mercoledì 6 giugno 2018

GLI ORRORI DELLE PAROLE MACEDONIA: INCUBATOR + ACCELERATOR = INCULATOR

La cosa ha dell'incredibile, me ne rendo conto. Eppure è accaduta. Negli States si è formata l'ennesima, abominevole parola macedonia: INCULATOR. La sua genesi è molto chiara: è stato fatto un collage a dir poco surreale. Ecco i passaggi:

INCUBATOR + ACCELERATOR
= INCULATOR 

Capisco chi si rifiuta di crederci e pensa a uno scherzo di Lercio.it o a un renzismo. Anch'io all'inizio, quando mi sono imbattuto in questo obbrobrio per la prima volta, ho rifiutato di credere che fosse reale. Poi, di fronte alla mole della documentazione, sono stato costretto ad arrendermi all'evidenza. Prevengo così ogni pressante e fastidiosa richiesta di fonti con un semplice link:


Finalmente abbiamo capito ogni cosa! Per avere successo... serve un inculator! Incredibile a dirsi, l'innovazione compare anche in siti in lingua italiana, come ad esempio Quifinanza.it, e per giunta senza la minima allusione a Sodoma e ai piaceri bizantini di un fallo turgido che scivola in un budello lubrificato, deponendo il seme tra gli escrementi!


Nel calderone magmatico di Facebook, l'incredibile notizia, pur datata, ha causato un'accesa discussione. Riporto il dialogo surreale:

   Marco Moretti:
E' un bizzarro refuso. Più o meno come quando ho trasformato "20 al cubo" in "venti al culo". :)

   Marco Ajello:
no no: è proprio un neologismo tramite "crasi"

   Marco Moretti:
Ho capito: questi dementi hanno incrociato "incubator" e "accelerator" in una grottesca parola macedonia: "inculator". Non si informano nemmeno su possibili equivoci in altre lingue.

   Marco Moretti:
Simili parole macedonia andrebbero punite perforando la lingua di chi le pronuncia con un ferro rovente. Pervertono le lingue, oscurano le etimologie, sono bestemmie contro il Logos.

   Marco Ajello:
non avrei saputo dirlo meglio caro ^_^

   Diana Severati:
non è un refuso ma incubator + accelerator; articolo vecchio comunque

   Marco Garrone:
Marco Moretti già, dovremmo anche eliminare la parola informatica... perché sembra informazione + fatica ;-)

   Marco Garrone:
Il problema non è la parola di per sé, è l'irrilevanza della lingua italiana nel contesto in cui vengono create queste parole e nel fatto che non si possa trovare un omologo in italiano perché la gente si bea degli inglesismi, tanto che oggi usiamo troppo spesso e senza senso parole come shop, building, living (neppure living room) outfit, e tante altre parole inglesi

   Marco Ajello:
Importante perché lo condivide con tutte le lingue romanze che sono il 90% delle parole internazionali. Compreso questo neologismo

   Marco Garrone:
Marco Ajello apparentemente l'irrilevanza coinvolge anche altre lingue ^_^
e cmq basta declinarlo nella propria lingua.
L'esempio di informatique = information automatique = informatica non l'ho preso a caso.
Al contrario radio sembra essere stato digerito tranquillamente da tutte le lingue.
Come al solito noi italiani pensiamo più a protestare che a trovare soluzioni.

   Marco Ajello:
Culo esiste in spagnolo e in francese. Ovvero in tutte le lingue internazionali. Il tuo "esempio" é debole. Tra l'altro fatica é presente anche nelle altre lingue e sfido chiunque a pensare a fatica partendo da informatica, domotica o altro

   Marco Moretti:
Il termine "fatica" è stato evocato dal Garrone come facezia, evidentemente, dato che già l'accento nega qualsiasi somiglianza con informatica. Allora perché non dire che informatica sembra informazione + fica?

   Marco Moretti:
La scarsa dimestichezza della specie umana con l'origine delle parole che usa è un indice della sua condizione terminale.

   Marco Garrone:
Marco Moretti per fortuna la dimestichezza con l'origine delle parole non è rilevante ai fini della sua sopravvivenza visto che ogni tentativo di tutela della lingua dall'antica Roma ad oggi si è dimostrato una sorta di onanismo intellettuale costantemente disatteso dalla realtà.
Ma tornando a qualcosa di più concreto, perché non stiamo ancora cercando una soluzione intelligente al problema e stiamo invece solo continuando a parlare di chi ce l'ha più grosso? ^_^

   Marco Garrone:
Peraltro carissimo Moretti, informatica è l'italianismo di una parola straniera (francese), come può esserlo stoccafisso... e come inculator, che spero possa originare un termine utilizzabile.

   Marco Garrone: 
Marco Ajello lamentarsi è veramente il modo peggiore di risolvere un problema... perché passato il momento ludico per la nuova parola (che attira tante battute) non si trova un corrispondente italiano per ovviare al problema?
Magari piacerà anche a spagnoli e francesi.

   Marco Moretti:  
1) La parola "stoccafisso" è giunta dall'olandese stokvisch "pesce-bastone" - termine formato in modo naturale secondo i mezzi di quella lingua, mentre "informatica" è l'adattamento di una parola macedonia francese, formata in modo innaturale.
2) Il problema purtroppo non è possibile risolverlo: sarebbe come pensare di poter far tornare sano il cervello di una persona affetta da morbo di Alzheimer. Non si può lottare contro l'entropia. Mi limito a descrivere la patologia imperante. Coniare nuove parole non serve a niente, visto che non sarebbero usate da nessuno.

