Noam Chomsky, ritenuto uno dei massimi intellettuali viventi, è il fondatore della teoria della grammatica generativa. Egli opera secondo la convinzione indefettibile dell'esistenza di uno schema platonico immanente nel cervello umano, che plasma le strutture del linguaggio - al punto che, secondo tale dottrina plotiniana, tutte le lingue del mondo possono essere ritenute emanazioni di un singolo archetipo emanante dall'Uno: la Lingua Umana. In altre parole, se il latino è così diverso dal cinese, se il tedesco è così diverso dal turco, è soltanto perché i diversi parlanti usano etichette di aspetto dissimile per descrivere le stesse identiche cose. La discrepanza tra gli idiomi viene così ad essere classificata come un mero accidente, una bazzecola, una bagatella. Un punto nero dovuto alla pervicace e colpevole lontananza di Homo sapiens dall'Uno, sorgente di ogni perfezione. Secondo lo studioso ashkenazita, idolatrato dai radical chic e dai democratici del mondo intero, un pilastro della grammatica generativa, assolutamente irrinunciabile, è la natura ricorsiva della Lingua Umana, e di conseguenza di tutte le sue manifestazioni concrete nel corso della Storia. Vediamo di spiegare meglio questo cruciale concetto.
Questo è riportato su Wikipedia in italiano alla pagina Ricorsività (linguistica):
La ricorsività in linguistica è il fenomeno per cui una regola linguistica può essere applicata al risultato di una sua stessa precedente applicazione. La semiotica distingue tra codici ricorsivi e non. Così, i codici animali (ad esempio, la danza delle api) non possono essere ricorsivi, mentre le lingue naturali (e i codici matematici) sì.
Questa proprietà di alcune regole è in linguistica legata ad esempio all'uso delle proposizioni relative. Così, nella frase
Marco accarezza il cane.
i nomi "Marco" o "cane" possono essere sostituiti da una porzione di enunciato composta da uno dei due nomi e da una relativa:
Marco, che ben conosci, accarezza il cane.
E poi ancora:
Marco, che ben conosci, accarezza il cane, che scodinzola davanti al portone.
Infine:
Marco, che ben conosci, accarezza il cane, che scodinzola davanti al portone, che è chiuso.
Come si vede, le subordinate possono agganciarsi a segmenti che sono essi stessi subordinati alla reggente "Marco accarezza il cane". Tale processo potrebbe continuare all'infinito.
Il linguista italiano Andrea Moro approfondisce il concetto a prima vista paradossale di "lingua impossibile", da lui concepita come lingua non ricorsiva. Infatti ha scritto due volumi sull'argomento, in verità non eccessivamente ponderosi: I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili (2015) e Le lingue impossibili (2017).
Va da sé che quando uno studioso fa propria la dottrina plotiniana di Chomsky e diviene un alfiere dell'Assoluto costituito dalla Lingua Umana, è tenuto a propugnare l'inesistenza di qualsiasi risultato di un'osservazione che possa portare ad inficiare la teologia dell'Uno riverberante nell'Universo. Questa è la deduzione di Moro: se la Lingua Umana è ricorsiva, ne consegue che tutte le lingue umane sono per necessità ricorsive, dunque le lingue impossibili sono tutte e sole le lingue che non possiedono la ricorsività.
Mi spiace togliere Cristo dalla croce al neoplatonico Noam Chomsky e al suo gonfaloniere Andrea Moro, ma il concetto di ricorsività linguistica presenta non poche difficoltà intrinseche. Innanzitutto non è assolutamente vero che è possibile applicare la ricorsività ad libitum, come un'operazione reiterabile un numero infinito di volte. Certo, i grammatici generativi sono i primi a sostenere che la ricorsività presenta limiti pratici, ma de facto questa loro precisazione rimane lettera morta: essi non ne tengono conto in concreto, sostenendo a spada tratta il principio romantico della mente umana infinita, illimitata e senza vincoli di sorta. Lo studio dei casi concreti ci racconta una storia diversa. Moro et alteri citano come un significativo esempio di ricorsività il testo della famosa canzone di Angelo Branduardi, Alla Fiera dell'Est, che si ispira alla tradizione ebraica:
E infine il Signore, sull'Angelo della Morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò.
