritroviamo nell'italiano porto e nell'inglese port, per via di una complessa catena di prestiti culturali. Non si può quindi sostenere che портки significasse in origine "(abiti) marinareschi" e che in ultima analisi esista un nesso etimologico proprio con порт "porto". Il cognome yiddish che traduce Portnoy è Nadelman, con la variante Nudelman ("sarto", alla lettera "uomo dell'ago"). E pensare che ero tentato di ritenere Portnoy un anagramma satirico di *Porntoy, ossia "Giocattolo Porno"

La perversione di Portnoy! 

Il giovane Portnoy aveva elaborato una crudele vendetta contro sua madre e suo padre: si masturbava in modo veemente usando una bistecca per sfregare l'asta turgida, ricoprendo la carne di fiotti spermatici. La faceva così "marinare", dopodiché la madre ignara la cucinava e se la mangiava assieme al marito. Sì, i genitori ingoiavano entrambi la sburra del figlio, la digerivano e trasformavano gli spermatozoi in sterco! Al confronto di Alexander Portnoy le genti di Sodoma e Gomorra erano una compagnia di anime belle! Queste trovate raccapriccianti hanno dato persino origine a un termine gergale:


The Portnoy 

Having sexual intercourse with and ejaculating into any raw cut of meat (e.g. liver, porterhouse steak, pork roast), and then preparing and serving said meat (colloq. 'marinated') as a meal for one's immediate family or close friends.

(Origin: Portnoy's Complaint, by Philip Roth)

I was horrified when Andrew told me he'd done the Portnoy on the steak tartare I'd just enjoyed so heartily. 

Se il genere umano durerà abbastanza a lungo, i dettagli etimologici andranno perduto e l'evoluzione fonetica porterà i parlanti a pensare che questo vocabolo sia derivato da porn!  

Stereotipi 

Roth ha contribuito in modo importante quanto colpevole a rinfocolare stereotipi nocivi sugli Israeliti, caratterizzati come gobbi distorti e rachitici con un nasone così sviluppato da richiedere un porto d'armi, ovviamente tutti con capelli neri come la pece e con la pelle olivastra, magari anche avvolti in un sudicio caftano. Tutti pronti ad avventarsi su ogni shikse sexy proprio perché bionda e con gli occhi cerulei! Certo, certo, sono tutti gobbi, rachitici, malformati, nasoni e scuri... come Kirk Douglas, Paul Newman e Bar Refaeli! Capite cosa intendo? Non si vedeva nulla di simile dai tempi di Jud Süss!

Un grottesco teatrino social 

Nel marasma di Facebook mi accadde un fatto strano. Quando feci notare il ruolo di prim'ordine di Mark Zuckerberg nella diffusione capillare dell'antisemitismo a livello globale, fui aggredito da due navigatori, l'idealista G. e l'ostile S., che mi ritenevano in buona sostanza un coglione privo di cultura politica. Perché, vedete, nei loro modi di pensare abbastanza asfittici e figli del sistema scolastico, non è possibile che qualcuno accusi di antisemitismo un appartenente al Popolo Eletto come Montagna di Zucchero. Semmai mi viene da dubitare un po' dell'acume di G., borghese ma apostolo del neocomunismo (patrimoniale sui soldi altrui, sodomia col buco del culo altrui, travaso del Terzo e del Quarto Mondo in Italia, etc.), che nemmeno ha mai capito che S. è... un fascista! Proprio lui, che ostenta tanto fideismo nell'ideologia futurologica delle macchine pensanti, coscienti per via della loro potenza di calcolo, non sembra capire che un algoritmo dell'Intelligenza Artificiale, dopo aver macinato il romanzo di Roth senza altri elementi, restituirebbe questo sorprendente responso sull'identità più intima dell'autore: "SUPREMATISTA BIANCO"

Correlazione o causazione?

Ogni volta che in America avviene un attentato contro una sinagoga, ogni volta che qualcuno spara a un fedele con la kippah, mi sorge un dubbio fortissimo. Esiste la possibilità concreta che nella casa dell'attentatore sia trovata una copia di Lamento di Portnoy. "Aveva letto il romanzo di Roth", mi viene da pensare ogni volta. Sarebbe interessante fare studi di correlazione. Il problema è che gli investigatori e i criminologi non si aspettano di certo una cosa simile, quindi non fanno ricerche appropriate. Continuano a cercare il Mein Kampf, macinando a vuoto. Come se i nomi di Schlageter e di Lueger significassero qualcosa nel XXI secolo, in una terra che nutre verso la Germania un odio informe per via di qualche vaga reminiscenza scolastica sui mercenari Assiani assoldati dai Britannici all'epoca di Giorgio Washington!

Gli insulsi giudizi dei media 

Abbiamo appurato che il romanzo di Roth ha fatto all'intero mondo ebraico danni ingentissimi, quali non si vedevano dai tempi di Julius Streicher. Una ponderosa raccolta di numeri della rivista Der Stürmer faticherebbe ad eguagliare la mole di veleno contenuta in Lamento di Portnoy, e questo è un dato di fatto. Eppure i diretti interessati amano Roth e i mass media ne dicono mirabilia! Ecco alcuni capolavori eulogistici (non li linko per pigrizia, lascio al lettore l'onere di reperirli nella discarica del Web):

Philip Roth ha raccontato così bene Philip Roth che ci ha fatti diventare tutti Philip Roth.
(Corriere della Sera, 31 maggio 2018) 


I 5 libri di Philip Roth che chiunque dovrebbe leggere.
(Panorama, 23 maggio 2018)

10 cose di Philip Roth che valgono più del Nobel.
(Vanity Fair, 23 maggio 2018)


Gli anticorpi liberali che ci difendono contro la censura.
(Correre della Sera, 26 gennaio 2015) 


Non sono più riuscito a trovare, nonostante i miei sforzi, un incredibile titolo comparso come risultato di una ricerca, qualcosa che suonava così: 

Philip Roth fa bene al popolo ebraico. 

Certo, certo, fa proprio bene. Se qualcuno scrivesse che la retorica di Goebbels fa bene al popolo ebraico, sarebbe ritenuto subito un folle. Per contro, se qualcuno scrive che Philip Roth fa bene al popolo ebraico, i radical chic subito applaudono. L'intero mondo della cultura applaude. Che ironia! L'opera di Roth come cura all'antisemitismo? Un inclito autore di Science Fiction descrisse in un suo romanzo un popolo primitivo che aveva un ben singolare costume: l'applicazione di sterco di capra sulla pelle nel tentativo di curare la scabbia. Ecco, qui siamo di fronte a qualcosa di molto simile. Comune è la folle, delirante idea di contrastare qualcosa proprio con ciò che ne è la causa! La verità è che Roth è osannato dalla sua stessa gente proprio perché è colpita da cecità e da gravissima incoerenza. Lo innalzano su un altare, nonostante abbia commesso quello che in Israele è considerato il crimine più grave: dare ad Adolf Hitler una vittoria postuma.

Una soluzione semplice

Cosa avrebbe dovuto fare il Popolo di Israele, se avesse compreso il pericolo? Per essere franchi, avrebbe dovuto prendersi una pausa dalle sue geremiadi per abbattere Philip Roth servendosi del Mossad. Ormai è troppo tardi: l'autore è spirato e il malefico Portnoy continua a scavare come un fiume carsico.