   Marco Garrone:
Marco Moretti è chiaro che la seconda affermazione contraddice la prima.
E incluator si è meritato fior fiore di articoli di giornale dopo che qualcuno l'ha evidentemente inventata.
Casomai creare nuove parole - potrebbe - non servire a niente se non venissero usate... ma per essere usate devono prima esistere.
Quindi ribadisco e chiudo, informatica vale tanto quanto inculator, e niente, ma proprio niente, valgono le proteste di qualche purista linguista, perché giusto o sbagliato, la realtà è questa.
Invece di lamentarci dell'ignoranza o della stupidità altrui, sarebbe più opportuno proporre una qualche soluzione, che sia un "pesce-bastone" o qualsiasi altra.
Ai posteri poi l'ardua sentenza

Stremato e sommerso da centinaia di notifiche di altri post, non ho continuato il thread. Ai sostenitori dei neologismi più turpi dirò qualcosa. In Iran esiste una marca di cioccolato che risponde al nome MERDAS. Ovviamente il brand non ha nulla a che fare con le feci. Qualche burlone in Facebook ha evocato lo spirito di Fulcanelli, dicendo che i produttori iraniani di cioccolata compiono un'opera alchemica: servendosi di alambicco, vetriolo e pietra filosofale riuscirebbero a trasformare gli escrementi in cioccolato sopraffino. La vera etimologia di questo MERDAS non ha nulla a che fare con tutto questo. L'antroponimo persiano MERDAS significa "Uomo Celeste". Si tratta del nome di un re, che compare nello Shahnameh, una delle più antiche opere in persiano moderno (circa 1000 d.C.). Molto semplice: merd significa "uomo" (mard in persiano contemporaneo), mentre -as dovrebbe avere la stessa radice di asman "cielo". Tornando a noi, vorrei proprio vedere che successo avrebbero in Italia i dolciumi della marca MERDAS. Nemmeno il più callido marketer riuscirebbe a vendere un cioccolato con questo nome in un paese in cui la venerabile parola merda indica il prodotto finale della digestione dei viventi!

domenica 3 giugno 2018

LA FAMIGLIA LINGUISTICA QUECHUMARAN NON ESISTE!

Joseph H. Greenberg (Stanford University, Columbia University, †2001) e Merritt Ruhlen (Stanford University) sono gli autori dello studio An Amerindian Etymological Dictionary, ossia "Un dizionario etimologico amerindiano", liberamente consultabile e scaricabile seguendo questo link:


La macrofamiglia amerindiana postulata da Greenberg e da Ruhlen è ricostruita a partire da numerose famiglie. Riporto un elenco degli aggettivi usati per descrivere queste ipotetiche famiglie, tradotti in italiano; gli originali usati nel mondo anglosassone sono indicati tra parentesi.

America settentrionale

   Algonchino-Wakash (Almosan) 
   Keres-Sioux (Keresiouan) 
   Penuti o macro-Maya (Penutian)
   Hoka (Hokan)

America centrale 

   Amerindio centrale (Central Amerind) 

America meridionale  

   Chibchá (Chibchan) 
   P
áez (Paezan) 
   Andino (Andean) 
   Equatoriale (Equatorial) 
   Macro-Tucano (Macro-Tucanoan) 
   Macro-Carib (id.) 
   Macro-Pano (Macro-Panoan) 
   Macro-G
ê (id.) 

Greenberg include nella famiglia delle lingue andine il Quechua, l'Aymará, il Mapudungun, il Puelche (Gennaken), il Tehuelche, lo Shelk'nam, lo Yahgan (Yamana), l'Alakaluf (Qaweskar) e un certo numero di altre lingue tra loro molto diverse. Non mi risulta tuttavia che l'autore abbia mai elaborato una protolingua andina capace di rendere conto dell'esistenza e degli sviluppi di tutte queste lingue, parlate in un'area vastissima che va dall'Ecuador alla Terra del Fuoco. L'impressione è che il suo lavoro, eminentemente top-down, sia stato prodotto a partire da qualche pregiudizio e da qualche forma di malsana intuizione, senza neppure tentare di trovare corrispondenze fonetiche regolari. Questi errori procedurali viziano l'intera opera, che già non è esente da gravi difetti. Le lingue isolate sono costrette a viva forza in una famigia o nell'altra, i prestiti non sono eliminati, etc. Non va nascosto che altri linguisti hanno proposto classificazioni molto dissimili da quella di Greenberg-Ruhlen e decisamente più insane. Ci sarebbe da scrivere un volume sull'argomento.

Terrence Kaufman si spinge anche oltre le tesi sopra esposte, arrivando a postulare una protolingua denominata con un'atroce parola macedonia: Quechumaran. Per ottenere questo orrore, è stato fatto un collage di Quechua con Aymará, nonostante si tratti di nomi non analizzabili. Quindi è stato aggiunto il tipico suffisso -an che rende tanto monotoni i nomi delle famiglie amerindiane nei trattati in inglese. Un linguista dovrebbe astenersi da aberrazioni come queste: chi ama le lingue non le deturpa. Questa famiglia Quechumaran ha la pretesa di includere il Quechua e l'Aymará, ritenute lingue strettamente imparentate e derivazioni di una protolingua comune. A spingere Kaufman a formulare una simile assurdità sono considerazioni di natura tipologica. I sistemi fonologici del Quechua e dell'Aymará si somigliano in modo notevole, ci sono moltissime parole in comune, i rispettivi sistemi grammaticali funzionano in modo simile.

Passiamo a un'analisi della questione. Per informazioni sull'ortografia usata per trascrivere le parole Quechua e Aymará, si rimanda al Web:



Questo è un breve elenco di parole comuni alle due lingue in analisi, che in diversi casi hanno importanza culturale e antropologica:

anaku "indumento femminile"
awqa "nemico, ribelle"
challwa "pesce"
chamqa- "macinare"

inti "sole"
kimsa "tre"
macha- "essere ubriaco" 
marka
"città, villaggio"
muna- "desiderare"
nina "fuoco"
pacha "mondo; tempo"
pampa "pianura"
puma "leone di montagna"
punku "porta"
wanu "sterco"
warmi "donna" 
waqra (waxra) "corno"
waranqa "mille"

Alcune protoforme ricostruite presentano differenze minime: 

Proto-Quechua: *champa "zolla"
Proto-Aymar
á: *ch'ampa "zolla"


Proto-Quechua: *charki "carne essiccata"
Proto-Aymar
á: *ch'arki "carne essiccata" 