L'originale è un canto pasquale noto come Chad Gadya, ossia "Un Capretto", redatto in una lingua singolare che sembra un misto di ebraico e aramaico. Appartiene al tipo delle canzoni cumulative, in cui una struttura metrica semplice viene modificata tramite aggiunte successive, cosicché ogni verso è più lungo del precedente. Si tratta senza dubbio di una costruzione artificiosa (alcuni direbbero che è una pippologia - cosa senza dubbio un po' irrispettosa - o un gioco escogitato da qualche bell'ingegno per stupire i commmensali). Sfido chiunque a usare simili concatenazioni verbali nel linguaggio di tutti i giorni. Esiste un limite invalicabile all'uso di meccanismi ricorsivi in grado di incassare proposizioni in altre proposizioni o anche soltanto di accostare tra loro diversi segmenti. Dopo un certo numero di iterazioni, un ascoltatore si sente un Neanderthal e perde il filo del discorso, immancabilmente: gli elementi incorporati o saldati in altro modo contribuiscono a formare architetture contorte in modo diabolico, oltre che prive di qualsiasi utilità concettuale.
Non possiamo definire "processo innocuo" l'incassamento o incorporazione di segmenti, come ad esempio frasi subordinate (ipotassi), o la giustapposizione di frasi coordinate (paratassi). Questo modo di enunciare il pensiero umano presenta anzi numerose complicazioni anche interpretative. Spesso sorge il dubbio che la ricorsività spinta sia stata favorita artificialmente dal mondo scolastico e che non sia poi qualcosa di così innato e naturale come i chomskiani vorrebbero. Grammatica universale dell'unica Lingua Umana? Ma anche no. Prova ne sia un fatto scomodo: non poche persone inciampano nel meccanismo ricorsivo e producono frasi senza senso. La sorgente del linguaggio di Homo sapiens sarà anche pura e cristallina, ma la sua estrinsecazione reale non somiglia affatto a un abisso senza fondo, in cui possono essere travasati interi oceani a proprio piacimento; somiglia piuttosto all'uretra di un uomo venereo affetto da gonorrea, che diviene angusta e piena di cavernule - o a un intestino colpito dal morbo di Crohn, in cui abbondano occlusioni e diverticoli, con tratti in necrosi e altre similari amenità.
Non è necessario incassare frasi oltremodo elaborate per generare assurdità marchiane: bastano anche elementi meno complessi. Può essere ambigua la ricorsività aggettivale (quella di segmenti come "una bella, grande e accogliente dimora"). Altrettanto ambigua può rivelarsi la ricorsività possessiva (quella di segmenti come "il pelo del cavallo della figlia del barone"). Del resto i chomskiani considerano una manifestazione di ricorsività linguistica già la semplice applicazione dell'operatore logico denominato merge, ossia in pratica la stessa giustapposizione di due parole in una frase semplice del tipo soggetto + verbo (es. "i cadaveri puzzano"). Fanno questo per togliersi dalle ovvie difficoltà del caso, potendo esistere combinazioni di ricorsività di diversi tipi, che generano problemi senza fine e che non sono universali nel complesso panorama delle lingue umane.
Fornisco alcuni semplici esempi di ambiguità meritevoli di essere commentati, tratti dalla lingua italiana. Il primo proviene dal linguaggio disarticolato dei giornalisti:
Questo è riportato su Wikipedia in italiano alla pagina Ricorsività (linguistica):
La ricorsività in linguistica è il fenomeno per cui una regola linguistica può essere applicata al risultato di una sua stessa precedente applicazione. La semiotica distingue tra codici ricorsivi e non. Così, i codici animali (ad esempio, la danza delle api) non possono essere ricorsivi, mentre le lingue naturali (e i codici matematici) sì.