Proto-Quechua: *pukru "buco, cavità"
Proto-Aymar
á: *p'ukru "buco, cavità" 

Proto-Quechua: *puru "zucca, vaso ottenuto da una
    zucca"  
Proto-Aymar
á: *phuru "brocca"  

Proto-Quechua: *qapi- "spremere"  
Proto-Aymar
á: *q'api- "spremere"  

Proto-Quechua: *tanta "pane" 
Proto-Aymar
á: *t'anta "pane"

In alcuni casi la forma proto-Quechua e la forma proto-Aymará ricostruite sono identiche, ma sussistono differenze negli esiti storici: 

Proto-Quechua: *taruka "cervo"
   Quechua: taruka "cervo"
Proto-Aymar
á: *taruka "cervo"
   Aymar
á: taruja "cervo" 

Non è chiaro come interpretare questi dati. Così proto-Quechua *tanta "pane" è distinto da proto-Aymará *t'anta - nonostante entrambe le lingue storiche abbiano nel loro inventario fonemico sia l'occlusiva semplice /t/ che l'occlusiva glottalizzata /t'/. A volte forme identiche in Quechua e in Aymará risalgono a protoforme diverse: il proto-Quechua ha *pacha "mondo; tempo", che equivale a *patra in proto-Aymará - nonostante entrambe le protolingue abbiano nel loro inventario fonemico sia /tʃ/ che /tr/ (che suona come tr in siciliano). In altri casi ancora si presentano in alcune varietà di Quechua divergenze difficili a spiegarsi. Ad esempio nel Quechua del Qollasuyu accanto a chamqay "macinare" esistono ch'amqay e chhanqay. Un bel problema! 

Questo è un breve elenco di parole divergenti:

Quechua: allqu "cane"
Aymar
áanu "cane" 

Quechua: killa "luna; mese"
Aymar
á: paxsi "luna"

Quechua: maki "mano; avambraccio"
Aymar
á: ampara "mano" 

Quechua: q'uyllur "stella"
Aymar
á: wara wara "stella"

Quechua: raka "vagina"
Aymar
áchinqi "vagina" 

Quechua: rinri "orecchio"
Aymar
á: hinchu "orecchio" 

Quechua: rumi "pietra"
Aymar
á: qala "pietra" 

Quechua: runtu "uovo"
Aymar
á: k'awna "uovo"  

Quechua: sinqa "naso"
Aymar
ánasa "naso"*

*La parola non è di origine europea, a dispetto dell'omofonia.

Quechua: wañu- "morire"
Aymar
á: jiwa- "morire"

Quechua: yawar "sangue"
Aymar
áwila "sangue"

In alcuni casi abbiamo in Aymará due sinonimi per esprimere un concetto, di cui uno è comune al Quechua e l'altro no:

Quechua: tuta "notte"
Aymar
á: aruma "notte", tuta "notte"

Quechua: wanu "sterco"
Aymar
á: jama "sterco", wanu "sterco"

Con buona pace di Kaufman e di Greenberg, Quechua e Aymará sono due lingue geneticamente molto lontane, nonostante condividano circa la metà del lessico e alcuni elementi morfologici. Le somiglianze lessicali sono senza dubbio dovute ad antichi prestiti. Non è al momento facile stabilire quale sia il grado di parentela del materiale nativo e quale sia stata la direzione di ciascun prestito. La possibilità più generale è questa:

1) parte delle radici provengono dal Quechua e sono state prese a prestito dall'Aymará;
2) parte delle radici provengono dall'Aymará e sono state prese a prestito dal Quechua;
3) parte delle radici provengono da una lingua ignota poi scomparsa (o da più di una) e sono state prese a prestito dal Quechua e dall'Aymará.

Questo è un breve campione di falsi parenti in Quechua (Runa Simi) e in Aymará (Aymar Aru, Jaqi Aru): 

Quechua: llama-llama "gregge di lama"
Aymará: llama-llama "risata"

Quechua: para "pioggia"
Aymará: para "fronte"

Quechua: qaqa "roccia"
Aymará: qaqa "capelli bianchi"

Quechua: qarwa "larva di coleottero"
Aymará: qarwa "lama" (camelide)*

*Anche qawra; passato in alcuni dialetti Quechua come prestito

Quechua: uma "testa"
Aymará: uma "acqua"

Questo è un breve campione di parenti lontani in Quechua (Runa Simi) e in Aymará (Aymar Aru, Jaqi Aru):

Quechua: ñuqa "io"
Aymará: naya "io"

Quechua: qam "tu"
Aymará: juma "tu"

Quechua: pay "egli, ella"
Aymar
á: jupa "egli, ella"

Quechua: haya- "essere piccante"
Aymar
á: jaru "piccante"

Quechua: -kuna "suffisso plurale/collettivo"
Aymar
á: -naka "suffisso plurale/collettivo"

Quechua: mayu "fiume"
Aymará: uma "acqua" 

Quechua: musuq "nuovo"
Aymar
á: machaqa "nuovo"

Quechua: ñawi "occhio" 
Aymará: nayra "occhio"

Quechua: puka "rosso"
Aymar
á: chupika, chukipa "rosso"  

Quechua: wira "grasso" (n.) 
Aymarà: wila "sangue"* 

*Lo slittamento da "grasso interno" a "sangue" è documentato in diverse famiglie linguistiche.

Queste forme non permettono tuttavia di stabilire una speciale somiglianza tra le due lingue in questione. Per approfondimenti, consiglio la lettura di un interessantissimo lavoro di Nicholas Q. Emlen (Brown University, Providence, Rhode Island), consultabile e scaricabile seguendo questo link: 

sabato 2 giugno 2018

PERCHÉ IL NOSTRATICO NON FUNZIONA?