Questa proprietà di alcune regole è in linguistica legata ad esempio all'uso delle proposizioni relative. Così, nella frase
Marco accarezza il cane.
i nomi "Marco" o "cane" possono essere sostituiti da una porzione di enunciato composta da uno dei due nomi e da una relativa:
Marco, che ben conosci, accarezza il cane.
E poi ancora:
Marco, che ben conosci, accarezza il cane, che scodinzola davanti al portone.
Infine:
Marco, che ben conosci, accarezza il cane, che scodinzola davanti al portone, che è chiuso.
Come si vede, le subordinate possono agganciarsi a segmenti che sono essi stessi subordinati alla reggente "Marco accarezza il cane". Tale processo potrebbe continuare all'infinito.
Il linguista italiano Andrea Moro approfondisce il concetto a prima vista paradossale di "lingua impossibile", da lui concepita come lingua non ricorsiva. Infatti ha scritto due volumi sull'argomento, in verità non eccessivamente ponderosi: I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili (2015) e Le lingue impossibili (2017).
Va da sé che quando uno studioso fa propria la dottrina plotiniana di Chomsky e diviene un alfiere dell'Assoluto costituito dalla Lingua Umana, è tenuto a propugnare l'inesistenza di qualsiasi risultato di un'osservazione che possa portare ad inficiare la teologia dell'Uno riverberante nell'Universo. Questa è la deduzione di Moro: se la Lingua Umana è ricorsiva, ne consegue che tutte le lingue umane sono per necessità ricorsive, dunque le lingue impossibili sono tutte e sole le lingue che non possiedono la ricorsività.
Mi spiace togliere Cristo dalla croce al neoplatonico Noam Chomsky e al suo gonfaloniere Andrea Moro, ma il concetto di ricorsività linguistica presenta non poche difficoltà intrinseche. Innanzitutto non è assolutamente vero che è possibile applicare la ricorsività ad libitum, come un'operazione reiterabile un numero infinito di volte. Certo, i grammatici generativi sono i primi a sostenere che la ricorsività presenta limiti pratici, ma de facto questa loro precisazione rimane lettera morta: essi non ne tengono conto in concreto, sostenendo a spada tratta il principio romantico della mente umana infinita, illimitata e senza vincoli di sorta. Lo studio dei casi concreti ci racconta una storia diversa. Moro et alteri citano come un significativo esempio di ricorsività il testo della famosa canzone di Angelo Branduardi, Alla Fiera dell'Est, che si ispira alla tradizione ebraica:
E infine il Signore, sull'Angelo della Morte, sul macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo, che al mercato mio padre comprò.
L'originale è un canto pasquale noto come Chad Gadya, ossia "Un Capretto", redatto in una lingua singolare che sembra un misto di ebraico e aramaico. Appartiene al tipo delle canzoni cumulative, in cui una struttura metrica semplice viene modificata tramite aggiunte successive, cosicché ogni verso è più lungo del precedente. Si tratta senza dubbio di una costruzione artificiosa (alcuni direbbero che è una pippologia - cosa senza dubbio un po' irrispettosa - o un gioco escogitato da qualche bell'ingegno per stupire i commmensali). Sfido chiunque a usare simili concatenazioni verbali nel linguaggio di tutti i giorni. Esiste un limite invalicabile all'uso di meccanismi ricorsivi in grado di incassare proposizioni in altre proposizioni o anche soltanto di accostare tra loro diversi segmenti. Dopo un certo numero di iterazioni, un ascoltatore si sente un Neanderthal e perde il filo del discorso, immancabilmente: gli elementi incorporati o saldati in altro modo contribuiscono a formare architetture contorte in modo diabolico, oltre che prive di qualsiasi utilità concettuale.