Il nostratico è un'ipotetica macrofamiglia (o superfamiglia) linguistica, che include molte famiglie di lingue endemiche dell'Eurasia. Il suo nome è stato costruito a partire dall'aggettivo latino nostras "della nostra terra" (confronta anche nostrates "i nostri compatrioti" e nostratim "secondo i nostri costumi", "a modo nostro"). Per i non addetti ai lavori, spiegherò in modo semplice il concetto, rimandando al Web per approfondimenti. A partire dalle lingue indoeuropee attestate, i linguisti sono stati capaci di ricostruire il loro ipotetico antenato. Il problema a questo punto era stabilire l'origine di questa protolingua indoeuropea e quali sarebbero i suoi rapporti con altre protolingue, ad esempio con quella ricostruita a partire dalle lingue uraliche. Così a qualcuno è venuto in mente di ricostruire un antenato comune per un certo numero di famiglie linguistiche. Ancora oggi, molti si oppongono a questo concetto per motivi politici e ideologici. C'è addirittura chi è andato in marasma e ha esclamato: "Sarebbe terribile se fosse vero!". Se non vado errato, questa perla si deve all'ineffabile Larry Trask. Non va nascosto che per molti antisemiti è inaccettabile pensare che la lingua delle antiche genti indoeuropee possa avere anche solo l'origine di una sillaba in comune con le lingue afroasiatiche, a cui appartiene la lingua ebraica. In questo ambiente si annoverano i più acerrimi nemici della linguistica nostratica: l'origine dell'indoeuropeo dalla Terra Cava e da Vril è ritenuta più accettabile.

L'idea di una parentela a lungo raggio tra l'indoeuropeo e altre famiglie linguistiche si ritrova già agli inizi del XX secolo negli studi del danese Holger Pedersen, che propose una macrofamiglia cui diede il nome di nostratico (danese nostratisk, tradotto in America come Nostratian, forma che non ebbe successo). Questo embrione di nostratico includeva l'indoeuropeo, l'uralico, l'altaico e l'afroasiatico. Così scriveva il Pedersen nel lontano 1903:

«Grønbech considera possibile (p. 69) che la parola turca per "oca" possa essere presa a prestito dall'Indo-Germanico (Osm. kaz, Yak. xās, Chuv. xur). A parer mio ci sono tre possibilità riguardo a questa parola: coincidenza, prestito e parentela. Si deve tenere in conto anche quest'ultima possibilità. Moltissimi ceppi linguistici in Asia sono senza dubbio imparentati con quello Indo-Germanico; questo forse vale per tutte quelle lingue che sono state caratterizzate come Uralo-Altaiche. Sarebbe come unire tutti i ceppi linguistici imparentati con l'Indo-Germanico sotto il nome di "lingue Nostratiche". Le lingue Nostratiche occupano non solo un'area molto vasta in Europa e in Asia, ma si estendono anche fino all'interno dell'Africa; perché le lingue Semito-Camitiche sono secondo me senza dubbio Nostratiche. Riguardo alla prova della parentela delle lingue Nostratiche, non solo si deve tenere lontano tutte le etimologie delle radici e in generale tutte le frivolezze etimologiche, ma in generale non ci si deve preoccupare di accumulare una massa di materiale. Ci si dovrebbe piuttosto limitare alla considerazione razionale di una serie di pronomi, negazioni, in parte anche numerali che possono essere tracciati attraverso molti ceppi linguistici (in Turco sono reminiscenti dell'Indo-Germanico la negazione -ma, -mä e la particella interrogativa iniziale di parola m, il pronome interrogativo kim, il pronome di prima persona män, la terminazione verbale della 1. sing. -m, 1. plur. -myz, -miz e l'uscita -jin della 1. sing. dell'"ottativo," che ricorda molto il congiuntivo dell'Indo-Germanico [con gli affissi ottativi -a-, -ä-], il pronome di 2. sing. sän [cfr. l'uscita verbale IdG. -s], la formazione causativa con -tur- [cfr. IdG. -tōr nomen agentis; il causativo Indo-Germanico sembra anche come se fosse derivato da un nome d'agente del tipo φορός], i nomina actionis come Orkh. käd-im "che veste," diversi numerali numerals: Orkh. jiti "7," jitm-iš "70," [con j = IdG. s come in Proto-Turco *jib- "avvicinare"; Osm. jyldyz "stella": la parola Indo-Germanica per "sole"; jat- "giacere": la parola IdG. per "sedere"]; Proto-Turco bǟš "5" [con š = IdG. -que; cfr. Osm. piš- "essere cotto," IdG. *pequeti "cuoce"] etc., etc.). Resisto alla tentazione di entrare nella questione più in dettaglio.» 

Per motivi ideologici e politici, questa idea di Pedersen fu attaccata vigorosamente e cadde presto nell'oblio. Riemerse soltanto nei primi anni '60 in Unione Sovietica, quando il semitologo Aharon Dolgopolskij e lo slavista Vladimir Illič-Svityč la ripresero indipendentemente (si conobbero soltanto nel 1964). Il loro lavoro fu senz'altro titanico: raccolsero tutto ciò che era stato pubblicato in Europa occidentale sui tentativi di ricostruire una macrofamiglia che rendesse conto delle origini dell'indoeuropeo, a partire dai lavori di Alfredo Trombetti sulla monogenesi delle lingue umane. Non fu di certo facile dare forma sistematica a tante ricostruzioni di diversi autori. Tra le ipotesi considerate si possono citare la macrofamiglia indo-uralica di Björn Collinder e Holger Pedersen, la macrofamigia uralo-altaica di Martti Räsänen, la macrofamiglia indo-semitica di Holger Pedersen, Piero Meriggi e Luigi Heilmann. Dolgopolsky e Illyč-Svityč, lavorando separatamente, conclusero che esistevano indizi fondati per la ricostruizione di una macrofamiglia, a cui fu dato il nome di nostratico già usato da Pedersen. Le lingue incluse nel nostratico dai due autori sono le seguenti: 

1) Lingue indoeuropee
2) Lingue uraliche
3) Lingue altaiche
4) Lingue kartveliche (caucasiche meridionali)
5) Lingue camito-semitiche (oggi denominate afro-asiatiche)

In seguito Illyč-Svityč fece un'aggiunta:

6) Lingue dravidiche 

A quanto mi pare di intendere, gli studi dei due sovietici si svolsero in condizioni catacombali di completa assenza di comunicazioni col mondo esterno, forse per terrore che qualche commissario politico potesse giudicarli contrari all'ortodossia. Fatto sta che il linguista Vladimir Dybo riuscì comunque a venirne a conoscenza. Osservò il lavoro dei nostratisti e per qualche anno evitò di interferire, sembra per "conservare la purezza dell'esperimento". Poi, nel 1964, fece sì che Dolgopolsky e Illyč-Svityč finalmente si incontrassero. Ebbe così inizio una collaborazione che durò fino al 1967 - anno della morte di Illyč-Svityč. Da allora sono successe molte cose. Dolgopolsky è migrato in Israele e nuovi accademici si sono aggiunti al progetto, che ha preso il nome di Nostratic Workshop. Da allora le conoscenze sono progredite notevolmente.

Riporto il link a una pagina dell'Università di Cambridge che permette di consultare e scaricare il Nostratic Dictionary di Aharon Dolgopolsky (Terza edizione) : 


Mi rendo ben conto che non è affatto curato nella forma. Si presenta come magma vulcanico non fruibile, senza cura alcuna per le necessità del lettore. Un groviglio di sigle, simboli non convenzionali, tutto fuorché agevoli. Migliaia di vocaboli sono buttati assieme in giganteschi crogioli, senza alcuna esposizione sistematica.

The Tower of Babel (An International Etymological Database Project) è un progetto altamente meritorio che si prefigge di ricercare parentele a lungo raggio tra le famiglie linguistiche del mondo intero. Il suo fondatore è stato Sergei Starostin, attivo nel Web fin dalla metà degli anni '90. Tra i suoi collaboratori possiamo citare suo figlio George e quello stesso Vladimir Dybo che tanta parte ha avuto nel progresso degli studi nostratici. Il lavoro di questi studiosi ha dato vita a un database liberamente accessibile che contiene le protoforme ricostruite di numerose famiglie linguistiche, con migliaia di radici e di etimologie (per quanto ve ne siano di discutibili). Lo studioso è defunto nel 2005, ma la Scuola di Mosca continua la sua opera. Questi sono gli atenei che partecipano all'impresa:

The Russian State University of the Humanities (Center of Comparative Linguistics)
The Moscow Jewish University
The Russian Academy of Sciences (Dept. of History and Philology)
The Santa Fe Institute (New Mexico, USA)
The City University of Hong Kong
The Leiden University

Questo è il link dell'homepage del progetto: 


Queste sono le lingue incluse nella macrofamiglia nostratica da Sergei Starostin e dai suoi collaboratori: 

1) Lingue indoeuropee
2) Lingue uraliche
3) Lingue altaiche
4) Lingue kartveliche (caucasiche meridionali)
5) Lingue dravidiche
6) Lingue eschimo-aleutine
7) Lingue paleoartiche (
Čukotko-Kamčatke) 

Questo è il link al database delle lingue nostratiche:


Questo è il link alla pagina che comprende tutti i database (anche relativi a macrofamiglie non nostratiche): 


La macrofamiglia nostratica è chiamata anche eurasiatica da questi autori. Le lingue afroasiatiche sono considerate una macrofamiglia sorella del nostratico, anziché un suo ramo derivato. L'ipotetica protolingua da cui sarebbero derivate le lingue nostratiche (o eurasiatiche) e le lingue afroasiatiche è denominata boreano. La sua ricostruzione è considerata approssimativa.

L'ipotesi nostratica ha sostenitori anche al di fuori della Russia. Il linguista americano Allan R. Bomhard, nato a New York nel 1943, è senza dubbio uno dei massimi nostratisti oggi viventi. Le sue opere sono consultabili e scaricabili liberamente nel suo account su Academia.edu. Tra queste c'è il suo fondamentale e imprescindibile A Comprehensive Introduction to Comparative Nostratic Linguistics, disponibile sia in quattro volumi separati che in un file unico. L'aggiornamento è costante: l'autore carica spesso nuove versioni. La terza edizione è apparsa nel 2018.


Rispetto a Starostin, Allan Bomhard utilizza una diversa nomenclatura. Chiama lingue eurasiatiche quelle che gli autori russi chiamano nostratiche, mentre chiama nostratico l'antenato comune delle lingue eurasiatiche e di quelle afroasiatiche. Inotre include nel novero delle lingue nostratiche anche la lingua sumerica e la lingua etrusca: una scelta a dir poco controversa che avremo modo di discutere diffusamente in un'altra occasione. Sergei Starostin, per contro, non considera il sumerico e l'etrusco, preferendo collegare quest'ultimo con le lingue nord-caucasiche, ipotesi che reputo condivisibile. Va però detto che gli autori della Scuola di Mosca hanno conoscenze abbastanza scarne sulla lingua etrusca.

Critiche

Come mai ci sono tante divergenze nella collocazione di diverse famiglie all'interno del nostratico? Molto semplice: è ignota la distanza tra i vari rami della macrofamiglia postulata, proprio come sono ignoti i processi di glottogenesi.

Non sono state ricostruite singole protolingue, ad esempio il proto-indouralico a partire dal proto-indoeuropeo e dal proto-uralico, allo scopo di risalire poi da queste fino a una protolingua comune. Nonostante Dolgopolsky e Illič-Svityč si siano avvalsi di lavori in cui si postulavano protolingue come l'indo-uralico e l'indo-semitico, si hanno forti dubbi sul fatto che queste opere includessero ricostruzioni sistematiche. Si veda l'estratto dell'opera di Pedersen da me riportato in questa sede per comprendere il tenore di questi tentativi, per il vero piuttosto rudimentali. L'ideologia comune a tutti i nostratisti sembra essere questa: ritenere tutti i rami della macrofamiglia nostratica (o eurasiatica) come se fossero equidistanti e prodotti da una semplice scissione di una protolingua, così come le lingue romanze si sono formate a partire dal latino volgare. Inutile dire che le cose sono ben più complesse. 

Si ha l'impressione che la metodologia usata dai nostratisti sia sempre top-down anziché bottom-up. Quando la ricostruzione di una protolingua è top-down, l'artefice postula che varie lingue abbiano un'origine comune, tenta di costruire le protoforme a partire dal proprio intuito prendendo un certo numero di radici assonanti e di affissi delle lingue attestate, quindi cerca delle corrispondenze fonetiche regolari. Quando la ricostruzione di una protolingua è bottom-up, l'artefice parte dalle lingue attestate e da queste risale a singole protoforme. Se riesce a trovarne in gran numero, se le corrispondenze fonetiche sono regolari e se l'eliminazione dei prestiti non presenta gravi difficoltà, è riuscito nel suo intento di trovare l'origine comune delle lingue studiate.

La metodologia bottom-up dovrebbe sempre essere usata in qualsiasi ricostruizione di una protolingua. Ogni tentativo di ricostruzione top-down è viziato dall'ideologia e votato al fallimento. 

Si noterà che anche la distanza tra le lingue nostratiche più vicine è eccessiva. Per questo motivo, tale è l'abisso che separa le singole lingue derivate, che il nostratico ricostruito non ha molto senso: è come se fosse "appiattito".

C'è però qualcosa di ancora più importante. Le ricostruzioni disponibili della protolingua nostratica non possono essere utilizzate per riconoscere la natura di lingue di dubbia affiliazione e per comprendere i dettagli del loro sviluppo. 

Prendiamo il caso dell'etrusco. Se fosse una lingua indoeuropea, come molti ancora si ostinano a pretendere, l'avremmo già pienamente compresa da molto tempo. Avremmo afferrato da un pezzo le corrispondenze fonologiche e potremmo comprendere vocaboli problematici senza far ricorso al metodo combinatorio. Potremmo persino prevedere un certo numero di parole del lessico di base a partire dalle protoforme indoeuropee e dalle leggi fonetiche dedotte: ci azzarderemmo a ricostruire il nome della ruota, del giogo, del maiale, del bue, etc. Questo non avviene affatto. Quando comprendiamo un vocabolo finora oscuro, ad esempio dal contesto combinatorio o da evidenze esterne, ci salta subito all'occhio che non saremmo mai riusciti a indovinarlo, a prevederlo. Quando, con ottimi argomenti, Giulio Facchetti giunge alla conclusione che marza (attestato sulla Tegola di Capua) significa "piccolo maiale" (secondo me semplicemente "maiale"), il risultato spiazza ogni indoeuropeista. C'è ancora un problema di non poco conto. Anche il nostratico di Bomhard ci serve a poco. Il suo potere di illuminare il lessico etrusco è ben scarso! 

Nei lavori dei nostratisti non è analizzato per origine il lessico delle singole protolingue comparate, non sono eliminati i prestiti, non è considerato minimamente il sostrato. Per Dolgopolsky come per Starostin e per Bomhard, è indoeuropeo tutto ciò che è attestato anche come hapax in ogni singola lingua indoeuropea. Tutti prendono queste forme e le proiettano nel passato all'infinito, senza tener conto della loro possibile origine da lingue parlate prima dell'imporsi delle lingue indoeuropee. 

Per fare un esempio, ho visto il proto-uralico *śilmV- "occhio" confrontato con il greco στιλπνός (stilpnós) "splendente", che in realtà è un vocabolo pre-greco. Così l'isoglossa, se anche fosse valida, sarebbe tra proto-uralico e pre-greco (non IE), non tra proto-uralico e proto-indoeuropeo! Questo fatto complica non poco le cose. C'è troppa distanza persino tra il proto-indoeuropeo e il suo supposto parente più prossimo, il proto-uralico. Non è chiaro se le isoglosse siano prestiti o se siano termini ereditati da una protolingua.

Ci sono conflitti anche dove non dovrebbero essercene da tempo. Lo stesso indohittita, antenato delle lingue indoeuropee proprie e delle lingue anatoliche, non è stato ricostruito bene, o in ogni caso materiale non è facilmente reperibile. Non solo. Si rimarcano alcune divergenze significative tra diversi rami dell'indoeuropeo, che rendono difficile la ricostruzione di una protoforma comune. Non si riesce a ricostruire una protoforma compatibile che possa spiegare tutti gli esiti. Prendiamo le seguenti coppie di protoforme, la prima tipica delle lingue IE occidentali, la seconda delle lingue indiane (sanscrito, pracriti e derivati):

*eg'o:(m) / *eg'hom "io" (pron. I pers. sing.) 
*dak'ru- / *ak'ru- "lacrima"
*k'erd- / *g'hṛd- "cuore"

A complicare le cose, le lingue iraniche (antico persiano, avestico e derivati) hanno forme che potrebbero anche risalire a *eg'om "io" e a *g'ṛd- "cuore" (senza aspirazione), dal momento che le consonanti *g' e *g'h sono entrambe diventate *zCome rendere coerenti questi dati? Come si spiegano simili divergenze? Come comprendere quali erano i fonemi d'origine, se gli output storici sono tanto disomogenei?

Esiste una poesia famosa in nostratico ricostruito, composta da Vladimir Illič-Svityč:

K̥elHä wet̥ei ʕaK̥un kähla
k̥aλai palhA-k̥A na wetä
śa da ʔa-k̥A ʔeja ʔälä
ja-k̥o pele t̥uba wet̥e

La lingua è un guado nel fiume del tempo,
ci porta alla dimora dei nostri antenati;
ma non vi potrà mai giungere,
colui che ha paura delle acque profonde.

Vediamo che la parola per dire "acqua" è assai simile al proto-uralico *wete- (cfr. finlandese vesi "acqua", pl. vedet). Si capisce che la protoforma uralica ha avuto un ruolo importante nella ricostruzione, più di quella indoeuropea, che presenta suffissi ed è più complessa. Eppure secondo me ci sono indizi sul fatto che la forma proto-uralica sia un antico prestito. Il proto-uralico potrebbe benissimo essere un complesso creolo! 