Non possiamo definire "processo innocuo" l'incassamento o incorporazione di segmenti, come ad esempio frasi subordinate (ipotassi), o la giustapposizione di frasi coordinate (paratassi). Questo modo di enunciare il pensiero umano presenta anzi numerose complicazioni anche interpretative. Spesso sorge il dubbio che la ricorsività spinta sia stata favorita artificialmente dal mondo scolastico e che non sia poi qualcosa di così innato e naturale come i chomskiani vorrebbero. Grammatica universale dell'unica Lingua Umana? Ma anche no. Prova ne sia un fatto scomodo: non poche persone inciampano nel meccanismo ricorsivo e producono frasi senza senso. La sorgente del linguaggio di Homo sapiens sarà anche pura e cristallina, ma la sua estrinsecazione reale non somiglia affatto a un abisso senza fondo, in cui possono essere travasati interi oceani a proprio piacimento; somiglia piuttosto all'uretra di un uomo venereo affetto da gonorrea, che diviene angusta e piena di cavernule - o a un intestino colpito dal morbo di Crohn, in cui abbondano occlusioni e diverticoli, con tratti in necrosi e altre similari amenità.
Non è necessario incassare frasi oltremodo elaborate per generare assurdità marchiane: bastano anche elementi meno complessi. Può essere ambigua la ricorsività aggettivale (quella di segmenti come "una bella, grande e accogliente dimora"). Altrettanto ambigua può rivelarsi la ricorsività possessiva (quella di segmenti come "il pelo del cavallo della figlia del barone"). Del resto i chomskiani considerano una manifestazione di ricorsività linguistica già la semplice applicazione dell'operatore logico denominato merge, ossia in pratica la stessa giustapposizione di due parole in una frase semplice del tipo soggetto + verbo (es. "i cadaveri puzzano"). Fanno questo per togliersi dalle ovvie difficoltà del caso, potendo esistere combinazioni di ricorsività di diversi tipi, che generano problemi senza fine e che non sono universali nel complesso panorama delle lingue umane.
Fornisco alcuni semplici esempi di ambiguità meritevoli di essere commentati, tratti dalla lingua italiana. Il primo proviene dal linguaggio disarticolato dei giornalisti:
L'uomo era stato arrestato per aver compiuto la truffa su ordine della magistratura di Siracusa.
Con tutto il rispetto, a leggere il titolo sembra che sia stata la magistratura di Siracusa ad aver ordinato all'uomo di compiere la truffa! Questo non è un modo corretto di fare informazione.
Il giornalista strutturava così la frase:
<L'uomo era stato arrestato> [per aver compiuto la truffa] <su ordine della magistratura di Siracusa>.
Credeva che fosse evidente riferire il segmento <su ordine della magistratura di Siracusa> alla proposizione principale <l'uomo era stato arrestato>. Cosa ho invece inteso io quando ho sentito l'annuncio? Questo:
<L'uomo era stato arrestato> [per aver compiuto la truffa su ordine della magistratura di Siracusa].
<L'uomo era stato arrestato> [per aver compiuto la truffa su ordine della magistratura di Siracusa].
In questo caso, su ordine della magistratura di Siracusa si riferisce alla truffa! Nel mio cervello si è mosso all'istante il comando dell'esilarazione: mi sono messo a ridere per una buona mezz'ora.
L'ambiguità si risolve facilmente riformulando la frase in questo modo:
L'uomo era stato arrestato su ordine della magistratura di Siracusa per aver compiuto la truffa.
Certo, in questo caso c'è un po' troppa distanza tra il verbo era stato arrestato e il segmento per aver compiuto la truffa, che descrive la causa dell'azione.
Passiamo a un secondo esempio, anch'esso proveniente dal linguaggio destrutturato dei giornalisti:
Il cadavere è stato trovato nell'appartamento in avanzato stato di decomposizione.
Passiamo a un secondo esempio, anch'esso proveniente dal linguaggio destrutturato dei giornalisti:
Il cadavere è stato trovato nell'appartamento in avanzato stato di decomposizione.
Il giornalista avrebbe potuto evitare di farmi esplodere in un accesso di riso convulso, semplicemente annunciando:
Il cadavere in avanzato stato di decomposizione è stato trovato nell'appartamento.
Naturalmente, ogni individuo con capacità mentali nella norma sa che a decomporsi sono i cadaveri, non gli appartamenti. Possiamo anche formulare:
Il cadavere è stato trovato in avanzato stato di decomposizione nell'appartamento.
Il cadavere è stato trovato in avanzato stato di decomposizione nell'appartamento.