Per concludere, non sono scettico sull'ipotesi nostratica. Ritengo tuttavia che le sue attuali formulazioni siano inadeguate e che si rendano necessari studi ben più approfonditi. Le lingue non sono blocchi monolitici da incastrare come mattoncini del Lego.

lunedì 28 maggio 2018

CLASSIFICAZIONE DELLE LINGUE COSTRUITE

La definizione di lingua costruita (ingl. conlang) o lingua artificiale potrebbe sembrare ovvia e priva di qualsiasi ambiguità. Questo riporta Wikipedia (2018): 

"Una lingua artificiale è una lingua creata dall'ingegno attribuibile ad una sola persona o ad un gruppo di lavoro, che ne sviluppa deliberatamente la fonologia, la grammatica e il vocabolario (nel caso delle lingue ausiliarie capita però che il vocabolario venga fatto derivare da quello delle più diffuse lingue naturali). La principale differenza rispetto alle lingue naturali risiede dunque nel fatto che originariamente quelle artificiali non si sono sviluppate ed affermate spontaneamente nelle culture umane." 

Ebbene, quanto affermato da Wikipedia non è del tutto vero, anche se riflette le opinioni correnti dei linguisti. Non è una spiegazione completa. Inoltre può essere considerata fuorviante, come avrò modo di dimostrare.  

La classificazione riportata si fonda più che altro sulle finalità di coloro che elaborano queste lingue o sull'origine del loro lessico e della loro grammatica. Questo è un riassunto:

Classificazione secondo gli scopi

1) Lingue ausiliarie
2) Lingue artistiche
3) Lingue logiche 

Le lingue ausiliarie hanno lo scopo di aiutare la comunicazione tra le nazioni (es. Esperanto, Völapuk, etc.).
Le lingue artistiche sono create nel contesto di opere letterarie o cinematografiche, per piacere personale e via discorrendo (es. Quenya, Sindarin, Eldarin, etc.).
Le lingue logiche (ingl. loglangs) comprendono le lingue filosofiche, le lingue matematiche e le lingue musicali. Si fondano in sostanza su esperimenti concettuali volti a trovare una forma di comunicazione perfetta, senza ambiguità, per quanto molto distante dalle lingue naturali. 

Classificazione secondo l'origine del lessico e della grammatica 

1) Lingue a priori
2) Lingue a posteriori
  2a) Lingue naturalistiche
  2b) Lingue non naturalistiche

Le lingue a priori hanno un lessico e una grammatica che il loro autore ha creato dal nulla in toto o in gran parte (per quanto ciò sia effettivamente possibile). 
Le lingue a posteriori hanno un lessico e una grammatica che il loro autore ha preso da una o più lingue naturali (in genere apportandovi modifiche e assimilandole).
Le lingue a posteriori a loro volta si suddividono in lingue naturalistiche, che imitano la struttura delle lingue naturali, e in lingue non naturalistiche (o schematiche), che sono dotate dai loro creatori di una struttura semplificata col fine di facilitarne di facilitarne l'apprendimento.

Tutto ciò non esaurisce affatto l'esistente.

Dobbiamo includere nelle categorie di lingue artificiali suddivise per scopo anche le seguenti:

4) Lingue ricostruite per fini scientifici (es. protolingue, etc.)
5) Lingue morte ricostruite o rivitalizzate per fini culturali, politici o religiosi (es. cornico moderno, ebraico di Israele)

Wikipedia (2018) riporta la seguente definizione di protolingua: 

"La protolingua o lingua ricostruita è la ricostruzione probabile della lingua originaria di un gruppo di lingue, un ramo o una famiglia linguistica, sulla base di corrispondenze e radici comuni a tale famiglia linguistica che non costituiscano innovazioni o prestiti."

Essendo le protolingue non attestate, si capisce che si tratta di lingue artificiali, seppur chiaramente a posteriori. Anche se si riuscisse a ricostruire una protolingua esattamente coincidente in massima parte con una lingua un tempo effettivamente parlata, non potremmo saperlo con esattezza. Sarebbe una lingua artificiale in ogni caso. Qualcuno potrebbe controbattere dicendo che il latino è la protolingua delle lingue romanze: questo sarebbe un esempio di protolingua attestata. In realtà si tratta di un'affermazione non corretta. Le lingue romanze derivano dal latino volgare (sermo vulgaris), non dal latino classico (sermo nobilis). La protolingua che potremmo ricostruire a partire dai soli dati delle lingue romanze, senza considerare le attestazioni del latino, sarebbe molto diversa da quella di Cicerone! 

In genere le protolingue consistono in elenchi di radici o di vocaboli, che gli accademici asteriscano in modo sistematico per distinguerli dalle forme realmente attestate - come se gli studenti e i lettori fossero così coglioni da aver bisogno di qualcuno che ogni volta dica loro: "Guardate che l'indoeuropeo è una lingua ricostruita". In qualche raro caso tuttavia si hanno esempi di testi in una protolingua. Ad esempio sono ben note diverse versioni della Favola della pecora e dei cavalli. Questo è il testo in italiano:

Una pecora tosata vide dei cavalli, uno dei quali tirava un pesante carro, un altro portava un grande carico e un altro trasportava un uomo. La pecora disse ai cavalli: "Mi piange il cuore vedendo come l'uomo tratta i cavalli". I cavalli le dissero: "Ascolta, pecora: per noi è penoso vedere che l'uomo, nostro signore, si fa un vestito con la lana delle pecore, mentre le pecore restano senza lana". Dopo aver sentito ciò, la pecora se ne fuggì nei campi.

Questa è la versione sanscritoide di August Schleicher (1868):

Avis, jasmin varnā na ā ast, dadarka akvams, tam, vāgham garum vaghantam, tam, bhāram magham, tam, manum āku bharantam. Avis akvabhjams ā vavakat: kard aghnutai mai vidanti manum akvams agantam. Akvāsas ā vavakant: krudhi avai, kard aghnutai vividvant-svas: manus patis varnām avisāms karnauti svabhjam gharmam vastram avibhjams ka varnā na asti. Tat kukruvants avis agram ā bhugat.