Però così facendo rimane un'ambiguità residua, dato che si potrebbe pensare di raggruppare in avanzato stato (di decomposizione nell'appartamento) anziché (in avanzato stato di decomposizione) nell'appartamento. In questo caso, il cadavere avrebbe potuto essere anche trovato in un parco pubblico, a patto che fosse giunto a un avanzato stato di decomposizione mentre si trovava in un appartamento. Ancora una volta, soltanto il buon senso riesce a risolvere il problema.
Il tema della decomposizione dei cadaveri ha prodotto frasi giornalistiche anche più ambigue. Questa, per esempio:
Una donna di 48 anni con patologie psichiatriche gravi è rimasta chiusa in casa con il cadavere del padre morto da un circa mese in totale stato di decomposizione.
Il padre della donna è morto in totale stato di decomposizione? Oppure è il mese ad essere in tali poco augurabili condizioni?
Le cose si fanno ancor più grottesche quando entrano in gioco le mirabili proprietà degli aggettivi. Anche un semplice aggettivo può infatti essere problematico, visto che i giornalisti hanno la brutta tendenza di farlo migrare a proprio piacimento all'interno della frase. Prendiamo questo esempio:
Il marito cornuto della contessa le ha ucciso l'amante.
Naturalmente non si può dire:
Il marito della contessa cornuto le ha ucciso l'amante.
Il tema della decomposizione dei cadaveri ha prodotto frasi giornalistiche anche più ambigue. Questa, per esempio:
Una donna di 48 anni con patologie psichiatriche gravi è rimasta chiusa in casa con il cadavere del padre morto da un circa mese in totale stato di decomposizione.
Il padre della donna è morto in totale stato di decomposizione? Oppure è il mese ad essere in tali poco augurabili condizioni?
Le cose si fanno ancor più grottesche quando entrano in gioco le mirabili proprietà degli aggettivi. Anche un semplice aggettivo può infatti essere problematico, visto che i giornalisti hanno la brutta tendenza di farlo migrare a proprio piacimento all'interno della frase. Prendiamo questo esempio:
Il marito cornuto della contessa le ha ucciso l'amante.
Naturalmente non si può dire:
Il marito della contessa cornuto le ha ucciso l'amante.
Ci sono diverse soluzioni. La prima è usare una diversa intonazione (in cui sia amante che cornuto hanno il pieno accento sulle loro sillabe toniche), marcata nella grafia dall'uso della virgola:
Il marito della contessa, cornuto, le ha ucciso l'amante.
Altrimenti, se contessa cornuto fosse un tutt'uno fonetico in cui l'accento principale cade su cornuto, saremmo costretti a interpretare così:
Il marito della contessa, cornuto, le ha ucciso l'amante.
Altrimenti, se contessa cornuto fosse un tutt'uno fonetico in cui l'accento principale cade su cornuto, saremmo costretti a interpretare così:
Il marito della contessa Cornuto le ha ucciso l'amante.
In tal caso, Cornuto sarebbe proprio il cognome della contessa fedifraga.
In tal caso, Cornuto sarebbe proprio il cognome della contessa fedifraga.
In ultimo, un giornalista abbastanza creativo potrebbe pensare di migrare lo scomodo aggettivo cornuto alla fine della proposizione. In tal caso avremmo:
Il marito della contessa le ha ucciso l'amante cornuto.
Il marito della contessa le ha ucciso l'amante cornuto.
Ciò non avrebbe il benché minimo senso, perché da che mondo è mondo sono i mariti a essere resi cornuti dalle mogli che si fanno l'amante, non gli amanti ad essere resi cornuti dal sesso fatto dalle mogli coi propri mariti, ritenuto legittimo dalle religioni e dalle leggi del mondo. E se la contessa avesse avuto un secondo amante? Beh, in tal caso l'amante ucciso avrebbe avuto le corna a causa del rivale. Tuttavia non si capisce perché il consorte della nobildonna ninfomane non abbia ucciso entrambi gli amanti, accanendosi anzi sul più sfortunato.
Letto sul Corriere della Sera:
Erdoğan porta in spalla la bara di un suo amico ucciso durante i funerali delle vittime del golpe.
Che significa? Che l'amico è stato ucciso durante i funerali? Il giornalista voleva dire che Erdoğan ha portato in spalla la bara dell'amico durante i funerali in questione. Il termine "ucciso", riferito alle circostanze della morte dell'amico di Erdoğan, genera tuttavia una grave ambiguità. Infatti è possibile interpretare così:
<Erdoğan porta in spalla la bara di un suo amico> [ucciso durante i funerali delle vittime del golpe].
Vediamo che si comprende qualcosa di errato, ossia si è indotti a pensare che l'uccisione dell'amico di Erdoğan sia avvenuta durante i funerali delle vittime del golpe, e che lo statista turco possa aver portato in spalla la bara dell'amico in una diversa occasione. Ad esempio durante una conferenza stampa.
Anche le etichette più semplici, se male usate, provocano paradossi. Basti pensare a queste frasi:
Trovata cura per tumore al seno non metastatico.
In aumento i casi di tumore al pancreas metastatico.
Certo, è chiaro che "metastatico" e "non metastatico" sono etichette riferite alla neoplasia, non alla parte del corpo colpita. Eppure il cervello tenta di fare l'associazione a prima vista più improbabile, analizzando le frasi in questo modo:
<Trovata cura per tumore> [al seno non metastatico].
<In aumento i casi di tumore> [al pancreas metastatico].
Avremmo dunque a che fare con un "seno non metastatico" e con un "pancreas metastatico", il che è del tutto fuorviante, anche se logicamente ben fondato. Ancora una volta possiamo porci una domanda: era poi così difficile enunciare il concetto con frasi non ambigue? Eccole:
Trovata cura per tumore non metastatico al seno.
In aumento i casi di tumore metastatico al pancreas.
Se uno indagasse a fondo, si perderebbe in un universo grottesco. Una volta mi sono imbattuto in una casetta per uccelli antincendio. Ospita stormi di colibrì che trasportano in minuscoli ditali l'acqua per spegnere gli incendi, seguono i corsi di educazione civica e ripetono all'infinito: "Faccio la mia parte! Ognuno deve fare la sua!"
Ci sono problemi persino con la famosa focaccia di Recco al formaggio. Questo è un breve dialogo tratto da Invasori dallo Spazio di Acciaio, un mio romanzo di fantascienza erotico-satirica, che non è mai stato pubblicato:
- L’uomo assisté all’uccisione del figlio impotente – commentò il Topo, come se stesse leggendo i messaggi che un suggeritore nascosto gli mostrava su uno schermo piatto.
- E come mai il figlio impotente è stato ucciso? – iniziò a cavillare il Cinque Cervelli. Il Topo non rispose utilizzando la logica, ma pronunciò un nuovo paradosso in stile giornalistico. Era prigioniero, non si rendeva conto dell’inconsistenza.
- Ho mangiato una focaccia di Recco al formaggio – disse.
Il Cinque Cervelli obiettò subito: - Quindi sei stato in un luogo che si chiama “Recco al Formaggio” per mangiare una focaccia?
- No, credo che fosse una focaccia condita con formaggio di Recco – specificò il Topo.
- Diamine – esclamò il Cinque Cervelli – Ma potrebbe essere stata anche una focaccia di Recco condita con un formaggio generico, magari non di Recco. Magari gorgonzola.
- Quindi una focaccia al gorgonzola di Recco – concluse il Topo.
- Non si è mai prodotto gorgonzola a Recco – affermò ironico il Cinque Cervelli.