Questa è la versione di Hermann Hirt (1939):

Owis, jesmin wьlənā ne ēst, dedork'e ek'wons, tom, woghom gʷьrum weghontm̥, tom, bhorom megam, tom, gh'ьmonm̥ ōk'u bherontm̥. Owis ek'womos ewьwekʷet: k'ērd aghnutai moi widontei gh'ьmonm̥ ek'wons ag'ontm̥. Ek'wōses ewьwekʷont: kl'udhi, owei!, k'ērd aghnutai vidontmos: gh'ьmo, potis, wьlənām owjôm kʷr̥neuti sebhoi ghʷermom westrom; owimos-kʷe wьlənā ne esti. Tod k'ek'ruwos owis ag'rom ebhuget.

Questa è la versione di Winfred Philip Lehmann e di Ladislav Zgusta (1979):

Gʷərēi owis, kʷesjo wl̥hnā ne ēst, eḱwōns espeḱet, oinom ghe gʷr̥um woǵhom weǵhontm̥, oinomkʷe meǵam bhorom, oinomkʷe ǵhm̥enm̥ ōḱu bherontm̥. Owis nu eḱwobh(j)os (eḱwomos) ewewkʷet: "Ḱēr aghnutoi moi eḱwōns aǵontm̥ nerm̥ widn̥tei". Eḱwōs tu ewewkʷont: "Ḱludhi, owei, ḱēr ghe aghnutoi n̥smei widn̥tbh(j)os (widn̥tmos): nēr, potis, owiōm r̥ wl̥hnām sebhi gʷhermom westrom kʷrn̥euti. Neǵhi owiōm wl̥hnā esti". Tod ḱeḱluwōs owis aǵrom ebhuget.

Questa è la versione laringalista di Douglas Quentin Adams (1997):

[Gʷr̥hxḗi] h2óu̯is, kʷési̯o u̯lh2néh4 ne (h1é) est, h1ék̂u̯ons spék̂et, h1oinom ghe gʷr̥hxúm u̯óĝhom u̯éĝhontm̥ h1oinom-kʷe ĝ méĝham bhórom, h1oinom-kʷe ĝhménm̥ hxṓk̂u bhérontm̥. h2óu̯is tu h1ek̂u̯oibh(i̯)os u̯eukʷét: 'k̂ḗr haeghnutór moi h1ék̂u̯ons haéĝontm̥ hanérm̥ u̯idn̥téi. h1ék̂u̯ōs tu u̯eukʷónt: 'k̂ludhí, h2óu̯ei, k̂ḗr ghe haeghnutór n̥sméi u̯idn̥tbh(i̯)ós. hanḗr, pótis, h2éu̯i̯om r̥ u̯l̥h2néham sebhi kʷr̥néuti nu gʷhérmom u̯éstrom néĝhi h2éu̯i̯om u̯l̥h2néha h1ésti.' Tód k̂ek̂luu̯ṓs h2óu̯is haéĝrom bhugét.

Questa è la versione di Frederik Kortlandt (2007):

ʕʷeuis iosmi ʕuelʔn neʔst ʔekuns ʔe 'dērkt, tom 'gʷrʕeum uogom ugentm, tom m'geʕm borom, tom dgmenm ʔoʔku brentm. ʔe uēukʷt ʕʷeuis ʔkumus: kʷntske ʔmoi kērt ʕnerm ui'denti ʔekuns ʕ'gentm. ʔe ueukʷnt ʔkeus: kludi ʕʷuei, kʷntske nsmi kērt ui'dntsu: ʕnēr potis ʕʷuiom ʕulʔenm subi gʷormom uestrom kʷrneuti, ʕʷuimus kʷe ʕuelʔn neʔsti. To'd kekluus ʕʷeuis ʕe'grom ʔe bēu'gd.

Si noterà che gli asterischi in casi simili spariscono magicamente! :)

Vediamo che la prima protolingua indoeuropea ricostruita è una rozza forma di protosanscrito non privo di anacronismi, mentre le ultime versioni sono quasi impronunciabili. Tale è la distanza che si ravvisa tra i testi dei diversi autori, che siamo costretti a dire qualcosa di molto scomodo: si tratta di lingue artificiali tra loro distinte e molto distanti! 

Una lingua morta, di cui esistono attestazioni più o meno estese, può essere ricostruita nelle sue parti mancanti con un lavoro scientifico ineccepibile e accurato, tanto da restaurarla in una forma assai simile a quella effettivamente in uso. Si otterrà una lingua ricostruita (ingl. reconlang) che non è una protolingua. Tale prodotto deve essere in ogni caso considerato una lingua artificiale, perché non è più trasmesso nemmeno da una singola madre ai suoi figli. Così se si ricostruisce la lingua gotica usata da Wulfila colmandone le lacune, si avrà una lingua nuova in ogni caso, anche se il lavoro fosse assolutamente perfetto. Anche se il Vescovo della Chiesa Ariana potesse capire ogni sillaba. Se poi una lingua di questo tipo si intende farla rivivere per motivi politici, religiosi o culturali, sarà una lingua rivitalizzata (ingl. revlang). Se un progetto di rivitalizzazione o resurrezione linguistica non è sostenuto da ingenti capitali e dal potere della politica, sarà quasi di certo votato al fallimento, in quanto poche forze sono irresistibili come l'accidia del genere umano.   

Si capisce facilmente che le lingue ufficiali delle nazioni sono in massima parte lingue costruite. La lingua italiana è una lingua costruita. Cosa sono i famosi panni sciacquati in Arno dal Manzoni, se non un'opera di glottopoiesi? La lingua ebraica dello Stato d'Israele non è affatto la lingua della Torah e nemmeno quella portata avanti nei secoli dai rabbini: è a tutti gli effetti una lingua costruita, una conlang neoebraica. Non a caso, gli zeloti ne rifiutano l'uso.