Le conclusioni che possiamo trarre sono a dir poco deprimenti. E pensare che l'italiano è facilitato dalla presenza di uscite aggettivali spesso distinte per genere, che evitano molte ambiguità. Provate a pensare a cosa accadrebbe se si facesse un uso disinvolto di una lingua che non distingue il genere degli aggettivi e che non ha una sintassi rigidissima! Altra conclusione è questa: Moro dovrebbe concludere che l'italiano corrente non è una lingua pienamente ricorsiva, perché produce frasi secondo regole che i parlanti non riescono più a comprendere bene. Certo, potrebbe sempre sostenere, come spesso fanno i chomskiani, che noi siamo programmati per comprendere enunciati ricorsivi, e che non è colpa di nessuno se poi ne produciamo di gravemente difettosi e se il nostro potere di ricorsione linguistica non è infinito. Allora come può sostenere, di fronte a una concreta fallibilità, l'esistenza di un archetipo eterno che nessuno ha mai potuto misurare? Sarebbe come fantasticare di un'isola perfetta fatta di cristallo, descrivendone le coste con grande dettaglio, senza che nessuno possa mai fornire nemmeno la più esile prova della sua esistenza. Se Karl Popper fosse qui, direbbe che i discorsi di Moro e del suo mentore, l'ashkenazita americano, non possono essere falsificati. In realtà potrebbero essere falsificati benissimo, come ho dimostrato. l punto è che non serve a nulla, è come la lotta di Don Chisciotte contro i mulini a vento. Questo perché nel loro idealismo, i grammatici generativi rifiutano di considerare come tale ogni falsificazione delle loro teorie.
Quando Alessandro Manzoni codificò la lingua italiana perché divenisse la lingua del Regno d'Italia, fu sfiorato dal presentimento di sviluppi aberranti? Probabilmente no. Non ebbe neppure un vaghissimo sentore del fatto che le cose sarebbero finite in modo tanto squallido. La sua lingua, che aveva con tanta cura risciacquato nell'Arno, è stata ridotta a una pseudolingua giornalistica! E cosa direbbe Dante Alighieri se sapesse che secoli dopo la Commedia si sta qui a borbottare di seni non metastatici e di magistrature che ordinano di compiere truffe?
Già quanto ho finora esposto è ricco di indizi assai solidi del fatto che la grammatica generativa di Noam Chomsky non è una teoria dotata di credibile fondamento scientifico; può invece essere ascritta al vasto reame della Pseudoscienza.
Letto sul Corriere della Sera:
Erdoğan porta in spalla la bara di un suo amico ucciso durante i funerali delle vittime del golpe.
Che significa? Che l'amico è stato ucciso durante i funerali? Il giornalista voleva dire che Erdoğan ha portato in spalla la bara dell'amico durante i funerali in questione. Il termine "ucciso", riferito alle circostanze della morte dell'amico di Erdoğan, genera tuttavia una grave ambiguità. Infatti è possibile interpretare così:
<Erdoğan porta in spalla la bara di un suo amico> [ucciso durante i funerali delle vittime del golpe].
Vediamo che si comprende qualcosa di errato, ossia si è indotti a pensare che l'uccisione dell'amico di Erdoğan sia avvenuta durante i funerali delle vittime del golpe, e che lo statista turco possa aver portato in spalla la bara dell'amico in una diversa occasione. Ad esempio durante una conferenza stampa.
Anche le etichette più semplici, se male usate, provocano paradossi. Basti pensare a queste frasi:
Trovata cura per tumore al seno non metastatico.
In aumento i casi di tumore al pancreas metastatico.
Certo, è chiaro che "metastatico" e "non metastatico" sono etichette riferite alla neoplasia, non alla parte del corpo colpita. Eppure il cervello tenta di fare l'associazione a prima vista più improbabile, analizzando le frasi in questo modo:
<Trovata cura per tumore> [al seno non metastatico].
<In aumento i casi di tumore> [al pancreas metastatico].
Avremmo dunque a che fare con un "seno non metastatico" e con un "pancreas metastatico", il che è del tutto fuorviante, anche se logicamente ben fondato. Ancora una volta possiamo porci una domanda: era poi così difficile enunciare il concetto con frasi non ambigue? Eccole:
Trovata cura per tumore non metastatico al seno.
In aumento i casi di tumore metastatico al pancreas.
Se uno indagasse a fondo, si perderebbe in un universo grottesco. Una volta mi sono imbattuto in una casetta per uccelli antincendio. Ospita stormi di colibrì che trasportano in minuscoli ditali l'acqua per spegnere gli incendi, seguono i corsi di educazione civica e ripetono all'infinito: "Faccio la mia parte! Ognuno deve fare la sua!"
Ci sono problemi persino con la famosa focaccia di Recco al formaggio. Questo è un breve dialogo tratto da Invasori dallo Spazio di Acciaio, un mio romanzo di fantascienza erotico-satirica, che non è mai stato pubblicato:
- L’uomo assisté all’uccisione del figlio impotente – commentò il Topo, come se stesse leggendo i messaggi che un suggeritore nascosto gli mostrava su uno schermo piatto.
- E come mai il figlio impotente è stato ucciso? – iniziò a cavillare il Cinque Cervelli. Il Topo non rispose utilizzando la logica, ma pronunciò un nuovo paradosso in stile giornalistico. Era prigioniero, non si rendeva conto dell’inconsistenza.
- Ho mangiato una focaccia di Recco al formaggio – disse.
Il Cinque Cervelli obiettò subito: - Quindi sei stato in un luogo che si chiama “Recco al Formaggio” per mangiare una focaccia?
- No, credo che fosse una focaccia condita con formaggio di Recco – specificò il Topo.
- Diamine – esclamò il Cinque Cervelli – Ma potrebbe essere stata anche una focaccia di Recco condita con un formaggio generico, magari non di Recco. Magari gorgonzola.
- Quindi una focaccia al gorgonzola di Recco – concluse il Topo.
- Non si è mai prodotto gorgonzola a Recco – affermò ironico il Cinque Cervelli.
Le conclusioni che possiamo trarre sono a dir poco deprimenti. E pensare che l'italiano è facilitato dalla presenza di uscite aggettivali spesso distinte per genere, che evitano molte ambiguità. Provate a pensare a cosa accadrebbe se si facesse un uso disinvolto di una lingua che non distingue il genere degli aggettivi e che non ha una sintassi rigidissima! Altra conclusione è questa: Moro dovrebbe concludere che l'italiano corrente non è una lingua pienamente ricorsiva, perché produce frasi secondo regole che i parlanti non riescono più a comprendere bene. Certo, potrebbe sempre sostenere, come spesso fanno i chomskiani, che noi siamo programmati per comprendere enunciati ricorsivi, e che non è colpa di nessuno se poi ne produciamo di gravemente difettosi e se il nostro potere di ricorsione linguistica non è infinito. Allora come può sostenere, di fronte a una concreta fallibilità, l'esistenza di un archetipo eterno che nessuno ha mai potuto misurare? Sarebbe come fantasticare di un'isola perfetta fatta di cristallo, descrivendone le coste con grande dettaglio, senza che nessuno possa mai fornire nemmeno la più esile prova della sua esistenza. Se Karl Popper fosse qui, direbbe che i discorsi di Moro e del suo mentore, l'ashkenazita americano, non possono essere falsificati. In realtà potrebbero essere falsificati benissimo, come ho dimostrato. l punto è che non serve a nulla, è come la lotta di Don Chisciotte contro i mulini a vento. Questo perché nel loro idealismo, i grammatici generativi rifiutano di considerare come tale ogni falsificazione delle loro teorie.
Quando Alessandro Manzoni codificò la lingua italiana perché divenisse la lingua del Regno d'Italia, fu sfiorato dal presentimento di sviluppi aberranti? Probabilmente no. Non ebbe neppure un vaghissimo sentore del fatto che le cose sarebbero finite in modo tanto squallido. La sua lingua, che aveva con tanta cura risciacquato nell'Arno, è stata ridotta a una pseudolingua giornalistica! E cosa direbbe Dante Alighieri se sapesse che secoli dopo la Commedia si sta qui a borbottare di seni non metastatici e di magistrature che ordinano di compiere truffe?
Già quanto ho finora esposto è ricco di indizi assai solidi del fatto che la grammatica generativa di Noam Chomsky non è una teoria dotata di credibile fondamento scientifico; può invece essere ascritta al vasto reame della Pseudoscienza.
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